Capitolo VIII: La cittadella del Corvo

 

Mentre il messo bussava alla porta del padrone, pensò che probabilmente si sarebbe adirato con lui, per averlo disturbato in quel momento: temendo un ira nei suoi confronti, mentre entrava cercò di farsi il più piccolo possibile e con poca voce, fece quello che doveva fare.
Fortunatamente Lord Manshoon era particolarmente interessato alla notizia che aveva portato e per questo il messo era felice: gli dolevano fin troppo le piaghe sulla schiena che gli erano state inflitte solamente perché aveva portato una brutta notizia dal padrone.
- E così gli impiccioni si sono spinti a nord?, chiese Lord Manshoon.
- Si, e sembra che adesso siano a Teshwave.
Lord Manshoon voltò le spalle al messo che gli aveva portato la notizia e pensò, scrutando la fortezza sotto di lui: quel gruppetto aveva osato intervenire con i piani suoi e di Kurastan e una delle sette li aveva protetti, a costo della propria libertà. Loro erano sicuramente arpisti, che stranamente stavano viaggiando nei territori occupati da Zhentil Keep: la cosa non era per nulla strana, ma che fossero arrivati così a nord, con una semplice carovana, era già un problema di per sé: ordinò che i prigionieri fossero portati da lui, alla cittadella del corvo. Se sapevano qualcosa, lo avrebbe scoperto. 

Quando Dobos si svegliò, le prime immagini che i suoi occhi gli trasmisero erano simili ad un sogno: era in catene ed era chiuso in un carro che stava attraversando una passo innevato: aveva la testa che gli doleva e gli faceva male tutto il corpo. Mentre lottava con la stanchezza e con il sonno, cercò gli altri e vide che erano tutti li: Falagar, Grifis, Ras e il chierico dalla strana acconciatura, Naunt. In un angolo c’era anche uno di quei due maghi che li avevano fatti arrestare.
Dobos, facendo leva con le mani, cercò di mettersi in piedi, ma sentì la ferita della freccia alla gamba destra: quei bastardi non avevano nemmeno avuto la cura di toglierla dalla sua gamba! Mentre cercava un modo poco doloroso per togliersi la freccia dalla gamba, una voce venne in suo aiuto:
- Credo che sia meglio se tu lasci fare a me, disse Naunt, dopo aver visto la ferita di Dobos.
Dobos scrutò l’uomo e realizzò di non sapere come trattarlo: era quasi certamente un chierico di Liira, e quindi sapeva farci con le ferite: almeno non era un chierico di Helm.
- Grazie, .. ma noi non ci siamo ancora presentati, il mio nome è Dobos!
Detto questo Dobos, si avvicinò a carponi al compagno, che nel frattempo stava invocando il potere della sua dea: la freccia si sfilò facilmente e la ferita cominciò a rimarginarsi velocemente, anche se il dolore durò abbastanza affinché Dobos si svegliasse dal tutto.
- Non serve che tu mi ringrazi, Dobos: il mio nome è Naunt Dohan di Aragon e sono felice di poterti dare una mano.
Detto questo Naunt raccontò una barzelletta, che mise di buon umore Dobos: quel tipo gli piaceva. I suoi pensieri tornarono cupi quando guardò i compagni: erano stati catturati e disarmati; in più con loro non c’erano ne Zeross, ne Eric. Che fine avevano fatto? Che fossero morti nello scontro con le guardie?
- Dobos, vieni qui a vedere il tuo amico: sembra che stia molto male e io non riesco a fare nulla per lui, disse Naunt.
Dobos cercò di avvicinarsi il più possibile al corpo di Falagar, ma le catene gli impedivano di muoversi e perciò vedeva ben poco. Falagar sembrava delirante: come se stesse sognando un incubo ad occhi aperti. Dobos si chiese che cosa era successo al suo amico mentre era stato portato via dal drago: Falagar non era certamente l’uomo più coraggioso di Toril, fatto per cui non poteva aver rimosso lo shock così velocemente come aveva tentato di far credere.
Naunt si rassegnò e utilizzò le ultime forze di quel giorno per cercare un po’ di acqua per Falagar: ogni tentativo di attirare l’attenzione delle guardie era inutile: aveva solamente svegliato Grifis.
- Grifis, riesci a capire dove siamo?, chiese speranzoso Dobos
Grifis, ancora mezzo addormentato, si sollevò e sporgendosi dalle inferriate della minuscola finestrella del carro (per quanto gli concedessero le catene), vide solamente il costone di una montagna: su di essa spirava un vento gelido e sembrava che il carro stesse viaggiando nel bel mezzo di una bufera di neve.
- Non ho la più pallida idea di dove possiamo essere, disse con voce rauca Grifis
Ras, che stava seduto in un angolo del carro, disse con tono calmo:
- Stiamo viaggiando verso nord e, per quanto ho capito dalle conversazioni delle guardie, ci stanno portando alla base degli Zhentarim, alla cittadella del corvo.
Dobos e Grifis si guardarono e Ras, sospirando cominciò a parlare:
- Dovete sapere che durante il periodo dei disordini, quindici anni fa, mentre gli dei camminavano su Toril, Zhentil Keep era sconvolta da avvenimenti sovrannaturali; la città era nel caos più totale, per le lotte per la supremazia delle varie fazioni. Gli Zhentarim decisero dunque di trasferire la loro base operativa in luogo lontano, di cui potessero essere i soli dominatori in totale sicurezza. Per questo costruirono la cittadella del corvo ed, insieme ad essa, un complesso di fortezze che isola, di fatto, i territori del nord da Zhentil Keep.
Quando Ras smise di parlare, tutti si incupirono, tranne Naunt, che mantenne il suo solito sorriso, cercando con tutta la sua abilità (come gli era stato insegnato dal culto di Liira), di essere comunque ottimista e allegro: incitò pure una preghiera di gruppo, ma con scarso risultato.
All’ennesimo tentativo del sacerdote, il mago lo zitti:
- Smettila prete!
Dobos si voltò di scatto verso il mago, avendolo dimenticato momentaneamente: la veste dell’uomo, di un color verde marci, era parecchio logora dopo essere passati per la prigione e per quel viaggio. Le guardie gli avevano certamente preso il libro di incantesimi (come del resto avevano fatto con Falagar) e per questo era totalmente indifeso: solamente le magie che erano ancora impresse nella sua mente lo potevano salvare dalla fine che li aspettava tutti.
- Che cavolo vuoi?, rispose Naunt incollerito. Prima grazie a te e al tuo amico finiamo dietro le sbarre, poi, mentre ognuno di noi cerca di dare una mano, tu te ne stai nel tuo angolo a pensare solo a te stesso. Ma chi ti credi di essere?
- Il mio nome è Eridian e sono un incantatore, che potrebbe anche non salvarti, se non te ne stai buono e non pensi a quello li, disse Eridian indicando Falagar.
Naunt si tenne la risposta che voleva dargli nei denti, e si girò verso Falagar, che stava peggiorando a vista d’occhio.
- E dicci, Eridian, come mai quelle guardi vi inseguivano? Non pensi che dovremmo almeno sapere perché stiamo finendo nel più grande ricettacolo di individui malvagi delle terre centrali ?, chiese Ras.
Grifis e Dobos annuirono alla domanda di Ras e si tenevano pronti ad ogni evenienza: quell’Eridian non li rendeva per nulla tranquilli.
- Sarà un piacere. Bene, vi basti sapere che io sono un mago buono (e non malvagio!) e che uso le mie arti solo a fin di bene. Si dia il caso che, la notte in cui ci siamo incontrati, io e il mio amico Menentrex, stavamo cercando il modo di liberare Teshvawe dagli Zhentarim. Quei loschi individui hanno proibito la magia in città solamente perché temevano che qualcuno potesse scoprire la verità, cioè che nelle vicinanze Teshvawe è nascosto un potente oggetto magico: qualsiasi mago che avesse usato il più semplice degli incantesimi si sarebbe accorto della potenza dello stesso. Per questo noi stavamo cercando alcune informazioni, quando le guardie ci hanno scoperto e siamo dovuti scappare verso la foresta. Menentrex non ce l’ha fatta e, beh, il resto lo sapete.
Ras non riuscì a chiedergli che razza di oggetto magico fosse, perché Naunt richiamò la sua attenzione: Falagar stava molto male e sembrava ad un passo dalla morte.
- Ras, dobbiamo unire le nostre preghiere, finché possiamo fare qualcosa per lui!, disse Naunt
Ras, annuì ed insieme cominciarono a pregare e, mentre Naunt disegnava nell’aria simboli invisibili, Ras stava imponendo le mani sul capo di Falagar, sperando che potesse servire a qualcosa.
- Ehi, voi che diavolo state facendo?, chiese una delle guardie da uno degli spioncini del carro.
- Il nostro amico sta male grazie a voi!, disse furibondo Grifis.
La guardia guardò per un attimo l’uomo e poi si mise a ridere: chiuse lo spioncino e tutti sentirono che il carro si fermava.
- Naunt, Eridian, potete aiutarci contro quelli?, sussurrò Dobos
- Purtroppo sia io che Ras abbiamo esaurito le forze, ma in compenso Falagar sta già meglio, disse Naunt.
- Da me non aspettatevi nessun aiuto, in questo momento: sarò io ad aiutarvi nel momento giusto, sentenziò Eridian.
Dobos si trattenne dal dargli un cazzotto in faccia, dato che le porte del carro si stavano aprendo: ben sapendo che non ci sarebbero state altre occasioni si preparò assieme a Grifis ad aggredire la guardia, ma fu ben altro ad aggredire loro. Una bufera di neve si era scatenata all’esterno: il vento e la neve entrando nel carro bloccarono tutti. 
- Scendete voi tre (indicando Ras, Grifis e Ras): e non sognatevi di fare scherzi, intesi? Qui sulle montagne non sopravvivreste più di un giorno!, urlò la guardia.
I tre obbedirono e videro che le guardie erano dieci, ben armate e molto attente; davanti e dietro al carro ve ne erano quattro, con le spade sguainate, mentre dall’altro lato si estendeva un precipizio. Le guardie obbligarono i tre a rimuovere una piccola frana che aveva ostruito la strada: il freddo glaciale dopo pochi minuti aveva già indolenzito i muscoli dei tre. Ogni sogno di fuga doveva essere rimandato.

Quando tornarono sul carro s’erano rimediati un bel raffreddore e un generale torpore: mentre Naunt cercava di aiutarli alla male peggio, Eridian sentì un brandello di conversazione tra le guardie, grazie alla magia:
- Ma sei imbecille? Se questi muoiono, Lord Manshoon ci farà a pezzi!
- Stammi a sentire: anche se lui è il capo, questi bastardi devono pagare per quello che hanno fatto: hanno ucciso due miei amici e meritano ben di più che una morte indolore!
- Hai ragione, ma sarà meglio dargli qualcosa da mangiare, prima che muoiano di fame.
Eridian si ritrasse appena in tempo, dato che una delle guardie aprì lo spioncino e, mentre faceva cenno ad un'altra con una mano, si aprì la porta del carro: la guardia gettò dentro alcuni brandelli di carne e una borraccia. Eridian vi fu sopra per primo e nascose prontamente due pezzi di carne nella veste, prima che gli altri potessero dire qualcosa: divise la carne con i suoi compagni di sventura e bevve avidamente dalla borraccia, tanto da meritarsi la ramanzina di Naunt. Non ci fece caso ed invece meditò sulle parole della guardia: “Lord Manshoon”. Interessante: ma come mai il capo degli Zhentarim era interessato a loro?

Quando finalmente le montagne finirono, i carri (Grifis ne contò ben 14!) si inoltrarono in una immensa pianura, oltre la quale si alzava maestoso il grande ghiacciaio, una distesa di neve e ghiaccio ben più grande del Cormyr e della Sembia, a detta di Ras, messi insieme. Mentre procedevano per la brulla pianura, dopo due giorni di viaggio all’orizzonte cominciò a profilarsi una gigantesca costruzione: un’immensa muraglia  impediva di vedere oltre l’orizzonte. Al centro di essa si ergeva una fortezza maestosa, dotata di numeroso torri di difesa: quando i carri si inoltrarono dentro essa, la fortezza si mostrò ai prigionieri per quello che era: una piccola cittadella, nella quale erano radunati un numero assai rilevante di soldati di ogni specie (anche orchi), sotto la bandiera degli Zhentarim.
Il loro carro si staccò quindi dalla colonna, per proseguire diritto verso la costruzione principale della cittadella: la fortezza del corvo. Entrato in un primo spiazzale, il carro si trovò di fronte un portone di sei metri di altezza, che fu aperto, con uno sferragliare di catene, subito. Il carro dei prigionieri fu condotto in uno spiazzale secondario, verso l’edificio, probabilmente più antico, sui cui era stata costruita la fortezza.
- Dove siamo? Perché ci avete condotti sino qui?, chiese impaziente Naunt alla guardia.
La guardia non rispose e si limitò a mettersi un fazzoletto sul volto: aprì dunque la porta del carro e, prima che qualcuno potesse fare qualcosa, gettò all’interno una bottiglietta riempita con un liquido verde, che si ruppe subito. In men che non si dica si sviluppò una nuvoletta verde, che abbracciò Ras, Grifis, Eridian, Falagar e Dobos, addormentandoli.
L’ultima cosa che Ras vide fu il volto deformato della guardia che gli si avvicinava sempre di più. 

Quando Ras si svegliò, era in una stanza molto ampia, nel cui centro c’era una fossa: guardandosi intorno, vide che la stanza era piena di alambicchi e testi di magia. Un uomo gli stava parlando:
- …è un onore conoscere un paladino di Helm, colui che su tutto vigila, disse l’uomo
Ras cercò di visualizzarlo, ma non vi riuscì:una magia agiva sicuramente su quell’uomo ed era un magia decisamente potente! Sentì un lamento a sinistra e vide che non era solo: con lui c’erano anche i suoi compagni.
- Chi sei tu e perché siamo qui?, chiese Falagar.
L’uomo guardò per un attimo il mago e decise di non rispondergli: Kurastan lo aveva pregato di concentrarsi sull’elfo che aveva osato interrompere il loro lavoro, ma non lo trovò, allora infuriato disse:
- Dov’è l’elfo? Perché non è con voi?
Grifis e Falagar si guardarono sorpresi. Mai se ne era andato oramai molto tempo fa!
- L’elfo di cui parli non è più con noi, disse Dobos
Lord Manshoon placò la sua furia: decise di giocare un po’ con i suoi prigionieri. Si diresse verso la sua scrivania e ne estrasse degli anelli, che gettò di fronte ai suoi prigionieri. Mentre Ras e Dobos si guardavano stupiti, Manshoon si diresse verso di lui e cominciò a dire:
- Bene, dato che a quanto ho scoperto non sapete un bel nulla e solamente per caso siete giunti sulla nostra strada, vi offro una possibilità. Indossare quell’anello e vivere o morire.
Detto questo sfoderò un bacchetta e dalle sue mani cominciò a comparire una aura rossastra.
Eridian per primo si gettò sull’anello e lo infilò al dito: non gli successe nulla, subito, ma poi la magia cominciò a fare il suo effetto. Il suo sguardo si tramutò in qualcosa di bestiale e cominciò a ridere a squarciagola, via via che la sua voce si faceva più cavernosa:
- Ah, si il potere: quello che ho sempre sognato si è avverato (Eridian stava già pregustando il momento in cu avrebbe ucciso Manshoon, quando nella sua mente venne cancellato ogni ricordo: il vecchio Eridian precipitò in un abisso senza fondo, dal quale non sarebbe mai risalito…). Chi sarà il primo, padrone, il prete o il guerriero?, chiese rivolto a Manshoon.
Manshoon alzò le spalle, disinteressandosi della questione: stava già volgendo i suoi pensieri ad altre faccende, quando un altro dei prigionieri prese uno degli anelli del controllo della volontà.
- Mi dispiace amici, ma non voglio finire come mio fratello, detto questo Grifis si infilò l’anello e subito divenne più calmo.
Dobos si guardò in torno, disperato, cercando un arma: con un cenno verso Falagar e Naunt, scattarono tutti insieme contro i loro avversari. Purtroppo una barriera magica li divideva: Grifis e Eridian scattarono a loro volta e cominciarono, con forza sovraumana, a strangolare Dobos e Naunt. Gli incantesimi di Falagar erano inutili contro di loro e Ras era disperato. Senza un’arma non ce l’avrebbero mai fatta.
Ras cominciò allora a pregare ad alta voce, attirando l’attenzione di Manshoon: una luce stava infatti comparendo nelle sue mani. Quella luce stava prendendo la forma della spada e, anche se nessuno poteva capire cosa stesse succedendo, Manshoon intuì troppo tardi la verità (troppo tardi anche per ogni incantesimo): il paladino aveva vinto.

- No, quella è la… , furono le uniche parole che Manshoon riuscì a pronunciare, dato che Ras alzò la spada e la luce che formava la lama della spada si espanse, colpendo tutto quello che era in quella stanza.
Quando la luce accecante sparì, Ras ordinò a Dobos di raccogliere Falagar, mentre lui prendeva Naunt: Dobos obbedì e non capendo, lo segui sino fuori dalla fortezza.
Ras brandiva una spada la cui lama era luce pura.

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