il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.

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SENSO DI RESPONSABILITA'
"Chi va troppo dal capo ne diventa schiavo"
(proverbio Basonge - nazione: Rep. Dem. Congo)

Rock-Bush
"L'Uomo al quale tutto il mondo occidentale si affida, il presidente al quale spetta
oggi il compito di riscattare l'orgoglio ferito dell'America, il leader dietro al quale
tutti si schierano per farci condure nella durissima,
lunghissima ma vittoriosa prima guerra
del ventunesimo secolo, il 4 maggio 2000
(agenzia ANSA, ore 15,28)
scambiò i taleban per un
gruppo rock"
  (Jena - il Manifesto 19/09/01)

PAX CHRISTI: UN'ORA DI SILENZIO PER IL DISARMO E LA PACE
 
26 settembre

[Pax Christi e' un movimento cattolico impegnato per la pace e la nonviolenza] Il 26 settembre i vertici della Nato si riuniscono a Pozzuoli. Quella riunione costituisce il simbolo della logica della guerra che e' logica di morte. La cosa di cui sicuramente l'umanita' non ha bisogno. Per questo il Consiglio nazionale di Pax Christi che si e' riunito nei giorni scorsi chiede a quanti credono fermamente nella pace di fermarsi in un luogo pubblico della propria citta' o del proprio quartiere e di distribuire un testo (volantino) che trovate di seguito. Sara' il modo di dire si' alla pace ricordando tutte le vittime della logica assurda della guerra, anche quelle che muoiono di fame mentre i governi delle nazioni ricche investono somme stratosferiche per acquistare sempre nuovi e sofisticati armamenti. Chiediamo che il gesto di un'ora di silenzio per il disarmo e la pace sia fatto contemporaneamente in tante citta' dalle ore 18 alle 19. (Tonio Dell'Olio)

* Questa volta restiamo in silenzio per denunciare che i potenti della terra hanno cancellato la parola "disarmo" dal vocabolario della pace. "Noi per primi vogliamo impegnarci a scelte autentiche e coerenti di pace, di giustizia e di nonviolenza; anche se avvertiamo il rischio di essere indicati come disfattisti o amici del nemico perche' non soffiamo sul fuoco della "giusta ritorsione o della vendetta" (Pax Christi Italia, 18/9/2001). A chi vuol far dimenticare che la pace si prepara con la pace, ricordiamo che non ci rassegneremo alla normalita' della guerra, autentica follia.
* Questa volta restiamo in silenzio per smascherare la tragica mistificazione secondo la quale i soldati sono portatori di pace e le armi costose e sofisticate strumenti necessari alla sicurezza. "Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (Is 5, 20). Alle giovani ed ai giovani che guardano alla carriera militare con affascinato interesse, ricordiamo che gli eserciti sono la negazione della pace, perche' nati per fare la guerra.
* Questa volta restiamo in silenzio per dire "no" alla logica della ritorsione e della vendetta, che e' esattamente quella che sta insanguinando la storia e che trasforma molte nostre citta', gia' ferite per la crescente militarizzazione, in altrettanti bersagli di morte. Solo la nonviolenza potra' salvarci dalla distruzione.
"Se il tuo nemico ha fame, dagli del cibo; se ha sete, dagli da bere: facendo cosi', accumulerai carboni accesi sul suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene" (Rm 12, 20-21). A chi organizza, appoggia e partecipa ad una nuova guerra ricordiamo che un'alleanza di pochi Paesi potenti non puo' farsi giustizia da se', ma e' l'Onu che va valorizzata nella sua funzione di regolazione dei conflitti. Il terrorismo si persegue con il diritto, non con un terrore piu' grande.
* Questa volta restiamo in silenzio per ricordare la voce profetica inascoltata del "popolo della pace" che annuncia: "Nessun re puo' salvarsi con la moltitudine dei suoi soldati" (Salmo 33,16). Ai signori della guerra, ai rappresentanti della Nato, ricordiamo che la sicurezza di un popolo non e' garantita dalla potenza bellica che riesce ad esprimere, ne' dagli "scudi" che potra' innalzare nei cieli, ma da una politica di giustizia e da un'economia di uguaglianza. Quanto e' drammaticamente vero questo: ce lo rammentano, purtroppo, le innumerevoli vittime del terrorismo, delle stupide bombe intelligenti e delle cosiddette guerre umanitarie, che ci ritroviamo troppo spesso a piangere. 26 settembre 2001 ore 18-19: un'ora di silenzio per il disarmo e la pace. Pax Christi - movimento cattolico internazionale per la pace - sezione italiana. Unisciti a noi. Pax Christi Italia, segreteria nazionale, via Petronelli 6, 70052 Bisceglie (BA), tel. 0803953507, fax: 0803953450, e-mail: info@paxchristi.it, sito: www.paxchristi.it, o anche: www.peacelink.it/users/paxchristi/
 


Appuntamenti da non perdere
 
 
Dall' 8 al 30/09/01 - Soave (VR) - Disegni e poesie dei bambini del campo di sterminio
 
"TEREZIN: DISEGNI E POESIE DEI BAMBINI DEL CAMPO DI STERMINIO". Mostra aperta nella Chiesa di San Rocco (sec.XV) - Borgo Bassano - SOAVE  dall' 8 al 30 settembre 2001, tutti i giorni: dalle ore 9 - 12 e 15 - 18. E' gradita la visita degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. A richiesta saranno a disposizione filmati sulla II^ guerra mondiale, il nazifascismo, la resistenza. Grazie all'artista Renzo Pastrello per l'esposizione di alcune sue opere. Memoria e oblio, storia ed escatologia, passato e futuro, memoria e identità collettiva: sono le grandi parole che hanno costituito la cultura dell'Occidente scandendone l'intera parabola. "Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo come è stato. Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell'istante di un pericolo", scriveva Walter Benjamin. L'Occidente vive oggi in questo "istante del pericolo". La sua cultura, le sue culture, sono necessariamente spinte a ripensare il passato e il futuro, la memoria come elemento di formazione dell'identità sociale, la stessa nozione di conoscenza storica e la sua funzione civile. Ma tutto ciò appare tutt'altro che ovvio: un vento impetuoso di "svalutazione del passato" sembra travolgere la cultura contemporanea. Decisivo è chiedersi se alla svalutazione del passato non possa corrispondere il "declino dell'avvenire". Decisivo è tornare a legare memoria e futuro. Uomini e donne del secolo XXI si devono riappropriare della storia, poter tornare a snodare il filo della memoria e farne racconto. Terezin è una città fortezza di frontiera, costruita nel 1780 dall'imperatore Giuseppe II° e dedicata alla madre Maria Teresa da cui appunto il nome. Diventò tra il 1942-44, nel periodo cruciale della II^ guerra mondiale, il "ghetto dell'infanzia". Vi furono rinchiusi circa 15.000 bambini strappati ai loro genitori e sottoposti ad un brutale regime di vita. A gruppi furono trasportati nel campo di concentramento di Auschwitz e qui avvelentati o bruciati nei forni crematori, le loro ceneri disperse. Dei quindicimila ragazzi soltanto un centinaio erano ancora vivi al momento della liberazione da parte delle truppe sovietiche. A Terezin si consumò una delle più mostruose invenzioni della follia nazista: Terezin è pertanto divenuta una profonda ferita nella storia dell'umanità. Uomini e donne di straordinaria sensibilità, anch'essi deportati, destinati alla sorveglianza dei ragazzi, in quella allucinante situazione riuscirono a mantenere vivo in essi il senso della vita e della speranza. facendoli lavorare e studiare, distribuendo a tutti quel calore umano e affettivo tanto necessari nell'età infantile. I bambini e le bambine di Terezin scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata. L'educazione figurativa veniva organizzata secondo un piano preciso: le ore di disegno erano dirette dall'artista Friedl Dicker Brandejsova. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che oggi fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 opere: i loro autori sono per la gran parte bambini e bambine dai 10 ai 14 anni. Sui disegni c'è di solito la firma del bambino, talvolta la data, l'indicazione della casa in cui viveva e del gruppo di cui faceva parte. In base a questi dati si è riusciti ad accertare la data di nascita  e di deportazione. La stragrande maggiornaza dei piccoli di Terezin morì. Ma è rimasto conservato il loro lascito letteraio e figurativo che ci parla delle loro sofferenze e delle speranze perdute. Grazie per l'attenzione da Luciana Bertinato e ANPI di Soave.
 
dal 24 al 29/09/01 - Fano - SETTIMANA AFRICANA
 
 
 
26/09/01 - San Bonifacio (VR) - Incontro commercio equo e solidale 

Cooperativa La Rondine e l'Associazione “El Ceibo” vi invitano a: "Vivere un ottobre missionario equo e solidale". In programma: 26 settembre, presso il Centro parrocchiale di Prova di S. Bonifacio, alle ore 20.30, incontro con Dagoberto Suazo, coordinatore cooperative produttori caffè dell’Honduras.

28/09/01 - Bologna - Veglia in ricordo della strage di Marzabotto
 
PAX CHRISTI, PUNTO DI PACE DI BOLOGNA, organizza una «Veglia sulla pace ricordando il 57° Anniversario dell' eccidio di Monte Sole (conosciuta come strage di Marzabotto)» venerdì 28 Settembre 2001, presso  S. Caterina  da  Bologna ( al Pilastro ) BOLOGNA - Via Campana, 1 - ore  20,45 Chiesa ricostruita con il risarcimento  delle chiese distrutte a Monte Sole
 
 
29/09/01 - San Bonifacio (VR) - Presentazione libro: «Dai molti vuoti»
 
In occasione del Settembre Sambonifacese, Renzo Favaron presenterà il libro "Dai molti vuoti" (ed. Piero Manni). La Presentazione avrà luogo presso la Sala Civica Barbarani (via Marconi) di San Bonifacio il 29 settembre alle ore 17.
 
 
29 e 30 settembre 2001 - 1^ Festa della Rete Lilliput di Verona (Corte Molon - Verona)
VEDI IN... ZOOM ASSOCIAZIONI
 
29/09/01 - Mestre - Laboratorio didattico per insegnanti della scuola dell'obbligo
 
Sabato 29 settembre ore 15.00   PRESSO L'ECOISTITUTO DEL VENETO - VIALE VENEZIA, 7 MESTRE Laboratorio didattico per insegnanti della scuola dell'obbligo. L'urbanista Annamaria Caracristi e la responsabile del settore scuola di Legambiente Veneto Grazia Calcherutti, conducono, assieme ad un gruppo di max 20 insegnanti, un'esperienza di progettazione di interventi nel territorio volto a rendere più sicuri per i bambini e le bambine, e quindi fruibili in autonomia, i percorsi casa-scuola. Nella prima parte (all’Ecoistituto) vengono date indicazioni tecniche, legislative e metodologico-didattiche. Nella seconda parte, con l'architetto Alessandro Covatta (nelle strade e piste ciclabili tra via Cappuccina e v. Piave) si fanno osservazioni sul campo e si individuano possibili interventi migliorativi, a partire dalle indicazioni teoriche. Al termine (presso il Centro Civico di via Sernaglia), visione del CD-Rom e della mostra di Maristella Campello "Strade sicure - percorso casa-scuola". Per informazioni e iscrizioni 041.935.666 ore 17.00/18.00 E-mail info@ecoistituto.veneto.it
 
 
29/09/01 - Mestre - ECONOMIA NONVIOLENTA, AMBIENTE, SOCIETA' SOSTENIBILE E SOLIDALE
 
Sabato 29 settembre ore 15.00  MESTRE, VIA SERNAGLIA Convegno nazionale sul tema: ECONOMIA NONVIOLENTA, AMBIENTE, SOCIETA' SOSTENIBILE E SOLIDALE - CONTRIBUTI PER UNA "CARTA DI GAIA" . Intervengono: Nanni Salio, fisico, del Mov. Nonviolento - MIR, dirett. dell'Ecoistituto Piemonte - Idee ed esperienze di economia nonviolenta, Maurizio Meloni, della rivista AltrEconomia - rete di Lilliput - Contro le multinazionali, un’economia solidale, don Gianni Fazzini, coordinatore nazionale di Bilanci di Giustizia - Esperienze di sobrietà felice, Gianni Tamino, docente di biologia Università Padova - Dall’Ecologia all’Economia ecologica.
 
 
29/09/01 - Soave di Porto Mantovano (MN) - Memoria ed impegno 

LIBERA - ASSOCIAZIONi NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE organizza «MEMORIA ED IMPEGNO» il 29/09/01 alle 19.45.00 a SOAVE DI PORTO MANTOVANO (MN) Parco Feste – Via Nuvolari . Incontro con: Giovanni IMPASTATO (fratello di Peppino), Franca IMBERGAMO (Sost. Procuratore Trib. di Palermo), Guido PAPALIA (Procura della Repubblica di Verona), Enrico FONTANA (Vicepresidente nazionale di LIBERA),  a seguire la proiezione del film: I CENTO PASSI di Marco Tullio Giordana.

30/09/01 - Soave (VR) - «Nasce il Cerchio magico»

Il Cerchio Magico è un'associazione di servizi educativi e ricreativi che, a partire dal mese in corso, inizia la sua attività in Soave e in vari comuni dell'Est veronese. Essa intende promuovere corsi e laboratori didattici per bambini e adulti, mostre e brevi stages, animazioni e manifestazioni artistiche e culturali volte alla conoscenza e all'utilizzo di varie tecniche espressive: il disegno, la pittura, la scultura, l'incisione e l'uso creativo dei materiali. Al fine di far conoscere ai bambini, genitori, insegnanti, operatori sociali e cittadini le proprie proposte, il Cerchio Magico ha ideato una presentazione un po' insolita, scevra da rituali formali, vicina il più possibile al bisogno dei bambini e delle bambine di incontrarsi, giocare, vivere a contatto diretto con l'ambiente naturale nel rispetto delle persone e delle cose. DOMENICA 30 SETTEMBRE, dalle ore 10,30 alle 18 nel verde di Parco Zanella (Soave) si potrà "entrare" nel Cerchio Magico. Durante la giornata saranno allestiti 3 laboratori (1 - L'albero dei desideri, creazioni con la carta; 2 - Terra, acqua, fuoco, creazioni con la creta; 3 - Il gioco dei colori, creazioni con materie e colore) che consentiranno ai partecipanti di sperimentare piacevolmente, in qualsiasi momento, l'utilizzo creativo della carta, della creta e del colore. Per informazioni: Paola Zinnamosca, tel/fax 045 8904308 - email: paolazin@tiscalinet.it ; Vittoria Scrinzi, 045 7450820; Luciana Bertinato, 045 7681159.

 
30/09/01 - Brentino Belluno (VR) - FEVOSS: Pellegrinaggio alla Madonna della Corona

La FEVOSS (Federazione dei Servizi di volontariato socio sanitario) di Verona organizza un Pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona, domenica 30 settembre 2001, come iniziativa religiosa nell'Anno internazionale del Volontariato. La partecipazione è aperta a tutti. Programma: ore 8 - da Brentino Belluno convocazione degli escursionisti che raggiungeranno a piedi il santuario; ore 10 - da Spiazzi coloro che intendono utilizzare il trasporto con "navetta"; ore 11,30 - santa Messa celebrata per il volontariato; ore 12,30 - pranzo al sacco, un minestrone verrà offerto dalla Fevoss. Si tratta di un importante avvenimento  che evocherà in molti le escursioni giovanili per raggiungere il santuario. Per motivi organizzativi si prega di dare la propria adesione (e quella di conoscenti) alla segreteria centrale: tel. 045 8002511 entro il 25 settembre. Alcuni pulmini attrezzati dalla Fevoss saranno messi a disposizione per situazioni particolari segnalate. Si fa presente che l'escursione a piedi richiede una buona condizione fisica e calzature adatte.

OFFERTA DI LAVORO: La Fevoss di Verona ricerca una impiegata full time per mansioni di segretaria amministrativa con interesse a lavorare nella realtà sociale. Requisiti richiesti: uso pc, dinamicità, capacità comunicative. Inviare il curriculum vitae a: Fevoss, via S.Nazaro 73 - 37129 Verona - fax 045 593412

 
02/10/01 - Mestre - ATTUALITA' DELLA NONVIOLENZA NELLE LOTTE ALLE INGIUSTIZIE IN TUTTO IL PIANETA

Martedì 2 ottobre 2001 ore 18.00 - nascita di Gandhi (2-10-1869)   MESTRE, VIA SERNAGLIA , convegno su "ATTUALITA' DELLA NONVIOLENZA  NELLE LOTTE ALLE INGIUSTIZIE IN TUTTO IL PIANETA". Intervengono: Mao Valpiana, direttore della rivista Azione Nonviolenta; don Albino Bizzotto, dei "Beati i Costruttori di Pace", di ritorno dall’AfricaMarina Gavagnin, dell’Associazione El Fontego - Bottega del Mondo, illustra l’esperienza di una cooperativa di donne in Bangladeshcon proiezione di video originali su Gandhi; ore 20.00 - buffet vegetariano indiano (offerta libera a sostegno della Associazione El Fontego - Bottega del Mondo); ore 21.00 - proiezione del film Gandhi.
 
 
04/10/01 - San Zeno di Colognola ai Colli (VR) - La vita, i pensieri, gli scritti di don Alberto Benedetti

Il Gruppo «Consumo Critico» Val d'Illasi e Bilanci di Giustizia organizzano GIOVEDI’ 4 OTTOBRE alle ore 20,30 presso la sala parrocchiale di San Zeno di Colognola ai Colli un incontro – riflessione su «LA VITA, I PENSIERI, GLI SCRITTI» DI DON ALBERTO BENEDETTI SEMPLICE PRETE, STUDIOSO, TESTIMONE DI PROFONDO AMORE ALLA TERRA NELL’ESSENZIALITA’ DELLA VITA QUOTIDIANA. Relatore: ALESSANDRO ANDERLONI autore del libro "IL PRETE DEI CASTAGNARI". "Ama il Creatore. Ama la terra. Lavora gratuitamente, conta su quello che hai e sii povero. Ama qualcuno che non se lo merita...Fai le domande che non hanno risposta. Investi nel millennio. Pianta castagnari. Sostieni che il tuo raccolto principale. E’ la foresta che non hai piantato. E che non vivrai per raccogliere…."

5 e 6/10/01 - S.Martino B.A. e Verona - DANZE SACRE DELLE MASCHERE DOGON

DANZE SACRE DELLE MASCHERE DOGON spettacolo della compagnia Awa Dances from Sangha - Mali: 1) Teatro Peroni - San Martino Buon Albergo (VR) Piazza del Popolo - venerdì 5 ottobre 2001- ore 21; 2) Teatro Camploy - Verona - Via Cantarane 32, sabato 6 ottobre 2001- ore 21 - ingresso gratuito - offerta libera. Sabato 6 ottobre ore 16-18, presso  atelier/palestra del teatro Camploy : «WORKSHOP DI DANZE E MASCHERE»laboratorio con alcuni danzatori e musicisti Dogon a numero chiuso - iscrizione: £. 50.000. Inoltre, sempre sabato 6 ottobre ore 18 presso il Teatro Camploy, «RITUALITÀ E MITOLOGIA DELLA SOCIETÀ DELLE MASCHERE» seminario introduttivo allo spettacolo con Sekou Dolo, Apam Dolo, Marco Gay, Lelia Pisani, Giulia Valerio. Iscrizione: £. 20.000

07/10/01 - Verona - UNA FESTA DI INCONTRO

I soci e amici di Metis Africa organizzano una giornata dedicata all' ospitalità, all'incontro, allo scambio in onore degli Awa Dances del Mali. Sono previste varie attività, al chiuso e all'aperto, e specialità culinarie Corte Molon- Verona - Lungadige Attiraglio domenica 7 ottobre, dalle ore 17 fino a tarda sera
Per informazioni e iscrizioni rivolgersi a Rita Bartolucci - tel. 045 8303266 - e mail: mari.pat@tiscalinet.it
Metis Africa o.n.l.u.s., con sede a Verona in via S. Felicita 9, è stata fondata per favorire una cooperazione a specchio con la popolazione dei dogon del Mali, e per finanziare la costruzione di una scuola elementare e di un centro di salute nel villaggio di Bodio, vicino a Bandiagara nell' altopiano Dogon. Il progetto è stato elaborato con O.R.I.S.S. (Organizzazione Interdisciplinare Sviluppo e Salute).

12/10/01 - Padova - CONFERENZA REGIONALE VOLONTARIATO GIUSTIZIA DEL  VENETO

E' convocato per il giorno 12 ottobre 2001 presso la chiesa Tempio della Pace  via Niccolò Tommaseo 47  Padova ( 5 minuti a piedi dalla stazione ferroviaria) alle ore 15,30 fino alle 18,30 il consiglio regionale della conferenza volontariato giustizia con il seguente ordine del giorno: Comunicazioni del responsabile regionale; Valutazione applicazione del Protocollo d'intesa negli istituti di prevenzione e pena del Veneto; Principali problemi e priorità d'intervento negli istituti di prevenzione e pena del Veneto; Programma CRVG 2001-2003; Varie ed eventuali. Auspico una significativa rappresentanza delle varie associazioni che operano in tutti gli istituti di prevenzione e pena del veneto per concentrare l'impegno su obiettivi comuni per una migliore rappresentatività e forza contrattuale. Segnalo il sito www.volontariatogiustizia.it  per maggiori informazioni sulla Conferenza Volontariato Giustizia e per reperire documenti. Colgo l'occasione per anticipare  alcuni prossimi appuntamenti di cui daremo maggiori dettagli: 25 ott. Riflessioni sul ruolo della persona all'interno del sistema penale, Padova; 26 ott.   Giornata di studi sul volontariato penitenziario e  Informazione, Due Palazzi Padova; 24/nov. Convegno "Sportelli Giustizia" CSV veneto a VeronaIl responsabile regionale Maurizio Mazzi (Associazione "LA FRATERNITÀ"  Via Provolo 28, - 37132 VERONA - tel/fax 045/8004960 - cell. 347 0064001)



in primo piano
 
 
LA VERA GUERRA DA DISINNESCARE É QUELLA DELL'INGIUSTIZIA
 
ALLA “FASE” EMOTIVA DEVE SEGUIRE LA LOGICA DELLA “PAROLA”; LA POLITICA DEVE RISPONDERE ALLA CRESCENTE DISTANZA TRA UN NORD SEMPRE PIÙ RICCO E UN SUD SEMPRE PIÙ POVERO

di Luigi Ciotti – presidente di Libera (l’articolo apparirà sul numero di ottobre 2001 de «La Nuova Ecologia»)

Dopo i tragici e drammatici eventi che hanno colpito gli Stati Uniti in quell’indimenticabile 11 settembre 2001, ci è chiesto, credo, non tanto di discutere (e di decidere) sul “come” partecipare alla guerra, ma di respingere con fermezza, chiarezza e determinazione la comprensibile tentazione della vendetta, della rivincita, della rappresaglia, dell’odio ormai incontrollabile o insuperabile e della “guerra”. Reazioni emotive sono non solo lecite e giustificate, ma anche necessarie e doverose se servono a liberare gli animi da sentimenti quasi obbligati di rabbia e di disperazione. Non possono e non devono, però, diventare il motore della risposta ad una violenza tanto assurda quanto criminale. Detto in altri termini: alla “fase” emotiva deve seguire la logica della “Parola” perché la Politica (nazionale e internazionale) si riappropri delle sue responsabilità per costruire giustizia e per inseguire le reali cause che generano ingiustizia.
Nuovi lutti e nuove tragedie non si prevengono con lo strumento della guerra. Mai.
Quanti sono morti a causa degli orrendi attentati criminali non saranno ricordati e nemmeno riceveranno giustizia da logiche di guerra impugnate in nome di una giustizia militare. Se non vogliamo che il loro sacrificio diventi inutile, dobbiamo ricostruire, in loro memoria e tutti insieme, nuove torri: di sviluppo internazionale, di giustizia globale e di pace duratura perché fondata su criteri di sviluppo sostenibile ed equamente ripartito.
Questo non significa abbassare la guardia nei confronti di un terrorismo internazionale sempre più spregiudicato e sempre più determinato ad agire con strategie finalizzate a distruggere vite umane e speranza. Ci è chiesto, al contrario, una severità senza sconti verso tutto ciò che è terrorismo e uso della violenza. Ma ci è chiesto molto di più: da una parte, di non usare le ingiustizie mondiali per cercare qualche possibile giustificazione che possa rendere meno criminale e meno colpevole il ricorso al terrorismo; dall’altra, non usare gli attentati terroristici come tappeto per nascondere quelle omissioni e quelle colpe che hanno visto divaricarsi le forbici tra un Nord sempre più ricco e un Sud sempre più privo di cure sanitarie, di acqua, di cibo, di scuole e di politiche in grado di contrastare quei tristi fenomeni di schiavitù, di devastazioni ambientali e di emigrazione disperata che siamo ormai abituati a conoscere. Questa è la vera guerra da disinnescare: la guerra dell’ingiustizia alimentata dall’assenza di politiche capaci di fronteggiare queste emergenze.
Conoscendo in profondità la ricchezza del popolo americano, Giovanni Paolo II così si è rivolto al nuovo ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede: «Nell’affrontare le sfide del futuro, l’America è chiamata ad amare e vivere i valori più profondi del suo patrimonio nazionale: la solidarietà e la cooperazione fra i popoli; il rispetto per i diritti umani; la giustizia che è condizione indispensabile per una libertà autentica e una pace duratura».
Non si tratta, di conseguenza, di rileggere queste tensioni come uno scontro tra Occidente e mondo islamico. Nessuno, nemmeno per un istante, può ridurre la complessa cultura e sapienza della religione islamica, ai frammenti dell’integralismo o, peggio ancora, del terrorismo. Se mai dovesse prendere spazio questa infelice equazione ne usciremmo tutti perdenti, nessuno escluso.
Un’ultima annotazione: le televisioni e i media ci hanno portato in casa il dramma del popolo americano. Ci hanno reso più vicini e testimoni oculari di quanto accadeva. Gli occhi hanno visto e le labbra possono affermare – davanti a scenari così tragici e scandalosi – «io sono americano», parafrasando la felice affermazione di Kennedy presso il muro di Berlino. E’ indubbio, da questo punto di vista, il merito di un’informazione puntuale e completa.
Ora dobbiamo fare in modo, però, che anche le immagini facciano un passo indietro perché la tragedia non diventi spettacolo che alimenta odio e divisioni già difficili da sanare.
Giustizia e pace non possono restare sepolte sotto immagini altamente emotive che bloccano il procedere della nonviolenza. Se ogni spettatore ha potuto dire – davanti a quelle immagini indimenticabili «io sono americano», ora la ricostruzione è di tutti e di ciascuno. E’ il mondo intero che deve ricostruire quelle Torri, non solo gli Stati Uniti d’America e non solo la Nato. Nella speranza che l’altezza degli edifici non sia misurata solo dal numero dei piani, ma anche dalla capacità di produrre giustizia e di aggredire le reali cause che determinano quelle economie diseguali che tutti conosciamo come ingiustizie. (fonte: LIBERA, Associazion
i, nomi e numeri contro le mafie)


MASSMEDIA e TAM TAM vari 
 
MARCIA DELLA PACE PERUGIA - ASSISI CON ARCI LEGNAGO 

Carissime amiche e amici, dopo l'incontro di preparazione del Legnago Social Forum del 05 Settembre il nostro comitato si è reso disponibile nell'organizzazione tecnico-logistica per tutti gli aspetti (viaggio, sistemazione e coordinamento) della marcia Perugia-Assisi. La nostra intenzione è quella di essere in loco il sabato 13 ottobre per seguire le due sessioni plenarie: ore  9,00 Oltre l'Euro: l'Europa e il suo ruolo nel mondo; ore 15,00 Costruire la società civile globale: valori, proposte e azioni comuni.  ore  9,00 domenica 14 ottobre marcia Perugia-Assisi "Cibo, acqua e lavoro per tutti". Presentiamo due possibilità per il pernottamento: Pullman + pernottamento con sacco a pelo in strutture pubbliche, £ 60.000 circa. Pullman + pernottamento albergo 2 stelle con bagni in camera e 1/2 pensione, £ 100.000 circa. E' ovvio che l'incertezza del costo dipende dal numero dei partecipanti, quindi sollecitiamo tutti quelli interessati a farci pervenire l'adesione a questa importante iniziativa entro e non oltre il 24 settembre 2001. (per inf. tel 0442/26053 arci@sttspa.it).

 
CARTA... IN EDICOLA
 
Cari amici, vi segnaliamo l'uscita del nuovo numero di Carta settimanale lo troverete venerdì 21 SETTEMBRE in edicola. Di fronte ai pericoli di guerra, la domanda che ci poniamo è: "Dove andiamo?": articoli e interviste di Michael Albert, Noam Chomsky, Adolfo Gilly, Sandro Portelli, Roberto Fisk, Ali Rashid, Lidia Campagnano, Pierluigi Sullo cercano di approssimarsi alla risposta. Una lunga conversazione con lo scrittore Domenico Starnone è invece utile per cercare di capire meglio le motivazioni del movimento antiliberista e le sue differenze con i movimenti del passato. Ci occupiamo anche di Genova, con un'inchiesta sul caso della scuola Diaz e un'intervista a uno degli avvocati del Legal forum sull'uso del reato di "associazione a delinquere". Inoltre, il caso di Luigino, italiano emigrato in Norvegia e condannato, innocente, dopo gli incidenti di Goterborg. Un réportage racconta la Amsterdam delle case occupate e un altro Tarifa, nel sud della Spagna, dove sbarcano i migranti che cercano di attraversare lo Stretto di Gibilterra. Infine, due ampi articoli sull'assemblea generale dell'Onu, ora rinviata, sui bambini, e su come la nostra cooperazione internazionale sia affondata nella palude del ministero degli esteri. Vi segnaliamo che sul sito www.carta.org è possibile trovare ogni giorno notizie aggiornate sui forum sociali e, la prossima settimana, un notiziario no stop sulla settimana di mobilitazioni per la pace in tutta Italia e in particolare a Napoli.
 
 
SITI DA VISITARE 
 
1) Agenzia giornalistica internazionale: www.fidest.net/    2) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
 
3) Rivista "Nigrizia":  www.nigrizia.it   4) Agenzia www.misna.org
 
 
 
9) Sito Internet sulla Storia e Cultura Kurda in lingua Italiana. http://www.geocities.com/mamez25/kurdi_e_kurdistan.htm
 

 
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
 
RIFLESSIONE / 1. PEPPE SINI (Centro di ricerca per la pace): SOLO LA NONVIOLENZA PUO' SALVARE L'UMANITA'
Il dolore, che tutti ci accomuna. Il dolore lacerante e inestinguibile ogni volta che un essere umano perde la vita. E la facolta' di pensare, che tutti ci accomuna. La facolta' di unirci, l'umanita' intera, contro il male e la morte. Che vi siano al mondo esseri umani resi cosi' disperati e alienati da essere disposti a uccidere ed essere uccisi: questa e' la logica che presiede a tutti gli eserciti e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le stragi. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

RIFLESSIONE / 2. LA REDAZIONE DEL MENSILE "IL FOGLIO": SVILUPPARE LA CULTURA DI PACE
[Il mensile "Il foglio" di Torino e' da decenni una delle piu' rilevanti esperienze della cultura della pace in Italia. Ringraziamo Enrico Peyretti per averci messo a disposizione questo testo] Proprio chi, come noi, in nome dei diritti umani, della giustizia e della nonviolenza positiva, ha condannato in questi anni la politica mondiale degli Stati Uniti, oggi condanna totalmente e senza alcuna riserva le enormi stragi terroristiche contro le citta' e il popolo statunitense, al quale esprimiamo la nostra calda umana solidarieta'. La violenza diretta che, col pretesto di attaccare un dominio politico ed economico, compie stragi di esseri umani, e' criminale, e' priva di ogni possibile giustificabilita', non e' alternativa ma omogenea e funzionale alla violenza strutturale del dominio. Il terrorismo omicida e disperato puo' essere indebolito e vinto praticando una politica che tolga le cause da cui esso trae motivo o pretesto per simili ingiustissimi atti, e sviluppando la cultura di pace, di nonviolenza, di eguaglianza di diritti e di giustizia economica tra i popoli.

RIFLESSIONE / 3. GIULIANO PONTARA: GUARDIAMO ALL'ESEMPIO DI GANDHI
[Questo intervento di Giuliano Pontara e' apparso nel sito di Unimondo, e ci e' stato trasmesso da Pasquale Pugliese. Giuliano Pontara, nato a Cles (Trento) nel 1932, vive e lavora in Svezia dal 1953, docente di filosofia all'Universita' di Stoccolma e alla IUPIP di Rovereto, e' impegnato nella peace research e nei movimenti nonviolenti; e' uno dei piu' importanti studiosi di filosofia morale viventi] Questo agli Stati Uniti d'America e' un attacco al cuore dell'impero: o per lo meno cosi' sara' visto dalla maggior parte della classe politica mondiale. Anche la difesa piu' forte della storia umana, dimostra la sua vulnerabilita'. E' la dimostrazione che non e' possibile difendere un paese armandosi fino ai denti e che e' inutile promuovere costosissimi progetti di scudi stellari perche' cosi' si entra nel vicolo sempre piu' chiuso della violenza. Ci sara' un'ondata di odio e desiderio di repressione enorme. I movimenti nonviolenti devono cercare di fare quello che hanno sempre fatto. Questo continuo processo di escalation della violenza - la violenza della globalizzazione sostenuta anche militarmente dalle grandi potenze - porta inevitabilmente alla globalizzazione della violenza, alimenta il terrorismo internazionale (di stato o meno) che colpisce sempre piu' la popolazione civile. Da studioso, non posso che esprimere preoccupazione di fronte ad uno scenario che potrebbe assumere i connotati di una terza guerra mondiale di dimensioni terribili. Mai come ora si ripropone urgentissimo il bisogno di ricorrere agli strumenti della nonviolenza senza lasciarsi prendere dal desiderio di vendette. Lo ribadisco: non ci sono altre misure contro i rischi di un'escalation se non l'intensificarsi di processi di distensione, e mi riferisco anche a tutti i conflitti locali e a bassa intensita', come quello arabo-israeliano e le molte guerre che devastano l'Africa. I movimenti, le ong, le associazioni devono continuare a fare quello che hanno fatto e stanno facendo, fermi nella loro linea di nonviolenza: guardiamo all'esempio di Gandhi nei momenti di massima tensione in India.

RIFLESSIONE / 4. PEACELINK: IL NOSTRO DOLORE
[Questo intervento e' apparso come editoriale nel sito di Peacelink] Le stragi che hanno colpito il popolo americano sono qualcosa di orribile e insensato. Condanniamo ogni atto di violenza e di morte. Ci auguriamo che a questo sangue innocente non se ne aggiunga altro, e che per questioni di orgoglio nazionale non si cerchi un facile capro espiatorio da consumare sull'altare mediatico. Quanto e' accaduto va condannato con tutta la fermezza possibile ma non puo' in ogni caso costuire la premessa per dare mano libera ai professionisti della vendetta.

RIFLESSIONE / 5. ANTONIO BRUNO: LA VIOLENZA PUO' ESSERE COMBATTUTA ESCLUSIVAMENTE CON LA NONVIOLENZA
[Antonio Bruno, vicepresidente del consiglio comunale di Genova, e' impegnato da sempre nei movimenti pacifisti e nonviolenti] La terribile sequenza di attentati che hanno causato migliaia di morti negli Stati Uniti interpella tutta l'umanita' e, in particolare, il movimento pacifista che e' impegnato nella costruzione di un mondo diverso da quello capitalista neoliberista. Non e' sufficiente la condanna netta della violenza, ovunque venga fatta. La violenza puo' essere combattuta esclusivamente con la nonviolenza. Bisogna togliere l'acqua in cui i terroristi prosperano, aumentando la democrazia, dando dignita' a tutti i popoli. La spirale violenza-repressione non puo' che portare ad ulteriori lutti e non risolvera' mai alla radice i problemi che stanno alla base di tanta distruzione e di tanti lutti.

RIFLESSIONE / 6: FLAVIO LOTTI, NICOLA GIANDOMENICO: PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE TRA TUTTI I POPOLI
[Flavio Lotti e padre Nicola Giandomenico sono coordinatori della Tavola della Pace, il network pacifista che promuove la marcia Perugia-Assisi]
Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte sentimento di solidarieta'. Con loro condividiamo un profondo dolore, l'angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero. Nessuna giustificazione puo' coprire un simile atto di terrorismo condotto contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere ferma, netta e unanime, cosi' come deve essere la reazione di tutte le donne e gli uomini amanti della pace. Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro effetti si sono gia' propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a lungo. Facciamo appello al senso di responsabilita' di tutti i capi di Stato e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale. Non solo l'America, ma il mondo intero sta diventando piu' insicuro. Questo e' il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo. Per rendere il mondo piu' sicuro e' necessario promuovere piu' cooperazione internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno puo' piu' pensare di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili. Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sara' per nessuno. All'assunzione di responsabilita' di molte organizzazioni della societa' civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno puo' farcela da solo. Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica "casa comune" di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta. Popoli e governi, societa' civile e istituzioni debbono unirsi nell'indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle grandi violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo. Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno di combattere l'egoismo, il cinismo, l'indifferenza, tutte le forme di razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato della politica e si mettano al servizio del bene comune globale. Il nostro e' un appello alla calma, al senso di responsabilita' e all'impegno per la pace. Il futuro e' nelle nostre mani. E' con questo spirito e questa consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli.
 
 
RIFLESSIONE /  7. ALBINO BIZZOTTO: LA TENEREZZA DEI POPOLI
[Don Albino Bizzotto e' presidente dei "Beati i costruttori di pace" (per contatti: beati@libero.it)] Le immagini che ci arrivano dagli Stati Uniti ci mostrano una violenza spettacolare e cinica oltre ogni immaginazione: civili requisiti e usati come bombe contro altri civili ignari e innocenti, uccisi per obiettivi che non appartengono loro. Una simbologia di morte e di guerra senza confini che lascia tutti sgomenti e angosciati. Anche noi come tutti gli statunitensi, amici o avversari politici, mai avremmo ritenuto possibile un simile colpo al cuore della "superpotenza", nel momento culminante della sua supremazia. Proprio quando stava partendo lo "scudo stellare" per il controllo e l'egemonia incontrastata del pianeta e dello spazio si apre questo squarcio, che mostra, con una evidenza abbagliante, come il ricorso alla forza non serve ne' come difesa ne' come deterrente. Sono cambiati con questo atto il concetto e la natura stessa della guerra; ne' le navi da guerra ne' alcuno scudo stellare avrebbero potuto proteggere le migliaia di persone uccise a New York e a Washington. Le armi rendono allo stesso tempo potenti e vulnerabili. Ci chiediamo come puo' essere veramente significativa l'espressione della nostra solidarieta' a tutte le vittime e ai loro familiari. Vorremmo che tutto il popolo statunitense potesse capire e soprattutto sperimentare in questo momento di smarrimento e sofferenza quanto e' importante la solidarieta' e la tenerezza degli altri popoli. E vorremmo che i suoi governanti e responsabili politici avessero la saggezza di comprendere che non l'egemonia costruita sulla forza economica e sulle armi, ma la collaborazione con tutti alla pari e' la grande risorsa politica per garantire la sicurezza mondiale e per rispondere alle urgenze dell'umanita' e del pianeta. Ogni risposta di ritorsione armata contro nemici trasversali difficilmente localizzabili e identificabili, senza una ricerca seria e il perseguimento dei responsabili, in questo momento potrebbe innescare una spirale di reazione a catena di violenze che possono portare a una guerra generalizzata. Il segretario generale della Nato ha ricordato che, secondo gli accordi del Patto Atlantico, i diciotto alleati sono tenuti ad accorrere in difesa dell'alleato aggredito. Chiediamo all'Italia e agli altri membri della Nato di garantire ogni difesa da attacchi esecrabili come questo, ma di predisporsi con calma e riflessione alla ricerca delle modalita' politiche per non cedere alla tentazione della risposta militare. La sofferenza per le vittime statunitensi deve aiutarci a riconoscere e tener conto nelle nostre risposte anche di tutte le innumerevoli persone che ogni giorno, in forma silenziosa e anonima, in tutto il mondo vengono sacrificate innocenti dalla violenza diretta e da quella strutturale. Nel '45 l'umanita' di fronte alla devastazione della guerra ha creato l'Onu, oggi di fronte a questa disgregazione mondiale l'umanita' puo' riscoprire la necessita' della nonviolenza, scelta come alternativa politica non solo per le singole persone, ma anche per gli Stati e per tutte le istituzioni internazionali.
 
 
RIFLESSIONE / 8. FRANCESCO COMINA: E' TERRIBILE...
[Francesco Comina e' impegnato in Pax Christi, questo suo commento e' stato pubblicato sul giornale "L'Adige" di Trento] Adesso tutti ci chiediamo che cosa potra' ancora accadere. Ora che il braccio dell'apocalisse e' penetrato nel santuario del mondo occidentale dove nessun potere umano aveva mai osato entrare in questo modo, con questa forza e con questa barbarie distruttiva, nessuna ragione davvero umana sembra poter salvare il mondo cosi' com'e'. Ma la cosa peggiore e' che nessuna ragione umana sa descrivere il mondo cosi' come sara'. Il vento terribile di Hiroshima oggi torna ad invadere le citta' con i suoi abitanti che dormono, che faticano o che si baciano per amore. Il fungo sale con la polvere della distruzione sopra cumuli di rovine e di morti. La citta' giapponese ne ha inghiottiti 100.000 in un solo colpo (ma c'era la guerra e gli Usa l'hanno fatta finire con la bomba atomica), New York, invece, ne cerca oltre 20.000 nel giardino di una pace, che sembrava destinata ad unificare il mondo. L'Onu aveva appena annunciato che i primi dieci anni del Terzo Millennio sarebbero stati segnati da un vocabolario nuovo, quello della giustizia e della riconciliazione fra i popoli, e invece e' l'incubo della fine a proiettare le nuove generazioni sul baratro della condizione precaria dell'esistenza. "The Day After", il film che ha cercato di leggere la fine del mondo con gli occhi di una telecamera piazzata sulle rovine del disastro nucleare, e' stato vissuto da noi tutti attraverso l'obiettivo di telecamere vere piazzate sulle alte torri centrate dagli aerei della Morte e brancolanti nelle strade buie e polverose della catastrofe in diretta. La polvere bianca del film si e' sparsa ai piedi della superpotenza americana. E' terribile. L'uomo non ha saputo sfruttare la sua ragione per organizzare una civilta' equa, armoniosa, libera dalle frenesie del dominio etnico, culturale, religioso, politico. La pace e' stata messa in un cantuccio, considerata come un oggetto romantico e sentimentale, buono per addolcire certe conclusioni di film d'avventura. Non e' stata messa al centro, ne' delle chiese, ne' delle istituzioni politiche, ne' delle fedi, ne' delle culture, ne' delle pedagogie, ne' delle letterature. Abbiamo privilegiato il braccio di ferro, la contesa continua, la volonta' di potenza. Ci hanno pensato i profeti a dire che lungo i sentieri di questa umanita' c'e' solo la foresta della violenza a scatenare gli istinti macabri dell'odio. E cosi' abbiamo creato i mostri che arrivano dall'aria, dall'acqua, dalla terra per far sparire le citta', queste culle dell'umanita': Auschwitz, Hiroshima, Saigon, Beirut, Gerusalemme, Belfast, Bagdad, Sarajevo, Belgrado... Le citta' dei civili sono attaccate e affondate. Uomini, donne e bambini non possono vivere perche' il braccio dell'Apocalisse annienta le loro dimora. E' terribile. Ma nessuno sa cosa accadra' domani. I sondaggi dicono che il 90% degli americani vuole una ritorsione in grande stile contro i terroristi che hanno osato invadere il cuore del mondo, ma anche contro i Paesi che li ospitano e questo anche a costo di provocare una guerra mondiale. Gandhi e' morto e sepolto. Il satyagraha, l'energia della verita' che egli vedeva realizzata nella sofferenza che si oppone alla violenza, non dice nulla all'uomo del terzo millennio. Ma e' morto anche il diritto scaturito dalla seconda guerra mondiale. La Nato al posto dell'Onu, le armi al posto delle trattative, la paura al posto della serenita'... La soluzione non sta nella ricerca della pace giusta, ma nell'affermazione della forza piu' grande, che si contrappone alla forza provocante. Questo gioco all'azzardo brucia tutte le candele, perche' non c'e' forza piu' grande di quella che oggi si agita nelle viscere delle potenze mondiali: i missili "in-umani" di oggi sfidano Dio e la creazione. L'esito ultimo altro non e' che l'Anticreazione. Ecco la follia del nostro tempo: credere di poter risolvere le controversie internazionali con la forza, con la violenza, con il braccio di ferro teso alla provocazione dell'Apocalisse. E' come segare il ramo dell'albero a cui siamo appesi. Il mondo e' ingiusto, profondamente squilibrato, terribilmente diviso e lacerato; c'e' un nord ricco, che sfrutta la maggior parte delle energie del sud povero; ci sono bambini ingrassati dalla noia e dall'effimero, mentre altri hanno la pancia gonfia per l'inedia e muoiono a migliaia e migliaia ogni giorno; ci sono religioni che fanno a gara per rubarsi i fedeli e uomini di fede che tentano con ogni sforzo di abbracciarsi sotto l'unico Dio plurale dei popoli. Eppure, anziche' capire la complessita' del mondo e cercare di tracciare strade di convergenza possibili, si preferisce rompere, uccidere, guardare gli inermi con gli occhi iniettati di sangue. E' terribile. Eppure non sappiamo cosa accadra' nei prossimi giorni: quale vendetta, quale ritorsione, quale azione americana potra' mai risarcire un tributo di sangue cosi' immenso? La via ci sarebbe, ma e' una via inammissibile dalla nostra civilta'. L'aveva fatta sua Gandhi, attingendola dalla spiritualita' dell'oriente. La via e' semplice e impossibile: "Se tu fai questo io ti uccido", hanno da sempre sentenziato le civilta' dell'occidente. "Se tu fai questo, sono io che muoio", hanno proclamato gli spiriti liberi e nonviolenti dell'oriente. E' la via che Bush non seguira' mai. L'odio dev'essere combattuto con altro odio, con altri attacchi, con altre citta' distrutte. Questo sembra essere il dato premonitore di cio' che ci attendera'. Speriamo che non sia cosi' e che la ragione faccia luce sui colpevoli di tali terribili attentati, ma preservi il mondo dal rischio di una nuova guerra totale. Se prevarra' la saggezza l'occidente (Abendsland) non sara' ancora tramontato. E' terribile...
 
 
RIFLESSIONE /  9. DINO FRISULLO: DALLA PARTE DI TUTTE LE VITTIME
[Dino Frisullo e' impegnato in molte iniziative di pace, di solidarieta', contro il razzismo] A partire dalla guerra di Spagna, con il tremendo passaggio di Hiroshima e Nagasaki, le guerre moderne si combattono a colpi di massacri di civili, distruggendo infrastrutture civili. Dunque questo e' un atto di guerra in senso pieno. Noi siamo contro la guerra in generale, la guerra alle citta' in particolare. Questo atto riempie di orrore, non meno e non piu' dei bombardamenti sul Vietnam, su Baghdad, su Belgrado. Non di meno, e non di piu'. Credo che nessuno debba e possa gioire del colpo al cuore della prima potenza mondiale. Credo che nessuno, ai tempi della piu' tremenda guerra partigiana, potesse gioire di Dresda o Hiroshima rase al suolo. La logica amico-nemico non ci appartiene. Chi ha organizzato questo attacco deve disporre di soldi, mezzi, organizzazione e di una buona dose di fanatismo. Tutte doti che non mancano ad ogni macchina di guerra che si rispetti. E' possibile che si tratti di una macchina statuale, ed e' probabile che gli Usa si attaccheranno a questa ipotesi per dare risposte distruttive allo "stato-canaglia" di turno (l'espressione e' di Bush). E' l'ipotesi piu' facile, e' la scelta piu' comoda. Quale citta' colpiranno per prima? Su quale parte del Sud del mondo si avventeranno i bombardieri? L'altra ipotesi e' piu' dura. Gli stati da tempo non hanno piu' il monopolio della forza, ed ora neppure della guerra. Un'organizzazione non statuale, ma dotata di cospicui mezzi, puo' scatenare un'offensiva di questo tipo. E come ogni parte in guerra, puo' avere le sue motivazioni. Le sue "ragioni". Gli Usa hanno sparso o fatto spargere fiumi di sangue e di dolore in mezzo mondo, in questo sessantennio di pace armata. E' l'unica potenza al mondo che non abbia mai vissuto una guerra sul proprio suolo. Non c'e' bisogno di ricorrere al cliche' dell'integrismo: per mezzo mondo gli Usa sono il "Grande Satana" anche senza bisogno di sovrastrutture religiose. Un colosso inattaccabile. Fino a ieri. Questo equivale a giustificare? No. A cercare di capire. Non ci appartiene il terrorismo, ne' quando e' agito da organizzazioni ne' quando e' terrorismo di stato. L'attacco agli Usa non e' un attacco a "noi", nel senso diffuso in queste ore a piene mani, di attacco al "mondo libero" (?!), alla democrazia etc. Non c'e' nulla in comune fra "noi" e gli strateghi del Pentagono. E' un attacco a noi in ben altro senso: c'e' molto in comune fra "noi" e i civili che fuggivano disperati fra nuvole di polvere sul suolo insanguinato. Il loro terrore era lo stesso dei vietnamiti, degli jugoslavi, degli irakeni. Degli abitanti di San Lorenzo a Roma, mezzo secolo fa. E' un attacco a noi anche perche' si cerchera' di schiacciarci nella logica della guerra. Con gli Usa, o contro la civilta'. E macchine repressive ancora piu' militarizzate schiacceranno chi dissente, individui, collettivi o popoli. Come in tempo di guerra, appunto. Lo sgomento che viviamo non e' diverso da quello vissuto dieci anni fa, davanti allo spettacolo dei traccianti sui cieli di Baghdad. E' lo sgomento dell'impotenza, dell'espropriazione, di fronte alla morte che viene dall'alto. Siamo contro tutte le guerre. Anche contro questa guerra. Siamo per un altro mondo, in cui nessuno possa decidere della vita o della morte altrui schiacciando un pulsante, che si tratti del telecomando di una bomba o del comando di lancio di un jet. In cui nessuno debba guardare al cielo con paura, che si tratti del cielo di New York o di Gaza. Ma proprio per questo, siamo e restiamo fermamente contro la Nato e il suo riarmo nucleare, siamo e restiamo contro tutti i signori della guerra, in divisa e non. Siamo e restiamo contro i gendarmi dello sfruttamento, a partire dalla macchina militare Usa, e contro quel comando unico che scatena e innesca, anche contro se stesso, logiche di guerra. Siamo per un altro ordine, che s'imponga dal basso. Siamo dalla parte delle vittime. Quelle di oggi, e quelle di ieri. Tutte.
 
 
RIFLESSIONE / 10. RAWA: LA GENTE DELL'AFGHANISTAN NON HA NULLA A CHE VEDERE CON OSAMA E I SUOI COMPLICI 
Dichiarazione della RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan www.rawa.org ) sugli attacchi terroristici negli USA.
L’11 settembre 2001 il mondo intero è stato sconvolto dall’orrendo attacco terroristico agli Stati Uniti. RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) è d’accordo con il resto del mondo nell’esprimere il suo dispiacere e la sua condanna di questi atti barbarici di violenza e di terrore. RAWA aveva già avvertito gli USA che non avrebbero dovuto sostenere il partito fondamentalista islamico più perfido, più criminale, più antidemocratico e antifemminista, poichè sia gli Jehadi sia i Talebani dopo aver commesso ogni tipo di crimine contro la nostra gente, non avrebbero avuto vergogna di commettere un tale crimine anche contro il popolo americano, che loro considerano “infedele”. Pur di vincere e di mantenere il loro potere, questi barbari criminali sono pronti  a ricorrere a qualunque mezzo. Ma sfortunatamente dobbiamo dire che è stato il governo degli Stati Uniti a sostenere il dittatore pakistano Gen. Zia-ul Haq nel creare migliaia di scuole religiose dalle quali è emerso il germe dei Talebani. Allo stesso modo, come è chiaro a tutti, Osama Bin Laden è stato il “ragazzo prediletto” della CIA. Ma ciò che è più penoso è che i politici americani non hanno tratto alcun insegnamento dalle loro politiche pro-fondamentaliste nella nostra terra e stanno tuttora supportando questa o quella banda o leader fondamentalista. Secondo noi ogni tipo di supporto ai fondamentalisti Talebani e Jehadi è attualmente un intralcio alla democrazia, ai diritti delle donne e ai diritti e valori umani in generale. Se è stabilito che i sospettati degli attacchi terroristici sono al di fuori degli Stati Uniti, la nostra rivendicazione costante che i terroristi fondamentalisti distruggerebbero i loro creatori è provata ancora una volta. Il governo degli Stati Uniti dovrebbe considerare ciò che sta alla radice di questo terribile evento, che non è stato il primo e non sarà nemmeno l’ultimo. Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di finanziare i terroristi afghani e i loro sostenitori una volta per tutte. Adesso che i Talebani e Osama sono i primi sospettati secondo le notizie degli USA dopo gli attacchi criminali, sottoporranno l’Afghanistan a un attacco militare simile a quello del 1998 e uccideranno migliaia di afghani innocenti per il crimine commesso dai Talebani e Osama? Pensano gli Stati Uniti che attraverso un tale attacco, con migliaia di persone innocenti, povere e già provate come sue vittime, saranno in grado di sconfiggere ciò che sta alla radice del terrorismo, o che questo non farà che diffonderlo su più larga scala? Dal nostro punto di vista, un vasto e indiscriminato attacco militare ad un paese che ha dovuto fronteggiare permanenti disastri per più di due decenni non sarà motivo di orgoglio. Non pensiamo che un tale attacco sarebbe l’espressione del desiderio del popolo americano. Il popolo e il governo americano dovrebbero sapere che c’è una gran differenza fra la povera e devastata gente dell’Afghanistan e i terroristi Jehadi e Talebani. Mentre ancora una volta annunciamo la nostra solidarietà e il profondo dispiacere alla gente degli Stati Uniti, crediamo anche che attaccare l’Afghanistan e uccidere la sua gente già rovinata e indigente non farebbe in ogni caso diminuire il dolore del popolo americano. Speriamo sinceramente che il grande popolo americano possa DISTINGUERE fra la gente dell’Afghanistan e una manciata di terroristi fondamentalisti e criminali. I nostri cuori sono con il popolo americano. Abbasso il terrorismo! (ringraziamo Silvia Torneri per la segnalazione e traduzione dall'inglese)
 

RIFLESSIONE / 11. MAO VALPIANA: DOPO GLI ATTENTATI IN USA NE' VENDETTA, NE' PERDONO: GIUSTIZIA E PACE SONO LE CATEGORIE DELLA POLITICA
Di Mao Valpiana (Movimento Nonviolento - Verona)
Dopo il dolore, il silenzio, il lutto, è il momento della riflessione. Non si è ancora data sepoltura alle vittime innocenti, e già si sente parlare di ritorsione militare. Il nemico è stato individuato in Osama Bin Laden (che a suo tempo fu un pupillo della CIA), e lo stato-canaglia questa volta è l'Afghanistan (i cui guerriglieri furono sostenuti e finanziati dall'America in chiave antisovietica). Si richiamano i riservisti, si scaldano i motori dei caccia bombardieri, si muove la flotta e si preannuncia che la guerra sarà lunga ma vittoriosa. Si rispolvera il vecchio armamentario ideologico della lotta del Bene contro il Male. Pochi vogliono concedersi il lusso di pensare, di porsi qualche domanda, di guardarsi allo specchio. Tutti gli appelli sono solo per la vendetta. Il buonismo del perdono ora non serve a nulla. La sfida che ci aspetta è veramente dura. Di fronte al terrorismo, anche il più efferato, secondo la civiltà giuridica uno Stato di diritto ha una sola strada: individuare i colpevoli, i mandanti, gli organizzatori, arrestarli e processarli. Se si tratta di terrorismo internazionale, ci sono i tribunali per i crimini contro l'umanità; se è uno Stato ad essersi macchiato di tali delitti, deve intervenire l'ONU, con la sua autorità e le sue truppe. Questo è  il compito della giustizia. Se si esce da questo tracciato, si entra nell'arbitrio, nella giustizia "fai da te", che è lo stesso parametro usato dai terroristi. La politica, invece, deve interrogarsi sulle cause, sui moventi, sugli scopi, sugli obiettivi del terrorismo. Deve estirpare il seme dell'odio, impedire che germogli e fruttifichi. Per chi vuole usare la testa (e il cuore) prima che le mani (e le armi) le domande sono chiare. Se l'occidente non vuole rimettersi a fare le crociate deve chiedersi se quanto sta accadendo nel mondo non sia forse il frutto di cinquecento anni di colonialismo e oltre duemila anni di dominio culturale, dai tempi dell'Impero Romano. Il colonialismo europeo in Africa, Asia e America Latina; la spartizione del mondo a Yalta fra Usa e Urss; la creazione dello Stato di Israele; il dominio del dollaro; l'appoggio della politica militare americana a governi corrotti; i colpi di stato finanziati e organizzati dalla Cia; la crescita della Nato a scapito dell'Onu; i bombardamenti su Bagdad e su Belgrado; gli embarghi per Cuba e Iraq; il ruolo americano in Somalia e Turchia; il dramma dei kurdi; i palestinesi abbandonati a se stessi.. Decenni di supremazia militare, hanno trasformato il mondo in una polveriera. Non si tratta ora  di criticare cultura e politica americana, ma la cultura e la politica di cui si sono alimentati i paesi del mondo ricco e potente. Questa cultura (guadagnare e investire denaro, produrre e consumare sempre di più) e questa politica (prepararsi alla guerra per difendere i propri interessi) non solo costituiscono il programma di ogni governo, ma sono sostenute e alimentate dai governati, che sono gli artefici e i costruttori quotidiani di questa società. Ognuno dovrebbe quindi criticare la propria cultura e la propria politica. Aiutare l'Amercia a cambiare, è un gesto di profonda amicizia con il popolo americano.
Fargli capire la fragilità della loro società: sono bastati dei coltelli da supermercato per colpire al cuore la superpotenza nucleare. Anche qui emerge chiara una domanda: le ingenti spese per la difesa militare, sottratte alla sanità, all'istruzione, alla cooperazione, a cosa sono servite? Forse difesa militare e sicurezza non sono la stessa cosa. Sono passati ottocento anni dalla Crociate,  e il rapporto fra Occidente e paesi Arabi non ha fatto grandi progressi. Forse bisogna ripensare e seguire l'esempio del più illuminato fra gli uomini europei dell'epoca, Francesco d'Assisi, che andò alle crociate a mani nude, per incontrare e parlare col Saladino. Sta tutta qui l'indicazione di come si deve ripensare la politica: è solo il dialogo, lo scambio, la conoscenza reciproca che può offrire una via d'uscita ad una situazione troppo intricata. Bisognerebbe far studiare l'arabo nelle american school, e far studiare l'inglese nelle scuole coraniche. Portare in medioriente i testi di Kant e Cartesio e noi imparare la filosofia islamica. L'antidoto alla guerra di religione sta nel contaminarsi reciprocamente. Per questo dobbiamo trovare alleanze con i settori moderati, democratici, realmente religiosi della società islamica. La repressione e la lotta muro contro muro significa solamente regalare interi paesi al fondamentalismo.  "O nonviolenza, o non esistenza" diceva Martin Luther King, il più grande leader nonviolento degli Stati Uniti. La nonviolenza impone oggi un profondo esame di coscienza a tutto l'occidente. Questo mondo, così com'è, ci porta dritti all'autodistruzione. E' un mondo basato sulla violenza strutturale, che ha scelto un tipo di sviluppo insostenibile: un quarto degli uomini con la pancia e gli arsenali pieni, tre quarti che desidererebbero partecipare al banchetto, ma ne vengono esclusi. Un mondo lanciato verso il progresso materiale, impaurito di perdere i privilegi raggiunti; un livello di sviluppo energivoro, ecologicamente impossibile per l'intero pianeta, di cui gode solo il 20% dell'umanità. Un mondo regolato da una logica economica i cui rapporti di forza sono basati sulla potenza militare, è un mondo ricco di denaro, ma povero di futuro. E' indispensabile una conversione ecologica ed economica: un'economia nonviolenta, per questo, deve trovare interlocutori anche nei paesi extra G8, nel bacino del Mediterraneo, nei paesi dell'est, nel mondo islamico: lavorare insieme per un nuovo modello di sviluppo, per una società sostenibile.  Certo,  è difficile invertire la rotta, ma è la sola scelta che abbiamo. La nonviolenza è la più grande arma di cui disponga l'umanità: ce l'ha insegnato Gandhi.
 
 
RIFLESSIONE / 12. PAX CHRISTI

Il Consiglio Nazionale di Pax Christi riunito a Firenze ha inteso proporre una riflessione sui tragici atti terroristici che hanno colpito gli Stati Uniti d’America e rivolgere un appello.

Orrore, immensa tristezza e grande dolore. Davanti al massacro dei giorni scorsi in alcune città degli Stati Uniti, il nostro primo pensiero va alle vittime del terrorismo. Per loro eleviamo una preghiera al Signore della vita e nello stesso tempo esprimiamo la nostra solidarietà e la nostra commossa partecipazione alle loro famiglie, agli amici, ai conoscenti, al popolo e alle istituzioni degli USA. Tuttavia la nostra preoccupazione è forte anche per quanto può accadere nei prossimi giorni. Vogliamo che sia la Parola di Dio a illuminare le nostre riflessioni e a farci leggere in questa luce di vita la storia che viviamo. Ci è venuto subito alla mente il brano del Vangelo di Luca in cui Gesù ricorda le persone schiacciate sotto la torre di Siloe "se non vi convertirete, finirete tutti allo stesso modo" (Luca 13, 5). Questa tragedia chiede a tutti, a noi per primi, di convertire la nostra vita, di rileggere – per chi è credente – la Parola perché da essa possiamo trarre la forza della speranza e non lasciarci travolgere, come invece ci sembra stia accadendo, da un’onda di odio pericolosa e distruttiva. E’ un cammino faticoso. E ci rendiamo conto che non è facile parlare di pace e di nonviolenza quando si è immersi in un ‘clima di guerra’. Noi per primi vogliamo impegnarci a scelte autentiche e coerenti di pace, di giustizia e di nonviolenza; anche se avvertiamo il rischio di essere indicati come disfattisti o amici del nemico perché non soffiamo sul fuoco della "giusta ritorsione o della vendetta". E’ ancora la parola di Dio a illuminarci "mettiamo a morte quest’uomo – dicono contro il profeta Geremia – perché scoraggia i guerrieri e tutto il popolo, quest’uomo non cerca il benessere del popolo ma il male." (Geremia 38, 4). Come credenti avvertiamo forte l’imperativo di non sottrarci all’annuncio della pace e come parte della società civile e dell’umanità ferita da questo attacco sanguinoso cogliamo l’esigenza di rivolgerci ad alcuni importanti attori di queste ore drammatiche: Alla comunità internazionale chiediamo di attivare tutti gli strumenti che la civiltà giuridica ha posto nelle mani dei governanti e delle istituzioni internazionali perché i responsabili del massacro siano individuati e perseguiti senza cedere alla logica perversa della vendetta, senza ricorrere ad alcuna forma di ritorsione, senza causare altro inutile spargimento di sangue. Aggiungere morte a morte, sofferenza a sofferenza, odio ad odio... non solo non risolve nulla, ma contribuisce ad alimentare la spirale della violenza che prepara sempre nuovi e più gravi atti di terrore. Siamo convinti che solo se si compiono scelte efficaci per stabilire nuove regole nella direzione di un’economia di giustizia sarà possibile arginare gli atti terroristici che con ogni probabilità trovano terreno fertile nella "collera dei poveri". 34 anni fa Paolo VI con parole profetiche ci ricordava che: " (I paesi ricchi) ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili" (Lettera Enciclica Populorum Progressio, 49). Al Parlamento italiano ci sentiamo di raccomandare di vegliare sui valori della democrazia che hanno ispirato la Carta Costituzionale. In nessun caso i nostri governanti e le forze armate dovranno cooperare a reazioni indiscriminate e violente contro le popolazioni civili dei Paesi i cui governanti dovessero essere individuati come complici del terrorismo internazionale. Al contrario si rafforzi ogni passo verso il dialogo, la fiducia e la cooperazione internazionale. Allo stesso modo venga garantita l’accoglienza dignitosa agli stranieri che scelgono l’Italia come approdo della speranza per sé e per le proprie famiglie. Alle donne e agli uomini arabi e di religione islamica desideriamo esprimere la nostra più sentita solidarietà per i gesti e le parole di persecuzione o di rancore che vengono loro indirizzati in questi giorni. Ogni generalizzazione risulta sempre ingiusta e incivile. Noi vogliamo rendere omaggio alla nobile tradizione islamica e continuare a costruire percorsi di pace con quanti ritengono che nessun credo autenticamente religioso può giustificare la violenza. Nel contempo chiediamo loro di non tralasciare alcuno sforzo per diffondere e radicare nelle loro comunità la cultura e la prassi del rispetto di ogni diversità e l’assunzione senza riserve della Dichiarazione universale dei diritti umani. Alla Chiesa cattolica che è in Italia chiediamo di compiere ogni sforzo affinché si diffonda nella pastorale e nella prassi ordinaria delle chiese locali la cultura dell’accoglienza, del rispetto e per uno sviluppo giusto e sostenibile, ma soprattutto della nonviolenza. Certamente non edifica cogliere sulle labbra dei credenti nel Cristo crocifisso e risorto espressioni tendenti alla vendetta piuttosto che al perdono, atteggiamenti inclini più all’odio che alla riconciliazione. Ai pastori chiediamo di ribadire in questo momento cruciale e difficile ciò che hanno voluto insegnare nel Catechismo degli Adulti: "E’ la guerra, ‘il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti’ (Giovanni Paolo II) (...). Si dovrebbe togliere ai singoli Stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie" (1037). (Il Consiglio Nazionale di Pax Christi)

DOPO L'ATTACCO, L'IRRUZIONE DELL'ODIO
di FREI BETTO (Sociologo e scrittore brasiliano - Alai - il manifesto)

Il XXI secolo e il terzo millennio sono cominciati martedì 11 settembre. Quel che è accaduto negli Stati uniti ha superato tutte le previsioni (dove sta lo scudo anti-missile di Bush?) e ogni immaginazione degli sceneggiatori di Hollywood. Nessuno mai avrebbe potuto pensare che dei terroristi avrebbero sequestrato degli aerei delle linee interne americane e li avrebbero scagliati contro edifici che simboleggiano l'impero yankee. Una volta di più, la realtà ha oltrepassato la finzione.
L'azione terrorista è esecrabile, anche quando sia praticata dalla sinistra, dal momento che qualsiasi terrorismo va a vantaggio solo di una parte: l'estrema destra. Però nessuno nella vita raccoglie quel che non ha seminato. Questo vale per la vita personale e sociale. Se gli Stati uniti sono oggi attaccati in modo così violento e ingiusto è perché, in qualche misura, umiliano popoli ed etnie. Sono anni che gli Stati uniti abusano del loro potere, come nel caso dell'occupazione di Porto Rico, della base navale di Guantanamo piantata a Cuba, del blocco dell'Iraq, della partecipazione nelle guerre dell'Europa centrale, delle omissioni di fronte ai conflitti africani. Da tempo gli Stati uniti avrebbero dovuto indurre gli arabi e gli israeliani a raggiungere un accordo di pace. Tutto ciò è stato ritardato in nome dell'egemonia dello zio Sam sul pianeta. All'improvviso, l'odio ha fatto irruzione in forma brutale, mostrato anche dal nemico attuale, al di fuori di ogni etica, con l'unica differenza di non disporre di fori internazionali per legittimare le sue azioni criminali.
Chi conosce la storia dell'America latina sa molto bene come gli Stati uniti, negli ultimi 200 anni, hanno interferito direttamente sulla sovranità dei nostri paesi, disseminando il terrore. Maurice Bishop fu assassinato dai baschi verdi a Granada; i sandinisti sono stati rovesciati dal terrorismo scatenato da Reagan; i cubani continuano o subire il blocco americano dal '61, senza il diritto ad avere rapporti normali con gli altri paesi del mondo. Dittature furono instaurate in Brasile, Cile, Uruguay e Bolivia con il patrocinio della Cia e sotto l'orientamento di Henry Kissinger. Violenza chiama violenza, diceva monsignor Helder Camara. Il terrorismo non porta a niente: indurisce la destra e sopprime la democrazia, rafforzando nei potenti la convinzione che il popolo è incapace di governarsi da sé. Non si possono sacrificare vittime innocenti per soddisfare la sete di potere dei governi imperiali e dei conflitti di coloro che si considerano padroni del mondo e pretendono di ripartire il pianeta come se fossero fette di una torta appetitosa. Gli attentati dell'11 settembre dimostrano che non c'è scienza e tecnologia capace di proteggere persone o nazioni. Inutile che gli Usa abbiano speso 400 miliardi di dollari quest'anno per la difesa. Sarebbe stato meglio che questa fortuna fosse stata destinata alla pace mondiale, che solo arriverà il giorno in cui sarà figlia della giustizia.

YASSER ARAFAT: APPELLO PER LA PACE
[Yasser Arafat, come e' a tutti noto, e' presidente dell'Autorita' Nazionale Palestinese] Ancora una volta desidero esprimere le mie sentite condoglianze al popolo, al governo e al presidente degli Stati Uniti d'America. Violenza genera violenza e maggior violenza portera' a maggior violenza contraria. Il risultato sara' altri palestinesi e israeliani uccisi. Soprattutto condanno e disapprovo fortemente tutte le attivita' militari e paramilitari contro i civili, messe in atto da soldati israeliani, da palestinesi o israeliani. Inoltre credo che gli atti terroristici contro civili danneggino largamente il processo di pace e ogni possibile accordo. I palestinesi vogliono la pace con gli israeliani. Non vogliono guerra. I palestinesi riconoscono il diritto di Israele a vivere dentro confini sicuri e definiti. Questo e' quanto il Consiglio Nationale Palestinese ha deciso nella sessione del 1988 in Algeria, e su questa base noi iniziammo i colloqui ufficiali con l'America. Continuiamo ad essere pienamente impegnati con questa risoluzione. La scelta strategica palestinese e' di stabilire la pace tra noi e gli israeliani, con un giusto, completo e duraturo accordo di pace firmato tra gli Stati di Palestina e Israele. Noi, palestinesi e israeliani, dobbiamo lavorare insieme per interrompere il ciclo della violenza. Dobbiamo farlo insieme, dobbiamo sederci e negoziare la pace, dobbiamo migliorare la vita di israeliani e palestinesi e muoverci verso una pace e una cooperazione giuste e durevoli. Questa mattina io ho reiterato i miei ordini a tutti i comandanti della sicurezza nazionale per attivarsi immediatamente per assicurare il cessate il fuoco su tutti i fronti, in ogni citta' e villaggio. Ho anche dato istruzioni perche' esercitino il massimo di autocontrollo di fronte ad attacchi e aggressioni israeliane. Voglio annunciare che ho informato gli Stati Uniti che le nostre capacita' sono a loro disposizione insieme alla volonta' di essere parte dell'alleanza internazionale per porre fine al terrorismo contro civili disarmati e innocenti. Il nostro obiettivo e' assicurare un mondo dove sicurezza, pace e giustizia prevalgano. Io faro' tutto cio' che e' necessario per realizzare questo obiettivo.
 
Lettera di una professoressa
 
11 SETTEMBRE 2001- mattina
E' una bella mattina, dorata di sole. Meno male. I ragazzi potranno fare il bagno al lago e divertirsi. Ilaria, Alessandro e Giulia sono miei ex allievi delle medie, hanno 15 anni. Hanno preso l'abitudine di venirmi a trovare durante le vacanze e fermarsi qualche giorno a casa mia. Mi chiamano Profe, e ci vogliamo bene. Loro stimano me e io ho fiducia in loro. Mi dà gioia continuare a partecipare alla loro crescita. Si alzano tardi, sono allegri, facciamo colazione insieme, chiacchieriamo di padri madri amori religione politica... tante cose da dirci, nessun silenzio . Le ore passano piacevolmente veloci. Nel primo pomeriggio li accompagno in spiaggia e io vado al Consiglio di Classe, il primo dell'anno. Ancora con le loro risate dentro, mi siedo accanto ai miei colleghi. C'è silenzio. Fatichiamo a parlarci, ci sorridiamo ma senza calore. Parlo e non mi faccio capire. Parlano e non li capisco. Una pena che si trascina per un'ora e mezza. Me ne vado senza sorridere e torno dai ragazzi. In lontananza sento già le loro risate. Vedo le teste di Ilaria e Giulia spuntare dall'acqua. Ale è sul pontile. Lo raggiungo, mi comunica che quelle due pazze si sono tuffate in acqua vestite. Perchè? Così, per fare qualcosa di pazzo. Eccole che riemergono grondanti d'acqua, eccitatissime di aver assaporato una piccola esperienza di libertà. Si liberano degli indumenti bagnati e si avvolgono negli asciugamani. Profe, che bello! Peccato che domani si torna a casa. Non pensateci, c'è ancora una sera da riempire con una bella cena, cucineremo insieme così vedremo cosa impara Ilaria all'alberghiero.... Ci sdraiamo al sole. Accanto a loro mi rassereno.
Sulla via del ritorno, incontriamo il carrettino dei gelati. Profe, vuole un gelato? Glielo offriamo noi. Ma sì dai, piccolo però.Siamo lì davanti al carrerttino, ma il gelataio non ci bada. Impegnato in una conversazione al telefonino, sembra non vederci. Cominciamo a spazientirci e finalmente ci attende. Farfuglia qualcosa di strano. Scusate, ma hanno distrutto le torri a New York..... un attentato....migliaia di morti......
Ma cosa sta dicendo? Le torri, Manhattan,aerei bomba.... Ci guardiamo...io e i ragazzi ascoltiamo ma non afferriamo bene, il gelato è così buono,siamo così sereni...La notizia ci passa sopra e noi continuiamo a ridere di sciocchezze. Sulla strada mi sfreccia davanti Marianna in bici, ci ritroveremo a scuola tra pochi giorni. Fa una rapida giravolta e mi viene vicino. Ciao profe, come sta? Ha sentito cosa è successo? E questa volta non possiamo più scappare. Marianna racconta e l'orrore si fa strada nei nostri cuori. Ascolto e non posso crederci. E' troppo mostruosamente semplice per poterci credere. Ammutoliti, torniamo a casa.
Mia figlia  è incollata davanti al televisore. Piange, è spaventata. Mi dice che lei quelle torri le ha viste, le ha fotografate, che lì vicino abita il nostro amico Roberto con la sua famiglia.....Siamo tutti e cinque davanti alla TV, muti. Le due torri cadono, cadono, cadono, mille volte... E' Ale a rompere il silenzio: Profe , PERCHE'?  Mi guarda con quei suoi occhi scuri, improvvisamente seri; anche Giulia e Ilaria mi guardano: Profe, PERCHE' ? In questo momento sento con forza quanto grande sia la responsabilità del mio lavoro. Provo un dolore sordo e un senso di smarrimento. Queste tre paia di occhi che con fiducia si attaccano ai miei come a un'ancora, sono così tremendamente difficili da sostenere. Non rispondo, li abbraccio, abbraccio mia figlia. Parole non ne ho, per il momento. Bisogna andarci piano con le parole, lasciare spazio al silenzio, al dolore, all'orrore e stare vicini, stare molto vicini....
 
13 settembre 2001 - Collegio docenti. Come in tutto il mondo, osserviamo il silenzio.Per le vittime. Contro l'orrore.
Poi si ricomincia, a fatica, a parlare, a organizzare l'anno scolastico, a discutere sul piano dell'offerta formativa, sul regolamento disciplinare, la programmazione.... Ci dimentichiamo dell'orrore. Nessuno di noi solleva la questione: cosa diciamo ai ragazzi?
In che modo li sosteniamo, li aiutiamo a capire, li difendiamo dalle emozioni violente, come li orientiamo? Penso a questo
tornando a casa. Abbiamo parlato di tutto , ma non abbiamo dato rilievo a questo orrore che come una valanga si è scaraventato addosso a noi che abbiamo spalle larghe, ma è piombato soprattutto addosso a loro, i nostri allievi, così giovani di vita e esperienza e così carichi di informazioni spietate e indelicate. Ognuno di noi, senza maturare una riflessione collettiva, si comporterà come meglio crede. E che Dio ce la mandi buona. Tra qualche giorno li avrò lì davanti a me. Ventisei paia di occhi e una domanda: Profe PERCHE' ?. Ma loro non aspetteranno la risposta. Loro le risposte le hanno già. Sono quelle della TV, dei genitori, della gente... Me le sbatteranno addosso a raffica, usandomi come banco di prova per costruire le basi del loro pensiero autonomo. Mi diranno con ingenua arroganza chi sono i buoni e chi i cattivi; che i cattivi si devono ammazzare tutti; e che l'America e che l'Europa e che l'Islam e che Israele.... Tutto ciò che è arrivato alle loro orecchie me lo risputeranno fuori, insieme alla loro paura, alla loro fragilità, alla loro innocenza troppe volte violata per leggerezza e superficialità da noi adulti. Come risponderò? Che strategie userò per tentare di ricostruire un po' di fiducia, per dar loro strumenti che li aiutino ad allontanarsi dal fascino della violenza, dalla esaltazione e dal fanatismo? Come si fa a formare " personalità democratiche, con capacità critica,e aperte alla diversità" quando ancora non si riesce a parlare tra colleghi di un Consiglio di classe?
Userò le mie parole per condannare o approvare le loro? Dirò che Mario si esprime come un razzista e che si vergogni, mentre Maria ha un pensiero proprio maturo e prendete tutti esempio da lei..? Sarà questo il mio metodo per sostenere la formazione di
un pensiero democratico? Alzerò dito e voce per dire come stanno VERAMENTE le cose dal punto di vista del sapere ponendomi nella posizione di colei che sa? Oppure troncherò le loro parole guardando l'orologio e " qua si perde tempo in chiacchiere, è ora di lavorare"? Così facevano i miei insegnanti tanto e tanto tempo fa. Penso che in teoria nella scuola non si faccia più così, ma nella pratica, nella mia pratica almeno, la scuola funziona spesso in questo modo. Anche se siamo in molti a sentire la responsabilità del compito che ci è affidato,il cambiamento è lento, molto lento rispetto a ciò che accade attorno a noi. No, non è un mestiere facile il nostro, oggi più che mai.
 
 
Bambini a Kabul
di VAURO

Vidi a Gaza, più di dieci anni fa, bambini che lanciavano pietre contro carri armati. Bambini che morivano, che venivano mutilati da bastoni e pallottole. Bambini privati dell'infanzia. Occhi di bambini che non avevano visto altro che la miseria dei campi profughi, ferite e morte. Oggi chi è sopravvissuto di quei bambini è un adulto che non ha avuto infanzia, che non ha conosciuto altra cultura che quella della violenza.
Ho visto quest'anno a Kabul bambini dilaniati dalle mine: grumi di garza e sangue su brande sudice in lazzaretti. Bambini i cui occhi e i cui orecchi non hanno mai visto un disegno, ascoltato una musica. Bambini che crescono in un panorama di sole macerie e guerra. Bambini che, se sopravviveranno, saranno adulti tra dieci anni.
Altri, cresciuti allo stesso modo, erano bambini dieci anni fa. Bambini intrisi di morte. Da adolescenti o da adulti uno sterminato esercito di portatori di morte. Reclutabile da chiunque dia un valore, una fede, una mistica, alla loro unica e esclusiva esperienza umana, quella della morte.
Kamikaze, fanatici criminali... possiamo sprecare li definizioni. Centri di potere finanziario e politico se ne contendono alternativamente il reclutamento, ma l'esercito sono loro. Sono loro quelli pronti al suicidio assassino, sono loro ai quali abbiamo lasciato come unica identità individuale e collettiva quella della morte.
Il nemico senza volto, capace di una ferocia impensabile ed implacabile, che non capiamo, che ci fa paura, che ci terrorizza, quello che cerchiamo per dichiarargli guerra, una faccia invece ce l'ha. Tante facce, facce di bambino, quelle che ho visto dieci anni fa a Gaza, domani le facce di bambino che ho visto ieri a Kabul. Non vincerà mai questa armata mondiale di sopravvissuti ad infanzie impossibili, ma le sue fila si incrementeranno sempre di altri sopravvissuti ad altre infanzie violentate, ci terrorizzeranno ancora. Nati sconfitti, non combattono per vincere, ma per morire e far morire.
Finché il diritto ad essere e vivere da bambini a Gaza come a Kabul, come Baghdad, come a Roma o a New York, non sarà un diritto universale saremo costretti a vivere una guerra infinita, contro il nostro stesso futuro, contro i bambini.

 
COME OPPORSI ALLA GUERRA, IN SETTE PUNTI E UNA POSTILLA

1. Illimpidendo noi stessi. Interrogandoci sulle nostre ambiguita', sulle nostre complicita', sui nostri privilegi, sulle nostre menzogne, e depurandocene. Da Mohandas Gandhi a Danilo Dolci tutte le grandi lotte nonviolente sono cominciate con il raccoglimento interiore, l'esame e la purificazione di se'.
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2. Col ripudio assoluto della violenza. Che implica separarci nettamente, preliminarmente ed intransigentemente dai violenti e dagli ambigui. Far comunella con loro, o illudersi di poter percorrere insieme con loro un pezzo di strada, significa imboccare la strada sbagliata, e diventare loro complici.
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3. Preparandoci all'azione diretta nonviolenta. Per contrastare la guerra praticamente, operativamente, e non solo simbolicamente, non solo a chiacchiere. L'azione diretta nonviolenta contro la guerra o e' concreta o non e'. Questo richiede una preparazione rigorosa, training di formazione, un'autentica persuasione alla nonviolenza, la profonda introiezione dei suoi valori, lo studio sistematico delle sue tecniche. Ed occorre essere intransigenti nello stabilire che ad una azione diretta nonviolenta contro la guerra possono partecipare solo le persone che hanno fatto la scelta della nonviolenza, e che ad essa intendono attenersi fino in fondo; gli altri, i non persuasi, non possono partecipare poiche' sarebbero di pericolo per se' e per gli altri, e farebbero fallire irrimediabilmente l'azione nonviolenta anche solo con una parola sbagliata.
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4. Preparando la disobbedienza civile di massa. La quale disobbedienza civile e' una cosa seria che richiede serieta' di comportamenti e piena responsabilita', consapevolezza e preparazione. Essa e' quindi il contrario delle iniziative equivoche ed irresponsabili che personaggi stolti e fin inquietanti hanno recentemente preteso di spacciare sotto questa denominazione.
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5. Preparando lo sciopero generale contro la guerra. E giovera' ripeterlo pari pari: preparando lo sciopero generale contro la guerra.
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6. Ripudiando tutte le culture sacrificali. Occorre affermare la dignita', l'unicita' e il valore assoluto di ogni vita, la propria  e l'altrui. Chi pensa che si possa sacrificare anche una sola vita umana, ha gia' sancito in linea di principio la liceita' di ucciderci tutti, ed e' quindi complice della logica degli assassini.
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7. Affermando la nonviolenza in tutte le sue dimensioni, anche come nonmenzogna e come noncollaborazione al male. Mentire e' gia' disprezzare e denegare gli altri esseri umani in cio' che degli esseri umani e' piu' proprio: la facolta' di capire, la ragione. La nonviolenza e' sempre anche nonmenzogna. Chiave di volta della nonviolenza e' la consapevolezza che occorre togliere il consenso ai facitori di male. Occorre esplicitamente noncollaborare con essi. La nonviolenza e' sempre negazione del consenso all'ingiustizia e alla violenza.
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Postilla. Lo scatenamento di una guerra globale come quella che gli abominevoli attentati terroristici dell'11 settembre hanno innescato puo' provocare la fine della civilta' umana. E' bene non dimenticarlo mai. Opposizione alla guerra e salvezza dell'umanita' vengono quindi a coincidere. Ma solo la nonviolenza puo' opporsi coerentemente e concretamente alla guerra. E dunque solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. Un movimento per la pace che non scelga la nonviolenza non e' un movimento per la pace.

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

 
PER UNA CULTURA ANTIMAFIA: L'ESEMPIO DI GIUSEPPE PUGLISI (CON TESTI DI UMBERTO SANTINO, SAVERIO LODATO, LUIGI CIOTTI)
Giuseppe Puglisi, sacerdote cattolico, dal 1990 fu alla guida della parrocchia di san Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, un quartiere dominato dal potere mafioso. Dal 1990 al 1993 un impegno sereno e inflessibile per i diritti e la dignita', per aiutare chi ha bisogno e promuovere la civile convivenza. La sera del 15 settembre 1993, mentre rincasava, con un colpo di pistola alla tempia un killer mafioso lo uccide. Opere su Giuseppe Puglisi: F. Anfossi, Puglisi. Un piccolo prete tra i grandi boss, Edizioni Paoline, Milano 1994; F. Deliziosi, «3 P». Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia, Edizioni Paoline, Milano 1994; Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia. Inchiesta sulle chiese di frontiera, Rizzoli, Milano 1994. Segnaliamo anche i contributi (molto interessanti) pubblicati in "Una citta' per l'uomo", nel fascicolo 4/5 dell'ottobre 1994 e nel fascicolo 1/2 dell'aprile 1995] Tra l'8 e il 10 maggio 1993 il papa visita la Sicilia occidentale: ad Agrigento, dinanzi a centomila fedeli, tiene un forte discorso contro la mafia.
Vi era già stato undici anni prima, nel novembre 1982, dopo le uccisioni di Pio La Torre in aprile e di Carlo Alberto dalla Chiesa in settembre; dopo l' omelia "di Sagunto" del cardinal Pappalardo che divenne quasi una bandiera e un grido di battaglia: ma allora nei discorsi effettivamente pronunciati da Giovanni Paolo II la parola "mafia" non comparve mai; i brani del testo diffuso alla stampa in cui si faceva riferimento alla mafia non vennero letti, ufficialmente per motivi di tempo.
Ma il 9 maggio 1993, sotto il tempio della Concordia nella Valle dei templi di Agrigento, la voce di Wojtyla risuonò alta e forte: "Dio ha detto: non uccidere! L'uomo, qualsiasi agglomerazione umana o la mafia, non può calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Per amore di Dio. Mafiosi convertitevi. Un giorno verrà il giudizio di Dio e dovrete rendere conto delle vostre malefatte".
Don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio, che giorno per giorno contendeva alla mafia quel lembo di terra, quel pezzo di società, le anime (sia consentito a noi laici usare tal termine per intendere: la dignità e i diritti) e le vite  della gente, della sua gente, sì, don Pino Puglisi si sarà sentito confortato ed orgoglioso per le parole del papa. La mafia, invece, non ama le parole, soprattutto non ama quella parola che la designa e l'accusa. Anche la Chiesa, avrà ruminato qualcuno, non era più quella di una volta. Quella di una volta era quella dell'eminenza reverendissima il cardinal Ruffini e della sua lettera pastorale  del 1964 dal titolo Il vero volto della Sicilia. Ma c'era, c'era sempre stata, anche un'altra chiesa: anzi, altre chiese, che per affermare i valori attestati dalla loro religione contro la mafia si erano battute ed avrebbero continuato a farlo, a costo del martirio. E questa altra tradizione ora emergeva e trovava ad un tempo ascolto e voce nelle parole del pontefice cattolico.
Don Pino Puglisi era parroco di san Gaetano, a Brancaccio, dal 1990. Ed aveva fatto la sua scelta. L'aveva fatta con naturalezza, per coerenza, per convinzione, perché era un prete, ed era naturale che un prete facesse certe cose e non altre: che cercasse di alleviare le sofferenze della gente intorno a lui, che si impegnasse per realizzare servizi educativi e sociali; che indirizzasse al vero ed al bene; che si prendesse cura degli ultimi. E che denunciasse il male; che contrastasse il male; che non scendesse a patti col male. Una persona normale, un prete come si deve. Ma era a Brancaccio. Perché Brancaccio è la borgata in cui quando lo Stato decide di aprire un commissariato di pubblica sicurezza, a quarantott'ore dall'inaugurazione la mafia lo fa saltare in aria. Perché a Brancaccio, ottomila abitanti, non ci deve essere né la scuola media né il cinema né la palestra, perché a Brancaccio sia chiaro a tutti: qui è la mafia che comanda, qui essa esercita la sua signoria territoriale. E questo piccolo parroco cosa fa? Proprio quella le contende: contende alla mafia la signoria territoriale, contende alla mafia la risorsa decisiva, contrasta alla mafia il territorio, si pone nei fatti come contropotere, organizza la vita civile. Facendo le cose semplici, le cose logiche, le cose normali, fa la rivoluzione. A Gomorra don Pino Puglisi porta la Sierra Maestra. Tre anni di insurrezione evangelica, tre anni di rivoluzione delle coscienze, tre anni di lotta per la scuola e per l'assistenza, per i bisogni e per i servizi, per i diritti e per la luce, per il pane e le rose. La dittatura mafiosa lo ferma il 15 settembre 1993.

E' uno dei tanti paradossi di questa vicenda pirandelliana e kafkiana che è la lotta per la vita e per la morte tra la mafia e l'umanità, il fatto che da assassinato don Pino Puglisi venga riconosciuto: la sua morte lumeggia (certo: di tragica, gelida luce) la sua vita e la sua azione: si capisce adesso quanto efficace fosse quella tenace costante testarda lotta fatta di piccole cose semplici, di quotidiani gesti netti, di sollecitudine per gli altri, di attenzione ai bisogni concreti; si capisce adesso la vittoria grande che Pino Puglisi aveva costruito giorno per giorno senza impettite parate, senza proclami e senza spot, senza le arti del truccatore e dei tecnici del suono e delle luci; si capisce adesso che nel quartiere Brancaccio un uomo, senza parere, facendo le cose ovvie e minute, stava rompendo il consenso alla mafia, stava organizzando la Resistenza, ogni giorno una barricata, ogni giorno un Gavroche. Il 15 settembre uccisero don Pino Puglisi e ci fecero conoscere la sua lotta e la sua strategia, ci fecero sapere che un prete li aveva sconfitti e umiliati proprio lì, sul piazzale dell'appello. Uccidendolo ci rivelarono un segreto: che saranno gli uomini di pace, quelli del discorso della montagna, che spezzeranno la dittatura mafiosa.
Un estratto da: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia
Il 15 settembre 1993 nel quartiere Brancaccio, roccaforte storica della mafia, veniva ucciso il parroco della chiesa di San Gaetano, Giuseppe Puglisi. L'omicidio arriva dopo una serie di intimidazioni, di minacce per telefono e attentati incendiari. Alla fine di maggio era stato incendiato un furgone dell'impresa Balistreri di Bagheria che aveva vinto l'appalto per la ristrutturazione della chiesa (i mafiosi considerano l'imprenditore un intruso). Alla fine di giugno era stato appiccato il fuoco alle porte delle case di abitazione di tre rappresentanti del comitato intercondominiale del quartiere. Alle minacce padre Puglisi aveva risposto con serenità nelle sue prediche in chiesa: "Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio". La sua azione nel quartiere era discreta ma decisa, senza scoop ma continua. "Questa è la borgata più dimenticata della città -diceva-. Non ha una scuola media, niente asilo e nemmeno consultorio o centro sociale comunale" e si dava da fare per dotare il quartiere di quei servizi elementari, formando un comitato, scontrandosi con la burocrazia comunale. Aveva creato il Centro sociale "Padre nostro", in cui operavano alcune suore e dei volontari. Questo impegno quotidiano, poco appariscente ma instancabile, lo ha portato a scontrarsi con il dominio mafioso, che si è sentito messo in discussione, scalzato, e per imporsi ha fatto ricorso all' assassinio. Padre Puglisi, rispetto ai cosiddetti "preti antimafia", si potrebbe definire un moderato, un prete all'antica che per la serietà del suo impegno si è trovato in prima linea e davanti agli ostacoli più pericolosi non è retrocesso di un millimetro. Una figura simile a quella di monsignor Romero, il vescovo salvadoregno inizialmente spoliticizzato che poi si è opposto con tutto se stesso alle violenze degli squadroni della morte fino al sacrificio della vita. La reazione suscitata dall'omicidio di padre Puglisi è stata intensa ma tutto sommato inadeguata. Alcuni preti hanno scritto al Papa chiedendogli "un forte segno della sua presenza tra noi come conferma e guida in questo cammino difficile ed ogni giorno più rischioso", ma il Papa non è ritornato, se non due anni dopo per il convegno nazionale delle chiese tenutosi a Palermo nel novembre del 1995. Si può dire che, al di là dell'emozione del momento, non si è colta la valenza del delitto, che era rivolto contro quel tipo d'impegno, vissuto quotidianamente in contatto con il territorio, quindi non solo contro gli uomini di Chiesa più attivi ma contro tutta la società civile. La Curia non si è costituita parte civile al processo, e non lo hanno fatto neppure la parrocchia e il Centro "Padre nostro". Hanno tentato di costituirsi parti civili alcune associazioni ma la loro richiesta è stata respinta.
[Estratto da Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 307-308. L'autore, fondatore e direttore del Centro Impastato di Palermo, è il più importante studioso della mafia ed uno dei principali protagonisti del movimento antimafia].

Un estratto da: Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia.
Sembrava (...) che nessun potere avrebbe mai avuto il coraggio di sfidare i clan di Brancaccio, sin quando nella parrocchia di san Gaetano, al centro della borgata, non giunse un parroco apparentemente piccolo piccolo. Si chiamava Pino Puglisi. Don Pino è stato l'unica autentica spina nel fianco, per boss che non avevano mai incontrato sul loro cammino un oppositore vero, uno che avesse il coraggio di guardarli negli occhi. Ho già avuto modo di dirlo: per noi giornalisti, sino al giorno della sua tragica scomparsa, don Pino Puglisi era un illustre sconosciuto. Non avevamo idea di quanto fosse prezioso il lavoro sotterraneo che stava conducendo in una delle borgate a più alta densità mafiosa di tutta la città. Non lo tenevamo d'occhio perché raramente aveva fatto parlare di sé e mai aveva fatto notizia. (...) Chi era veramente quel prete apparentemente piccolo piccolo? Testimonianze ne ho raccolte tante, e sono concordanti. Tutti quelli che lo hanno conosciuto lo descrivono come umile, dolcissimo, ma anche capace di usare il pugno di ferro. Non accettava imposizioni. Rifiutava le situazioni ambigue giustificate da una lunga pressi che nessuno, prima di lui, aveva osato mettere in discussione. Si ribellava, con lo stesso spirito combattivo, sia alle spaventose condizioni di vita degli abitanti della sua parrocchia, sia a tutti quei gruppi organizzati che, a vario titolo, avevano interesse al mantenimento della palude. Era giunto a Brancaccio nel 1990. Nei tre anni trascorsi alla guida di san Gaetano non fece mai nulla per mantenere le vecchie regole del gioco. Fece di tutto per sovvertirle. [Brani estratti da Saverio Lodato, Dall'altare contro la mafia, Rizzoli, Milano 1994, pp. 133-135. Questo libro è opera di uno dei giornalisti che più hanno contribuito ad una informazione corretta ed alla lotta contro il potere mafioso; Lodato è autore tra l'altro di un libro molto noto, cronaca giornalistica che si avvicina alla storiografia, che nella sua più recente edizione aggiornata si intitola Venti anni di mafia, Rizzoli, Milano 2000.
Nell'introduzione di Dall'altare contro la mafia, Lodato scrive (alle pp. 12-13): "Questo libro che avete appena cominciato a leggere parlerà solo di un delitto: l'uccisione di padre Pino Puglisi, parroco della borgata Brancaccio a Palermo"].

Luigi Ciotti: La parabola di don Pino
"Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando" (Lc 19, 1). Gesù percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo. Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo di don Giuseppe Puglisi ucciso a Palermo esattamente un anno fa, nel giorno del suo compleanno. Lo hanno ucciso in "strada". Dove viveva, dove incontrava i "piccoli", gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la "strada" e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell'illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione. Ricordare quel momento significa non soltanto "celebrare", ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l' impegno di don Giuseppe, raccogliere quell'eredità con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umiltà. Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco. Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la "sua" comunità di fedeli, come comunità di credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui è inserita. L'ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada -quella strada che Gesù ha fatto sua- come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L'ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele. In altre parole, ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello "stare" nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. "Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli" (Mt 5, 10). Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe è morto: perché con l'ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti. "Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù..." (Lc 14, 1). Ecco un altro aspetto ricco di significati. Al di là dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni ciò che conta è la capacità di viverli e di praticarli nella quotidianità. Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera. Tre dimensioni, tre consegne e tre aspetti che rendono questa ricorrenza estremamente ricca e significativa. Tre messaggi perché le nostre parrocchie e quanti in esse lavorano possano essere sostenuti con gli strumenti necessari.
[Questo testo è apparso dapprima nel quotidiano "Avvenire" il 15 settembre 1994, poi è stato ristampato in Luigi Ciotti, Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, pp. 72-73; da lì lo abbiamo ripreso. Don Luigi Ciotti, come è noto, è il fondatore del Gruppo Abele di Torino, ed il presidente di "Libera", l'associazione di associazioni impegnate contro la mafia]. (fonte: Centro di ricerca per la pace).

INTRODOTTA IN ITALIA LA DROGA CHE "CURA" I BAMBINI TROPPO DISATTENTI E VIVACI A SCUOLA

Nell’ottobre 2000, la Commissione Unica del Farmaco del Ministero della Sanità italiano ha invitato la Novartis ad avviare le procedure di registrazione del metilfenidato, una droga simile alle anfetamine prodotta dalla multinazionale e commercializzata con il nome Ritalin. Il metilfenidato è infatti classificato come stupefacente nella stessa tabella  della cocaina, anfetamina, oppiacei, barbiturici. La  Commissione Unica del Farmaco ha motivato la sua decisione “visto il ruolo del metilfenidato nel trattamento dell’ADHD, l’elevata incidenza di questa manifestazione in età pre-adolescenziale e l’assenza di farmaci alternativi”. L’ADHD (Attention Deficit & Hyperactivity Disorder), spesso tradotta in italiano DDAI (Disturbo dell’Attenzione e Iperattività), sarebbe caratterizzato da difficoltà di concentrazione e di attenzione prolungata, difficoltà di apprendimento e memorizzazione, incapacità di elaborare facilmente informazioni e stimoli; a queste caratteristiche principali si accompagnerebbero spesso iperattività e comportamenti aggressivi, oppure eccesso di passività e distrazione. Viene anche sostenuto che questo disturbo persiste nell’adolescenza  e nell’età adulta, causando fallimenti scolastici, abbandoni della scuola, aggressioni, violenza, criminalità, abuso di droghe. Secondo l’AIDAI (Associazione Italiana Disturbi di Apprendimento e Iperattività), associazione iperattiva nel sostenere l’utilizzo del metilfenidato per la “cura” di questi disturbi, “tra le cause del DDAI vi è sicuramente una forte componente neurobiologica e genetica”. Citando tre studi epidemiologici condotti in Umbria e Toscana nel 1993 e in Emilia Romagna nel 1997, l’AIDAI afferma che l’incidenza del disturbo interesserebbe il 4% della popolazione infantile. In un recente documento elaborato da un gruppo di lavoro della Neuropsichiatria dell’Emilia Romagna si afferma addirittura che “nella popolazione che affluisce ai dipartimenti di Salute Mentale della regione Emilia Romagna, ai servizi di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, l’ADHD si colloca al di sotto del 5%: ciò rappresenta una sottostima da attribuire probabilmente più che alla disattenzione dei servizi sanitari, alla cultura italiana tradizionalmente prudente nel riconoscere un disturbo dal possibile sviluppo psicopatologico”. Sembrerebbe quindi  giustificata la preoccupazione della Commissione Unica del Farmaco per “l’elevata incidenza di questa manifestazione “. Queste stime non sono però da tutti condivise: Anna Anglani, responsabile dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL 11 di Empoli dice: “E pensare che in quasi 32 anni che faccio questo mestiere (e io lavoro sul territorio a contatto con la popolazione più varia) avrò incontrato in tutto un paio di casi di ADHD. La sindrome da deficit dell’attenzione è una patologia complessa, vaga nei segnali e difficile da riconoscere. Mi chiedo se non si finisca per costruire profili diagnostici solo sulla base della loro capacità di rispondere all’azione di un certo farmaco”(Tempo Medico n.694, febbraio 2000).  Come vedremo in seguito, l’esistenza dell’ADHD è messa in dubbio da numerosi esperti, che non solo sottolineano la totale assenza di prove scientifiche  ma lanciano anche l’allarme per la nocività dei farmaci utilizzati per “curarla”. Lo psicoterapeuta Claudio Ajmone, presidente dell’Osservatorio Italiano per la Salute Mentale, denuncia che “i bambini vengono drogati per risolvere problemi che andrebbero superati in termini pedagogici”.

 

Il delirio diagnostico della psichiatria organicista.

 

L’ADHD è stata ufficializzata come malattia mentale nel 1980 dall’American Psychiatry Association, ma in pochi anni è stata trasformata in una vera e propria epidemia: negli Stati Uniti le diagnosi di ADHD sono passate dalle 150mila del 1970 ai 4 milioni e 500mila nel 1997. La somministrazione del metilfenidato nella fascia 2-4 anni si è estesa rapidamente: tra il 1991 e il 1995, l'uso di Ritalin tra i bambini americani in età prescolastica è infatti aumentato del 150%, mentre quello di antidepressivi come il Prozac è salito addirittura del 200%. Il fenomeno è in rapida crescita anche fuori dagli States: in un rapporto del 23 febbraio 1999 il Consiglio Internazionale per il Controllo dei Narcotici (INCB) ha lanciato un preoccupato  allarme: "L'uso di sostanze eccitanti, metilfenidato, per la cura dell’ADHD è aumentato di un sorprendente 100 per cento in più di 50 paesi. In molti paesi - Australia, Belgio, Canada, Germania, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna e Regno Unito - l'uso delle sostanze stupefacenti potrebbe raggiungere livelli alti quanto quelli degli Stati Uniti, che al momento consumano più dell'85% della quantità totale mondiale. Il Consiglio si appella affinché le nazioni valutino la possibile sovrastima dell'ADHD e frenino l'uso eccessivo del metilfenidato. I pazienti curati con questa droga, che all'inizio degli anni novanta erano per la maggior parte studenti della scuola elementare includono ora un numero crescente di bambini, adolescenti ed adulti. Negli Stati Uniti, è stata diagnosticata l'ADHD nei bambini di appena un anno". Il Ritalin è presente sul mercato americano da quasi mezzo secolo. Dice lo scrittore Tom Wolfe, in un suo articolo del 1996: “Io ho conosciuto il Ritalin per la prima volta nel 1966 a San Francisco, dove svolgevo ricerche in preparazione di un libro sul movimento psichedelico o hippie. Una certa specie del genere hippie andava sotto il nome di Speed Freak, e un particolare ceppo di Speed Freak era noto come Ritalin Head. I Ritalin Head adorano il Ritalin. A volte li vedevi  completamente immersi in un delirio totale da Ritalin. Non un gesto, non un’occhiata: potevano sedere assorti in qualsiasi cosa – un tombino, le rughe del palmo delle proprie mani – per un tempo indefinito, saltando un pasto via l’altro, fino all’insonnia più incoercibile… puro nirvana da metilfenidato. Fra il 1990 e il 1995 le vendite di Ritalin sono aumentate del 600 per cento, e non per l’avidità di qualche sottoinsieme della specie Speed Freak di San Francisco, ma perché un’intera generazione di ragazzini americani – dai migliori collegi del Nordest alle scuole pubbliche più sfigate di Los Angeles e San Diego – era ormai assuefatta al metilfenidato, che le veniva diligentemente somministrato ogni giorno dal pusher di fiducia, il medico scolastico". Le responsabilità delle istituzioni scolastiche americane in questa tragica intossicazione di massa dei bambini sono state determinanti.  Nel corso degli anni ’80 le opportunità offerte dal programma governativo per l’istruzione speciale (ottenuto nel 1978 dopo decenni di battaglie da parte della società civile per garantire ai ragazzi disabili l’accesso alla scuola  pubblica) si sono trasformate in un grande affare per le scuole, grazie ai fondi federali assegnati ad ogni istituto in base al numero di studenti diagnosticati come portatori di handicap e bisognosi di programmi di educazione speciale. “Ben presto, però, l’educazione speciale iniziò a mostrare un suo lato distruttivo, soprattutto nel caso di ragazzi con difficoltà emotive, comportamentali e d’apprendimento. In primo luogo, la legge trasformava in un dato di fatto – praticamente in una condizione – le disfunzioni definite “problemi di apprendimento”. Per rilevarla, spesso, bastava un comportamento leggermente insolito e qualche osservazione di un insegnante. Una volta classificato il ragazzo come fenomeno clinico, nessuno si preoccupava più di verificare se il “problema di apprendimento” avesse una reale origine organica e fosse, quindi, permanente.    In secondo luogo, la nozione di “problemi di apprendimento” nascondeva una motivazione di natura ideologica. Come in seguito hanno fatto notare i critici dell’educazione la scoperta dei “problemi di apprendimento” non era nient’altro che la versione clinica di un’idea diffusa in tutto il paese: i ragazzi americani non erano al livello accademico dei loro coetanei europei e giapponesi. Quindi bisognava scaricare la responsabilità del deficit di apprendimento che s’era creato negli anni Ottanta e ripartirla in parti uguali sui ragazzi e sui genitori – non poteva certo essere colpa del sistema scolastico pubblico americano o della nazione che aveva sempre sostenuto economicamente i suoi ragazzi. I ragazzi americani non erano stupidi. Non imparavano niente a scuola, semplicemente, perché molti di loro erano cerebrolesi. Avevano bisogno di cure speciali.” (Donna Gaines, La terra desolata dei teenagers -1990). “Un ragazzo “speciale” non è necessariamente un ritardato, ma non è nemmeno completamente normale. Gli manca qualcosa oppure non tutto funziona come dovrebbe. E’ una specie di marchio, anche se molti genitori sono sollevati dal fatto che il danno sia di natura organica. Se il danno fosse psicologico, infatti, sarebbe colpa loro. Se fosse un difetto congenito non riuscirebbero mai a perdonarselo. Ma, in questo caso, si tratta di un leggero danno chimico, curabile col Ritalin: non è colpa loro e c’è speranza! Sarà un marchio, ma è sicuramente l’opzione più sopportabile”. (Donna Gaines, op.cit.)

 

Crimini e affari delle multinazionali sulla pelle dei bambini.

     

Il metilfenidato è diventato uno dei migliori affari del mercato farmaceutico americano; secondo la DEA (Drug Enforcement Agency), l’organismo incaricato della lotta contro la droga, dal 1990 al 1995 le prescrizioni di Ritalin sono aumentate del 600%, con un giro d’affari valutato sui 2 miliardi di dollari. Parallelamente al boom del mercato legale, intorno a questa droga è fiorito un florido mercato nero: il metilfenidato è consumato dai tossicodipendenti assieme ad altre droghe, ma anche utilizzato da molti studenti per sovrastimolare il cervello durante gli esami o nei periodi di superlavoro. Tritate e ridotte in polvere, le pillole vengono sniffate da molti ragazzi nei campus o nelle scuole al posto della cocaina. La DEA ha messo in guardia le autorità locali perché prevengano lo spaccio di metilfenidato davanti alle scuole. Il numero di ricoveri in rianimazione per uso di metilfenidato di ragazzi dai 10 ai 14 anni, si è moltiplicato per 10 dal 1990 al 1995, raggiungendo il livello dei casi di ricovero d’emergenza da cocaina per la stessa fascia di età. Uno studio dell’Università di Berkeley afferma che i bambini trattati con il Ritalin hanno un rischio tre volte maggiore degli altri di diventare tossicomani. Gli effetti collaterali del metilfenidato sono estremamente numerosi e molto pericolosi: i decessi causati dal Ritalin sarebbero stati 160 dal 1990 al 1997. Può provocare, in chi lo assume regolarmente, gravi disturbi psichici, che a loro volta determinano la prescrizione aggiuntiva di sonniferi e altri psicofarmaci. Uno studio retrospettivo di cinque anni condotto da Cherland e Fitzpatrick nel 1999  su bambini diagnosticati con ADHD e trattati con psicostimolanti  ha riscontrato che più del 9% di loro ha sviluppato allucinazioni e paranoia, cessate con l’interruzione della somministrazione del farmaco; prima di questa ricerca la comparsa di psicosi nei consumatori di queste droghe era valutata intorno all’1% e tali psicosi erano ritenute latenti e non farmacoindotte. Come già accennato precedentemente, l' ADHD non è una entità diagnostica accettata da tutti. Secondo lo psichiatra statunitense Peter R. Breggin questo disturbo è inesistente;  McGuinness, in The Limits of Biological Treatments for Psychological Distress, denuncia che l’ADHD è un’invenzione: "Abbiamo inventato una malattia,  le abbiamo dato l’ approvazione medica, e ora dobbiamo sconfessarla. Il problema principale è come possiamo eliminare il mostro che abbiamo creato. Non è facile farlo salvandosi nello stesso tempo la faccia… ". Fred Baughman Jr, membro dell’Accademia Americana di Neurologia, accusa l’Associazione Americana degli Psichiatri di aver inventato una malattia mentale; nonostante cinque anni di tentativi, Baughman non è riuscito ad avere dalla Ciba-Geigy  (ora Novartis), produttrice del Ritalin, alcuna prova scientifica che dimostri che l’ADHD è una malattia. La medicalizzazione di massa dei disturbi (presunti o reali) dei bambini è stata resa possibile non solo per il predominio incontrastato nella psichiatria del modello medico, che considera i problemi mentali come una disfunzione dei neurotrasmettitori, ma anche a causa delle agguerrite politiche di espansione commerciale delle case farmaceutiche, che hanno potuto contare  su compiacenti legislazioni e sulla collusione delle  istituzioni governative e di alcune associazioni di famigliari di utenti. Negli USA sono in corso diverse cause legali collettive  contro l'Associazione Americana degli Psichiatri (APA) e l’Associazione degli utenti CHADD, per collusione con la Novartis. L’APA è accusata di aver preso soldi dalla Ciba-Geigy e formulato criteri diagnostici per l’ADHD progressivamente più "elastici" ad ogni nuova edizione del DSM (manuale diagnostico degli psichiatri americani)  per favorire le diagnosi e lo smercio di Ritalin.

 La "Children and Adults with Attention Deficit/Hyperactivity Disorder" (CHADD), la più importante associazione di supporto per i portatori dell’ ADHD, ha ricevuto ingenti finanziamenti dalla casa farmaceutica che produce il Ritalin, come è stato svelato da un documentario televisivo. I suoi rappresentanti vanno a fare conferenze nelle scuole per sostenere la necessità del farmaco e distribuiscono a docenti e genitori un opuscolo informativo sull’ADHD, stampato a cura della Novartis, che sovente è l’unica fonte d’informazione nelle scuole. I genitori che si rifiutano di impasticcare i figli sono sottoposti a pressioni molto pesanti: spesso gli insegnanti minacciano di inserire i bambini in classi speciali o di richiedere l’insegnamento a domicilio, a volte le famiglie vengono segnalate al tribunale dei minori; sono in aumento i casi in cui i giudici, di fronte alle resistenze dei genitori,  sottopongono i bambini a Trattamento Sanitario Obbligatorio. L’introduzione del Ritalin in Italia è una grave minaccia per la salute fisica e psichica di migliaia di bambini e adolescenti. Mentre in America si moltiplicano le denunce e cresce l’allarme per le tragiche conseguenze di questo mercato criminale, in Italia si assiste ad una crescente campagna di “informazione” sull’ADHD volta a pubblicizzare l’esistenza di questa sindrome e a legittimare l’uso del metilfenidato, nel nome della prevenzione dei disturbi mentali in età evolutiva e della promozione della salute mentale. E’ evidente il rischio che genitori e insegnanti, di fronte alle difficoltà di apprendimento o di comportamento dei bambini, valutando in modo inappropriato normali comportamenti infantili, siano indotti a chiedere una risposta farmacologica, anziché affrontare e risolvere le dinamiche relazionali familiari ed extrafamiliari.

“Invece di affidare a un farmaco “miracoloso” la salute psichica dei nostri figli – ha dichiarato lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore della Consulta Nazionale per la Salute Mentale -  dovremmo portare avanti una maggiore attenzione alle problematiche della salute mentale dell’età evolutiva utilizzando in primo luogo gli strumenti psicologici e di intervento sociale, e realizzando su tutto il territorio nazionale i servizi previsti dal Progetto Obbiettivo già varato in materia, ma ancora in gran parte inattuato”.                                                                                  

Informazioni piu’ approfondite (ma in lingua inglese) sul metilfenidato e sull’ ADHD sono reperibili visitando i seguenti siti web: www.adhdfraud.org/  www.breggin.com  www.docdiller.com/   

Iniziative: sul sito  www.elkarkom.com/ritalin/doc.htm  è in corso una raccolta di firme contro l’utilizzo del Ritalin quale terapia    farmacologica dell’iperattività e dei disturbi dell'attenzione, e per la ripresa di una rigorosa ricerca e sperimentazione  pedagogico-didattica che sappia  valorizzare le potenziali capacità della scuola di prevenire o far fronte alle difficoltà psicologiche e comportamentali dei bambini. (Laboratorio per la ricerca e lo sviluppo del benessere psico-sociale - laboratorio_rb@hotmail.com )

 

 

 

Nei sogni di una levatrice

Maya sono quelle popolazioni che a partire dal 1500 A. C. fino ad oggi, naturalmente con discontinuità, occupano un'area geografica che corrisponde allo Yucatàn, Tabasco, Chiapas, Petèn, l'attuale Belize, l'attuale Guatemala, parte dell'Honduras e del Salvador. Questa è l'area che tradizionalmente fu occupata dai Maya ed è, attualmente, il territorio di tutte le popolazioni e gli individui che si definiscono indigeni e pertanto Maya.
 
LETICIA VELASQUEZ ZAPATA

 

All'interno di quest'area possiamo considerare la medicina maya come un vero e proprio sistema di salute, se accettiamo la definizione di sistema di salute come quel complesso di conoscenze, di pratiche tradizionali, private e pubbliche che oltre a riferirsi direttamente alle categorie di salute e malattia, si riferiscono all'articolazione delle relazioni sociali sullo sfondo della vita materiale e simbolica. La medicina maya, come molti sistemi indigeni di salute ricava i propri principi dalla concezione del mondo o "cosmovisione". Questa è l'eredità di valori trasmessi dagli antenati all'interno della quale si rinvengono alcuni elementi universali, validi cioè per qualunque villaggio indigeno appartenente all'area mayense. In tale sistema di valori occupa un posto importante il principio della dualità, anzi la complementarietà della dualità, che potremmo definire anche unità degli opposti. Il tempo è un altro elemento fondamentale per la concezione maya del mondo perché in esso avviene ogni processo dialettico: le età più importanti secondo i Maya sono la vecchiaia e l'infanzia, perché in questi due fasi della vita agli antipodi, lì dove una generazione sta finendo e l'altra sta iniziando, ha luogo tutta la trasmissione orale.
Altro aspetto importante nella concezione maya del mondo è che essa attribuisce sempre al benessere un senso individuale, nel senso della relazione alla persona, a sua volta in stretta relazione con la famiglia e la comunità. Per poter realmente parlare di benessere sociale bisogna dunque considerare il benessere delle persone in queste tre dimensioni. Ancora, nella cosmovisione maya è fondamentale la relazione che gli esseri umani intrattengono con altri esseri, con altre forme di vita, perché l'essere umano non è il centro della vita ma solo una parte. Potremmo anche parlare di natura, dei fiumi, che per noi hanno vita, che sono parte della nostra vita. Esiste una interdipendenza tra tutte le forme di vita, comprese le pietre che in altre culture sono considerate materia amorfa e che per noi hanno un valore molto importante, così come altri elementi, l'aria e la luce.
"Poiché proveniamo da una cultura millenaria non possiamo dimenticare che nel passato si lavorava fondamentalmente con l'impiego complementare di tre calendari: il calendario solare, il calendario agricolo e il sacro calendario maya. L'insieme di questi tre calendari è quello che, all'interno della nostra cultura stabilisce le relazioni tra tutte le forme di vita. Forse una parte della destrutturazione sistematica che abbiamo sofferto come popoli è avvenuta in seguito al venire meno dell'utilizzo di questi calendari in forma congiunta, integrale, anche se oggi, dopo gli accordi di pace di La Paz è il sacro calendario maya quello che sta avendo maggiore diffusione e sta entrando a far parte della vita pratica di molta gente. Il sacro calendario maya - il Sol Kin, come lo chiamiamo in quiché - si riferisce alla vita degli esseri umani e al modo in cui essi intrattengono relazioni sociali; fornisce poi anche alcuni principi e valori generali su come relazionarsi con la natura e con altre forme di vita: è composto da 260 giorni che indicano il tempo necessario ad un essere umano per formarsi come tale. E' questa struttura che scandisce il tempo; le persone nascono in quanto tali nel senso che dal giorno in cui nascono scaturisce la loro tipologia. Come in psicologia esistono quattro tipi di temperamento e ad ognuno di essi corrispondono determinate caratteristiche, capacità, qualità, così, in base ai giorni nei quali nasciamo possediamo determinate qualità e capacità che, conosciute, possono essere potenziate e sviluppate, ridimensionando alcuni aspetti deteriori presenti all'interno della nostra personalità. E' così che una persona acquista la consapevolezza di dover svolgere un compito all'interno del sistema di salute indigeno, di poterne diventare, cioè, un "attore". Tra le popolazioni Maya nessuno diventa guaritore o guaritrice solo perché lo vuole, ma perché nasce con le capacità per farlo, per sviluppare questo. Così funziona il nostro sistema sanitario: all'interno di esso esistono alcune categorie, alcune figure o "attori" che devono presentare determinate qualità. Per esempio, coloro che nascono nel giorno "Bat", uno dei segni del calendario che si riferisce all'impiego del tempo, all'interno del sistema sanitario avranno un lavoro equivalente a quello dello psicologo e dello psichiatra. Questa sarà la loro principale capacità: dare consigli, ascoltare la gente, sostenere chi deve prendere decisioni ed, eventualmente, integrare questo trattamento con erbe o con il fuoco e con altri elementi naturali. Prendiamo l'esempio delle levatrici, che in quiché chiamiamo Aj-illom; sono persone, nate nel giorno Khan o nel giorno Akabal, dotate delle capacità per diventare levatrici; e così per ognuna delle specializzazioni. In questo senso, e credo sia un concetto molto importante, molti dei nostri sistemi tradizionali non sono compresi, soprattutto quando si alimenta un pensiero integrazionista degli indigeni che ispira molte politiche dello stato e nel caso della sanità conduce a formare personale che si occupi della salute mentale impiegando e abilitando persone generiche. Ma un'esperienza come questa, in Guatemala si è rivelata un investimento fallimentare. E' stato investito molto denaro e l'impatto è stato scarso. Perché? Perché le stesse comunità e i membri al loro interno hanno ben chiaro chi sono i loro referenti sanitari nell'ambito della propria cultura. E' il caso di chi scrive: anche se indigena e idonea agli occhi dello stato ad occuparmi di donne, se non mi inserisco all'interno del codice culturale di appartenenza, difficilmente sarò accettata dalla comunità. Questo è un elemento importante del nostro sistema di salute, che a lungo si è avuto difficoltà a comprendere. Così, per molti anni una politica del Ministero della Sanità Pubblica ha formato le levatrici. Sono stare istruite circa 35.000 ostetriche, ma l'impatto di questa operazione sulla salute è stato scarso. Secondo le statistiche nazionali dell'anno 1989, il 98% dei parti nei villaggi indigeni, nell'ambito della popolazione maya, è stato eseguito da ostetriche non istruite.
Questo dato offre una visione reale, comprensiva di dati ufficiali dello stato, di un sistema sanitario abbastanza solido, di basso costo, culturalmente adeguato e soprattutto accessibile, giacché in ogni comunità sono sempre presenti almeno una o due figure chiave del sistema sanitario. Non manca quasi mai qualcuno che si occupi della salute della donna. Una delle possibilità che ci è stata offerta dalla formazione accademica occidentale è stata quella di poter capire la sua logica e confrontarla con quella del nostro sistema di salute che ha i suoi principi, i suoi valori ed una sua forma di scientificità, nel senso che rappresenta un sapere. Nella medicina maya in quanto sistema di salute possiamo ritrovare un equivalente degli specialisti del sistema sanitario occidentale. L'Aj-illom è l'equivalente di colei che fa la ginecologa-ostetrica; per la medicina interna, la figura corrispondente nella medicina maya è l'Aj-komumen, colui che lavora con le piante medicinali, elaborandole e dosandole, mentre l'Aj-chipampak, in quiché, è l'equivalente di colui che si occupa di traumatologia. Come gli altri "attori", ha la sua tecnica, il suo modo di lavorare e deve possedere caratteristiche e capacità specifiche. Esistono anche i Chayeros: quando c'è qualche infezione nella pelle o in altre parti del corpo, questi intervengono per eliminarle con uno strumento speciale e con erbe e preparati naturali che hanno effetti curativi. La medicina maya può essere considerata un vero e proprio sistema di salute: esiste un sistema di riferimento, un sapere comune e terapeuti di varie specializzazioni. All'interno dei vari ruoli si possono poi distinguere ulteriori specializzazioni: ad esempio tra le Aj-illom o levatrici, ve ne sono alcune più indicate per fare trattamenti alle donne gravide o per occuparsi dei parti quando i bambini non sono nella posizione normale. Questo non può essere compiuto da qualunque Aj-illom, ma ci sono più categorie tra loro. Ma accanto a questo esiste una visione articolata di che cosa sia la salute, di come si possa teorizzare il processo di salute-malattia con modalità totalmente diverse dalla medicina occidentale. Per gli "attori" del sistema di salute maya non si può parlare di salute come di una condizione acquisita una volta per tutte: in questo senso, richiamandoci al concetto di complementarietà della concezione maya del mondo, riappare il concetto della dualità. Si fa piuttosto riferimento a un equilibrio nel benessere fisico, spirituale e materiale, ma tale benessere individuale a sua volta è in relazione con la famiglia e la collettività; inoltre la salute ha anche a che vedere con il passato, con il presente e con il futuro. Per poter nominare la salute è importante ritornare agli estremi, il principio e la fine della vita. In questo caso il punto di partenza per comprendere l'equilibrio nella salute è la coppia di elementi del nascere e del morire: cioè, perché si nasce e come si guarda alla morte. In altri sistemi culturali, come quello occidentale la morte si traduce nella fine della vita, ma per le figure chiave del sistema di salute maya la morte non esiste, è una trasformazione della forma del vivere, perché si continua ad esistere attraverso i figli che rimangono e i nipoti: il sangue è in sé una catena. In rapporto a questo si può comprendere che si deve continuamente conquistare un equilibrio nella salute dal momento in cui si nasce fino a quando si muore, cioè fino a quella che rappresenta una ulteriore trasformazione della vita. Di fatto le religioni, specialmente quella cattolica ed evangelica, che hanno predominato nel nostro paese, vedono unicamente nell'uomo colui cui è affidata la vita, mentre nella concezione maya la creazione del mondo scaturisce dalla dualità. Un altro elemento fondamentale per capire la medicina maya, è la trasmissione della conoscenza. Attraverso le generazioni, a partire dalla colonizzazione spagnola fino ad oggi, ed anche prima, sappiamo che tale trasmissione di conoscenze si realizza in primo luogo attraverso le capacità dell'individuo che, come accennato prima, si fondano sul sacro calendario maya o Sol Kin. Ad esempio, quando c'è una nascita - tutta la famiglia è presente, è una festa familiare - la levatrice, la Aj-illom, fa una previsione del possibile futuro del bambino che è nato sulla base del giorno di nascita e dice a i genitori: "E' nata una bambina, sarà una grande levatrice", oppure "E' un bambino, sarà un leader della comunità" oppure si tratterà di una persona con grande saggezza. Si delinea così l'importanza del ruolo della levatrice che alla nascita fa subito un pronostico delle capacità e delle debolezze della persona che è venuta al mondo. Così, all'interno della comunità si è a conoscenza dei compiti futuri dei bambini appena nati. Intorno ai tredici anni, che secondo il Sol Kin segnano l'ingresso nella gioventù, cioè l'equivalente dei quindici anni per qualunque altra cultura, ai ragazzi che nascono con la vocazione di guaritori vengono affidati piccoli compiti nel campo in cui andranno a formarsi. Un ragazzo destinato a curare con il fuoco, a tredici anni già è accompagnatore nella cerimonia, o fa l'assistente che conserva la fiamma oppure, semplicemente comincia ad avere dimestichezza con il fuoco. Così man mano che i giovani crescono, ricevono ulteriori iniziazioni, A ventisei anni ha inizio un'altra fase. Si procede per tappe, come in qualunque altra carriera. Gli adulti, i maestri o le guide appoggiano gli adolescenti perché le loro potenzialità abbiano un pieno sviluppo magico-religioso, cioè ricevano tutte le energie dei giorni del calendario, poiché sul segno di una persona intervengono nove segni del sacro calendario maya. E tale congiunzione determinerà nell'individuo le sue capacità e le sue abilità, secondo il numero di energie che possiede. Per il tramite della famiglia il ragazzo riceve poi la tradizione orale: il nonno o la nonna adempiranno l'importante compito di raccontare loro segreti e di trasmettere saggezza. Man mano che si cresce, si diventa consapevoli degli strumenti specifici del proprio compito sociale e tali strumenti rafforzano i giovani nell'acquisizione dei saperi specifici. Tra questi strumenti, i Maya utilizzano i sogni. Nella nostra medicina i sogni sono un elemento molto importante per curare. Le levatrici, o qualunque altro guaritore, sono in grado di prevedere le complicazioni nel decorso di un malato, anche quando il suo stato, apparentemente non è preoccupante; altre volte, in sogno si viene a conoscenza di quali medicine o rimedi è utile impiegare. Per utilizzare i sogni è necessario, però sviluppare una capacità percettiva specifica, così come, in alcuni ambiti del sistema di salute maya alcuni guaritori arrivano a sviluppare una capacità particolare di decifrare i segni del corpo che facilitano le diagnosi e la scelta dei medicamenti. In Guatemala, il recupero del sistema di salute indigeno rappresenta uno degli scopi della "Defensoría" Maya, un'organizzazione pensata per gli anziani delle comunità, per le donne e gli uomini e rivolta alla tutela, la promozione e il recupero dei sistemi propri dei popoli indigeni. Tra questi l'applicazione del diritto maya per la risoluzione delle controversie e l'accesso al sistema giudiziario. In questa cornice la "defensoría" maya è fortemente motivata a realizzare il recupero del sistema di salute indigeno - un sistema peraltro utilizzato a tutt'oggi - come parte del patrimonio intellettuale, della conoscenza dei popoli indigeni, e anche come proprietà della nostra cultura. Questo sistema di salute di fatto è una scienza, perché ha i suoi valori, le sue forme di trattamento e ha una logica che spiega come e perché trattare la malattia e la salute degli individui e della comunità. Negli anni anteriori alla firma di La Paz era quasi un attentato parlare di recupero e ancora più grave mettere in pratica il diritto maya e la medicina indigena, tuttavia grazie al processo di transizione democratica che stiamo vivendo nel paese si è aperto un piccolo spazio politico che ci permette di lavorare e rafforzare il nostro sistema sanitario indigeno e il nostro sistema di giustizia maya. L'Accordo di Identità e Diritto dei popoli indigeni, firmato come uno degli accordi di pace è ciò che ci consente questo passaggio e speriamo nel suo consolidamento perché è, attualmente l'unica possibilità di pervenire ad una democrazia solida e partecipativa. (Segnalazione di Paolo Veronese)
 
 
ULTIME NOTIZIE SUL CORSO DI LAUREA IN "OPERATORI PER LA PACE"
Mando qui alcune notizie di aggiornamento sul nuovo corso di laurea in "operatori per la pace" dell'Universita' di Firenze. Il corso e' approvato e si sta aprendo: e' un corso interfacolta' tra Scienze Politiche e Scienze della Formazione. E' stato pubblicato recentemente, dalle due facolta' citate,  il "Vademecum dello studente" con le notizie di base sul corso che contiene le seguenti informazioni:
1) Caratteristiche del corso di laurea e sbocchi professionali;
2) Organizzazione didattica;
3) Norme di ammissione;
4) Ordinamento didattico;
5) Corsi di insegnamento, lezioni ed esami;
6) Docenti ed insegnamenti attivati nel corso di laurea.
Il quaderno succitato che comprende questo materiale puo' essere richiesto ad una delle due Facolta' (Scienze Politiche, Via Laura 48; Scienze della Formazione, Via del Parione 7). Parte del materiale e' accessibile anche via internet in http://unifi.it. Le iscrizioni possono essere fatte fino al 26  ottobre. Il costo dell'iscrizione e della retta annua e' proporzionale al reddito familiare delle persone interessate ad iscriversi, e va da un minimo di 919.200 annue per coloro che hanno un reddito fino a 34 milioni, ad un massimo di 2.216.200 per quelli con reddito oltre 77 milioni. Nel mese di settembre verra' stampato un fascicolo corrispettivo con tutti i programmi dei corsi attivati. Per il mese di ottobre e' annunciata invece la pubblicazione della guida dello studente. Per gli studenti lavoratori che non possano fequentare le lezioni sono previsti seminari o incontri compatti o attivita' di assistenza periodica, o programmi specifici di esame. Il testo del manifesto  dice testualmente: "Per gli studenti impegnati in attivita' lavorative documentate ciascun docente attivera' forme alternative di didattica quali incontri individuali o collettivi sotto forma seminariale".
 
[Ringraziamo di cuore Alberto L'Abate per questo aggiornamento. Alberto L'Abate, nato a Brindisi nel 1931, e' docente universitario; amico di Aldo Capitini, impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attività di addestramento alla nonviolenza, nelle attività della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti. Ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente. Come ricercatore e programmatore socio-sanitario è stato anche un esperto dell'ONU, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed è impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E' portavoce dei "Berretti Bianchi". Opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001. Per contatti: labate@unifi.it]

ZOOM ASSOCIAZIONI
 
il 29 e 30 settembre 2001 a Corte Molon

Prima Festa della Rete di Lilliput

VERONA CAPACE DI FUTURO

in cui oltre a presentarci in maniera festosa alla città, vorremmo proporre e discutere insieme le nostre idee, le nostre aspirazioni, i nostri sogni.

(Programma di massima)

Sab 29/9 ore 17                 Tavola rotonda: la Rete e le sue proposte per Verona
Sab 29/9 ore 21                 Musica e balli proposti da BANDA BRISCA
Dom 30/9 ore 9                   Convegno su Commercio Equo e Solidale: “Come nasce

         Un progetto” con Fabiano Ramin del Comitato Progetti CTM

Dom 30/9 ore 14,30           FESTA DEI BAMBINI animata da Gianni ed Eugenio

         Franceschini e Marisa Dolci con laboratori a sorpresa

Sempre aperti gli STAND dei gruppi aderenti alla Rete di Lilliput di Verona. Come arrivare: Corte Molon è in Lungadige Attiraglio, vicino alla Diga del Chievo. N.B. alla domenica il lungadige è riservato a ciclisti e pedoni: in auto dovete percorrere via Mameli dopo l’incrocio con il ponte Saval, seguire le frecce. Informazioni: la segreteria della Rete di Lilliput è aperta ogni martedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00 in via Spagna 8 – Telefono 045.8009803

Sabato sera e domenica a pranzo (ore 12.30) assaggiate la vera cucina lillipuziana con prodotti del commercio equo e solidale!!! NODO VERONA - http://web.tiscali.it/retelilliputverona - retelilliputverona@tiscalinet.it


SOS Salvador
Progetto Sorriso

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.


 
PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Amdraous 
Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventotto anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da qualche tempo usufruisce di permessi premio e di lavoro esterno semilibertà svolgendo attività di Tutor presso la Comunità “Casa Del Giovane “di Pavia. E’impegnato in attività sociali e culturali con scuole, parrocchie, associazioni e movimenti culturali. E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, ha conseguito circa 80 premi letterari, pubblicando libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia. Ha pubblicato: “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli;  “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia. “Oltre il carcere” è un libro che tenta di camminare sull’esperienza dell’autore, senza per questo rimanere prigioniero della presunzione di insegnare nulla a nessuno.Ci sono pagine che raccontano quanto avviene e spesso non avviene all’interno del perimetro carcerario. Atteggiamenti e gesti che vorrebbero provocare in ognuno un cambiamento per raggiungere secondo le proprie capacità quella necessaria consapevolezza per rimediare alle ferite inferte alla vita. Avamposti della memoria per i più giovani, sui rischi della trasgressione, nell’affidarsi ai valori estremi delle passioni estreme, votate all’annientamento. C’è il progetto di un percorso comunitario che può diventare stile di vita al servizio degli altri, apprendendo l’arte dell’ascolto e della promozione umana, attraverso l’impiego del sapere e del sentire, per una rielaborazione delle proprie esperienze vissute.
SCACCO MATTO
Spesso mi chiedo qual è il volto nascosto dietro le righe di una notizia. Qual è il volto e la storia dell’ultimo uomo scivolato in “SCACCO MATTO” in un carcere. Quanto quest’ennesimo suicidio risarcisce  in termini di umanità, al di là della mera notizia? Per  quanto concerne il carcere, penso che non tutto ciò che accade nell’ambiente penitenziario sia arbitrario, illegale, ingiusto; forse è solo il risultato del “nulla prodotto” per mancanza di un preciso interesse collettivo. Perciò a nulla vale il nuovo Ordinamento Penitenziario, il rafforzamento degli Agenti di Polizia Penitenziaria, e di contro la negazione di ogni pietà attraverso la concessione di un indulto o di una amnistia. Se non interverrà un vero ripensamento-intervento  culturale, c’è il rischio di precipitare all’indietro: in una proiezione dell’ombra che non accetta né consente  spazi di ravvedimento. Non è il caso  di avvitarsi  nel pessimismo -  di arrendersi non se ne parla – perché, come ha detto Don Franco Tassone mio buon amico: “occorre vincere l’ultima battaglia”. Infatti sono  convinto che anche tra le mura di un carcere ci sono uomini consapevoli dell’esistenza di leggi morali, oltre che scritte.  Ci sono uomini che possono riconoscere le leggi dell’armonia sociale, quelle leggi che a  un certo punto si è pensato di poter dimenticare. Penso a quell’uomo, a quel volto, a quel cappio al collo, e intravedo l’importanza di demolire i ghetti mentali, di per sè espressione di quello spirito umano… spesso incatenato.  Penso allora a questa vita, che è tutta da vivere sempre e comunque, proprio perché è un ‘avventura incerta, e incerta significa che si patisce, si soffre, si cade, e si arriva alla coscienza della poca conoscenza, dei tanti motivi che sfuggono. Sto giudicando anch’io che scrivo? Oppure sono impegnato in un dialogo con me stesso e sui problemi della nostra società? Non conosco il volto strozzato in quel carcere, ma comprendo la difficoltà  dell’accettazione del dolore, il che in una parola sottenderebbe assenza di saggezza. So bene  quanto sia difficile agguantarne l’orma, e quanto a volte ciò sembri lontano, sebbene così straordinariamente vicino, al punto da non vederne neppure l’ombra. In un carcere è  difficile perforare quella superficialità che è corazza a difesa, il “muro di niente” contro cui cozziamo e moriamo. E’ davvero difficile raggiungere quella falda profonda a nome interiorità, navigando tra anse e anfratti, scogli e derive per arrivare a quell’essenza che può dirci di cosa siamo capaci, e addirittura svelarci  il significato da dare alla vita. Qualcuno ben più illuminato di me ha detto che, forse, il significato della vita, propriamente,  non va cercato: dobbiamo solo aiutarlo a rivelarsi e quindi accoglierlo. Fuggire da noi stessi, dalla realtà stretta di una cella, annullando il significato della propria esistenza, non giustifica la colpa, né le ragioni che ci inducono a farla finita. Tanto meno indurrà la società a chiedersi se questo ultimo gesto è lecito, e se è morale. Ancor meno spingerà a domandarsi se per caso Dio non sia morto proprio dentro la cella di un carcere, ipocritamente descritto come  un luogo di speranza, mentre permane un luogo di morte. 

Vincenzo Andraous (05/10/2000)


SORRISI & CEFFONI
 
IMMAGINA (di John Lennon)
Immagina che non ci sia più il paradiso,
è facile se ci provi, nessun inferno sotto i nostri piedi
e sopra di noi solo il cielo,
immagina che tutte le persone vivono
solo per questo giorno

immagina che non ci sono più nazioni
non è difficile
nessuno da uccidere o per cui morire
e nemmeno alcuna religione
immagina che tutte le persone vivano
la vita in pace

puoi dirmi che sono un sognatore
ma non sono l'unico
spero che un giorno tu ti unisca a noi
e che il mondo possa esistere come una cosa sola.


Immagina di non possedere nulla,
voglio vedere se puoi farlo,
nessun bisogno di provare astio o rabbia,
solo la fratellanza dell'uomo
immagina tutte le persone che
condividono il mondo

puoi dirmi che sono un sognatore
ma non sono l'unico
spero che un giorno tu ti unisca a noi
e che il mondo possa essere unito.


John Lennon
 
Dai una possibilita' alla pace!!!
 
Quello che e' successo indurrebbe al panico, al silenzio, alla disperazione. Il mondo e' stato colpito da un ennesimo crudele massacro. Ma e' necessario, anche se doloroso, parlare. Cercare di capire. La prima osservazione che ci viene alla mente e' l'assurdo che esplode fuori dal televisore. Davanti a questo dramma il mondo si e' arrestato attonito. Ma non tutti. Le borse del mondo non si sono fermate neppure un secondo, hanno continuato a far soldi, a cercare utili selvaggi. Anzi hanno intensificato il ritmo. La gente ancora urlava appesa ai grattaceli in fiamme, prima che crollassero, e gia' i grandi broker gridavano nei loro cellulari:"Compra petrolio! Vendi tutto! Compra petrolio!" e mentre i titoli azionari perdevano il 10% in pochi minuti il petrolio saliva di 10 dollari al barile e i furbi facevano utili di miliardi di dollari. E mentre i presidenti di tutti i paesi europei si apprestavano a esprimere il loro cordoglio, i loro banchieri succhiavano decimali al dollaro e finalmente l'euro segnava un bel po' di punti a suo favore. Nessuno ha pensato di chiudere le borse per decenza e rispetto ai cadaveri ancora freschi. La belva feroce del capitalismo affondava felice i suoi denti nelle carni dei morti e fortune luminose si sono costruite in poche ore. E non c'e' da stupirsi. I grandi speculatori sguazzano in un'economia che uccide ogni anno decine di milioni di persone con la miseria, che  volete che siano 20 mila morti a New York? Altra immagine agghiacciante: la gente per strada, nei quartieri palestinesi, dilaniati dalla guerra civile, che festeggiavano il massacro. Gente che ha un morto in ogni famiglia e che non riesce piu' a vedere l'assurdita' della morte, di qualsiasi morte. Il sistema della violenza, dello sfruttamento, del genocidio organizzato dei poveri cristi genera insensibilita' alla violenza. Genera la logica della vendetta. Quasi ogni giorno, da anni, gli aerei Usa bombardano l'Iraq, uccidendo donne e bambini, col pretesto di eliminare impianti radar. E le televisioni occidentali non si degnano neppure di riportare la notizia. Quella e' gente spazzatura, muoiono a migliaia per gli effetti dei proiettili all'uranio che hanno contaminato la loro terra, muoiono perche' mancano le medicine a causa dell'embargo, nel silenzio carico di disprezzo dei media occidentali. Le lacrime di oggi dei commentatori televisivi sono vergognose perche' seguono al silenzio decennale sui crimini dell'occidente cristiano. E' terribile ma e' cosi': la disperazione genera la follia della vendetta. Una vendetta che non serve a nulla, una vendetta che portera' altri massacri tra i diseredati del mondo. E attenzione: questo orrendo massacro di ieri, non e' stato realizzato schiacciando un bottone su un aereo che vola sicuro ad alta quota. Qui ci sono decine di persone che sono diventate talmente pazze da suicidarsi tutte assieme pur di colpire "i diavoli bianchi". Questa misura della disperazione dovrebbe fare riflettere. Questa giornata di terrore dovrebbe avere insegnato ai cultori della forza dell'uomo bianco che non esiste sicurezza e pace per nessuno in un mondo dove il massacro e la prevaricazione sono la legge. E' ormai un fatto. Le moderne tecnologie rendono talmente potenti gli individui che nessun sofisticato sistema di sicurezza puo' proteggere. Non e' piu' possibile, neppure per i nordamericani ricchi, credere di essere al sicuro. Non c'e' nessun posto dove si possa stare al sicuro. Il cane feroce della follia puo' azzannare chiunque ovunque. I telegiornali si stupiscono (idioti) che i super controlli Usa non abbiano impedito a 4 aerei di essere dirottati per essere usati come bombe gigantesche e colpire i luoghi piu' protetti del mondo. Non vogliono capire che le moderne tecnologie e l'affollamento incontrollabile delle citta', offrono decine di modi di fare massacri. Questi orrendi attentati hanno ridicolizzato le pretese di Bush di costruire uno scudo stellare. Oggi hanno usato aerei, ieri gas nervino in Giappone, bombole del gas a Mosca! Domani bastera' urlare:"C'e' una bomba!!!" in uno stadio per provocare una strage. Un paese moderno non puo' garantire la sicurezza senza strangolare completamente la "vita normale" dei cittadini. Non c'e' modo. Nessuno puo' tenere milioni di persone chiuse in casa. L'unica garanzia di sicurezza per il mondo ricco e' sanare le ferite sanguinanti della fame e del sopruso. Senno' si crea un humus sociale drammatico che non puo' che portare alla violenza piu' folle. Attenzione: non si puo' dire, in questo momento, chi abbia armato la mano dei kamikaze. Estremisti islamici? Estremisti di destra americani? Sionisti pazzi? Chi lo sa? L'attentato di Oklaoma, il piu' grande massacro terroristico avvenuto fino a ieri, fu imputato ai terroristi islamici e poi si scopri' essere opera di terroristi bianchi e fascisti che volevano provocare una reazione anti islamica. Si potrebbe anche scoprire che dietro al massacro di ieri ci siano tutte le fazioni terroristiche e tutti i servizi segreti, uniti nel comune intento di gettare la societa' civile nel caos... Una cosa e' certa: al di la' di chi siano gli esecutori materiali del massacro questa violenza e' figlia legittima della cultura della violenza, della fame e dello sfruttamento disumano. Questa violenza, queste morti, rendono immensamente felici coloro che hanno guadagnato milioni di dollari in poche ore speculando sul prezzo del petrolio, i mercanti di armi e i capi terroristi brindano ebbri di felicita' insieme ai generali e agli ammiragli, stanchi di questa pace strisciante che minaccia ogni giorno lo stato di guerra e i profitti fatti sulle mine antiuomo. Domani i caccia bombarderanno qualche villaggio sperduto uccidendo civili inermi con la scusa di fare giustizia dei colpevoli e le lobby delle iene spingeranno per dare dignita' alle spese militari."Gli Stati Uniti devono rispondere immediatamente a questa aggressione!" Urlava un cretino della strada e le sue parole sono state rilanciate da migliaia di telegiornali in tutto il pianeta. "Rappresaglia!" Urla Bush, il boia del Texas. Colpiranno, faranno 10 morti con la pelle olivastra per ogni cadavere bianco. E qualcuno proporra' di reagire con manifestazioni di piazza e di nuovo la polizia fara' dei morti. Deve essere chiaro a tutti che questo e' un momento gravissimo. E'  una nuova forma di guerra strisciante quella nella quale ci vogliono portare. Il partito della pace ha una sola possibilita': continuare caparbiamente a lavorare con gli strumenti della pace. Affermare con tutta la forza possibile che possiamo ed e' necessario togliere il nostro appoggio economico alle multinazionali della morte. Oggi piu' che mai la scelta individuale di milioni di persone e' l'unico strumento possibile, l'unica strategia vincente. Togliamo i nostri soldi dalle banche che finanziano la vendita delle i nostri soldi l'economia del dolore, smettiamo di comprare il carburante della Esso, i prodotti della Nestle', smettiamo di bere Coca Cola, di mangiare Mac Donald's, convertiamo le nostre auto a olio di colza e a gas, mettiamo i nostri risparmi sui fondi di investimento etico, abbandoniamo le assicurazioni colluse col sistema della morte, non compriamo auto da chi produce mine antiuomo, non compriamo scarpe da chi tiene in schiavitu' i bambini, non mangiamo i cibi della chimica, abbandoniamo i marchi della cultura del profitto a tutti i costi. In questi anni abbiamo lavorato con successo per dimostrare che e' possibile consociare i nostri consumi, risparmiare, avere prodotti migliori e, contemporaneamente, boicottare il mercato della morte rifiutandoci di portare i nostri soldi al loro mulino. Oggi queste scelte non sono piu' solamente giuste e convenienti, sono anche urgenti e irrimandabili. Ti chiediamo di fare un gesto, subito, ora.Non c'e' piu' tempo per pensarci sopra. La locomotiva del capitalismo selvaggio sta accellerando la sua velocita', punta con determinazione assoluta verso la guerra e la distruzione del pianeta. L'unica possibilita' e' tagliarle i rifornimenti di carburante. Subito. Il mondo e' governato dal denaro. I soldi sono l'unico argomento al quale i potenti siano sensibili. Dai una possibilita' alla pace. Subito. Inizia tu. Non aspettare che lo facciano gli altri. Ogni lira che togli ai signori del mondo e' un respiro che regali all'umanita'. Voti ogni volta che fai la spesa!
 
Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo
 

Contestato il censimento dei caprioli «Sarebbero presto più delle mucche»

Polemica sulla ricerca voluta dall’assessorato, che conta 452 animali solo sul Baldo. L’esperto Sauro: «La Provincia segnala aumenti fino al 1100 per cento, è incredibile».

Non sarebbero caprioli quelli censiti sulla montagna veronese da una recente indagine della Provincia, ma mostri a due teste e otto zampe. «Un risultato stupefacente, nel senso che può essere stato indotto da una sostanza psicotropa che fa vedere doppio, triplo e anche quadruplo»: così definisce Elio Sauro, erborista ed esperto accompagnatore dei cacciatori di Boscochiesanuova, l’esito dello studio eseguito per conto del settore faunistico-ambientale della Provincia, che ha provato a contare i caprioli presenti sulle montagne veronesi. Sauro si siede prima di dare lettura dei dati in alcune riserve del Baldo perché teme un capogiro: Caprino »84,31 per cento di caprioli avvistati nell’ultimo censimento; Torri del Benaco »112,5 per cento; Brentino-Belluno »137,5 per cento; Brenzone »250 per cento; Costermano »1.100 per cento: sì, non è un refuso, ma si vuol far credere proprio a un aumento del mille e cento per cento. Se fosse vero, ogni femmina di capriolo della riserva di Costermano dovrebbe aver partorito nella passata stagione almeno 30 piccoli sani e arzilli. A tanto non arriva neanche una femmina di cinghiale, che non ha nemici naturali, fa due parti all’anno e mette al mondo dai 6 ai 16 cuccioli all’anno.
«Mi sorge il sospetto che, visti i segnali d’allarme da me e altri lanciati nei mesi scorsi sugli abbattimenti abusivi di ungulati lo scorso anno, favoriti dal trasferimento di tutte le guardie venatorie, qualche personaggio compiacente abbia stilato un censimento che ha dell’incredibile. Senza considerare (altrimenti le percentuali sarebbero ancora più alte), che in alcuni distretti come Ferrara e San Zeno di Montagna i censimenti appaiono senza dubbio corretti», prosegue Sauro, «l’incremento netto complessivo del 69,92 per cento, come si desume dallo studio della Provincia, ha del miracoloso, una vera e propria moltiplicazione di corna e zoccoli. Andando di questo passo e con questo incremento netto annuo, fra un decennio sul Baldo, al posto degli attuali 452 caprioli censiti quest’anno ci sarà una presenza di 90.563 caprioli. Significa un piano di abbattimento di 63.321 caprioli, circa un centinaio pro capite per ogni cacciatore del Baldo».
Se fosse vero, fra un paio d’anni ci sarebbero più caprioli che vacche in alpeggio. Un incremento ottimale arriva al massimo al 35 per cento, ma è raramente raggiungibile nella realtà. Più credibile è invece un incremento fra il 20-25 per cento, anche in considerazione che la popolazione di caprioli è per il 60 per cento di maschi.
La situazione complessiva in Lessinia, secondo i dati dell’assessorato provinciale, registra decrementi consistenti nei distretti di Bosco (-27,78 per cento), di Sant’Ambrogio (-46,15 per cento) e nell’Ambito territoriale di caccia 2 (-57,3 per cento). Significa che nei dintorni di Bosco sono stati avvistati 13 caprioli quest'anno rispetto ai 18 dello scorso anno, 7 invece di 13 a Sant’Ambrogio e 20 invece di 48 nell'Atc2. La crescita in Lessinia è pari al 16,3 per cento, ma viziata da dati con il segno positivo come Sant’Anna d’Alfaedo (»154 per cento) ed Erbezzo (»218 per cento) che secondo Sauro «non sono assolutamente credibili».
«L'assessore provinciale alla caccia Camillo Pilati, che ha tacciato di incompetenza e giochi oscuri i presidenti dei comprensori alpini Luigi Giramonti e Fernando Leardini, ha motivo di riflettere sulla propria competenza», sentenzia Sauro. «Le persone che intendevano fargli un piacere hanno evidentemente esagerato con le panzane e rischiano di seppellire nel ridicolo non solo lui ma l’intera amministrazione provinciale. C’è un altro dato, poi, che qualsiasi persona con un minimo di competenza può valutare nel suo reale significato», continua l’esperto, «e riguarda i piani di abbattimento e selezione del capriolo in Lessinia, non solo nell’ultimo anno, ma anche negli anni precedenti. I maschi assegnati, che vengono cacciati dopo la prima decade di agosto, sono stati abbattuti nella percentuale del 71,4 per cento, mentre le femmine, che vengono cacciate dal 1° dicembre, dopo oltre due mesi che i segugi hanno libertà di movimento, sono state abbattute nella percentuale del 14,2 per cento. È chiaro cosa significa questo dato? Se l’assessore alla caccia non lo sa, se lo faccia spiegare dalla sedicente esperta faunista della zona Alpi», attacca Sauro. «Conto sulle persone di buon senso nel governo della Provincia, affinché rimedino con sollecitudine ai molti danni finora provocati», conclude. (Sabato 15 Settembre 2001 L'ARENA, di Vittorio Zambaldo)
 
 
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