il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996 - Direttore Responsabile: Amedeo Tosi

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tuttta ed esclusiva dei rispettivi autori. «il GRILLO parlante» ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli «a cura della Redazione» e di quelli non firmati.

La ragazza bella non è senza difetti (Proverbio Ngombe - Nazione: Rep.Dem.Congo)

 
KLEZMER EXPRESS 2001 
FESTIVAL DI NEW KLEZMER E MUSICA EBRAICA 

                         (Parco Ferroviario di Verona - Porta Vescovo) 20, 21, 22 e 27, 28, 29 Luglio 2001

Klezmer Express 2001 è dedicato al fisarmonicista belga Martin Weinberg (1949-2001) Il festival di new klezmer e musica ebraica KLEZMER EXPRESS, dopo il successo dell'edizione precedente e dopo esser stato annoverato tra i tre più importanti festival italiani del genere assieme a quelli di Ancona e Torino, presenta la sua seconda edizione. Anche quest’anno, le serate veronesi intendono offrire una ricca panoramica della musica ebraica. Si raddoppia la programmazione dell’edizione passata, se ne mantiene lo spirito: il klezmer e, più in generale, la classica musica tradizionale ebraica esplorati e rivisitati dalle migliori formazioni attualmente esistenti a livello internazionale. Il Festival è organizzato dall'associazione culturale EXP che raccoglie un gruppo di operatori culturali attivo sul territorio veronese da più di dieci anni in ambito musicale, teatrale e del cinema, con l’obbiettivo di una programmazione di qualità e senza scopo di lucro, assolutamente innovativa nel contesto veronese. KLEZMER EXPRESS 2001 si terrà in due cicli di serate, dal 20 al 22 luglio e dal 27 al 29 luglio 2001, in un contesto suggestivo come il Parco Ferroviario di Porto San Pancrazio a Verona. Durante gli ultimi due finesettimana di luglio vedremo rivivere questo affascinante luogo urbano del passato, il complesso tardo-ottocentesco della stazione di Verona Porta Vescovo: parte di una preziosa struttura austroungarica, attualmente destinata a Museo Ferroviario. Ogni sera, come nell’edizione passata, potremo non solo assistere alla ricca proposta di musica internazionale dal vivo, ma anche bere e cenare in compagnia. Potremo gustare i mille sapori di una cucina vegetariana ispirata alla tradizione ebraica e del bacino del Mediterraneo e intrattenerci fino a tarda serata negli spazi del Parco, tra binari dismessi, carrozze ferroviarie d’epoca, locomotive a vapore e vecchie pensiline. Il programma di KLEZMER EXPRESS, anche quest’anno, è di tutto rispetto. Guest-star assoluta della presente edizione, sarà la performance - nella serata di sabato 28 luglio - dei Klezmatics, tra le più note e apprezzate formazioni della musica klezmer contemporanea americana. Guidati da Frank London e Lorin Sklamberg, i Klezmatics sono per gli appassionati il simbolo di quel klezmer che fonde le tradizioni askenazite con le influenze dell’avanguardia jazz più tipiche del nuovo continente. L’essenza è quella di una musica di festa, che celebra la natura estatica delle sonorità yiddish e crea sonorità di volta in volta  riflessive, ballabili e liberatorie.Per informazioni:Tel. 338.9541799 (Thomas Simoncini) http://www.klez-exp.com - E-mail: info@klez-exp.com

PROGRAMMA 

Venerdì 20 luglio - DI NAYE KAPELYE (Ungheria-U.s.a.) - Klezmer tradizionale.                                         

Sabato 21 luglio - ZAKARYA (Francia) - Klezmer e Ricerca.                                               

Domenica 22 luglio - SATLAH (Israele-U.s.a.) - Musica ebraica mediorientale d'avanguardia.           

Venerdì 27 luglio  - PAUL BRODY'S TANGO TOY (Germania-U.s.a.) - Klezmer e Jazz.

Sabato 28 luglio  - KLEZMATICS (U.s.a.) - La più conosciuta Klezmer Band.

Domenica 29 luglio - ZAHAVA SEEWALD & PSAMIM (Belgio) - Canzone tradizionale askenazita. 

Venerdì 20 luglio 2001

DI NAYE KAPELYE (Ungheria-U.s.a.)

Bob Cohen: violino, mandolino, voce - Christina Crowder: fisarmonica, voce - Gyula Kozma: basso, koboz - Ferenc Pribojszki: dulcimero, clarinetto - Janos Bartha: clarinetto, flauti

Il repertorio riflette l'attenta ricerca di Bob Cohen condotta tra anziani musicisti ebrei tuttora viventi nei Carpazi e tra musicisti zingari che suonavano per le festività ebraiche nell'est europeo prima e dopo l’Olocausto. Di Naye Kapelye presenta l'aspetto più vitale ed energico del klezmer, senza indugiare nella nostalgia. Danze moldave, canti yiddish e brani più estatici tipici della tradizione hasidica vi porteranno alla tavola del rabbino e vi narreranno dei luoghi, delle emozioni, dei sapori e dei profumi di una festa ebraica,. 

Sabato 21 luglio 2001

ZAKARYA (Francia) - Yves Weyh: fisarmonica - Pascal Gully: batteria - Gautier Laurent: contrabbasso - Alexandre Wimmer: chitarra

Zakarya nasce nel 1999 da un’idea bizzarra del fisarmonicista Yves Weyh, ovvero riunire in un solo gruppo tre universi differenti: la musica per le danze, la musica yiddish e l’improvvisazione. I quattro giovani musicisti di Strasburgo propongono composizioni originali energiche e dirette, ludiche ed esilaranti che, sfidando tradizione e modernità, spingono i confini della “Jewish Culture” verso orizzonti ritmici inaspettati. Il quartetto, che si esibisce per la prima volta in Italia, ha al suo attivo un album prodotto dall’etichetta Tzadik. 

Domenica 22 luglio 2001

SATLAH (Israele-U.s.a.) - Danny Zamir: sassofoni - Kevin Zubek: batteria - Shanir Ezra Blumenkranz: contrabbasso

Sorprendente sintesi tra musica ebraico-mediorientale, jazz e avanguardia. Le influenze del giovanissimo sassofonista Danny Zamir, prodigio del contralto scoperto da John Zorn, spaziano da Ornette Coleman a Sonny Rollins pur mantenendo sempre una personale e fertile immaginazione melodica nell'ambito klezmer. Improvvisazione, caldi toni minori e campionamenti si rincorrono e fondono in melodie che indugiano a lungo nell'orecchio dell'ascoltatore. Il primo dei due album che il trio ha fatto uscire per la Tzadik annovera lo stesso John Zorn come ospite di eccezione.

Venerdì 27 luglio 2001

PAUL BRODY'S TANGO TOY (Germania-U.s.a.) - Paul Brody: tromba - Andreas Schmidt: piano - Tomi Jordi: basso - Michael Griener: batteria

Klezmer sempre in primo piano, anche quando il californiano Paul Brody accompagnato dalla sezione ritmica berlinese Tango Toy non esita a tuffarsi nel groove di un jazz metropolitano post-moderno, nel folklore, nel blues. Coerente intersezione tra musiche dell'est europeo, ebraiche, afroamericane e occidentali. Quando Paul Brody accosta la tromba alle labbra vengono poeticizzati in un unico tono, vita, umorismo, esperienza e malinconia, in altre parole Brody suona la sua tromba “come fosse un clarinetto ebraico”. 

Sabato 28 luglio 2001

KLEZMATICS (U.s.a.) - Frank London: tromba, tastiere - Lorin Sklamberg: fisarmonica, voce, pianoforte - Matt Darriau: clarinetti - David Licht: batteria - Paul Morrissett: basso, tsimbl - Steven Greenman: violino
Tra i maggiori esponenti della musica klezmer contemporanea americana, i Klezmatics si formano a New York City più di dieci anni fa.

Gli arrangiamenti di Frank London e la voce cristallina di Lorin Sklamberg sono oramai il simbolo di quel klezmer che fonde le tradizioni askenazite con le influenze dell’avanguardia jazz più tipiche del nuovo continente, senza perdere però l’essenza di una musica di festa e di celebrazione. Evidenziando la natura estatica delle sonorità yiddish, la popolare band offre allo spettatore una musica di volta in volta riflessiva, ballabile e liberatoria.

Domenica 29 luglio 2001

ZAHAVA SEEWALD & PSAMIM (Belgio) - Zahava Seewald: voce - Estelle Goldfarb: violino - Tur: fisarmonica - Walter Poppeliers: contrabbasso

Canti yiddish d'origine popolare, canti religiosi hasidici, canti dei ghetti, melopee in ebraico antico e melodie klezmer. La voce della bruxellese Zahava Seewald è centrale, dolcemente accompagnata da fisarmonica, violino e contrabbasso. Un repertorio multiplo e poco conosciuto che ripercorre la canzone askenazita con un approccio musicale tenero e nostalgico, ricco di sobrietà e di emozioni tipiche della cultura ebraica dell'est europeo. Zahava Seewald ha all'attivo tre album usciti per la Sub Rosa ed uno, con l'ensemble Psamim, uscito per la Tzadik.


Genova: 20 e 21 luglio
partecipiamo con una "ronda dei diritti" 
 
Pena di morte
Nel corso del 2000 vi sono state almeno 3.058 sentenze di condanna a morte e 1.457 esecuzioni
In Cina, solo negli ultimi tre mesi, vi sono state 1.781 esecuzioni capitali
Gli USA, negli ultimi 25 anni, hanno eseguito 720 condanne a morte
Carcere
Nel mondo vi sono 8 milioni di persone incarcerate
In Cina vi sono 1.400.000 reclusi, in Russia 1.060.000
Negli USA oltre 6 milioni di cittadini sono sottoposti a misure penali: 1.860.000 in carcere, 3.773.0000 in libertà vigilata e 712.000 in libertà sulla parola
In numerosi Paesi, anche occidentali, i bambini sono penalmente perseguibili già dai 7 anni di età
Tortura
Torture e maltrattamenti inflitti da agenti di stato sono stati riscontrati da Amnesty international in oltre 150 Paesi, in più di 70 sono assai diffusi. In oltre 80 paesi queste torture hanno provocato morti.
Negli ultimi tre anni bambini sono stati torturati o maltrattati dalla polizia in oltre 50 Paesi.
 
Sono solo alcune delle cifre dell’ingiustizia e della violazione dei diritti che, ogni giorno di ogni anno, in tutti i Paesi del mondo colpiscono milioni di persone.
Persone quasi sempre appartenenti alle fasce più povere ed escluse.
Persone rese ancora più deboli e vulnerabili dalla mancanza di voce e di possibilità di rivendicare i propri diritti. 
Noi saremo a Genova a protestare, in una simbolica “ronda dei diritti”, anche per loro. Per una nuova politica. Per una globalizzazione dei diritti umani, civili e sociali. (Sergio Segio) 
 Vigili del Fuoco scioperano

Il ministero degli interni voleva  "adoperarli" per gettare acqua  sui manifestanti anti-global,
ma i Vigili del Fuoco saranno in sciopero il 20 luglio, contrariamente a quanti volevano
utilizzare il corpo più amato dagli Italiani.


Contro ogni  tipo di  violenza - Dalla parte del carabiniere ferito
 
Dopo settimane di allarmismi ecco i primi atti di violenza  proprio mentre il "Genoa Social Forum" dà inizio agli incontri tematici e operativi sui problemi della povertà, delle guerre, dell'ambiente e dei diritti umani.
Siamo contro ogni forma di violenza, quella prodotta dalle politiche oppressive e ingiuste dei grandi della terra e quella espressa da chiunque altro intenda sostituire alle armi della ragione progettuale e della passione civile per i poveri  le ragioni  "insensate" delle distruzioni e delle armi.
Affermiamo la nostra solidarietà per il carabiniere ferito e per tutte le eventuali vittime di gesti stupidi e spietati da parte di violenti, di esibizionisti e di provocatori.
Respingiamo qualunque tentativo strumentale di addossare al  "popolo della pace"   azioni messe in atto da provocatori di ogni tipo, tesi a screditare la grande mobilitazione di   questo periodo  a Genova e in altre città, tra le quali Verona.
Per noi che operiamo all'interno della "Rete Lilliput" e del "Verona Social Forum", l'indignazione vibrante per le sofferenze degli impoveriti  e degli sfruttati si accompagna al respiro della speranza. La protesta è sempre unita alla proposta di una novità di vita. Ogni iniziativa per la pace deve basarsi sulla  forza robusta e creativa della nonviolenza, unica alternativa di civiltà. (Sergio Paronetto (Pax Christi) - Punto Pace di Verona)

Appuntamenti
Vi invitiamo a segnalare gli appuntamenti organizzati dalle associazioni a : grilloparlante@mbservice.it
 

20 luglio 2001 - Verona - G8: Veglia di preghiera e di digiuno 

MOMENTO DI PREGHIERA venerdì 20 luglio, alle ore 21, organizzato dal Centro Missionario Diocesano e da altri gruppi cattolici presso la chiesa di S. Nicolò (dietro l'Arena). (Per informazioni, il referente è il CMD tel. 045/8000167). «In occasione del G 8 di Genova: quando i “grandi” della terra si riuniscono ci convochiamo con i “piccoli” della terra per affermare: i diritti umani e il diritto allo sviluppo per tutti i popoli».(fonte:Centro Missionario Diocesano di Verona)

22 luglio 2001 - Verona - Le cene del Circolo Pink

Il Circolo Pink (centro di iniziativa e cultura gay e lesbica di Verona - Via Scrimiari, 7) organizza ogni altra domenica una cena: la prossima sara' domenica 22 Luglio 200, ore 20,30 (sarà richiesto un contributo di £ 20.000). Le cene permettono di raccogliere una parte dei soldi per pagare le spese che ogni mese il Circolo sostiene, così da poter offrire servizi ed una sede aperta quasi tutta la settimana. (fonte: Circolo Pink)

28 luglio 2001 - Verona - Circolo Pink in Festa

Sabato 28 luglio, alle ore 21, presso la sede del Circolo Pink (Via Scrimiari, 7 - Verona), grande festa prima della chiusira estiva. Cena buffet e spettacolo del gruppo Polyestere.spa.

dal 14 al 30 luglio 2001 - Selva di Progno (Campofontana) - I quadri di Alberto Dal Zovo

Alberto Dal Zovo, veneto di nascita e piemontese d'adozione, appartiene a quella tenace schiera di pittori che fanno della fantasia dei colori la loro filosofia esistenziale. L'artista esporrà le proprie opere presso la Sala Civica di Campofontana dal 14 al 30 luglio nei seguenti orari: 10-12 e 15-19.


 
MASSMEDIA e TAM TAM vari
 
ALTRECONOMIA, IN DIRETTA DA GENOVA
 
Cari lettori, come promesso, per i giorni dal 16 al 22 luglio vi diamo appuntamento sul sito www.altreconomia.it La redazione della rivista si trasferisce a Genova e, in collaborazione con Peacelink, sarà parte di quanto avverrà. Durante i giorni del vertice daremo vita a un'agenzia "a tempo determinato" che si chiamerà "AltrInformazione", destinata a chiunque vorrà essere tenuto al corrente su quanto avviene fuori e dentro il palazzo del vertice. Ogni giorno cercheremo di dare, in una sintesi, il senso degli avvenimenti della giornata. Tutte le informazioni saranno inviate alla mailing list "Peacelink News" e saranno visibili sui siti di AltrEconomia e di Peacelink. Per ricevere i bollettini di Peacelink News direttamente nella propria casella di posta elettronica, basterà iscriversi all'indirizzo http://www.peacelink.it/webgate/pcknews/maillist.html Ma c'è di più: tutti i manifestanti potranno contribuire a fare informazione attraverso l'agenzia. Per questo motivo attiveremo una casella di posta elettronica (g8@altreconomia.it) e un numero di cellulare (349-22.58.342) cui inviare Sms, per raccogliere le vostre segnalazioni e testimonianze. A chi invece ha già esperienza nel campo giornalistico, chiediamo di diventare "cronisti per un giorno" e di collaborare con noi inviandoci articoli e approfondimenti (contattateci il prima possibile all'indirizzo reporter@altreconomia.it). Per tutti appuntamento da lunedì 16 luglio su www.altreconomia.it e su www.peacelink.it (FONTE: Altreconomia)
 
SITI DA VISITARE 
 
WWW.PROMISELAND.IT  è un sito italiano di informazione  sui diritti degli esseri umani, dei nostri amici animali e del mondo ecologico.
 
Carta: settimanale, agenzia via internet e televisione.
 
Prima di tutto, il numero del settimanale è in edicola da venerdì 20 luglio in tutta Italia (ma lo diffonderemo anche a molti treni speciali, nei cortei e nei forum genovesi) è interamente dedicato al G8 e, soprattutto, all'anti-G8. Pubblichiamo colloqui con alcuni "testimoni" della globalizzazione e della rivolta contro il liberismo: il segretario della Fiom Claudio Sabattini, la scrittrice messicana Elena Poniatowska, l'attore Moni Ovadia, il leader dei Sem Terra Joao-Pedro Steadile, il giornalista e scrittore messicano Luis Hernández Navarro,  la direttrice della rivista femminista Marea Monica Lanfranco. Poi, illustriamo, con esempi pratici, cinque crimini degli otto: l'affondamento della nave albanese Kater I Rades, la lotta contro l'Aids (e le case farmaceutiche) in Camerun, il debito e il caso del Perù, cosa il G8 vuol fare del plutonio militare russo e nordamericano, come la Telecom licenzia i lavoratori precari. Ancora, i profili degli otto signori che si riuniscono a Genova. Interviste con uno degli organizzatori genovesi del Gsf e con uno dei promotori del Black bloc statunitense. Infine, otto pagine di "istruzioni per l'uso": tutto quel che c'è da sapere arrivando a Genova. Il sito www.carta.org, a sua volta, produce un notiziario continuo, ventiquattro ore al giorno, su tutti gli avvenimenti genovesi. Questa "agenzia" è consultabile anche nel sito www.mir.it, insieme alle notizie fornite dal manifesto e da Radio popolare. Ma le nostre notizie circoleranno anche nei siti attac.org e www.samizdat.net. Una novità assoluta è che nel nostro sito potrete trovare anche le immagini delle giornate genovesi: riprese dalle strade, interviste, e un commento quotidiano. E' la Tv di Carta, un esperimento che facciamo insieme ai francesi di www.digipresse.com, che forniscono immagini a Libération, e ai romani di Fluid Crew. In sostanza, stiamo producendo informazione e approfondimento sufficienti a capire che cosa stia, momento per momento, succedendo. Ma lo facciamo in cooperazione con molti altri media antiliberisti. Perciò a Genova si è aperto un Centro media del Gsf, a partire da una proposta di Carta e con l'aiuto di molti altri, dove chiunque faccia informazione potrà fare il suo lavoro gratuitamente. Carta è un "mezzo di comunicazione sociale" completamente autofinanziato, grazie ai suoi oltre duecento soci (gli ultimi ad associarsi sono stati Riccardo Petrella, Gianfranco Bettin e, questa settimana, Fausto Bertinotti). Usate Carta, leggeteci, abbonatevi e associatevi. Per dimostrare, come dirà lo striscione che porteremo nelle manifestazioni di Genova, che "un'altra informazione è possibile". (carta@carta.org)

PORTO ALEGRE SOCIAL FORUM (film)

PORTO ALEGRE SOCIAL FORUM. Un altro mondo è possibile, è l’unico documentario realizzato sul “Forum Social Mundial” svoltosi a Porto Alegre (Brasile) dal 25 al 30 gennaio 2001, in contemporanea e in contrapposizione al World Economic Forum di Davos (Svizzera), organizzato da 6 Organizzazioni Non Governative, dalla CUT (Confederazione sindacale brasiliana) e dal Movimento dei Sem Terra. La scelta di Porto Alegre non é casuale, la capitale del Rio Grande do Sul (estremo Sud del Brasile ai confini di Argentina e Uruguay), è, infatti, una sorta di laboratorio sociale dove da dodici anni si sperimenta nella pratica l’idea di una democrazia diretta e partecipata. Luogo ideale, quindi, per contenere e dare forma a tutte le diverse spinte che arrivano da un movimento spontaneo e fortemente motivato come quello nato a Seattle due anni fa.Attraverso una sorta di film-concerto entriamo dentro questo primo appuntamento organizzato del “Popolo di Seattle”, dove sono confluiti tutti coloro che, in un modo o nell’altro, criticano la globalizzazione neoliberista in uno spirito costruttivo e cercano di disegnare un quadro teorico e pratico in cui globalizzazione significhi un mondo aperto, meno disumano e più solidale. Attraverso numerose interviste (da Tarso Genro a Olivio Dutra, da Marta Matarazzo Suplicy a Lula, da Danielle Mitterand a Hebe de Bonafini, da Stedile a Bové, da Salgado al Vescovo Balduino, dal Premio Nobel per la pace Perez Esquivel ai delegati italiani a quelli cubani, ecc.) seguiamo il Forum ma conosciamo anche la realtà del Movimento dei Sem Terra del Rio Grande do Sul. Esperienze che si intrecciano con quelle dei contadini e quelle dei francescani di Nao Me Toque durante l'occupazione pacifica della filiale della multinazionale Monsanto, responsabile di sperimentare, illegalmente, in quello Stato, piantagioni transgeniche. La musica è il filo che lega la dimensione politica a quella artistica. La colonna sonora di Porto Alegre Social Forum è costituita, infatti, dai concerti organizzati dal Forum che hanno visto la presenza di artisti quali Eliades Ochoa y el Cuarteto Patria, Tom Zé, Lecy Brandao.  Porto Alegre Social Forum è stato realizzato da Roberto Torelli che ha avuto come compagno di viaggio un grande cineasta, Paulo Cezar Saraceni ( tra i fondatori, negli anni sessanta, insieme a Glauber Rocha, del Cinema Novo brasiliano) e come guide gli italiani emigrati in questa terra.Il film si avvale, poi, di un altro importante contributo, quello di Antonio Tabucchi, scrittore profondamente legato alla lingua ed alla cultura portoghese. Attraverso i suoi testi e la sua voce la dimensione documentaristica del film si lega a una visione poetica del viaggio tra i Senza Terra del mondo. Le note di viaggio sono curate da Sergio Vecchio. Porto Alegre Social Forum, prodotto dalla Editrice Filef, presentato dalla FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), Associazione fondata da Carlo Levi nel 1967, è il primo documentario di una serie dal titolo “TERRE” che si propone di conoscere, da punti di vista “altri”, i Paesi dove sono approdati nel secolo scorso milioni di italiani migranti. La serie ha origine dall’amore di Carlo Levi per la terra e per chi la lavora e segna l’inizio delle celebrazioni del centenario della sua nascita. (FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), Presenta : Una produzionE: Roberto Torelli Editrice Filef Srl - a cura di Stefania Pieri, Rodolfo Ricci, Franco Cornero e Frate Orestes  - «PORTO ALEGRE SOCIAL FORUM»... Un altro mondo è possibile - Regia : Roberto Torelli - con la guida di Paulo Cezar Saraceni - Commento di Antonio Tabucchi - Appunti di viaggio di Sergio Vecchio - Musiche : Lecy Brandao,  Eliades Ochoa y el 'Cuarteto Patria',  Gruppo Samba Restinga di Porto Alegre, Tom Zé - Operatori: Marco Miccadei, Victor Ochoa - Montaggio: Roberta Canepa Ufficio Stampa: Antonella Marra 3357706038).

GAIA ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate

E' arrivata l'estate e la copertina di Gaia si colora di rosso-arancio, come il sole che ci riscalda. Questo numero è un po' speciale con l'inserto didattico A scuola dalla Natura, che può essere utilizzato (anche fotocopiato e ingrandito) non solo dagli insegnanti, ma anche - per singoli pannelli - in svariate situazioni, dai negozi del biologico ai giornali locali.
I temi di questo numero sono la globalizzazione, le grandi opere, la chimica di morte contro cui si svolge il processo di Marghera, l'elettrosmog e la straordinaria esperienza di democrazia di Porto Alegre.
Solo per questo numero abbiamo dovuto tralasciare alcuni settori, come mobilità e tecnologie appropriate, che però sono ben presenti nell'inserto didattico.
Non mancano invece i rifiuti, con due contributi utilissimi su prevenzione e incenerimento.
Le voci di Mario Rigoni Stern e Laura Conti aprono e chiudono questo numero.
Potete richiedere una copia di GAIA telefonando da lunedì a venerdì allo 041935666 oppure cliccando qui: speditemi una copia omaggio di Gaia a questo indirizzo:


 
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
 
Replica a Valpiana
 
Caro Grillo, vorrei avere la possibilità di rispondere a Mao Valpiana, per la seconda volta in poco tempo ospitato in un polemico intervento sulle modalità di opposizione alla globalizzazione voluta dai G8.
 
Caro Valpiana, il tuo Ghandi disse anche: "Fa' o muori". E che cosa hai fatto tu, Valpiana, che critichi le forme più aspre del confronto antagonista? Sei in consiglio comunale: con quali risultati? Dov'eri quando sono stati votati alcuni importanti emendamenti al bilancio del Comune? La possente tua voce si leva indignata dalle pagine dei quotidiani contro... il trenino dei turisti! Forse scendi in piazza, parli direttamente alla gente da un banchetto piantato nel punto nevralgico della città dal mattino alla sera? ...no, mi sbaglio, quella è la Lega....
Nel merito del tuo intervento, premetto qualche considerazione sulla tua filippica su Luca Casarini, rappresentante dei Centri Sociali del Nord-Est e delle Tute Bianche. Non intendo difendere chi non condivido fino in fondo, però gli interventi del Casarini successivi alla prima "dichiarazione di guerra" sono stati diversi, forti nei toni ma non inneggianti alla violenza attiva; sembrerebbe che tu ritenga più attendibile il Corriere della Sera della viva voce di Casarini ascoltata ai microfoni di Radio Popolare. Quanto alla "profezia" (quanta ironia a buon mercato!), sappiamo tutti che ci saranno provocatori, che le forze dell'ordine non staranno a guardare (come a Napoli, a Quebec City, a Goteborg), tutti abbiamo letto nei quotidiani le deliranti buffonate scritte con l'esplicito scopo di far cadere i benpensanti (ai quali appartieni, a quanto pare) nella trappola di criminalizzare il movimento antagonista. Infine, "che lavoro fa e dove abbia trovato i soldi" il suddetto Casarini, questi sono argomenti da pettegolezzo di salotto borghese: un po' di serietà, un po' di sobrietà! Per quanto riguarda le modalità della mobilitazione, premesso che sono contrario anch'io ad ogni forma di violenza SALVO LA LEGITTIMA DIFESA, non trovo che sia una buona idea di "lasciare soli" i G8. Sarebbe come dire: ma prego, fate come foste a casa vostra, anzi, per lasciarvi decidere meglio della pelle nostra e dei nostri figli ce ne andiamo in punta di piedi, per non disturbarvi ci ritiriamo su  fino a Milano e in là fino a Trieste, andiamo a fare una bella "festa colorata" dove non diamo noia (zitto, teppistello del Centro sociale, non vedi che disturbi Lorsignori? Sei antidemocratico, ti insegno io come si fa l'antagonismo...). Scusa, ma un'approfondita analisi di Nigrizia, letta da me, te e pochi amici che la pensano come noi, non è di grande efficacia contro i potenti della terra. Ghandi ha espresso un'opposizione passiva ma FISICA all'occupante. Altrove leggiamo: "E Gesù entrò nel tempio e cacciò fuori tutti quelli che vendevano e comperavano; e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi". "Fa' o muori": questo è pregare, non altro. (Enrico Parizzi - cometa_rossa@katamail.com )
 
GREENPEACE IN AZIONE
 
Vado Ligure 18 luglio 2001. Si e' conclusa dopo circa 28 ore dal suo inizio l'azione di Greenpeace che ha bloccato lo scarico del greggio con cui la petroliera Clare Spirit avrebbe dovuto rifornire i serbatoi della ESSO.
Le condizioni del tempo e del mare in continuo peggioramento a causa dell'intensificarsi di un forte vento di libeccio hanno spinto gli attivisti a sospendere il blocco ad oltranza che era stato ribadito anche al sostituto procuratore di Savona giunto in mattinata sul luogo per contestare agli attivisti il reato di violenza privata.
"Greenpeace ha concluso l'azione dimostrativa e non-violenta perché
le condizioni del mare rischiavano di mettere a repentaglio l'incolumità degli attivisti, soprattutto di quelli agganciati alle catene delle ancore della petroliera" ha dichiarato Fabrizio Fabbri di Greenpeace "abbiamo raggiunto l'obiettivo prefissato che era quello di interrompere lo scarico di greggio e di denunciare le gravi  responsabilita' della ESSO sulla posizione adottata dal governo americano in merito al Protocollo di Kyoto". (Fonte: Greenpeace)
 
Stop indiano al cotone modificato
di FRANCO CARLINI -

L'India aveva fatto una certa apertura alle sementi geneticamente modificate, ma il mese scorso, a sorpresa, le porte si sono chiuse. Il ministero dell'ambiente infatti ha negato la commercializzazione di una varietà di cotone sviluppato dalla Monsanto e dalla sua sussidiaria locale Mahyco (Maharashtra hybrid seed company). La decisione è stata presa perché non appaiono chiari benefici economici e restano delle incertezze rispetto alla sicurezza. Due mesi fa invece i ricercatori indiani del Dipartimento di biotecnologie lo avevano validato, suggerendone anzi la diffusione su larga scala.
Il cotone Monsanto contiene due elementi di manipolazione: il primo, più importante e potenzialmente benefico, è la presenza dei geni tipici di un batterio, l'ormai famoso Bacillus thurigiensis, che conferisce alle piante in cui si sviluppa una buona resistenza a un insetto che le attacca. Il 40 per cento dei pesticidi usati nel paese sono dedicati a combattere tale peste. Il cotone modificato dovrebbe consentire di usare meno pesticidi chimici e di alzare la produzione di questa materia prima così importante per l'India (detiene il 15 per cento del mercato mondiale).
Le prime sperimentazioni in 52 appezzamenti sotto controllo della Monsanto-Mahyco cominciarono già nel 1998, sempre in accordo con il Dipartimento delle biotecnologie, e avendo avuto successo, almeno secondo i proponenti, si trattava ora di passare alla commercializzazione: ma proprio qui è arrivato lo stop, con la richiesta di ulteriori verifiche scientifiche. Il ministero dell'ambiente infatti sostiene che i primi test così positivi sono stati fatti fuori stagione, quando gli insetti nocivi sono naturalmente in numero minore. Dunque l'efficacia del cotone genetico dovrà essere meglio verificata su terreni più estesi e questa volta con la supervisione del Consiglio per le ricerche agricole (Icar).
Il secondo elemento di manipolazione del cotone è l'inserimento di un gene resistente alla streptomicina come marcatore. In questo come in altri casi si tratta infatti di riconoscere in quali piante la manipolazione ha avuto successo e un modo per farlo è di trattarle con antibiotici: quelle che resistono hanno passato l'esame. Ma proprio l'uso di geni che provocano resistenza agli antibiotici viene criticato perché si teme che essi possano propagarsi alla popolazione, rendendo inefficaci i farmaci.
Per ora la Monsanto ha fatto buon viso alle nuove richieste, anche se ha già investito nel progetto 8 milioni di dollari negli ultimi sei anni. Applaude invece con convinzione La Fondazione per la Scienza, la Tecnologia e l'Ecologia: "Il via libera avrebbe aperto le dighe a un'alluvione di altre sementi geneticamente modificate in una situazione in cui l'India non ha le appropriate infrastrutture tecnico-scientifiche per gestire il rischio dell'ingegneria genetica". Va ricordato che diversi paesi in via di sviluppo non hanno un'opposizione pregiudiziale agli organismi Gm, ma che la loro critica si rivolge soprattutto al fatto che esse risulterebbero fuori controllo e non appropriate. Questa per esempio è la posizione espressa da Tewolde Berhan Egziabher, a capo dell'autorità etiope per l'ambiente. Se molti paesi africani stanno rifiutando la facile importazione di sementi Gm è soprattutto per merito del suo ruolo guida, che lo ha reso assai inviso agli occidentali. Eppure Egziabher fa dei ragionamenti di assoluto buon senso: "Molto spesso gli occidentali arrivano con delle ricette semplificate che provocano più problemi che soluzioni. Io credo che dovrebbero smetterla di prescrivere soluzioni. Se ci vogliono aiutare dovrebbero instaurare delle collaborazioni basate su un dialogo genuino. Io non sono favorevole né contrario ad alcuna tecnologia. Ognuna è buona a seconda della combinazione tra le nostre esigenze e le sue promesse. L'ingegneria genetica è appunto solo una delle possibili tecnologie".
E poi c'è la questione dei brevetti, sui quali ancora Egziabher ha le idee chiare: "per come stanno oggi le cose un'azienda americana può detenere i diritti per una pianta che è nata in Etiopia e chiedere le royalty agli etiopi che la usano. Se succedesse sarebbe tragico". (articolo segnalato da Paolo Veronese)

 

IL CIBO NON E' UNA MERCE

Gli agricoltori italiani saranno a Genova perché l’agricoltura è una risorsa per tutti, non dei padroni del mondo. E’ interesse di tutti i cittadini avere un sistema agricolo che produca cibo sicuro, valorizzi il territorio, riproduca le risorse naturali e sia diversificato, vitale e pieno di donne ed uomini al lavoro. Per questo è indispensabile un’alternativa al modello agricolo che si cerca di imporre a livello planetario, basato sulla furia produttivista  e che ci consegna insicurezza alimentare, fame nel mondo, desertificazione  o impoverimento di interi territori. Il cibo non è una merce, il lavoro della terra ha una funzione sociale che non può essere regolata dalla semplice competitività d’impresa che vorrebbe  un’agricoltura dove il lavoro e la  terra non vengono valorizzati. Nell’interesse di tutti i cittadini, della loro salute, del loro territorio, della giustizia sociale   noi vogliamo un’agricoltura con agricoltori, dove prevalga il lavoro sugli investimenti; siamo contro la privatizzazione delle risorse, delle sementi, dell’acqua, siamo contro quanti vorrebbero imporre un gusto unico, omogeneo di un cibo sterile come strumento per  rafforzare i monopoli  delle multinazionali agroalimentari, siamo contro il tentativo di manipolare la vita e le risorse agricole con le tecniche transgeniche. Noi vogliamo un‘agricoltura contadina, perché questa ha una dimensione sociale basata sul lavoro, sulla  solidarietà tra produttori e consumatori ma anche  tra regioni e contadini del mondo, altrimenti le regioni più ricche e gli agricoltori più forti lederanno il diritto alla vita degli altri, e questa logica non ha futuro. Per nessuno.Ogni giorno in Europa chiudono seicento aziende agricole, entro quattro anni 750.000 lavoratori agricoli italiani corrono il rischio di scomparire piegati dalle scelte di chi predica la liberalizzazione economica e  cerca di imporre un’agricoltura che esaurisce le risorse naturali, che trasforma il cibo in un pericolo per chi lo può comprare ed in un incubo per chi non vi può accedere restando nella fame, un’agricoltura basata sui monopoli, sul terrore della repressione nei Paesi più poveri e sulla illusione dell’efficacia di scelte antidemocratiche e antisociali dai costi pesantissimi per la salute, l’ambiente e il lavoro. Per questo saremo a Genova, per rivendicare con forza un’altra agricoltura  che non sia governata dalle logiche della Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ma da quelle – ci auguriamo più democratiche - dell’ONU, dove ad ogni Paese ed ad ogni popolo venga infine riconosciuto il diritto fondamentale alla sovranità alimentare sottraendo così l’agricoltura ed il cibo alle scelte  irresponsabili dei sedicenti grandi del mondo.  Per questo facciamo appello a tutto il mondo agricolo, alle strutture organizzate ed ai singoli, ai lavoratori della terra dipendenti ed autonomi, ai tecnici, ai lavoratori della filiera agroindustriale e di distribuzione perché siano con noi. Nell’interesse di tutti. (Coordinamento Nazionale per un’altra Agricoltura)

Hanno aderito all’appello: “Associazione Michele Mancino”  - “Contadini! – Coalizione per la difesa del lavoro contadino” (ARI – CROCEVIA) E’ possibile trovare il testo dell’appello in: http://www.hyperion.e-zine.it

 
L'Intifada rovesciata

Viaggio nei reportage del New York Times sul conflitto mediorentale: Israele ucciderebbe i giovani dell'Intifada e colonizzerebbe i Territori occupati per "legittima difesa". I carnefici diventano vittime, le vittime carnefici.
CINZIA PADOVANI* -

Cosa leggono i lettori del "New York Times" (Nyt) su ciò che avviene in medioriente? Quali sono i limiti entro cui si sviluppa il discorso pubblico sul conflitto, sulle pagine di uno fra i più prestigiosi quotidiani degli Stati Uniti? Come vedremo, a parte qualche rara eccezione, dall'inizio dell'intifada 2000 ad oggi la linea editoriale del Nyt ha dato un'interpretazione del conflitto basata sulle chiavi interpretative del governo israeliano.
Ci sono alcune direttive portanti su cui è intessuta l'architettura ideologica di questo conflitto; queste direttive portanti, elementi strutturali del discorso pubblico sul medioriente in America, poggiano pesantemente su ciò che la classe dirigente israeliana dice, su ciò che gli ebrei americani pro-Israele desiderano leggere, e sullo stereotipo degli arabi terroristi e selvaggi, contrapposto all'immagine degli ebrei sofferenti ma orgogliosi e, soprattutto, capaci di "difendersi". "Chi ci tocca," diceva l'ex-primo ministro Ekud Barak, "riceverà la giusta punizione. Nessuno deve pensare di farla franca se attacca Israele". L'idea di Israele, protettore della propria esistenza a qualsiasi costo, rappresenta una delle colonne portanti del discorso sul medioriente. Un'altra direttiva è che Israele è in pericolo, circondata da popoli nemici. Queste linee maestre definiscono e stabiliscono i confini di ciò che può essere detto su Israele e i palestinesi. Esse riecheggiano attraverso le pagine del giornale: dalle lettere al direttore agli editoriali, dagli articoli d'opinione ai reportage. Deborah Sontag, una delle corrispondenti da Gerusalemme del Nyt, di solito si limita ad indicare la quantità di vittime palestinesi, delle quali solo raramente fornisce i nomi. Alcuni esempi. Il 10 novembre scorso l'esercito israeliano ammazza un esponente di Al Fatah, Hussein Obayat; il signor Obayat era alla guida della sua autovettura quando venne colpito a morte. Due donne di mezza età, che si trovavano nelle vicinanze, morirono nell'agguato. La giornalista spiega i motivi per cui, secondo l'esercito israeliano, il sig. Obayat doveva morire, e accenna di sfuggita, senza dare alcuna informazione dettagliata, alla morte delle due passanti.
La mancanza di informazioni sui palestinesi che muoiono è la norma. Il 16 novembre l'attenzione era tutta sulla morte di Leah Rabin, vedova di Yitzhak. Nel frattempo, otto palestinesi venivano uccisi nella West Bank.

Due pesi, due misureLa Sontag scrive: "Elicotteri da guerra israeliani colpiscono obiettivi palestinesi nella West Bank dopo una giornata di violenze, durante le quali i soldati israeliani hanno sparato ed ammazzato otto palestinesi ... durante uno scontro con dimostranti che lanciavano pietre ... i soldati israeliani hanno aperto il fuoco, uccidendo un poliziotto palestinese ed un uomo di 22 anni ... [più tardi] tre teenagers sono stati ammazzati". Nessuna informazione in più sugli otto palestinesi.
Lo stile cambia quando a morire sono gli israeliani. Il 21 novembre, la fotografia nel taglio basso di prima pagina mostra un colono armato di fronte all'autobus fatto saltare in aria da una bomba; nell'attentato due israeliani hanno perso la vita. Un lungo articolo riporta l'avvenimento in dettaglio e illustra i motivi per cui l'esercito israeliano ha deciso di vendicarsi attaccando varie postazioni palestinesi a Gaza. Alcuni giorni dopo, le truppe israeliane uccidono quattro palestinesi a Gaza, e più tardi, nella stessa giornata, una bomba esplode ad Hadera provocando la morte di due israeliani (23 novembre). I quattro di Gaza vengono liquidati con poche parole ("oggi i soldati israeliani hanno ucciso quattro palestinesi ad un posto di blocco nel sud di Gaza"); sulla morte dei due israeliani, invece, la Sontag si dilunga ("Nafti Wechter, 47enne, stava guidando l'autobus dietro a quello che è esploso. 'Ho visto una colonna di fumo e un lampo di luce alto alcune decine di metri,' racconta mentre giace nel suo letto di ospedale. Un altro testimone, Michal Azaria, 43 anni, negoziante, ha la faccia coperta di sangue. 'Il rumore è stato terrificante. Tutto volava per aria ... ho visto gente schiacciata al suolo. Sembrava un campo di battaglia. Nessuno si muoveva. Tutti avevano sangue sulle mani e sulle gambe, e si lamentavano ... Soffrivano molto" (23 novembre). Il 27 novembre, mentre Arafat prometteva "un immediato cessate il fuoco" l'esercito israeliano "ammazzava altri quattro palestinesi". Anche in questa occasione manca qualsiasi indagine o informazione su come siano andati i fatti: le dichiarazioni dell'esercito sembrano essere sufficenti; non si sa nulla dei "quattro palestinesi," né cosa stessero facendo quando sono stati uccisi. Alcuni giorni dopo, Joel Greenberg, collega della Sontag, scrive da Gerusalemme: "Durante scontri mortali che sono continuati tutto il giorno nella striscia di Gaza e nella West Bank, i soldati israeliani hanno sparato e ucciso tre palestinesi" (2 dicembre). Ma quando, una settimana più tardi, una maestra israeliana muore sotto i colpi dei palestinesi, la commozione è grande. Quel giorno, l'8 dicembre, dieci persone erano già state uccise. "Oggi le forze di sicurezza israeliane hanno ammazzato sette palestinesi; più tardi palestinesi armati hanno ammazzato tre israeliani". Sui sette palestinesi uccisi né una parola in più né una fotografia. Greenberg continua: "oggi un commando palestinese ha sparato su una macchina di coloni che trasportava un'insegnante. L'insegnante e il conducente
della macchina sono morti - e, continua Greenberg - folti gruppi di coloni si sono riuniti per il funerale della maestra, Rina Didovsky, 39 anni, madre di 6 figli. Sua figlia Naama, con i lacrimoni che le rigavano le guance, poggiava la mano sul corpo della madre, mentre un rabbino pronunciava il discorso, con la voce rotta dall'emozione. La folla, colpita dal dolore [è da notare che i palestinesi sono sempre "arrabbiati" o "infuriati," mentre gli israeliani sono "colpiti dal dolore," "disillusi" o, tutt'al più, "reattivi"]...chiede al governo di attuare misure più drastiche contro i palestinesi". Nello stesso articolo, Greenberg ci informa che altri palestinesi sono morti. Più tardi infatti, "ad un incrocio vicino la città di Jenin, nella West Bank, 5 palestinesi sono stati uccisi...[A] Gerusalemme Est, i poliziotti hanno ucciso un ragazzino di 16 anni durante scontri a fuoco e lanci di pietre...[A] l'ospedale dicono che il giovane è stato colpito alla testa da una pallottola ad alta velocità...[A] Betlemme, un ragazzino di 16 anni è stato ucciso dai soldati israeliani." (9 dicembre). L'articolo è corredato da una fotografia della piccola Naama, mentre piange, con la mano sul corpo della madre, l'insegnante uccisa dai palestinesi. Nessuna informazione, invece, sui due ragazzini arabi.
E' interessante soffermarsi a notare anche le differenze tra le fotografie degli israeliani e quelle dei palestinesi. Le madri israeliane, ad esempio, sono composte, accudiscono i propri figli feriti in ospedale, tutte dignità e controllo. I palestinesi, al contrario, vengono spesso fotografati in gruppi, mentre portano a spalla le barelle con i morti, e le donne vengono sempre ritratte mentre urlano e si strappano i capelli. Così appare la madre del dottor Thabet Thabet, mentre piange disperata per la morte del figlio, ufficiale del ministero della sanità dell'Autorità Palestinese e vicino all'associazione pacifista israeliana "Peace Now". La Sontag firma l'articolo da Gerusalemme (1 gennaio) in cui descrive sommariamente l'uccisione di Thabet e si sofferma invece in un lungo resoconto dell'assassinio del rabbino Binyamin Kahane e di sua moglie avvenuto nello stesso giorno. Foto dell'attentato, foto del loro matrimonio. Una cartina geografica indica il luogo dell'attentato. Piccola particolarità: il rabbino Kahane junior, figlio di Meir Kahane, aveva fondato il gruppo razzista e ferocemente anti-arabo "Kahane vive", dichiarato fuorilegge dallo stesso Israele nel 1994, e inserito nella lista dei gruppi terroristi del governo statunitense. I lettori ricorderanno che, nel 1994, un membro di quel gruppo, Baruch Goldstein, aveva ammazzato 29 musulmani in preghiera nella moschea di Hebron.
Il modo in cui i corrispondenti raccontano la cronaca delle morti quotidiane si mantiene costante nei mesi, fino ad oggi. In occasione della tragica morte della bambina israeliana di 10 mesi, ammazzata dai palestinesi il 26 marzo, il nome della bambina, le circostanze della morte, e le dichiarazioni minacciose del ministro Sharon e della comunità di coloni di cui la bimba era parte, sono riportate ampiamente. Una fotografia della famiglia della bambina, sorridente con mamma e papà, accompagna l'articolo. Il quotidiano non ha mai pubblicato una fotografia del genere per nessuno dei tanti bambini palestinesi ammazzati.
L'attacco terrorista ad un centro commerciale a Netanya, dove 5 israeliani hanno perso la vita, è descritto nei minimi particolari sul Nyt del 19 maggio (con descrizioni grafiche di corpi mutilati, intestini spiaccicati sull'asfalto, etc). La Sontag sorvola, invece, sulla morte di 9 palestinesi nello stesso giorno: "solo un palestinese è stato ucciso oggi a Ramallah, otto a Nablus". Della morte dei palestinesi non si sa altro. Si sa solo che sono stati uccisi per rappresaglia dopo la strage al centro commerciale ("Suicide Bomber Kills 5; Israel Retaliates in Jet Strikes," 19 maggio).
Cartine geografiche illustrano i luoghi dove avvengono gli attentati palestinesi, anche se nessuna cartina è mai apparsa sul giornale per illustrare le radici "del più geografico dei conflitti," come lo definisce Edward Said. Dopo 24 ore di cessate il fuoco, il 16 giugno un altro corrispondente da Gerusalemme, Douglas Frantz, si rallegra perché, afferma, "oggi non sono stati riportati episodi di estrema violenza," per poi notare che 2 palestinesi erano stati uccisi il giorno prima ("Day 2 of a Mideast Truce Sees Few Violent Incidents"). Infine, il 16 giugno un ragazzino palestinese di 12 anni muore vicino a Rafah, Striscia di Gaza. Questa volta, bontà loro, sappiamo il nome del bambino, "che è stato identificato come Suleiman Sumi el-Masri" (Frantz, "Annan Urges Mideast to Make Peace Move," 17 giugno). Gli articoli d'opinione esprimono ancora meglio la posizione del giornale.
Delegittimare Arafat

Thomas Friedman, mentre il numero di morti ammazzati tra i palestinesi saliva vertiginosamente, e dopo solo alcuni giorni dalla notizia secondo la quale la morte del 12enne Mohammed Al-Durrah era stata determinata da "fuoco amico," scriveva il 24 novembre (Senseless in Israel) che "i palestinesi si comportano come i ragazzini del liceo i quali, quando è finalmente giunto il momento di andare a ritirare il diploma di maturità, non si presentano ma, anzi, vogliono tornare a scuola [il riferimento è alle presunte offerte che Barak avrebbe fatto ad Arafat a Camp David, e che Arafat aveva rifiutato] ...i palestinesi-continua Friedman, sono come quegli attori sulla scena che non si sono accorti che il pubblico è andato via...ma se si aspettano che Israele si stanchi di sparargli addosso come ha fatto con i libanesi, si sbagliano di grosso. Gerusalemme non è il Libano del sud!". Non solo. Friedman non esprime alcuna condanna contro le uccisioni dei civili palestinesi. Ovviamente "Sparargli addosso" è addirittura una difesa sacrosanta, in quanto, appunto, Gerusalemme non è il Libano.

Giornalisti sotto ricatto

Dove affondano le radici di tanta ingiustiza nel rappresentare i due lati del conflitto? Com' è possibile che i giornalisti del Nyt non siano più obiettivi ed equilibrati? Un articolo di oltre dieci anni fa, apparso proprio sul New York Times ai tempi della prima Intifada, può aiutarci a capire. Nel 1989, Hal Wyner, inviato a Gerusalemme per un giornale tedesco, descriveva così la situazione: "dopo un anno in Israele ne avevo già viste abbastanza e non avevo più alcun dubbio sulla brutalità dell'esercito israeliano, sugli abusi e la violenza gratuita contro i palestinesi. Ciò che mi colpì maggiormente, comunque, fu il ruolo dei giornalisti...Per noi che lavoriamo nei territori, non può esserci alcun dubbio: il problema piuttosto è come e cosa scrivere nei nostri reportage...E' chiaro che, per quanto riguarda l'immagine di Israele nel mondo, ogni descrizione veritiera di ciò che sta accadendo sarebbe estremamente dannosa...ecco perché persino il giornalista piu indipendente generalmente fa uno sforzo per sfumare i toni del proprio articolo... Nonostante ciò, molti colleghi non ebrei vengono accusati di anti-semitismo. Mentre noi giornalisti ebrei siamo accusati di auto-lesionismo. I miei lettori mi scrivono dicendomi che sto favorendo coloro che odiano Israele...Ma i fatti parlano chiaro: di solito la gente viene ammazzata a sangue freddo, uccisa a caso, menomata, incarcerata senza processo, umiliata e massacrata da soldati che obbediscono a degli ordini ben precisi...Per un giornalista, non dovrebbero esserci dubbi: dovrebbe riportare ciò che avviene, come avviene...Ognuno faccia ciò che ritiene giusto fare, ma, nel prendere la decisione di non riportare i fatti così come sono, nessun giornalista potrà mai dire di non sapere come stanno realmente le cose" (Israel Brutality, Press Timidity, 8 Ottobre 1989).

* Cinzia Padovani è ricercatrice presso il centro di ricerca sui mass media, Facoltà di Giornalismo e Comunicazioni di Massa, Università del Colorado a Boulder.

 
Il boomerang afghano sul Pakistan

A Islamabad erano convinti di usare la guerriglia afghana. Invece i talebani si stanno "mangiando" il paese, cominciando dalla gestione del contrabbando
MARCO D'ERAMO
Si chiama Provincia della Frontiera del Nord Ovest: sembra un nome del gioco Risiko. Ma è in subbuglio da quando l'uomo forte del Pakistan, il generale Pervez Musharraf, ha tentato d'imporre una "tassa sul contrabbando" che scorre a fiumi attraverso il confine con l'Afghanistan e che sposta non solo oppio, eroina e armi, ma anche più prosaici elettrodomestici, pezzi di ricambio delle auto, beni di consumo spicciolo. Già di per sé l'idea di una "tassa sul contrabbando" è assai balzana e rileva delle aporie logiche tipo "il cretese Eumenide dice che tutti i cretesi mentono": in effetti, se lo stato pakistano non ha la forza per bloccare il contrabbando, come potrà mai avere il potere di costringere i contrabbandieri a pagare?
Questa notizia mostra perciò sotto una nuova luce l'errore prospettico che spesso commettiamo quando guardiamo alle dittature militari. Formalmente infatti, dal mese scorso il generale Musharraf accumula tutte le maggiori cariche dello stato: oltre ai titoli di comandante in capo delle forze armate e di chief executive, ovvero primo ministro, si è regalato quello di presidente della repubblica, mandando a casa il fantoccio che lui stesso aveva nominato quando nell'ottobre 1999 aveva deposto il primo ministro eletto, l'uomo d'affari punjabi Nawaz Sharif. Per di più ha sciolto il parlamento e vietato ogni manifestazione politica all'aperto. A prima vista sembrerebbe la primavera del patriarca, per parafrasare un titolo di Gabriel Garcia Marquez. Il problema del Pakistan sarebbe allora il cronico strapotere dell'esercito che in realtà non è mai venuto meno dall'indipendenza, da quel fatale 14 agosto 1947. Quel giorno divenne sanguinosa realtà l'astratta "Partizione" ideata dalla potenza coloniale anglosassone tra uno stato a prevalenza hindu, l'India, e uno stato a maggioranza islamica, il Pakistan appunto (che allora comprendeva anche il Bengala orientale, poi scissosi e divenuto indipendente con il nome di Bangladesh). Rivediamo qui insomma quella storia così ben raccontata da Salman Rushdie nel romanzo La vergogna, uno dei suoi migliori e meno letti.
Ma la storia degli ultimi decenni, a partire almeno dalla guerra in Afghanistan, e la cronaca di tutti i giorni ci dipingono un quadro diverso, quello di un paese dove il potere centrale è tanto più tirannico quanto più aleatorio, dove l'angheria è tanto più occhiuta e sanguinaria, quanto meno il controllo è effettivo: basti pensare che in Pakistan solo l'1 per cento della popolazione paga imposte (e pretendono di farle pagare ai contrabbandieri!). Ma c'è di più: proprio la guerra afghana costituisce un esempio clamoroso di quelle che Albert Hirschman chiama le conseguenze non volute di una decisione. Chiunque abbia detenuto il potere a Islamabad - militare o civile che fosse -ha sempre ritenuto che l'Afghanistan fosse il loro cortile di casa, una sorta di protettorato pakistano.
E' stato perciò del tutto naturale che quando hanno cominciato a finanziare, armare, istruire e organizzare la guerriglia antisovietica al di là del Khyber Pass, gli Stati uniti si siano serviti del Pakistan e dei suoi servizi segreti (Inter-Service Intelligence, Isi) come intermediari, e che a loro volta Isi e governanti paskistani abbiano usato denaro e armi della Cia per estendere la propria influenza in Afghanistan: il terreno d'incontro tra i due interessi era duplice, da un lato sconfiggere Mosca e dall'altro - soprattutto dopo il ritiro sovietico nel 1992 - impedire a Teheran e agli ayatollah d'inglobare Kabul nella propria area d'influenza.
Così per tutti gli anni '80 il flusso di rifugiati in uscita dall'Afghanistan incrociava quello di armi, istruttori e "volontari" dall'altra. Prima del 1980, proprio sotto il Khyber Pass che separa (unisce?) l'Asia centrale e il subcontinente indiano, Peshawar era un avamposto desolato, ora è una città con più di 1,5 milioni di abitanti. Quetta, la capitale della provincia del Baluchistan, è passata da 500.000 a 1,3 milioni di persone. Ma non è tanto la quantità del flusso, quanto la sua particolare natura a costituire il detonatore di una miscela esplosiva. Nella guerriglia antisovietica c'è sempre stata una componente religiosa, di risposta musulmana: e l'indottrinamento islamico era assolto dalle madrassas, dalle scuole coraniche dei rifugiati afghani in Pakistan. Oltretutto, il Pakistan degli anni '80 era retto dal generale Zia Ul Haq che nel 1977 aveva deposto e poi impiccato Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir che aveva governato dal 1971, dopo la disastrosa sconfitta nella guerra con l'India. E fu proprio Zia Ul Haq, in cerca di una base di consenso poiché privo di legittimità, a imprimere una svolta integralista alla legislazione pakistana per assicurarsi l'appoggio della Jama'at-I-Islami ("Società islamica").
Ma fino al 1994 l'uomo di fiducia dei pakistani era un giovane moderato, Gulbuddin Hekmatyar, la cui base sul terreno era però insufficiente ad assicurargli un avvenire nazionale. Fu allora che il governo pakistano, all'epoca guidato da una premier "laica" come Benazir Bhutto e in particolare il suo ministro degli Interni, il generale in pensione Naseerulah Babar, decisero di cambiare cavallo in Afghanistan e di appoggiare i Taliban, fornendo loro cibo, vestiti, armi, combustibile e volontari provenienti dalle stesse madrassas.
Queste scuole insegnavano una dottrina che assomma l'integralismo di origine saudita, il Wahabismo, forgiato nel '700 da Muhammad ibn Abdul Wahab in reazione al lassismo dei costumi, e invece il Deobandismo, così chiamato dal nome del villaggio Deoband, vicino Delhi, in cui si trovava un'accademia islamica che reagiva al dominio inglese con un ritorno alle tradizioni religiose. Con la nascita del Pakistan, il Deobandismo divenne ancora più radicale, soprattutto attraverso l'insegnamento di Abdul A'la Maududi secondo cui l'Islam doveva purificarsi dalla corruzione apportata dal contatto con l'Occidente: e la Jama'at-I-Islami segue proprio le dottrine di Maududi. E' questa versione sincretica di Wahabismo e Deobandismo che professa per esempio Osama Bin Laden, che costituisce egli stesso un caso vistoso di conseguenze non volute: quest'uomo d'affari saudita fu addestrato, finanziato e sostenuto, insomma creato dalla Cia per combattere i sovietici in Afghanistan, ma oggi è divenuto il nemico numero uno degli Usa rivoltando contro di loro le tecniche e le armi che gli stessi Stati uniti gli avevano insegnato e fornito.
L'appoggio di Islamabad alla guerriglia antisovietica prima e ai Taliban poi ha finito così per sortire l'effetto contrario a quello perseguito dall'Isi e dai generali pakistani: invece di pakistanizzare l'Afghanistan, ha finito per afghanizzare il Pakistan a tappe successive. Prima ha creato nel Baluchistan, nella Frontiera del Nord Ovest e nelle province (dette "agenzie") tribali una sorta di terra di nessuno in cui in realtà vige il sistema di vita talibano. E' qui che il nome più diffuso dato ai figli maschi è proprio Osama (come Bin Laden, considerato un eroe). E' qui che i cartelloni ai lati delle strade invitano ad arruolarsi volontari per combattere contro gli indiani in Kashmir o contro i russi in Cecenia. E' nell'agenzia del Waziristan che i taliban pakistani hanno distrutto videoregistratori e televisori come segni della corruzione occidentale. Tredici anni fa Parachinar, capitale dell'agenzia tribale Khurram, era un piccolo borgo di mercato, oggi ha 300.000 abitanti: il tasso di alfabetizzazione è inferiore a quello del Pakistan (33 per cento), ma quello delle donne di Parachinar si aggira intorno all'1 per cento, secondo quanto ha scritto in un reportage l'Atlantic Monthly.
E la totale inefficienza del sistema educativo è il secondo fattore che sta favorendo la talibanizzazione del Pakistan: qui infatti molte scuole elementari esistono solo sulla carta, una sorta di "scuole morte" come le anime morte di Gogol. Le scuole fantasma sono solo uno dei mille rivoli che hanno alimentato la marea della corruzione pakistana: si calcola che i governi civili dei Bhutto e di Sharif abbbiano sottratto al paese 20 miliardi di dollari (quanto alla corruzione militare, essa è ancora più radicata). E' il problema di una classe dominante che non sa essere classe dirigente perché costituita da zamindar, feudatari latifondisti, come i Bhutto, o affaristi senza scrupoli come Sharif. I soldi intascati dalla classe dominante sono stati sottratti alle scuole e agli altri servizi pubblici, ma in questo modo stanno spingendo il Pakistan verso una deriva integralista che fa paura: poiché pochissimi pakistani possono permettersi le scuole private, i più sono costretti a rivolgersi alle madrassas islamiche che svolgono in modo ironicamente paradossale un ruolo di "sussidiarietà" quale quello che l'Unione europea assegna a sé stessa. In queste madrassas entrano perciò bambini pakistani e ne escono taliban, guerriglieri islamici, fondamentalisti.
L'afghanizzazione di tutta una parte del paese rischia di portare ai suoi esiti letali una spaccatura che esisteva già al tempo degli inglesi e che si è aggravata poi. Infatti il paese è diviso almeno in tre aree distinte. La prima a meridione, intorno alla foce dell'Indo, è il Sindh con Karachi, oggi una metropoli di 14 milioni di abitanti che al tempo degli inglesi era solo un piccolo avamposto sul mare arabico. Ma proprio la Partition ha riversato qui milioni di rifugiati musulmani dall'India, i cosiddetti mohajirs che negli ultgimi 20 anni hanno sviluppato un proprio movimento nazionalista che confligge con un irredentismo sindi. Dalla metà degli anni '80 più di 5.000 persone sono state uccise negli scontri tra sindi e mohajirs.
La seconda area è quella, più a nord, a est del grande fiume Indo e che comprende tutto il Punjab pakistano, con capitale Lahore, dove si respira un'aria indiana e dove ha origine la parte più colta della classe dominante. Qui l'integralismo islamico è veicolato dall'irredentismo kashmiro. Le file dei "volontari" che vanno a combattere contro l'India sui ghiacciai himalayani sono sempre più ingrossate dai taliban e dai giovani usciti dalle madrassas.
La terza, sempre a nord, è quella a ovest dell'Indo dove dominano i montanari pashtun con i loro turbanti scuri o berretti piatti, ma dove vivono anche baluchi con i grandi turbanti bianchi (i baluchi sono turco-iraniani mentre i pashtun sono indo-ariani), e poi usbeki e Shia Hazaras, discendenti dei mongoli di Gengis Khan: qui si respira l'aria dell'Asia centrale, da Samarcanda all'Uzbekistan, e il mondo a così forte impronta hindu di Lahore e di Islamabad è a distanza siderale. Il problema del Pakistan è che né gli inglesi prima, né la borghesia punjabi poi sono mai riusciti ad avere un controllo effettivo a ovest dell'Indo: in definitiva, nel corso di una millenaria storia, gli invasori hanno sempre traversato il Khyber Pass da nord-ovest verso sud-est, e mai nella direzione contraria.
Il Pakistan è perciò di per sé un'entità artificale, astratta, pronta a disgregarsi, a diventare una nuova Jugoslavia, per usare un'espressione dell'Atlantic Mountly. Una Jugoslavia però di 145 milioni di abitanti e dotata di armi atomiche. E per di più talibanizzata. E questo è l'esito di decenni di ferreo controllo militare, di dominio dell'esercito. Un potere che si rivela illusorio, come in un gioco di ombre, dove chi è convinto di controllare è in realtà manovrato e chi si sente burattinaio è tirato per i fili. Viene da pensare che Benito Cereno sia non solo uno straordinario personaggio dell'omonimo racconto di Herman Melville, ma sia una metafora di ogni potere forte sulla terra. Ogni mossa dei militari per fare del Pakistan una grande potenza regionale dischiude invece sempre più il baratro in cui sta precipitando. Con buona pace del generale Pervez Musharraf.
 

Convocazione del
«Primo incontro internazionale di solidarietà e per la pace in Colombia e in America Latina»
 
San Salvador, El Salvador, del 20 al 22 luglio 2001
 
I seguenti firmatari, José Saramago, Premio Nobel della Letteratura, Portogallo; Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel della Pace; Vescovo Pagura, Presidente del Consiglio Mondiale delle Chiese, Argentina; Prof. Heinz Dieterich, Presidente del Foro por la Emancipación e Identidad de América Latina, Messico; Prof. James Petras, New York State University, USA; Prof. Noam Chomsky, MIT, USA; Dott. Ramsey Clark ex procuratore generale, USA; Mumia Abu-Jamal, Prigioniero Politico, USA; R. James Sacouman Professore dell'Acadia University Wolfville, Nova Scotia; Henry Veltmeyer Professore della Saint Mary's University Halifax, Canada; Ahmed Ben-Bella Ex-presidente dell'Algeria e presidente del parlamento arabo, Algeria;
 
RITENENDO
 
1. Che il Plan Colombia rappresenta, alla fin fine, un intervento militare diretto degli Stati Uniti negli affari interni di uno Stato sovrano latinoamericano, la Repubblica della Colombia, all'interno delle linee guide fissati dalla Dottrina Monroe, dal Corollario Roosevelt, dell'annientamento del governo legittimo di Salvador Allende in Cile, delle continue aggressioni al governo Sandinista in Nicaragua, della partecipazione diretta alla guerra centroamericana e la continua ostilità contro Cuba, con il mantenimento dell'embargo commerciale criminale, e nonostante i pronunciamenti delle Nazioni Unite;
 
2. Che tale intervento costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale, del diritto di autodeterminazione dei popoli e una minaccia per la pace e la stabilità nella regione;
 
3. Che, per sua natura di piano di contrinsurgenza, il Plan Colombia è diretto in primo luogo contro la popolazione civile colombiana ed ha, come fine immediato, distruggere o neutralizzare la resistenza di tutti i soggetti sociali che si oppongono al progetto di ristrutturazione neoliberale delle economie colombiana e latinoamericana;
 
4. Che il Plan Colombia, in realtà è un piano militare che coinvolge i paesi della regione - attraverso la cosiddetta Iniziativa Andina - e li compromette in diversi modi all'intervento, ed è diretto, senza alcun dubbio, al controllo dell'area amazzonica, vulnerando la sovranità di questi paesi. Pone in pericolo il consolidamento del processo diretto dal Comandante Hugo Chavez, in Venezuela, e colpisce i paesi latinoamericani coinvolti nel processo di pacifico sviluppo democratico;
 
5. Che il Plan Colombia, in quanto piano bellico, costituisce il principale ostacolo alla ricerca di soluzioni al conflitto colombiano che siano diverse dalla guerra;
 
6. Che, inoltre, produce la deportazione massiccia, verso i paesi vicini, della popolazione civile che vive nelle aree sottoposte ad aggressione;
 
7. Che l'uso delle tecnologie belliche più moderne, incluse le armi biologiche contro le piantagioni di coca, costituisce un gravissimo pericolo, dal quale non si può prescindere in qualsiasi analisi si voglia sviluppare, per l'ecologia della zona più importante del mondo, l'Amazzonia;
 
8. Che il piano di intervento militare regionale "Colombia" indebolisce tanto l'integrazione come i  rapporti di buon vicinato tra gli Stati dell'area, e prepara sceneri di guerra, creando incertezza e preoccupazione tra i popoli della regione.
 
RISOLVONO
 
1. Di convocare l'opinione pubblica internazionale e le forze democratiche del mondo, ad appoggiare l'Incontro Internazionale per la Pace in Colombia, che si terrà a San Salvador, dal 20 al 22 luglio 2001;

2. Denunciare e respingere il Plan Colombia e l'allegata Iniziata Andina, come piani di intervento militare degli Stati Uniti, che colpiranno negativamente la convivenza pacifica, la stabilità democratica e lo sviluppo economico dei popoli e degli Stati latinoamericani;

3. Promuovere la solidarietà internazionale dei popoli e dei governi con le lotte del popolo colombiano, che cerca un'uscita al conflitto sociale e armato di cui soffre diversa dalla guerra;

4. Rafforzare i legami di amicizia, integrazione e buona volontà che permettano di perseguire lo sviluppo con la giustizia sociale e la pace;

5. Sostenere i processi di dialogo tra il governo colombiano e le forze guerrigliere;

6. Appoggiare le proposte di sostituzione delle coltivazioni illecite e di lotta contro il narcotraffcio, senza impiego di metodi militari, dato che questi sono fenomeni che colpiscono tutta l'umanità.
 
Firme dei convocanti
 
Organizzato dal Comitato di Solidarietà con la Lotta del Popolo Colombiano, composto da:
 
CISPES - Comité Internacional de Solidaridad con el Pueblo de El Salvador
CIS - Centro Internacional de Solidaridad
FUNDASPAD - Fundación Salvadoreña para la Democracia y el Desarrollo Local
FMLN - Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional
E altre organizzazioni salvadoregne.
 

ZOOM ASSOCIAZIONI 
Nasce il «Cerchio Magico»
 
Segnalo la nascita del Cerchio Magico, piccola associazione di servizi educativi e ricreativi che promuove corsi e laboratori di Comunicazione visiva per bambini, bambine e adulti. Con una pioggia di immagini colorate su foglietti sparsi...abbiamo ideato insieme ai bambini un depliant, in attesa della presentazione dell'associazione che avverrà nel mese di settembre. Per informazioni e per ricevere il depliant: Luciana lbertinato@mbservice.it

SORRISI & CEFFONI
 
LA COLLETTA
 
C'e' un'enorme coda in autostrada. La persona al volante di una macchina comincia ad innervosirsi, e ad un certo punto spazientito abbassa il finestrino ed urla ad un'altra persona che si sta avvicinando a piedi: "Che cosa sta succedendo?"
L'altro gli risponde: "Un gruppo di terroristi ha preso Berlusconi in ostaggio e chiede 10 milioni di dollari di riscatto; altrimenti hanno detto che lo cospargono di benzina e gli danno fuoco. Stiamo facendo una colletta tra tutti gli automobilisti per raccogliere il necessario".

La persona al volante domanda: "Quanto avete raccolto fino ad ora?"

"500 litri" !
 
 
SOS Salvador
Progetto Sorriso

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione avviata un anno fa a San Bonifacio. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.

S.O.S. SALVADOR
 
SERVONO MULTIVITAMINICI
 
Cari amici, il 27 luglio partirà alla volta del Salvador un volontario di Turbigo (Milano), il sig. Claudio Spreafico, che porterà a destinazione -se riusciremo a raccoglierne o acquistarne - anche prodotti multivitaminici destinati, in particolare, ai bambini. I volontari italiani che operano nella capitale presso il Ser.Co.Ba (Servizio Comunità di Base) della più piccola nazione del Centro-America, sconvolta dai terremoti dei mesi scorsi e dalle ripercussioni che essi hanno provocato, ci hanno rivolto una pressante richiesta di aiuto. I volontari di «Progetto Sorriso - El Salvador» hanno già portato ieri a Milano i generi alimentari e soldi raccolti, che saranno imbarcati tra qualche giorno attraverso un container. Non siamo finora riusciti, però, a reperire i prodotti multivitaminici (possibilmente effervescenti) e pertanto chiediamo ai destinatari della presente mail di attivarsi presso i propri medici, rappresentanti di farmaci, strutture ospedaliere, farmacie ecc. affinché si riescano a raccogliere i suddetti prodotti. Inutile dire che tale impegno potrebbe certamente salvare la vita o allontanare gravi malattie dovute a scompensi alimentari. Nel ringraziare quanti hanno finora collaborato in vari modi, vi ricordiamo che è possibile anche versare il proprio contributo economico che, per l'occasione, sarà destinato all'acquisto immediato di prodotti multivitaminici qualora non si riuscisse a raccogliere quanto sperato. In caso contrario, le devoluzioni   andranno comunque destinate all'acquisto di prodotti di prima necessità.
 

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per contatti
Amedeo Tosi
loc. Praissola 74/b
37047 San Bonifacio (VR)
il GRILLO parlante: grilloparlante@mbservice.it

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