IL NOVANTA

 

Salgo sul novanta. Sono le sei del mattino. C’è un adesivo attaccato allo schienale. E’ un lupetto scuro. C’è scritto Roma forever. L’ha attaccato uno studente. O uno stressato.

Fuori la luce cade leggera. Non scalda. Un barbone si stringe in un angolo.

Dentro è fresco; un anziano legge il giornale, l’autista procede lento, io.

Passa poco, sale un ragazzo alto; braccia robuste, denti stretti, espressione severa. Si siede e chiude gli occhi. Sogni sospesi.

Via Feronia. Un’auto è ferma al semaforo. Non passa nessuno. La strada, con il ragazzo, dorme ancora.

Ospedale Pertini, l’autobus fa una sosta, sale una donna. Camice verde, la borsa col serpente, le mani rosse, gli occhi gonfi, il sorriso spento.

Anche Maria dorme, ora. Alle cinque si alza, prepara il caffè, attende qualche minuto seduta sulla sedia, gli occhi serrati, le mani inerti sulle gambe; la caffettiera borbotta, Maria solleva poco le palpebre, spegne il fuoco, versa del caffè nella tazza, torna in camera, mi bacia la fronte; avverto il profumo del caffè, piano apro gli occhi, non più di metà, bevo lentamente.

Maria dorme sul letto.

L’autobus si ferma di nuovo, via Meda, salgono diverse donne, parlano ad alta voce.

La luce è grigia. Le auto si muovono. L’anziano continua a leggere. O ascolta le donne.

L’avevo detto al signor Roberto che il nuovo supermercato aveva proprio tutto. Ma lui era tranquillo. Chissà se vende.

Salgono alcuni ragazzi. sono chitarre rumorose, suonano note che scuotono il mattino, nascondono sogni dietro bocche argentine, e delusioni sotto palpebre socchiuse.

L’autobus è pieno adesso, a tratti si soffoca.

Capolinea: scendono tutti. Resta l’anziano che mi guarda. Mi chiede perché non scendo. Non è la mia fermata. Ha una faccia strana. Mi dice. Sono stato licenziato. Rispondo. Lo guardo, guardo le mie mani, lo guardo. Non si abbatta, ne troverà un altro. Non so. Ma certo, che lavoro fa? Mi chiede. Mi ha preso le mani. Le sue sono calde.

 

Ore sei. Salgo sul novanta. Maria dorme di nuovo. Enzo è già su. Mi saluta. Prendo posto accanto a lui. L’autista procede lento.

Che hai detto a tua moglie? Nulla. Devi farti coraggio. Non posso. Ragazzo mio troverai un altro lavoro. Mi tiene le mani, come ieri. Oggi non posso, penso al signor Roberto. Aveva le lacrime agli occhi. Mi piaceva il lavoro, quel lavoro. I clienti ci volevano bene. Ma poi sono andati via, un po’ alla volta. E il signor Roberto doveva abbassare i prezzi, ma vendeva quasi sottocosto. Forza ragazzo. Mi dice Enzo. Troverai un altro lavoro. Mi ripete.

Enzo apre il giornale, lo leggiamo insieme.

Sale il ragazzo dalle braccia forti. Si fa piccolo sulla poltroncina dietro all’autista. S’addormenta.

Ospedale Pertini. Sale la donna. E’ una infermiera del pronto soccorso, dice Enzo, fa il turno di notte, poverina.

Passano pochi minuti, salgono le collaboratrici domestiche. Enzo Solleva il giornale. Hai visto quella con la giacca rossa? Mi chiede. Non me la conta giusta. Aggiunge. Ogni tanto compra qualcosa di nuovo: scarpe, borse, altro, e lo mostra alle amiche. Credo che rubi nella case dove va a lavorare.

…E allora il padrone mi ha chiesto se l’avevo rotto io. No. Sicura? Forse. Forse sì o forse no. Non mi ha fatto pagare nulla. Ma devo dirglielo la prossima volta.

…Quando vanno tutti via pulisco il salotto, apro il bar, prendo un po’ del liquore scuro. Come profuma! Che forte, ah, ah, ah; scalda la gola. E tolgo la polvere cantando.

…Quella zozza lascia le mutande per terra, e la vasca sporca. Per me si porta qualcuno il pomeriggio. Povero padrone.

L’autobus si ferma ancora, salgono gli studenti. Le voci si confondono. Sono una musica. Note vibrate. Note soffuse. Difficile seguirle tutte.

…Marta è innamorata di Luigi ma sta con Luca. No! Ti dico di sì. E tu come lo sai. Li ho visti in discoteca. Ma io l’ho vista con Renato. No!

…Mi hai mandato un sms? Fammi vedere. Ma questo te l’ho mandato ieri. Te ne mando uno adesso vediamo dopo quanto arriva.

…Oggi ho il compito di matematica. Che palle. Hai studiato? Macché. E ci fa consegnare tutti i cellulari la strega. Ma io porto l’altro cellulare di papà. Mi aiuti no? Non posso. Ho il tema d’italiano, Marco mi manderà almeno trenta messaggi. Ma perché non li fanno lunghi per farci entrare un tema?

Quella ragazza lì passa il compito a tutti; è proprio una brava figliuola. Dice Enzo e mi sorride. Il suo ragazzo è quello che si chiama Marco. Aggiunge.

Capolinea, scendono tutti. Restiamo io ed Enzo.

Quanto tempo è che circoli sul novanta? Quattro anni; dalla pensione. Ne hai viste tante… Tante. Mi fa. Stiamo in silenzio. Io penso a Maria. Lui, non so.

L’obliteratrice oblitera. Una donna corpulenta ha inserito il biglietto. Con lei altre donne, ma non obliterano.

…e sono andata da uno specialista; uno bravo. Ma non mi ha saputo dire ancora nulla. Dice che è una malattia molto rara. Mi ha consigliato un altro medico; e così, sono quattro.

…Mio figlio è tre anni che non trova lavoro. E’ laureato in sociologia. L’ultimo lavoro che ha fatto era di dipingere le strisce sulle strade; che so, per attraversare o per parcheggiare.

…Mio marito non fa che guardare la tv. Telefilm e stronzate varie tutto il giorno. E si addormenta col telecomando in mano. Che lo devo coprire con la coperta. Non usciamo insieme da chissà quanto tempo.

Enzo le conosceva tutte ormai. Aveva studiato tutti i loro problemi e sapeva anche i loro gusti e ciò che compravano al mercato a due fermate dal capolinea. Le amava tutte, credo.

Oh no, c’è il pazzo. Esclama Enzo e si volta a guardare fuori dal finestrino. E’ entrato un uomo con il ventre gonfio; un po’ sciatto; capelli bianchi e unti; e si siede quasi ridendo.

…Bruno Vespa, Gigi Proietti, Pippo Baudo: i tre dell’apocalisse! Ma bravi. Ma ci vado io in Israele eh, eh, eh; le israelitiche me le faccio tutte io. Che io mi devo sposare, me lo sono ricordato stanotte che mi devo ancora sposare. Eh, eh, eh, faccio ancora a tempo.

 

 

E le persone che sono sull’autobus sorridono.

 

Terzo giorno sull’autobus; ancora senza lavoro. Solito giro. Dalle sei alle dieci non cambia molto. Il giovane dorme, la donna sale, le colf inciuciano, i ragazzi rumoreggiano. Alle 12 sale una donna ossuta con una pelliccia consunta. Sente parlare un extracomunitario al cellulare e gli rifà il verso.

…Bababà, bababà, bababà. Ma che c’avrete tanto da dirvi? E non si capisce niente! Ma parlate in italiano se siete in Italia¸ che vi fa solo comodo di vivere qua.

Il nordafricano la guarda; capisce ciò che dice, continua a parlare nella sua lingua.

…Bababà, bababà, bababà. Insiste la donna. E si siede biascicando il suo bababà, bababà, bababà.

Salgono tre uomini con la divisa blu. Chiedono il biglietto. L’extracomunitario lo mostra. Il controllore lo fissa, guarda il biglietto, lo fissa, gli riconsegna il biglietto. La donna insiste: ho lasciato l’abbonamento a casa; lo porto sempre, l’ho lasciato a casa. Ma l’uomo non le crede. E l’extracomunitario sorride.

 

Quarto giorno sull’autobus. Il signor Renato m’ha chiamato ieri. Ha parlato con Maria. Le ha detto se potevo tornare al lavoro. Lei ha risposto di sì. Non mi ha chiesto niente. Non c’è donna più di lei.

Ore sei; il ragazzo si rannicchia e dorme. La donna sale. Le signore chiacchierano. Io: prenoto la fermata; Enzo mi guarda, solleva piano la mano, guarda fuori dal finestrino. Io lo guardo, poi guardo fuori, scendo piano gli scalini; mi volto, riprendo a scendere, mi dirigo al lavoro.

 

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