Testo di Francesco De Bartolomeis:

Hannes Hofstetter

Viaggio nell‘ambiguità dell‘essere
Una tappa

Una piccola frazione di Envie nella zona collinare del Saluzzese, tappa da due anni dell‘inquieto e intenso viaggiare di Hannes Hofstetter. Non fuga dalla città quella del pittore tedesco ma bisogno di cambiare luoghi e punti di osservazione per rinnovare e estendere le sue esperienze, non solo ai fini dell‘arte.
E allora è naturale che il tema centrale della sua ricerca sia l‘oggi per cercare risposte ai grandi problemi dell‘esistenza, come è naturale che egli non indulga a facili opposizioni tra humanitas e tecnica. In luogo di opposizioni che portano a discorsi arretrati, Hofstetter individua i tanti modi di essere dell‘ambiguità, che è tutt‘altra cosa perché assegna all‘uomo un ruolo attivo per trarne il maggior numero possibile di elementi positivi. Dunque una matrice di passione culturale e sociale senza la quale non si spiega il suo lavoro più propriamente artistico.
La tecnica può essere un fattore di grande rinnovamento e contribuire a modificare la condizione di chi si ritira in campagna per ritrovare sensazioni più vive dei fatti naturali, ritmi di attività che contrastino l‘abbondante confusione degli stimoli. Niente in Hofstetter dell‘atteggiamento disarmato o ostile di molti miei amici pittori verso la tecnica. Egli si serve con perizia professionale del computer, dello scanner, di Internet. E tutto questo contribuisce a superare l‘isolamento fisico, a fondare il suo lavoro sui collegamenti con il mondo. La vita quotidiana non meno della pittura è il terreno su cui costruisce nuovi rapporti, sperimenta approfondimenti di significati.
Dicevo della sua tappa sulle colline piemontesi. Sì, perché Hofstetter ha cominciato a viaggiare da giovanissimo, sempre trovando nei nuovi luoghi motivi di esperienze che segnano in modo evidente lo svolgimento delle sue ricerche. Prima in Germania, poi negli Stati Uniti (nel 1971) dove, tra l‘altro, si occupa di cinema, nello Yemen, nel Sudan, in Egitto. Ora nella frazione di Envie incontro un viaggiatore non in sosta ma attivissimo nell‘aprirsi a nuove avventure.
Certo osservare attentamente le opere; collegarle alle origini della ricerca; individuare sviluppi e svolte. Ma con i soli criteri interni non riusciamo a capire come hanno preso consistenza sulla carta e sulla tela immagini che abbiano valore espressivo rispetto alle esperienze complessive dell‘artista. Dobbiamo conoscere i luoghi del suo lavoro, le ragioni che hanno portato l‘artista a considerarli coerenti con il modo in cui vuole vivere e con ciò che vuole esprimere.
È tutt‘altro che raro che un artista, in accordo con la compagna che ne diventa essenziale collaboratrice, si allontani dalla vita urbana, e non si limiti a scegliere un piccolo centro ma spesso si isoli in campagna. Ma è proprio isolato chi può osservare dimensioni e fatti che in città sfuggono, quelli della natura e dei suoi particolari? O piuttosto il suo studio è più ampio? Luci, colori, atmosfera, mutamenti di abitudini di vita, contatti più diretti con cose e persone immergono l‘artista in una vitalità, in scansioni di tempo, in dimensioni di spazio che gli forniscono un materiale che non ha trovato altrove. Inoltre, come ho notato, la familiarità con le tecniche di comunicazione consentono un reale ampliamento di partecipazione. Hofstetter vive l‘esperienza nel nostro paese senza la minima chiusura. A parte i frequenti viaggi in Germania, egli ha interessi e mezzi tecnici per collegarsi ordinariamente con il mondo.

Diario di viaggio

In fondo lo sviluppo della produzione di Hofstetter è una sorta di diario di viaggio, in cui registra e cerca risposte per i grandi problemi del nostro tempo nei quali vede fusa la sua esistenza. E non sfugge al compito di chiedersi quale senso possa avere il servirsi del mezzo della pittura. Non può farlo che continuando a dipingere.
È la prima cosa che si nota. La sua attenzione per ciò che in fatto di arte avviene in Europa e negli Stati Uniti non lo porta mai a subire influenze. Sono stimoli a cui risponde in modo originale affrontando il compito difficile di mettere nelle sue tele il complicarsi della cultura, dell‘informazione, della vita sociale.
Egli si trova all‘incrocio di molte innovazioni in cui l‘arte ha respinto rifugi estetici e ha accettato di mescolarsi ai mutevoli problemi della vita: action painting, pop art, land art, arte come „scultura sociale“ (Beuys). E di Beuys nel 1967, Hannes, poco più che ventenne, frequenta i corsi alla Kunstakademie di Düsseldorf.
Il rapporto con Beuys è particolarmente importante proprio perché nell‘opera di Hofstetter non c‘è nessuna traccia di influenza diretta. L‘influenza è di problemi, di idee riguar-danti non solo la funzione dell‘arte. Tra l‘altro per Beuys arte, scienza e tecnica devono collaborare. Il tema non è nuovo ma nuovi sono i suoi sviluppi degli ultimi anni.
Il forte radicamento della ricerca artistica non solo nelle idee e nella riflessione ma anche nei fatti spiega il costituirsi delle opere di Hofstetter in cicli. Mi riferirò a cicli dell‘ultimo decennio circa. Non sono pochi. „Schedari“ („Akten“), „Costellazioni“ („Sternzeichen“), „Tumuli“, „Scritture“ („Schriften“), Bel mondo nuovo („Schöne neue Welt“), „Metalli“ („Metalle“), „Pietre“ („Steine“). Dai cicli si distaccano alcune opere di grande interesse.
Proprio su una di esse voglio aprire non tanto un‘analisi quanto un rapporto in cui la partecipazione empatica abbia lo stesso peso del lavoro critico. Un‘opera rappresentativa e complessa sia per i significati sia per la costruzione più propriamente pittorica: „Elemente“ 1988. Mi colpisce anzitutto il tipo particolare di architettura. I blocchi, percepiti dapprima come solidi, sono instabili perché recuperano non irreversibilmente la bidimensionalità. E quindi il movimento cambia. Porta in lontananza, in profondità e si distende in avanti. Rispetto a questi eventi non è possibile avere il ruolo di spettatore frontale. si é inevitabilmente dentro, dove comincia una nuova avventura. Dalle forme ai segni. E coesistono segni alchemici con formule matematiche, lettere dell‘alfabeto greco con cerchi, ellissi, orbite. Elementi del mondo e della mente.
La tecnica mista predomina come rigorosa scelta stilistica. È una necessità per l‘artista servirsi dei materiali più diversi: dagli acrilici ai materiali extrapittorici che cercano di portare nel quadro elementi veri, anche se trasmutati, dell‘ambiente di vita. Caratterizzano lo stile anche i grandi formati; hanno in sé una illimitata espansione di spazio.
Negli approfondimenti e nelle penetrazioni in strati nuovi c‘è coerenza non lineare e univoca. Lo impedisce l‘ambizione di rapportarsi attivamente alla realtà, di esplorarla, di innal-zarsi verso il cielo (il ciclo „Costellazioni“) o di calarsi nel sottosuolo (il ciclo „Metalli“). L‘ambiguità è non atteggiamento soggettivo ma necessità per non lasciarsi sfuggire contraddizioni, complessità, conflitti del reale, espressione contrastata di forza per fronteggiare i problemi del proprio tempo.
I simboli sono sempre aderenti a ciò che della realtà si mette in evidenza e si vuole esprimere. Il ciclo „Schedari“ ha una ampiezza di significati con al centro il senso di un pesante inquadramento e di una oppressiva ripetitività di fatti e di comportamenti che sono al polo opposto di aperture creative sulla vita. L‘effetto è, nel silenzio, fortemente drammatico anche per il rosso scuro che sembra sangue rappreso. Gli schedari chiudono, comprimono, devitalizzano, negano percorsi creativi e portano nel buio del già fatto e del già noto. È simbolo che si amplia e dal grigiore della vita quotidiana porta coattivamente a cose da non dimenticare, alla memoria della segregazione e del concentramento.
Il negativo non dilaga, non è pessimismo che occupi tutta la scena. Trova sempre il contrappunto in ciò che è positivo. Alla ripetitività degli schedari si contrappone, ad esempio in „Speicher“ 1989 („Magazzino“, ma anche la memoria del computer), l‘allineamento delle forme architettoniche che si spinge liberamente in alto. L‘esplorazione della materia, della natura è incessante e ha la stessa necessità della esplorazione dei fatti e delle ragioni della vita sociale.
Poco più avanti un‘opera del 1991, che ha grande e misteriosa intensità, trae da un lutto personale riflessione e emozioni più generali. „Aldiquà aldilà“ („Diesseits jenseits“): la vita e la morte, il piacere e il dolore, la concentrazione e l‘espansione. La varietà dei materiali è discreta, silente, smorza i toni delle opposizioni, e le forme non accettano significati univoci.

Lenta decodificazione

Non si toglie proprio niente al valore estetico e emotivo se si afferma che a cominciare dalle opere che costituiscono il ciclo „Costellazioni“ sono necessari uno studio attento e prerequisiti culturali. Inutilmente in queste opere ricercheremmo una immagine con una immediata unitarietà. Dobbiamo fare all‘incirca quello che ha fatto l‘artista: costruire.
Se „Scritture“ è il titolo di un ciclo particolare, il termine si addice a tutte le opere proprio perché la grande quantità di segni richiede una lenta decodificazione. È come dire che con queste opere bisogna essere preparati a fare una lunga esperienza, così che esse si rivelino a poco a poco. Solo alla fine si può tentare di avere una non quietata visione di insieme.
Le „Costellazioni“ del 1991 traspongono forme e segni con grande rigore compositivo. Cielo, terra, acqua hanno un loro ordine, ma è quello nel cosmo in cui mancano gli abitudinari punti di riferimento. Il filo a piombo nel centro del quadro punta su un angolo ma non vuole controllare una direzione. Alla ambiguità partecipa anche la circonferenza che non ha la funzione di delimitare spazio (le costellazioni si espandono anche all‘esterno). Si può anche pensare a un rovesciamento: al di sopra delle costellazioni si vede la Terra con ritmi dissonanti di partizioni. Le fenditure sulla sinistra del dipinto, che aprono su parti di cielo e di terra nella contemporaneità del giorno e della notte. Un‘audacia nella rappresentazione dello spazio-tempo che complica ulteriormente il punto di vista sul cosmo.
Meraviglia, attesa e poetico disorientamento trovano assonanza nella scritta nella parte alta del quadro, versi di una poetessa tedesca, amica dell‘artista: «e quando nel cuore dell‘infinito/danzano le molecole/e la memoria cosmica esplode nello spazio/allora risplendono nuove stelle».
Del 1992-93 il ciclo delle „Scritture“: una sorta di Pantheon dei codici di comunicazione. Dalla pittografia egizia, al greco, all‘ebraico, all‘islamico, da antiche scritture cuneiformi a scritture di civiltà considerate minori. Le scritte si fanno graffiti e coprono anche le pietre dove il tempo si congiunge all‘atemporalità. Le variazioni di ocra sono terra, muro, pagina. In „Scritture II“ 1993 i segni si infittiscono, pennellate di bianco e di verde interrompono la dominante ocra e intervengono con molta discrezione colature: un movimento che per rigore compositivo trova con successo una soluzione nuova.
Diremmo che con „Tumuli“ del 1994, in carboncino o con tecnica mista, l‘artista si sia concessa una pausa con l‘adozione di soluzioni fortemente unitarie e serrate. In verità si tratta di opere molto impegnative non solo per i simboli ma proprio per la loro realizzazione pittorica che varia da un‘opera all‘altra. È come se dall‘illimitata iterazione degli „Schedari“ e dalla estrema eterogenietà delle „Scritture“ e dalla co-smicità delle „Costellazioni“ l‘artista avesse voluto sostare in luoghi definiti e raccolti. Ma i tumuli non lo sono: nascondono? proteggono? minacciano? Una risposta univoca è semplificazione che contraddice l‘enigma.
I tumuli sono costruiti con pietre trovate e grezze ma non inerti, venute dal cielo o portate alla luce da forze interne della natura. Inoltre l‘ammucchiare pietre è rito magico: insieme le pietre si rafforzano e stabiliscono un rapporto con la terra. E ancora: il tumulo è tomba o monumento (memoria) o indica la direzione e la tappa di un viaggio. Anche in questo caso il richiamo all‘ambiguità non è elusivo perché riguarda lo stato delle cose e i molti significati che esso assume per l‘uomo.
Si cade nel contenutismo se si punta unilateralmente sui simboli e non si avverte che le difficoltà di decodificazione si concentrano soprattutto nei valori pittorici che raggiungono soluzioni alte sia nel trattamento del colore e della materia (le molte variazioni di stesure) sia nella capacità di dare esistenza artistica allo spazio-tempo.

Il nuovo mondo

Del resto già nel 1992 Hofstetter aveva iniziato studi per il ciclo „Schöne neue Welt“ . Per l‘artista il mondo nuovo è „schön“, bello, per dire che sono state fatte e si fanno cose per la quali la vita è una complicata e contraddittoria avventura positiva. Egli riprende il titolo del romanzo „Mondo nuovo“ (1932) di Aldous Huxley in cui c‘è una dura critica della società dominata dalla tecnologia. Hofstetter non ha una fiducia cieca nella tecnica (e gli vale il pensiero di Adorno), ma sa che la negatività è rinuncia, unilateralità che esclude da una grande varietà di cose «belle».
Dicevo degli studi. Sono schizzi affascinanti che ripercorrono le invenzioni tecniche e le scoperte e le teorie scientifiche dell‘uomo, dalla scheggiatura della selce alla filatura e alla tessitura, dalla lavorazione dell‘argilla all‘invenzione della ruota, dai graffiti delle caverne alla fusione dei metalli fino al DNA, ai modelli atomici, ai missili e ai circuiti stampati dei computer. Una sorta di tavole didattiche. Ernst utilizzava quelle esistenti; Hofstetter le crea e le compone lungo una spirale che è lo svolgimento del tempo. Le realizzazioni pittoriche, anch‘esse di grandi dimensioni, sono del 1993-94.
La visione di insieme produce un disorientamento che ha, per così dire, una funzione preparatoria. In fondo è bello lasciarsi prendere da segni, forme, rapporti senza preoccuparsi fin dall‘inizio dei loro significati. Ma poi inizia l‘avventura di continue scoperte. Gli elementi salgono dal fondo (la preistoria) verso l‘alto. La spirale, il cui andamento è frequente nel regno vegetale e animale, è simbolo molto complesso. Vi coesistono evoluzione a partire dal centro e involuzione come ritorno al centro. Seguendo la spirale si incontrano i segni delle successive invenzioni fino ad arrivare alle scoperte scientifiche e alle tecnologie avanzate dell‘oggi. Ma resta enigmatico il senso più profondo di tutto questo per l‘uomo.
L‘artista supera la difficoltà di dare qualità pittorica a un filo narrativo così ricco di riferimenti storici. Le soluzioni stilistiche sono diverse, come è evidente nel confronto di „Schöne neue Welt“ I 1993 e „Schöne neue Welt II“ 1994.

Metalli pietre televisori

Se non si tiene conto del fatto che l‘ambiguità è la strada obbligata per arrivare a valori positivi, non si vedono nella produzione del 1997 ulteriori sviluppi. La complessità delle nuove opere, anche se non è accentuatamente visuale come nelle precedenti (gremite di segni e di forme), diventa più nascosta ed essenziale.
Lo vediamo nei due cicli, molto diversi: „Metalli“ e „Pietre“. È come se l‘artista avesse isolato e ingrandito con lo zoom dei particolari per penetrarne la sostanza, e presentare la materia sia elaborata sia lasciata nel suo stato naturale. Ma anche i metalli non sono soltanto materia: entrano nella vita cosmica come ciò che è nascosto, da portare alla luce, da lavorare. È la vita del sottosuolo che si rivela solo parzialmente come l‘intricato e stratificato sottosuolo dell‘interiorità umana.
„Metalli“. Alluminio, zinco, piombo, rame come lastre regolari e no, lucide o opache ma anche catrame, trucioli di legno, sabbia, feltro (non è un omaggio a Beuys), colle, pigmenti. In ogni caso l‘artista è lontano da ogni effetto illusionistico, e non finge con i materiali extrapittorici i materiali pittorici. Il bisogno di realtà è la maggiore risorsa dell‘inventare.
„Pietre“. Ai loro simboli abbiamo già accennato. Le opere del ciclo rappresentano pietre tagliate e solcate verticalmente da incisioni che hanno un ritmo regolare a cui partecipa anche il colore: ocra, verde chiaro, bianco. Il peso che radica al suolo i grandi massi sovrapposti trova corrispondenza in una sorta di scala che porta in alto senza fine. È in questione la volontà, la progettualità e l‘azione dell‘uomo rispetto a una materia in attesa di interventi architettonici che costruiscano il“nuovo mondo“.
Non solo nelle interpretazioni cosmologiche più remote ma anche nelle realizzazioni artistiche di Hofstetter „Pietre“non sono in contrasto con „Metalli“, opere lontane da soluzioni informali, pur nella accentuata eterogeneità dei materiali e del loro trattamento. Le forme regolari che mettono in evidenza il tipo di metallo sono frequentissime, a conferma del forte carattere costruttivo di tutta la produzione dell‘artista. Lo spazio delle cose, con i mezzi della pittura, si fa spazio di pensieri e di emozioni.
In genere l‘interpretazione simbolica è estensiva, accoglie molti significati contraddittori. Non bisogna insistervi per non sopraffare i valori più propriamente artistici. Certo il vantaggio di mettersi sulla strada dei simboli è la scoperta di una continuità tra cose non solo diverse ma opposte. E cosi i metalli hanno vicende cosmiche come le pietre naturali o lavorate dall‘uomo. Ma si rischia di mettere l‘artista sullo sfondo della vita dei simboli. E invece lo stile, in cui si riassume la qualità espressiva originale, è dell‘artista e non dei simboli.
Da „Metalli“ e da „Pietre“, che impropriamente sarebbero definiti cicli naturalistici, Hofstetter ritorna più esplicitamente all‘uomo e all‘oggi. In „Televisori“ 1997 dodici monitor finti trattengono persone, eventi, cose sotto la copertura di spessa gelatina. Le immagini danno il senso di freddezza e di estraneità, di una contemporaneità casuale, senza legami. Immagini convenzionali, miti di consumo in cui sono protagonisti l‘ottimismo superficiale e l‘euforia che tenta di nascondere più o meno consapevolmente il vuoto e il disorientamento. È il comunicare indifferente, ma non senza disagio, dello zapping, dei veloci contatti con immagini di cui non interessa valutare l‘importanza.
Ma non è questa l‘idea conclusiva dell‘artista sulla condizione umana. Egli non si sente solo, non insiste nelle denunce, rimette al centro il gusto della scoperta e della costruzione; sa che sono moltissimi gli uomini che come lui continuano a ricercare ostinatamente nell‘ambiguità inesauribili risorse positive.
Francesco De Bartolomeis


1"Speicher", 1989
2 Vita
3"Schriften II", 1992________________"Elemente", 1988
4 "Televisori", 1998

5 'Atlantis", 1988___________________"Metalli",1997
6 'Schöne neue Welt I", 1993________"Schöne neue Welt II", 1994
7 "Akten", 1989
8 "Aldiqua aldila", 1991______________"Costellazioni", 1991

9 "Bett",1989
10 "Notte trasfigurata',1989
11 "Die Muehe des Sisyphus II", 1998
12 Atelier
13 testo di Francesco De Bartolomeis___ Text von Francesco De Bartolomeis
14 testo di Paolo Rizzi__ Text: Paolo Rizzi