Reno non dormì quella notte. Il piccolo cono di luce prodotto dal lume sul comodino alla sua destra gli era sufficiente per leggere le frasi trascritte sul suo taccuino. Quel Mosca aveva detto cose davvero interessanti prima di massacrare con un boken il direttore di ‘Tuttosport’ che credeva ancora nella vittoria del campionato da parte dell’Inter. Ad una prima analisi tutto pareva essere opera della stessa mano. O, perlomeno, della stessa mente.

Se non era la Juve l’artefice, così come aveva inizialmente addotto il dottor Galliani, chi altri poteva essere?

In effetti, il Napoli stava beneficiando enormemente di quella situazione. Da quanto aveva letto sui giornali sapeva che la squadra era scesa in serie B e vi era rimasta per quattro stagioni. Vi era poi stata una sorta d’insurrezione popolare che a molti aveva richiamato alla mente i moti del 1820. Questa volta, al posto di Re Ferdinando c’era stato Corrado Ferlaino, destituito con la forza dal nuovo generale Pepe, tale Diego Armando Maradona. Al suo nome le folle si erano riunite sulla via che da Nola conduce all’abitazione del Presidente del Napoli. Pazzariello, noto pizzaiolo, come oltre un secolo e mezzo prima avevano fatto Morelli e Silvati, si era incamminato con Maradona sotto braccio per una passeggiata al centro della città, portando con sé poche bombe molotov alcuni kalasnikov ed un Panzer rubato ai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, tenuto nascosto per oltre cinquant’anni nella soffitta di casa sua, caricato a buatte di pomodori pelati e mozzarelle di Aversa. Giunti sotto casa del presidente gli intimarono di scendere. Dapprima gli fecero indossare la maglia numero dieci di Re Diego Armando Primo. Poi lo costrinsero ad accettare la nuova Costituzione Partenopea, i dieci comandamenti del numero Dieci scritti da Lui medesimo:

1. Non avrai altro Diego all’infuori di me.

2. Non nominare il nome di Blatter (o quello di Matarrese) invano.

3. Ricordati di andare al S. Paolo la domenica (vai anche in trasferta).

4. Onora mio padre e mia madre.

5. Non ammazzare i tifosi avversari (fatta eccezione per alcuni milanisti e juventini che mi sono sempre stati antipatici).

6. Non commettere atti impuri prima dell’allenamento.

7. Non rubare (è tutto mio, ruberesti a me).

8. Non desiderare la donna d’altri (per me non vale).

9. Non desiderare la roba d’altri (meglio lasciar perdere certe cose).

10. Non dire che sono tuo amico (ma, soprattutto, non mostrare le foto).

Maradona divenne proprietario dell’intero pacchetto azionario e divenne presidente della Nuova Famiglia Calcio Napoli. Prese la panchina d’allenatore ad interim e la maglia numero dieci per gli ultimi dieci minuti del primo tempo ed i primi dieci del secondo facendo, in media, dieci gol a partita.

In seguito ad una suprema decisione della Federazione Italiana Giuoco Calcio fu decisa la promozione di diritto della squadra che cominciò da zero punti il campionato della massima serie con dieci giornate di ritardo. Nel frattempo Maradona acquistava parti della città.

Due ville a Posillipo, il castello di Baia, la zona nord del Centro Direzionale, l’ala ovest del Palazzo Reale, la fontana di Diana della Reggia di Caserta, l’intero quartiere Vomero, la neve sul Vesuvio, i Faraglioni di Capri, il limoncello di Amalfi, una bottiglia di Fiano ad Avellino, un pacco di torroncini a Benevento ed una fetta di babà al Ruhm con crema nella migliore pasticceria del centro.  A Salerno non c’era ancora stato. Il presidente della Salernitana tremava.

Dopo dieci vittorie consecutive, il Napoli s’era portato al terzo posto. ‘El Pibe de oro’ non sembrava più così buono come lo era stato un tempo. La squadra giocava con un impeto ed una cattiveria fino ad allora sconosciute. Terminava normalmente in nove o otto giocatori ma lasciava gli avversari senza ricambi sufficienti. Era una schiacciasassi, un rullo compressore, un martello pneumatico... Trovate voi altri stupidi sinonimi!

C’era certamente di che sospettare di lui.

 

 

Il gusto acre di senape e cipolla aveva lasciato finalmente il suo palato ma era andato ad albergare alla base dello stomaco. E sembrava determinato a restarci. Ed alle volte aveva quasi l’impressione che si agitasse come un feto irrequieto.

Reno prese il telefono e fece un numero di Milano.

- Commissario Sarti?

- In carne ed ossa.

- Ciao Romolo, sono Reno. Sapevo di trovarti ancora dentro.

- Ciao Reno, dentro e senza orario, come sempre. Qual buon vento?

- Vento di tempesta mio caro. Sentito l’insetto al processo?

- Sì, quel bastardo ha cantato come un usignolo.

- Ma era composizione originale?

- Che io possa essere dannato, sì!

- Chi è la talpa?

- Non mi è ancora giunta voce ma, certo come è certo che mi chiamo Romolo, qualcuno della scientifica ha spifferato tutto come un musico da strada.

- Che essere infame.

- Ma lo prenderò con il muso nella marmellata, quant’è vero Diego.

- Dammi buone nuove quando ne hai! Puoi chiamare il fido Robert a qualsiasi ora.

- Certo amico, puoi contarci. Stai in campana!

- Non preoccuparti e... Guardati le spalle.