Speciale "Tiziano Sclavi" [1]
di Luca Crovi
gialloWeb
Le recensioni


[Cliccare per ingrandire] Luca Crovi, Delitti di carta nostra - Una storia del giallo italiano
Ed. PuntoZero, Collana PuntoSpot, settembre 2000, L. 15.000.


In anteprima per gialloWeb e in attesa del capitolo sui misteri del Commissario Boffa di Anselmi, eccovi un bel capitolone su Sclavi.

Ciao.
Luca Crovi



Dissolvenza in nero:
gli horror-noir metropolitani di Tiziano Sclavi


"Io sono il foglio di carta sulla strada che ad ogni soffio di macchina o di camion si erge e grida credendosi una spada: io sono quel foglio di carta e niente più". In queste poche frasi Tiziano Sclavi riassume la fragile vita dello scrittore fatta di ore solitarie davanti a una macchina da scrivere, di sogni e utopie, di rinunce e sacrifici mitigati dalla fantasia creativa, talora coronati dal successo. Una passione per la scrittura e in particolare per la narrativa fantastico-onirica nata in lui fin da bambino: «All’età di sei anni avevo già letto tutto Poe. Nessuno può capire come faceva un bambino di prima elementare a deliziarsi in quell’affresco di orrori claustrofobici. Ma per me era secondaria la distanza col libro. Per me contarono le atmosfere che ricreavo, gli incubi, i sogni. Se penso ai mostri e all’orrore che descrivevo mi sento debitore a Poe. E se invece di Poe a sei anni avessi letto- che so- il Sermone della montagna, oggi scriverei forse delle storielline morali. Rabbrividisco al pensiero che avrei potuto scrivere storie edificanti». Fin dagli inizi Sclavi sente un fascino irresistibile per la paura che è secondo lui una forma di intelligenza capace di fornire una marcia in più alla ragione, aiutandola ad esorcizzare e sdrammatizzare la cruda realtà.
Il successo dei fumetti di Sclavi come quello dei suoi romanzi è dovuto soprattutto al suo linguaggio: montaggio rapido, tra il videoclip e il film, la commistione di elementi realistici e onirici, la convivenza (come nelle grandi fiabe di Perrault, Grimm, Andersen e soprattutto nelle fiabe della tradizione popolare) di elementi horror con elementi ludici. L’orrore è terapeutico, è un piccolo luna-park nel quale evadere dalla banalità, un luogo ove è permesso viaggiare con la fantasia: i mostri della finzione letteraria allontanano dagli orrori quotidiani. E’ per questo che Sclavi ricostruisce nei suoi libri e nei suoi fumetti un mondo che vive di sogni e si ribella a una realtà mortuaria. Come ci dice lui stesso: «Non riusciamo più a sentirci, abbiamo perso la facoltà di sussurrare e di sentire il sussurro di piccole voci, come quella di un fiore. Abbiamo perso il potere di intuire senza capire, pretendiamo di capire senza intuire, vogliamo essere veloci senza riuscire ad essere lenti. Siamo andati sulla Luna, ma non abbiamo lasciato che lei venisse da noi. L’orrore di certe situazioni mi fa sentire vivo. Mi rende ancora più cosciente della mia vita, bella o brutta che sia, inutile, ridicola, forse senza uno scopo. Solo un istante nell’eternità, ma un istante da vivere comunque».
Il segreto della suspense sta per Sclavi come per Todorov «nell’improvviso erompere dell’inammissibile nella banalissima vita quotidiana». L’orrore raccontato da Sclavi è geometrico, programmato nei minimi dettagli: «E’ come se cercassi di applicare le tecniche di Lucio Fontana ai corpi e agli oggetti che descrivo: rasoiate date sulla materia raccontata». E per ottenere questo effetto l’autore si serve di tecniche letterario-cinematografiche di estrema efficacia. Come ha acutamente analizzato Graziano Braschi, Sclavi procede «con sequenze organizzate in capitoli essenziali dominati da un occhio onnipotente (un "occhio che uccide" simile a quello del cinema) che prova ossessivamente a paralizzare il movimento della vita e che, non riuscendovi, la anima con le dissonanze e gli imprevisti dell’incubo. Lo sguardo immobilizza o muove a suo piacimento le figure e il paesaggio...tutto quello che carpisce, occupando ogni possibile posizione (da quella panoramica "come una macchina da ripresa sul dolly" a quella defilata di una candid camera) fa progredire la storia dai toni surreali e macabri, al limite del grottesco, dove la replica provoca shock ineluttabili». Memorabili ed esemplari in questo senso, gli incontri del protagonista di Nero. con la vecchina, sempre la solita, incontrata salendo o scendendo le scale di palazzi diversi.
Sclavi sembra continuamente attratto e nello stesso tempo terrorizzato dal cinema e inietta la medesima emozione nei suoi lettori. La sua scrittura è veloce, scoppiettante, ironica, colta e insieme di una semplicità naturale. L’autore si diverte moltissimo a scrivere, come un acrobata che sa di essere bravo, ma ancora se ne meraviglia e si applaude. Osservate con quale perizia dispone le parole, le virgole, i punti, gli a capo, le esclamazioni: tutto è calcolato all’infinitesimale, un continuo esercizio di enigmistica, metrica, poesia e scioglilingua. Ma i giochi letterari nascosti nel testo non rallentano la forza catartica dei testi: lo «spleen italiano» di Sclavi guarisce il lettore dal malessere esistenziale proiettandolo nell’avventura del fantastico. Il desiderio del lettore e dell’autore è di sfuggire all’inferno della quotidianità e come dice Griffin (nel fumetto «Inferni» di Dylan Dog): «non esiste l’inferno, esistono tanti inferni... miliardi di inferni, tutti attorno a noi, in una dimensione appena un po’ sfasata rispetto a quella reale... alcuni sono terribili... malebolge dantesche... altri sono sereni, e assomigliano forse ad un’altra cosa che, come l’inferno non esiste: il paradiso... altri ancora sono folli o normali, o senza senso come la burocrazia e capitare nell’uno o nell’altro è solo un caso... con una differenza: che quando sei morto non t’importa più d’essere vivo».
Nei romanzi di Sclavi i protagonisti vivono incubi che sconvolgono la loro esistenza, ma non vogliono capire cosa sta succedendo, vogliono solo che finiscano. I personaggi di Sclavi sembrano marionette guidate dal caso, uomini che vivono ingannandosi e nascondendosi dietro le maschere (come quelle che i protagonisti del romanzo Apocalisse continuano a sistemarsi inconsciamente). La confidenza tra autore e lettori si instaura grazie alla suspense che tiene entrambi col fiato sospeso (Sclavi non sa mai come finiranno i suoi romanzi, non li progetta a tavolino, lascia che sia l’indagine nell’incubo a proseguirli). Inoltre Sclavi si serve di un meccanismo di comunicazione sofisticato e subliminale: quello delle citazioni. I suoi romanzi nascono da lampi di inquietudine, ma anche dall’archivio della memoria. Sclavi, prima che scrittore è un lettore famelico di libri e un divoratore di film. L’immaginario collettivo, insomma, la storia e la fantasia letteraria compongono per lui (come per Borges) un’unica «biblioteca di Babele» alla quale attingere; l’abilità di Sclavi sta spesso nel riscrivere e reinventare modelli dell’immaginario culturale e sociale. Persino da piccoli particolari o spunti banali di film minori riesce a trarre piccoli gioielli. «A fare sono capaci tutti, ma è a copiare che è difficile» diceva Totò. Sclavi è consapevole come Oscar Wilde, che «L’uomo è poco se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e e vi dirà la verità».
Se l’immaginario letterario e cinematografico è un punto di riferimento fisso nella narrativa di Sclavi altrettanto fondamentale è l’uso dei nomi nei suoi romanzi. Francesco Dellamorte il protagonista di Dellamorte Dellamore confessa ai lettori «Mai avuto voglia di studiare. Avrò letto due o tre libri nella mia vita. Due per la precisione. Ma uno non l’ho finito. L’altro è l’elenco del telefono. Ogni tanto me lo rileggo prima di addormentarmi. Mi piacciono tutti quei nomi di gente». E’la spia inequivocabile della scrupolosa attenzione di Sclavi ai nomi dei propri personaggi: nei nomi c’è la loro identità, quindi i loro nomi sono simbolici se non addirittura programmatici. Se la sequenza degli avvenimenti nei romanzi di Sclavi è puramente casuale, la scelta dei nomi è invece necessaria e inequivocabile, i personaggi che vivono determinate situazioni non possono che chiamarsi emblematicamente: Unico Figlio, Gnaghi, Dellamorte, Dellamore, Straniero, Zardo, Jamais Nonplus, Straniero. A proposito del necroforo Francesco Dellamorte Mario Gerosa ha scritto: «quel singolare becchino sviluppa una specie di ecologia personale, alla maniera dello stesso Sclavi che ha bisogno di far continuamente ordine tra persone, oggetti, classificandoli senza sosta, come se dovesse riporle continuativamente nelle loro piccole bare rappresentate dai nomi, da cognomi e dalle marche delle aziende produttrici». Non dimentichiamoci che Sclavi è un appassionato di enigmistica, un divoratore enciclopedico di vocabolari, un abile creatore di filastrocche-rebus nelle sequenze narrative o nelle ballate. Incide epitaffi sul passato, il presente e il futuro dei suoi personaggi. Nella narrativa di Sclavi dialogano il senso dell’assurdo esistenziale, la coscienza dell’orrore sociale, la fantasia onirico-surreale e l’immaginazione linguistico visiva. Nell’unica intervista da lui rilasciata qualche anno fà ha confessato: «Le mie storie vorrebbero avere la leggerezza di un film di Lubitsch, il dialogo brillante di una commedia di Neil Simon e la forza visionaria e allucinata dei film di George Romero».



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"Dissolvenza in nero: gli horror-noir metropolitani di Tiziano Sclavi" (*) di Luca Crovi e' a disposizione in formato .rtf e in formato .doc (cliccare sul formato desiderato per scaricare la relativa versione zippata).

Come possiamo ringraziare Luca Crovi?
Sicuramente invitandolo su it.discussioni.giallo e magari a partecipare a qualche incontro di quelli che piacciono ai grupparoli a base di cibo, vino, cibo, vino, vino, cibo, vino, calvados, calvados, calvados, ecc. ecc. ecc. ;-)

(*) © Luca Crovi, 2000


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