Gl 1,1-12                                                                                            Martedì 3 febbraio 2004

 

1 Parola del Signore, rivolta a Gioele figlio di Petuèl.

2 Udite questo, anziani, porgete l'orecchio, voi tutti abitanti della regione. Accadde mai cosa simile ai giorni vostri o ai giorni dei vostri padri? 3 Raccontatelo ai vostri figli e i figli vostri ai loro figli e i loro figli alla generazione seguente. 4 L'avanzo della cavalletta l'ha divorato la locusta, l'avanzo della locusta l'ha divorato il bruco, l'avanzo del bruco l'ha divorato il grillo.

5 Svegliatevi, ubriachi, e piangete, voi tutti che bevete vino, urlate per il vino nuovo che vi è tolto di bocca. 6 Poiché è venuta contro il mio paese una nazione potente, senza numero, che ha denti di leone, mascelle di leonessa. 7 Ha fatto delle mie viti una desolazione e tronconi delle piante di fico; li ha tutti scortecciati e abbandonati, i loro rami appaiono bianchi. 8 Piangi, come una vergine che si è cinta di sacco per il fidanzato della sua giovinezza. 9 Sono scomparse offerta e libazione dalla casa del Signore; fanno lutto i sacerdoti, ministri del Signore. 10 Devastata è la campagna, piange la terra, perché il grano è devastato, è venuto a mancare il vino nuovo, è esaurito il succo dell'olivo. 11 Affliggetevi, contadini, alzate lamenti, vignaiuoli, per il grano e per l'orzo, perché il raccolto dei campi è perduto. 12 La vite è seccata, il fico inaridito, il melograno, la palma, il melo, tutti gli alberi dei campi sono secchi, è inaridita la gioia tra i figli dell'uomo.

 

MAPANDA

 

Iniziamo la lettura del profeta Gioele, che ci parla di una grande carestia. E nel Vangelo ascoltiamo di una grande tavola giudicata come malvagia. Quel ricco che banchetta non vede Lazzaro. 

 

Le prime parole ci dicono dell'importanza di raccontare quanto sta accadendo; anche nel Vangelo vediamo che il ricco ormai nei tormenti, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro a mettere in guardia i suoi fratelli, perché non accada altrettanto anche a loro. La risposta di Abramo richiama alla necessità e alla essenzialità di ascoltare ciò che Dio ha detto: "Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro". 

 

E' importante ora, che il popolo di Dio ascolti, e dica ai figli queste parole. Fare attenzione e conoscere questo fatto straordinario, questa rovina e desolazione che si è abbattuta sulla terra. 

 

v.12: "E' inaridita la gioia tra i figli degli uomini". E' la descrizione non solo del popolo di Israele, ma di tutta la terra: "i figli degli uomini". Questa desolazione deriva dalla fame e dalla carestia, e l'esito è reso più drammatico dal fatto che insieme alle cose necessarie e belle, scompare la gioia. 

 

In questa situazione di desolazione, dove mancano sia le cose essenziali per la vita, che le cose necessarie per il culto a Dio (vv.9-12), l'invito è a tener desta l'attenzione e la memoria di ciò che accade (v.3), a non rinunciare a "piangere e gridare" per la mancanza del necessario (v.5), facendo un lamento come una giovane fidanzata per l'assenza dello sposo (v.8). Sembra che siamo invitati a fare lamento presso Dio con la nostra scarsità, e presentargli il nostro desiderio bisognoso. 

 

Ci ricordiamo di Cana, dell'assenza del vino al banchetto, della supplica della madre di Gesù, e della sua risposta abbondante di vino buono, a riportare la gioia che stava per scomparire dal banchetto di nozze. 

 

Al v.7 "Hanno fatto delle mie viti una desolazione, e tronconi delle mie piante di fico" chi è che parla? Forse Dio? Se è così, allora vuol dire che Lui non è estraneo a questa rovina e desolazione, perché la vite e il fico è sua. 

 

I vv. di oggi, in particolare i vv.10-12, dicono della rovina, e riduzione a desolazione, a deserto. Ricordiamo che in Osea il deserto era presentato come il luogo propizio all'incontro tra Dio e il suo popolo: Dio parlava al suo desiderio di ricondurre il popolo/sposa nel deserto per parlare al suo cuore, e poi offrirle di nuovo ricchezze di raccolti.

 

GIOVANNI

 

Dopo aver dato un'occhiata a qualche introduzione a questo libro mi pare che sia migliore tra tutte le ipotesi quella che non pensa che si parli di una particolare vicenda di devastazione e di spogliazione, e che quindi sia meglio pensare al mistero stesso della vita e all'esperienza, personale e collettiva, che in essa si genera, di desolazione, di spogliazione e di morte. Penso qui all'affermazione della Lettera agli Ebrei quando dice che il timore della morte tiene gli uomini "soggetti a schiavitù per tutta la vita" (Eb 2,15).

 

A conferma che questa esperienza è comune a tutti e sempre, i vv.2-3 ne fanno oggetto di comunicazione di ogni generazione alla successiva; questo peraltro non toglie che la prova sia vissuta da ognuno e da ogni generazione come straordinaria: "Accadde mai cosa simile ai giorni vostri...?" (v.2). Questo evento di distruzione e morte è descritto con molta efficacia al v.4 come l'essere ogni cosa divorata dall'altra, il contrario della generazione e dell'edificazione! Anche i dissipatori vengono privati dell'oggetto delle loro cupidigie, e quindi i beoni restano senza mosto (v.5).

 

Il v.6 riprende l'immagine del divoratore attribuendola a "una nazione potente, senza numero", che probabilmente, come dicevamo, non è un popolo determinato, quanto l'esperienza di un male sterminato che si scaglia contro l'esistenza; e come ancora dicevamo, tale assalto è percepito sia nella singola esistenza sia nell'esperienza storica delle collettività di ogni tipo. La vite e il fico, al v.7, segni tradizionali della pace e della pace messianica, cioè piena e definitiva, sono devastati. Il dolore è quello di una promessa sposa privata dell'amato (v.8). E questa immagine sponsale ci porta al cuore di Israele e della sua relazione nuziale con Dio, ora impossibilitata da una carestia che priva il tempio persino dei frutti che vengono offerti al Signore: il grano, il vino e l'olio! (v.10).

 

Gl 1,13-20                                                                                        Mercoledì 4 febbraio 2004

 

13 Cingete il cilicio e piangete, o sacerdoti, urlate, ministri dell'altare, venite, vegliate vestiti di sacco, ministri del mio Dio, poiché priva d'offerta e libazione è la casa del vostro Dio. 14 Proclamate un digiuno, convocate un'assemblea, adunate gli anziani e tutti gli abitanti della regione nella casa del Signore vostro Dio, e gridate al Signore: 15 Ahimè, quel giorno! E` infatti vicino il giorno del Signore e viene come uno sterminio dall'Onnipotente. 16 Non è forse scomparso il cibo davanti ai nostri occhi e la letizia e la gioia dalla casa del nostro Dio? 17 Sono marciti i semi sotto le loro zolle, i granai sono vuoti, distrutti i magazzini, perché è venuto a mancare il grano. 18 Come geme il bestiame! Vanno errando le mandrie dei buoi, perché non hanno più pascoli; anche i greggi di pecore vanno in rovina. 19 A te, Signore, io grido perché il fuoco ha divorato i pascoli della steppa e la vampa ha bruciato tutti gli alberi della campagna. 20 Anche le bestie della terra sospirano a te, perché sono secchi i corsi d'acqua e il fuoco ha divorato i pascoli della steppa.

 

MAPANDA

 

v.19: "Grido a te Signore!" Forse colui che dice queste parole è il Messia, che raccoglie i lamenti e i pianti di tutti, degli uomini e anche degli animali. E allo stesso tempo è anche il grido di tutti quelli che hanno ricevuto il comando di gridare al Signore (v.14). Ricordiamo Rm 8,22-23: "Sappiamo che tutta la creazione geme e soffre per le doglie del parto; e anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente, mentre aspettiamo la pienezza della adozione a figli, la redenzione del nostro corpo". 

 

vv.19 e 20: Il fuoco ha divorato i pascoli (in greco: la bellezza) della steppa. Dopo il peccato la bellezza del mondo è stata nascosta. Ma Dio farà ancora gioire e splendere la bellezza dei campi (Sal 64,13-14). 

 

Davanti alla devastazione dei vv.1-12 è necessario che ci sia un profeta che invita i sacerdoti e i ministri del popolo affinché gridino e piangano e facciano penitenza perché loro stessi vivono in questa situazione senza fare niente. Il profeta li invita a reagire. Le vicende negative bisogna accoglierle, ma poi il profeta invitando a reagire con la supplica a Dio sottolinea che il fine dell'uomo è la gioia e la felicità (vv.16 e 12): se non c'è gioia e felicità bisogna gridare a Dio e supplicare. 

 

GIOVANNI

 

Viene indetta una grande liturgia alla quale sono chiamati "gli anziani e tutti gli abitanti della regione" (v.14). E' molto interessante il rapporto tra questa liturgia e la situazione di radicale povertà in cui versa il popolo; il v.13 cioè stabilisce una stretta connessione tra il presente momento di desolazione - "priva d'offerta e libazione è la casa del vostro Dio" - e i segni liturgici - cilicio, pianto e indumenti di sacco; mancando la possibilità di offrire qualcosa data la carestia, si offre a Dio il proprio dolore e la propria povertà. E dunque anche il digiuno del v.14 non è solo e non è tanto una pratica liturgica, ma è il trasferimento nella preghiera della realtà in cui ci si trova. La liturgia esprime la povertà e la trasforma in preghiera al Signore.  

 

E c'è di più! Essa non solo esprime la realtà della storia, ma anche celebra e anticipa il giudizio divino. Esso si manifesterà nel "giorno del Signore" che è vicino e viene come "sterminio dello Sterminatore" (così alla lettera, v.15). Dunque celebrare la Liturgia significa riconoscere ed "entrare" nel "giorno del Signore" che è il tempo prossimo del suo giudizio. Ma perché anticipare i tempi con la liturgia? Perché, come vedremo sempre meglio, questo nostro "riconoscimento" del giudizio divino espresso in una sincera contrizione trasforma il giudizio che ci condannerebbe in un giudizio di salvezza. Provo a spiegarmi ulteriormente dicendo che "bisogna morire per non morire" o meglio, che "bisogna morire per risorgere". Questo è il valore salvifico ineffabile della Liturgia nella quale esprimiamo la nostra desolazione e il nostro pentimento, e il nostro bisogno di essere salvati, e la nostra speranza finalmente riposta non in noi stessi ma in Dio solo.

 
La profezia riconosce che il cibo, ma anche "la letizia e la gioia" sono scomparse "dalla casa del nostro Dio" (v.16); e con esse sono svanite tutte le cose che venivano considerate garanzia e sicurezza: i semi e il grano, i granai e i magazzini  (v.17). E' molto bella la descrizione di come anche gli animali partecipino  alla povertà dell'uomo: al v.18 si dice che il bestiame "geme", e al v.20 che gli animali addirittura "sospirano a Te", proprio come il profeta dice al v.19:"A Te Signore, io grido". Detto questo, non vi autorizzo a  giudicarmi un "animalista". Io penso che il creato non pensi e non parli, ma ricevo dalla Parola di Dio che la fede dell'uomo è capace di "interpretare" la creazione, sino a poter cantare "mari e fiumi, benedite il Signore".
 

 

Gl 2,1-11                                                                                            Giovedì 5 febbraio 2004

 

1 Suonate la tromba in Sion e date l'allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, 2 giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di oscurità. Come l'aurora, si spande sui monti un popolo grande e forte; come questo non ce n'è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri di età in età.

3 Davanti a lui un fuoco divora e dietro a lui brucia una fiamma. Come il giardino dell'Eden è la terra davanti a lui e dietro a lui è un deserto desolato, non resta alcun avanzo. 4 Il loro aspetto è aspetto di cavalli, come destrieri essi corrono. 5 Come fragore di carri che balzano sulla cima dei monti, come crepitìo di fiamma avvampante che brucia la stoppia, come un popolo forte schierato a battaglia. 6 Davanti a loro tremano i popoli, tutti i volti impallidiscono. 7 Corrono come prodi, come guerrieri che scalano le mura; ognuno procede per la strada, nessuno smarrisce la via. 8 L'uno non incalza l'altro, ognuno va per il suo sentiero. Si gettano fra i dardi, ma non rompono le file. 9 Piombano sulla città, si precipitano sulle mura, salgono sulle case, entrano dalle finestre come ladri. 10 Davanti a loro la terra trema, il cielo si scuote, il sole, la luna si oscurano e le stelle cessano di brillare. 11 Il Signore fa udire il tuono dinanzi alla sua schiera, perché molto grande è il suo esercito, perché potente è l'esecutore della sua parola, perché grande è il giorno del Signore e molto terribile: chi potrà sostenerlo?

 

MAPANDA

 

I vv. di oggi presentano il giorno del Signore, di cui avevamo già ascoltato ieri, con vari attributi: Viene, è vicino (v.1);  viene come uno sterminio (1,15) dall'Onnipotente; è un giorno di tenebre e di caligine, di nube e di oscurità (v.2) perché svela le tenebre e rivela la vera luce; è grande e molto terribile (v.11b). Queste descrizioni incutono timore e tremore (v.1b), portano salvezza a chi invoca il nome del Signore (vv.3-5). 

 

Al v.1 il comando di suonare la tromba, è per risvegliare l'attenzione del popolo e la sua attesa del giorno del Signore. 

 

Al v.11 la descrizione del giorno del Signore, grande e terribile, è direttamente accostata alla presentazione di un "potente esecutore della sua parola", tanto da far pensare che ci sia quasi una identità tra questo giorno grande e questo "facitore della parola", nel quale pensiamo si possa vedere un annuncio del Messia. Il giorno di Dio è quindi la presenza del Messia che opera la parola di Dio tra il popolo e sulla terra. 

 

Il v.10 che parla della "terra che si scuote" e del "sole che si oscura", immagini riprese al cap. 3 e 4, rimandano fortemente agli sconvolgimenti del momento della Passione del Signore. 

 

v.11: "Il Signore fa udire il tuono (= la sua voce) dinanzi alla sua schiera": fa udire la voce del profeta davanti al suo esercito. E' Dio con la sua Parola che guida la storia degli uomini.

 

GIOVANNI

 

Quando noi pensiamo e diciamo "il Giorno del Signore" (v.1), abbiamo in noi un'immagine luminosa, piena di un adempimento tutto positivo, felice! Dobbiamo pensare che si tratti di un adempimento del tutto rovesciato di profezie come questa di Gioele? Per spiegarmi, se volessimo chiederci come Gioele "pensava" quello che profetizzava, dovremmo dire che il compiersi della sua profezia smentisce radicalmente e anzi capovolge la sua predizione?

 

Dunque i versetti del testo di oggi offrono una visione univoca e compatta della grande "sventura" che sta per abbattersi sulla terra? Tutto è solo distruzione? Ad esempio, quel giardino dell'Eden che al v.3 viene sostituito da un deserto desolato è solo un annuncio di morte?

 

Bene, io penso che sia opportuno ricevere le parole di oggi con grande "timore di Dio", inteso bene come consapevolezza che ognuno e tutti siamo davanti al giudizio del Signore; ognuno di noi e noi tutti insieme abbiamo sperimentato sia le negatività della nostra vita, sia la severità del giudizio evangelico su di essa. Se questo non viene tenuto con forza, tutto si vanifica. Anzi, è solo a partire da questo che si apre, come ben sapete, la prospettiva totalmente luminosa del giorno del Signore come "principio" della nuova creazione e della nuova storia; un "principio" che in Gesù Cristo assume la fisionomia e la realtà inimmaginabile della Risurrezione, cioè di quell'impossibile che a Dio è possibile.

 

Proprio questo consente, e magari invita, noi che oggi ascoltiamo queste parole, ad accorgerci come in esse siano presenti, come germogli sotto la neve o sotto la sabbia del deserto, gli accenni e i preannunci dei cieli e della terra nuova: così le parole "aurora" e "popolo grande" del v.2, "fuoco che divora" del v.3, "popolo forte" del v.5, "nessuno spinge il suo fratello" come dice alla lettera il v.8, ... tutto questo è legato a quanto dice il v.11:"Il Signore fa udire il tuono...". Dunque è il Signore il soggetto, il protagonista di tutta questa impresa!

 

Come ben intendete, penso ancora una volta a una lettura "pasquale" di queste profezie, a una "morte per la risurrezione"; al punto che i dieci lebbrosi che oggi compaiono nel brano evangelico della Messa, mi sembrano quell'Eden "contaminato" che con il fuoco dello Spirito deve essere riscattato e sanato e fatto nuovo.

 

Gl 2,12-17                                                                                          Venerdì 6 febbraio 2004

 

12 "Or dunque - parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti". 13 Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. 14 Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libazione per il Signore vostro Dio. 15 Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un'adunanza solenne. 16 Radunate il popolo, indite un'assemblea, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. 17 Tra il vestibolo e l'altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: "Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio e alla derisione delle genti". Perché si dovrebbe dire fra i popoli: "Dov'è il loro Dio?".

 

MAPANDA

 

Il Signore invita il suo popolo, che si trova nella condizione di desolazione descritta nei vv. precedenti, a tornare a Lui; "con tutto il cuore", come altre volte si legge nella Bibbia, specie nei profeti e nel Deuteronomio. Inoltre aggiunge qui in Gioele una precisazione unica: "Laceratevi il cuore, non le veste", non cercate gesti esterni di lutto, ma "lacerate", cioè "aprite, manifestate", e anche "aprite per essere accoglienti" il vostro cuore. Questo comando, espresso con queste parole si trova solo qui nell'A.T. e forse vuole invitare contemporaneamente alla sincerità nel rapporto con Dio, alla disponibilità a mostrarsi come veramente si è con le mancanze e i peccati che riempiono il cuore; e anche invitare a lacerare il cuore per accogliere intimamente la volontà di Dio. Ipotesi. 

 

Dopo questo atto interiore, sincero per quanto possibile, il Signore chiede di mostrare il ritorno a Lui con il digiuno e con pianti e lamenti. Stupisce questa esigenza di digiuno, ripetuta due volte (vv.13 e 15) in una situazione in cui manca tutto, di devastazione delle campagne e del bestiame (vv.4, 11 e 16). Forse il Signore vuole dirci che è possibile tornare a lui da ogni condizione, anche negativa in cui ci troviamo, offrendogli il nostro bisogno, le nostre scarsità o assenze di bene, le nostre mancanze. E' forse anche un invito a trasformare qualcosa che succede e sembrerebbe una fatalità negativa, in una occasione per "digiunare" per Lui; Chi sa che non ritorni, e porti con sé una benedizione? (v.14).

 

Poi sarà Lui stesso a dare al popolo, con la Sua benedizione, ciò che è necessario per offrirgli doni: "offerta e libazione (che non c'erano più, cfr. 1,9,13) per il nostro Dio" ( v.14). 

 

Il v.12 inizia infatti con le parole "Or dunque", "perfino ora", in questa situazione di desolazione, Dio li chiama a tornare a Lui. Da ogni condizione è possibile tornare a Dio, e in ogni condizione si può sperare che Dio ritorni a noi. Anche Giobbe, nel suo contrasto con gli amici "consolatori" che presumono il suo peccato, afferma: "Fin da ora" il mio testimone è nei  cieli, il mio mallevadore è lassù. Dio invita gli uomini a confidare in Lui, anche per ciò che deriva da loro peccati (Gioele), sia senza peccato (Giobbe). 

Dio è "misericordioso e pietoso", solo lui può salvare. E' ricordato qui il Nome di Dio, segno della sua volontà di salvare, rinnovando il patto con il suo popolo; come rivelò in Es 34,6-7, dopo la vicenda del vitello d'oro. 

 

Rimane un interrogativo. Il v.11, e anche tutti i precedenti, parla della visita di Dio, a capo del suo esercito, e la distruzione del popolo e delle sue cose, ma non si parla del peccato del popolo. Anche nei capp. seguenti non se ne parla. E' vero che lo si può supporre ("ritornate a me..."), sta di fatto che non viene citato, né condannato. Allora perché questo intervento di giudizio? Dio è il padrone della storia, e qualunque cosa ci avviene dobbiamo pensare a Lui e tornare a Lui. O questo testo vuole dirci anche altro sul giudizio di Dio?

 

GIOVANNI

 

L'inizio di oggi, nella versione italiana, non è soddisfacente, perché nel nostro testo l'intenzione di quell' "or dunque", non pesa tanto sul "dunque", quanto sull' "ora"; per questo è meglio calcare sulla dimensione temporale con una piccola, significativa aggiunta: "ora, dunque", dove questa "ora" collega strettamente il brano di oggi a quello di ieri, e quindi sottolinea lo strappo e la sorpresa tra l'orizzonte severo e senza uscita di ieri e l'impeto positivo del nostro brano odierno; accentuando il contrasto, si valorizza la profezia di morte-risurrezione del testo. "Ora", proprio quando di questo "giorno del Signore" si dice "chi potrà sostenerlo", come chiudeva il testo di ieri al v.11, "ora" ritornate a me con tutto il cuore! Questo è il volto profondo, pasquale, del Giorno del Signore! Sottolineo l'importanza di questo "ritornare" che nei vv.12-14 è presente tre volte, due per il ritorno-conversione del popolo, e una volta, meravigliosamente, per dire che anche Dio "ritorna", in certo modo si pente, come è detto al v.14 quando in italiano è detto: "chi sa che non "cambi"?" Questo cambiare è lo stesso verbo tradotto con "ritornate" ai vv.12 e 13. Questo è l'incessante cammino storico del popolo di Dio e dell'intera umanità, malgrado tanti ritardi e ribellioni e arretramenti: il ritorno di noi a Dio e il suo "ritorno" a noi. Noi ritorniamo dalle nostre ribellioni ed Egli ritorna dai suoi castighi verso di noi. Né le ribellioni nostre, né i suoi castighi, sono l'ultima parola della storia. Quindi neppure la morte! L'esito finale è la comunione piena, l'alleanza eterna, quella che si compie, nuova ed eterna, nel sangue di Gesù Cristo.  

 

Ma "come" si compie la nostra "conversione"? Forse con un passaggio "dal far bene al far male"? Non questo viene detto nel nostro brano; si parla piuttosto di un ritorno (conversione) "con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti". E' la lacerazione del cuore, cioè il pianto profondo del pentimento, e non la lacerazione delle vesti (che può essere eventualmente solo il segno della lacerazione del cuore), ad esprimere e compiere la nostra "conversione" al Signore. E si può e si deve tornare con mite fiducia al Signore, perché Egli "è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza". Questo è molto importante: il Prodigo della parabola di Luca 15 è un peccatore che ritorna, è un perduto che viene ritrovato, un morto che risorge. Mi permetto di dire che solo il peccatore sa che cosa sia la misericordia divina, solo il morto sa che cosa sia ritornare alla vita.  

 

E come si compie il "pentimento" di Dio? Qui il nostro testo unisce al verbo "ritornare, pentirsi" anche il verbo molto simile reso con "si impietosisce" al v.13 e con "si plachi" al v.14. Si tratta del "ritorno" di Dio dal castigo inflitto al popolo perché si ravveda. E non solo! Egli "lascia dietro a Sé una benedizione, un'offerta e una libazione per il Signore"! Cioè Dio, perdonando il suo popolo, gli regala anche la grazia e il segno per esprimere a Dio la comunione finalmente ritrovata. 

 

I vv.15-17 esprimono l'universalità di questo pentimento e di questo ritorno a Dio: tutte le età e tutte le condizioni della vita. La preghiera umile e dolente dei sacerdoti al v.17 esprime il significato universale di questo pentimento del popolo, la sua portata nei confronti di tutte le genti. La misericordia di Dio verso il suo popolo è il segno più grande, per i popoli di tutto il mondo, dell'esistenza di Dio (altrimenti direbbero "Dov'è il loro Dio?") e della sua comunione con il suo popolo, più forte di ogni peccato e di ogni allontanamento del popolo dal suo Signore. Come appare banale una "santità" del popolo che presumerebbe di essere "esenzione" dal peccato e non appunto "misericordia" di Dio verso i suoi figli!  

 

Oggi siamo vicini a Beniamino per la nascita al Cielo del suo papà.

 

Gl 2,18-27                                                                                           Sabato 7 febbraio 2004

 

18 Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo. 19 Il Signore ha risposto al suo popolo: "Ecco, io vi mando il grano, il vino nuovo e l'olio e ne avrete a sazietà; non farò più di voi il ludibrio delle genti. 20 Allontanerò da voi quello che viene dal settentrione e lo spingerò verso una terra arida e desolata: spingerò la sua avanguardia verso il mare d'oriente e la sua retroguardia verso il mare occidentale. Esalerà il suo lezzo, salirà il suo fetore, perché ha fatto molto male. 21 Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore. 22 Non temete, animali della campagna, perché i pascoli del deserto hanno germogliato, perché gli alberi producono i frutti, la vite e il fico danno il loro vigore. 23 Voi, figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio, perché vi dá la pioggia in giusta misura, per voi fa scendere l'acqua, la pioggia d'autunno e di primavera, come in passato. 24 Le aie si riempiranno di grano e i tini traboccheranno di mosto e d'olio. 25 "Vi compenserò delle annate che hanno divorate la locusta e il bruco, il grillo e le cavallette, quel grande esercito che ho mandato contro di voi. 26 Mangerete in abbondanza, a sazietà, e loderete il nome del Signore vostro Dio, che in mezzo a voi ha fatto meraviglie. 27 Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele, e che sono io il Signore vostro Dio, e non ce ne sono altri: mai più vergogna per il mio popolo.

 

MAPANDA

 

v.19: Dio risponde al suo popolo (lo abbiamo già visto in Osea, 2,23), e la sua risposta è benedizione. Qui, come in Osea, la risposta è benedizione dei raccolti, che rallegrano la vita dell'uomo, e gli danno di che offrire dono (offerta e libazione) a Dio. 

 

L'origine di questa benedizione, sembra suggerire il v. precedente (18), sta tutta in Dio: "Si mostra geloso per la sua terra": Dio ama il suo popolo, e lo vuole tutto per sé: e nel suo cuore trova la compassione per il popolo, derelitto e devastato. 

 

Il v.20 presenta la descrizione di un nemico che fa il male, o che fa cose grandi, ma Dio - che solo fa meraviglie - lo allontanerà e abbatterà. 

 

I vv.21-23 contengono contemporaneamente il comando a "non temere" e a "rallegrarsi e gioire": è un tema che ci viene proposto spesso nel tempo dell'Avvento, nell'attesa del Messia; e ci ricorda molto anche le parole dell'Angelo a Maria nell'annunciazione: il timore viene meno, e la grazia e la gioia piena sono per la venuta di Dio con noi, per la incarnazione del figlio di Dio. 

 

Si può accostare al v.25, che dice come il Signore "compenserà" delle annate perdute a causa del devastatore, la vicenda di Giobbe, e la sua conclusione; vedi Gb 42,10-12: "Il Signore ristabilì Giobbe nello stato di prima.... benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima" e i parenti e gli amici vengono a banchettare con lui e a consolarlo "di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui". 

 

Il v.27 rivela lo scopo di tutto ciò, e dell'azione di Dio: Dio vuole che il popolo sappia che "Dio è in mezzo a loro" ! Questo è il gran problema del popolo nel deserto: "Dio è in mezzo a noi, si o no ?" (Es 17,7). Ciò che Dio vuole è che non solo il popolo genericamente sappia che "Dio c'è", ma che sappia per certo che Dio è IN MEZZO AL popolo.

 

GIOVANNI

 

Possiamo dire che questo cap.2 ci ha fatto percorrere in sintesi il cammino della salvezza: dal castigo divino nei vv.1-11, alla conversione di tutto il popolo di Dio ai vv.12-17, fino al godimento della pace in questi vv.18-27. Qui finalmente si manifesta in pienezza l'elezione del popolo, la sua vita in Dio, e la sovrabbondanza di beni che sono insieme lode al Signore e vita beata. I testi come quelli di oggi pongono sempre il quesito se questo orizzonte di perfetta beatitudine faccia parte di una possibile condizione storica o se voglia esprimere la condizione di pace eterna al di là della storia. Se è così, come tutto farebbe supporre, non c'è nel tempo presente nessuna esperienza di tutto questo? Mi sembra si debba dire che tutta la gioia e l'abbondanza di bene qui proclamate siano "gustate e vedute" in quell'anticipazione del tempo finale che è la preghiera e centralmente la divina Liturgia. Senza però ignorare quella "prosecuzione" della Liturgia che è la vita nella carità fraterna!

 

Tutto è generato e sostenuto dalla "gelosia" e dalla compassione divina per il suo popolo (v.18). Il male viene allontanato (v.20) - proprio quello che si era scatenato contro Israele nella prima parte del capitolo - e Dio manda (v.19) grano, vino e olio, cioè quello che mancava, in Gl 1,10, non solo per il sostentamento della gente ma anche per la celebrazione e l'offerta al Signore.

 

Il "non temere" rivolto alla creazione e alla terra nei vv.21-22 è caratteristico delle teofanìe di Dio e di ogni "Buon Annunzio" come sappiamo da Nazaret fino all'annuncio della Risurrezione. La sovrabbondanza e la gioia avranno il loro culmine nella pienezza della fede e della comunione con il Signore, come proclamano i vv.26-27, condizione nuova che farà dimenticare il tempo della prova e dell'afflizione (v.25).

 


Gl 3,1-5                                                                                               Lunedì 8 febbraio 2004

 

1 Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. 2 Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito. 3 Farò prodigi nel cielo e sulla terra, sangue e fuoco e colonne di fumo. 4 Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile. 5 Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore, anche per i superstiti che il Signore avrà chiamati.

 

MAPANDA

 

Questi vv. che dicono della effusione dello Spirito Santo su ogni vivente, su ogni carne, "dopo queste cose", rivelate nei due capp. precedenti: la devastazione e la restaurazione da parte di Dio. Il giorno di Pentecoste, quando Pietro in Atti 2 cita proprio i vv. di oggi, si vede bene che "le cose precedenti"  sono la Passione e la Risurrezione di Gesù. 

 

Si può anche notare che il v. immediatamente precedente a quelli di oggi mette in stretta relazione il dono dello Spirito con il riconoscimento da parte del popolo "della presenza di Dio in mezzo a lui" (v.28) e che Lui è il Signore e non ce n'è altri. 

 

I vv.30-32, letti in parallelo con il testo degli Atti, ci conduce a vedere in questi segni nel sole e nella luna, la reazione di quanti sono presenti e ascoltano il discorso di Pietro: "si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro: "Che dobbiamo fare fratelli ?".."Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo". La Parola annunciata  per la forza dello Spirito è la luce interiore per la quale chi ascolta è trafitto nel cuore. 

 

Il v.5 citando anche un resto, e dei "superstiti" vuole mostrare che il dono di Dio raggiungerà anche quelli che sono temporaneamente lontani da Sion e da Gerusalemme.

 

GIOVANNI

 

Il breve cap.3 del Libro di Gioele è interamente dedicato al tema del dono dello Spirito e alla profezia. La nota più forte di questo testo mi sembra sia il suo carattere universale. La profezia antica infatti era dono e compito di alcuni soltanto nel popolo del Signore. Ora invece il dono e il compito si estendono a tutti i figli di Dio senza distinzioni.

 

Il v.1 inizia con un "dopo questo" che ci porta ad osservare che l'evento dello Spirito è accostato, credo come evento peraltro del tutto essenziale, ai versetti precedenti che descrivevano la sovrabbondanza, la gioia e la lode del tempo ultimo. Per questo è possibile vedere in questo dono dello Spirito un chiarimento prezioso sulla nota più profonda e più interiore del tempo messianico. Come dicevo, la nota forte di questo dono è la sua universalità, più evidente ancora se  si traduce alla lettera l'espressione che nella versione italiana dice "sopra ogni uomo" e che dice propriamente "sopra ogni carne", destinando in tal modo il dono di Dio anche alle situazioni e alle vicende più piccole e povere dell'umanità. Chiediamo oggi al Signore di poter assimilare profondamente nella nostra fede e nella nostra preghiera i vv.1-2 che nella prassi vengono tanto facilmente attenuati e spesso del tutto traditi dal reinsorgere di "gerarchie" e compiti che, magari in nome dell'unità del popolo del Signore, alla fine dimenticano la potenza e la rilevanza decisive di questo annuncio di universalità. In questa nuova condizione finale della storia della Chiesa e dell'umanità le gerarchie e gli insegnamenti più essenziali e necessari hanno un compito di riconoscimento, di sostegno e di comunione della  vita secondo lo Spirito, ma non possono rivendicare alcun contatto esclusivo con lo Spirito di Dio. Lo stesso dogma dell'infallibilità papale nella nostra Chiesa Latina assegna al ministero petrino un potere "dichiarativo" della verità cristiana, ma non un'esclusività; è stato questo fraintendimento che ha portato molti nella nostra Chiesa a ritenere che dopo la proclamazione del dogma dell'infallibilità non sarebbe stato più necessario né opportuno un Concilio, né ogni altra forma partecipativa nella vita ecclesiale. Mai abbastanza saremo grati al Signore per aver usato tanto bene l'autorità papale facendo del Beato Papa Giovanni l'ideatore e il promulgatore coraggioso del Concilio Vaticano Secondo.

 

I prodigi dei vv.3-4 penso siano da riconoscere nei grandi prodigi dello Spirito che ci dona il Calice della Nuova Alleanza, il fuoco dello Spirito e la sua guida nel deserto della storia, così come la colonna di fumo guidava i nostri padri nel deserto verso la Terra; è opera dello Spirito anche quella potenza della predicazione e della testimonianza cristiana, più luminose del sole e della luna.

 

Infine mi pongo una domanda sul termine scelto dalla versione italiana al v.5, per dire che, oltre tutti gli abitanti di Gerusalemme e del Monte Sion, e quindi oltre i figli della Prima Alleanza, la salvezza è portata anche ad altri. Chi sono dunque questi "superstiti"? Secondo la versione greca sono gli "evangelizzati"! Se uniamo questo all'affermazione del v.1 circa il dono dello Spirito fatto ad "ogni carne", e se teniamo presente il disegno divino che tutta la Scrittura ci comunica, viene da pensare che questi "superstiti" siano quei "tutti" ai quali giunge la grazia della Parola e dello Spirito, talvolta in modo molto sommesso nella coscienza di persone spesso molto lontane.

 

Infine mi piace sottolineare il legame terminologico che al v.5 unisce il verbo "invocherà" attribuito a chi per questo sarà salvato, e il verbo "avrà chiamati", attribuito al Signore che salva. La salvezza dunque come un "chiamarsi" tra noi poveretti e il Signore buono.

 

Gl 4,1-8                                                                                             Martedì 10 febbraio 2004

 

1 Poiché, ecco, in quei giorni e in quel tempo, quando avrò fatto tornare i prigionieri di Giuda e di Gerusalemme, 2 riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Giosafat, e là verrò a giudizio con loro per il mio popolo, Israele, mia eredità, che essi hanno disperso fra le genti dividendosi poi la mia terra. 3 Hanno tirato a sorte il mio popolo e hanno dato un fanciullo in cambio di una prostituta, han venduto una fanciulla in cambio di vino e hanno bevuto.

4 Anche voi, Tiro e Sidòne, e voi tutte contrade della Filistea, che siete per me? Vorreste prendervi la rivincita e vendicarvi di me? Io ben presto farò ricadere sul vostro capo il male che avete fatto. 5 Voi infatti avete rubato il mio oro e il mio argento, avete portato nei vostri templi i miei tesori preziosi; 6 avete venduto ai Greci i figli di Giuda e i figli di Gerusalemme per mandarli lontano dalla loro patria. 7 Ecco, io li richiamo dalle città, dal luogo dove voi li avete venduti e farò ricadere sulle vostre teste il male che avete fatto. 8 Venderò i vostri figli e le vostre figlie per mezzo dei figli di Giuda, i quali li venderanno ai Sabei, un popolo lontano. Il Signore ha parlato.

 

MAPANDA

 

Il raduno delle genti e il loro giudizio è presentato dai vv. di oggi in riferimento al loro rapporto con il popolo di Dio (vv.1-2). Molte parole richiamano gli avvenimenti della Passione e Risurrezione di Gesù ("dividere" e "tirare a sorte"; "farò ricadere sul vostro capo", e "i vostri figli e le vostre figlie"; "io li richiamo" , o "faccio risorgere"). Forse bisogna pensare che il giudizio di tutti gli uomini e di tutte le genti sarà fatto da Dio in riferimento alla relazione avuta con Gesù Suo Figlio, come anche l'esempio offerto dalla parola stessa di Gesù in Mt 25 vuole indicare. 

 

Il v.4 è molto importante, perché mostra chiaramente come Dio voglia distinguersi assolutamente dal pensiero e dall'operato delle nazioni straniere, che opprimono il suo popolo. E' evidente che Dio non vuole assomigliare a queste nazioni. Dio dice: "Che relazione c'è tra me e voi? Nessuna!" Soprattutto il mio cuore e le mie azioni per il mio popolo non sono come le vostre. Dio si distingue e si dissocia da quelli che affliggono il suo popolo. Non ha relazione con loro, né condivide il loro operato.

 

GIOVANNI

 

Il brano di oggi ci parla del giudizio divino nei confronti delle nazioni, non tanto per quello che sono, o per quello che credono o non credono, ma per quello che hanno fatto al suo popolo. Dunque le nazioni non vengono giudicate per sé stesse, ma in relazione a Israele. La dispersione di Israele tra i popoli (v.2) viene attribuita ai popoli stessi, alla loro violenza invadente e quindi all'esilio che il popolo del Signore ha dovuto subire. E' l'ora della vendetta di Dio.

 

I vv.3 e 5-7 ricordano i misfatti compiuti dalle nazioni contro Israele. Sono purtroppo parole di bruciante attualità, e non solo per l'Israele dei nostri tempi, ma più globalmente per tutti i piccoli e i poveri che, sia come singoli sia come nazioni, subiscono terribili violenze che si identificano soprattutto in un verbo più volte ripetuto nel nostro brano: il verbo "vendere". Non è questo il luogo ove fare attualizzazioni e riferimenti alla storia attuale, ma certo non sfuggirà a nessuno di voi la terribile contemporaneità di queste parole con tante vicende di oggi.

 

Tra i molti testi del Nuovo Testamento, richiamo alla vostra attenzione quello notissimo di Matteo 25,31-46, che molto spesso viene purtroppo applicato in modo banale alla sola "carità" dei cristiani, mentre si tratta di un passo straordinario per quanto riguarda appunto il giudizio delle nazioni. Le nazioni saranno giudicate appunto per il loro rapporto con "questi miei fratelli più piccoli" che non sono solo i poveri, ma sono - o dovrebbero essere!! - i "piccoli fratelli" del Signore, cioè prima di tutto i discepoli stessi, che hanno seguito - o avrebbero dovuto seguire!! - il Signore in povertà e mitezza, richiamando su di sé l'amore - o il rigetto - dei pagani: e questo è appunto quel "giudizio delle nazioni" che il nostro brano di oggi profetizza. Ma, come afferma precisamente il testo di Matteo 25, il primo e fondamentale elemento di giudizio è il Cristo stesso, disperso, povero e venduto in mezzo a noi: "ho avuto fame....ho avuto sete...". Nella profezia di Gioele, dunque, è profetizzato, nella realtà di Israele, il Cristo stesso, e conseguentemente, quelli che sono di Cristo.

 

Gl 4,9-17                                                                                         Mercoledì 11 febbraio 2004

 

9 Proclamate questo fra le genti: chiamate alla guerra santa, incitate i prodi, vengano, salgano tutti i guerrieri. 10 Con le vostre zappe fatevi spade e lance con le vostre falci; anche il più debole dica: io sono un guerriero! 11 Svelte, venite, o genti tutte, dai dintorni e radunatevi là! Signore, fà scendere i tuoi prodi! 12 Si affrettino e salgano le genti alla valle di Giòsafat, poiché lì siederò per giudicare tutte le genti all'intorno. 13 Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano… tanto grande è la loro malizia! 14 Folle e folle nella Valle della decisione, poiché il giorno del Signore è vicino nella Valle della decisione. 15 Il sole e la luna si oscurano e le stelle perdono lo splendore. 16 Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa sentire la sua voce; tremano i cieli e la terra. Ma il Signore è un rifugio al suo popolo, una fortezza per gli Israeliti. 17 Voi saprete che io sono il Signore vostro Dio che abito in Sion, mio monte santo e luogo santo sarà Gerusalemme; per essa non passeranno più gli stranieri.

 

MAPANDA


La convocazione per la guerra, sembra fatta a tutte le nazioni (vv.9, 11, 12, 14) perché si radunino in fretta contro il popolo del Signore ed egli esprima il suo giudizio su di esse "da Sion e da Gerusalemme" (v.16). Il parallelo con il cap.14 del libro di Zaccaria porta a intendere in questa direzione. Inoltre, l'invito a procurarsi una spada e una lancia ricorda la misteriosa parola di Gesù ai suoi nell'approssimarsi della sua ora: "E ora chi non ha una spada venda il mantello" (Lc 22,36). 

 

La guerra finale sembra allora quella che le potenze malvagie (v.13) combattono contro l'eletto di Dio, che raccoglie intorno a sé e in sé tutto il popolo di Dio, cioè la Passione di Gesù. E in essa si compie anche il giudizio di Dio su tutte le genti, in riferimento alla loro relazione con Gesù, Figlio di Dio. 

 

Da una prospettiva forse un po' diversa, ma non opposta, il v.10 "... anche il più debole dica: Io sono un guerriero!" vuole indicare che tutti nel popolo di Dio possono e devono prendere parte a questa guerra, convocati da Dio. Accostiamo, in questa direzione due testi. Is 26,5: "I piedi la calpestano [la città superba] i piedi degli oppressi, i passi dei poveri". E Ct 8,8-10: la sorella piccola, in realtà è forte, perché così la vede il suo sposo, il Signore. Oggi il debole può dire: "Io sono forte!", perché è un comando di Dio, e lui è forte ai Suoi occhi. Non è sfuggito alla sua condizione di debolezza, ma è forte  agli occhi di Dio. Tra poco leggeremo, nel cap.6 degli Efesini, come sia necessario prendere le armi di Dio per combattere la buona battaglia.

 

GIOVANNI

 

Siamo oggi alla descrizione dell'atto supremo della grande battaglia finale. Cerco di attenermi alle parole del testo, ma mi è impossibile - e non credo sia male! - non pensare continuamente alla Passione del Signore Gesù che di questa profezia è il grande vero compimento. Per la verità penso continuamente a due altre grandi vicende: lo sterminio degli ebrei ad opera del nazismo, e la perenne, attuale passione di moltitudini di piccoli, di poveri, di bambini, che in ogni parte del mondo subiscono miserie e violenze inaudite: tutto  questo dramma è svelato e illuminato dalla Pasqua del Signore.

 

I vv.9-14 ci dicono di una diretta convocazione da parte di Dio stesso rivolta a tutte le nazioni. Vi consiglio di ascoltare il cap.14 di Zaccaria e di dare un'occhiata anche a Ezechiele 38-39, dove questo ultimo convocarsi dei popoli pagani contro il popolo di Dio si incontra con il giudizio divino contro di esse. Noi sappiamo che questo "giudizio" è in verità la Croce di Gesù, e che questo giudizio di sterminio delle nazioni è in realtà la loro salvezza, o meglio la loro fine "pasquale", la loro "morte" di figli di Adamo e il loro ingresso nella figliolanza divina. E' l'apice della potenza e della violenza mondana, è la descrizione del supremo impegno delle nazioni nella potenza militare e del coinvolgimento universale nella guerra contro il piccolo popolo del Signore e contro il suo Messia: il v.10 ci parla in modo impressionante di tutto ciò, stravolgendo le profezie della pace finale che possiamo trovare per esempio in Isaia 2.

 

Ma il grande assalto e la grande carneficina si capovolgono come all'improvviso, e i vv.15-17 proclamano la potenza del Signore e di come Egli sia il rifugio invincibile del suo popolo. Questi versetti mi sembrano molto vicini alla memoria della Passione e della Morte di Gesù Cristo come possiamo utilmente andare a riascoltarla in Matteo 27, 45-54. L'oscurarsi del sole e della luna, il grido del Signore da Sion, il terremoto dei cieli e della terra ... tutto porta alla grande "vittoria" del Cristo sulla Croce, e quindi a quella salvezza delle nazioni che lo hanno ucciso, inaugurata dalla confessione fatta dal plotone di esecuzione: "Davvero Costui era Figlio di Dio!" (Mt 27,54).

 

Gl 4,18-21                                                                                         Giovedì 12 febbraio 2004

 

18 In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque. Una fonte zampillerà dalla casa del Signore e irrigherà la valle di Sittìm. 19 L'Egitto diventerà una desolazione e l'Idumea un brullo deserto per la violenza contro i figli di Giuda, per il sangue innocente sparso nel loro paese, 20 mentre Giuda sarà sempre abitato e Gerusalemme di generazione in generazione. 21 Vendicherò il loro sangue, non lo lascerò impunito e il Signore dimorerà in Sion.

 

MAPANDA

 

La fonte che sgorga dalla casa di Dio sembra essere la causa della nuova benedizione e fecondità  che Dio dona al suo popolo. Questa immagine, ripresa da Gesù e interpretata molte volte come la benedizione e la vita che sgorga da Lui e dal suo costato trafitto. 

 

Per questa fonte, i nemici del popolo saranno annientati (v.19), quanti avevano oppresso e devastato il popolo ("per la violenza contro i figli di Giuda"), approfittando del castigo mandato dal Signore stesso. Il Signore aveva infatti consegnato temporaneamente al castigo il suo popolo a causa "del sangue innocente sparso nel loro paese". Lo spargimento di sangue innocente è un crimine che i testi profetici imputano spesso a Israele e Giuda (Ger 2,34-35; Ez 36,18), contrario al comando di Dio (Nm 35,33; Dt 21,7). (Questa però è solo una, forse non la più corretta, tra le letture possibili del testo di oggi). 

 

Il v.21 ci sembra il centro del libro. Si può leggere così: "Io dichiarerò innocente il loro sangue che non avevo dichiarato innocente". Ci ricorda il dialogo del malfattore pentito con Gesù sulla croce. Egli, che è colpevole, diversamente da Gesù che "non ha fatto niente di male", viene unito alla condizione di Gesù, che è innocente, e quindi si sente dire: "Oggi sarai con me in paradiso", cioè viene pure lui, dichiarato innocente, per l'abbondanza di misericordia che sgorga dalla parola e dalla croce di Gesù.

 

GIOVANNI

 

"In quel giorno": così esordisce il nostro brano di oggi, per darci quel volto nuovo e definitivo che il giorno del Signore assume per la salvezza di Israele e delle genti. Questo v.18 descrive la ricchezza e la fecondità che in quel giorno riempiranno la Terra Santa. Vino, latte e acque abbondanti in ogni luogo esprimono efficacemente la liberazione definitiva dal deserto di una storia ferita. Ti ricordo che nei giorni scorsi abbiamo sottolineato che di questo tempo "finale" della storia noi abbiamo esperienza reale ed efficace nella Liturgia, che di quel tempo è anticipazione e fruizione.

 

La seconda parte del v.18 - "Una fonte zampillerà dalla casa del Signore..." - si illumina potentemente con il suo riferimento sia a Zaccaria 14 che già ieri citavamo e che oggi si può riprendere al v.8, sia a Ezechiele 47, sia infine a Giovanni 19,31-37 che con crescente forza indicano il "luogo" da cui sgorga questa fonte di salvezza universale, che è il Tempio di Gerusalemme e, alla fine, la persona e il corpo del Signore Gesù dal quale Giovanni vede uscire l'acqua e il sangue, segni sacramentali della salvezza di tutto il mondo.

 

E' in questa prospettiva che possiamo ricevere i vv.19-21. Il v.19 fa cenno alla sorte delle nazioni che entreranno nella salvezza morendo alla loro condizione che li ha portati a farsi uccisori dell'innocente, che è in senso lato Israele e in senso pieno il Cristo stesso. "Contempleranno Colui che hanno trafitto"  ricorda Giovanni 19,37 citando Zaccaria 12,10. Questa sarà la salvezza dei popoli. E, secondo il v.20, la vita splendida del popolo di Dio si porrà come modello e segno della nuova umanità.

 

Il v.21 viene reso nella versione italiana con una traduzione dal testo greco. Seguendo il testo ebraico si ha questa versione: "Li purificherò dal loro sangue versato, di cui non li avevo purificati, e l'Eterno dimorerà in Sion". Così questo ultimo versetto del Libro di Gioele sembra dedicato a Israele stesso. Se è così, sembra di poter cogliere anche un'allusione profetica al "loro sangue" versato di cui devono essere purificati, come a un accostamento anche di Israele a quello che Zaccaria profetizzava e Giovanni riprendeva nel suo Vangelo. Tutti, insomma, sono colpevoli del Sangue dell'Innocente, e da questo Sangue tutti sono salvati.

 

E grazie al Signore anche per questo meraviglioso piccolo Libro di Gioele.