Os 1,1-8 Venerdì 2 gennaio 2004
1 Parola del Signore rivolta a Osea figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di
Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboàmo figlio di
Ioas, re d'Israele. 2 Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
"Va', prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore". 3
Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: essa concepì e gli partorì un
figlio. 4 E il Signore disse a Osea: "Chiamalo Izreèl, perché tra poco
vendicherò il sangue di Izreèl sulla casa di Ieu e porrò fine al regno della
casa d'Israele. 5 In quel giorno io spezzerò l'arco d'Israele nella valle di
Izreèl". 6 La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore
disse a Osea: "Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d'Israele,
non ne avrò più compassione. 7 Invece io amerò la casa di Giuda e saranno
salvati dal Signore loro Dio; non li salverò con l'arco, con la spada, con la
guerra, né con cavalli o cavalieri". 8 Dopo aver divezzato Non-amata,
Gomer concepì e partorì un figlio. 9 E il Signore disse a Osea: "Chiamalo
Non-mio-popolo, perché voi non siete mio popolo e io non esisto per voi".
GIOVANNI
Nella benedizione di Dio che ieri
abbiamo accolto con gioia soprattutto dal brano del Libro dei Numeri nella
festa della Madre di Dio, protetti dall'intercessione dei Santi Basilio e
Gregorio che oggi le chiese ricordano, intraprendiamo di nuovo il nostro
cammino sostenendoci nell'affetto e nella preghiera. A Bologna siamo
particolarmente impegnati a pregare per il nuovo Arcivescovo Carlo, e bisogna
dire che è un grande vantaggio imparare a conoscerlo non tanto dalle voci che
ci arrivano, ma piuttosto da quell'ineffabile intimità che scaturisce dalla preghiera.
Il v.1 del nostro brano di oggi ci
conferma che la Parola di Dio non si rivela "fuori dalla storia", ma
nella storia, e non in una storia particolarmente virtuosa e quindi
ipoteticamente più adatta a ricevere il dono di Dio, ma se mai quasi al
contrario, in una storia ferita e lontana, che proprio per questo ha più
bisogno di essere chiamata a salvezza. Il nostro contatto con la Parola non è
un atto "devoto" o "dovuto", ma è semplicemente
l'intervento benefico del Signore nella nostra vicenda personale e collettiva
povera e prigioniera.
Complessivamente il cap.1 ci mette
davanti al mistero e alla meraviglia della "profezia". Come cogliamo
chiaramente dalle parole di oggi, essa non è tanto un fatto di
"parole" consegnate a una persona incaricata di comunicarle, ma è il
coinvolgimento radicale del profeta nella Parola che Dio proclama; al punto che
la profezia qui non si manifesta con parole materialmente dette, ma con parole
che emergono dalla vicenda stessa del profeta. E' meraviglioso che la "situazione"
in cui viene a trovarsi l'uomo di Dio esprima e riveli in qualche modo la
situazione stessa di Dio. Questa famiglia "scassata" del povero Osea
è la famiglia stessa di Dio e del suo popolo; in essa ognuno di noi si ritrova
perfettamente descritto, specialmente nella figura drammatica di questa sposa
adultera che genera figli di prostituzione.
C'è dunque un duplice
"passaggio" della Parola nella storia. Prima di tutto nella vita
personale del credente. E quindi nel significato che questa vita "invasa"
dalla Parola del Signore rivela nei confronti della storia del Popolo di Dio, e
attraverso di esso nei confronti della storia universale. Il miracolo perenne
della Parola di Dio nella chiesa e nella storia è quello della sua piena
attualità per ogni cuore e per ogni vicenda personale e collettiva. Mi viene
ancora nella testa e nel cuore la meraviglia del Magnificat, il cantico di
Maria di Nazaret, capace di descrivere la vicenda personale di una giovane
fanciulla nella sua proiezione nei confronti dell'intera esperienza umana.
I figli non sembrano essere
personalmente "colpevoli", ma in ogni modo sono coinvolti in un
mistero negativo che si esprime nei loro stessi nomi, e che rivela la loro
appartenenza a una generazione segnata dal male. Di fronte al ripudio divino
nei confronti della casa di Israele sta al v.7 l'affermazione di un'elezione
nei confronti della casa di Giuda, salvata non con opere della potenza mondana,
ma per l'intervento diretto di Dio. In ognuno di noi e nell'intera comunità credente
c'è una "sposa ripudiata" e una "sposa amata"; c'è un
mistero di morte-risurrezione.
Os 2,1-3 Sabato 3 gennaio 2004
1 Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può
misurare né contare. Invece di sentirsi dire: «Non siete mio popolo», saranno
chiamati figli del Dio vivente. 2 I figli di Giuda e i figli d'Israele si
riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dal proprio
territorio, perché grande sarà il giorno di Izreèl! 3 Dite ai vostri fratelli:
«Popolo mio» e alle vostre sorelle: «Amata».
MAPANDA
v.1: "Invece di sentirsi
dire..", si può anche leggere "Al posto", o "Nel luogo in
cui si sentirono dire..", cioè nel luogo del loro peccato, della loro
miseria, proprio li Dio darà a loro salvezza.
"Saranno chiamati..."
come quando si viene chiamati dalle tenebre alla luce, dalla malattia alla
salvezza.
v.2: "I figli di Giuda e i
figli di Israele si riuniranno insieme...", oppure "...saranno
riuniti insieme..." che suggerisce meglio come questa riunificazione e
rappacificazione sia opera di Dio.
"saliranno dal loro
territorio", o "saliranno dalla terra", espressione che
velatamente preannuncia la resurrezione, e indica così la assoluta novità
dall'opera di Dio.
"... poiché grande è il giorno
di Izreel!", cioè grande è il giorno in cui "Dio semina il
seme", in cui Dio si mostra Padre del Suo popolo e genera, Lui stesso, i
suoi figli.
Se i primi due vv. esprimono dunque
l'opera di Dio, la sua decisione di salvezza e di pace che attuerà, il v.3 dice
qual è la parte del popolo: chiamare i fratelli con il nome di "Popolo
mio" (contro "Non-mio-popolo, v.9) e le sorelle "Amata", o
"Colei che ha ottenuto misericordia". E chiamarli così già da ora,
con speranza, perché Dio così rende e così vede già la loro condizione.
Nei vv. precedenti abbiamo visto il
comando di Dio al profeta, qui in 2,3 c'è un comando per tutti. Dio ha mostrato
il suo piano per il futuro e ora dice agli uomini: "Dite ai vostri
fratelli: "Popolo mio, e alle vostre sorelle "Amata". Al profeta
ha detto ciò che deve fare e come deve chiamare i suoi figli; però dice agli
uomini di chiamare i fratelli e le sorelle in modo opposto. Il profeta
sottolinea la ribellione del popolo, ma poi il popolo, per comando di Dio, deve
preannunciare ciò che accadrà apertamente in seguito per opera di Dio.
Noi dobbiamo forse accettare che,
anche per noi, ci sia un tempo in cui siamo "Non popolo" e "Non
Amata", per poter essere chiamati da Dio, al tempo opportuno "Mio
popolo", e "Amata".
Os 2,4-9 Lunedì 5 gennaio 2004
4 Accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e
io non sono più suo marito!
Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo
adulterio dal suo petto; 5 altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò come
quando nacque e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire
di sete. 6 I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. 7 La
loro madre si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa
ha detto: "Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua,
la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande".
8 Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di
barriere e non ritroverà i suoi sentieri. 9 Inseguirà i suoi amanti, ma non li
raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: "Ritornerò al mio
marito di prima perché ero più felice di ora".
GIOVANNI
Abbiamo già fatto cenno a un
problema molto delicato, che oggi si presenta con evidenza e che mi sembra bene
sottolineare: il rapporto tra la madre, che è figura dell'intero popolo, e i
figli, direttamente citati oggi sia al v.4, dove sono il soggetto sottinteso
del verbo "accusate", sia al v.6. Il problema mi sembra questo:
esiste accanto alle colpe di ciascuno, e quindi di questi figli, una colpa
della madre, che già in Os 1,2-9 sembrava in certo senso precedere e quasi
provocare le colpe e le responsabilità dei figli? C'è quindi una colpa
"collettiva", o meglio una "matrice" negativa che genera
figli che sono nativamente malati e quindi esposti a peccati di cui ognuno di
loro sarà personalmente colpevole; come dire che come questi figli sono dei
"prostituti", non si può ignorare che esiste una causa alle loro
spalle dovuta alla prostituzione della madre. Il resto del brano di oggi e
il seguito del libro di Osea sembrano confermare questa tensione tra colpa
collettiva e colpa personale.
Detto questo, mi sembra di dover
affermare con molta forza, come sono capace, che da tutte le parole che oggi
riceviamo dalla bontà di Dio emerge il mistero grande della compassione divina
e dell'amore di Dio per il suo popolo, più forte di ogni colpa della sposa e di
ogni punizione che Egli le infligga. E' vero che al v.4 si dice che "essa
non è più mia moglie e io non sono più suo marito", ma è vero peraltro che
nella seconda parte del versetto, così come al v.5, c'è quell'
"altrimenti" che sembra voler implicitamente affermare che siamo
davanti a un giudizio per una castigo in vista della redenzione e non a un
giudizio per una definitiva condanna. Tra l'altro l'immagine del v.5 mentre
pronuncia la minaccia di una condanna sembra voler evocare la storia
meravigliosa dell'incontro tra Dio e la sua sposa nel deserto, come potrete
riascoltare con gioia e commozione in Ezechiele 16,1-14.
I vv.8-9 proseguono su questa
strada, e gli impedimenti che di fatto Dio porrà sulla strada di Israele verso
i suoi amanti perversi sono il segno non solo e non tanto di una punizione,
quanto l'espressione dell'amore geloso e possessivo di Dio che non consentirà
l'infrangersi definitivo del legame tra Lui e il suo popolo.
Os 2,10-17 Mercoledì 7 gennaio 2004
10 Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio e le prodigavo
l'argento e l'oro che hanno usato per Baal. 11 Perciò anch'io tornerò a riprendere
il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; ritirerò la
lana e il lino che dovevan coprire le sue nudità. 12 Scoprirò allora le sue
vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani.
13 Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte
le sue solennità. 14 Devasterò le sue viti e i suoi fichi, di cui essa diceva:
"Ecco il dono che mi han dato i miei amanti".
La ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. 15 Le
farò scontare i giorni dei Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di
anelli e di collane e seguiva i suoi amanti mentre dimenticava me! Oracolo del
Signore.
16 Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al
suo cuore. 17 Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acòr in porta
di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì
dal paese d'Egitto.
MAPANDA
Tutte le azioni del Signore nei
confronti della sposa infedele, toglierle la pace (v.14), la gioia e le feste
(v.13), lasciarla in fame e in nudità (v.11), svergognata (v.12), più che un
castigo definitivo di distruzione, peraltro così preannunciato in Dt 8,19,
sembrano essere un modo per riconquistare l'amore della sposa infedele, di cui
al v.10 si dice che "non capì..." e al v. 15: "...si dimenticava
di me!" Così il testo di oggi vuole dirci come in ogni modo Dio voglia
rinnovare il rapporto nuziale con il suo popolo con atti, anche severi, che
hanno l'unico scopo di risvegliarne la memoria del bene ricevuto da
Lui.
Il Vangelo di oggi (Lc 11,24-26)
farebbe pensare che questa opera di toglimento di tutti gli ornamenti e le
ricchezze della sposa infedele sia compiuta da Dio affinché gli spiriti
malvagi, gli amanti stranieri, non trovino attrattive in lei, ed essa rimanga
tutta libera per Lui.
Il nostro peccato, l'infedeltà a
Dio nascono dalla dimenticanza dei benefici ricevuti da Lui; il suo castigo
misericordioso ci riporta a Lui.
I vv. di oggi ci dicono dove sta,
secondo Dio, la speranza vera per il suo popolo: essere condotto nel deserto,
cioè nel luogo favorevole all'intimo incontro con Dio, e da Lui solo ricevere
ogni cosa buona, senza contare più né sui propri possessi, né sulla falsa
speranza di saziare le proprie bramosie con i doni di altri che non sono
Dio.
Ieri vedevamo molte azioni, come
castigo da parte di Dio per quella donna che è segno del popolo di Israele
infedele a Dio, che segue gli idoli. Oggi c'è un'azione più intima di Dio, che
attira la donna e parla al suo cuore. Forse prima Dio castiga, e poi Dio
consola; oppure, nello stesso momento Dio fa entrambe le cose: e il castigo di
Dio diventa l'invito per questa donna / suo popolo, il richiamo dell'amore, il
modo per attirarla di nuovo.
v.17: ".... e lei mi risponderà
di la", in gr. è "... e lei si umilierà": secondo molti passi
dell'A.T. e anche del Nuovo, è il modo buono di stare alla presenza di Dio.
GIOVANNI
Nel peccato di Israele non c'è solo
la lucida determinazione di tradire lo sposo. C'è anche una nota di smarrimento
e di incomprensione che il v.10 mette in evidenza. Il popolo non si rende conto
che quello che offre all'idolo non è un suo patrimonio o una sua disponibilità,
perché tutto quello che la sposa ha proviene dallo sposo, e ai suoi amanti ella
dà ciò che di fatto non è suo, ma le viene da Dio.
Per questo Egli la punisce
privandola, dicono i vv.11-12, non solo di quello che ella ha, ma anche di
quello che è, perché verranno allo scoperto "le sue vergogne".
Ridotta a miseria e bruttezza "agli occhi dei suoi amanti" (v.12),
così umiliata, i suoi amanti la respingeranno ed ella ritornerà nelle mani del
suo Signore e Sposo. Anche i vv.13-15 descrivono una situazione che svelando
come Israele nulla sia se non quello che il suo Signore le ha donato - e in
questo entrano fortemente come elemento della sua bellezza le feste e tutti i
segni della sua comunione nuziale - , alla fine la sposa infedele si renderà
conto che anche tutto quello che pensava di ricevere dai suoi amanti, in realtà
è di Dio.
In questo orizzonte, sembra esserci
una certa connessione tra la desolazione in cui precipita la sposa infedele -
"la ridurrò a una sterpaglia..." (v.14) - e il deserto verso il quale
lo Sposo l'attira, la seduce, quasi con un inganno, come sottolinea la versione
greca del v.16. E questo deserto sarà il luogo del grande ritorno all'antico
amore della giovinezza. Anche qui, al v.17, la versione greca insiste su un
elemento di umiliazione, che sarà però la condizione privilegiata perché la
sposa ritrovi la bellezza e la profondità incomparabile della comunione
con il suo Signore. Dunque il deserto sarà una "porta di speranza"
(v.17), sarà la memoria dell'antico esodo dall'Egitto quando in modo pieno
Israele sperimentava da una parte la sua miseria, e dall'altra tutta la potenza
dell'amore di Dio.
Os 2,18-25 Giovedì 8 gennaio 2004
18 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito
mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. 19 Le toglierò dalla bocca i nomi dei
Baal, che non saranno più ricordati. 20 In quel tempo farò per loro un'alleanza
con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo;
arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli.
21 Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel
diritto, nella benevolenza e nell'amore, 22 ti fidanzerò con me nella fedeltà e
tu conoscerai il Signore. 23 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore -
io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; 24 la terra risponderà
con il grano, il vino nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. 25 Io li
seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò:
Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio.
MAPANDA
v.21: "Ti farò mia sposa (= ti
fidanzerò) a me per sempre": queste parole vengono a rispondere a una
domanda insistente del nostro cuore: "E' possibile essere fatti
nuovi?" Sì, per Dio è possibile. A questa donna adultera e prostituta,
oggi Dio si rivolge come a una vergine. Il verbo usato qui "ti
fidanzerò" è usato nella Bibbia solo per dire di un uomo che sposa
la sua vergine. E' fatta nuova! Il suo adulterio è scomparso ed è fatta nuova.
Nicodemo chiese a Gesù: "Come può un uomo rinascere quando è
vecchio?" Per Dio è possibile. Nonostante la vecchiezza del nostro
peccato, è possibile tornare alla giovinezza della verginità, perché Dio vuole
e può vederci così!
"...per sempre": l'amore
di Dio per il suo popolo è eterno!
v.21b: "ti farò mia sposa ...
nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore": questa
espressione descrive in cosa consiste la "dote", che come qui in
Africa, il futuro sposo, che in questo caso è il Signore Dio, paga per avere la
moglie. E' straordinario. Non si capisce bene a chi possa Dio pagare questa "dote",
ma dice così, che paga per averci. E la prima cosa che dà, (verrebbe da
pensare) alla sua stessa sposa, è "la giustizia", cioè "la
salvezza che viene da Lui". I n ogni caso, ci sembra di ricavare qui il
preannuncio che Dio per farci suoi paga del suo; in Gesù, paga con la vita, con
il suo sangue.
v.22: "... e tu conoscerai il
Signore". Abbiamo letto al v.8 dell'ignoranza di questa sposa: "Non
sapeva che Io le davo il grano il vino e l'olio": conoscerlo è un
problema vitale per noi, e anche per Dio stesso. Nella storia della salvezza
Dio ha tentato molte volte e in molti modi di mostrarsi: ma il suo popolo non
lo conosce! Dio vuole che lo conosciamo come è: lo sposo del suo popolo; non il
suo padrone né il suo dominatore, ma Colui che ama e sposa il suo popolo. E come
ci ripete Silvano in questi giorni: diverso è credere in Dio, e diverso è
conoscere Dio: è importante che cerchiamo di conoscere Dio come il nostro
sposo.
L'accostamento del brano di oggi al
vangelo (Lc 11,29-36), ci suggerisce cosa sia il "pentimento". E'
venire attratti da Dio, condotti nel deserto e poterlo conoscere e chiamare per
nome: Sposo mio!
Non si può confondere la luce con
le tenebre; non si può mescolare il nome di Dio e il nome degli idoli; Dio
non vuole essere chiamato "Baal", signore e dominatore, come vengono
chiamati gli idoli. Il suo nome è Sposo, e il N.T. ci dirà che il Suo nome è
"Amore": è uno sposo nell'amore e non nel dominio.
GIOVANNI
Nelle parole che oggi il Signore ci
regala viene proclamato con forza il fine salvifico del giudizio di Dio
espresso verso il suo popolo; non un giudizio di condanna, ma un giudizio per
la salvezza. In questo giudizio che restituisce la sposa infedele al suo sposo
viene profetizzata una condizione nuova che non pare essere tanto un passo compiuto
dal popolo, quanto l'opera stessa di Dio e la sua efficacia. "Avverrà in
quel giorno..." dice al v.18. Il vero nome di Dio sarà ritrovato dal
popolo perché, dice al v.19, "le toglierò dalla bocca i nomi dei
Baal". Dunque ci convertiremo, perché l'azione potente della misericordia
divina agirà efficacemente in noi.
Le nozze ritrovate tra Dio e la sua
gente si collocano, secondo il v.20, in un orizzonte di pace universale: pace
nella creazione e pace nella storia. L'antico patto stipulato con Noè dopo il
diluvio, e le promesse della pace messianica della fine dei tempi annunciate
dai profeti, finalmente si compiono. Mi pare bellissima l'affermazione secondo
la quale anche i grandi drammi del nostro tempo, la deriva ecologica e il
conflitto mortale tra le nazioni, hanno la fonte e la speranza della loro
risoluzione nella pace tra Dio e il suo popolo. I vv.21-22 descrivono il volto
nuovo e definitivo di questa pace nuziale ricordandoci gli elementi
fondamentali dell'azione salvifica di Dio e la custodia che Egli esercita a
nostro favore riguardo a tale alleanza: la giustizia, il diritto, la
benevolenza e l'amore, la fedeltà. Queste "virtù" di Dio saranno
altrettanti doni fatti al popolo perché possa celebrare in pienezza la sua
comunione con Colui che l'ha creato e l'ha salvato.
Riguardo a questo verbo
"rispondere" presente quattro volte nei vv.23-24, è opportuno
segnalare la gamma di significati che esso ha nella lingua ebraica. Lo
abbiamo già incontrato nel passo precedente quando al v.17 del cap.2 si diceva
della sposa: "canterà". A questo significato di cantare è necessario
unire il senso di una sottomissione umile, che spiega, come dicevamo nel nostro
commento al v.17, come mai la versione greca non dice "canterà", ma
"sarà umiliata". Qui, dove la traduzione italiana usa il termine
"rispondere", il verbo assume il significato di una
"condiscendenza", in quanto il soggetto è un "più grande" e
"più alto" di chi può beneficiare della sua risposta. Infatti è Dio
che "risponderà" al cielo, e il cielo "risponderà" alla
terra. La terrà poi risponderà al popolo - che qui è sottinteso - con la sua
fecondità, e quindi con il grano, il vino e l'olio. E questi risponderanno a
Izreel che in Osea 1,6 e 2,2 abbiamo incontrato per indicare il popolo stesso
chiamato al giudizio di Dio. Dunque, le nozze ritrovate e definitive saranno un
grande canto d'amore del popolo a Dio e di Dio al suo popolo; un canto di
benevolenza e di soccorso per la salvezza. Siamo qui alla profezia della
suprema diaconìa del Cristo e del suo amore per noi fino alla Croce. In Cristo,
Dio canta, si umilia e accondiscende a noi nel suo Cristo. Il Cristo è venuto
per servire. La sua potenza si manifesta nella sua diaconìa d'amore e di
salvezza per noi. Si dice spesso che l'esercizio del ministero è servizio.
Forse è bene ricordare che il servire è il cuore di tale esercizio e il
volto nuovo di ogni esercizio di potere.
Infine il v.25. Qui il popolo
stesso di Dio, i suoi figli, la sua sposa, diventano il prezioso seme che Dio
semina, e precisa, "di nuovo, per me", seme che oramai sarà fecondo
perché avrà ritrovato se stesso ritrovando il mistero della sua comunione con
Dio, quella comunione che si esprime nella condizione privilegiata che lo
definisce in modo pieno attraverso la sua relazione con il Signore. Dio lo
chiamerà "Popolo mio", e il popolo chiamerà il suo Signore "Mio
Dio".
Os 3,1-5 Venerdì 9 gennaio 2004
1 Il Signore mi disse ancora: "Va', ama una donna che è amata da un
altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad
altri dei e amano le schiacciate d'uva". 2 Io me l'acquistai per quindici
pezzi d'argento e una misura e mezza d'orzo 3 e le dissi: "Per lunghi
giorni starai calma con me; non ti prostituirai e non sarai di alcun uomo; così
anch'io mi comporterò con te.
4 Poiché per lunghi giorni staranno gli Israeliti senza re e senza capo,
senza sacrificio e senza stele, senza efod e senza terafim. 5 Poi torneranno
gli Israeliti e cercheranno il Signore loro Dio, e Davide loro re e trepidi si
volgeranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni".
MAPANDA
Nel brano di oggi leggiamo per due
volte "per molti giorni...", al v.3, detto della donna, segno dei
figli di Israele, che staranno "per molti giorni.." senza re, ecc.
(v.4).
Abramo stette "per molti
giorni.." come straniero nella terra dei Filistei; i figli di Israele poi
stettero "per molti giorni.." in Egitto come stranieri, e poi come
schiavi; poi loro stessi sono stati "per molti giorni.." nel deserto
dopo il loro rifiuto ad entrare nella Terra Promessa.
Anche qui il motivo di questo
"stare molti giorni senza capo né culto" sembra essere una via di
purificazione, come fu per il popolo il tempo trascorso nel deserto. Dio toglie
tante cose alla donna/al popolo, attirando il popolo nel deserto, per parlare
al suo cuore, affinché torni al suo Dio non solo esternamente, ma con il cuore
(2,16).
v.3: "...così anch'io mi
comporterò con te": Dio per amore del suo popolo, della sua sposa, si
mette nella stessa condizione di conversione e penitenza di lei.
Per lunghi giorni questa donna
offrirà al suo compagno segni di carità silenziosa, mentre entrambi restano in
tranquillità; ma in questo è moglie di questo sposo. Questa assenza di segni e
di culto, porta in sé la speranza della ripresa dei segni di amore, che
sembrano riferirsi particolarmente a segni liturgici (v.4).
Nel brano di oggi sembra di
cogliere come tre passi successivi del rapporto tra Dio e il suo popolo: 1.
prima Lui, come il profeta, rimane fedele al suo amore, anche se il popolo è
infedele e si rivolge agli idoli; 2. il Signore Dio, come il profeta, riprende
la sposa presso di se "acquistandola", per poi rimanere insieme,
quasi senza che ci siano gesti d'amore, quasi come "costretta";
poi, 3. dopo questo sostare in tranquillità, senza ricchezze, né idoli, né
altri amori sembra condurre la sposa/popolo all'apice della risposta d'amore
all'amore: "ritorneranno e cercheranno il Signore loro Dio"
(v.5)
GIOVANNI
Questo breve capitolo del libro di
Osea, che apparentemente riprende gli stessi temi già trattati, mi sembra in
realtà molto più drammatico e realista; e quindi di singolare efficacia per
dirci fin in fondo quale sia la fisionomia del rapporto tra Dio e il suo
popolo; e, più in generale il rapporto tra Dio e l'umanità, e tra Dio e ogni
persona. In fondo la vicenda descritta nei cap.1-2 sembrava collocabile
nell'orizzonte di un "incidente", e cioè come memoria di un
"peccato" compiuto in una vicenda nuziale; per la verità eravamo
avvertiti che la sposa era già di per sé una persona segnata dal suo peccato,
una prostituta. Qui però, oggi, tutto tende a descrivere una situazione e una
vicenda che si pone a priori nello spazio dell'impossibilità e della totale
inadeguatezza di questa donna che Dio fa sua. Notate che da subito, prima che
entri in contatto con il profeta, lei è descritta come una "che è amata da
un altro", quindi a priori è "già" di un altro, è
"già" "adultera" (v.1). Nello stesso modo "il Signore
ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei...". La vicenda quindi
appare "costituzionalmente" malata e impossibile, e non solo ferita
"storicamente" da un peccato.
A conferma di ciò, il v.2 non ci
parla di un matrimonio, ma semplicemente e brutalmente di un acquisto. E il v.3
descrive la richiesta di non-prostituzione non certo come una nota propria di
questa relazione, ma come una situazione passeggera, destinata a descrivere
profeticamente il tempo del pentimento e della riconciliazione. Quindi i
"lunghi giorni" della stabilità nuziale non si presentano come un tempo
di felice unione, ma come quel tempo in cui, privata di tutti i segni della
comunione e dell'affetto del suo Signore, Israele ritornerà in se stesso. Ma
tutto sembra sottintendere che di per sé non potrà essere che une fase
passeggera!
Ecco allora la descrizione al v.4
di questi "lunghi giorni" di penitenza, cioè di privazione di tutto
quello che costituiva e attuava l'amore di Dio per il suo popolo, cioè tutti i
segni attraverso i quali Israele celebra l'elezione divina e la sua
condizione di "popolo di Dio". Ed ecco quindi al v.5 i verbi che
descrivono lo splendore della conversione e dell'amore ritrovato:
"torneranno, cercheranno, si volgeranno". E così sarà "alla fine
dei tempi": il che mi sembra confermare che "fino alla fine"
questa è la fisionomia della relazione tra Dio e l'uomo. Quasi e contraddire
l'illusione o la presunzione di una nostra capacità di custodire la relazione
senza peccato da parte nostra e quindi senza bisogno del perdono di Dio. Mi
sembra sempre più chiaro che questo popolo è "santo", cioè sperimenta
incessantemente in sé la santità di Dio, proprio perché sperimenta
incessantemente la potenza di vita, o meglio di morte-vita, e cioè di salvezza
"pasquale" intesa come passaggio dalla morte alla vita, e come morte
della creatura ferita e risurrezione in noi del Verbo incarnato, dell'Uomo
nuovo, dono perenne di Chi la ama fino a darle la vita, la ama fino alla Croce.
E' la Chiesa incessantemente rinnovata nel sangue dello Sposo.
Os 4,1-10 Sabato 10 gennaio 2004
1 Ascoltate la parola del Signore, o Israeliti, poiché il Signore ha un
processo con gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del
prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. 2 Si giura, si mentisce, si uccide,
si ruba, si commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue. 3 Per
questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali
della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno. 4
Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l'accusa. 5
Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai perire tua
madre. 6 Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la
conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo
Dio e io dimenticherò i tuoi figli.
7 Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in vituperio.
8 Essi si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. 9
Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro
condotta, e li retribuirò dei loro misfatti. 10 Mangeranno, ma non si
sazieranno, si prostituiranno, ma non avranno prole, perché hanno abbandonato
il Signore per darsi alla prostituzione.
MAPANDA
In questo severo rimprovero di Dio al suo
popolo ci sembra importante il v.7, che in kiswahili - ricalcando l'originale -
dice così: "Quanto più crescevano, tanto più commettevano peccati, e io ho
cambiato la loro gloria in vergogna". Sembra una ripresa e una
attualizzazione di quanto aveva rivelato in Deut 7,7 : "Il Signore si è
legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri
popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -; ma perché il Signore
vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri
padri..". Agli occhi del Signore non è il numero che è importante; anzi,
quando il popolo mette la sua fiducia nell'essere numeroso, questo rischia di
diventare l'origine del peccato: Dio non li ha scelti perché erano molti, ma
perché erano pochi, e l'amore di Dio si è mostrato a tali.
E Dio abbassa la loro gloria per
togliere al popolo ogni pensiero di autocompiacimento, fondato sul loro essere
numerosi.
La dimenticanza del Signore e della
sua legge (v.6) è causa del moltiplicarsi dei peccati nel popolo (v.2).
GIOVANNI
I primi tre capitoli del nostro
Libro ci hanno regalato la grande immagine nuziale dell'amore tra Dio e il suo
popolo, e ne hanno disegnato la fisionomia drammatica eppure piena di speranza.
Mi sembra si possa dire che ora tutto questo viene descritto nel suo svolgersi
storico nell'esperienza dei singoli e di tutto il popolo. L'infedeltà e
l'adulterio della donna sono allora la storia dei peccati del popolo.
Ma non è solo così. Il grande
interesse di quanto il Signore ci sta comunicando è anche la radicale diversità
dell'interpretazione etica proprio a partire dal volto nuziale del rapporto tra
Israele e il suo Signore. Mentre secondo i canoni della morale classica tu
spezzi il tuo legame con Dio perché fai i peccati, qui si dice che tu fai i
peccati perché hai spezzato il tuo vincolo dei comunione con Lui. C'è dunque
"un" peccato che sta all'origine di tutti gli altri, ed è il peccato
che attenta alla comunione con Dio, è l'adulterio, è l'idolatria. Così io
accoglierei il v.1, precisando la traduzione verso i termini essenziali di tale
comunione: "non c'è verità, né misericordia, né scienza di Dio";
questi sono i grandi pilastri della relazione che Dio stabilisce con i suoi. Se
si perde e si tradisce questo, tutto frana nella molteplicità dei peccati, che
altro non sono che l'esplicitazione e il frutto amaro di quel tradimento. Non
dimentichiamoci che per la nostra fede ebraico-cristiana l'uomo è
sostanzialmente ferito e dunque irrimediabilmente incapace di quella giustizia
che la Legge rivela. Solo il "Dio con noi" ci apre alla possibilità
della vita nuova in Lui!
I vv.2-3 sono dunque la descrizione
di quello che inevitabilmente accade quando è perso il contatto, il vincolo
d'amore, con il nostro Signore. Il popolo precipita nella vita ferita di tutta
l'umanità e perde il privilegio che gli veniva dal dono dell'elezione divina.
In questo precipitare coinvolge tutta la creazione.
Tale peccato travolge tutti. Non
c'è chi possa rimproverare altri. Neppure il sacerdote e il profeta. Anzi, pesa
una responsabilità ben più grande su chi molto ha ricevuto sia nel dono di Dio,
sia nel compito di farne partecipi i suoi fratelli. Il v.6 è molto chiaro nel
confermare che il popolo "perisce per mancanza di conoscenza". E che
in questo è altissima la responsabilità del sacerdote: "..tu rifiuti la
conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote...hai dimenticato la legge del tuo
Dio e io dimenticherò i tuoi figli". Non voglio sottrarmi a ricevere in
modo diretto questo giudizio di Dio, ma per amore di verità devo ricordarvi che
in questo popolo messianico nato dalla Croce di Cristo e tutto
"sacerdotale", ognuno deve considerare le sue responsabilità nei
confronti di chi Dio gli ha affidato, piccolo e grande. Detto questo, mi
confesso peccatore più di tutti voi.
Os 4,11-19 Lunedì 12 gennaio 2004
11 Il vino e il mosto tolgono il senno. 12 Il mio popolo consulta il suo
pezzo di legno e il suo bastone gli dà il responso, poiché uno spirito di
prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio. 13
Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la
quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si
prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio. 14 Non
punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono
adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le
prostitute sacre offrono sacrifici; un popolo, che non comprende, va a
precipizio.
15 Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda. Non andate
a Gàlgala, non salite a Bet-Avèn, non giurate per il Signore vivente. 16 E
poiché come giovenca ribelle si ribella Israele, forse potrà pascolarlo il
Signore come agnello in luoghi aperti? 17 Si è alleato agli idoli Efraim, 18 si
accompagna ai beoni; si son dati alla prostituzione, han preferito il disonore
alla loro gloria. 19 Un vento li travolgerà con le sue ali e si vergogneranno
dei loro sacrifici.
MAPANDA
v.15: Dio forse dice che è
importante che la malattia non si diffonda di più: "Se ti prostituisci tu
Israele, non si renda colpevole Giuda.." . Noi quando pecchiamo, vogliamo
introdurre anche gli altri, oppure è facile che anche altri ci imitino. (In
molti brani della Bibbia si vede come Israele e Giuda, fratelli separati e
nemici, sono uniti nella disobbedienza a Dio). Per questo Dio dice: "Se
Israele ha peccato, non sia disobbediente Giuda; mettete dei confini! Non
andate in luoghi dove ci si può ammalare" (v.15b).
v.19: "Il vento ha chiuso
Israele con le sue ali..." Dio pone un confine, mette "in
quarantena" Israele malato, affinché altri non ne siano contagiati:
l'opera di Dio è quella di un medico che ricovera per guarire; e questa
opera si compie per un vento, per uno "spirito" mandato da Dio.
Il testo di oggi sottolinea con tre
immagini, che si uniscono e completano a vicenda, il rapporto malato del popolo
con il suo Dio. Innanzitutto la parola prostituzione e adulterio, che ritorna
molto, e che dai primi 3 capp. abbiamo visto come esprime l'abbandono di Dio da
parte del popolo che si rivolge ad altre potenze, ad altri dei e protettori,
per avere cibo, sicurezza e conforto; poi, insieme a questa, o quasi causa di
questa, la non conoscenza di Dio, o il rifiuto di conoscerlo quando e come Lui
si fa conoscere (vv.11 e 14); e infine la ricerca di altre vie di conoscenza,
come la magia e la divinazione (v.12), che come e più del vino e del mosto
(v.11) tolgono il senno, e impediscono di ascoltare e di ricevere da Dio la
vera conoscenza e il puro amore.
GIOVANNI
Nella prima parte di questo cap.4
il Signore ci ha parlato soprattutto del tradimento nuziale come origine di
ogni peccato: perso il contatto con il nostro Signore e Sposo, siamo esposti
alla nostra fragilità! Nei vv.11-14 del brano di oggi viene introdotto un altro
elemento di grande importanza che ci rende ulteriormente consapevoli del
meccanismo e della potenza del male. Alla debolezza che consegue
inevitabilmente alla frantumazione del vincolo di comunione con Dio, deve
essere unita la consapevolezza che il male non è semplicemente il non bene che
facciamo o il bene che non facciamo. Esso stesso, il Male, è un mistero, è una
realtà che ci sovrasta e alla quale non siamo capaci di contrapporci. Come il
vino e il mosto "tolgono il senno", alla lettera, "il cuore"
(v.11), così non è semplicemente la "nostra" prostituzione agli idoli
che ci strappa dal Signore, ma è uno "spirito di prostituzione" che
ci porta lontano dallo Sposo della nostra vita. Cioè, più che essere dei
"facitori del male", noi siamo dei "dominati", dei servi
del male. Considerate con attenzione questo v.12: "...uno spirito di
prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio".
Per tutto questo tema dell'amore nuziale, della fedeltà e delle conseguenze
negative del nostro adulterio, vi consiglio di rinnovare il vostro legame con
la grande immagine della vite e dei tralci in Giovanni 15; lì vedrete che il
"rimanere" in Gesù è la condizione per "portare frutto"; e
viceversa, chi non rimane in Lui, non può portare frutto e si secca.
Viene ribadito al v.14 che è del
tutto fuori luogo pensare di poter giudicare il peccato di altri, perché tutti
siamo nel peccato, a partire, e quindi con maggiore responsabilità, da chi ha
maggiori compiti e doveri. Mi sembra interessante qui anche la demitizzazione della
tesi tutta maschilista che attribuisce alla donna una parte principale nel male
e nel peccato.
I vv.15-18 mi sembrano voler
mettere in evidenza quel male aggiunto che è la solidarietà negativa tra chi
tradisce il mistero di Dio. Una "mafia" insomma, tra malfattori. La
nostra tradizione di fede e di sapienza è molto collegata al desiderio di
portare ciascuno alla consapevolezza della sua personale responsabilità. Invece
la nostra tendenza è quella di imbarcarci insieme; "si accompagna ai beoni"
dice il v.18. E al v.15:"Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda
colpevole Giuda".
Os 5,1-12 Martedì 13 gennaio 2004
1 Ascoltate questo, o sacerdoti, state attenti, gente d'Israele, o casa
del re, porgete l'orecchio, poiché contro di voi si fa il giudizio. Voi foste
infatti un laccio in Mizpà, una rete tesa sul Tabor 2 e una fossa profonda a
Sittìm; ma io sarò una frusta per tutti costoro.
3 Io conosco Efraim e non mi è ignoto Israele. Ti sei prostituito,
Efraim! Si è contaminato Israele. 4 Non dispongono le loro opere per far
ritorno al loro Dio, poiché uno spirito di prostituzione è fra loro e non
conoscono il Signore. 5 L'arroganza d'Israele testimonia contro di lui, Israele
ed Efraim cadranno per le loro colpe e Giuda soccomberà con loro. 6 Con i loro
greggi e i loro armenti andranno in cerca del Signore, ma non lo troveranno:
egli si è allontanato da loro.
7 Sono stati sleali verso il Signore, generando figli bastardi: un
conquistatore li divorerà insieme con i loro campi. 8 Suonate il corno in Gàbaa
e la tromba in Rama, date l'allarme a Bet-Avèn, all'erta, Beniamino! 9 Efraim
sarà devastato nel giorno del castigo: per le tribù d'Israele annunzio una cosa
sicura.
10 I capi di Giuda sono diventati come quelli che spostano i confini e su
di essi come acqua verserò la mia ira. 11 Efraim è un oppressore, un violatore
del diritto, ha cominciato a inseguire le vanità. 12 Ma io sarò come una
tignola per Efraim e come un tarlo per la casa di Giuda.
MAPANDA
Nei vv. di oggi troviamo come due
azioni che Dio fa in risposta alla ribellione di Efraim/Israele; e queste due
azioni non sono corrispondenti, secondo il nostro pensare ordinario. Al v.6
dice: "...non lo troveranno (Dio), perché si è allontanato da loro";
e al v.12 dice "Sarò come una tignola per Efraim, e come un tarlo per la
casa di Giuda". La tignola dei vestiti, e il tarlo delle ossa (che molte
volte troviamo citate nella Bibbia) sono, al contrario, vicinissime,
"dentro".
Dio è lontano perché non accetta di
essere accanto a persone ribelli; deve mostrare loro il suo disaccordo, e che
Lui invece è fedele, e non come loro, che sono infedeli. D'altra parte, seppure
agendo come una presenza disturbante, e anche, in qualche modo, distruttiva
come il tarlo e la tignola, Dio continua ad essere vicinissimo a questo popolo,
del tutto intimo a loro.
Dio fa così perché non può
permettere che il suo popolo sia come quel ricco del vangelo (Lc 12,13-21), che
alla fine resta solo con la sua avidità davanti alla morte. Dio resta vicino al
suo popolo per "rovinare" le cose del popolo, le sue ricchezze,
affinché cambino e confidino in Lui.
GIOVANNI
Il potere dello spirito di
prostituzione (v.4) sembra definitivamente dominare Giuda e Israele che ormai
"non conoscono il Signore". Si ha oggi l'impressione di una storia
vissuta irrimediabilmente lontano dalla comunione con Lui. Ancora il v.4
afferma che "non dispongono le loro opere per far ritorno al loro
Dio". E se "andranno in cerca del Signore" (v.6), non lo
troveranno, perché "egli si è allontanato da loro"!
Il segno più drammatico
dell'allontanamento dal Signore è la guerra. I vv.8-12 registrano questo
dramma. Mi sembra molto importante anche per i nostri tempi la constatazione
che non c'è una guerra giusta, perché è la guerra in sé, in quanto guerra tra
fratelli, ad essere ingiusta. Essa è già parte di un mondo divorziato da Dio,
teso a costruirsi una sua etica che con Dio non ha nulla a che fare. E' molto
bello a questo proposito l'accostamento a Luca 12,13-14, testo che noi oggi
celebriamo nella Liturgia, dove Gesù si rifiuta di essere arbitro e mediatore
in una contesa tra fratelli per il possesso di un'eredità.
Os 5,13-6,3 Mercoledì 14 gennaio 2004
13 Efraim ha visto la sua infermità e Giuda la sua piaga. Efraim è
ricorso all'Assiria e Giuda si è rivolto al gran re; ma egli non potrà curarvi,
non guarirà la vostra piaga, 14 perché io sarò come un leone per Efraim, come
un leoncello per la casa di Giuda. Io farò strage e me ne andrò, porterò via la
preda e nessuno me la toglierà. 15 Me ne ritornerò alla mia dimora finché non
avranno espiato e cercheranno il mio volto, e ricorreranno a me nella loro
angoscia.
1 "Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci
guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2 Dopo due giorni ci ridarà la
vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3
Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora.
Verrà a noi come la pioggia di autunno come la pioggia di primavera, che
feconda la terra".
MAPANDA
Dio dice che "andrà, tornerà,
verrà"; e anche del popolo di Israele si dice che "lo
cercheranno" e che le parole del popolo saranno: "Andiamo!
Ritorniamo!". Ci ricordano il Cantico e le parole dell'amata e dell'amato,
"vanno e vengono, si cercano". Nelle parole di oggi il Signore ci
mostra il suo desiderio di cambiare la nostra storia, e del popolo di Israele,
che è storia di peccato e di ribellione, per farla diventare storia di amore.
Dio ha la forza di cambiarla e di mostrare che da parte sua il rapporto con il
popolo è una storia di amore.
Nella consapevolezza della propria
infermità e piaga (v.13), Israele e Giuda cercano chi possa curarla. Essi si
rivolgono prima all'Assiria e al suo re, che non potranno fare niente per loro.
Poi, dopo un intervento, severo e salvifico, del Signore come leonessa e
come leoncello, essi cercheranno Lui e a Lui ricorreranno con impegno e premura
(vv.15 e 3).
E la presentazione che Dio fa di sé
come un leoncello per Giuda, ricorda che questa stessa immagine, nella
benedizione di Giacobbe (Gen 49,9-10), è collegata alla venuta del Messia
dalla tribù di Giuda, come salvatore del popolo.
GIOVANNI
Continuiamo a seguire con
attenzione il cammino di lontananza e le prospettive di conversione di Israele
nei confronti di Dio, riconoscendo con lucidità che tale vicenda è quella che
si compie in ogni cuore, e che è descrittiva in certo modo anche di tutto il
cammino dell'umanità verso il suo Creatore e Signore.
Il v.13 descrive in modo
significativo la resistenza del cuore a riconoscere quale sia la vera
fisionomia delle nostre situazioni ferite. Andiamo alla ricerca di rimedi e
risoluzioni, ci orientiamo verso "potenze" mondane che certo non
possono liberarci dal nostro male, che non si può né intendere né risolvere
secondo categorie umane perché esprime il nostro rapporto sbagliato con il
Signore. Il v.14 afferma addirittura la volontà positiva da parte di Dio di
punirci e di farci sperimentare tutto il dramma della nostra lontananza da Lui,
senza che noi possiamo trovarvi un rimedio. E il v.15 conferma tutto questo
indicando l'obiettivo divino del nostro profondo e radicale ravvedimento.
In tal senso è impressionante
doverci accorgere che anche la confessione di fede contenuta in 6,1-3 non è
accolta dal Signore, come vedremo, se Dio vorrà, nel brano successivo. Ho detto
impressionante perché le parole che vi ascoltiamo sembrano tutte vere e anche
forti nell'esprimere la fiducia nella misericordia divina. Chiedendomi come mai
tale "confessione" venga considerata insincera e fragile "come
la rugiada che all'alba svanisce" (così possiamo anticipare dal v.4), mi
sembra che ciò sia dovuto al fatto che la misericordia di Dio non è una tesi
teologica o addirittura un "meccanismo" della storia, qualcosa che
noi possiamo razionalmente prevedere e mettere in conto, ma si tratta sempre
della meraviglia che per sua insondabile volontà Dio fa fiorire nella nostra
storia, dalla nostra morte. Niente di dovuto, quindi; niente di prevedibile.
Sperimentassimo migliaia di volte tale misericordia - e così è di fatto -
sempre ci troveremmo davanti a un "miracolo", e non ad un fatto
splendido, ma in fondo previsto e scontato al punto da farci dire che "la
sua venuta è sicura come l'aurora". Solo nel dramma del nostro
irrimediabile peccato possiamo conoscere la meraviglia dell'opera divina della
Pasqua.
Os 6,4-11 Giovedì 15 gennaio 2004
4 Che dovrò fare per te, Éfraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro
amore é come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce. 5 Per
questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della
mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6 poiché voglio l'amore e non
il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti. 7 Ma essi come Adamo
hanno violato l'alleanza, ecco dove mi hanno tradito. 8 Gàlaad è una città di
malfattori, macchiata di sangue. 9 Come banditi in agguato una ciurma di
sacerdoti assale sulla strada di Sichem, commette scelleratezze. 10 Orribili
cose ho visto in Betel; là si è prostituito Efraim, si è contaminato Israele. 11
Anche a te, Giuda, io riserbo una mietitura, quando ristabilirò il mio
popolo.
MAPANDA
v.6: "voglio l'amore, non il
sacrificio; la conoscenza di Dio più degli olocausti": nel ritorno a Dio,
Egli gradisce il cuore del popolo, perciò preferisce l'amore misericordioso al
sacrificio offerto solo esteriormente. E insieme all'amore, anche la
conoscenza di Dio è ciò che Lui desidera: è l'offerta del cuore a
Lui.
Questo v.6 è molto importante
perché sottolinea anche la differenza che c'è tra Dio e i falsi dei, in
particolare i Baal (in Osea). Le parole di Dio sono date al popolo soprattutto
affinché non mescolino Lui, il vero Dio, con gli idoli. La differenza è in ciò
che Dio ama e vuole: non le offerte, bensì la misericordia e l'amore, e la
conoscenza di Lui . E forse Dio qui vuole ricordare (e lo ha detto apertamente
al cap. 2,16) il tempo dell'esodo, quando nel deserto il popolo visse una
occasione favorevole per conoscerlo come Colui che dà ogni bene.
v.7: "Come Adamo hanno violato
l'alleanza": fin dal principio il guaio degli uomini è stato quello di non
voler rimanere nella parole del v.6: Dio ama la misericordia e non il
sacrificio.
Il v.3 di ieri, e oggi il v.4, con
due paragoni che assomigliano (nubi, pioggia, acqua) descrivono la profonda
diversità tra Dio e gli uomini. Dio, come pioggia ricca e al momento giusto,
feconda le terra; l'uomo come nuvola passeggera e rugiada che svanisce, non è
capace di fedeltà. "Che dovrò fare per te?" si chiede dunque Dio.
E il v.5 sembra essere la risposta;
questa è l'azione che Dio fa, per plasmare di nuovo e scrivere nel cuore
dell'uomo la Sua volontà di misericordia. "Li ho colpiti per mezzo dei
profeti", verbo che vuole dire anche "scavare, scolpire", come
sono le pietre per edificare il tempio, o in similitudine il popolo stesso,
"scavato fuori" da Dio-rupe (Is 51,1), o le parole scolpite con il
ferro (Gb 19,24) sulla pietra del cuore (Ger 31,33). Questa opera di Dio,
perché l'uomo possa sapere ciò che Lui desidera e possa conoscere Lui (v.6).
GIOVANNI
Una parola che nel nostro brano
ricorre due volte, ai vv.4 e 6, è senz'altro la più importante
nell'insegnamento che riceviamo dalla bontà di Dio; è tradotta come
"amore" al v.4 e come misericordia al v.6. E' il grande segreto di
Dio, è la sua vera e suprema potenza: tutte le altre affermazioni bibliche sul
suo potere infinito sono relative e descrittive di questo volto supremo della
sua potenza che nella pienezza dei tempi è la potenza che scaturisce dalla sua
Croce. L'amore misericordioso è proprio di Dio e viene da noi accolto e
trasmesso; è la grande energia di novità e di pace che ha nella Pasqua del
Cristo la sua suprema rivelazione e attuazione. Mi permetto di
trascrivervi con le lettere del nostro alfabeto la parola ebraica che potrete
imparare a memoria per avere il piacere di farla sommessamente fiorire sulle
vostre labbra, a bassa voce, non per darci delle arie, ma per gustare noi
personalmente l'espressione verbale del cuore di Dio: HESED, dover la
"H" va pronunciata in gola. Dunque, ci sono due ipotesi per sanare la
vita e la persona di ogni uomo e donna del mondo: o i sacrifici prescritti
dalla Legge di Mosè, o la misericordia di Dio ricevuta da Lui e comunicata a
tutti. Scopriamo che la prima strada è, nel suo senso profondo, profezia della
seconda; tanto che se uno offre sacrifici ma ha il cuore di ghiaccio, viene
ammonito dal profeta che lo avverte del non gradimento divino per un
"sacrificio" che non esprima la misericordia. Dunque, la misericordia
è la grande strada della salvezza.
Siccome qualcuno vi dirà che ci
siamo collocati nel solito inautentico "buonismo", ditegli che per
capire bene la forza e l'efficacia di questa misericordia, si può considerare
come una sua descrizione importante il v.5 del nostro testo: "Per questo
li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca
e il mio giudizio sorge come la luce". Meraviglioso: queste sono le armi e
gli strumenti punitivi di Dio: "la sua Parola"! E' la Parola di Dio
la grande forza che "uccide" in ciascuna persona il figlio di Adamo e
risuscita in lei il Figlio di Dio. Ogni nostro incontro con la Parola di Dio è,
nella volontà di Dio, la nostra morte, perché da essa sorga la luce della vita
nuova: questo è "il giudizio" che Dio esprime e attua nei nostri confronti;
questa è appunto la sua misericordia: non un "lasciapassare di cultura
radical-scic" ma la vita nuova, la vita del Signore in noi, più forte
della nostra morte e di ogni nostra opera di morte.
Per questo io spiegherei il v.6 in
questa direzione. Dio vuole la misericordia e non il sacrificio; questa è la
sua grande scelta di fronte all'accadimento che accompagna tutta la vicenda
dell'umanità fin dal principio (così io leggerei semplicemente il v.7:
"essi come Adamo hanno violato l'alleanza..."; i peccati nostri di
oggi sono quelli di ieri e di sempre!), la nostra lontananza da Dio, la nostra
"incapacità di Lui". Egli stesso risolve il problema invalicabile
valicando la separazione tra noi e Lui e venendo tra noi, con la potenza della
Parola profetica e, nella pienezza dei tempi con il suo Verbo fatto carne in
Gesù di Nazaret. Questa Parola muore d'amore per noi e in noi, e inaugura così
per noi la vita nuova.
Questo versetto di Osea ritorna nel
Vangelo secondo Matteo in due luoghi, in 9,13 e in 12,7. La prima volta è per
dire che intorno alla sua mensa stanno i pubblicani e i peccatori perché Egli è
venuto proprio per chiamare loro e tutti quelli che come loro hanno bisogno di
essere salvati. La seconda volta è per dire che l'antica Legge di Mosè la si
intende bene se la si accoglie tutta come profezia dell'evento supremo della
misericordia divina attuata pienamente nella Croce del Cristo. Vi sarà
utilissimo riascoltare le parole di questi due testi; e vi sarà utile anche
ritornare alla parabola di Luca 18,9-14 dove il fariseo e il pubblicano
rappresentano le vie della comunione con Dio, ma solo il pubblicano sceglie
bene, perché non si affida alle opere della legge ma appunto solo alla
misericordia del Padre. Come sapete bene, la misericordia verso il fratello è,
secondo la preghiera del Padre Nostro, la condizione per poter ricevere e
custodire la misericordia di Dio.