Capitolo 13

 

 

ICARO

XIII

 

            La posizione del sole stavolta non lasciava dubbi. Doveva essere mezza mattina, dopo quella notte travagliata e insonne, aggravata dal poco spazio a disposizione che contribuiva a togliermi il respiro.

Da qualche tempo c’eravamo infilati all’interno di un’impervia e selvaggia vallata, sempre più stretta e impenetrabile, tanto da non lasciare intravedere neanche le fosche nubi che si addensavano sopra di noi. Un imbuto, all’apparenza privo di fine, che ci assorbiva sempre più, un impietoso buco nero che mi privava d’ogni risorsa, di qualsiasi forza residua.

Comunque doveva essere mezza mattina.

Ecco, accosta qui” comandò Rebeccà.

Subito dopo l’ennesima curva da voltastomaco, Roberto eseguì diligentemente l’operazione, fermando l’auto sul limitare destro della carreggiabile.

Bene, è arrivato il momento di salutarci. Grazie di tutto” disse lei.

Aspetta” la pregò lui, afferrandola per il braccio sinistro mentre si apprestava a scendere “posso venire con te?

Ma sei pazzo?” quasi l’aggredì “devi andare a cercare la tua ragazza. Hai ancora molta strada da fare.

- Ben detto – approvai incondizionatamente. Ognuno per la sua strada. Ma era ormai evidente che Roberto una strada proprio non l’aveva, che era in completa balia del destino, di quella donna e, per l’ennesima volta purtroppo, io con lui.

E poi non puoi venire così conciato” continuò Rebeccà, osservandolo da capo a piedi quasi con ribrezzo “per andare su occorre un minimo di attrezzatura. Troveremo freddo e parecchia neve.

Lui non disse nulla. Mollò il braccio della ragazza e si diresse rapido verso il bagagliaio, circumnavigando l’intero perimetro dell’auto. Tornò poco dopo, con un ghigno soddisfatto stampato sul volto, mostrando come trofei un paio di scarpe da ginnastica e un piccolo zaino di tela rosso fuoco, a righe orizzontali verdi fosforescenti.

Poi li userò a Vittoria. Che te ne sembra?

Scoppiò a ridere, per tutta risposta, Rebeccà.

E va bene, però vieni solo fino al campo base, chiaro?

Campo base!” esclamammo meravigliati, all’unisono.

Che il discorso fosse chiaro a Roberto era lampante che no, non lo era. Così come non lo era a me. Cosa ne poteva sapere lui di alta montagna, campi base e cenge?

- Povero me – ragionai con il cuore in gola – questi mi fanno scarpinare, soffrire, sudare, faticare, per modo di dire, s’intende, mi costringono a imprecare invano e a sputare sangue. Mi faranno morire. -

Rabbrividii al solo pensiero. Ma immediatamente realizzai che ero già morto, perciò cosa avevo da perdere? E’ vero. Mi era sembrato di morire almeno altre cento volte. Mi era sembrato, già! Però non era piacevole lo stesso.

Nel frattempo Rebeccà aveva guadagnato l’uscita e si era sistemata di tutto punto, che pareva il ritratto del perfetto escursionista in partenza per la conquista dell’Everest.

Sono pronto” dichiarò senza esitazioni Roby, che al massimo sembrava uno spaesato turista in visita a Disneyland.

Entrambi, lui dietro a lei, si diressero al limitare del bosco dove iniziava una stretta stradina, probabilmente un’antica mulattiera, e s’inoltrarono di buon passo all’interno di quella poco tranquillizzante oscurità.

Cosa aspetti, muoviti!

- Sì, arrivo, subito. -

Ma chi mi aveva chiamato?

Quella soffusa voce femminile non era certo di Rebeccà. Troppo viscida e insinuante. La sua era ben più decisa.

E poi lei era troppo lontana, quasi non la vedevo più, nascosta dalla fitta vegetazione.

- Signore, un fantasma! – ebbi un improvviso moto di preoccupazione.

Ma come, ero io il fantasma.

Quella storia mi stava stressando, mi faceva andar di matto, con buona pace di Laing. Colpa della stanchezza, della notte in bianco. I fantasmi non esistono, e soprattutto non possono parlare.

Come fui sicuro d’esser convinto, ma convinto di sicuro non lo ero, decisi finalmente di muovere le gambe, di svolazzare, insomma, in loro direzione per non smarrire completamente le tracce. Mai avevo visto un bosco così fitto, impenetrabile ai raggi del sole, che pure era oscurato da pesanti nuvole e perciò non poteva penetrare proprio un bel niente. Quel buio assomigliava un po’ al fondo di quel fiume, a breve distanza dalla spiaggia, là dove mi ero inabissato con il mio Liberator. Dalle parti di Brest e di Rebeccà. Ancora più tetra come atmosfera, se concepibile.

E poi, dannazione, possibile che dopo appena duecento metri il sentiero presentasse una biforcazione? Avevo già mosso diritto, per quella che appariva la naturale prosecuzione del percorso. Pianeggiante.

A destra, scemo!

Di nuovo quella voce irreale.

- Grazie - soffiai un poco deluso.

Sì, perché l’idea di affrontare la ripida salita della deviazione di destra riempiva le mie provate viscere di sconforto.

Sai, le solite cose – ma chi me lo ha fatto fare, è l’ultima volta che…- ma la voce, di chi era?

Guarda, ti assicuro che in vita mia non ho mai assunto sostanze allucinogene. Nemmeno ai tempi di quel chitarrista nero. Neanche ai tempi di Devon. Al massimo un bicchiere di vino ai pasti, e qualche birra. Ah, sì, c’era un liquore del Sud, dolciastro. Appena un paio di bottiglie la settimana, giusto per togliere la sete e dimenticare il bombardamento della notte prima. Ma droghe mai! Fossi matto. Figurati, per fare questo ingrato lavoro di pedinamento occorre grande umiltà, coscienza dei propri mezzi e soprattutto limiti, lucidità mentale. Non c’è posto per droghe, romanticismo, commiserazioni e pietà. Bisogna essere sempre presenti e pronti al peggio.

Nondimeno, non fosse stato per quell’inverosimile indicazione anonima li avrei persi di vista. Così, accelerando il faticoso movimento, li raggiunsi, impegnati ad affrontare un tratto che, più di una salita, assomigliava a un vero muro di terra e alberi.

Non mi dire che sei già stanco” lo rimproverò Rebeccà “lo sapevo che mi sarei pentita di averti preso con me.

No, no” replicò lui, paonazzo, le vene del viso e del collo sul punto di esplodere “devo solo riuscire a rompere il fiato.

Sei ancora in tempo a tornare, se vuoi” intimò lei “ti informo che da qui in avanti è tutta salita.

Roberto non rispose, impegnato com’era a ghermire qualche vitale boccata d’aria, ma il suo respiro ansimante lasciava presagire un’imminente crisi cardiaca.

E va bene, fermiamoci cinque minuti” lo graziò, sbuffando spazientita.

Grazie” sospirò Roby, e dopo l’ennesima infornata d’ossigeno continuò “ma cosa ci trovavi ad avere tre uomini allo stesso tempo?

Vedo che la cosa ha suscitato il tuo interesse” ridacchiò lei “ma voi uomini non pensate ad altro che al sesso?

Ancora una volta non rispose, in evidente imbarazzo.

- Bamboccio soggiogato che non sei altro! – mi salì su in petto, da non so dove.

Ma come, quella va con tre uomini all’unisono, priva di ritegno, poi lo violenta in auto così, senza nemmeno avvisare. Quel che è peggio, mi fa stare sveglio tutta la notte, appestando l’aria con il tanfo dei suoi piedi. E ha il coraggio di dire certe scemenze!

Quattro o cinque gliene doveva dire, altro che star zitto e arrossire.

Tre sono meglio di uno solo. Quando uno ha il mal di testa, ne hai altri due a disposizione. Se al secondo fa male la schiena c’è sempre il terzo” illustrò lei, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Perdonami Reby” resuscitò Roberto “e se anche il terzo non fosse disponibile?

Hei, cosa vorresti dire? Quattro sono troppi da gestire. E poi a me non pensi? Metti che siano tutti e quattro in forma, come potrei adeguatamente soddisfarli? Io queste cose le considero, non sono mica un’egoista. No, se tutti e tre non ce la fanno mi arrangio da sola.

Non volevo urtare la tua dignità” si scusò lui.

Tranquillo, è stato un bel periodo. Decisamente migliore di quello schifo che ho passato prima.

Quale … schifo?

Non credo sia un argomento interessante” disse Rebeccà, alzandosi per riprendere il cammino.

Per buona sorte Roberto la pensava diversamente. La sosta era stata troppo breve e, forse per questo motivo, la pregò di continuare il racconto della sua vita sentimentale. Meno fiato restava a lei, più ne recuperavamo noi.

Se proprio insisti … prima avevo un ragazzo regolare. Una storia normale, come per tutte le ragazze. Si chiamava Francis. Lo conobbi a un festino di fine anno scolastico, sai, quelle balle che si fanno più che altro per uscire di casa indisturbati, senza dover spiegare troppe cose ai vecchi … non tornare troppo tardi, vedi di comportarti a modo e stronzate simili. C’era un ragazzo biondo, David, che mi tirava parecchio, uno della classe di fronte che era stato invitato pure lui perché piaceva un sacco all’Anne, quella smorfiosa che organizzava tutta la questione. Anzi, credo che avesse approntato la festa a puntino per farselo, seduta stante. Ma non aveva fatto i conti con me, con Rebeccà” gonfiò il petto d’orgoglio e continuò “aveva già il piano pronto, la porcella. Vado, lo attiro da qualche parte, nel bagno, per terra, sul lavandino magari, o sul cesso, non importa, ancor prima che si renda conto, zac! me lo faccio.

Andò così?” chiese Roby, con il fiato sospeso. In risparmio energetico d’ossigeno, si capisce.

Non esattamente. Tra la sorpresa di tutti i presenti, anche la mia devo dire, fu lui a notare me. Sul più bello, poco prima che l’Anne passasse all’azione, mi prese per mano e senza dire una sola parola mi portò proprio in bagno, cominciando a fare i suoi porci comodi.

Bé, in qualche maniera venne incontro alle tue … esigenze, diciamo” sussurrò lui.

Un corno!” replicò indispettita “quello mi voleva stuprare. Una ragazzina indifesa come me, lì, con quel bruto … no, era carino … comunque mi aveva già aperto la camicetta e stava alzando la gonna per … mondieu, non ci voglio neanche pensare.

Ma non hai detto che ti piaceva e che te lo volevi fare?

Sì, ma non in quella maniera. Ero io che lo dovevo prendere e invece lavorava solo lui. E poi ce l’aveva così piccolo … no, non faceva per me, lo capii subito” rantolò lei.

Piccolo…” biascicò Roby “e come sei riuscita a liberartene?” rapito, per così dire, da quell’ennesima storia balorda.

Credimi, in tutta sincerità, non avrei mai prestato fede ad una sola parola se non l’avessi vista con i miei occhi, quella lì, mentre raccontava. Una ragazza insolita, possedeva qualcosa di singolare, di sicuro qualche magico potere guadagnato grazie a lunghe pratiche di stregoneria nera, e che quei racconti fossero veri lo si intuiva dall’espressione del volto.

Una strega, fetida e grassoccia. O era pazza, o un’abile attrice, oppure diceva la verità. Lucida lo era, fin troppo. Una schizofrenica che credeva ciecamente alle idiozie che narrava, ma no, folle non direi. Forse aveva ragione Laing. Una donna del mondo dello spettacolo lo escluderei a priori, troppo scurrile e pure bruttina. Poteva giusto fare la comparsa in quel film, quello dello scimmione innamorato. Delle tre l’ultima, stava dicendo la verità.

Almeno credo.

Ohh, non è stato poi così difficile. David lo stava goffamente tirando fuori dai pantaloni e fui lesta ad approfittare dell’attimo di nervosismo per prendere la porta e scappare dal bagno.

Ma come, nuda?” affermò lui, eccitato.

Vabbé, solo dall’ombelico in su.

Ah, meno male, e gli altri ragazzi cosa hanno pensato?

Cosa vuoi che abbiano pensato quegli stolti  dichiarò indispettita “affari miei. E poi non me ne poteva fregare di meno. Ma il fatto più curioso fu l’incontro con Francis.

Quale incontro?” sussultò Roby, che stava perdendo un po’ il filo del ragionamento.

Non volevi sapere di quel ragazzo? Allora, per favore, sta zitto e ascolta.” Affondò un profondo respiro, Reby, e proseguì. “Presi la porta e scappai e mi scontrai con lui. Voglio dire che nella foga gli saltai letteralmente addosso. Era piuttosto imbarazzato e fu lui a chiedermi scusa, subito dopo uno starnuto. Che stupido, ti pare? Il seno gli era finito proprio sul naso e lui non trovò nulla di meglio che starnutire. Comunque, sul momento tutto si concluse lì. Mi ricomposi un attimo, un bel sorriso di circostanza e pensai di salutare la compagnia. Stavo per saltare sulla bicicletta e abbandonare per sempre quell’orrendo posto di perdizione, quando udii la sua voce che mi rincorreva disperata. Mi rivelò il suo nome e chiese d’accompagnarmi a casa.

Tutto bene ciò che finisce bene” approvò Roberto.

A dire il vero la prima impressione non fu molto positiva. Un ragazzo niente male, ma troppo inquadrato, preciso, formale. Palloso, insomma. Per l’intero tragitto non fece altro che chiedermi se mi ero ripresa, dire che lo shock doveva essere stato tremendo, sostenere che certi soggetti andrebbero emarginati dalla società civile. Neanche un apprezzamento al mio seno, eppure l’aveva visto bene. Davvero una noia, e quando, una volta arrivati, domandò di potermi rivedere presi tempo, spiegando che ero molto impegnata  e che due giorni dopo sarei dovuta partire per Amsterdam con i genitori. Una di quelle rotture di viaggio premio per la promozione … ad Amsterdam ci sarei andata volentieri da sola. O magari in compagnia di qualche bel ragazzo.

E poi?” insinuò lui.

Sbocciò l’amore. Non mi chiedere il perché, ma sbocciò. Che boiata. Iniziò a telefonare, poi a mandarmi lettere e fiori. Con il benestare della mamma, che quei modi bene educati proprio le piacevano. I fiori, poi. Lei che non ne aveva mai ricevuto uno che uno dal babbo. Non so come fu possibile, ancora oggi mi sembra incredibile, ma finii con l’innamorarmi di lui. Per qualche mese fu un rapporto normale, anche troppo. Un bravo ragazzo, allora così mi sembrava, ma il letto non era la sua specialità. Durava troppo poco e mi lasciava sempre a metà. L’amore va bene, però bisognava porre rimedio a quell’eccessiva rapidità di … mi segui?

In effetti Roberto era in fase di eccessivo rilassamento. Forse non aveva compreso appieno che quella era solo una pietosa sosta tecnica, tesa ad evitare di lasciar cadaveri sul sentiero, e non era il caso di schiacciare un pisolino.

Ah, sì, certo, l’eccessiva rapidità” farfugliò, rinvenendo precipitosamente e salvandosi a mala pena da una severa lavata di capo.

Era davvero troppo svelto. Però non ci fu il tempo per migliorare le sue prestazioni” brontolò lei, tornando ad infilare lo zaino in spalla. Mi parve anche d’udire un ‘maledetto lui’ confuso tra il rumore delle fronde in alto.

Ehi, dove vai. Voglio conoscere il resto della storia” reclamò Roby, preoccupato per l’imminente ripresa del cammino, più che interessato ai tormenti e alle delusioni sessuali di lei.