Os 1,1-8                                                                                             Venerdì 2 gennaio 2004 

 

1 Parola del Signore rivolta a Osea figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboàmo figlio di Ioas, re d'Israele. 2 Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: "Va', prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore". 3 Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: essa concepì e gli partorì un figlio. 4 E il Signore disse a Osea: "Chiamalo Izreèl, perché tra poco vendicherò il sangue di Izreèl sulla casa di Ieu e porrò fine al regno della casa d'Israele. 5 In quel giorno io spezzerò l'arco d'Israele nella valle di Izreèl". 6 La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: "Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d'Israele, non ne avrò più compassione. 7 Invece io amerò la casa di Giuda e saranno salvati dal Signore loro Dio; non li salverò con l'arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri". 8 Dopo aver divezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. 9 E il Signore disse a Osea: "Chiamalo Non-mio-popolo, perché voi non siete mio popolo e io non esisto per voi".

 

GIOVANNI

 

Nella benedizione di Dio che ieri abbiamo accolto con gioia soprattutto dal brano del Libro dei Numeri nella festa della Madre di Dio, protetti dall'intercessione dei Santi Basilio e Gregorio che oggi le chiese ricordano, intraprendiamo di nuovo il nostro cammino sostenendoci nell'affetto e nella preghiera. A Bologna siamo particolarmente impegnati a pregare per il nuovo Arcivescovo Carlo, e bisogna dire che è un grande vantaggio imparare a conoscerlo non tanto dalle voci che ci arrivano, ma piuttosto da quell'ineffabile intimità che scaturisce dalla preghiera.

 

Il v.1 del nostro brano di oggi ci conferma che la Parola di Dio non si rivela "fuori dalla storia", ma nella storia, e non in una storia particolarmente virtuosa e quindi ipoteticamente più adatta a ricevere il dono di Dio, ma se mai quasi al contrario, in una storia ferita e lontana, che proprio per questo ha più bisogno di essere chiamata a salvezza. Il nostro contatto con la Parola non è un atto "devoto" o "dovuto", ma è semplicemente l'intervento benefico del Signore nella nostra vicenda personale e collettiva povera e prigioniera.

 

Complessivamente il cap.1 ci mette davanti al mistero e alla meraviglia della "profezia". Come cogliamo chiaramente dalle parole di oggi, essa non è tanto un fatto di "parole" consegnate a una persona incaricata di comunicarle, ma è il coinvolgimento radicale del profeta nella Parola che Dio proclama; al punto che la profezia qui non si manifesta con parole materialmente dette, ma con parole che emergono dalla vicenda stessa del profeta. E' meraviglioso che la "situazione" in cui viene a trovarsi l'uomo di Dio esprima e riveli in qualche modo la situazione stessa di Dio. Questa famiglia "scassata" del povero Osea è la famiglia stessa di Dio e del suo popolo; in essa ognuno di noi si ritrova perfettamente descritto, specialmente nella figura drammatica di questa sposa adultera che genera figli di prostituzione.

 

C'è dunque un duplice "passaggio" della Parola nella storia. Prima di tutto nella vita personale del credente. E quindi nel significato che questa vita "invasa" dalla Parola del Signore rivela nei confronti della storia del Popolo di Dio, e attraverso di esso nei confronti della storia universale. Il miracolo perenne della Parola di Dio nella chiesa e nella storia è quello della sua  piena attualità per ogni cuore e per ogni vicenda personale e collettiva. Mi viene ancora nella testa e nel cuore la meraviglia del Magnificat, il cantico di Maria di Nazaret, capace di descrivere la vicenda personale di una giovane fanciulla nella sua proiezione nei confronti dell'intera esperienza umana.

 

I figli non sembrano essere personalmente "colpevoli", ma in ogni modo sono coinvolti in un mistero negativo che si esprime nei loro stessi nomi, e che rivela la loro appartenenza a una generazione segnata dal male. Di fronte al ripudio divino nei confronti della casa di Israele sta al v.7 l'affermazione di un'elezione nei confronti della casa di Giuda, salvata non con opere della potenza mondana, ma per l'intervento diretto di Dio. In ognuno di noi e nell'intera comunità credente c'è una "sposa ripudiata" e una "sposa amata"; c'è un mistero di morte-risurrezione.

 

Os 2,1-3                                                                                               Sabato 3 gennaio 2004

 

1 Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Invece di sentirsi dire: «Non siete mio popolo», saranno chiamati figli del Dio vivente. 2 I figli di Giuda e i figli d'Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dal proprio territorio, perché grande sarà il giorno di Izreèl! 3 Dite ai vostri fratelli: «Popolo mio» e alle vostre sorelle: «Amata».

 

 

MAPANDA 


v.1: "Invece di sentirsi dire..", si può anche leggere "Al posto", o "Nel luogo in cui si sentirono dire..", cioè nel luogo del loro peccato, della loro miseria, proprio li Dio darà a loro salvezza. 

 

"Saranno chiamati..." come quando si viene chiamati dalle tenebre alla luce, dalla malattia alla salvezza. 

 

v.2: "I figli di Giuda e i figli di Israele si riuniranno insieme...", oppure "...saranno riuniti insieme..." che suggerisce meglio come questa riunificazione e rappacificazione sia opera di Dio. 

 

"saliranno dal loro territorio", o "saliranno dalla terra", espressione che velatamente preannuncia la resurrezione, e indica così la assoluta novità dall'opera di Dio. 

 

"... poiché grande è il giorno di Izreel!", cioè grande è il giorno in cui "Dio semina il seme", in cui Dio si mostra Padre del Suo popolo e genera, Lui stesso, i suoi figli. 

 

Se i primi due vv. esprimono dunque l'opera di Dio, la sua decisione di salvezza e di pace che attuerà, il v.3 dice qual è la parte del popolo: chiamare i fratelli con il nome di "Popolo mio" (contro "Non-mio-popolo, v.9) e le sorelle "Amata", o "Colei che ha ottenuto misericordia". E chiamarli così già da ora, con speranza, perché Dio così rende e così vede già la loro condizione. 

 

Nei vv. precedenti abbiamo visto il comando di Dio al profeta, qui in 2,3 c'è un comando per tutti. Dio ha mostrato il suo piano per il futuro e ora dice agli uomini: "Dite ai vostri fratelli: "Popolo mio, e alle vostre sorelle "Amata". Al profeta ha detto ciò che deve fare e come deve chiamare i suoi figli; però dice agli uomini di chiamare i fratelli e le sorelle in modo opposto. Il profeta sottolinea la ribellione del popolo, ma poi il popolo, per comando di Dio, deve preannunciare ciò che accadrà apertamente in seguito per opera di Dio. 

 

Noi dobbiamo forse accettare che, anche per noi, ci sia un tempo in cui siamo "Non popolo" e "Non Amata", per poter essere chiamati da Dio, al tempo opportuno "Mio popolo", e "Amata".

 

Os 2,4-9                                                                                               Lunedì 5 gennaio 2004

 

4 Accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito!

Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; 5 altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò come quando nacque e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. 6 I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. 7 La loro madre si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa ha detto: "Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande".

8 Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi sentieri. 9 Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: "Ritornerò al mio marito di prima perché ero più felice di ora".

 

GIOVANNI

 

Abbiamo già fatto cenno a un problema molto delicato, che oggi si presenta con evidenza e che mi sembra bene sottolineare: il rapporto tra la madre, che è figura dell'intero popolo, e i figli, direttamente citati oggi sia al v.4, dove sono il soggetto sottinteso del verbo "accusate", sia al v.6. Il problema mi sembra questo: esiste accanto alle colpe di ciascuno, e quindi di questi figli, una colpa della madre, che già in Os 1,2-9 sembrava in certo senso precedere e quasi provocare le colpe e le responsabilità dei figli? C'è quindi una colpa "collettiva", o meglio una "matrice" negativa che genera figli che sono nativamente malati e quindi esposti a peccati di cui ognuno di loro sarà personalmente colpevole; come dire che come questi figli sono dei "prostituti", non si può ignorare che esiste una causa alle loro spalle dovuta alla prostituzione della madre. Il resto del brano di oggi e il seguito del libro di Osea sembrano confermare questa tensione tra colpa collettiva e colpa personale.

 

Detto questo, mi sembra di dover affermare con molta forza, come sono capace, che da tutte le parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio emerge il mistero grande della compassione divina e dell'amore di Dio per il suo popolo, più forte di ogni colpa della sposa e di ogni punizione che Egli le infligga. E' vero che al v.4 si dice che "essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito", ma è vero peraltro che nella seconda parte del versetto, così come al v.5, c'è quell' "altrimenti" che sembra voler implicitamente affermare che siamo davanti a un giudizio per una castigo in vista della redenzione e non a un giudizio per una definitiva condanna. Tra l'altro l'immagine del v.5 mentre pronuncia la minaccia di una condanna sembra voler evocare la storia meravigliosa dell'incontro tra Dio e la sua sposa nel deserto, come potrete riascoltare con gioia e commozione in Ezechiele 16,1-14.

 

I vv.8-9 proseguono su questa strada, e gli impedimenti che di fatto Dio porrà sulla strada di Israele verso i suoi amanti perversi sono il segno non solo e non tanto di una punizione, quanto l'espressione dell'amore geloso e possessivo di Dio che non consentirà l'infrangersi definitivo del legame tra Lui e il suo popolo.

 

Os 2,10-17                                                                                       Mercoledì 7 gennaio 2004

 

10 Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio e le prodigavo l'argento e l'oro che hanno usato per Baal. 11 Perciò anch'io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; ritirerò la lana e il lino che dovevan coprire le sue nudità. 12 Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani.

13 Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità. 14 Devasterò le sue viti e i suoi fichi, di cui essa diceva: "Ecco il dono che mi han dato i miei amanti".

La ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. 15 Le farò scontare i giorni dei Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti mentre dimenticava me! Oracolo del Signore.

16 Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. 17 Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto.

 

MAPANDA

 

Tutte le azioni del Signore nei confronti della sposa infedele, toglierle la pace (v.14), la gioia e le feste (v.13), lasciarla in fame e in nudità (v.11), svergognata (v.12), più che un castigo definitivo di distruzione, peraltro così preannunciato in Dt 8,19, sembrano essere un modo per riconquistare l'amore della sposa infedele, di cui al v.10 si dice che "non capì..." e al v. 15: "...si dimenticava di me!" Così il testo di oggi vuole dirci come in ogni modo Dio voglia rinnovare il rapporto nuziale con il suo popolo con atti, anche severi, che hanno l'unico scopo di risvegliarne la memoria del bene ricevuto  da Lui. 

 

Il Vangelo di oggi (Lc 11,24-26) farebbe pensare che questa opera di toglimento di tutti gli ornamenti e le ricchezze della sposa infedele sia compiuta da Dio affinché gli spiriti malvagi, gli amanti stranieri, non trovino attrattive in lei, ed essa rimanga tutta libera per Lui. 

 

Il nostro peccato, l'infedeltà a Dio nascono dalla dimenticanza dei benefici ricevuti da Lui; il suo castigo misericordioso ci riporta a Lui.

 

I vv. di oggi ci dicono dove sta, secondo Dio, la speranza vera per il suo popolo: essere condotto nel deserto, cioè nel luogo favorevole all'intimo incontro con Dio, e da Lui solo ricevere ogni cosa buona, senza contare più né sui propri possessi, né sulla falsa speranza di saziare le proprie bramosie con i doni di altri che non sono Dio. 

 

Ieri vedevamo molte azioni, come castigo da parte di Dio per quella donna che è segno del popolo di Israele infedele a Dio, che segue gli idoli. Oggi c'è un'azione più intima di Dio, che attira la donna e parla al suo cuore. Forse prima Dio castiga, e poi Dio consola; oppure, nello stesso momento Dio fa entrambe le cose: e il castigo di Dio diventa l'invito per questa donna / suo popolo, il richiamo dell'amore, il modo per attirarla di nuovo. 

 

v.17: ".... e lei mi risponderà di la", in gr. è "... e lei si umilierà": secondo molti passi dell'A.T. e anche del Nuovo, è il modo buono di stare alla presenza di Dio.

 

GIOVANNI

 

Nel peccato di Israele non c'è solo la lucida determinazione di tradire lo sposo. C'è anche una nota di smarrimento e di incomprensione che il v.10 mette in evidenza. Il popolo non si rende conto che quello che offre all'idolo non è un suo patrimonio o una sua disponibilità, perché tutto quello che la sposa ha proviene dallo sposo, e ai suoi amanti ella dà ciò che di fatto non è suo, ma le viene da Dio.

 

Per questo Egli la punisce privandola, dicono i vv.11-12, non solo di quello che ella ha, ma anche di quello che è, perché verranno allo scoperto "le sue vergogne". Ridotta a miseria e bruttezza "agli occhi dei suoi amanti" (v.12), così umiliata, i suoi amanti la respingeranno ed ella ritornerà nelle mani del suo Signore e Sposo. Anche i vv.13-15 descrivono una situazione che svelando come Israele nulla sia se non quello che il suo Signore le ha donato - e in questo entrano fortemente come elemento della sua bellezza le feste e tutti i segni della sua comunione nuziale - , alla fine la sposa infedele si renderà conto che anche tutto quello che pensava di ricevere dai suoi amanti, in realtà è di Dio.

 

In questo orizzonte, sembra esserci una certa connessione tra la desolazione in cui precipita la sposa infedele - "la ridurrò a una sterpaglia..." (v.14) - e il deserto verso il quale lo Sposo l'attira, la seduce, quasi con un inganno, come sottolinea la versione greca del v.16. E questo deserto sarà il luogo del grande ritorno all'antico amore della giovinezza. Anche qui, al v.17, la versione greca insiste su un elemento di umiliazione, che sarà però la condizione privilegiata perché la sposa ritrovi la bellezza e la profondità incomparabile della comunione con il suo Signore. Dunque il deserto sarà una "porta di speranza" (v.17), sarà la memoria dell'antico esodo dall'Egitto quando in modo pieno Israele sperimentava da una parte la sua miseria, e dall'altra tutta la potenza dell'amore di Dio.

 

Os 2,18-25                                                                                          Giovedì 8 gennaio 2004

 

18 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. 19 Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal, che non saranno più ricordati. 20 In quel tempo farò per loro un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli.

21 Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, 22 ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. 23 E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; 24 la terra risponderà con il grano, il vino nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. 25 Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio.

 

MAPANDA

 

v.21: "Ti farò mia sposa (= ti fidanzerò) a me per sempre": queste parole vengono a rispondere a una domanda insistente del nostro cuore: "E' possibile essere fatti nuovi?" Sì, per Dio è possibile. A questa donna adultera e prostituta, oggi Dio si rivolge come a una vergine. Il verbo usato qui "ti fidanzerò" è usato nella Bibbia solo per dire di un  uomo che sposa la sua vergine. E' fatta nuova! Il suo adulterio è scomparso ed è fatta nuova. Nicodemo chiese a Gesù: "Come può un uomo rinascere quando è vecchio?" Per Dio è possibile. Nonostante la vecchiezza del nostro peccato, è possibile tornare alla giovinezza della verginità, perché Dio vuole e può vederci così! 

 

"...per sempre": l'amore di Dio per il suo popolo è eterno! 

 

v.21b: "ti farò mia sposa ... nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore": questa espressione descrive in cosa consiste la "dote", che come qui in Africa, il futuro sposo, che in questo caso è il Signore Dio, paga per avere la moglie. E' straordinario. Non si capisce bene a chi possa Dio pagare questa "dote", ma dice così, che paga per averci. E la prima cosa che dà, (verrebbe da pensare) alla sua stessa sposa, è "la giustizia", cioè "la salvezza che viene da Lui". I n ogni caso, ci sembra di ricavare qui il preannuncio che Dio per farci suoi paga del suo; in Gesù, paga con la vita, con il suo sangue. 

 

v.22: "... e tu conoscerai il Signore". Abbiamo letto al v.8 dell'ignoranza di questa sposa: "Non sapeva che Io le davo il grano il vino e  l'olio": conoscerlo è un problema vitale per noi, e anche per Dio stesso. Nella storia della salvezza Dio ha tentato molte volte e in molti modi di mostrarsi: ma il suo popolo non lo conosce! Dio vuole che lo conosciamo come è: lo sposo del suo popolo; non il suo padrone né il suo dominatore, ma Colui che ama e sposa il suo popolo. E come ci ripete Silvano in questi giorni: diverso è credere in Dio, e diverso è conoscere Dio: è importante che cerchiamo di conoscere Dio come il nostro sposo. 

 

L'accostamento del brano di oggi al vangelo (Lc 11,29-36), ci suggerisce cosa sia il "pentimento". E' venire attratti da Dio, condotti nel deserto e poterlo conoscere e chiamare per nome: Sposo mio! 

 

Non si può confondere la luce con le tenebre; non si può mescolare il nome di Dio e il nome degli idoli; Dio non vuole essere chiamato "Baal", signore e dominatore, come vengono chiamati gli idoli. Il suo nome è Sposo, e il N.T. ci dirà che il Suo nome è "Amore": è uno sposo nell'amore e non nel dominio.

GIOVANNI

 

Nelle parole che oggi il Signore ci regala viene proclamato con forza il fine salvifico del giudizio di Dio espresso verso il suo popolo; non un giudizio di condanna, ma un giudizio per la salvezza. In questo giudizio che restituisce la sposa infedele al suo sposo viene profetizzata una condizione nuova che non pare essere tanto un passo compiuto dal popolo, quanto l'opera stessa di Dio e la sua efficacia. "Avverrà in quel giorno..." dice al v.18. Il vero nome di Dio sarà ritrovato dal popolo perché, dice al v.19, "le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal". Dunque ci convertiremo, perché l'azione potente della misericordia divina agirà efficacemente in noi.

 

Le nozze ritrovate tra Dio e la sua gente si collocano, secondo il v.20, in un orizzonte di pace universale: pace nella creazione e pace nella storia. L'antico patto stipulato con Noè dopo il diluvio, e le promesse della pace messianica della fine dei tempi annunciate dai profeti, finalmente si compiono. Mi pare bellissima l'affermazione secondo la quale anche i grandi drammi del nostro tempo, la deriva ecologica e il conflitto mortale tra le nazioni, hanno la fonte e la speranza della loro risoluzione nella pace tra Dio e il suo popolo. I vv.21-22 descrivono il volto nuovo e definitivo di questa pace nuziale ricordandoci gli elementi fondamentali dell'azione salvifica di Dio e la custodia che Egli esercita a nostro favore riguardo a tale alleanza: la giustizia, il diritto, la benevolenza e l'amore, la fedeltà. Queste "virtù" di Dio saranno altrettanti doni fatti al popolo perché possa celebrare in pienezza la sua comunione con Colui che l'ha creato e l'ha salvato.

 

Riguardo a questo verbo "rispondere" presente quattro volte nei vv.23-24, è opportuno segnalare la gamma di significati  che esso ha nella lingua ebraica. Lo abbiamo già incontrato nel passo precedente quando al v.17 del cap.2 si diceva della sposa: "canterà". A questo significato di cantare è necessario unire il senso di una sottomissione umile, che spiega, come dicevamo nel nostro commento al v.17, come mai la versione greca non dice "canterà", ma "sarà umiliata". Qui, dove la traduzione italiana usa il termine "rispondere", il verbo assume il significato di una "condiscendenza", in quanto il soggetto è un "più grande" e "più alto" di chi può beneficiare della sua risposta. Infatti è Dio che "risponderà" al cielo, e il cielo "risponderà" alla terra. La terrà poi risponderà al popolo - che qui è sottinteso - con la sua fecondità, e quindi con il grano, il vino e l'olio. E questi risponderanno a Izreel che in Osea 1,6 e 2,2 abbiamo incontrato per indicare il popolo stesso chiamato al giudizio di Dio. Dunque, le nozze ritrovate e definitive saranno un grande canto d'amore del popolo a Dio e di Dio al suo popolo; un canto di benevolenza e di soccorso per la salvezza. Siamo qui alla profezia della suprema diaconìa del Cristo e del suo amore per noi fino alla Croce. In Cristo, Dio canta, si umilia e accondiscende a noi nel suo Cristo. Il Cristo è venuto per servire. La sua potenza si manifesta nella sua diaconìa d'amore e di salvezza per noi. Si dice spesso che l'esercizio del ministero è servizio. Forse è bene ricordare che  il servire è il cuore di tale esercizio e il volto nuovo di ogni esercizio di potere.

 

Infine il v.25. Qui il popolo stesso di Dio, i suoi figli, la sua sposa, diventano il prezioso seme che Dio semina, e precisa, "di nuovo, per me", seme che oramai sarà fecondo perché avrà ritrovato se stesso ritrovando il mistero della sua comunione con Dio, quella comunione che si esprime nella condizione privilegiata che lo definisce in modo pieno attraverso la sua relazione con il Signore. Dio lo chiamerà "Popolo mio", e il popolo chiamerà il suo Signore "Mio Dio".

 

Os 3,1-5                                                                                              Venerdì 9 gennaio 2004

 

1 Il Signore mi disse ancora: "Va', ama una donna che è amata da un altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei e amano le schiacciate d'uva". 2 Io me l'acquistai per quindici pezzi d'argento e una misura e mezza d'orzo 3 e le dissi: "Per lunghi giorni starai calma con me; non ti prostituirai e non sarai di alcun uomo; così anch'io mi comporterò con te.

4 Poiché per lunghi giorni staranno gli Israeliti senza re e senza capo, senza sacrificio e senza stele, senza efod e senza terafim. 5 Poi torneranno gli Israeliti e cercheranno il Signore loro Dio, e Davide loro re e trepidi si volgeranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni".

 

MAPANDA

 

Nel brano di oggi leggiamo per due volte "per molti giorni...", al v.3, detto della donna, segno dei figli di Israele, che staranno "per molti giorni.." senza re, ecc. (v.4).

 

Abramo stette "per molti giorni.." come straniero nella terra dei Filistei; i figli di Israele poi stettero "per molti giorni.." in Egitto come stranieri, e poi come schiavi; poi loro stessi sono stati "per molti giorni.." nel deserto dopo il loro rifiuto ad entrare nella Terra Promessa.

 

Anche qui il motivo di questo "stare molti giorni senza capo né culto" sembra essere una via di purificazione, come fu per il popolo il tempo trascorso nel deserto. Dio toglie tante cose alla donna/al popolo, attirando il popolo nel deserto, per parlare al suo cuore, affinché torni al suo Dio non solo esternamente, ma con il cuore (2,16).

 

v.3: "...così anch'io mi comporterò con te": Dio per amore del suo popolo, della sua sposa, si mette nella stessa condizione di conversione e penitenza di lei.

 

Per lunghi giorni questa donna offrirà al suo compagno segni di carità silenziosa, mentre entrambi restano in tranquillità; ma in questo è moglie di questo sposo. Questa assenza di segni e di culto, porta in sé la speranza della ripresa dei segni di amore, che sembrano riferirsi particolarmente a segni liturgici (v.4).

 

Nel brano di oggi sembra di cogliere come tre passi successivi del rapporto tra Dio e il suo popolo: 1. prima Lui, come il profeta, rimane fedele al suo amore, anche se il popolo è infedele e si rivolge agli idoli; 2. il Signore Dio, come il profeta, riprende la sposa presso di se "acquistandola", per poi rimanere insieme, quasi senza che ci siano gesti d'amore, quasi come "costretta"; poi, 3. dopo questo sostare in tranquillità, senza ricchezze, né idoli, né altri amori sembra condurre la sposa/popolo all'apice della risposta d'amore all'amore: "ritorneranno e cercheranno il Signore loro Dio"  (v.5)

 

GIOVANNI

 

Questo breve capitolo del libro di Osea, che apparentemente riprende gli stessi temi già trattati, mi sembra in realtà molto più drammatico e realista; e quindi di singolare efficacia per dirci fin in fondo quale sia la fisionomia del rapporto tra Dio e il suo popolo; e, più in generale il rapporto tra Dio e l'umanità, e tra Dio e ogni persona. In fondo la vicenda descritta nei cap.1-2 sembrava collocabile nell'orizzonte di un "incidente", e cioè come memoria di un "peccato" compiuto in una vicenda nuziale; per la verità eravamo avvertiti che la sposa era già di per sé una persona segnata dal suo peccato, una prostituta. Qui però, oggi, tutto tende a descrivere una situazione e una vicenda che si pone a priori nello spazio dell'impossibilità e della totale inadeguatezza di questa donna che Dio fa sua. Notate che da subito, prima che entri in contatto con il profeta, lei è descritta come una "che è amata da un altro", quindi a priori è "già" di un altro, è "già" "adultera" (v.1). Nello stesso modo "il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei...". La vicenda quindi appare "costituzionalmente" malata e impossibile, e non solo ferita "storicamente" da un peccato.

 

A conferma di ciò, il v.2 non ci parla di un matrimonio, ma semplicemente e brutalmente di un acquisto. E il v.3 descrive la richiesta di non-prostituzione non certo come una nota propria di questa relazione, ma come una situazione passeggera, destinata a descrivere profeticamente il tempo del pentimento e della riconciliazione. Quindi i "lunghi giorni" della stabilità nuziale non si presentano come un tempo di felice unione, ma come quel tempo in cui, privata di tutti i segni della comunione e dell'affetto del suo Signore, Israele ritornerà in se stesso. Ma tutto sembra sottintendere che di per sé non potrà essere che une fase passeggera!

 

Ecco allora la descrizione al v.4 di questi "lunghi giorni" di penitenza, cioè di privazione di tutto quello che costituiva e attuava l'amore di Dio per il suo popolo, cioè tutti i segni attraverso i quali Israele celebra l'elezione divina e la sua condizione di "popolo di Dio". Ed ecco quindi al v.5 i verbi che descrivono lo splendore della conversione e dell'amore ritrovato: "torneranno, cercheranno, si volgeranno". E così sarà "alla fine dei tempi": il che mi sembra confermare che "fino alla fine" questa è la fisionomia della relazione tra Dio e l'uomo. Quasi e contraddire l'illusione o la presunzione di una nostra capacità di custodire la relazione senza peccato da parte nostra e quindi senza bisogno del perdono di Dio. Mi sembra sempre più chiaro che questo popolo è "santo", cioè sperimenta incessantemente in sé la santità di Dio, proprio perché sperimenta incessantemente la potenza di vita, o meglio di morte-vita, e cioè di salvezza "pasquale" intesa come passaggio dalla morte alla vita, e come morte della creatura ferita e risurrezione in noi del Verbo incarnato, dell'Uomo nuovo, dono perenne di Chi la ama fino a darle la vita, la ama fino alla Croce. E' la Chiesa incessantemente rinnovata nel sangue dello Sposo.

 

Os 4,1-10                                                                                            Sabato 10 gennaio 2004

 

1 Ascoltate la parola del Signore, o Israeliti, poiché il Signore ha un processo con gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. 2 Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue. 3 Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno. 4 Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l'accusa. 5 Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai perire tua madre. 6 Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e io dimenticherò i tuoi figli.

7 Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in vituperio. 8 Essi si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. 9 Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta, e li retribuirò dei loro misfatti. 10 Mangeranno, ma non si sazieranno, si prostituiranno, ma non avranno prole, perché hanno abbandonato il Signore per darsi alla prostituzione.

 

MAPANDA


In questo severo rimprovero di Dio al suo popolo ci sembra importante il v.7, che in kiswahili - ricalcando l'originale - dice così: "Quanto più crescevano, tanto più commettevano peccati, e io ho cambiato la loro gloria in vergogna". Sembra una ripresa e una attualizzazione di quanto aveva rivelato in Deut 7,7 : "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -; ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri..". Agli occhi del Signore non è il numero che è importante; anzi, quando il popolo mette la sua fiducia nell'essere numeroso, questo rischia di diventare l'origine del peccato: Dio non li ha scelti perché erano molti, ma perché erano pochi, e l'amore di Dio si è mostrato a tali. 

 

E Dio abbassa la loro gloria per togliere al popolo ogni pensiero di autocompiacimento, fondato sul loro essere numerosi. 

 

La dimenticanza del Signore e della sua legge (v.6) è  causa del moltiplicarsi dei peccati nel popolo (v.2).

 

GIOVANNI

 

I primi tre capitoli del nostro Libro ci hanno regalato la grande immagine nuziale dell'amore tra Dio e il suo popolo, e ne hanno disegnato la fisionomia drammatica eppure piena di speranza. Mi sembra si possa dire che ora tutto questo viene descritto nel suo svolgersi storico nell'esperienza dei singoli e di tutto il popolo. L'infedeltà e l'adulterio della donna sono allora la storia dei peccati del popolo.

 

Ma non è solo così. Il grande interesse di quanto il Signore ci sta comunicando è anche la radicale diversità dell'interpretazione etica proprio a partire dal volto nuziale del rapporto tra Israele e il suo Signore. Mentre secondo i canoni della morale classica tu spezzi il tuo legame con Dio perché fai i peccati, qui si dice che tu fai i peccati perché hai spezzato il tuo vincolo dei comunione con Lui. C'è dunque "un" peccato che sta all'origine di tutti gli altri, ed è il peccato che attenta alla comunione con Dio, è l'adulterio, è l'idolatria. Così io accoglierei il v.1, precisando la traduzione verso i termini essenziali di tale comunione: "non c'è verità, né misericordia, né scienza di Dio"; questi sono i grandi pilastri della relazione che Dio stabilisce con i suoi. Se si perde e si tradisce questo, tutto frana nella molteplicità dei peccati, che altro non sono che l'esplicitazione e il frutto amaro di quel tradimento. Non dimentichiamoci che per la nostra fede ebraico-cristiana l'uomo è sostanzialmente ferito e dunque irrimediabilmente incapace di quella giustizia che la Legge rivela. Solo il "Dio con noi" ci apre alla possibilità della vita nuova in Lui!

 

I vv.2-3 sono dunque la descrizione di quello che inevitabilmente accade quando è perso il contatto, il vincolo d'amore, con il nostro Signore. Il popolo precipita nella vita ferita di tutta l'umanità e perde il privilegio che gli veniva dal dono dell'elezione divina. In questo precipitare coinvolge tutta la creazione.

 

Tale peccato travolge tutti. Non c'è chi possa rimproverare altri. Neppure il sacerdote e il profeta. Anzi, pesa una responsabilità ben più grande su chi molto ha ricevuto sia nel dono di Dio, sia nel compito di farne partecipi i suoi fratelli. Il v.6 è molto chiaro nel confermare che il popolo "perisce per mancanza di conoscenza". E che in questo è altissima la responsabilità del sacerdote: "..tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote...hai dimenticato la legge del tuo Dio e io dimenticherò i tuoi figli". Non voglio sottrarmi a ricevere in modo diretto questo giudizio di Dio, ma per amore di verità devo ricordarvi che in questo popolo messianico nato dalla Croce di Cristo e tutto "sacerdotale", ognuno deve considerare le sue responsabilità nei confronti di chi Dio gli ha affidato, piccolo e grande. Detto questo, mi confesso peccatore più di tutti voi.

 

Os 4,11-19                                                                                          Lunedì 12 gennaio 2004

 

11 Il vino e il mosto tolgono il senno. 12 Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno e il suo bastone gli dà il responso, poiché uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio. 13 Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio. 14 Non punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le prostitute sacre offrono sacrifici; un popolo, che non comprende, va a precipizio.

15 Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda. Non andate a Gàlgala, non salite a Bet-Avèn, non giurate per il Signore vivente. 16 E poiché come giovenca ribelle si ribella Israele, forse potrà pascolarlo il Signore come agnello in luoghi aperti? 17 Si è alleato agli idoli Efraim, 18 si accompagna ai beoni; si son dati alla prostituzione, han preferito il disonore alla loro gloria. 19 Un vento li travolgerà con le sue ali e si vergogneranno dei loro sacrifici.

 

MAPANDA

 

v.15: Dio forse dice che è importante che la malattia non si diffonda di più: "Se ti prostituisci tu Israele, non si renda colpevole Giuda.." . Noi quando pecchiamo, vogliamo introdurre anche gli altri, oppure è facile che anche altri ci imitino. (In molti brani della Bibbia si vede come Israele e Giuda, fratelli separati e nemici, sono uniti nella disobbedienza a Dio). Per questo Dio dice: "Se Israele ha peccato, non sia disobbediente Giuda; mettete dei confini! Non andate in luoghi dove ci  si può ammalare" (v.15b). 

 

v.19: "Il vento ha chiuso Israele con le sue ali..." Dio pone un confine, mette "in quarantena" Israele malato, affinché altri non ne siano contagiati: l'opera di Dio è quella di un  medico che ricovera per guarire; e questa opera si compie per un vento, per uno "spirito" mandato da Dio. 

 

Il testo di oggi sottolinea con tre immagini, che si uniscono e completano a vicenda, il rapporto malato del popolo con il suo Dio. Innanzitutto la parola prostituzione e adulterio, che ritorna molto, e che dai primi 3 capp. abbiamo visto come esprime l'abbandono di Dio da parte del popolo che si rivolge ad altre potenze, ad altri dei e protettori, per avere cibo, sicurezza e conforto; poi, insieme a questa, o quasi causa di questa, la non conoscenza di Dio, o il rifiuto di conoscerlo quando e come Lui si fa conoscere (vv.11 e 14); e infine la ricerca di altre vie di conoscenza, come la magia e la divinazione (v.12), che come e più del vino e del mosto (v.11) tolgono il senno, e impediscono di ascoltare e di ricevere da Dio la vera conoscenza e il puro amore.

 

GIOVANNI

 

Nella prima parte di questo cap.4 il Signore ci ha parlato soprattutto del tradimento nuziale come origine di ogni peccato: perso il contatto con il nostro Signore e Sposo, siamo esposti alla nostra fragilità! Nei vv.11-14 del brano di oggi viene introdotto un altro elemento di grande importanza che ci rende ulteriormente consapevoli del meccanismo e della potenza del male. Alla debolezza che consegue inevitabilmente alla frantumazione del vincolo di comunione con Dio, deve essere unita la consapevolezza che il male non è semplicemente il non bene che facciamo o il bene che non facciamo. Esso stesso, il Male, è un mistero, è una realtà che ci sovrasta e alla quale non siamo capaci di contrapporci. Come il vino e il mosto "tolgono il senno", alla lettera, "il cuore" (v.11), così non è semplicemente la "nostra" prostituzione agli idoli che ci strappa dal Signore, ma è uno "spirito di prostituzione" che ci porta lontano dallo Sposo della nostra vita. Cioè, più che essere dei "facitori del male", noi siamo dei "dominati", dei servi del male. Considerate con attenzione questo v.12: "...uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio". Per tutto questo tema dell'amore nuziale, della fedeltà e delle conseguenze negative del nostro adulterio, vi consiglio di rinnovare il vostro legame con la grande immagine della vite e dei tralci in Giovanni 15; lì vedrete che il "rimanere" in Gesù è la condizione per "portare frutto"; e viceversa, chi non rimane in Lui, non può portare frutto e si secca.

 

Viene ribadito al v.14 che è del tutto fuori luogo pensare di poter giudicare il peccato di altri, perché tutti siamo nel peccato, a partire, e quindi con maggiore responsabilità, da chi ha maggiori compiti e doveri. Mi sembra interessante qui anche la demitizzazione della tesi tutta maschilista che attribuisce alla donna una parte principale nel male e nel peccato.

 

I vv.15-18 mi sembrano voler mettere in evidenza quel male aggiunto che è la solidarietà negativa tra chi tradisce il mistero di Dio. Una "mafia" insomma, tra malfattori. La nostra tradizione di fede e di sapienza è molto collegata al desiderio di portare ciascuno alla consapevolezza della sua personale responsabilità. Invece la nostra tendenza è quella di imbarcarci insieme; "si accompagna ai beoni" dice il v.18. E al v.15:"Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda".

 


Os 5,1-12                                                                                           Martedì 13 gennaio 2004

 

1 Ascoltate questo, o sacerdoti, state attenti, gente d'Israele, o casa del re, porgete l'orecchio, poiché contro di voi si fa il giudizio. Voi foste infatti un laccio in Mizpà, una rete tesa sul Tabor 2 e una fossa profonda a Sittìm; ma io sarò una frusta per tutti costoro.

3 Io conosco Efraim e non mi è ignoto Israele. Ti sei prostituito, Efraim! Si è contaminato Israele. 4 Non dispongono le loro opere per far ritorno al loro Dio, poiché uno spirito di prostituzione è fra loro e non conoscono il Signore. 5 L'arroganza d'Israele testimonia contro di lui, Israele ed Efraim cadranno per le loro colpe e Giuda soccomberà con loro. 6 Con i loro greggi e i loro armenti andranno in cerca del Signore, ma non lo troveranno: egli si è allontanato da loro.

7 Sono stati sleali verso il Signore, generando figli bastardi: un conquistatore li divorerà insieme con i loro campi. 8 Suonate il corno in Gàbaa e la tromba in Rama, date l'allarme a Bet-Avèn, all'erta, Beniamino! 9 Efraim sarà devastato nel giorno del castigo: per le tribù d'Israele annunzio una cosa sicura.

10 I capi di Giuda sono diventati come quelli che spostano i confini e su di essi come acqua verserò la mia ira. 11 Efraim è un oppressore, un violatore del diritto, ha cominciato a inseguire le vanità. 12 Ma io sarò come una tignola per Efraim e come un tarlo per la casa di Giuda.

 

MAPANDA

 

Nei vv. di oggi troviamo come due azioni che Dio fa in risposta alla ribellione di Efraim/Israele; e queste due azioni non sono corrispondenti, secondo il nostro pensare ordinario. Al v.6 dice: "...non lo troveranno (Dio), perché si è allontanato da loro"; e al v.12 dice "Sarò come una tignola per Efraim, e come un tarlo per la casa di Giuda". La tignola dei vestiti, e il tarlo delle ossa (che molte volte troviamo citate nella Bibbia) sono, al contrario, vicinissime, "dentro". 

 

Dio è lontano perché non accetta di essere accanto a persone ribelli; deve mostrare loro il suo disaccordo, e che Lui invece è fedele, e non come loro, che sono infedeli. D'altra parte, seppure agendo come una presenza disturbante, e anche, in qualche modo, distruttiva come il tarlo e la tignola, Dio continua ad essere vicinissimo a questo popolo, del tutto intimo a loro. 

 

Dio fa così perché non può permettere che il suo popolo sia come quel ricco del vangelo (Lc 12,13-21), che alla fine resta solo con la sua avidità davanti alla morte. Dio resta vicino al suo popolo per "rovinare" le cose del popolo, le sue ricchezze, affinché cambino e confidino in Lui.

 

GIOVANNI

 

Il potere dello spirito di prostituzione (v.4) sembra definitivamente dominare Giuda e Israele che ormai "non conoscono il Signore". Si ha oggi l'impressione di una storia vissuta irrimediabilmente lontano dalla comunione con Lui. Ancora il v.4 afferma che "non dispongono le loro opere per far ritorno al loro Dio". E se "andranno in cerca del Signore" (v.6), non lo troveranno, perché "egli si è allontanato da loro"!

 

Il segno più drammatico dell'allontanamento dal Signore è la guerra. I vv.8-12 registrano questo dramma. Mi sembra molto importante anche per i nostri tempi la constatazione che non c'è una guerra giusta, perché è la guerra in sé, in quanto guerra tra fratelli, ad essere ingiusta. Essa è già parte di un mondo divorziato da Dio, teso a costruirsi una sua etica che con Dio non ha nulla a che fare. E' molto bello a questo proposito l'accostamento a Luca 12,13-14, testo che noi oggi celebriamo nella Liturgia, dove Gesù si rifiuta di essere arbitro e mediatore in una contesa tra fratelli per il possesso di un'eredità.

 

Os 5,13-6,3                                                                                     Mercoledì 14 gennaio 2004

 

13 Efraim ha visto la sua infermità e Giuda la sua piaga. Efraim è ricorso all'Assiria e Giuda si è rivolto al gran re; ma egli non potrà curarvi, non guarirà la vostra piaga, 14 perché io sarò come un leone per Efraim, come un leoncello per la casa di Giuda. Io farò strage e me ne andrò, porterò via la preda e nessuno me la toglierà. 15 Me ne ritornerò alla mia dimora finché non avranno espiato e cercheranno il mio volto, e ricorreranno a me nella loro angoscia.

1 "Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2 Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3 Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno come la pioggia di primavera, che feconda la terra".

MAPANDA

 

Dio dice che "andrà, tornerà, verrà"; e anche del popolo di Israele si dice che "lo cercheranno" e che le parole del popolo saranno: "Andiamo! Ritorniamo!". Ci ricordano il Cantico e le parole dell'amata e dell'amato, "vanno e vengono, si cercano". Nelle parole di oggi il Signore ci mostra il suo desiderio di cambiare la nostra storia, e del popolo di Israele, che è storia di peccato e di ribellione, per farla diventare storia di amore. Dio ha la forza di cambiarla e di mostrare che da parte sua il rapporto con il popolo è una storia di amore. 

 

Nella consapevolezza della propria infermità e piaga (v.13), Israele e Giuda cercano chi possa curarla. Essi si rivolgono prima all'Assiria e al suo re, che non potranno fare niente per loro. Poi, dopo un intervento, severo e salvifico, del Signore come leonessa  e come leoncello, essi cercheranno Lui e a Lui ricorreranno con impegno e premura (vv.15 e 3). 

 

E la presentazione che Dio fa di sé come un leoncello per Giuda, ricorda che questa stessa immagine, nella benedizione di Giacobbe (Gen 49,9-10), è collegata  alla venuta del Messia dalla tribù di Giuda, come salvatore del popolo.

 

GIOVANNI

 

Continuiamo a seguire con attenzione il cammino di lontananza e le prospettive di conversione di Israele nei confronti di Dio, riconoscendo con lucidità che tale vicenda è quella che si compie in ogni cuore, e che è descrittiva in certo modo anche di tutto il cammino dell'umanità verso il suo Creatore e Signore.

 

Il v.13 descrive in modo significativo la resistenza del cuore a riconoscere quale sia la vera fisionomia delle nostre situazioni ferite. Andiamo alla ricerca di rimedi e risoluzioni, ci orientiamo verso "potenze" mondane che certo non possono liberarci dal nostro male, che non si può né intendere né risolvere secondo categorie umane perché esprime il nostro rapporto sbagliato con il Signore. Il v.14 afferma addirittura la volontà positiva da parte di Dio di punirci e di farci sperimentare tutto il dramma della nostra lontananza da Lui, senza che noi possiamo trovarvi un rimedio. E il v.15 conferma tutto questo indicando l'obiettivo divino del nostro profondo e radicale ravvedimento.

 

In tal senso è impressionante doverci accorgere che anche la confessione di fede contenuta in 6,1-3 non è accolta dal Signore, come vedremo, se Dio vorrà, nel brano successivo. Ho detto impressionante perché le parole che vi ascoltiamo sembrano tutte vere e anche forti nell'esprimere la fiducia nella misericordia divina. Chiedendomi come mai tale "confessione" venga considerata insincera e fragile "come la rugiada che all'alba svanisce" (così possiamo anticipare dal v.4), mi sembra che ciò sia dovuto al fatto che la misericordia di Dio non è una tesi teologica o addirittura un "meccanismo" della storia, qualcosa che noi possiamo razionalmente prevedere e mettere in conto, ma si tratta sempre della meraviglia che per sua insondabile volontà Dio fa fiorire nella nostra storia, dalla nostra morte. Niente di dovuto, quindi; niente di prevedibile. Sperimentassimo migliaia di volte tale misericordia - e così è di fatto - sempre ci troveremmo davanti a un "miracolo", e non ad un fatto splendido, ma in fondo previsto e scontato al punto da farci dire che "la sua venuta è sicura come l'aurora". Solo nel dramma del nostro irrimediabile peccato possiamo conoscere la meraviglia dell'opera divina della Pasqua.

 

Os 6,4-11                                                                                           Giovedì 15 gennaio 2004

 

4 Che dovrò fare per te, Éfraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore é come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce. 5 Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6 poiché voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti. 7 Ma essi come Adamo hanno violato l'alleanza, ecco dove mi hanno tradito. 8 Gàlaad è una città di malfattori, macchiata di sangue. 9 Come banditi in agguato una ciurma di sacerdoti assale sulla strada di Sichem, commette scelleratezze. 10 Orribili cose ho visto in Betel; là si è prostituito Efraim, si è contaminato Israele. 11 Anche a te, Giuda, io riserbo una mietitura, quando ristabilirò il mio popolo.   

 

MAPANDA

 

v.6: "voglio l'amore, non il sacrificio; la conoscenza di Dio più degli olocausti": nel ritorno a Dio, Egli gradisce il cuore del popolo, perciò preferisce l'amore misericordioso al sacrificio offerto solo esteriormente. E insieme all'amore, anche la conoscenza  di Dio è ciò che Lui desidera: è l'offerta del cuore a Lui. 

 

Questo v.6 è molto importante perché sottolinea anche la differenza che c'è tra Dio e i falsi dei, in particolare i Baal (in Osea). Le parole di Dio sono date al popolo soprattutto affinché non mescolino Lui, il vero Dio, con gli idoli. La differenza è in ciò che Dio ama e vuole: non le offerte, bensì la misericordia e l'amore, e la conoscenza di Lui . E forse Dio qui vuole ricordare (e lo ha detto apertamente al cap. 2,16) il tempo dell'esodo, quando nel deserto il popolo visse una occasione favorevole per conoscerlo come Colui che dà ogni bene. 

 

v.7: "Come Adamo hanno violato l'alleanza": fin dal principio il guaio degli uomini è stato quello di non voler rimanere nella parole del v.6: Dio ama la misericordia e non il sacrificio. 

 

Il v.3 di ieri, e oggi il v.4, con due paragoni che assomigliano (nubi, pioggia, acqua) descrivono la profonda diversità tra Dio e gli uomini. Dio, come pioggia ricca e al momento giusto, feconda le terra; l'uomo come nuvola passeggera e rugiada che svanisce, non è capace di fedeltà. "Che dovrò fare per te?" si chiede dunque Dio. 

 

E il v.5 sembra essere la risposta; questa è l'azione che Dio fa, per plasmare di nuovo e scrivere nel cuore dell'uomo la Sua volontà di misericordia. "Li ho colpiti per mezzo dei profeti", verbo che vuole dire anche "scavare, scolpire", come sono le pietre per edificare il tempio, o in similitudine il popolo stesso, "scavato fuori" da Dio-rupe (Is 51,1), o le parole scolpite con il ferro (Gb 19,24) sulla pietra del cuore (Ger 31,33). Questa opera di Dio, perché l'uomo possa sapere ciò che Lui desidera e possa conoscere Lui (v.6).

 

GIOVANNI

 

Una parola che nel nostro brano ricorre due volte, ai vv.4 e 6, è senz'altro la più importante nell'insegnamento che riceviamo dalla bontà di Dio; è tradotta come "amore" al v.4 e come misericordia al v.6. E' il grande segreto di Dio, è la sua vera e suprema potenza: tutte le altre affermazioni bibliche sul suo potere infinito sono relative e descrittive di questo volto supremo della sua potenza che nella pienezza dei tempi è la potenza che scaturisce dalla sua Croce. L'amore misericordioso è proprio di Dio e viene da noi accolto e trasmesso; è la grande energia di novità e di pace che ha nella Pasqua del Cristo la sua suprema rivelazione e attuazione. Mi permetto di trascrivervi con le lettere del nostro alfabeto la parola ebraica che potrete imparare a memoria per avere il piacere di farla sommessamente fiorire sulle vostre labbra, a bassa voce, non per darci delle arie, ma per gustare noi personalmente l'espressione verbale del cuore di Dio: HESED, dover la "H" va pronunciata in gola. Dunque, ci sono due ipotesi per sanare la vita e la persona di ogni uomo e donna del mondo: o i sacrifici prescritti dalla Legge di Mosè, o la misericordia di Dio ricevuta da Lui e comunicata a tutti. Scopriamo che la prima strada è, nel suo senso profondo, profezia della seconda; tanto che se uno offre sacrifici ma ha il cuore di ghiaccio, viene ammonito dal profeta che lo avverte del non gradimento divino per un "sacrificio" che non esprima la misericordia. Dunque, la misericordia è la grande strada della salvezza.

 

Siccome qualcuno vi dirà che ci siamo collocati nel solito inautentico "buonismo", ditegli che per capire bene la forza e l'efficacia di questa misericordia, si può considerare come una sua descrizione importante il v.5 del nostro testo: "Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce". Meraviglioso: queste sono le armi e gli strumenti punitivi di Dio: "la sua Parola"! E' la Parola di Dio la grande forza che "uccide" in ciascuna persona il figlio di Adamo e risuscita in lei il Figlio di Dio. Ogni nostro incontro con la Parola di Dio è, nella volontà di Dio, la nostra morte, perché da essa sorga la luce della vita nuova: questo è "il giudizio" che Dio esprime e attua nei nostri confronti; questa è appunto la sua misericordia: non un "lasciapassare di cultura radical-scic" ma la vita nuova, la vita del Signore in noi, più forte della nostra morte e di ogni nostra opera di morte.

 

Per questo io spiegherei il v.6 in questa direzione. Dio vuole la misericordia e non il sacrificio; questa è la sua grande scelta di fronte all'accadimento che accompagna tutta la vicenda dell'umanità fin dal principio (così io leggerei semplicemente il v.7: "essi come Adamo hanno violato l'alleanza..."; i peccati nostri di oggi sono quelli di ieri e di sempre!), la nostra lontananza da Dio, la nostra "incapacità di Lui". Egli stesso risolve il problema invalicabile valicando la separazione tra noi e Lui e venendo tra noi, con la potenza della Parola profetica e, nella pienezza dei tempi con il suo Verbo fatto carne in Gesù di Nazaret. Questa Parola muore d'amore per noi e in noi, e inaugura così per noi la vita nuova.

 

Questo versetto di Osea ritorna nel Vangelo secondo Matteo in due luoghi, in 9,13 e in 12,7. La prima volta è per dire che intorno alla sua mensa stanno i pubblicani e i peccatori perché Egli è venuto proprio per chiamare loro e tutti quelli che come loro hanno bisogno di essere salvati. La seconda volta è per dire che l'antica Legge di Mosè la si intende bene se la si accoglie tutta come profezia dell'evento supremo della misericordia divina attuata pienamente nella Croce del Cristo. Vi sarà utilissimo riascoltare le parole di questi due testi; e vi sarà utile anche ritornare alla parabola di Luca 18,9-14 dove il fariseo e il pubblicano rappresentano le vie della comunione con Dio, ma solo il pubblicano sceglie bene, perché non si affida alle opere della legge ma appunto solo alla misericordia del Padre. Come sapete bene, la misericordia verso il fratello è, secondo la preghiera del Padre Nostro, la condizione per poter ricevere e custodire la misericordia di Dio.