<http://www.pavonerisorse.to.it/riforma/iosa_su_bertagna.htm>
Non si inganni il lettore: la proposta Bertagna non è il frutto
perverso di
un unico pedagogista, visto che ha già lo smacco di 5 dei colleghi
della
commissione dissociati da un documento pur fatto (si diceva) insieme.
Troppo
reazionario e perfino rancoroso il documento Bertagna per non pensare
che,
ancora nascosto, non vi sia il "vero documento", più morbido,
che il
ministro lancerà come segno dell’arte di mediazione.
Ma l’anima culturale di questo documento è molto chiara, il fatto
solo di
portarlo agli Stati Generali di Foligno è una "prova di
forza", poi la
mediazione cercherà di spostare il più a destra possibile la filosofia
della
scuola, pur concedendo pezzettini a tutti di consolazione (per esempio
sul
tempo scuola e gli organici).
Credo che il documento Bertagna sia la filosofia pedagogica vera,
l’anima
profonda, di questo governo.
La natura vera del documento non è, infatti, nell’architettura degli
anni di
scuola, né nei disegnini che i giornali hanno abbondantemente sparso.
Il
documento nasconde una ben diversa mission: è il primo esplicito
manifesto
pedagogico di una nuova destra reazionaria, rimasta carsica e rancorosa
dagli anni 60 in poi, che riemerge approfittando di un
"ritocco" ad una
legge, verso un nuovo modello pedagogico, oggi assente nel paese: la
scuola
come nuova e più raffinata selezione sociale. La scuola di massa delle
selezione.
La reazionarietà è sparsa in ottanta pagine di pedagogese e
sociologese, ma
spesso utilizza il linguaggio comune del cosiddetto "buon
senso" (si veda
perfino il capitolo dal titolo "Realismo"), al punto che il
qualsiasi
lettore comune (se ce n’è qualcuno che arriva fino in fondo al testo)
può
facilmente perdersi.
Non si inganni il lettore. Per fortuna la cultura degli insegnanti e
della
società italiana verso l’educazione non è reazionaria (ma neppure
rivoluzionaria), è una cultura che Aldo Schiavone (senza offendere le
donne)
chiamerebbe "materna": piacciono i ragazzini e a tutti
–anche agli
handicappati- si pensa di poter dare il massimo anche oltre il principio
di
realtà. Anche De Rita, nel suo Rapporto annuale del 2001, parla di
un’Italia
plurale, adattativa, amichevole, pacifica, sociale più di quanto si
creda,
anche nella sua molecolarità. De Rita arriva perfino a proporre l’
"italian
way on life" al posto dei venti di guerra. Forse un’Italia più
ulivista dell
’Ulivo, che ha votato a destra presa dagli spot perché l’Ulivo
faceva foglie
piuttosto che olio. Certo anche un’Italia egoista e neodarwiniana,
insomma
asimmetrica (sempre per citare De Rita).
La politica lo sa bene. Spostare a destra una massa di insegnanti di
buona
volontà sociale (pur con tutte le fisime impiegatizie) è impresa
difficile.
I nostri insegnanti sono più figli di Don Milani che di De Maistre. Per
questo conviene passare per una sottile operazione di restyling
culturale
che, appunto, riporti al "realismo" le tante
"chiacchiere" retoriche e
utopiche della sinistra pedagogica, approfittando della
"crisi" della
sinistra, più chiacchierona e timida che coraggiosamente riformista.
Si sta usando l’understatment delle cose apparentemente ovvie,
mediando poi
da buona mamma di casa se qualche "discolo" (Bertagna) ha
ecceduto. Insomma:
finalmente ritornare al mito di Erode (la strage degli innocenti, la
scuola
come nuova selezione sociale) passando per Iva Zanicchi. Lasciando al
Costanzo Show gli stati generali come democrazia populista (l’ha detto
la
televisione). E’ tutto maledettamente semplice.
Per questo è importante leggere il documento Bertagna/Moratti lasciando
sullo sfondo l’architettura organizzativa, meno interessante. Va fatta
una
discussione culturale franca e onesta, non servono petizioni retoriche
da
vecchi slogan, ma dimostrare che è fallimentare perfino per gli
obiettivi
che si prefigge, che aumenterà il malessere sociale, che è una autogol
per
la società moderna che tutti a parole dicono di volere.
L’equità di Erode
La frase che mi ha fatto capire molto (anche i lapsus freudiani contano)
è
stata la citazione di Don Milani sotto riportata dal capitolo
"Equità". E’
lì il cuore di tutto il documento, il manifesto pedagogico della
destra.
Questo cuore percorre tutto il testo, ripreso da briciole di frasi,
contestualizzato dalle proposte operative.
da…. "Equità"….
Don Milani era solito ricordare che nulla è più ingiusto che fare
parti
uguali tra disuguali. Dare di più e meglio a chi ha meno e peggio è
uno dei
principi generali cui il Grl ha cercato di ispirare la proposta di
riforma
del sistema educativo di istruzione e di formazione. La giustizia intesa
come equità non si promuove, infatti, con l’uniformità distributiva,
ma con
la differenziazione individualizzata degli interventi e dei servizi.
Ecco: è il sottolineato il messaggio. Prendere un autore di sinistra (e
quale sinistra!) e girarlo a destra a piacimento degli ingenui. Insomma,
ad
esempio, il secondo canale duale "non è" (alla tedesca) una
scuola
professionale "colta", ma la differenziazione individualizzata
di chi non è
dentro all’uniformità cognitiva dei modelli gerarchici di potere e
sapere.
Dunque: esattamente l’opposto di Don Milani: ai malmessi si vuol dare
una
scuola comunque ( che cortesia-compassione!), ma non "dare la
scuola a
partire da loro", e neppure dare di più a chi ha di meno perché
tutti
"diventino sovrani, non ingegneri o dottori" (Lettera a una
professoressa).
Macchè sovrani: qualifiche di basso profilo come manovalanza del
sistema
industriale (che per la verità non chiede più da tempo questo tipo di
"professionalità"). Dunque una nuova selezione sociale prima
ancora che
culturale, un nuovo Erode.
E, naturalmente, si dice di fare questo per la "vera
giustizia" (è come la
giustizia giusta), l’Iva Zanicchi dell’ infatti (buttato lì come
banalità
del buon senso), l’affermare che una vera giustizia si fa
differenziando. E,
che diamine, direbbe Iva Zanicchi: mica tutti sono fatti per fare l’
ingegnere o il ginecologo. Ci sarà pure qualcuno che farà il pizzaiolo
o lo
stradino. Sangue dal muro non se ne cava, è meglio aiutare i più
deboli (ah,
è la natura: lo dicono anche i genetisti) ad avere almeno un posto di
lavoro, che far retorica sul diritto allo studio e lasciare tanti per
strada
senza titolo. E, per dirindindina, un po’ di sano realismo ci vuole
verso
questo sinistrume. Al massimo un "aiutino" agli sfigati, ma
basta con gli
estremismi pedagogici.
Non si consideri questa teoria in sé cattiva, anche questa ha una sua
moralità, spesso è trasversale (anche gente di sinistra la pensa così),
è un
errore offenderla, bisogna dimostrare invece, laicamente, che è
dannosa.
Il conservatorismo compassionevole
Questa visione neodarwiniana è un perfetto esempio di conservatorismo
compassionevole, e viene dalla destra "colta" degli Stati
Uniti: smetterla
con la società delle opportunità, troppo costosa e inefficiente. Dare
a
tutti coloro che hanno testa (cioè soldi) il massimo di chanches di
realizzarsi (liberismo assoluto), ma ai tanti che fanno fatica non
abbandonarli né all’insuccesso delle scuole pubbliche di massa, né
per le
strade (potrebbero rubare nei tinelli delle tante villette a schiera).
No,
tanto vale dare loro "la compassione", meglio se fatta dalle
chiese che dal
welfare pubblico, o dai tanti piccoli Muccioli in espansione. Dare al
"diversi" una collocazione differenziata ma una collocazione
comunque,
magari forzata. Anzi, che questi poveracci ci ringrazino: noi sì che a
loro
diamo qualcosa, non le chiacchiere della sinistra.
Il pensiero è robusto, fondato su molto senso comune, che anche tanti
insegnanti di sinistra potrebbero fare davanti a teste matte, ad alunni
sfigati, a ragazzine svampite.
Il conservatorismo compassionevole sta innervando le politiche sociali
del
governo. Si comprende anche l’apologia del privato nelle funzioni
sociali,
perfino il clericalismo delle decisioni morattiane, ma anche
l’imbarazzo
della Chiesa, non tutta come monsignor Biffi o Maggiolini. Non c’entra
nulla
la "privatizzazione della scuola" nel senso, ad esempio, della
Fiat che
gestisce i pulmini (con la recessione in arrivo!), ma può essere la
Nike o
la McDonald che regalano magliette per farsi pubblicità (leggi No Logo
di
Naomi Klein).
E’ esattamente l’opposto di "non perdere nessuno", ma
vuole invece "mettere
tutti al posto che la natura, la biologia, la società inevitabilmente
mette
gli umani, in una scala di valori". Il conservatorismo
compassionevole non è
sciocco, è comunque un "atto sociale", parte anzi dal senso
che da Platone
in poi è insito nelle culture occidentali: gli uomini nascono
naturaliter
diversi, è della Politica dare ordine.
Il conservatorismo compassionevole attacca il punto di debolezza della
sinistra pedagogica: "avete predicato tanto l’eguaglianza delle
opportunità
formative e invece ai poveri non riuscite a dare neppure un
diploma".
Come se fosse colpa della sinistra una scuola lasciata ai margini dei
grandi
interessi politici degli ultimi quarant’anni. Proprio qui la tesi
Moratti è
insidiosa: ai "diversi" io dò un diploma, voi neppure quello,
un diploma che
li farà "servi", ma almeno con uno stipendio. Anche lei crede
nella scuola,
non neghiamoglielo, una scuola che "differenzia" per censo,
intelligenza,
fedi religiose, ma che c’è. Come Iva Zanicchi.
Io penso che il conservatorimo compassionevole sia, in realtà, più che
una
teoria di attacco, il segno delle difficoltà delle classi medie, quelle
delle partite IVA, davanti alla sfida che le nuove contraddizioni
sociali
dello sviluppo e della globalità pone alle economie e alle società
occidentali.
La vita è più difficile per tutti, la competizione è dura, meglio
salvare il
nocciolo (le classi dirigenti e ricche) recintando (differenziando) il
malessere sociale ed erodendo la dialettica dei diritti civili dentro
azioni
intenzionali di carità sui bisogni.
Meglio, ad esempio, aumentare di un po’ le pensioni individuali dei
vecchi
poveri che migliorare i servizi sociali territoriali (ci penseranno le
cooperative di CL), così i vecchi potranno godersi in televisione
"OK il
prezzo è giusto"(ah, questa Zanicchi!) mangiando una brioche
piuttosto che
pane comune.
Non c’è redenzione in questa teoria, non c’è speranza, non c’è
sogno, c’è
solamente paura delle società aperte, c’è involuzione culturale ed
economica
che pagherà il paese tutto, anche la middle class.
Ricordate: "Regina, il popolo chiede pane", e la risposta
"se non hanno
pane, che mangino brioches".
Ecco, dunque perché "stati generali". Mi pareva che
c’entrasse qualcosa la
rivoluzione francese.
Per una critica culturale alta e non retorica
Dunque, il conservatorismo compassionevole va discusso nel merito e
negli
effetti pratici, non nelle retoriche. Cinque esempi che permettono di
interpretare meglio le soluzioni del documento.
Esempio uno. Interessante che Confindustria non condivida il sistema
duale
di Bertagna e che un buon numero dei componenti della Commissione si sia
dichiarata non d’accordo su quel testo.
Confindustria attacca sul sistema duale morattiano, considerandolo
vecchio e
inutile perché sa che oggi i lavori sono cambiati, che ogni lavoro
–anche lo
stradino- ha bisogno di saperi forti, di eretonomia degli apprendimenti
(insieme si impara meglio che per classi separate), che i lavori sono
mutevoli, che non si finisce mai di imparare. Si badi bene:
l’utilitarismo
di D’Amato sconfessa l’apparato scolastico morattiano non solo perché
comincia troppo presto (14 anni), ma perché è troppo differenziato
(vedi che
torna?).
Il timore di Confindustria è di avere certificati e diplomi di troppo
basso
profilo, troppo addestrativi. Accidenti, Confindustria sembra più
Rousseau
che il padrone delle ferriere di una volta.
Verrebbe da dire, per la verità, che davanti ad un governo che nei
primi
mesi ha sistemato i conti dei suoi ricchi, ma sembrava ancora
"laico" sul
resto, affiora un’anima reazionaria superiore al previsto. Altro che
le tre
"I", qui ci sono le tre "S": selezione, selezione,
selezione.
Esempio due. Ha colpito l’apologia della scuola materna e la storia
del
credito. Un maligno potrebbe dire: "per forza lì c’è il massimo
di scuole
delle suore". Ma in ottanta pagine qualcosa di buona c’è sempre.
Anche Erode
accarezzava i barboncini. Quindi fa piacere sentir parlare bene della
scuola
dell’infanzia.
Il credito, invece, è il segno di un modello perverso. L’effetto è
chiaro.
Di fatto potrà essere utilizzato o dai signorini baypassando il primo
anno
di liceo, o dagli sfigati che faranno un anno di meno di professionale
per
andare a lavorare prima. Nel primo e nel secondo caso un messaggio
socialmente malevolo. Dannoso per i signorini (abituati presto a
sgomitare),
gravissimo per i deboli, incentivati a studiare meno.
Questi sono i guasti di un delirio dell’individualismo puro,
dell’assenza di
senso sociale della scuola.
I guasti saranno di una disarticolazione e di una differenziazione in
basso
e in alto marcatissima.
Esempio tre. Clamorosa è la questione del tempo scuola e della sua
forte
riduzione. Poche ore, poche maestre e uniche, il resto facoltativo (se
ce n’
è bisogno), il successivo resto perfino a pagamento. E’ l’apologia
del "meno
possibile uguale per tutti", tutto il resto alla differenziazione.
Accompagna questa suggestiva nuova teoria del tempo quella di separare
(differenziare: torna!) l’istruzione dalla socialità.
Come se fosse possibile: si imparano le cose, ma si impara a vivere, si
impara insieme, si vive imparando. Questa separazione tra istruzione e
socialità è pedagogicamente inutile, perfino scientificamente errata.
Una recente ricerca internazionale dimostra che i bambini Down italiani
hanno il 30% di quoziente intellettuale superiore ai colleghi tedeschi e
belgi (chiusi nelle classi speciali) solo perché stanno in mezzo a
tutti gli
altri bambini. La socialità è apprendimento.
Conosco molto bene le scuole in ospedale. Lì, i bambini attraverso l’
apprendimento e il contesto della scuola sono anche aiutati a superare
meglio i traumi terapeutici. Ancora De Rita apprezza il nostro paese
perché
sa mettere insieme "testo" e "contesto". Bertagna/Moratti
no: solo
insegnare, solo selezionare.
Sappiamo che il poco tempo frega i più deboli, ecco perché il poco
tempo è
selezione nei fatti. Sappiamo che se il resto del tempo è
"facoltativo" (i
bisognosi con i bisognosi, gli sportivi con gli sportivi) non aumenta le
intelligenze di nessuno, aumenta solo la disgregazione sociale.
Ricordate la
teoria prossimale di Vigotsky e le sue idee sulla classe come eteronomia
positiva?
Curioso, poi, è che il modello didattico del poco tempo e della maestra
unica sia l’opposto della scuola dell’autonomia e della flessibilità.
Dunque: degli iperliberisti contro l’autonomia, statalisti di ritorno?
Vuol
dire che la partita è più alta: selezionare presto è l’obiettivo di
fondo
(comunque l’esito che si realizzerà), anche sacrificando
l’autonomia, che
per questo va ristretta (altrimenti vanno avanti in troppi!).
E, infine, lasciare il sociale fuori della scuola (che deve solo
"insegnare") è un’offesa a tutto ciò che da anni diciamo
sull’"integrazione"
tra scuola e territorio. E’ la disintegrazione sociale, non la maggior
efficienza di nuovi oratori che sento nascere (è il modello Muccioli)
per un
nuovo pesante controllo ideologico. Nell’oratorio è più facile
guardare la
signora Zanicchi e sognare di indovinare il prezzo.
Esempio quattro. Non è un caso che la parola curricoli sia sostituita
da
"piani di studio". Non è un caso la disistima della didattica
presente nel
documento. Quello che conta per Bertagna sono i contenuti, non quelle
"sciocche" teorie sulle competenze, soprattutto quelle
trasversali.
Tornano quindi i contenuti: belli tosti, lineari, secchi, uno per uno
senza
tante chiacchiere.
Chi mi conosce sa che già ai tempi di De Mauro criticavo la deriva
troppo
disciplinare che i suoi programmi abortiti contenevano. Figuratevi la ma
opinione su questi: vecchia spazzatura inutile.
La questione è culturale e trasversale, non è di destra o di sinistra.
Peccato che ormai la cultura non va più nelle chiuse corsie delle
discipline, che l’epistemologia si è frantumata in nuovi canali
inter- ,
trans-, multi-, ecc. Peccato che oggi si apprende moltissimo per strada,
in
tv, via internet, che anzi siamo davanti all’obesità cognitiva di
ragazzi
che sanno troppe cose, ma non sanno dare senso alle cose che sanno.
Serve
una scuola degli essenziali, soprattutto "delle menti" più
che delle
discipline, capaci di imparare sempre anche da adulti, capace di
interpretare i nuovi saperi.
Ci serve una scuola ermeneutica, del senso delle cose, che si fa per
antonomasia "insieme", con il punto di vista di tutti, non nel
chiuso di
classi-batterie da polli confessionali, intellettivi, di censo sociale.
E’ evidente, invece, che un piano di studi così fatto diminuirà la
cultura
degli italiani, soprattutto la creatività, e aumenterà la selezione.
Non
servirà allo sviluppo economico e tecnologico. Ma aumenterà le domande
di
coloro che vorranno partecipare ai quiz di Gerry Scotti ("ho fatto
il
classico. quindi penso di poter rispondere, ha detto una signora
l’altra
sera in tv). E comunque c’è sempre l’aiutino. Iva Zanicchi.
La scuola italiana non ha il problema di cosa si insegna, ma di come si
insegna. Una grande tragedia didattica che dura da un secolo.
Esempio cinque. Si capisce perché si vuol tenere separate la scuola
elementare e la scuola media. Non è per fare un piacere alla Cisl
(fregata
poi sul tempo pieno e i moduli: che bel ringraziamento!). No: il fatto
è
culturale e c’entra poco con la questione della
"fanciullezza" (a proposito
ritorna la famigerata parola?) e della preadolescenza. Ci vogliono
"salti"
per mettere alla prova le intelligenze dei bambini, separarli da sé
presto
per vedere chi resiste. Bertagna, naturalmente, la chiama
"orientamento"
guidato.
Senza tornare alle nostalgie del modello lungo di Berlinguer (che aveva
lo
scopo inverso: dare più tempo a tutti per crescere), bisogna ricordare
che,
a proposito della recente ricerca OCSE di cui molti hanno parlato, il
paese
europeo che ha gli esiti migliori in lingua e matematica a 15 anni è la
Finlandia, che ha un ciclo di base lungo da settant’anni! Lo sappiamo
tutti
che la separazione medie-elementari è dannosa ai bambini e non basta
certo
la chiacchiera "diplomatica" tra maestri e professori nei due
anni-ponte.
No, la filosofia implicita è chiara, ma si deve dire anche
pragmaticamente
dire quelli che saranno gli esiti: aumenterà l’insuccesso scolastico,
soprattutto dei più deboli.
Ripartiamo da Barbiana?
Il documento Bertagna-Moratti è una visione del mondo e una pragmatica
della
politica.
Per me le visioni del mondo sono biografiche. La storia è fatta di
storie,
di tanti pezzetti individuali.
Dobbiamo contrapporre le nostre storie al pessimismo cinico che copre le
teorie Bertagna-Moratti, la loro assenza di ottimismo
sull’umano.Ritiriamo
fuori le nostre storie e le nostre visioni del mondo.
Ho fatto le magistrali perchè duravano quattro anni. Mio padre faceva
il
tranviere, mia madre puliva le scale. Ma eravamo felici: da mio padre
partigiano a mia madre cattolica mi veniva l’ottimismo del futuro.
Alle magistrali il prete di religione, nel 1967, mi ha letto
"Lettera a una
professoressa". Ho sentito il brivido dentro la schiena: quel
Gianni ero io!
Avevo finalmente l’orgogliosa coscienza di classe: sono un proletario!
Ho
sentito la rabbia violenta dell’adolescenza: la ferita
dell’ingiustizia
sociale come vera lacerazione degli umani: sarò comunista! Ho sentito
il
fluido magico delle scelte della vita: sarò maestro!
E così è stato. Proletario non lo sono più, comunista anche, ma
quella
visione del sogno di un progetto di vita che vuole una vera giustizia
sociale incarna le mie fatiche, i miei desideri di maestro. Come sono
ancora, come siamo in tanti, amici e colleghi che conosco. Con i quali
dobbiamo riprendere a credere.
Questa storia non è finita. Ce n’è ancora per tutti.
Sempre in primavera, ogni anno torno a Barbiana. Lì ci sono le mie
radici,
le radici di molti di noi, che sono sempre quelle del 67 e buttano
ancora
fuori linfa (ecco perché la primavera!).
Il 21 marzo 2002 vorrei andare a Barbiana con tanti amici.
Mi piacerebbe "ripartire da Barbiana", non
"ritornare". Non siamo reduci:
siamo ancora in piena battaglia.
L’ho già fatto nel 1994 con un centinaio di persone (primo governo
Berlusconi). Oggi vale doppio.
Ripartire da Barbiana con l’orgoglio di una visione del mondo che
diventa la
pratica delle nostre azioni.
Per il bene dei nostri bambini e bambine, per il bene del paese.
Ravenna, 16 dicembre 2001
|