Mt 1,1-17                                                                                           Lunedì 23 aprile 2001

 

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, 13 Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.

17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.

 

Cominciamo il Vangelo di Matteo con grande gratitudine. Sarà la visita quotidiana di Dio nella nostra vita, il nostro pane quotidiano che ci darà la vita. Ricordiamo a questo proposito altri due appuntamenti importanti di questa settimana: mercoledì, festa di S. Marco evangelista, alla Dozza ci sarà il convegno dal titolo "il giorno del Signore", e giovedì inizierà la lettura settimanale della Bibbia aiutati da D. Giuseppe, in continuità con i giovedì della Dozza...

 

I nomi ricordati nel testo di oggi, un po' sconosciuti e misteriosi, sono il segno dell'abbraccio dei Padri Ebrei che con la loro fedeltà ci hanno accompagnato da sempre nel rapporto con il Signore. Ancora oggi sono vivissimi profeti del Figlio di Dio.

 

La regolarità delle generazioni rivelata nel v.17 (14+14+14...) ci ricordano che Dio prepara e custodisce un armonia e un disegno molto preciso che comprende anche tutti gli incidenti, le fughe, i tradimenti, le infedeltà dei suoi figli (basta vedere quello che dice la Bibbia di qualche "nome" di quelli citati).

 

il versetto 1 dicendo Gesù "figlio di Davide figlio di Abramo" ci mette davanti una parola importantissima per noi: FIGLIO. Gesù con il suo essere figlio di questi Padri ma soprattutto figlio di Dio Padre ci ha rivelato una "condizione", un "modo" di essere speciale!

 

Nella seconda lettera a Timoteo (che abbiamo commentato per intero  al ritiro dei fratelli e delle sorelle)  S. Paolo dice al suo figlio Timoteo "Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo" (2,8). Paolo nel suo vangelo, nel suo predicare la buona novella, ha bene in mente la stirpe davidica di Gesù Cristo, il suo legame fondamentale con tutto quello che la scrittura aveva previsto del messia del Signore. Anche nei nostri primi versetti del vangelo Davide ha un posto privilegiato: subito si dice che Gesù era "figlio di Davide"; Davide è l'unico che viene detto "re" (v.6); nel v.17 Davide è una delle tappe, insieme ad Abramo Babilonia e Gesù stesso, della storia del popolo di Dio.

 

Mt 1,18-25                                                                                         Martedì 24 aprile 2001

 

18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio

che sarà chiamato Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, 25 la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.

 

Giuseppe ci svela la straordinaria complessità del rapporto tra noi e il mistero di Dio: si parla di lui come di un giusto (mentre il Giuseppe di cui parlano oggi gli Atti è "soprannominato" giusto), si dice del suo pensiero e del "rischio" che decide di affrontare per muoversi correttamente nei confronti di Maria...:ma tutto deve "cedere" in un atto di pura fede, di cui il sonno e il sogno sono un'immagine molto bella, non di passività o addirittura di evasione, ma di mitezza assoluta davanti a Dio e davanti alla propria storia.

 

Circa il ver.25 che in italiano cambia vistosamente il testo che alla lettera direbbe "non la conosceva finché ella generò il figlio" si può tenere la versione letterale senza con questo introdurre una difficoltà circa la verginità di Maria anche dopo il parto, perché si può intendere il verbo conoscere non nel senso della "conoscenza" coniugale, ma come semplicemente conoscenza; per cui il senso dell'affermazione è che Giuseppe non la conobbe finché non la conobbe  come Madre di Dio, e dunque in una relazione con Lei qualificata dalla condizione  essenziale di Madre di Gesù Cristo.

 

Ieri è stato un giorno di festa e qui alla Dozza abbiamo avuto il convegno sul "giorno del Signore" per cui non abbiamo fatto in tempo a scrivere in commento, recuperiamo oggi.

 

Mt 2,1-12                                                                                        Mercoledì 25 aprile 2001

 

1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». 3 All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6 E tu, Betlemme, terra di Giuda,

non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:

da te uscirà infatti un capo

che pascerà il mio popolo, Israele».

7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».

9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

E' molto bella la ricerca dei Magi guidati dalla stella. Si fanno aiutare dalle scritture... Abbiamo riconsiderato  la nostra preghiera del Celesti Lumine "col lume celeste Signore previenici sempre e dovunque perché contempliamo con sguardo puro e accogliamo con degno affetto il Mistero di cui tu ci hai voluto partecipi". "la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre". Ogni giorno il Signore attraverso lo Spirito Santo e il Vangelo di Matteo ci accompagnerà all'incontro con Gesù.

 

Mt 2,13-15                                                                                        Giovedì 26 aprile 2001

 

13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».

14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.

 

v. 13 "Erode sta per cercare il bambino per ucciderlo". Ricorda il testo di 1Pt 5,8 ascoltato ieri nella festa di S. Marco: "Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare". Queste "ricerche", così diverse dalla ricerca del Signore dei Magi, hanno come scopo distruzione e morte. L'Angelo del Signore, come quello che passò in Egitto tra le case per liberare definitamente il popolo dal Faraone, anche con Giuseppe agisce di notte e consiglia la "fuga".

 

 v.15 "Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio". Scopriamo anche oggi che le parole del Signore si adempiono con Gesù! Bellissimo quel nome "mio figlio" con cui nella profezia veniva chiamato il popolo ancora "giovinetto", amato da Dio. Ma mentre il popolo contemporaneo di Osea a questo richiamo si allontanava da Dio e  immolava vittime ad altri Dei, qui Giuseppe è obbediente, mite ascoltatore della Parola del Signore (parte subito, nella notte, senza indugiare!).

 

Mt 2,16-18                                                                                        Venerdì 27 aprile 2001

16 Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. 17 Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18 Un grido è stato udito in Rama,

un pianto e un lamento grande;

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata, perché non sono più.

 

Il verbo "prendersi gioco" nel NT è usato quando i soldati scherniscono Gesù. Notiamo le diverse reazioni alla "presa in giro": Erode si scatena e si infuria decidendo di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dintorni, ciecamente senza neanche cercare il neonato annunciato dai magi, Gesù invece sta in silenzio e mitemente subisce tutte le angherie dei militari.

 

Val la pena leggere tutto il cap. 31 di Geremia da quale è tratta la citazione del v.17 "Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più." Questo capitolo in realtà è  molto gioioso perché descrive l'esultanza del ritorno dall'esilio, la citazione è seguita dalla esortazione "consolati perché i tuoi figli ritorneranno!". I nostri bambini di oggi quindi in Gesù sono come degli esiliati: con la sua resurrezione dalla morte si può ritornare! E' molto importante il pianto di Rachele (e quindi delle nostre donne, della chiesa) per suscitare l'intervento di Dio.

 

Il testo di oggi, che generalmente la chiesa ci propone nell'ottava di Natale, va ascoltato alla luce della Pasqua appena celebrata. E' davvero difficile di fronte a questa sanguinosa vicenda, comprendere come possa essere nato il Re della pace! Mt vuole mostrarci le due logiche, opposte tra loro, del bene e del male. Sia i magi che Erode avevano avuto come "suggeritore" la Scrittura eppure gli uni vogliono adorarlo l'altro ucciderlo.

 

Il furore, l'ira di Erode per questo bambino ricorda Ap 12 quando Giovanni ci racconta il parto della donna con l'enorme drago rosso che vuole subito divorare il neonato. Altri furori li troviamo tra i concittadini Nazareni di Gesù che si infuriano contro di lui o nel libro della genesi quando Potifar si infiamma per l'accusa di tradimento di Giuseppe con sua moglie.

 

Nei testi di oggi (Mt e At) abbiamo due voci (quella che si sente in Rama e quella di Pietro) che testimoniano il compimento delle profezie della scrittura.

 

Mt 2,19-23                                                                                          Sabato 28 aprile 2001

19 Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». 21 Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. 22 Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23 e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

Cari amici siamo già arrivati alla fine del capitolo 2! Il ritmo è incalzante e occorre tener alta l'attenzione e ferma la preghiera quotidiana sul testo del nostro amico Matteo.

 

Il Signore protegge e guida la vita di questa piccola famiglia, attraverso le apparizioni dell'Angelo a Giuseppe (il vangelo di Luca ha come protagonista Maria).

 

E Giuseppe obbedisce in modo molto fedele all'angelo del Signore; parte subito appena si desta dal sonno (e non c'è l'elemento dell'urgenza per un pericolo imminente come era stata la partenza notturna di Betlemme). Confronta i v. 20 e 21: le parole dell'angelo e l'azione di Giuseppe: c'è solo una piccola ma importante differenza "entrò nella terra (lett.) di Israele". Il percorso di Giuseppe è molto significativo: è il compimento del primo viaggio di "entrata" nella terra promessa (Cfr. Es 23,20ss l'ingresso del popolo nella terra promessa guidati dal messaggero di Dio) e del ritorno dall'Esilio di Babilonia. Introdurre il Figlio di Dio nella Terra di Israele è il compiersi del giudizio di salvezza di Dio sulla storia!  Secondo l'Apocalisse e per esempio il libro del profeta Isaia, tutti il popoli saliranno a Gerusalemme!

 

Appena "entrati" si "ritirano" a Nazaret: tutto si svolge con umiltà e piccolezza. L'obbedienza di Giuseppe non è meccanica e formale ma viva e profonda. (v.22) Giuseppe sente la notizia del successore di Erode e nonostante l'angelo gli avesse detto che tutti quelli che insidiavano il bambino erano morti, lui  ha paura! E forse un segno di fragilità, di piccolezza di Giuseppe?  Subito c'è la risposta del Signore che lo indirizza nelle regioni della Galilea! E bello quindi questo rapporto tra Giuseppe e il Signore.

 

Mt 3,1-12                                                                                           Lunedì  30 aprile 2001

1 In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, 2 dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

3 Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

4 Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. 5 Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; 6 e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.

7 Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? 8 Fate dunque frutti degni di conversione, 9 e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. 10 Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 11 Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. 12 Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».

 

E' molto incisivo l'invito di Giovanni Battista rivolto a tutti: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! Ai farisei e ai sadducei aggiunge "Fate frutti degni di conversione". Cosa sono i frutti degni di conversione? Se leggiamo il testo degli atti (2,37-48) o il parallelo di Luca scopriamo che consistono nel fare il proprio dovere con semplice rettitudine e rinnovata onestà, condividere con gli altri tutti i beni, essere assidui nella preghiera e nello spezzare il pane.

 

Mt 3,13-17                                                                                        Martedì 1 maggio 2001

 

13 In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. 14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». 15 Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. 16 Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».

 

Notate la frase di Giovanni Battista quando si ritrova Gesù nella fila dei battezzandi "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?". TU VIENI DA ME. E' il grande mistero dell'amore del Signore per noi, che supera il nostro peccato e la nostra distrazione e viene a visitarci. Non possiamo impedirglielo ma dobbiamo acconsentire sempre! In questo contesto il Padre manifesta la sua opera mandando lo Spirito e dicendo il nome di Gesù "E' MIO FIGLIO!".

 

Mt 4,1-11                                                                                       Mercoledì 2 maggio 2001

1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. 2 E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 3 Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l'uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5 Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio 6 e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo,

ed essi ti sorreggeranno con le loro mani,

perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».

7 Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non tentare il Signore Dio tuo».

8 Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: 9 «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». 10 Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto:

Adora il Signore Dio tuo

e a lui solo rendi culto».

11 Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

 

Il testo di oggi è in grande continuità con quello di ieri: si capisce come quella stupenda rivelazione di ieri riguardo a Gesù si cala nella storia e nella fatica di tutti i giorni. Il Figlio è veramente tale perché rimane Figlio anche davanti alle tentazioni, anzi forse solo restando in pienezza nella condizione Figliale può respingere e scacciare il tentatore. E questo "titolo" di figli Gesù l'ha regalato anche a noi! Le tentazioni a cui si trova davanti Gesù sono le tentazioni di ieri del popolo di Israele diretto nella terra promessa (Cfr. Dt 6-8) e sono le tentazioni per noi oggi. Il Signore resta piccolo e mite (notare che nei v.5 e 8 dove l'italiano dice "condusse" in greco è usato il verbo "prendere" come Giuseppe che "prende" il bambino e sua madre per portarli in Egitto e salvarli da Erode o come i capi del popolo che prendono Gesù per portarlo da Pilato durante la Passione), dotato di una sapienza profonda ed efficace proveniente dalla Scrittura.

 

Mt 4,12-17                                                                                        Giovedì 4 maggio 2001

 

12 Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea 13 e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14 perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15 Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali,

sulla via del mare, al di là del Giordano,

Galilea delle genti;

16 il popolo immerso nelle tenebre

ha visto una grande luce;

su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte

una luce si è levata.

17 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

 

Matteo è l'unico evangelista a sottolineare in modo così forte il trasloco di Gesù da Nazaret a Cafarnao, citando ancora la Scrittura. Le parole usate sono esattamente le stesse del trasferimento di Giuseppe, Maria e il bambino dall'Egitto a Nazaret (Mt 2,22-23) "sentire", "ritirarsi", "abitare". Il parallelo tra questi due trasferimenti è evidente: i nostri amici seguono il disegno di Dio già preannunciato dalle Scritture, Giuseppe aiutato dall'Angelo, Gesù in modo autonomo essendo il Figlio prediletto!

Nel v.16 per due volte il greco usa il verbo "essere seduto": "il popolo IMMERSO nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che DIMORAVANO in terra e ombra di morte una luce si è levata". Con questa parola forse si vuole sottolineare ancora di più la situazione di fissità, di bisogno di essere "sollevati", "illuminati" di quella gente. Finalmente la luce profetizzata da Isaia è arrivata a illuminare e a salvare. La citazione è presa dal cap. 9 di Isaia che vale la pena rileggere!

V.17 E' descritto in modo speciale "l'inizio" dell'opera di Gesù. Comincia a parlare e a predicare, per ora con le stesse parole di Giovanni Battista "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino". Ci stiamo preparando ad ascoltare il bellissimo discorso della montagna (cap. 5-7).

 

Mt 4,18-22                                                                                        Venerdì 4 maggio 2001

 

18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.

19 E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». 20 Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. 22 Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.

 

Il nostro brano insiste nel citare i vincoli parentali tra le persone chiamate gal Signore: i fratelli soprattutto, e il padre . Sembra di capire che la fraternità, mutate le sue condizioni, proseguirà, mentre la relazione con il Padre sarà necessariamente tutta nuova.

 

C'è una relazione importante  tra il comando del testo precedente (convertitevi...) e quello di oggi: "Seguitemi...":il modo più positivo e radicale per convertirsi è proprio quello di seguire Gesù. Anche ciò che va' lasciato perché contrario o per lo meno superato dalla nuova condizione, se ne andrà tanto più facilmente quanto più sarà forte e piena l'obbedienza a incamminarsi dietro al Signore.

 

 

Mt 4, 23-25                                                                                        Sabato 5 maggio 2001

 

23 Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. 24 La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. 25 E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

 

L'opera di Gesù, iniziata sulla riva del lago con i suoi primi quattro discepoli, si dilata ora verso le folle.

 

Con tre verbi viene descritta tale opera: insegna, predica, cura : queste azioni, indicate nel ver.23, sono distinte ma assolutamente inscindibili, sia in Lui che le compie (perché sana predicando e comunica il regno nuovo guarendo), sia in chi le riceve (perché ognuno è malato e deve essere salvato e liberato). Il verbo insegnare sembra indicare un'esposizione ordinata e prolungata:

ne avremo subito uno straordinario esempio nei prossimi tre capitoli che riferendoci il "Discorso della Montagna" si presentano come appunto un insegnamento (Mt.5,2: li ammaestrava). La predicazione, o più esattamente la "proclamazione", mi sembra abbia in Matteo come oggetto quasi sempre il Vangelo del Regno.

L'abbiamo già trovato in Mt.4,17, e lo abbiamo qui al ver.23.

 Per il verbo curare si può notare che nel nostro brano è presente anche al ver.24 come "guarire": per noi non è detto che curare e guarire coincidano ma per il Signore è certamente così.

 

Dunque l'opera del Signore si dilata, va dal piccolo al grande, dal vicino al lontano, dal personale al collettivo: dai quattro primi discepoli alle folle di discepoli (ver.25:"grandi folle, alla lettera, lo seguirono"); dalla Galilea alla "fama" che arriva in  Siria (anche a Bologna e a Sammartini non è arrivato Lui in carne e ossa, ma la sua "fama": che è più di una notizia o di una cronaca o di un messaggio, perché nella predicazione del Vangelo è Lui stesso che si rende presente); e così infine il suo intervento terapeutico: cura le persone secondo ogni malattia, e cura l'intero popolo. Anche noi sperimentiamo continuamente questa duplice relazione con Lui, sia personale, intima, sia collettiva, in grande comunione con tutti i nostri fratelli e sorelle e , in certo modo, con l'intera umanità.

 

Mt 5,1-12                                                                                           Lunedì 7 maggio 2001

 

1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

3 «Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4 Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

5 Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

7 Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

8 Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

9 Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

10 Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

 

Ci sono dei legami e delle differenze con i testi precedenti. Le folle: lo stavano seguendo da tutte le regioni confinanti "la Galilea delle genti". Gesù le VEDE come aveva visto i pescatori a due a due fratelli... Invece di continuare a percorrere la regione Gesù si ferma, sale sulla montagna (come la montagna dell'esodo) e si siede. L'insegnamento che sta per cominciare è particolarmente importante e articolato... Chi sono le persone che "si avvicinano" a lui per ascoltare? I quattro fratelli? Le folle? Mt dice che sono i suoi DISCEPOLI, che, come dice la parola "imparano" da lui!

Un altra espressione importante che abbiamo già sentito sulla bocca di Giovanni Battista e di Gesù è "Regno dei cieli". Annunciavano che era vicino e che occorreva convertirsi... Oggi il Signore ci "rivela" che quel Regno vicino è già presente, riguarda già le persone che ha già davanti! Se togliamo la beatitudine del v.11 che è un po' particolare, le altre sono "racchiuse" dai "possessori" del regno dei cieli.

E' molto bello ricercare queste beatitudini nella scrittura, vedere i passi paralleli dove si parlava già di queste "categorie" di piccoli (poveri in spirito, afflitti, umili, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati a causa del Signore...) per scoprire che da sempre sono i prediletti di Dio. Da oggi sappiamo che il tempo nuovo è definitivamente arrivato, il Regno è vicino!

 

Mt 5,13-16                                                                                        Martedì 8 maggio 2001

 

13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

 

Il discorso di Gesù è rivolto alla seconda persona plurale "VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA... VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO" come l'ultima beatitudine di ieri "voi siete beati...". Non si tratta di un'esortazione ("voi siate...") ma di un'affermazione che fotografa una condizione. Gesù dice la realtà più intima e profonda della vita che ci ha regalato: siamo il sale della terra e la luce del mondo (nel vangelo di Gv Gesù lo dice di sé 8,12, oppure in Mc dice che noi siamo la lampada e lui la luce).

Restiamo un po' stupiti davanti a queste parole perché conosciamo tutto il limite della nostra persona, il peccato, l'infedeltà, il male del nostro cuore. Come può il Signore dire che siamo il sale della terra? La vita che da lui riceviamo è davvero un grande regalo. La beatitudine, la felicità prende il nostro cuore!

v.16 "risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli." Questa luce ha un grande potere di bene verso gli altri! Ricordiamo le parole di Isaia che profetizzava la "salita" di tutte le genti a Gerusalemme città di luce.

 

Mt 5,17-20                                                                                     Mercoledì 9 maggio 2001

 

17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

20 Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

 

"non pensate che..." evidentemente c'è qualcuno (tra i discepoli riuniti sulla montagna con Gesù? tra gli ascoltatori del vangelo di Mt di ieri e di oggi?) che crede che Gesù sia venuto ad abolire, distruggere, togliere valore, la legge. Forse l'inizio del discorso di Gesù, promuovendo la persona, la povertà di spirito, l'umiltà, la piccolezza, la pace... ha istillato questo dubbio. Gesù ci tiene molto invece a  spiegare come la pensa anche in vista delle cose che dirà nei prossimi capitoli.

 

"venuto per  dare compimento... " questo verbo lo abbiamo già incontrato 6 volte, 5 delle quali nella forma "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta.." (Cfr. 1,22) La venuta di Gesù è precisamente il pieno adempimento della legge e dei profeti come Mt ci ha fatto sapere più volte citando la Scrittura - non sempre con immediata evidenza (vedi per es. il versetto citato: l'angelo dice a Giuseppe di chiamare il bambino Gesù, mentre il profeta parlava di Emmanuele. Il nome Gesù quindi è proprio il compimento di quell'antica profezia) -.

 

Ma in cosa consiste l'adempimento? Nel fatto che ciò che è stato detto "avviene" accade, succede, si realizza! Vedi 1,22 e il nostro v.18 "In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto."(=lett. sia avvenuto). Con Gesù   accade quello che era stato profetizzato!

 

Ma in più Gesù dice che anche tutti quelli che "faranno" (più lett. di "osserveranno" v.19) i precetti e li insegneranno. Cioè i discepoli hanno lo stesso potere del Signore di fare accadere le profezie. E' questo il odo più profondo, più forte più grande di osservare i comandamenti rispetto ai farisei e degli scribi: "fare" i comandamenti e insegnarli nella pienezza dell'adempimento di Gesù. E' molto bello sapere che in Lui tutte le Parole hanno ricevuto il perfetto compimento e significato (con questa consapevolezza va letta tutta la scrittura!).

 

La via proposta da Gesù è una via di piccolezza e di umiltà di fronte ai comandamenti: anche il più piccolo iota, il più piccolo segno va seguito!! Chi invece non osserva i precetti è colui che si ritiene superiore, più grande dei comandamenti, tanto da non doverli osservare, da passare oltre ! Questo però sarà piccolo nel Regno dei cieli! Grande sarà chi si farà piccolo!

 

Mt 5,21-26                                                                                      Giovedì 10 maggio 2001

 

21 Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.

23 Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all'altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.

25 Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. 26 In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!

 

I nostri padri dell'Antica Alleanza (gli "antichi"),hanno custodito per noi il comandamento divino "non uccidere" unito alla determinazione divina circa la negatività di questo fatto: "sarà reo di giudizio".

 

Gesù ci mostra in qual modo Egli riempie e realizza tale precetto. E così dilata il "non uccidere" in tutto lo spazio dell'esperienza umana interpersonale, segnalandone tre ambiti: quello della "conversazione" quotidiana, cioè delle più ordinarie relazioni tra le persone, quello della fede e della preghiera, e quello dell'interpretazione dell'intero senso della vita, colto come un grande itinerario di riconciliazione.

 

Nei vers.21-22 ha grande rilievo il "dire": di fronte alla parola buona che il Vangelo ci dona, parola che edifica e non condanna, si evidenzia la negatività odiosa di molte nostre parole. Sarà la lettera di Giacomo a dire quanto sia terribile la lingua come possibile e facile strumento di male e di morte (cf.Gc.3).

 

I vers.23-24 affermano l'impossibile separazione tra la liturgia verso il Signore e la "liturgia" delle nostre relazioni. E' da notare che nel caso citato l'offerente che deve interrompere l'atto liturgico per prima riconciliarsi con il fratello non è lui stesso sede e fonte della divisione; ma al di là di ogni responsabilità, è in ogni caso inaccettabile un gesto di riconciliazione con il Signore che non si accompagni alla pace tra noi. Una volta per tutte Dio rifiuta di essere Dio della guerra e Dio di una parte: o siamo in pace tra noi o Egli non gradisce la nostra preghiera.

 

Ai vers.25-26 si interpreta il corso della vita come un cammino dove occorre riconciliarsi "prima" della fine; altrimenti entreremmo in un giudizio connesso alla divisione che restasse tra noi. Mentre in  tutto il brano l'interlocutore è sempre stato chiamato "fratello", qui viene chiamato "l'avversario", per dire in modo molto realistico che non dobbiamo stupirci delle difficoltà della vita fraterna; Ma soprattutto è molto bella l'interpretazione della nostra vita come un grande cammino per trasformare l'avversario in fratello.

 

Mt 5,27-37                                                                                      Venerdì 11 maggio 2001

 

27 Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; 28 ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.

29 Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. 30 E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.

31 Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32 ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; 34 ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; 35 né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.

 

Gesù prosegue con altri tre casi (l'adulterio, il ripudio e il giuramento) dopo quello di ieri sull'omicidio a mostrare quale sia la GIUSTIZIA - più grande di quella degli scribi e dei farisei - del Regno che lui è venuto ad annunciare. La linea è molto dura, esigente, profonda ed esclusiva: come per l'omicidio non serve arrivare all'uccisione ma è sufficiente una parola violenta... così per l'adulterio basta guardare per desiderare una donna che già nel CUORE si commette adulterio! Così anche per l'adulterio e il giuramento... non si possono fare! Capiamo che sotto quei comandamenti antichi, apparentemente lontani dal nostro quotidiano vivere, ci sono sensibilità molto acute per i rapporti interpersonali!

 

Qual è dunque il discepolo che segue le indicazioni di Gesù? E' una persona fedele alla condizione di vita in cui si trova, aderendo in pieno alla volontà di Dio, senza cedere ad alcuna forma di POSSESSO verso gli altri. Mt riprenderà il discorso dello scandalo (v.29-30) al capitolo 18 a proposito dei piccoli: guai a chi scandalizza uno di questi piccoli... C'è un forte legame tra il mistero delle nozze e i piccoli perché ogni attentato ad essi è un attentano al mistero di comunione che Dio opera, predilige, custodisce per i suoi piccoli e i suoi figli!

 

I versetti (v.28-30) non sono da prendere alla lettera: Gesù non vuole certo che ci mutiliamo! Sia l'occhio che la mano citati sono quelli destri (e i sinistri?) perché è nella parte destra che vengono prese le decisioni importanti della coscienza: è a livello della coscienza, del cuore che vanno fatti i "tagli".

 

Mt 5,38-42                                                                                        Sabato 12 maggio 2001

 

38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; 39 ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; 40 e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 42 Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

 

Siamo al 5° caso proposto da Gesù per illustrare la Giustizia del Regno. Abbiamo ascoltato "occhio per occhio dente per dente" Gesù ci insegna, attraverso alcuni esempi concreti, che la giustizia più grande è quella che risponde al male con il BENE, che allontana in ogni modo rancore, odio, violenza (leggi Rm 12,17ss e 1Pt 3,8ss), qualunque sia la situazione e il torto subito!

 

Mentre con la legge del taglione per contenere la vendetta, si "fermava" la violenza con una punizione PARI al torto subito e tutto finisce lì, gli esempi di Gesù mostrano che la vicenda rimane positivamente "aperta": porgi l'altra guancia... (cosa poi succeda non lo dice...), lascia il mantello..., fai due miglia  con lui... , dai a chi ti chiede..., non volgere le spalle... E bellissimo imparare da Gesù ad aprire la storia, creare nuove strade di bene e di pace, offrire un'alternativa...

 

v. 39 "ma io vi dico di non opporvi al malvagio". Chi è questo malvagio? Il termine greco (ponhroj) l'abbiamo appena incontrato ieri v. 37 "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" e lo ritroveremo nel Padre Nostro (6,13 "e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male". Si tratta perciò del mistero del Male, il tentatore, l'accusatore, il diavolo... Come mai Gesù ci dice di non resistere al Malvagio, proprio lui che lottò con il diavolo? Mai proprio dal suo odo di combattere impariamo cosa intende: Gesù non chiamo le 12 legioni di angeli dal cielo per difenderlo nell'orto degli ulivi, non resistette al male con le armi, con la forza, con i suoi stessi mezzi. Questo è inutile!! Il male lo si sconfigge solo consentendo docilmente come ha fatto lui, alla prova. Ma non è una resistenza passiva e muta. E' una resistenza estremamente viva ed efficace. Pensate allo schiaffo che il Signore riceve dalla guardia mentre parla con il sommo sacerdote: Gesù dice "se ho parlato male dimostrami dov'è il male ma se ho parlato bene perché mi percuoti?" (Gv 18,22-23) oppure S.Paolo in At 23,3. Non stanno zitti! Gesù dice anche ai suoi prevedendo le persecuzioni che riceveranno "10,19 E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: 20 non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi."

 

Mt 5,43-48                                                                                       Lunedì 14 maggio 2001

 

43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46 Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

 

L'ultimo intervento di Gesù in questo capitolo, riguarda l'amore. Nel testo precedente ci diceva di non resistere al malvagio, oggi va oltre "amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori". E' un comando molto forte, veramente una novità straordinaria rispetto alla legge e al sentire comune! Gesù spiega il motivo: "perché siate figli del Padre vostro celeste" e "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Evidentemente in lui abbiamo l'esempio più chiaro: muore in croce perdonando i suoi uccisori e glorificando il suo essere Figlio del Padre.

 

L'amore per i nemici si attua, si concretizza principalmente nella preghiera: "amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori". La preghiera è la dilatazione, lo sviluppo della carità nei suoi ambiti umanamente più difficili.

 

"quale merito ne avete?" Che ricompensa, che "paga", che mercede (vedi anche testi successivi)... L'amore dei nemici ha in se una ricompensa immediata, concretamente, non un semplice "merito" godibile nella vita futura.

 

Mt 6,1-8                                                                                          Martedì 15 maggio 2001

 

1 Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. 2 Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

5 Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.

 

Gesù ci svela il modo di entrare con intensità e verità in rapporto con il Padre (3 volte nel cap.5, 5 volte oggi, domani il "Padre Nostro"): "fate la vostra giustizia" non davanti agli uomini ma "nel segreto" dove è il Padre (v.6), dove il Padre guarda e ricompensa. Essere visti, ammirati, lodati dagli uomini è già la ricompensa per chi opera per questo. L'elemosina, la preghiera, e il digiuno sono le grandi occasioni che il Signore ci da per ritornare a Lui, per ritrovarlo ed onorarlo nel segreto.

 

Tutte le parole dette da Gesù nel capitolo 5 vengono illuminate da questa prospettiva. La povertà di spirito, la piccolezza, la purezza di cuore, la mitezza, l'amore per i nemici, la fedeltà alle nozze, la custodia della parola buona con i fratelli... non sono fini a se stessi ma alla comunione piena con il Padre. Ricordiamo per esempio la vedova povera che getta nel tesoro del tempio tutto quello che ha ed è vista da Gesù.

 

v.8 "non siate come loro": è un ammonimento molto forte perché è molto forte la tentazione di "assomigliare" ai pagani (->quelli che non credono in Dio). Dobbiamo  amare e custodire la diversità, la specificità  della vita cristiana così come Gesù la sta annunciando in questo lungo discorso di insegnamento. E' ammonizione e conforto nello stesso tempo; ci è concesso il dono di essere simili a Lui, Gesù di Nazaret, principalmente nella messa dove partecipiamo del sacrificio d'amore del Signore.

 

Mt 6,9-15                                                                                      Mercoledì 16 maggio 2001

 

9 Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome;

10 venga il tuo regno;

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

12 e rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori,

13 e non ci indurre in tentazione,

ma liberaci dal male.

14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

 

"il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate"; detto questo Gesù  dice come pregare, cosa chiedere sottolineando molto quel "VOI pregate così", per differenziare i suoi discepoli dai pagani. La preghiera di Gesù ci riconsegna, ci riaffida, ci restituisce alla nostra condizione filiale. Nella seconda parte (v.11.12) il discepolo grida tutto il suo bisogno, la sua indigenza ("dacci il nostro pane quotidiano" il nutrimento spirituale che da la vita: Eucarestia e Parola), il suo peccato ("rimetti i nostri debiti" = le colpe, le cadute, le miserie, le ombre proprie del cuore dell'uomo fin da Adamo) la sua debolezza ("non ci indurre in tentazione") che esige un pronto intervento del Padre!

 

"Padre nostro che sei nei cieli" le due parole "Padre" e "celeste" connettono l'intimità, la vicinanza, la confidenza e l'onnipotenza, la grandezza, la trascendenza. Ripetuto nel versetto seguente "come in cielo anche in terra".

 

v.14-15 è come se si ripresentasse il precetto "occhio per occhio" ma questa volta nel senso di una giustizia "preventiva". Potremmo dire "dono per dono". Viene stipulato con Dio un patto serio: lo si impegna a "elargire il dono della remissione dei peccati" in cambio del perdono dei debiti di tutti i debitori!

 

Mt 6,16-18                                                                                      Giovedì 17 maggio 2001

16 E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

17 Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, 18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

 

Il Signore ci invita a non fare "spettacolo" della nostra relazione con il Padre, per essere visti dagli uomini. Tutta l'energia e l'attenzione va rivolta ad approfondire, a rinnovare il nostri rapporto con II Padre.

 

E' interessante leggere l'altro punto del vangelo di Mt dove c'è una disputa sul digiuno tra i discepoli di Gv Bt e i farisei (che sostanzialmente in continuità con la tradizione di Israele, aspettavano l'avvento del Messia) e Gesù. Egli risponde loro così: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno". Con la venuta di Gesù le nozze sono compiute, l'incontro con Lui ci costringe alla festa e alla lode! La tristezza, la malinconia dei discepoli di Emmaus per la fine del possibile liberatore di Israele, viene cambiata in gioia quando, sentita la spiegazione delle Scritture lungo la via, riconoscono il Risorto nello spezzare il pane.

 

"quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto", come se ti preparassi alle nozze! Vedi per esempio l'unzione di Betania o Lc7 quando la donna unge i piedi di Gesù amandolo molto ed essendo così molto perdonata!

 

Mt 6,19-24                                                                                      Venerdì 18 maggio 2001

 

19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.

22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

24 Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.

 

E' importante che questi tre testi siano, qui nel Vangelo di Matteo, raccolti insieme nel discorso della montagna, mentre nel vangelo di Luca sono riportati in altri contesti.

 

"Accumulare": secondo il Vangelo è un accumulare sicuro: la corruzione e la precarietà dei tesori terreni fa pensare per antitesi alla perennità della carità, il tesoro prezioso che non avrà mai fine, ricordata da san Paolo o a Maria, sorella di Lazzaro che si sceglie una parte che non le sarà mai tolta.

 

"cielo  terra" costruire, accumulare in cielo, nn è un andar via dalla terra, fuggire dai problemi ma (vangelo di domenica prossima) andare ad abitare con Lui, avere il Gesù il nostro prediletto, il pensiero principale Non è una scelta difficile perché questa possibilità lui ce la regala e ce la mette davanti in ogni modo!

 

"occhio": come facciamo a scegliere il tesoro giusto? Spesso siamo confusi ingannati, traviati dalle situazioni della vita. La fonte della sapienza "semplice", positiva, luminosa è naturalmente il Vangelo, la Parola che ascoltiamo tutti i giorni e la messa che celebriamo insieme! Vanno custodite, curate in ogni modo!

 

"mammona": è un problema molto grave quello delle ricchezze.  Più grave è ancora la schiavitù del cuore ad ogni cosa che non sia il Signore, schiavitù emergente e viva sempre in noi! Dobbiamo allora buttarci con abbandono nella diaconia, umile e sottomessa al Signore stesso, rimettendolo sempre al primo posto tra i nostri "padroni".

 

Mt 6,25-34                                                                                        Sabato 19 maggio 2001

 

25 Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? 28 E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31 Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33 Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

E' evidente la grande continuità con i  testi precedenti, con tutto il discorso: l'argomento è ancora quella "giustizia" più grande, più profonda che i discepoli del Signore devono vivere rispetto ai farisei.

 

Oggi questa giustizia si manifesta con ancor più chiarezza come la giustizia dei piccoli e dei poveri: gli uccelli del cielo e i gigli del campo sono un immagine molto preziosa della condizione e della vicenda dei discepoli di Gesù. La loro forza sta tutta nell'affidarsi al loro Signore e nell'accogliere con stupore riconoscente la bellezza e la bontà dei suoi doni.

 

Al lato opposto sta il "preoccuparsi" parola che accompagna tutto il brano di oggi. Essa esprime un atteggiamento tipico di chi, fuori dalla fede è costretto ad agire in solitudine, in un intreccio triste e sterile tra paura, ansia e avidità. Gesù sa che i suoi piccoli fratelli sono esposti a questa tentazione. Abbandonando la lieta certezza che Dio provvede per loro e che a loro dona, nel suo Regno e nella "giustizia" di tale Regno tutto quello di cui hanno bisogno possono esporsi alla stessa condizione alienata dei pagani.

 

Tale alienazione non riguarda solo le cose, ma anche il tempo, condannando ad un inutile affanno per il domani che strappa dalla fedeltà umile e risoluta nei confronti del giorno presente, con i suoi mali e le sue prospettive di riscatto e di pace.

 

Mt 7,1-6                                                                                           Lunedì 21 maggio 2001

 

1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3 Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? 5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.

6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

 

Oggi vi mandiamo un commento - forse un po' lungo - tratto da un libro di Don Umberto Neri "Il Discorso della montagna" - Ed. Ancora.

 

Questo capitolo conclusivo offre una serie di indicazioni precise per la vita della comunità, meno fortemente connesse fra di loro di quanto le precedeva - sono precetti abbastanza sparsi - fino alla grande conclusione contenuta nei versetti 21-27. Lì abbiamo

avvertimento finale: tutto il discorso è falsamente ricevuto o malamente ascoltato se non viene messo in pratica.

 

Giudizio

La prima preziosa indicazione riguarda il giudizio. E' bene notare subito che questo non giudicate non va fatto equivalere a non discernete. Il giudizio non è il discernimento. Il discernimento fra il bene e il male resta uno dei precetti e dei doni fondamentali che il Signore ci ha fatto. Discernimento del bene e del male in se stessi e anche del bene e del male intorno a noi, rappresentato da una parola che sentiamo, da un gesto che vediamo... Non giudicare una persona non significa quindi non discernere il valore morale di un'azione o di un comportamento in se stesso: il Signore distingue le due cose, e anzi vuole che noi sempre più siamo in grado di discernere.

 

Si noti ad esempio il versetto 6 che segue: ci ammonisce a non dare ciò che è santo ai cani; quindi, in qualche modo, rendendosi conto di chi è degno e chi no. Ma questo non è giudicare: questo è discernere il bene dal male, valutare l'oggettività in se del fatto, dell'evento, della parola. Non è un giudizio esercitato sul fratello, sul mistero della sua anima, che non è dato in nostro possesso.

Qual è il motivo fondamentale per cui non possiamo giudicare ? Considerando tutto il contesto biblico in cui si pone questo precetto, comprendiamo che Dio riserva a se gelosamente questo compito. Rivelerà adeguatamente il suo giudizio nell'ultimo giorno, ma continuamente lo esercita e lo attua nella storia del mondo: «Dio è il giudice» (Cf Sal 49, 6). È un compito di Dio, facente parte della sua signoria e dei suoi attributi, che l'uomo non può pretendere in alcun modo di usurpare. Dio solo sa, Dio solo conosce, Dio solo ha il potere, e dunque Dio riserva per se solo l'esercizio di questa potestà: «A me il giudizio» (Cf Rm 12, 19), dice il Signore.

Il motivo presentato in questo testo è però un altro, ed è detto esplicitamente: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» .Chi giudica quindi si pone in una situazione estremamente pericolosa perché, con il fatto stesso di giudicare, si espone al giudizio di Dio. «Sei inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi» (Rm 2, l), perché giudicando che non si deve rubare tu spogli i templi... Per questo merita di essere giudicato sulle sue stesse parole e sul suo stesso giudizio, e si dimostra inescusabile per la chiarezza interiore che ha (o che pretende di avere, come vedremo subito), chiarezza tale da poter sottoporre al proprio giudizio il prossimo.

 

Giudicare, quindi, è in qualche modo empio ed è pericolosissimo. Ma è anche ipocrita, dice il Signore al versetto 5. Ipocrita perché è pretendere di avere una chiarezza di visione che noi, in realtà non abbiamo mai, ed è pure un'evasione comoda rispetto al compito che urgentemente ci spetta. È la pretesa di vedere nell'altro mentre noi, per definizione, non vediamo: non siamo capaci di vedere nell'altro a motivo del nostro peccato, della nostra colpa. Ed è un'evasione dal compito che ci spetta: nella misura in cui siamo in grado di discernere il bene e il male, dobbiamo applicare primariamente questo discernimento a noi stessi, convertendoci a Dio ed eliminando il male dall'anima.

 

Quando il Signore dice: " Togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello", chiaramente parla in modo ironico. Innanzi tutto perché suppone che nell'occhio del fratello ci sia solo una pagliuzza e che quindi il suo peccato non debba costituire per te, comunque, motivo di grave angustia. Tu nei confronti del fratello devi sempre sentirti come quello che ha la trave, mentre il tuo fratello ha la pagliuzza. Attenzione quindi: qui il Signore non dice: "Prima convertiti, poi giudica" .Anzi, il fatto stesso che tu pretenda di giudicare mostra che nel tuo occhio c'è una trave e che la tua posizione è di tale non-verità che proprio per questo la facoltà del giudizio ti è sottratta. La trave c'è se non altro perché pretendi di giudicare: togli la trave allora, smetti di giudicare.

 

Le cose sante

 

Il secondo brano, molto breve, è costituito dal solo versetto 6: "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci .È un chiaro parallelismo: non date/non gettate; le cose sante/le perle; i canili porci.

 

Si parla di una realtà santa di cui non si specifica il contenuto, ma che è certamente la realtà dei misteri cristiani. Questa realtà può essere comunicata soltanto a quanti sono entrati nella fede cristiana, a quanti cioè, rigenerati nella grazia, sono stati iniziati al cristianesimo e non appartengono più alla prima creazione, a quanti non sono più infedeli e non fanno più parte dei cani e dei porci.

 

Può sembrare offensivo, ma è un linguaggio comune dell'epoca e Gesù certamente non lo usa per offendere qualcuno, lui che è morto per tutti! Gesù parla così, per esempio, nell'incontro con la donna cananea: "Non è lecito prendere il pane ai figli e darlo ai cagnolini}} (M t 15,26; M c 7,27). Jeremias, un famoso studioso del Nuovo Testamento, in un testo molto interessante - Gesù e i pagani - commenta questo brano affermando che qui non vi è nulla di scandaloso: Gesù non parla con odio e usa semplicemente la qualifica corrente di quanti ancora non sono purificati e non appartengono al gregge del popolo nuovo. La cosa quindi è da tenersi così, come la testimonianza evangelica della disciplina per cui i misteri cristiani vanno comunicati soltanto a chi è rigenerato dalla grazia, perché soltanto costui può veramente recepirli. Come un cane non può capire il valore dell'oro o di una perla, così chi non è rigenerato dalla grazia non capisce il valore, non coglie, non vede, non sente, insomma non riceve l'eucaristia, il mistero cristiano per eccellenza.

 

Dobbiamo convincerci che, come dice san Francesco, chi riceve in noi l'eucaristia è lo stesso Spirito Santo: dunque non è la nostra umanità, ma è la nostra realtà totalmente rigenerata dalla grazia. Ciò che è santo può essere dato soltanto ai santi, come grida ancora la liturgia cristiana.

 

Come l'eucaristia c0sì la Parola. La parola di Dio va rivolta assolutamente a tutti come invito a entrare nel Regno, ma non può essere consegnata a chiunque nella presunzione che tutti, di per se, spontaneamente, la comprendano e la apprendano. Certo il Signore non dice di non annunciare il Regno a qualcuno, ma ritiene che il mistero più grande del Regno possa essere compreso soltanto da coloro che ne hanno accettato il primo invito e che quindi possono, per la disposizione di apertura del cuore a Dio, intenderne anche i valori supremi.

 

Per questo, mentre siamo invitati a proclamare il Regno a tutti e a invitare tutti a entrarvi, non siamo egualmente autorizzati a ritenere che ognuno possa comprendere la parola di Dio in tutta la sua ricchezza. Quindi non siamo neppure autorizzati a manifestare il contenuto e il valore più profondo della volontà di Dio se non a coloro che abbiano iniziato a percorrere un cammino spirituale, nella misura in cui mostrano di percorrerlo effettivamente. Man mano che uno cresce, gli si comunica di più; man mano che uno cresce, la Parola gli diventa più disponibile.

 

L'eucaristia non può essere data a chi non è battezzato; la stessa rivelazione più intima del Regno non può essere comunicata a coloro che non ne hanno accettato, almeno minimamente, le premesse. È stata questa la prassi costante della Chiesa primitiva. Sant'Agostino, per esempio, non parla dell'eucaristia se non in modo estremamente figurato e cauto a quelli che sono ancora catecumeni.

 

Non è detto che questa prassi debba trasmettersi a tutte le generazione nella stessa maniera. Tuttavia è un'indicazione da tenere presente, almeno per liberarci dalla presunzione che la parola di Dio si possa comunicare prescindendo dall'aiuto concreto della comunità dei credenti e senza tenere conto del progresso dell'anima nel percorrere un cammino spirituale.

 

Mt 7,7-12                                                                                        Martedì 22 maggio 2001

 

7 Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; 8 perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 9 Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? 10 O se gli chiede un pesce, darà una serpe? 11 Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!

12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.

 

Se ieri ci veniva spiegata la pericolosità di certe nostre azioni (giudizio sul fratello, "Non date le cose sante ai cani "), oggi invece ci viene dato l'orizzonte positivo in cui muoverci con libertà e pace: la preghiera. Il chiedere (x5 volte oggi) è proprio dei figli, di chi sa che il Padre sicuramente dirà di sì e "darà cose buone a coloro che gliele domandano". Gesù quindi ci apre la via bellissima dell'essere "figli", vivi, che chiedono, bussano, ricercano il loro Signore, per i quali la preghiera è sempre esaudita.

 

"voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli... " è molto bello che il Signore ci ricordi la nostra condizione di "cattivi"; questa però non è tale da bloccare, impedire azioni buone! "Sappiamo dare" è il dono della carità che abbiamo ricevuto da Lui, ed è la nostra arma contro la nostra cattiveria. La potenza di bene verso il fratello, che spesso sorprende anche noi, è la prova che il Padre risponderà alle nostre richieste.

 

Il v. 12 comincia con un "dunque" (che in italiano non compare) è comprensivo di quanto detto finora sui rapporti fraterni, anzi di più "questa è la Legge ed i Profeti". Ancora una volta il Signore "ribalta" il nostro modo di pensare e di agire: "quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro". Gesù lo dice in modo positivo (non come per es. "non fare a nessuno ciò che non piace a te" Cf Tb 4,15), proprio perché la Carità è sempre positiva, propositiva, senza interessi...

 

Mt 7,13-14                                                                                    Mercoledì 23 maggio 2001

 

13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!

 

Questi versetti suscitano in noi un timore che solo il timor di Dio e l'affidamento incessante alla sua misericordia possono alleviare e consolare.

Confrontando il nostro brano con il parallelo di Lc.13,23-24 notiamo che per Luca l'accento è posto sul problema della forza: l'invito è a sforzarsi di entrare e l'avvertimento è che molti non avranno la forza per entrare. Matteo invece ne fa  un problema di "scoperta": si tratta di "trovare" la porta e la via che introducono nella vita. Possiamo allora ricordare che abbiamo appena ascoltato in

Mt.7,7-8 l'indicazione a cercare, con la fiduciosa speranza che troveremo. Così emerge chiaro che è molto importante ogni giorno "cercare": è quello che il Buon Dio ci chiede e ci regala ogni giorno.

Cercare che cosa? Io penso che dobbiamo ogni giorno cercare Lui: in Gv.10,7-9 è Lui a dirci che è la porta: entrare e uscire per Lui è la via per trovare gli spazi ampi e nuovi della salvezza, quelli che il nostro testo chiama "la vita" e che in Mt.7,21 si chiameranno "regno dei cieli": qui ci dirà che per entrare in tale regno ciò che conta è fare la volontà del Padre.

Quest'ultima indicazione ci porta nuovamente a Gesù e alla sua obbedienza totale al Padre: tale sottomissione fino alla croce è il mistero stesso del farsi piccolo del Figlio di Dio fino alla sua Pasqua. Sicché forse la porta è stretta perché è la piccolezza stessa di Gesù. Per trovarlo e per seguirlo verso il Padre lo cercheremo dunque nella "piccolezza" che Lui ha percorso come via vera verso il regno.

Conclusivamente: abbiamo pensato che la porta stretta sia dunque Gesù stesso e la sua Pasqua. Si tratta di una porta stretta rispetto alle vie più istintive del nostro orgoglio. Quanto ai "pochi" che la trovano, quand'anche fossero miliardi, come io penso, ognuno avvertirà tale "scoperta" come il privilegio e la meraviglia che Dio ha fatto per lui: aristocrazia, dunque, roba per "pochi".

 

Mt 7,15-20                                                                                      Giovedì 24 maggio 2001

 

15 Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19 Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20 Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.

 

Il testo di Matteo inserito nella Festa di oggi alla Madre di Gesù la riempie di bellezza: veniamo a sapere qual è il frutto buono che l'albero buono produce: è Gesù! E l'albero è l'Israele fedele che ha custodito e osservato i comandi e le parole del Signore. Maria naturalmente è la vergine di Sion pronta per generare il Messia!

 

Occorre guardarsi dai falsi profeti che vengono in "abiti" di pecora: esteriormente traggono in inganno! Ricordiamo l'inizio del cap. 6 quando Gesù ammoniva di praticare le opere di giustizia (elemosina, preghiera e digiuno) non per "apparire" ed essere lodati dagli uomini ma nel segreto del Padre. Come si fa a capire che sono ingannevoli, lupi rapaci? Non da vestito che portano ma dai frutti. I frutti sono il loro comportamento e le loro parole, che "chiaramente" è cattivo, non conforme a quello che Gesù ci ha detto finora, propenso alla via larga e spaziosa.... San Giovanni nella sua prima lettera (4,1ss) mette in guardia dai falsi profeti, da quelli cioè che non riconoscono Gesù come il Cristo venuto nella carne.

 

Con Maria allora magnifichiamo il Signore che è venuto tra noi e ci ha salvato, regalandoci la vita.

 

Mt 7, 21-29                                                                                     Venerdì 25 maggio 2001

 

21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.

24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».

28 Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: 29 egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.

 

v. 21-23 "fare la volontà del Padre" è opposta al "fare l'iniquità". Non dipende tanto dal cosa si fa (Gesù non considera lo scacciare i demoni o i miracoli...) ma dal come lo si fa. Occorre "fare la volontà del Padre". Questo, secondo i v.24 - 26, lo si può tradurre in "ascoltare le parole di Gesù e farle". Tutta la nostra concentrazione va posta nell'ascolto amoroso della sua Parola e nell'operare le Parole stesse, specialmente nella celebrazione della Messa. E' così che il nostro rapporto con il Signore diventa vero e profondo, non fatto di semplici parole "Signore, Signore", ma di comunione quotidiana e viva.

 

Fa molta impressione quella frase di Gesù "io non vi conosco!". In Mt 25 nella profezia del giudizio finale si dice

 

ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

 

Anche i discepoli sono stupiti di quello che dice il Signore. Par loro di non conoscerlo! Invece la "conoscenza" del Signore l'abbiamo proprio nell'esercizio umile e semplice della carità fraterna, senza la quale "siamo nulla".

 

Mt 8,1-4                                                                                            Sabato 26 maggio 2001

 

1 Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. 2 Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi». 3 E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii sanato». E subito la sua lebbra scomparve. 4 Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma và a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro».

 

Inizia una nuova sezione del angelo secondo Matteo, dopo il discorso fatto sulle montagna (cap. 5-7). Molte folle lo seguono. All'inizio del cap. 5 Mt diceva che per "l'insegnamento" si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Quindi i discepoli sono diventate molte folle e Gesù è il segno della Gerusalemme che "scende" dal cielo, la dimora di Dio con gli uomini (Ap).

 

Le folle sono la nuova comunità dei credenti e l'uomo lebbroso si associa a questa comunità. Cosa fa il lebbroso? Si prostra (riconoscimento del Messia che può guarirlo se vuole; quello che vuole, Gesù lo fa).

 

Il termine della "purificazione" applicato alla malattia della lebbra dice l'implicazione cultuale della lebbra e di altre malattie e situazioni, che rendevano indegne le persone di avvicinarsi al tempio, ai sacrifici oltre che alle altre persone, che avrebbero a loro volta contratto impurità con il contatto di una persona "impura". Acquista così enorme importanza il gesto di Gesù che "tocca" il lebbroso (il gesto dello stendere la mano richiama anche il braccio potente che Dio "snuda"  e stende per operare le sue meraviglie).

 

il lebbroso dice a Gesù: se vuoi puoi purificare me. La fine del v. 3 direbbe che è la sua lebbra a essere purificata. Sicuramente vuol dire che la persona lebbrosa è guarita dal suo male; forse vuol dire qualcosa di più. Forse dice che il male è "purificato", ha perso la sua carica di rendere indegni di servire il Signore; si può convivere con il proprio male, abitare con i fratelli servendo Dio e facendosi servire da Lui, che quotidianamente ci risana.

 

Mt 8,5-13                                                                                         Lunedì 28 maggio 2001

 

5 Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: 6 «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». 7 Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». 8 Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9 Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fà questo, ed egli lo fa».

10 All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. 11 Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, 12 mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti». 13 E Gesù disse al centurione: «Và, e sia fatto secondo la tua fede». In quell'istante il servo guarì.

 

Cafarnao è il luogo dei primi incontri di salvezza, e in tal modo delinea l'orizzonte dell'opera del Signore. E' dunque molto importante la persona che oggi gli va incontro: uno straniero, un soldato. Serve per dirci che, al di là di tutti i nostri moralismi, nessuno è escluso dalla salvezza. Anzi, si sta operando un capovolgimento, tale per cui sembrano talvolta arrivare all'incontro con il Signore più facilmente coloro che appaiono per molte ragioni i più lontani.

 

Al ver.7 il Signore ribadisce la sua fortissima volontà di salvare, come già avevamo visto al ver.3.

 

A questo punto si apre un discorso di grande rilievo sulla Parola. E' proprio questo pagano straniero a glorificare la parola come luogo e potenza della persona stessa del Figlio di Dio. Il paragone fatto con i subalterni e i servi dice bene che la parola non è in se stessa, come formula, dotata di potenza, non è una formula magica: la sua potenza è dovuta alla sua origine: è la Parola di Gesù, è la parola che ha in Lui il suo reale soggetto e il suo oggetto.

 

Mi sembra che ci sia un legame tra la meraviglia di questa parola, di questa via agile e potente che Dio ha scelto per comunicarsi a tutti, e il carattere universale della salvezza che nella sua ammirazione per la fede del centurione Gesù mette così fortemente in evidenza. E' molto interessante anche il fatto che davanti a tale parola  tutti siamo messi di fronte ad un'incessante chiamata di Dio che sempre si rinnova e davanti alla quale non possiamo vantare o conseguire vantaggi di scienza e di esperienza: davanti alla Parola siamo sempre tutti novizi; e quindi può darsi che i novizi dell' "ultima ora" siano più pronti ad accogliere e a seguire Colui che nella Parola si manifesta .

 

Mt 8,14-17                                                                                      Martedì 29 maggio 2001

 

14 Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. 15 Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.

16 Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, 17 perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

Egli ha preso le nostre infermità

e si è addossato le nostre malattie.

 

L'incontro tra Gesù e questa donna è una grande vicenda nuziale, di portata generale. Lei è malata, a letto, impossibilitata a far tutto e lui la vede! Nei paralleli si sottolinea l'intercessione che i vicini fanno presso Gesù affinché la guarisca. Qui invece fa tutto lui. Con ritmo incalzante la tocca "e" la febbre la lascia "e" si alza (sorge) "e" si mette a servirlo (verbo della diaconia) (nei paralleli "li" serve al plurale non solo Gesù). E' proprio un percorso, un "marcia" trionfale dalla malattia, dalla morte alla vita. Il termine ultimo, la pienezza di vita è il "servire" Gesù! Per noi questo si attua nella celebrazione della messa quando veniamo visitati da Gesù, che si fa presente in mezzo a noi, ci guarisce dalle nostre infermità, ci nutre con il suo corpo e il suo sangue, e noi come diaconi partecipiamo a questo banchetto.

 

La citazione di Isaia è molto importante perché completa il quadro: la nostra malattia, la febbre non "scompare" con un puff! magicamente... E' lui che la prende su di se, la assume, se la carica sulle spalle, toccando la mano ne rimane contagiato... La partecipazione del Signore è veramente piena, fino alla morte! La carità che lui ci insegna infatti consiste nel dare la vita per la sposa!

 

Mt 8,18-22                                                                                    Mercoledì 30 maggio 2001

 

18 Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. 19 Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai». 20 Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».

21 E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». 22 Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».

 

v. 18 Gesù ordina di "passare dall'altra parte", di "andare di là" (it. all'altra riva). Con questo ordine preciso (il verbo ordinare è usato poco in Matteo ed è sempre un ordine preciso e perentorio, per es. quando di far sdraiare le folle per terra prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci) esprime il passaggio che Gesù vuole far compiere ai suoi discepoli dalla morte alla vita, dall'esclusione (lebbroso), dalla malattia (servo del centurione), dalla umiliazione (donna-suocera) alla pienezza della vita, della comunione! Occorre "andare al di là"! Vedi per esempio la lettera agli ebrei fine cap. 2 e inizio cap. 3 che parla di Gesù come "conduttore di molti figli alla gloria" attraverso al Pasqua.

 

Il tema quindi è quello della sequela del Signore in questo passaggio dalla morte alla vita. Il verbo seguire c'è al v.19, 22 e 23 (testo di domani "Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono"). I due esempi che vengono proposti sono molto significativi: lo scriba mostra tutta  la sua presunzione, afferma di poter seguire Gesù ovunque egli vada! Come Pt che durante la notte della passione dice che lo seguirà anche in carcere e alla morte! Questo non è possibile. La condizione per seguire Gesù è la povertà (non ha dove posare il capo) l'abbandono di ogni sicurezza, famigliare e sociale per Lui. Anche l'altro discepolo vuole restare legato alla vecchia economia. Quelli che seguono Gesù vivono tutti gli altri sono "morti" e seppelliscono i loro morti! (2Tim "quella vedova che si da ai piaceri anche se vive è già morta").

 

Siamo dunque chiamati a seguire Gesù nella nuova via (stretta e angusta) che conduce alla vita!

 

Mt 8,23-27                                                                                        Venerdì 1 giugno 2001

23 Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24 Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. 25 Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». 26 Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. 27 I presenti furono presi da stupore e dicevano: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?».

 

1) Il passo è legato ai vv. precedenti e mostra che il proprio dei discepoli di Gesù sta nel seguirlo mentre se ne va in barca: è un'immagine bellissima della Chiesa, popolo in cammino nella storia dell'umanità al seguito del Risorto che sta portando tutti gli uomini di tutti i tempi "all'altra riva" (v 18), cioè al porto sospirato della Risurrezione, ai Cieli nuovi e alla Terra nuova. Tale comunità in movimento è ben rappresentata anche nella prima lettura, dove Pietro visita tutti i fratelli e si sposta di città in città, da Lidda a Giaffa, per annunciare il Vangelo (Cf At 9, 32-43).

 

2) La tempesta del v 24 è propriamente un maremoto, cioè un terremoto del mare. Il terremoto nel Vangelo di Matteo si ripete quando Gesù muore sulla croce (27, 51ss) e quando risorge (28, 2). Questa tempesta non è dunque solo un qualsiasi possibile incidente di navigazione, ma è simbolo della precarietà della vita (siamo mortali!) e della vocazione alla risurrezione (se moriamo con Cristo, con lui anche risorgeremo!).

 

3) Il sonno di Gesù al v 24 può sembrare strano: come faceva a dormire col chiasso del mare in tempesta e con l'acqua delle onde che ricoprivano la barca? Esso indica il riposo del giusto che confida in Dio e non teme gli possa succedere niente di male. Inoltre richiama il sonno di Adamo quando Dio deve creare la donna, e il sonno della morte di Cristo in croce, preludio della sua vittoria sul peccato e sulla morte con la risurrezione.

 

4) Al v 25 i discepoli svegliano Gesù. Questo svegliare è lo stesso verbo tradotto al v 26 levatosi ed è usato nel NT per parlare della risurrezione. I discepoli fanno alzare Gesù, lo destano, lo richiamano dalla morte alla vita. E' un segno profetico della pasqua di Cristo. Ogni anno la Chiesa annunzia la vittoria pasquale di Cristo sulla morte, ogni giorno nell'eucaristia annunziamo la morte del Signore finché egli venga!

 

5) La preghiera dei discepoli del v 25 (Signore salva siamo perduti) si estende a tutti gli uomini di tutti i tempi. La Chiesa intercede per tutti i suoi figli, soprattutto per quelli che sono affaticate e oppressi, tentati di cedere alla sofferenza, alla rassegnazione e allo sconforto del cuore.

 

6) La risposta di Gesù al v 26 indica che il vero problema dei suoi discepoli non è quello esterno della tempesta, ma quello interiore della loro mancanza di fede, e specialmente della loro conseguente paura. Tale paura o timidezza è collegata alla fede nel senso che indica la mancanza di fede, la fatica a continuare a credere nel momento della prova. E' una paura che può addirittura dominarci e avere il sopravvento, ma il Signore è più forte di noi e la vince.

 

7) L'obbedienza dei venti e del mare alla parola di Gesù (v 27) indica agli stessi discepoli qual è la direzione vera della loro vita: crescere nell'ascolto fedele, nell'obbedienza senza riserve alla parola del Maestro che li precede e li guida all'altra riva.

 

Mt 8,28-34                                                                                          Sabato 2 giugno 2001

 

28 Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. 29 Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?».

30 A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare; 31 e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». 32 Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti. 33 I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. 34 Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.

 

Anche il testo di oggi ci mostra il Signore in grande movimento, coinvolgente tutti quelli che sono intorno a lui. Ricordiamo l'ordine che aveva dato nei giorni scorsi: "passate all'altra riva!". Oggi scopriamo perché: è una terra legata, bloccata nelle catene del diavolo e Gesù, nonostante sia fuori dal territorio del suo popolo, vuole visitarlo e liberarlo.

 

I due indemoniati gli vanno incontro, sono soli nessuno li accompagna o li presenta a Gesù come negli altri racconti nel NT. Proprio per questo sono molto forti, vivi. Sono così furiosi che bloccano la strada! La loro condizione cioè non ha conseguenze solo personali ma anche sociali...

Hanno un forte legame con la morte: vengono dai sepolcri, una volta entrati nei porci ne provocano l'autodistruzione, la morte (ricorda la morte degli egiziani nel Mar Rosso). Riconoscono Gesù come il Figlio di Dio, come quando Satana in Mt 4 cominciando le prove dice "Se tu sei Figlio di Dio...".

 

Dicono a Gesù di essere venuto troppo presto, "prima del tempo".  Cosa intendono? Forse il tempo del giudizio finale (cfr. note della Bibbia) oppure il tempo della Pasqua, tempo in cui la battaglia tra Gesù e Satana raggiunge il suo apice. Quando Gesù muore - secondo Mt - avviene un grande terremoto (come la tempesta di ieri), e molti corpi risorgo uscendo dai sepolcri.

I mandriani vanno ad "annunciare" i fatti e TUTTA la città compatta e decisa va da Gesù per chiedergli di andarsene (effettivamente la strada è stata aperta ma il danno economico - i porci - è enorme!).Si tratta di un annuncio negativo che non porta alla conoscenza di Gesù ma al suo distacco! Ricorda l'annuncio, sempre in Mt, fatto dalle guardie del sepolcro di Gesù che dicono che il corpo è stato rubato...

 

Il testo di oggi degli atti degli apostoli (10,1-23) è l'opposto di quello di Mt. E' l'episodio di Pt e Cornelio: messaggeri positivi, accoglienze fraterne, rapporti buoni, preghiera comune...

 

Mt 9,1-8                                                                                             Lunedì 4 giugno 2001

 

1 Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città. 2 Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». 3 Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: «Costui bestemmia». 4 Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? 5 Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? 6 Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua». 7 Ed egli si alzò e andò a casa sua. 8 A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

 

Seguiamo ancora Gesù nelle sue traversate. Oggi arriva nella sua città, Cafarnao. Secondo Mc e Lc si trova proprio in casa e la folla e moltissima tanto che i "portantini" non riescono a passare e devono calarlo dal tetto. E' molto importante il fatto che questo malato non sia solo, ma accompagnato (ricordate i due indemoniati di sabato, isolati completamente?). Il gruppetto viene notato da Gesù per la sua fede! La fede di tutti paralitico e portantini insieme.

 

I grande miracolo che il Signore fa è quello di rimettere i peccati del paralitico. Gli scribi subito pensano "cose cattive", pensano che bestemmi, che "non possa", perché solo Dio ha il POTERE di rimettere i peccati. Siamo ancora nella grazie della festa della Pentecoste dove Gesù donando lo Spirito Santo comunica agli apostoli il potere di rimettere i peccati! E' un potere straordinario. Infatti la conclusione del nostro testo (che non è presente negli altri sinottici) è molto chiara: "la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini".

 

Ciò che veramente affligge il nostro cuor malato sono i peccati dai quali non riusciamo a liberarci. Oggi però veniamo a sapere che con l'aiuto dei fratelli, della loro fede, e dello Spirito Santo Consolatore c'è la possibilità della completa guarigione. Possiamo tornare a casa in pace!

 

Mt 9,9-13                                                                                           Martedì 5 giugno 2001

 

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

 

v. 9 "Passando oltre (it. "Andando via di là") Gesù vide un uomo". Il Signore non si ferma nella sua città dove la gente cantava le lodi di Dio per il potere dato agli uomini di rimettere i peccati. Come dal Tabor bisogna discendere così anche dalla casa di Cafarnao bisogna partire: c'è un peccatore da chiamare, una cena importante da consumare! La vita cristiana è sempre un andar oltre positivo, buono, vivace, pieno di meraviglie!

 

La chiamata di Mt è inserita nella narrazione evangelica nel contesto dei miracoli di Gesù. Come mai? Proprio perché anche la chiamata è un fatto straordinario, inaspettato e insperato vista la nostra miseria e il nostro peccato. Eppure Lui improvvisamente ci dica "Seguimi" e noi lo seguiamo! E' scritto che Mt era seduto al banco e deve alzarsi per seguire Gesù (una sorta di piccola resurrezione - guarigione) come si è alzato il paralitico per tornare a casa sua. Allo stesso modo anche i miracoli sono una vera "chiamata", poiché Gesù quando guarisce, in modo molto forte "attira" a se, conquista, seduce...

 

La chiamata di Matteo ci fa capire anche la identità del "chiamato": è un peccatore! Quelli che seguono Gesù non sono più virtuosi, bravi, forti, capaci ma quelli che hanno più bisogno di aiuto, che hanno bisogno del medico. Ma allora nessuno rimane escluso, poiché tutti siamo peccatori! Nessuno è inadatto a seguire il Signore. Mostrando la vera identità del chiamato Gesù fa capire anche il motivo per cui è venuto: per convocare i peccatori alla mensa, al banchetto di festa per la loro salvezza.

 

Riconoscendoci tutti peccatori e bisognosi di Lui, non possiamo che ricercare con tutte le forze la Misericordia più sincera e affettuosa per i nostri fratelli. Il nostro rapporto con Dio (= essere da lui chiamati e perdonati), non passa più attraverso solitari e vuoti sacrifici.

 

E' molto bello il testo degli atti di oggi dove Pt per sottolineare il suo ruolo di vero testimone di Gesù davanti a Cornelio e ai suoi amici ricorda che è uno di quelli che ha "mangiato e bevuto" con lui dopo la resurrezione, ad un banchetto come quello organizzato alla casa di Levi per tutti i peccatori e pubblicani. E' un gran regalo anche per noi poter ogni giorno nella messa essere invitati e partecipare alla cena di Gesù, per essere chiamati e salvati!

 

Mt 9,14-17                                                                                      Mercoledì 6 giugno 2001

 

14 Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». 15 E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

16 Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. 17 Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano».

 

Il "banchetto dei peccatori" che ieri ci rallegrava diventa oggi addirittura una festa nuziale. Di tale festa abbiamo quindi due note ineludibili: gli invitati - e la sposa, quindi - sono i peccatori; ma qui bisogna notare che nel brano di oggi si parla proprio di discepoli, che dunque sono peccatori accolti nella misericordia di Dio che è il Figlio: L'energia e il vincolo di queste nozze è la misericordia. La nostra festa è la misericordia del Signore che ci attrae e ci lega a sé in un vincolo nuziale che fa nuova tutta la nostra vita.

 

Essendo festa non si può digiunare: Digiunano i farisei che lo fanno per cercare la loro giustizia: Lo fanno i discepoli di Giovanni che vivono ancora nel tempo dell'attesa profetica: Ma i discepoli di Gesù non possono far altro che celebrare la gioia di questa presenza del Signore - Sposo: Quando sarà "tolto", allora faranno lutto e digiuneranno: Ma sarà cosa nuova, perché non aspetteranno, come i discepoli di Giovanni, Uno che ancora deve venire, ma piangeranno il "rapimento" di Colui che li ama e che loro conoscono e amano: Sarà un "toglimento" liturgico quando ne celebreranno la morte, e sarà un "toglimento" penitenziale quando vorranno ricordare con il digiuno che il Male e i loro peccati hanno tolto Gesù dalla loro vita o meglio hanno tolto la loro vita da Gesù.

 

Dunque tutto è nuovo: non si possono rattoppare realtà vecchie con realtà nuove. Qui il Vangelo ci ricorda che questa corrispondenza di novità è, nella battuta conclusiva del nostro brano, diventa la loro reciproca conservazione. Non si deve pensare a una conserva anche se priva di scadenza, ma a un "osservare", a una reciproca dedicazione, a una condizione di entrambi i termini, necessaria. Alla assoluta novità del Cristo deve corrispondere l'incessante rinnovarsi nostro in Lui della nostra vita, Già fatta nuova col dono del Battesimo.

 

Mt 9,18-34                                                                                        Giovedì 7 giugno 2001

 

18 Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà». 19 Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli.

20 Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. 21 Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 22 Gesù, voltatosi, la vide e disse: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita». E in quell'istante la donna guarì.

23 Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: 24 «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme». Quelli si misero a deriderlo. 25 Ma dopo che fu cacciata via la gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. 26 E se ne sparse la fama in tutta quella regione.

27 Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi». 28 Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». 29 Allora toccò loro gli occhi e disse: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede». 30 E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». 31 Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.

32 Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato. 33 Scacciato il demonio, quel muto cominciò a parlare e la folla presa da stupore diceva: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». 34 Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».

 

Il nostro brano di oggi, particolarmente lungo, ci fa incontrare con diversi miracoli di Gesù, diversi perché molti, e diversi perché rivolti a diverse vicende della povertà della vita umana. Mi pare che il senso globale di queste memorie evangeliche, che vengono dopo l'annuncio di Gesù sulle nozze tra Lui e i suoi discepoli, (infatti il nostro brano inizia con "mentre diceva queste cose..." ), sia quello di mostrarci la "convocazione" della nuova comunità messianica attraverso l'opera salvifica del Signore.

 

Rispetto ai testi paralleli di Mc. e di Lc. il testo appare più sobrio e conciso; e tende a mettere in evidenza soprattutto l'incontro tra la nostra povertà e la salvezza del Signore. Appare molto forte la sollecitazione che Gesù riceve da tale povertà, sia dal padre della bambina, sia dalla iniziativa dell'emorroissa, sia dai ciechi che lo seguono urlando, sia da chi gli porta l'indemoniato. In particolare notiamo la bellezza dell'uso del verbo "seguire", che è tipico dei discepoli. Qui è usato per i due ciechi, che lo seguono pur non essendo stati ancora sanati; ed è usato per lo stesso Signore che aderisce alla richiesta del capo e "lo seguiva con i suoi discepoli"(ver.19).

 

Quando al ver.22 si dice :"la tua fede ti ha guarita", il testo direbbe propriamente "ti ha salvata": questo ci consente qualche pensiero interessante sulla parola "salute", che noi siamo abituati a attribuire alla situazione di ogni persona, mentre essendo legata al termine "salvezza" esprime soprattutto l'incontro tra la malattia dell'uomo, la sua debolezza mortale, la sua fragilità, la sua sconfitta di fronte al Male, e l'opera di salvezza del Figlio di Dio. In questo senso tutti i miracoli del nostro brano sono accomunati dalla comune miseria dell'esistenza e dalla bontà dell'opera di salvezza. Così dunque si delinea la fisionomia della povera e meravigliosa famiglia dei figli di Dio.

 

Mt 9,35-10,4                                                                                     Venerdì 8 giugno 2001

35 Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. 36 Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! 38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».

 

1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità.

2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 4 Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì.

 

Il v.35 è una descrizione  concisa dell'opera di Gesù. Con le stesse parole si apriva nel cap. 4,23 questa parte del Vangelo di Matteo. E' come se l'operare di Gesù fosse concentrato in queste tre azioni: INSEGNARE, ANNUNCIARE, CURARE; tre azioni per un unica opera! L'insegnamento riguarda la sinagoghe,  luoghi di preghiera e di comunione classici del popolo di Israele, l'annuncio riguarda il Regno Nuovo che Gesù è venuto a portare, la guarigione invece la salvezza per tutti gli uomini, profezia della resurrezione dai morti. Giovanni Battista precursore del Signore fece solo la seconda, annunciò il Regno ma non predicò nelle Sinagoghe né curo i malati!

 

In questa opera, che finora aveva fatto da solo, Gesù coinvolge anche i suoi discepoli più vicini: i dodici! Essi si impegneranno nella terza azione: la guarigione degli infermi.

 

La decisione di questo coinvolgimento viene presa da Gesù quando vede le folle stanche e sfinite, "COME PECORE SENZA PASTORE". La stessa espressione si trova per la prima volta in Nm 27,17 quando si pone il problema della successione di Mosè, ormai in procinto di morire. Ma nell'antico popolo era ben chiaro che sarebbe mancato il "capo" politico, il "condottiero" del popolo, mentre al capo religioso, Eleazaro resterà la preminenza, l'autorità "divina" tanto che il successore di Mosè, Giosuè dovrà presentarsi a lui per avere l'avvallo, la benedizione, il benestare...

 

Ovviamente Gesù chiamandosi pastore del gregge compendia in sé queste due "autorità": è lui l'unico vero "capo", la guida, il fondatore, del popolo nuovo. L'autorità e la forza consiste nella sua partecipazione alla sofferenza delle pecore. L'espressione "ne sentì compassione" è molto forte, letteralmente si direbbe "provò viscere di misericordia per loro". Il pastore buono non è un mercenario ma uno che da la vita per le sue pecore!

 

E' molto bello pensare che le folle sono stanche e sfinite proprio perché non hanno il pastore. Ora finalmente è arrivato, l'attesa è finita. Ogni altra sofferenza o malattia è comunque niente in confronto alla solitudine, alla dispersione di chi non ha il pastore.

 

Mt 10,5-10                                                                                          Sabato 9 giugno 2001

 

5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:

«Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. 7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, 10 né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento.

 

Circa il problema dell'annuncio evangelico rivolto solo "alle pecore perdute d'Israele", è stato detto che forse si può intendere tale affermazione come il rifiuto non dell'annuncio ai pagani ma, come dice il testo alla lettera, il comando di "non andare nella via dei pagani" cioè di non accettare le modalità "pagane" per portare il vangelo, ma quelle che di seguito il Signore indicherà. Altra spiegazione emersa è che il Vangelo esige, per essere accolto, una certa forte appartenenza alle "pecore perdute d'Israele" per quanto concerne quella collocazione profonda del cuore che è il bisogno di essere salvati, come tutta la legge e la profezia hanno seminato nel cuore dell'Israele più fedele, quello appunto consapevole che senza il Salvatore, ogni pecora è perduta.

 

Sorprende, in tutto il cap.10, il fatto che per inviare gli Apostoli Gesù non si preoccupa di dire molte cose sui contenuti dell'annuncio - tutto si raccoglie nel ver.7, cioè nella proclamazione che il Regno dei cieli si è fatto vicino - , anzi, al ver.19 dirà che di quel che bisogna dire non ci si deve preoccupare. Piuttosto sembra che Gesù ritenga molto importanti le modalità di tale annuncio, anzi le persone e le vicende di questi annunciatori: il che fa pensare che Gesù considera l'annuncio non una dottrina né un insegnamento morale, quanto piuttosto un'esperienza; anzi forse addirittura una "ripresentazione", una "celebrazione" della persona stessa del Signore. Così l'insegnamento dato nel nostro testo e in tutto questo capitolo tenderebbe a promuovere nell'annunciatore la presenza - potenza di Gesù stesso.

 

L'affermazione propria di Matteo "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date"(ver.8), ci dà l'immagine di una totale mitezza e umiltà nell'apostolo che sa che tutto quello che dice e fa non è suo né da lui, ma solo dal Signore.

 

L'annunciatore è un "piccolo": anche per parlare del suo "nutrimento"(ver.10), si usa una termine che ci ricorda la "nutrice" e dunque la vicenda di un piccolo che ha bisogno di essere nutrito.

 

Mt 10,11-15                                                                                      Lunedì 11 giugno 2001

 

1 In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13 Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. 14 Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. 15 In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.

 

Il testo di oggi ci invita a metterci nella prospettiva di chi riceve la visita degli apostoli, e non tanto in quella degli "evangelizzatori". E' molto bello che l'annuncio sia "domestico", avvenga di casa in casa, di persona in persona e non a grandi folle.

 

Gesù ordina di "investigare" nel villaggio o nella città dove andranno, se c'è qualcuno "degno". Non indica certamente un "merito", una particolare condizione "immacolata", senza peccato. Ricordiamo a questo proposito Zaccheo: gran peccatore che riceve Gesù in persona in casa sua! O Gesù che partecipa al banchetto organizzato dal pubblicano Matteo nella sua casa. La parola degno "AXIOS" designa qualcosa che solleva l'altro piatto della bilancia. In senso stretto significa equivalente, degno, adeguato in senso più ampio indica anche una relativa corrispondenza tra due grandezze.

 

In questa ottica la visita degli apostoli del Vangelo in casa nostra deve vedere da parte nostra una "risposta" equivalente, adeguata, un' "accoglienza" viva, interessata, cordiale. Possiamo supporre che ognuno riceva la visita del Vangelo, ma noi l'abbiamo accolto? Oggi abbiamo ricevuto la Parola della vita e  l'abbiamo fatta nostra, ci siamo lasciati potare e plasmare da Lei?

 

Mt 10,16-25                                                                                     Martedì 12 giugno 2001

 

16 Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. 17 Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; 18 e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. 19 E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: 20 non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

21 Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. 22 E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. 23 Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo.

24 Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; 25 è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!

 

Se confrontiamo il racconto di Mt con i sinottici ci accorgiamo che Mt ha raggruppato qui discorsi di Gesù che per gli altri evangelisti erano riferite agli "ultimi tempi", e non semplicemente alla prima missione degli apostoli. Una seconda osservazione riguarda il fatto che il questo discorso era cominciato come un'istruzione per i dodici discepoli inviati; le parole di oggi invece sembrano destinate ad un orizzonte più ampio, che riguarda tutti, descrivendo la condizione di persecuzione in cui si troveranno i "seguaci" di Gesù. Colpisce in questo senso che non vengano indicate cose speciali da fare, azioni specifiche dei "primi apostoli", ma solo come "restare fedeli" a ciò che ci rende simili al nostro Signore:

 

- "guardarsi dagli uomini" perché ci consegneranno ai sinedri e alle sinagoghe... questa sarà l'occasione per la testimonianza a LORO e ai pagani (le genti).

 

- "non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire" perché ci sarà lo spirito Santo a suggerire... verrà "dato" ciò che dovrà essere detto.

 

- "chi persevererà sino alla fine sarà salvato" (=chi sarà sottomesso, chi rimarrà sotto,...). Rimanere appunto, senza aggiungere niente di nostro, di nuovo rispetto al Signore Gesù: "Il discepolo non è da più del maestro, è sufficiente essere come il maestro, simile a lui"!

 

E' un battaglia importante ma anche abbastanza difficile riuscire a restare fedeli al Signore nelle avversità della vita, nelle persecuzioni più o meno "esplicite" a cui ci sentiamo sottoposti... Davanti ai lupi ci viene voglia di fuggire!

 

Mt 10,26-33                                                                                  Mercoledì 13 giugno 2001

26 Non li temete dunque, poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.

30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!

32 Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

 

SCUSATE, non siamo riusciti a scrivere il commento, scrutini, arcivescovi... ci hanno rubato il tempo prezioso per il nostro commentino!

Mt 10,34-42                                                                                    Giovedì  14 giugno 2001

34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.

35 Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: 36 e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.

37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; 38 chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.

39 Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

41 Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.

42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".

 

Se ne hai la possibilità, è molto interessante un confronto tra questo brano e il testo di Luca (vedi paralleli nella tua Bibbia) dove è tutto diviso in frammenti, sparsi in luoghi diversi del Vangelo. Qui, invece, tutto, e in particolare il tema della "divisione nella famiglia" e quello dell'amare più il Signore rispetto ai famigliari, è solidamente interno all'insegnamento di Gesù sull'annuncio del Vangelo.

 

Fondamentale è l'insegnamento sulla pace. Certo non vuol dire che Gesù non è portatore di pace. La sua venuta, oggi principalmente nella "famiglia", porta una separazione nel senso che è una presenza che richiede molta attenzione, molto affetto. Come quando arriva un nuovo fratellino e quelli grandi sentono che l'attenzione su di loro diminuisce... Non a caso le divisioni citate riguardano le diverse generazioni e non per esempio marito e moglie. Quindi la "spada" è forse lui stesso! I legami famigliari non devono diventare un ostacolo sul cammino alla sequela di Gesù, anzi favorirlo e generarlo.

 

La vita che "troviamo" insieme ai nostri cari, e specialmente con la moglie o con il marito non possiamo pensare di trovarla, incontrando e ricevendo semplicemente il compagno/a. Per l'altro infatti dobbiamo fare molto di più: dare la vita, perderla,  prendere su di noi la nostra croce... a "causa di Gesù" cioè sul suo esempio e dietro a lui!

 

E' talmente importante questo discorso che il Signore incalza parlando dell'accoglienza. Ogni persona è il segno del Signore che viene, e per questo vanno accolte, amate, ascoltate, con tutto l'affetto e l'attenzione possibile. Anche gesti semplici e cordiali come un bicchiere d'acqua fresca, sono bellissime occasioni per ricevere i piccoli che il lui ci manda come angeli preziosi per parlarci del Regno.

 

Mt 11,1-10                                                                                      Venerdì  15 giugno 2001

1 Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

2 Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 3 «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 4 Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, 6 e beato colui che non si scandalizza di me». 7 Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! 9 E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10 Egli è colui, del quale sta scritto:

Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero

che preparerà la tua via davanti a te.

 

La domanda di Giovani Battista rivolta a Gesù "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro? " è molto importante, forte incisiva. E'  "la" domanda che il popolo di Israele, prima, ma poi tutta l'umanità si fa riguardo a Gesù! Fa impressione sentire la domanda dopo ben 10 capitoli: Gesù deve ancora dare segno di sé? C'è bisogno di altre prove, altre rassicurazioni? Il Cristo si sottopone umilmente all'interrogatorio e risponde indicando un "metodo" di comprensione e di annuncio. Non parole vuote e sterili, precotte: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete". I messaggeri devono riferire ciò che loro stessi vedono e sentono! Fatti. L'annuncio vero ed efficace passa attraverso la comunicazione semplice e modesta dell'esperienza personale. Non servono giornali o TV satellitari per annunciare il Regno Nuovo!

 

Ma l'aspetto più importante di oggi, che ci accompagnerà per tutto il capitolo, è la povertà, la piccolezza:

1) di Giovanni Battista (è in carcere, deve mandare qualcuno per sé, e anche prima ha vissuto nel deserto, non nei palazzi dei potenti, avvolto in morbide vesti!), segno dell'Israele fedele che attende i suo Messia.

2) Della gente "testimone" del nuovo Regno: i ciechi, gli storpi,  i lebbrosi, i morti...

3) di Gesù come già detto, non un politico, liberatore della nazione, ma secondo la profezia di Isaia, un servo sconfitto.

 

Il Regno parte dal basso, dai piccoli, dalle ferite dell'umanità stanca e senza pastore. Al v. 22 Gesù dirà "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te".

 

Anche noi dobbiamo aspettare il Signore Salvatore nelle nostre ferite, nelle nostre povertà, nelle nostre sconfitte. Lì lui c'è e si fa incontrare.

Mt 11,11-19                                                                                      Sabato 16 giugno 2001

 

11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12 Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13 La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14 E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. 15 Chi ha orecchi intenda.

16 Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:

17 Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,

abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.

18 È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. 19 È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».

 

Il gioco di parole tra "grande" e "piccolo" del ver.11 serve a chiarire che per diventare grandi bisogna diventare sempre più piccoli. Nella sua "piccolezza" Giovanni Battista viene indicato da Gesù come il più grande tra i nati da donna; ma il più piccolo nel Regno (che secondo me è Gesù stesso) è più grande di lui.

 

Adesso c'è questo problema della violenza e dei violenti che può avere diverse strade di spiegazione. Qui io sarei portato a pensare che il significato è negativo: questi violenti sono quelli che opponendosi sia a Giovanni sia a Gesù vogliono impadronirsi del regno con la violenza (o morale o fisica o spirituale). Questo serve a evidenziare che invece tra Gesù e il Precursore non c'è opposizione, ma totale continuità, anche se in totale novità; cioè, la canzone dei bambini è una sola, a chiede prima, con il Battista, di piangere, e poi, con Gesù, di far festa. Dopo l'attesa, ecco le nozze, ma è sempre lo stesso evento di salvezza. L'unità dei due testamenti è assoluta. Un problema uguale era stato posto a proposito del digiuno in Mt.9,14ss. Qui però veniamo a sapere che i violenti non accettano né l'una né l'altra cosa.

 

C'è un piccolo posto prezioso anche per noi in questo brano. Noi siamo quei peccatori e pubblicani che, malgrado tutto, siamo a tavola con il Santo Beone. Questo è ciò che conta, e il modo più semplice  per farsi piccoli è riconoscersi peccatori e "convertirsi" al Signore che è nostro "amico".

 

Mt 11,20-24                                                                                      Lunedì 18 giugno 2001

20 Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: 21 «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. 22 Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. 23 E tu, Cafarnao,

sarai forse innalzata fino al cielo?

Fino agli inferi precipiterai!

Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! 24 Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».

 

Il discorso è in continuità con il testo precedente "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto". Le città della Galilea (Corazin, Betsaida e Cafarnao) non hanno voluto riconoscere il tempo nuovo che è cominciato, la presenza di Gesù, il Messia e Salvatore. I miracoli, le parole, i segni sono inequivocabili! Nonostante sia tre città piccolissime, specialmente rispetto alle antiche ricche Tiro e Sidone, hanno un orgoglioso senso di grandezza.

 

Ma il Signore, come sentiremo domani, nasconde la Sue cose ai grandi e sapienti e le rivela ai piccoli. Ci chiede una costante e quotidiana conversione del nostro cuore a Lui, per accoglierlo con danze, per ricevere da lui tutto il nutrimento (cfr. festa di ieri!).

 

Mt 11,25-30                                                                                     Martedì 19 giugno 2001

 

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

 

Come ricorderete il cap. 11 era cominciato con la domanda di Giovanni Battista "Sei tu... ?" e si conclude con questa bellissima preghiera di Gesù, la più lunga del NT. E' una preghiera direttamente rivolta al Padre, diversa dal Padre Nostro che espressamente era un insegnamento per i suoi discepoli.

 

Comincia con il rendimento di lode al Padre ("ti benedico Padre") perché ha tenuto nascoste "queste cose" ai sapienti e agli intelligenti. Il motivo quindi è molto chiaro! Quali sono "queste cose"? Sono le opere di Gesù, riassunte da lui stesso per i messaggeri di Giovanni Battista: "ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella"; le opere portentose (lett. "le potenze") che le cittadine di Cafarnao, Corazin e Betsaida non hanno accolto (vedi testo di ieri).

 

La novità di oggi è che anche Dio contribuisce alla chiusura dei "rapporti con lui" attraverso il nascondimento dei suoi misteri ai sapienti e gli intelligenti! Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo VOGLIA rivelare. E il Padre e il Figlio prediligono i piccoli, gli infanti, gli indotti, quelli che sanno di non potercela fare da soli, e che ricevono tutto dagli altri! Al v. 29 Gesù sorprendentemente cambia il destinatario della preghiera: non è più il Padre ma sono gli affaticati e gli oppressi. La Preghiera dovrebbe sempre avere questa caratteristica di essere "intima" con il Signore ma subito aperta anche agli altri, ai nostri vicini, ai poveri per uno slancio di accoglienza e di condivisione per loro!

 

VENITE A ME, PRENDETE IL MIO GIOGO, IMPARATE DA ME. Sono tre inviti forti che ci stupiscono perché rendono il nostro rapporto con il Signore, suscitato dal nostro bisogno di riposo, di pace, di ristoro, molto profondo e vivo!

 

Mt 12,1-8                                                                                      Mercoledì 20 giugno 2001

 

1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

 

Nel gesto dei discepoli (v. 1) si nota molta libertà e sicurezza dovuta alla loro amicizia con Gesù. Come a Gesù è stato dato tutto (11,27) così anche ai discepoli viene "dato tutto", per la comunione con Lui (notare l'espressione "quelli che erano con lui" v.3).

 

Si nutrono delle spighe non per gioco ma perché hanno fame! La loro libertà quindi è guidata dal BISOGNO. (E' un concetto di libertà molto importante). La parola "bisogno" ci ricorda che Gesù ha detto "non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati" e anche gli At quando si narra che nella prima comunità i beni venivano distribuiti secondo il bisogno.

 

v.2 i farisei dicono: "i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato". A queste parole Gesù risponde non per dimostrare che invece "è lecito raccogliere le spighe di sabato", infatti non è venuto ad abrogare la legge. Con i due esempi (Davide e i sacerdoti) al contrario dice che essi fanno qualcosa che chiaramente NON è lecito ma "non hanno colpa"!!! Gesù non è venuto ad abrogare la legge ma a giustificare il peccatore, a dare al cristiano la libertà interiore di godere pienamente della "grazia" di essere suoi discepoli, di essere "con Lui".

 

S. Paolo nella sua lettera ai romani dimostra con grande chiarezza in che modo il cristiano non è più sotto la schiavitù della la legge. In questo senso il testo di oggi è in grande continuità con quello di ieri quando il Signore invitava affaticati e oppressi ad "andare a lui" per trovare riposo.

Mt 12,9-14                                                                                       Giovedì 21 giugno 2001

 

9 Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. 10 Ed ecco, c'era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù: «È permesso curare di sabato?». Dicevano ciò per accusarlo. 11 Ed egli disse loro: «Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l'afferra e la tira fuori? 12 Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato». 13 E rivolto all'uomo, gli disse: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l'altra. 14 I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo.

 

I testo di oggi è la continuazione di quello di ieri, per il contesto e i temi proposti. Gesù invita complessivamente ad avere un rapporto intelligente con la legge, aperto, vivo, di adesione profonda alla verità che essa esprime e a non usarla in modo letterale, stolto, rigido, sterile.

 

Sia ieri - "qui c'è qualcosa più grande del tempio" - che oggi - "quanto è più prezioso un uomo di una pecora" - Gesù si serve di un confronto per far capire il giusto peso e la giusta interpretazione da dare alla legge. Ci mostra attenzione, misericordia, cura, per i suoi discepoli e per i piccoli che lo circondano.

 

L'omino di oggi ha la mano inaridita. Sembra quindi una patologia non molto grave. Eppure Gesù utilizzando l'esempio della pecora caduta in una fossa (lett. si potrebbe tradurre: "chi tra voi avendo UNA (sola) pecora...." per sottolinearne la preziosità e l'unicità) fa capire che ""fare il bene" è una questione di vita o di morte (vedi anche test paralleli), da cui non ci si può sottrarre. Il sabato, di cui Gesù è il Signore, è l'ambito della carità, è lo spazio per l'altro, l'occasione del riposo per dare la vita!

 

Mt 12,15-21                                                                                     Venerdì 22 giugno 2001

15 Ma Gesù, saputolo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, 16 ordinando loro di non divulgarlo, 17 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:

18 Ecco il mio servo che io ho scelto;

il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.

Porrò il mio spirito sopra di lui

e annunzierà la giustizia alle genti.

19 Non contenderà, né griderà,

né si udrà sulle piazze la sua voce.

20 La canna infranta non spezzerà,

non spegnerà il lucignolo fumigante,

finché abbia fatto trionfare la giustizia;

21 nel suo nome spereranno le genti.

 

v. 15 "si allontanò" lett. "si ritirò" come Giuseppe all'inizio del vangelo di Mt si allontana e si ritira prima in Egitto e poi a Nazaret, per fuggire dal pericolo, da Erode. Anche Gesù quindi, consapevole della propria piccolezza davanti al male, consapevole che l'ora non è ancora arrivata per la battaglia finale, è prudente. Ma nel nascondimento dalla piccolezza si libera la potenza di bene: "guarì tutti".

 

La citazione di Isaia ci descrive il servo scelto e prediletto di Dio con un elenco di azioni che NON compie: "Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante". (Anche nei due testi precedenti c'era la questione "lecito o non lecito", e ieri Gesù aveva detto "è lecito di sabato fare del BENE"). Ciò che farà sarà:  "annunzierà la giustizia alle genti"  (ripetuto poi al v.20). La giustizia è propriamente il "giudizio" cioè l'intervento d'amore e di salvezza di Dio nella storia dell'umanità.

 

Un intervento  senza contese, rivalità, violenze ma buono, riposante, accogliente. Malattie, infermità, ferite, povertà sono le opportunità bellissime in cui il Signore può farsi presente e incontrare l'uomo. Questa giustizia - giudizio è la speranza di tutte le genti che "aspettano" l'incontro con il loro Signore.

 

Mt 12,22-30                                                                                      Sabato 23 giugno 2001

22 In quel tempo gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva. 23 E tutta la folla era sbalordita e diceva: «Non è forse costui il figlio di Davide?». 24 Ma i farisei, udendo questo, presero a dire: «Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni».

25 Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: «Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. 26 Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? 27 E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. 28 Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. 29 Come potrebbe uno penetrare nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. 30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.

 

La nostra condizione è ben descritta dal quel cieco - muto che viene presentato a Gesù. La sua liberazione è un grande e inaspettato miracolo. Ovviamente il cieco - muto non può chiedere aiuto, non esprime il suo desiderio di salvezza. Viene solo presentato! Il vangelo dice che era un indemoniato. Il male occupa completamente il cuore di questo uomo ed è l'incontrastato, forte "padrone" di casa.... fino all'incontro con Gesù!  Il Signore infatti è molto più forte di quel padrone, entra in quella casa, lega l'uomo malvagio, e lo scaccia. Fissa così la sua dimora nel cuore dell'uomo.

 

La scelta tra l'angioletto, puro e buono e il diavoletto infido e malvagio che spesso vediamo nei fumetti non è affatto vera. Non possiamo scegliere l'uno o l'altro. Siamo sotto la dominazione del male finché non viene il Signore a Liberarci! E' lui che fa tutto.

 

E' significativo l'ultimo versetto "Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde": se siamo CON lui siamo per lui e con lui raccogliamo. Ricorderete come è iniziato il cap. 12: i discepoli che raccolgono le spighe nei campi di sabato perché in compagnia di Gesù. La cosa più importante della nostra vita è restare CON LUI, seguirlo, ascoltarlo. Tenere pronte le funi per legare l'uomo forte. Se ripensiamo al testo delle tentazioni (Mt 4) queste funi potrebbero essere la Parola di Dio, unica "arma" efficace contro il male del nostro cuore, insieme all'Eucaristia.

 

Oggi, sabato successivo alla solennità del Sacro Cuore di Gesù, si celebra il Cuore il Immacolato della Beata Vergine Maria. L'orazione della messa dice: O Dio che hai preparato una degna dimora della Spirito Santo nel cuore della beata Vergine Maria, per sua intercessione concedi anche a noi, tuoi fedeli, di essere tempio vivo della tua Gloria. Infatti prima di tutto in Maria, nella qual il Verbo si è fatto carne, ma poi anche in noi dal battesimo e in modo rinnovato ogni giorno, possiamo essere dimora accogliente dello Spirito Santo!

 

Mt 12,30-32                                                                                      Lunedì 25 giugno 2001

30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. 31 Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. 32 A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.

 

Riprendiamo il testo di Matteo con l'ultimo versetto del testo di sabato. Il Signore insiste sull'importanza di essere CON LUI, in comunione stretta... anche "di lavoro" infatti dice "chi non raccoglie con me disperde". Chi di voi ha letto i testi del mattutino di oggi (Rut 1-2) ricorderà che Booz non si preoccupa molto del raccolto, del "quanto" raccoglie: ordina ai servi di lasciare cadere delle spighe affinché la nuova "spigolatrice" Rut appunto, faccia un buona scorta di grano. Preoccupandosi della comunione con lei, di accoglierla, di onorarla per quello che ha fatto con la suocera, raccoglierà molto di più: diventerà progenitore di Davide e quindi di Gesù!

 

La comunione con Gesù è così importante che il Signore stesso ci rassicura che ogni peccato contro di Lui sarà perdonato, anche le parole cattive. Infatti la relazione che ci lega a lui è fatta anche di cadute, ritorni pianti e abbracci, come tutte le relazioni importanti della nostra vita. Pensiamo a Pt nella passione.

 

Il peccato contro lo spirito è espressamente e volontariamente la rottura definitiva di questa relazione, e quindi non sarà perdonato. Secondo parallelo di Luca Gesù pronuncia queste parole dopo aver detto "chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio".

 

Mt 12,33-37                                                                                     Martedì 26 giugno 2001

 33 Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. 34 Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. 35 L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. 36 Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; 37 poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato».

 

Il testo di oggi è la continuazione della risposta di Gesù ai farisei che lo accusavano dicendo: "Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebùl, principe dei demoni".  Oggi però va più in profondo spiegandoci che il peccato contro lo Spirito, il rifiuto di Gesù "guidato dallo Spirito di Dio", nasce nel nostro cuore quando attingiamo alla zona d'ombra, al tesoro cattivo, e di conseguenza diciamo "parole inutili, oziose" di cui dovremo rendere conto nel giorno del giudizio.

 

Per contro lui stesso ci ha rivelato che abbiamo un tesoro buono da cui prendere cose buone. Lo spirito santo , presenza viva del Signore in noi, ci spiega ogni cosa, ci mette sulla bocca le parole giuste da dire in caso di persecuzione, è l'amore stesso nel quale ci possiamo amarci gli uni gli altri. In questo modo possiamo "fare" (in italiano "prendere" al v.33) un albero buono poiché attingendo al buon tesoro diamo frutti buoni, tipici soltanto degli alberi buoni!

 

Appoggiamoci a ciò che è buono, alle Parole che Lui ci regala ogni giorno.

 

Mt 12,38-41                                                                                  Mercoledì 27 giugno 2001

38 Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: 39 «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. 40 Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. 41 Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona!

 

"generazione perversa e adultera". Qual è? Quella dei farisei? Solo loro o anche noi? Forse è quella generazione che in ogni tempo e in ogni epoca della storia CHIEDE un segno a Gesù. Guardiamo infatti ai due esempi citati dal Signore: i Niniviti e la Regina del Sud sono persone lontanissime dal popolo eletto eppure in seguito ad un "avvenimento" (la predicazione di Giona o la notizia della sapienza di Salomone) cambiano rotta, prendono una decisione drastica (il viaggio verso Salomone), con solerzia e generosità.

 

Per noi come per i farisei non sempre è così: siamo circondati da avvenimenti importanti, MOLTO PIU' importanti di quelli citati prima: la MESSA per esempio nella quale il vino e il pane diventano sangue e corpo del Signore, vivo in mezzo a noi! o la Parola di Dio... Eppure nonostante questo restiamo impassibili! Occorre un grande coraggio una grande forza, un gran entusiasmo per lasciarci prendere dalla novità del Vangelo!

 

Mt è l'unico degli evangelisti che SPIEGA il segno di Giona "Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra". Sembra evidente il riferimento alla MORTE di Gesù e non tanto alla resurrezione. Il Figlio di Dio ha compiuto l'atto eccezionale di morire come noi e restare tre giorni nel cuore della terra, non si è tirato indietro. E' venuto nel luogo più lontano (la morte appunto) per prenderci ed invitarci alla comunione - conversione a lui!

 

Mt 12,42                                                                                          Giovedì 28 giugno 2001

 

42 La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!

 

Oggi rileggiamo l'ultimo versetto di ieri. Rileggete il testo che narra della Regina del Sud (1Re 10,1-13)

 

Facciamo alcune osservazioni:

- è molto importante "darsi una mossa" come fa la regina di Saba, seguendo l'indicazione di Gesù "chi cerca trova". E si trova molto di più di quello che si cerca!!

- la regina proclama "beati" quelli che stanno sempre con il re Salomone. Così per chi sta con il Signore!

- La regina era venuta per ascoltare... e secondo il vangelo diventerà "giudice" su quella generazione. Proprio per la sua testimonianza di "ricercatrice" appassionata, riceve la capacità, di giudicare, di discernere il bene dal male, di essere lei stessa "il giudizio".

- Qui c'è molto di più! Per andare al Signore non dobbiamo fare molta fatica, non certo lunghi viaggi carichi di bagagli... E' qui vicino a noi.. nella messa e nella scrittura che ci viene data ogni giorno! Troviamo il Signore vera sede e fonte della sapienza e della pace.

 

Mt 12,43-45                                                                                     Venerdì 29 giugno 2001

 

43 Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. 44 Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. 45 Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione perversa».

 

E' ancora l'unico discorso di Gesù ai farisei infatti:

al v.43 propriamente direbbe "esce Dall'uomo" cioè quello cieco e muto da cui aveva scacciato lo spirito impuro;

al v.45 "questa generazione perversa" come al v.39 "Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta"

 

Lo spirito, uscito dall'uomo, se ne va per luoghi aridi per cercare riposo. Non trovando niente di soddisfacente torna all'uomo di prima. La liberazione dal male non è perciò definitiva. Anche se Gesù viene lega l'uomo forte che ci domina e lo scaccia, non basta! La casa resta "libera", vuota, deserta, arida, esteticamente belle, pulita e adorna. Occorre fare molta attenzione ad attaccarsi alla bellezza estetica ma superficiale, VUOTA!

 

Proprio perché trova la casa vuota lo spirito entra ripone lì la sua dimora chiamando con se altri 7 amici peggiori di lui!!

 

Gesù però oltre a liberaci dal male (Cf. preghiera del Padre Nostro, la nostra quotidiana invocazione di aiuto!) ci ha regalato il suo Spirito Santo, che dimora in noi, ci guida ci ammaestra, ci "disseta" togliendo l'aridità vuota. E' bellissimo quel testo del vangelo di Gv 7:

 

37 Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva 38 chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». 39 Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato.

 

I farisei negavano, rifiutavano, rinnegavano lo Spirito facendo così il peccato contro lo Spirito Santo, imperdonabile perché è la scelta della casa "vuota", pericolosamente esposta alle incursioni del Diavolo!

 

Oggi è la festa dei SS.Pietro e Paolo (NB auguri a tutti quelli che portano questo nome!!). Le scritture di oggi ci mostrano come questi due apostoli del Signore nella loro vita siano stati continuamente liberati. Dalle loro prigionie (la barca e il gruppo dei farisei) dal loro peccato (il rinnegamento della passione e la persecuzione dei primi cristiani) dai loro persecutori...

 

Chiediamo al Signore che ci liberi sempre dal male e che riempia il nostro cuore del suo Spirito!

 

Mt 12,46-50                                                                                      Sabato 30 giugno 2001

 

46 Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». 48 Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 49 Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; 50 perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».

 

In tutto il capitolo 12 possiamo notare un tema trasversale: la CASA. All'inizio, si parlava del tempio, casa di Dio, dove Davide prende "illecitamente" i pani dell'offerta e i sacerdoti trasgrediscono il sabato; poi c'è stato il muto e cieco tenuto prigioniero in casa dal padrone forte e malvagio: solo il Signore può legare l'uomo forte, scacciarlo e fissare la sua dimora nel cuore finalmente libero. Anche Salomone accoglie nella sua casa lussuosissima la regina del Sud. Il capitolo 13 si aprirà così "quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare". Evidentemente Gesù oggi è in casa! Anche il testo degli At di oggi parla di casa: il carcere, la "famiglia" del carceriere, la casa del carceriere dove c'è una festa per l'avvenuta conversione e salvezza.

 

Nella lingua greca il termine casa OIKOS vuol ire anche famiglia. E nel testo di oggi si contrappongono due concezioni opposte: da un lato quella esemplificata nella famiglia che ci ha generato nella carne: i fratelli, le sorelle, la madre PARLANO (v.46 "stando fuori in disparte, cercavano di parlargli") cioè fanno un po' da padroni, propongono, decido, progettano... dall'altro la nuova famigliarità secondo Dio, costruita dal Signore ("tu sei Pt e su questa pietra edificherò la mia chiesa" liturgia di ieri) dove è lui che PARLA (v.46) che agisce, che libera, che propone, che guida. I famigliari di Gesù sembra che non siano intenzionati ad ascoltare perché per due volte si dice che cercano di parlargli, sono fuori ("in disparte" non c'è in Gr), lontani.

 

Con Gesù tutte le nostre relazioni sono nuove; "vino nuovo in otri nuovi"! E Gesù riconosce come suoi fratelli, sorelle e madri quelli "che fanno la volontà del Padre": cioè i figli! In un qualche modo posino dire che il diventare figli dipende da noi: dobbiamo volerlo, dobbiamo fare la sua volontà. In Gv 1,12 si dice che il Verbo "ha dato potere di diventare Figli di Dio a quelli che l'anno accolto".

 

E' molto bello l'immagine del Signore che tende la mano verso i discepoli dice "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli"! Anche noi siamo tra quella folla.

 

Mt 13,1-9                                                                                             Lunedì 2 luglio 2001

 

1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.

3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.

E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

 

E' molto bella la duplice presenza del verbo "uscì" ai vers.1 e 3, riferito a Gesù che esce verso la folla e al seminatore che esce per seminare. E' il grande viaggio dell'amore di Dio . Anche il brano odierno degli Atti parla di questa uscita e di questo viaggio, compiuto ora nell'Apostolo Paolo, per donare a tutti il Vangelo della salvezza.

Gesù si siede presso il mare, simbolo di una storia difficile, ma si siede poi sulla barca per dirci che quel mare non ci inghiottirà.

Il gesto del seminatore è ampio e la seminagione è veramente dappertutto. Non si tratta però di un meccanismo "fatale", perché l'esito della seminagione si lega volutamente all'accoglienza dei diversi terreni.

La prospettiva è capovolta: noi pensiamo noi stessi al centro, a decidere se e come vogliamo; invece tutto è più profondamente il mistero dell'iniziativa di Dio e della sua azione in noi, e di quale terreno la Parola evangelica trova in noi.

 

Mt 13,10-17                                                                                        Martedì 3 luglio 2001

 

10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».

11 Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12 Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 13 Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. 14 E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:

Voi udrete, ma non comprenderete,

guarderete, ma non vedrete.

15 Perché il cuore di questo popolo

si è indurito, son diventati duri di orecchi,

e hanno chiuso gli occhi,

per non vedere con gli occhi,

non sentire con gli orecchi

e non intendere con il cuore e convertirsi,

e io li risani.

16 Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. 17 In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!

 

In questi versetti Matteo raccoglie insegnamenti di Gesù che negli altri vangeli sono più sparsi, e in tal modo ci regala l'insegnamento del Signore più completo circa questo delicato tema della comprensione del mistero di Dio, e della severa citazione del profeta Isaia.

Alla domanda circa il perché Gesù parli "a loro" in parabole il Signore risponde usando con molta forza, nei vers.11-12, il verbo "dare"; questo ci immette subito nel cuore del discorso: il mistero di Dio, o è "dato", o non può essere compreso; esso è puro e misterioso dono dall'alto.

Orgoglio e durezza di cuore chiudono l'accesso al Regno, e tale chiusura pare come una sanzione nei confronti di ogni nostra vanità. In tal modo Dio stabilisce la "confusione" dei sapienti e degli intelligenti e la gloria dei "piccoli".

Gli ultimi versetti del nostro brano entrano nella pienezza di tutto ciò attribuendo ai discepoli il titolo di "beati"; anzi sono beati proprio occhi e orecchi che non per loro merito o capacità vedono e ascoltano, ma solo per la grazia di Dio. Profeti e re rappresentano quella lunga attesa e preparazione che solo nei piccoli discepoli di oggi, intorno a Gesù, si compie.

 

Mt 13,18-23                                                                                     Mercoledì 4 luglio 2001

 

18 Voi dunque intendete la parabola del seminatore: 19 tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20 Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, 21 ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. 22 Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. 23 Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta».

 

In alternativa alla "stanca" e istintiva "analisi dei terreni" che ognuno è spinto a fare su di sé o peggio ancora sugli altri, ho avvertito il brano di oggi come uno squarcio luminoso sul grande dramma di Dio e dell'uomo nel mistero ineffabile del loro incontro. Incontro, certamente: "Voi ascoltate (non "intendete") la parabola"; é la parabola dell'incontro tra Dio e l'uomo, che avviene al di là di disposizioni e esiti. La larghissima seminagione anche sulla strada dice la potenza di viaggio di Dio verso ogni cuore. Poi non c'è vicenda nella quale il Signore non si faccia implicare. Il problema non è quello del "seme" che non è mai citato nel nostro testo, se non impropriamente dal traduttore italiano al ver.19.E non è mai il problema del solo terreno. Si parla sempre dell'uomo "seminato" e quindi in ogni modo visitato da Dio. Dunque è sempre la storia di Dio e dell'uomo "insieme": il dramma nostro è assolutamente anche il suo. Dio non è un demone muto che aspetta risultati, ma "patisce" con me la fatica della mia vita ferita. Si coinvolge interamente con i miei sassi e le mie spine: siamo ormai insieme, anche in me peccatore risplende il dramma di Dio che mi ama e non mi abbandona. Dio in me canta per presenza o piange e grida per umiliazione o per assenza, ma io ormai sono assolutamente un "seminato". Scusate lo sproloquio, ma questo pensiero nella preghiera mi ha dominato.

L'altro dato prezioso, proprio del solo Matteo, è il verbo "comprendere", collocato all'inizio per dire di chi "non comprende"

(ver.19) e alla fine per dire di chi "comprende"(ver.23). Trascrivo quello che dice Suor Maria di Monteveglio nell'introduzione al sec. volume della Liturgia Bizantina della Settimana Santa : non è "una conoscenza raziocinante, discorsiva, bensì è una via di partecipazione, di unione...". Il verbo indica e implica uno "stare insieme", un non lasciarsi.

Dunque, ecco descritto oggi il mistero e il dramma della nostra unione con Lui: non lasciamoci scoraggiare dalle nostre aridità e dai nostri rifiuti. Restiamo con Lui facendo memoria amante del suo bene nella nostra povera vita. Non definiamo né chiudiamo mai la partita di nessuno, giudicando e eliminando, ma piuttosto rinnoviamo il meraviglioso dramma, incessantemente riproponendo, come possiamo, la meraviglia del Vangelo a tutti i nostri compagni di viaggio nel grande cammino verso la Casa di nostro Padre.

 

Mt 13,24-30                                                                                        Giovedì 5 luglio 2001

 

24 Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? 28 Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? 29 No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

 

E' solo il Vangelo di Matteo a regalarci questa straordinaria parabola che interpreta in modo tanto forte due domande che tanto facilmente intervengono nella vita di ciascuno e di tutti: Il Male, da dove viene? Come affrontarlo?

Notiamo innanzi tutto l'importanza del "quadro" in cui si colloca il problema della zizzania. Questo padrone semina nel "suo" campo del "buon" seme. Quando si dirà della seminagione da parte del nemico, il Vangelo farà uso di un verbo che dice un aggiungersi, un sopraggiungere, dunque l'azione negativa o la situazione negativa non son l'ultimo "involucro" della storia che è tutta interna invece alla presenza e alla potenza positiva. Infine, mi sembra consolante che si dica che questo nemico è il "suo" nemico, cioè il nemico del padrone prima che il nemico degli altri, o del seme buono, o del campo.

Dunque la zizzania è opera di questo nemico del padrone; la "colpa" è di questo nemico. Non è del padrone come se avesse fatto male le cose, non è del seme che è veramente buono, non è del campo; e non vengono accusati nemmeno quelli che dormono mentre il nemico interviene. Dio ci aiuti a far tesoro di queste considerazioni che, facendoci individuare l'unico vero nemico, dovrebbero sottrarci alla bruttezza del giudizio contro il nostro fratello. E ci aiuti a non "avere vergogna di una spiegazione che può sembrare alla nostra moderna sottocultura quasi una favola dei demoni". Si tratta invece del discorso più vero e profondo circa l'origine e la causa di ogni male.

Questa parabola mette qualche malessere a chi ha responsabilità educative e più in generale a tutti i "crociati". C'è infatti quel sonoro "NO" del padrone davanti all'ipotesi di andare "adesso" a sradicare la zizzania. Le ragioni del "no" sembrano fondamentalmente due.

La prima concerne il rischio di estirpare insieme alla zizzania anche il grano: per la violenza frettolosa dell'azione? o perché non è poi così facile come si crede distinguere la zizzania dal grano? Su questo non c'è risposta. L'altra ragione: tutto è rimandato rigorosamente "alla fine", e all'opera dei mietitori che appaiono persone diverse da questi attuali seminatori.

Allora adesso non si può far niente? Allora questa è una parabola del tutto "gandhiana"? No! Proprio perché questa parabola ci è regalata oggi, noi possiamo operare oggi per il grano e contro la zizzania raccontando a noi stessi e ai nostri figli e amici la parabola stessa e dunque la "fine", perché il Vangelo è sempre il regalo della "fine" fatto all'oggi che viviamo. La potenza del Vangelo sta in questo "anticipo" del giudizio divino, in modo che ci si possa convertire e si possa vegliare. E come? Come ci è dato oggi!!: con questa immissione di pazienza, di misericordia, di serena fiducia, di certezza che il bene è più forte del male e che "alla fine prevarrà" ; tutte meraviglie che ci dona fin da oggi la luce serena del nostro caro Gesù.

 

Mt 13,31-33                                                                                        Venerdì 6 luglio 2001

 

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».

33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».

 

Il nostro testo - e così anche ieri, ma diversamente da come è bene tradurre in seguito per le altre "parabole del Regno" - dice "si può paragonare"; è meglio dire, letteralmente, "è simile" o addirittura "è uguale", perchè in tal modo fa vedere meglio come oramai il Regno sia entrato nella creazione e nella storia, al punto che noi possiamo riconoscerlo, o celebrarlo, o comunicarlo, anche nelle realtà e nelle azioni più comuni e modeste della vita. Mi spiego: anche mettendo un po' di lievito nell'impasto, noi possiamo ricordare e , appunto , celebrare il Regno di Dio in mezzo a noi. Oggi è il compleanno del nostro fratellino Massimo, e chi lo conosce sa quanto, nella sua infermità e piccolezza lui sia per noi segno privilegiato del Regno inaugurato da Colui che si è fatto il più piccolo di tutti noi : Gesù Cristo, il Figlio di Dio.

 

Ecco allora il senso profondo delle due parabole del piccolo seme e del lievito: in realtà minuscole si raccoglie e si racchiude tutto il Mistero del Signore.

 

La piccolezza di questo seme talvolta addirittura ci scandalizza, più volte, anche a livelli autorevoli, si afferma l'opportunità e la necessità che la Chiesa "si veda" e si affermi. Ma il rischio è di muoversi in direzione opposta a quella presa dal Figlio di Dio che si è fatto piccolo fino alla Croce.

 

Nell'immagine del lievito mi affascina molto che il testo dica che quel po' di lievito viene "nascosto" dalla donna, finchè tutto sia fermentato. E' un modo efficacissimo per dire di un "segreto" che da Gesù in poi è presente in ogni persona, in ogni vicenda, in ogni creatura.

 

Mt 13,34-35                                                                                         Sabato 7 luglio 2001

 

34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:

Aprirò la mia bocca in parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

 

In Mt.13,10-17 che abbiamo considerato martedì scorso, il tema delle parabole era svolto da Gesù per dire che la parabola annulla il privilegio dei dotti e degli intelligenti perché solo Lui può spiegarla; perciò si potrà dire "beato" (e non bravo o dotato) chi vedrà e udirà.

Oggi il tema sembra prendere un'altra strada, in certo senso rovesciata . Parlare solo in parabole e non -io penso- con ragionamenti filosofici o teologici, significa per Gesù mostrare che il Mistero di Dio (che è poi Gesù stesso, il Cristo di Dio e nostro Signore) va' cercato nell'intimo tessuto della storia e della creazione, vicino a noi, non lontano, o in alto o al di là del mare. In certo senso tutto è parabola che contiene in sé il mistero. Dunque ancora un privilegio dato a chi non è "dotto", con l'indicazione che tutto va cercato nel concreto della vita.

Così è molto interessante la citazione del salmo 77 che converrebbe rileggere per intero, proprio per verificare che cosa voglia dire parlare in parabole. Quel lungo salmo è una grande memoria della storia del popolo di Dio, ove si mostra l'evidenza della sua presenza e della sua azione. Poi si parla anche della vicenda più particolare di chi deve mettersi per mare e s'incontra con la bufera: anche in questo caso è evidente che non viviamo "da soli", ma sempre con il Signore che si rende presente.

Ritorna ancora quel "nascondimento" che ieri diceva per la donna che "nasconde" il lievito nell'impasto, e oggi ritorna appunto per dire di questa realtà nascosta nelle parabole della vita. Incontreremo ancora il termine per dire che, scoperto il tesoro, chi lo ha trovato "lo nasconde di nuovo". Ecco allora queste "cose nascoste" che il Signore proclama.

Sono contento che queste parabole Lui le racconti non solo ai discepoli, ma "alla folla". Vedo infatti che molto spesso anche chi non si ritiene discepolo di Gesù entra in contatto con il suo Mistero attraverso qualche "parabola" anche modesta della vita.

 

Mt 13,36-43                                                                                         Lunedì 9 luglio 2001

 

36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

 

Con un verbo molto raro, i discepoli chiedono al Signore di "dissertare" sulla parabola della zizzania. Si tratta di una spiegazione aperta, che  

alla fine farà dire al Signore "chi ha orecchi intenda!" (ver.43), per dire che bisogna andare avanti a pensarci.

 

Ancora una volta abbiamo conferma di come Dio si faccia interamente coinvolgere dalla sua storia con noi e di come ci coinvolga nella nostra storia con Lui : al punto che non si possono più separare il seme buono e i terreni ( già l'altro ieri dicevamo che si può parlare solo di "terreni seminati"), e tutto oggi prende un nome molto bello, per cui siamo "figli del regno" : "il seme buono sono i figli del regno"(ver.38).

 

Potreste dirmi: e perché non "figli del maligno"? Perché ognuno che in questo momento legge queste noterelle ha coscienza di essere stato visitato, e non poco, dal dono di Dio; tale esperienza è così forte (in ogni modo "qualcosa" è successo) che l'ammettono anche coloro che non ne traggono una conseguenza lucida circa il Padreterno o il suo Figlio Gesù Cristo. Anzi, e qui sta per me un passaggio decisivo della spiegazione della parabola, anche se sono come terreno una strada, sono seminato, e dunque sono,  sia pure pessimo, sono anch'io appunto un "figlio del regno".

 

Ma allora chi sono questi "figli  del maligno"? Tenendoci sul terreno "strada", sembrano essere quei disgraziati uccelli che si mangiano il seme appena gettato dalla buona mano di Gesù. Certamente il rischio di fare questa parte per me lo sento; avverto che quel "giudizio finale", che la parola evangelica anticipa per la nostra salvezza, evidenzia quest'opera negativa che indubitabilmente sta operando e dà parecchio fastidio, ma la spiegazione che il Signore ci dà di tutta la vicenda, mi spinge ancora a ringraziarlo per la sua  misteriosa elezione d'amore nei nostri confronti, e a sperare che il bene che Egli opera in noi, malgrado tante presenze diaboliche (vuol dire "che ci accusano"), alla fine purificherà tutta la nostra vita e farà risplendere come  il

sole in noi la presenza e la potenza buona del nostro Signore.

 

Mt 13,44-52                                                                                      Martedì 10 luglio 2001

 

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

47 Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

51 Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

 

Con immagini tutte sue, Matteo si abbandona a una grande gioia finale, in cui l'incontro tra noi e il Signore del Vangelo assume una vera fisionomia nuziale.

Protagonista della prima immagine è il tesoro (ver.44) , con tutte le "preziosità" che lo caratterizzano. La segretezza: abbiamo già trovato questo elemento del Regno, con la donna che "nascondeva" il lievito nella farina (13,33), e la citazione di Isaia al ver.35"...proclamerò cose nascoste...", Viene "trovato" questo tesoro, ma il ritrovamento appare del tutto fortuito, slegato da ogni volontà o perizia di quell'uomo; si deve dunque dire che il tesoro "si fa trovare", proprio come S.Agostino dice che cerchiamo il Signore perché Lui ci ha già trovato. C'è, stupenda, quella nota di segretezza-intimità-gelosia-timore che induce a "nascondere" ciò che era nascosto e si è rivelato. E poi, all'apice la, potenza della gioia, che muove una storia nuova. E' la gioia infatti a provocare quella vendita di tutto per avere il campo del tesoro.

La seconda immagine (vers.45-46) ci dona questa perla come esito improvviso e supremo di una grande ricerca: questo nulla toglie alla totale gratuità della scoperta, simile a quella del tesoro; ma anche valorizza tutta una storia ci ricerca e di attesa che ricorda lo splendore e l'essenzialità attuale di tutta l'attesa dell'Antico Testamento. Se volete, si può aggiungere qui anche un'osservazione sulla follia di questa gente che concentra ogni suo avere su un oggetto così specifico : ma ciò è proprio di un vero innamoramento!

Della terza immagine, la rete e la selezione dei pesci, vi do una lettura folle che oggi mi ha dominato nella preghiera: forse alla fine gli Angeli mi "scarteranno": ma quanto è stato bello e impagabile l'esser stato pescato da quella rete!

Infine la quarta immagine (vers.51-52), di quello "scriba-discepolato". é l'ebreo che giunge all'adempimento di tutte la promesse divine. Ma, quale ebreo più di Gesù stesso, padre di famiglia, fonte inesauribile di bellezza e di bontà. Cose nuove, Lui nuovo sempre, e le parole nuove e antiche e sempre nuove: quelle che ogni giorno le scritture ci donano, campo fecondo dal quale emerge il tesoro, Gesù, e la perla, ancora Lui, nuovo sempre e perfetto rinnovamento donato a me, chiamato a rinnovarmi ogni giorno a immagine della sua gloria.

 

Mt 13,53-58                                                                                    Mercoledì 11 luglio 2001

 

53 Terminate queste parabole, Gesù partì di là 54 e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? 55 Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?». 57 E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

 

Il ver.53 volutamente lega il nostro brano a quello che il Signore ci ha consegnato in tutto il cap.13, cioè il grande insegnamento attraverso le Parabole del Regno, del dono e dell'incontro tra noi e la sua Parola. Ebbene, dopo tutto quello che abbiamo ascoltato, ecco subito una "sconfitta" ; traiamone due conseguenze: la prima è che anche attraverso l'episodio di Nazareth Riceviamo un insegnamento circa i modi e il volto dell'accoglienza del dono di Dio; la seconda è che in fondo è più importante il fatto che Lui si doni a noi, rispetto al fatto che noi l'accogliamo; vale a dire che ciò che conta è che Lui ci voglia bene; poi, se è possibile, è bene che noi gli corrispondiamo; senza tuttavia che da questo Lui si lasci condizionare.

 

Il ver.54 ci parla dello stupore della gente davanti alla sapienza e alla potenza della predicazione di Gesù. Lo stupore  è uno stato d'animo "equivoco", che può sfociare in una pienezza di adesione, oppure, come in questo caso, ritrarsi in un rifiuto.

 

Il rifiuto è legato allo scandalo, "si scandalizzavano di lui"(ver.57).

Nella rivelazione evangelica lo scandalo è sempre in qualche modo connesso con la "piccolezza": o perché si scandalizzano i "piccoli", o perché ci si scandalizza, come in questo caso, della "piccolezza" di Dio. Qui infatti la gente non riesce ad accettare che tale sapienza-potenza venga da una persona così ordinaria e famigliare. L'idea di Dio, infatti, suggerisce istintivamente il senso della "grandezza", della straordinarietà, mentre il Padre di Gesù Cristo si compiace di scendere nella nostra piccolezza e nella nostra povertà. Così si dà questo assurdo, che quello che costituisce la "gloria " di Dio, suscita in noi scandalo e rifiuto . Il cuore del Mistero cristiano, la rivelazione in Gesù che Dio è Padre, e dunque il dono a noi, nello Spirito Santo, della nostra appartenenza famigliare a Dio stesso, diventa  pietra di inciampo.

 

Ringraziamo il Signore per tale famigliarità (notate anche tutta la "terminologia" : figlio, mamma, fratelli, sorelle), soprattutto oggi mentre festeggiamo il nostro carissimo S.Benedetto, padre del monachesimo occidentale, promotore della grande "famigliarità" cristiana nello splendore della sua Regola.

 

Mt 14,1-12                                                                                        Giovedì 12 luglio 2001

 

1 In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. 2 Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui».

3 Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello. 4 Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla!». 5 Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta.

6 Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode 7 che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. 8 Ed essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 9 Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data 10 e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. 11 La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre. 12 I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.

 

Possiamo pensare di trovarci a un nuovo punto di inizio della memoria evangelica di Matteo. Termina con il martirio del Battista un'economia antica di promesse e profezie, caratterizzata dal dono e dal regime della Legge, e inizia la nuova via di Gesù Cristo: è con Lui infatti che inizia il nostro testo , e, quasi a conferma di tutto il capitolo precedente, persino Erode viene raggiunto dalla Parola del Signore.

Anche l'"equivoco" in cui cade Erode pensando che si tratti di Giovanni' che ora è potente perché è risuscitato dai morto, è denso di verità: ora nel Signore Gesù e nella sua vittoria sul male e sulla morte, si rendono presenti tutta la sapienza e tutta la potenza di Dio.

Il Battista muore come per uno scherzo e una vanità dei potenti, ma in realtà il motivo è di grande rilievo, perché il tema delle nozze e della nuzialità è al cuore della fede ebraico-cristiana, tant'è vero che qui sta proprio la differenza tra il nuovo e l'antico: non dimentichiamo che nel vangelo secondo Giovanni, il Battista si qualifica come l'amico dello sposo e afferma di dover diminuire perché l'altro cresca.

E' improprio usare il "condizionale" parlando del vangelo, tuttavia mi permetto di dire che anche il rimprovero di illiceità rivolto da Giovanni a Erode, non è proprio del messaggio e dello stile di Gesù: in Lui non c'è più , propriamente, l'appello alla Legge, ma piuttosto, come vedremo già domani, l'invito alle "nozze", alla festa al banchetto, perché ormai lo sposo è con noi. In certo modo, da questo momento, la prospettiva si capovolge; prima dominava la Legge come pedagoga verso il Messia; ora è la presenza si Lui e la comunione con lui, a promuovere una nuova etica, per rimanere con Lui e in Lui, e per far fiorire in noi il suo Dono.

 

 

 

Mt 14,13-21                                                                                      Venerdì 13 luglio 2001

 

13 Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 14 Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15 Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». 17 Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». 18 Ed egli disse: «Portatemeli qua». 19 E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 21 Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

Tutta la struttura del nostro brano è volutamente liturgica, sia per la memoria della manna nel deserto dei padri ebrei, sia per le forti connessioni tra i termini usati qui e le parole di Gesù all'istituzione dell'Eucaristia, sia per il carattere di non necessità e di gratuità del miracolo stesso.

 

Notiamo innanzi tutto la continuità per contrasto rispetto al brano di ieri. Gesù "reagisce" alla morte di Giovanni ritirandosi nel deserto, in disparte, dove spontaneamente si convoca, a piedi come camminavano i padri nel deserto, una grande folla di poveri. Al violento e sanguinario banchetto di Erode fa seguito questo banchetto mite e fecondo; là si uccideva, qui si restituisce alla vita.

 

Invece che dire "sceso dalla barca" è meglio dire, alla lettera, "uscendo", che dice come il Cristo, uscendo dal Padre, ne rende presente in modo perfetto, il sentimento e l'atteggiamento fondamentale, cioè la compassione.

 

L'intervento dei discepoli al ver.15 mette in evidenza che non ci si trova in una situazione di impossibilità, perché la  gente potrebbe essere congedata perché vada a comperare il cibo che le occorre. Ma Gesù insiste sul "non bisogno" che vadano e sull'opportunità che loro diano da mangiare alla gente. Dunque vuole esplicitamente questa mensa di gratuità, che con poco darà molto.

 

Usando gli stessi termini che userà all'ultima Cena (prese, pronunziò la benedizione, spezzò, diede), Gesù compie il miracolo. Notate che non è mai detto, neppure  in tutti gli altri racconti di questo miracolo, che "moltiplicò" i pani: il miracolo non va verso l'accrescimento, ma glorifica lo "spezzare", quindi il condividere.

 

In Giovanni Battista c'era un giusto "primato" della Legge, tutta tesa a preparare la venuta del messia. Ma ormai lo "Sposo" è presente, e dunque il primato è quello delle nozze e della festa nuziale. Mentre prima si aspettava e si preparava l'evento, ora "si parte" dall'evento. Conseguentemente c'è un compiersi e un totale rinnovarsi dell'etica: prima di Gesù era per "ottenere" un fine, adesso è per custodire e per far fiorire il dono di Dio che è Gesù e la nostra comunione con Lui, che questo banchetto nel deserto celebra e attua.

 

Mt 14,22-36                                                                                        Sabato 14 luglio 2001

 

2 Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.

24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

34 Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret. 35 E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, 36 e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano

 

Il testo parallelo di Marco, afferma, al termine dell'episodio, che tutto questo sgomento e meraviglia avvengono perché i discepoli "non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito" (Mc.6,52). Questo ci incoraggia a pensare che ci sia un forte legame tra il miracolo dei pani e questa traversata nella notte.

 

Se dunque diamo al testo di ieri una forza simbolica in direzione dell'Eucaristia, possiamo pensare al brano odierno come a una grande immagine della vicenda storica che consegue a  quella cena.

 

Mi ha molto preso il congedo quasi violento del Signore dai discepoli, e il congedo della folla . Poi si dice che il Signore "salì sul monte, solo, a pregare"(ver.23). In tal modo anche i discepoli sono soli nella difficoltà della navigazione notturna e tempestosa. Mi affascina la connessione che sembra emergere tra fede e solitudine. La fede, cioè il dono supremo della nostra comunione con il Cristo crocifisso e risorto, non è in nessun modo una garanzia mondana: la notte e la tempesta sono da affrontare in ogni modo: non ci sono nè esenzioni, nè privilegi! Verrebbe da  dire :"arrangiati!". Ma viceversa la fede  resta quella comunione con il Salvatore : è la sua presenza in noi come certezza della sua presenza alla nostra vita.

 

L'episodio molto spinto riguardante Pietro, dice che addirittura con la fede si può camminare sull'acqua, ma siccome la fede non è un "salvagente", se sulla fede viene a prevalere ad esempio la paura, si affonda come affonderebbe ogni altro. Il nostro testo, al ver.30, non direbbe "per la violenza del vento", ma "vedendo il vento", espressione molto efficace per dire che se tu "perdi di vista" il Signore, e inevitabilmente "vedi"  il vento, allora affondi. Per fortuna puoi, e forse è la cosa più importante, gridare aiuto a Lui.

 

La fede nostra è sempre molto fragile e sempre pronta a soccombere nella problematicità e nel dolore della vita. Fino all'ultima riga del suo Vangelo (Mt.28,17), Matteo ci dirà che il dubbio è compagno quasi inevitabile della fede.

 

Mt 15,1-9                                                                                           Lunedì 16 luglio 2001

 

1 In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: 2 «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!». 3 Ed egli rispose loro: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? 4 Dio ha detto:

Onora il padre e la madre

e inoltre:

Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.

5 Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, 6 non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. 7 Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:

8 Questo popolo mi onora con le labbra

ma il suo cuore è lontano da me.

9 Invano essi mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini».

 

Avviato tutto il suo insegnamento sulla fede come responsabilità e come anti-magia e anti-garantismo, il Signore amplia il discorso attraverso un dibattito con i farisei e gli scribi, dibattito che ci accompagnerà anche domani. Potremmo dire che ora la sua attenzione si rivolge al pericolo di "isolare" la fede dalla comune vicenda quotidiana dei singoli e dei popoli, piccola o grande che sia. Da anni il Card.Biffi ci ripete che la fede cristiana non può essere confusa con le "religioni", e che va considerata l'incontro con Gesù crocifisso e risorto, principio della nostra vita nuova in Lui.

Polemizzando con i suoi interlocutori, il Signore ricorda che la verità e la volontà di Dio sono collocate in una realtà precisa, che è la Parola di Dio. Tutto il resto, per quanto illustre, (si pensi per esempio al Talmud, che raccoglie anche prescrizioni simili a quelle citate nel nostro brano), non è in nessun modo confrontabile con la Parola di Dio: il che è una bella fortuna, o grazia, per dir meglio; e anche noi cristiani è bene che di questo ci convinciamo più saldamente. Dopo di che, certo che siamo sicuri che il nostro commentino quotidiano del Vangelo non vale una cicca davanti all'omelia di un Vescovo anche se un po' leghista-dichiarato; ma è ben bello che possiamo ogni giorno "giocare" un poco con le splendenti, eterne parole di nostro Padre.

E qui si arriva al secondo insegnamento di oggi: dunque dopo averci ricordato la fonte assoluta della Parola, ci mostra che tale parola non è confinabile in un rito, e dunque non è isolabile dalla nostra vicenda quotidiana, che da tale Parola è totalmente invasa e trasformata: l'esempio portato da Gesù circa il padre e la madre è splendido. E' proprio un figlio di buona donna chi si sottrae al dovere di dare una mano ai suoi, per fare un'offerta al tempio. Non solo tali separazioni sono illegittime, non solo vanno contro la Parola come dicevamo, ma addirittura impediscono di celebrare e onorare Dio nella nostra vita attraverso ciò che rendiamo ai nostri genitori. Mi spiego: in questa luce, aiutare papà e mamma non è solo un dovere morale di per sè abbastanza scontato; ma è una vera "celebrazione" del nostro affetto riconoscente verso Dio Padre attraverso quello che nel nostro piccolo facciamo con i nostri cari.

Si conferma dunque che non c'è più un sacro separato dal profano; c'è solo il fare o no il bene di Dio; e c'è tutta la vita che in ogni suo frammento diventa, nella fedeltà a ciò che l'evento liturgico esprime e dona, una grande liturgia dell'Amore di Dio e del prossimo.

 

Mt 15,10-20                                                                                      Martedì 17 luglio 2001

 

10 Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! 11 Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».

12 Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». 13 Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. 14 Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». 15 Pietro allora gli disse: «Spiegaci questa parabola». 16 Ed egli rispose: «Anche voi siete ancora senza intelletto? 17 Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? 18 Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo. 19 Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. 20 Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo».

 

Infatti questo cuore è malato, è prigioniero, è, anzi, il punto dove si raccoglie tutta la problematicità della storia di tutti e di ciascuno. Cercare altre cause del male, più individuabili e raggiungibili, è causa di tutta la "disillusione" che la storia porta con sè, quando ci mostra che non c'è progresso morale, o scientifico , o tecnologico, o economico.... che possa di fatto "risolvere" e neppure attenuare il problema assoluto del male: sotto questo termine troppo vasto e generico noi raccogliamo questa esperienza negativa che è propria della creatura umana. Qui, come spesso ci diciamo, sta il nodo e la novità del mistero di Dio. Mentre noi attribuiamo inevitabilmente il male a qualche personale o collettiva responsabilità, Egli ci rivela il male come un Nemico più potente di noi e quindi come una prigionia o una malattia per noi insuperabile finché Lui stesso non opera la salvezza: Non c'è creatura umana che sia priva di tale mortale malattia del cuore.

 

Il Signore aggredisce oggi le terapie delle regole e delle diete ("quello che entra nella bocca":ver.11), perché il problema, Lui dice, non è fuori, ma dentro la creatura umana, appunto nel suo cuore. I mali di ogni genere e gravità vengono dal cuore (vers.18-19)

e dunque non li si può togliere certo accusando e condannando (il carcere è come punire una persona perché è malata e per giunta punirla non curandola ma tenendola sempre più dentro al suo male)

 

Il cuore umano è dunque la grande "sfida" che il Figlio  di Dio affronta venendo a sanarci e a liberarci.

 

Mt 15,21-28                                                                                    Mercoledì 18 luglio 2001

 

21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

 

E' molto importante che dopo aver così fortemente ricordato i termini essenziali della salvezza, la Parola di Dio e il cuore malato dell'uomo, la memoria evangelica ci porti oggi all'incontro tra  il Signore e questa mamma pagana; a dire che quella salvezza è rivolta a tutta l'umanità, al di là e prima di ogni differenza e distanza. Il male di sua figlia è quello radicale e umanamente insolubile del dominio del signore del male e della morte, male che coinvolge tutta l'umanità.

 

Questa  donna celebra un ampio riconoscimento nei confronti del Signore e del popolo cui appartiene chiamandolo "Signore, figlio di Davide". Gesù non risponde: tale silenzio è la più forte affermazione che, sino a quel momento, la Parola è stata rivolta solo al popolo eletto. L'insistenza dei discepoli, con l'uso di un verbo interessante che vuol dire sia congedare sia sciogliere e quindi liberare, provoca una risposta nella quale Gesù ricorda la destinazione privilegiata della parola nei confronti degli ebrei. La donna non cede e fa dell'argomento dei cagnolini una prova  per affermare l'umile accesso dei pagani all'economia della salvezza. Vorrei fare una precisazione circa la versione italiana del ver.27: il testo originale non porta quel "ma", e più efficacemente dice: "Sì, Signore, infatti i cagnolini si nutrono delle briciole..."; in tal modo non ci sarebbe una contrapposizione tra le  due economie della salvezza, ma semplicemente l'adempimento in Cristo dell'unico disegno di salvezza con l'accesso delle genti alla salvezza ormai pienamente compiuta nella persona di Gesù; questa ipotesi mi è cara, perché continua a tenere Israele nella sua elezione, ora piena proprio per l'ingresso delle genti promesso dalle profezie, malgrado il rifiuto di una parte del popolo.

 

Vorrei fare qualche osservazione sulla figura di questa mamma straniera che costituisce in qualche modo il tipo di ogni chiesa della gentilità, cioè dei popoli pagani che  accolgono il dono della fede. E' l'unico caso che ho trovato nei Vangeli dove chi prega è talmente assimilato ( è mamma! ) alla persona per cui prega, che dice al Signore: "Pietà di ME!" (ver.22), e più  avanti: "AiutaMi!"(ver.25). Forse ci dice che sempre la preghiera per qualcuno è "materna" e implica un totale coinvolgimento e una totale assimilazione di pensieri, sentimenti e dolore e speranza.

 

Gesù è preso dalla grande fede della donna; ai discepoli sulla barca rimproverava la poca fede; probabilmente la pratica esterna della fede era in questa donna molto poco evidente, soprattutto se confrontata con quella dei discepoli; eppure quanto grande era! dunque come sono misteriose le vie della presenza e della potenza della fede!

 

Gesù che sembrava non volere fare qualcosa per lei, ora dice a questa mamma: "Ti sia fatto come VUOI" (ver.28,  alla lettera).

 

Mt 15,29-39                                                                                      Giovedì 19 luglio 2001

 

9 Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. 30 Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. 31 E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.

32 Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: «Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada». 33 E i discepoli gli dissero: «Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». 34 Ma Gesù domandò: «Quanti pani avete?». Risposero: «Sette, e pochi pesciolini». 35 Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36 Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. 37 Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. 38 Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini. 39 Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.

 

Appare molto forte nel nostro brano il legame con altri due luoghi: il testo di ieri della mamma cananea, e il primo miracolo dei pani in Mt.14,13-21. Gesù sembra come incoraggiato da quella donna a esprimere sempre più appassionatamente il suo amore per l'umanità, e nelle molte folle (così, alla lettera, al ver.30) sembrano esserci anche dei non ebrei che dai miracoli del Signore sono indotti a glorificare "il Dio di Israele"(ver.31). Il legame con il primo miracolo dei pani si presenta come "differenza" soprattutto perché allora il miracolo sembrava esplicitamente voluto dal Signore nella sua gratuità - si diceva infatti che la gente avrebbe potuto procurarsi da sola, comperando, ciò che le occorreva - , quasi come una rivelazione a priori del dono Dio; ora invece, lo stesso dono assolutamente gratuito viene dato in circostanze di grande necessità, insuperabili da parte delle persone.

Gesù riprende il verbo volere che ieri ha usato con la cananea, "avvenga come tu vuoi", per dire che oggi Lui non vuole rimandarli digiuni: viene in mente la richiesta del "Padre Nostro" - sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra - per dire di questo mirabile accostamento tra la divina volontà di salvezza e d'amore e la nostra umile e determinata volontà che questo avvenga nella nostra storia, qui in terra.

Dunque il miracolo dei pani è assolutamente necessario, pena il "venir meno per via": è l'esperienza dei padri ebrei, anche qui siamo in un deserto (ver.33). Il riferimento è certamente all'Eucaristia, come somma e evento supremo di tutto quel "pane quotidiano" che Dio ci dona perché possiamo camminare verso di Lui.

Notate che prima ha guarito la gente e poi ha fatto il miracolo, che non è rivolto a singole persone per singoli problemi, ma è per tutti perché è necessario a tutti coloro che vanno dietro a Gesù e non hanno da mangiare, se non è Lui a nutrirli.

Mt 16,1-4                                                                                          Venerdì 20 luglio 2001

 

1 I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. 2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; 3 e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? 4 Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona». E lasciatili, se ne andò.

 

La richiesta di un segno è talmente grave - e del resto così fortemente collegata a quello che i farisei hanno mostrato già di sé e del loro pensiero - che nel testo immediatamente successivo il Signore ammonirà i discepoli di guardarsi dal "lievito dei farisei".

Nella risposta di Gesù noi vediamo che contro questa richiesta non c'è da parte di lui la pretesa di una fede cieca, perché si capisce che i "segni dei tempi" ci sono e che anzi è grave non saperli distinguere. Il problema sta nel fatto che la loro richiesta si presenta come una "condizione per credere", che porta dentro di sé due ipotesi gravi: la prima è che si muovono come se nulla il Signore avesse detto e fatto a loro; la seconda è che interpretano la fede come uno stato individuale della coscienza e della vita, un personale convincimento e niente di più; cioè nulla che riguardi una vita nuova caratterizzata dalla comunione e dal cammino con Lui.

Dunque Gesù ci dice che i segni non sono "segni per credere", ma sono "segni del credere", perché chi crede coglie anche gli innumerevoli segni della presenza e della potenza di Dio nella sua vita: la fede non è un fatto intellettuale ma è la vita nuova perché visitata, trasformata e condotta dal Signore.

Contro una tendenza presente purtroppo anche nel nostro tempo di cercare e pretendere "segni" straordinari e miracolistici, la via cristiana è quella di un sereno, crescente abbandono al Signore della nostra salvezza che arricchisce la nostra esistenza di tali e tanti segni di sé e della sua opera, da farne veramente la nostra personale "storia della salvezza", da raccontare a figli e nipoti per la loro crescita e per la loro consolazione.

 

Mt 16,5-12                                                                                          Sabato 21 luglio 2001

5 Nel passare però all'altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. 6 Gesù disse loro: «Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». 7 Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso il pane!». 8 Accortosene, Gesù chiese: «Perché, uomini di poca fede, andate dicendo che non avete il pane? 9 Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila e quante ceste avete portato via? 10 E neppure i sette pani per i quattromila e quante sporte avete raccolto? 11 Come mai non capite ancora che non alludevo al pane quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei?». 12 Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei.

 

Nel passare però all'altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. Gesù disse loro: "Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei". Ma essi parlavano tra loro e dicevano: "Non abbiamo preso il pane!" Accortosene Gesù chiese: "Perché, uomini di poca fede, andate dicendo che non avete il pane? Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila e quante ceste avete portato via? E neppure i sette pani per i quattromila e quante sporte avete raccolto? Come mai non capite ancora che non alludevo al pane quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei?". Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei.

 

In grande continuità con quanto ci ha detto negli ultimi giorni il testo di oggi ci porta sia nella memoria dei miracoli del pane, sia nel problema dei "segni". Può essere utile dare un'occhiata al testo parallelo di Mc 8,14-21 dove viene detto che avendo dimenticato di prendere dei pani "non avevano con sé sulla barca che un pane solo". La contraddizione tra il non avere preso pani e l'avere un pane solo si scioglie comprendendo che quell'unico pane è Gesù.

 

Per i farisei, e oggi per la fragile fede dei discepoli, la preoccupazione per non essersi procurati i pani corrisponde al tentativo che ieri facevano di "procurarsi" un segno dal cielo. Ricordando i miracoli dei pani il Signore riafferma che la vita nuova è vita con Lui, da Lui visitata e da Lui riempita del Suo dono. Come ha nutrito le folle con pochi pani, così ora i discepoli devono capire che la Sua presenza con loro sulla barca scioglierà ogni problema. La fede è questo abbandono fiducioso al Signore che ci ama e provvede per noi. Nella nostra comunione con Lui sta il segreto della vera pace.

 

Teniamo conto che tra poco, in questo stesso capitolo 16, Gesù espliciterà il mistero della Sua persona e della Sua missione: dare la vita affinché noi abbiamo la vita in Lui.

Mt 16,13-16                                                                                       Lunedì 23 luglio 2001

 

13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

 

L'opinione della gente (alla lettera "gli uomini") circa la persona di Gesù sta a significare che Egli è ritenuto una persona tra le persone, anche se nella scia e nella presenza dei "grandi". Si può pensare che ritenerlo Geremia o Isaia possa essere come quando Erode pensava che Gesù fosse Giovanni Battista risuscitato dai morti.

Peraltro il brano di domani ci dirà che la risposta di Pietro non è una deduzione che un discepolo potrebbe fare per una maggiore e più diretta conoscenza di Lui. Questo è perché, per quanto si possa riflettere e intuire circa la persona e l'opera di Gesù, nessuno potrebbe arrivare a una dichiarazione simile. Non va dimenticato che la stessa "preparazione" della venuta del Messia, preparazione qui quasi direttamente citata attraverso i profeti che più hanno illuminato il cuore del popolo verso i tempi messianici e la figura del Messia stesso, nulla toglie alla "drammaticità" dell'evento di Gesù di Nazaret per la fede veterotestamentaria, nel senso che anche per chi era molto preparato, ciò che accade trascende ogni previsione. Si pensi ad esempio all'ambasceria che lo stesso Giovanni Battista manda dalla sua prigione per chiedere se Gesù è Colui che deve venire.

La portata della "confessione " di fede da parte di Pietro è enorme sia sul versante di Dio che sul versante dell'uomo. Anzi don Giuseppe mi diceva sempre che questo è, fino all'ultimo, il grande "problema" di Gesù, che appunto Pietro riconosce come "il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Noi qui ci accontentiamo di dire che questo implica da parte di Dio la certezza data a noi che nella persona umana di Gesù sta tutto Dio, tutta la sua verità, tutta la sua potenza...., e che tutto ciò è "solo" in Gesù, e in nessun altro. Da parte nostra implica la continua riaffermazione che dunque nessun altro è il Cristo Signore, e ogni esistenza - esperienza ha verità solo nel suo incessante relativizzarsi, rinnovarsi e convertirsi verso quest'Unico che è il Cristo di Dio.

 

Mt 16,17-20                                                                                      Martedì 24 luglio 2001

 

17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

 

L'immediata reazione di Gesù alla proclamazione di Pietro mette in evidenza il "dono" di Dio. Dice infatti "Beato": ormai questa parola si afferma definitivamente collegata a ciò che noi siamo o abbiamo per puro dono di Dio. L'abbiamo già incontrata all'inizio del "discorso della montagna" (Mt 5,1 ss) e in Mt 11,25 ss; ancora Gesù ha usato questa parola per dire della totale gratuità della nostra condizione rispetto a tutta la vicenda dei padri ebrei: "Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti..." (Mt 13,16-17). Mi pare si debba dire che è legata a tale gratuità della beatitudine una sottolineatura della nostra inadeguatezza rispetto al dono di Dio: noi infatti siamo poveri in spirito (Mt 5), e piccoli (Mt 11). Tutto ciò accentua la meraviglia del dono ricevuto da Pietro, che peraltro mostrerà molto rapidamente quanto la rivelazione che ha ricevuto lo sovrasti e sia troppo grande per lui: vedi Mt 16, 22-33.

 

A tutto ciò si lega strettamente la "rivelazione", che appunto esprime una realtà e una conoscenza che non sono raggiungibili dall'uomo e dunque possono essere nostre solo per dono di Dio. Si tratta del "mistero" che però non deve essere pensato come qualcosa che sta "al di sopra" di quello che noi possiamo vedere e capire, ma piuttosto "dentro" alla realtà, anche la più piccola, come suo divino segreto. E tutto questo proprio a partire dal "segreto" dell'uomo Gesù, che è oggi rivelato nella sua realtà: è il Figlio di Dio! A partire proprio da Lui ogni realtà si rivela come portatrice di un "segreto" che la collega a Dio!

 

La Chiesa è edificata dal Signore stesso su questo "segreto": per questo il Signore la vuole e la custodisce. Anch'essa può apparire "inadeguata" al mistero che deve custodire e al compito che Dio le affida: la piccolezza-beatitudine di Pietro è quella della Chiesa stessa. Il Signore proclama che malgrado la continua e drammatica esposizione della Chiesa al mistero-dramma del male e della morte "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (v. 18).

 

Gira la testa a pensare che questa immensità venga storicamente affidata a Pietro e in certo modo (che vedremo!) a tutti noi (Mt 18,18). Ma bisogna ancora accettare che questo sia il disegno di Dio: consegnarsi alla piccolezza e alla fragilità dell'uomo.

 

Son cose che, afferma il v. 20, non si possono "dire": per questo è meglio non farne un nostro "discorso", ma piuttosto accettare e confidare che sia ancora Lui, nel dono dello Spirito, a parlare dentro di noi e da noi.

 

Mt 16,21-23                                                                                    Mercoledì 25 luglio 2001

 

21 Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. 22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

 

E' di notevole importanza la prima espressione del nostro brano - da allora -, perché collegandosi con tutto quello che ha appena detto, il Signore ci introduce nella via maestra e unica che sia Lui sia i discepoli di ogni generazione cristiana percorreranno.

Dove il testo dice al ver.21 "dire apertamente", Matteo usa una termina più ricco che in latino Girolamo rende con "ostendere" e che dunque dice un mostrare, un dimostrare, un far vedere, che sembra implicare, oltre le parole, tutto l'atteggiamento di Gesù.

Ancora è molto importante che Gesù esprima un'obbedienza, la sua più profonda obbedienza al Padre, dice infatti che "doveva" andare a Gerusalemme, per parlarci della sua morte che di per sé è la vicenda che più accomuna tutti gli uomini. Ma proprio la morte, a partire da Gesù, non è più un "fatto" che inevitabilmente accade, ma è l'atto supremo della nostra obbedienza a Dio. La Pasqua cioè è la strada della nostra fedeltà al Signore.

La reazione negativa di Pietro non solamente ci conferma che egli aveva potuto dire chi è il Figlio dell'uomo solo perché gli era stato rivelato da Dio, ma anche che di quella verità non è capace, non può reggerla, la rifiuta, suscitando nel Signore una parola che ci appare fin troppo forte. Gli dice infatti "lungi da me Satana" e tale espressione se tradotta alla lettera, è identica a quella che proprio nei confronti di Satana è stata usata da Gesù, quando dopo la terza tentazione circa il possesso mondano di tutto il creato, il Signore appunto lo allontana dicendogli "vattene Satana

Come mai una reazione così "violenta"? perché la via del Signore è esattamente opposta a quella dei poteri mondani e della loro potenza. La potenza di Dio è quella che Gesù ci ha appena rivelata con l'annuncio della sua Pasqua. E' dunque demoniaco stravolgere il senso profondo del Vangelo con la potenza del mondo. E' la Croce di Cristo che ha vinto il mondo.

 

Mt 16,24-28                                                                                      Giovedì 26 luglio 2001

 

24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 27 Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 28 In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno».

 

Gli ultimi versetti del cap.16 sono dunque la dilatazione a noi del più intimo segreto del Cristo: la sua amante offerta della vita per la nostra salvezza. Salvati da Lui ne possiamo diventare partecipi in modo straordinario.

Quello che ieri ci diceva "dovere" compiere, diventa oggi a noi un'offerta, una chiamata: "Se qualcuno vuol..."(ver.24). per diventare un "dovere" anche per noi deve scaturire da un atto profondo e liberissimo di volontà. E questo è inevitabile, dato che si tratta della più profonda chiamata nuziale rivolta alla nostra persona e alla nostra vita.

Che cosa volere? seguirlo, stare e camminare con Lui verso il Padre, uscire dalla solitudine accogliendo il dono della sua comunione. Da qui si parte.: da questo tesoro trovato nel campo, per il quale, con pienezza di gioia si vende tutto per averlo. Se non si sta attenti a fissare bene nel nostro brano questo "punto di partenza", si rischia di stravolgere tutto il significato delle parole di Gesù, cogliendo solo la fatica di una rinuncia per la prospettiva futura di un premio. Invece si parte dal Dono che è lo stesso Signore e la nostra vita con Lui e in Lui, e da questo scaturisce una "prassi", cioè un orientamento profondo della nostra esistenza che, malgrado molti peccati, si custodisce nella misericordia e nell'unione con il Signore.

Allora, perdere per guadagnare è prospettiva del presente, è quell'innamoramento che suggerisce alla fanciulla del sal.44 di dimenticare la casa di suo padre perché il re è preso dalla sua bellezza; allora è quell'unità sempre più forte di pensieri e sentimenti, di memorie e di progetti che caratterizza l'animo dell'amante.

Quando il ver.27 dice che sarà reso a ciascuno "secondo le sue azioni", il testo usa invece quel termine "prassi" che ho già citato più sopra: e questo per dire che il "giudizio" sarà appunto intorno alla scelta di questa vita di comunione. Forse l'ultimo versetto, quindi, vuole dirci che le persone che si lasciano condurre dal Signore alla pienezza dell'amore, non "gusteranno"(alla lettera) la morte, ma semplicemente entreranno in quella pienezza della comunione d'amore con il Figlio dell'uomo che hanno già pregustato qui su questa terra di peregrinazione. Ho conosciuto alcuni per i quali è stato proprio così. Auguri!

 

Mt 17,1-13                                                                                        Venerdì 27 luglio 2001

 

1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». 6 All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». 8 Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.

9 E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

10 Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 12 Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro». 13 Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.

 

Per tutto quello che il Signore ci ha regalato in questi giorni, per la rivelazione che Pietro ha ricevuto e comunicato intorno alla persona del Cristo Figlio del Dio vivente, e per il coinvolgimento nostro in tutto questo, la "Trasfigurazione" narrata nel brano di oggi si pone come una conferma esplicita e concreta di questa vita nuova iniziata per tutta l'umanità da quando Dio è disceso nella nostra carne e nella nostra storia.

La luce che traspare dalla sua persona rivela il segreto divino contenuto nell'umanità di Gesù. La presenza di Mosè e Elia vicino a Lui e il loro parlare insieme, esprimono insieme due grandi realtà:

innanzi tutto che tutta l'antica alleanza, la Legge rappresentata da Mosè, e la profezia rappresentata da Elia, converge nel Cristo; e che anche tutta la storia ha nel mistero del Signore il suo grande segreto e il suo cuore.

La proposta di Pietro circa le tre tende mi ha ricordato l'intenzione di Davide di costruire una casa al Signore e la risposta divina circa tempi nei quali sarà Dio stesso a edificare una sua casa in mezzo agli uomini. Così anche l'avvenimento di quella nube che scende da Dio e avvolge i discepoli, una specie di tenda divina nella quale sentono la voce di Dio che proclama la predilezione del Figlio e invita ad ascoltarlo, mi è sembrato appunto adempimento e conferma di questa "casa" che è , in Cristo, l'abitazione di Dio tra gli uomini, anzi in loro; Dio abita nei nostri cuori.

 

Mt 17,14-23                                                                                        Sabato 28 luglio 2001

 

14 Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo 15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; 16 l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». 17 E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». 18 E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.

19 Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 20 Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. 21 [Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno]».

22 Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini 23 e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.

 

Se da una parte al centro del brano di oggi sta quel ragazzino malato e la supplica di suo padre (nella versione di Marco è ricordata la sua bellissima confessione - supplica: "Credo; aiutami nella mia incredulità"), di fatto il vero protagonista è il problema della fede dei discepoli, così come si pone oggi, avendo ricevuto in questi ultimi giorni l'annuncio della Pasqua di Gesù che oggi ci viene da Lui nuovamente ricordata.

Dunque, davanti all'infermità di questo piccolo, i discepoli si sono mostrati impotenti: "non hanno potuto guarirlo"(ver.16) ; "Perché noi non abbiamo potuto?"(ver.19). Eppure basta così poca fede (ver.20).Ma che cosa è questa fede? E' certamente la fede "in" Gesù: Lui sembra dire "Portatemelo qui"(ver.17) per sottolineare che non può esistere per noi qualcosa di nuovo in Lui se non siamo con Lui : non abbiamo una potenza "autonoma". Inoltre la fede è la fede "di" Gesù, cioè ci è stata donata la sua stessa fede, anche nei suoi "contenuti"; dunque L'annuncio della Pasqua che oggi il Signore rinnova è il ricordo a noi della nostra partecipazione - celebrazione alla sua Pasqua come principio di quella vita nuova che sola può renderci "potenti" contro il male e la morte. Ricordate: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce...."(Mt.16,24). Il compito principale della nostra esistenza è quello di lasciarci nutrire, rinnovare e trasformare (ricorda il miracolo della Trasfigurazione) dalla Pasqua del Signore per condividerne nell'umiltà della nostra storia la potenza di bene.

 

Mt 17,24-27                                                                                       Lunedì 30 luglio 2001

 

24 Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». 25 Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». 26 Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. 27 Ma perché non si scandalizzino, và al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te».

 

In fondo si potrebbe pensare che Pietro agisca con una certa coerenza, rispondendo a questi esattori con un criterio di "umiltà" che il Signore ha appena riconfermato con la prospettiva della sua Pasqua, e quindi con la realtà di un messianismo ben lontano da privilegi e esenzioni mondani. Come tutti glia altri, dunque, anche il Signore renderà ciò che è dovuto.

Tuttavia Gesù tiene molto a precisare una cosa. Per questo ecco le domande su chi deve pagare i tributi ai "re". Deve cioè essere chiaro un duplice aspetto che emerge: innanzi tutto si avvia la conclusione decisiva che, nel Figlio, anche Pietro e dunque anche noi, siamo figli del Re. Come tali non saremmo tenuti a pagare ciò che pagano quelli che figli non sono, o almeno ancora non sanno di esserlo. Ma invece paghiamo anche noi, come per primo il nostro Signore non si è sottratto alla comune legge di tutti. E perché?

Per non "scandalizzare". Come vedremo questo tema sarà molto importante nel capitolo 18. Qui ci accontentiamo di dire che emerge da questo pensiero del Signore il necessario intreccio tra lo splendore divino della nostra condizione di figli e la nostra condivisione della più semplice e ordinaria condizione storica. Lui per primo ha fatto così, Lui che non ha tenuto come "rapina " il suo essere pari a Dio ma ha umiliato se stesso assumendo la condizione di uomo e di servo, obbediente fino alla morte con i malfattori.

Piuttosto mi sembra molto bello l'atteggiamento semplice e direi gioioso, di perfetta riconciliazione del creato con il creatore, nell'umile miracolo del pesce e della moneta, per dire con il Sal.36 che non si è mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane.

Scusate il ritardo dovuto , spero, alle difficoltà dell'inizio del pellegrinaggio. Da Caprese Michelangelo.

 

Mt 18,1-9                                                                                          Martedì 31 luglio 2001

 

1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.

5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.

6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.

 

Tutto quello che abbiamo ascoltato nel cap.17 sembra ora portare alla domanda dei discepoli: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?". Mi permetto di insistere su tutto questo tema per un motivo importante e grave. In tutti i tempi e in ciascuno di noi anche oggi c'è una tentazione di mondanità che ci porta a separare il "contenuto" teologico e morale del Vangelo dalla modalità di esso che è la Pasqua di Gesù come compimento della legge della profezia dell'Antica Alleanza; ma non si tratta di una modalità:

ogni passo del Vangelo è assolutamente pieno della Pasqua, che è di ogni parola del Signore e di ogni sua opera il "contenuto", il "segreto" di potenza e di verità...Allora, pensare di affermare il messaggio evangelico staccandosi dalla obbedienza, dall'umiltà e dalla povertà della Pasqua, vuol dire aggredire in modo drammatico il Vangelo, anzi significa esporlo a un uso demoniaco delle sue parole. Faccio un piccolo esempio: sarebbe come pensare di diffondere il vangelo uccidendo e non "dando la vita": ora, non si può pensare di dare il vangelo senza dare la vita; come si può pensare di darlo accettando in qualche modo, diretto o indiretto, la logica di Caino? Dunque tutta questa insistenza sulla "piccolezza" è assolutamente fondamentale.

Ritorniamo al nostro brano. Per rispondere, Gesù chiama a sé un piccolino (viene usato per dire "bambino" un termine assoluto; qui bisogna tener conto di come fino al cristianesimo il bimbo è svalutato in tutte le culture che sono tutte per il privilegio del "grande" e del maschio), lo mette "in mezzo" (l'espressione indica una collocazione d'importanza, di guida) e proclama la necessità di diventare come i bambini per entrare nel regno dei cieli. La risposta è dunque indiretta e molto più ampia rispetto alla domanda. Il problema non è solo e tanto quello di un primato, ma concerne la sorte di tutti; da qui si può implicitamente dedurre che Lui stesso, Gesù, è il più grande dato che si è fatto il più piccolo di tutti noi.

La sua persona viene in ogni modo coinvolta nell'altro insegnamento dato sui bambini al ver.5: chi accoglie anche uno solo di loro "in nome mio"(cioè a motivo di Gesù, per obbedire a Lui, per rimanere con Lui), accoglie "Me". L'accoglienza, in senso forte, come accoglienza non solo della persona, ma anche dei suoi limiti, dei suoi bisogni, della sua "minorità", fa del bambino un "segno" vero e efficace del Cristo stesso. Dunque, diventare bambini e accoglierli onorando in loro la persona di Gesù, è la via della salvezza!

Al contrario, ci dice nei vers.5-9, siamo perduti se davanti a tale piccolezza noi provochiamo lo scandalo. Lo scandalo è l'aggressione, il disonore, il disprezzo dato alla piccolezza, che è ormai un luogo assoluto di valori, non per una generica filantropia, ma perché portatrice, luogo del mistero di Dio che nella piccolezza si raccoglie e si consegna all'umanità. Cade per sempre la logica di Caino ("non come Caino che era dal maligno e uccise suo fratello":1Gv.3,12) e entriamo nella vita di Dio in Cristo.

Tutto questo "tagliare" i luoghi dello scandalo è l'invito perentorio a non giustificare e a eliminare le cause e le occasioni dello scandalo verso i piccoli.

Oggi dedico la mia preghiera e queste povere parole a Mario Rosso, fratello della nostra Maria Elisabetta, che ieri è stato chiamato in un attimo a stare "in mezzo", come i bambini, nel Paradiso del Padre. Dio lo benedica per come si è fatto "bambino" nel grande gioco di Dio per i piccoli del Signore. Caprese Michelangelo, 31 luglio 2001.

 

Mt 18,10-20                                                                                    Mercoledì 1 agosto 2001

 

10 Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. 11 [È venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto].

12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? 13 Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.

15 Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. 18 In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.

19 In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

 

Con due grandi immagini il Signore prosegue nel suo insegnamento sull'elezione dei piccoli, intesi come tutti coloro che vivono in qualche palese o segreta minorità ( chi dunque non è piccolo? ) e quindi in particolare "i piccoli che credono", dato che la fede è incontro tra la bontà di Dio e la nostra piccolezza.

La prima immagine è quella degli angeli. Dice al ver.10 che "i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre...": per dire che ogni persona è sempre davanti e nel cuore del Padre, che tutti gli sono preziosi, che anche la vita apparentemente più insignificante è interamente coinvolta nel mistero e nell'amore di Dio.

La seconda immagine è quella della pecora smarrita che qui non è, come in Lc.15 il peccatore, ma globalmente ognuno di "questi piccoli" . Il Padre non vuole che nessuno di loro vada perduto. Dunque ecco come ogni persona è cara al cuore del Signore.

Tutta questa sollecitudine amante viene quindi "trasferita" a noi, che non solo siamo oggetto di tale amore, ma siamo investiti dello stesso desiderio del Padre che tutti possano essere con Lui.

Allora ecco le altre due immagini del nostro testo.

Prima di tutto il coinvolgimento di ogni cristiano nel potere della misericordia divina. Al cap.16 veniva dato a Pietro quello che qui viene esteso a tutti (ver.18). Siamo tutti impegnati in questa opera incessante di ricerca misericordiosa del nostro fratello. Non possiamo abbandonarlo a sé stesso : anche quando rifiuterà ogni appello, noi lo considereremo come quel pubblicano o quel pagano che Dio vuole salvare.

L'altra immagine è quella della comunione e dell'accordo tra noi per domandare qualcosa al Signore. Tale è la potenza dell'essere riuniti nel suo nome, che per questo ogni richiesta nostra verrà esaudita. Questo dice la "responsabilità" nella quale il Dono di Dio ci costituisce.

 

Mt 18,21-35                                                                                       Giovedì 2 agosto 2001

 

21 Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

 

È la straordinaria chiusura di questo cap. 18 ed è “cerniera” verso il cap. 19.

La domanda di Pietro si presenta come un desiderio di chiarire e approfondire quanto Gesù ha insegnato nei v 15-20: c’è un limite al perdono? La risposta è chiara: no! Questo è il senso di quel “settanta volte sette” del v 22.

La parabola che il Signore fa seguire, ancora come nel cap. 13, per dire a che cosa è simile il regno dei cieli, dice che il perdono non è un “episodio” ma è la “condizione, la situazione, il volto” della vita dei discepoli: noi siamo dei “debitori graziati”; l’”essere perdonato” è dunque definizione dell’essere del cristiano. Così si verifica un dato straordinario: quel bambino che all’inizio del cap. Gesù ha posto in mezzo per indicarlo come l’”eletto” e il modello della vita cristiana, ora, più profondamente e più drammaticamente, senza spazi romantici, si rivela come quel peccatore perdonato.

Se così è, anche tutto il “giudizio” divino su questo bambino – peccatore – graziato si raccoglie in un punto: l’essere, o no, trasmettitore della stessa misericordia. La giustizia divina è giustizia di salvezza e per la salvezza. Non è più tollerabile identificarla con quella giustizia vendicativa e tribunalizia che inevitabilmente condanna ogni uomo. Egli è venuto non a giudicare, cioè a sentenziare il male che facciamo, ma a liberarci dal male; e ci ha convocati a celebrare la stessa prassi.

 

Mt 19,1-12                                                                                         Venerdì 3 agosto 2001

 

1 Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. 2 E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.

3 Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». 4 Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? 6 Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». 7 Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?». 8 Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. 9 Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».

10 Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». 11 Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. 12 Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

 

Il passaggio dalla Galilea alla Giudea, segnalato al v 1, dice l'inizio della grande celebrazione nuziale tra Dio e l'umanità che deve compiersi a Gerusalemme con la Pasqua del Signore. Siamo ancora una volta "al principio"; non si tratta, nel nostro brano, di un semplice insegnamento sul matrimonio - e sulla verginità -, ma di una ripresa, in termini enormemente accresciuti, di ciò che è stato detto "al principio": di qui l'ampia citazione di Gen 1 e 2. Il "principio" contiene profeticamente, come per accenni, e imperfettamente (vedi ad es. la "durezza del cuore" citata al v 8), la fine e il fine di tutto.

I popoli e le culture hanno sempre un "mito" del loro inizio. Tale mito è sempre violento, maschile e spesso omicida (vedi ad es. Romolo e Remo e il fratricidio per i Romani). Per la rivelazione cristiana il "mito" delle origini è questa creazione di due "diversi": il maschio e la femmina del v 4 e l'azione di Dio che li congiunge. Questo verbo dice che li fa "coppia", che li aggioga. Gesù in Mt 11, 28-30 ci ha detto di prendere questo suo giogo che è leggero: è la sua croce come luogo e adempimento dell'amore.

Secondo i discepoli (!), se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi (v 10). L'esempio "violento" degli eunuchi, e dunque degli "eunuchi per il regno dei cieli" (v 12) dice che tale rapporto uomo - donna è sciolto dalla violenza del possesso e ricevuto, così era al principio, come dono di Dio.

 

Mt 19,13-15                                                                                        Sabato 4 agosto 2001

 

13 Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli». 15 E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.

 

Chiedo scusa per il mancato messaggio sui vers.13-15: un po' di problemi, un po' di mia confusione....

 

Mt 19,16-22                                                                                       Martedì 7 agosto 2001

 

16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

Il brano di oggi, conosciuto come l'episodio del "giovane ricco", solo in questa versione di Matteo ci presenta un giovane; in Mc. e Lc. sembra trattarsi piuttosto di una persona molto matura; certo qui ci incontriamo con un giovane particolarmente maturo.

Altra caratteristica di Matteo mi sembra una certa possessività manifestata tra le righe da questa persona. Al ver.16 chiede come "ottenere" ( letteralmente "avere" ) la vita eterna, mentre gli altri due evangelisti dicono "ereditare". A questa "possessività" Gesù risponde con la bella espressione "entrare nella vita".

Al ver.17 il Signore "corregge" la domanda del giovane che gli chiedeva :"Che cosa devo fare di buono..." con una osservazione di grande rilievo: il "buono" non è qualcosa che si fa, ma una persona, la persona stessa di Dio. Noi possiamo "entrare" nella sua vita

(ver.17).

Mi pare molto interessante anche la "selezione" che Gesù opera tra i grandi comandamenti di Dio. Al primo posto "non uccidere", che mi sembra profezia del capovolgimento totale che Gesù porterà al cattivo potere di Caino di togliere la vita con la nuova prospettiva è Pasquale dell'offerta, del dono della vita. Al secondo posto "non commettere adulterio", che mi sembra evidenziare quello che proprio in questo capitolo stiamo così ampiamente

ricevendo dal Signore: il volto nuziale della nostra vita.

Solo Matteo porta questa espressione "se vuoi essere perfetto". Vi segnalo quattro testi del Nuovo Testamento - e vi consiglio vivamente di andare pazientemente ad ascoltarli - per confermarvi che tale offerta non è fatta solo ad alcuni "pierini", ma a tutti coloro che desiderano seguirlo, cioè diventare suoi discepoli: Matteo 5,48;

Efesini 4,13; Filippesi 3,15; Colossesi 1,28. "se vuoi" non dice un "optional", ma appunto l'offerta nuziale, e quindi assolutamente libera, che il Signore esprime quando chiama a essere suoi discepoli, cioè cristiani. D'altra parte l'esigenza radicale di lasciare tutto per seguire Lui è proprio non di condizioni speciali, ma di ognuno che voglia mettersi in cammino con Lui verso il Padre.

Mi sembra molto bella la nota di tristezza che accompagna questo rifiuto. Anch'io la incontro tante volte nel mio spirito, e capita sia proprio questa tristezza a suggerire un desiderio di ravvedimento.

Dunque, quest'uomo giovane, diversamente da coloro che si fanno eunuchi per il regno e diversamente da coloro che come bambini sono portati al Signore, questo nostro amico troppo ricco è tentato di non entrare nelle nozze della vita con il Signore. Il Signore che è tesoro nel campo e perla preziosa non gli appare di sufficiente valore per indurlo a lasciare tutto il resto per stare e camminare con Lui. Desidero qui ringraziare una mamma di Sammartini che già molti anni fa mi ha convinto che questo non è dunque un brano riservato ai frati, ma che ognuno che entra nella vita cristiana è posto innanzi allo stesso amore geloso di Dio, al quale accederà secondo le vie che il Signore vorrà regalargli.

 

Mt 19,23-30                                                                                    Mercoledì 8 agosto 2001

 

23 Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». 25 A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». 26 E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

27 Allora Pietro prendendo la parola disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». 28 E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

30 Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

 

Il Signore estende la difficoltà che ieri abbiamo visto in quel giovane ricco a tutti i ricchi. Non conviene arrampicarsi sui vetri per attenuare la portata dell'esempio del cammello. Una nota della Tob conferma che si tratta proprio della cruna di un ago: l'intenzione è dunque quella di convincerci di un fatto umanamente impossibile. D'altronde, siccome l'opera di Dio è quella di salvarci, più volte il Signore afferma il "non incontro" tra Lui e quelli che non hanno bisogno di essere salvati (confronta ad esempio Mt.9,12).

E' molto importane la reazione che queste parole di Gesù provocano nei discepoli: la percezione che nessuno può essere salvato! Perché? perché in fondo, per qualche aspetto, forse ognuno è "ricco"; come si può dire che ognuno è "povero", ha qualche povertà, così i discepoli intuiscono che l'impossibilità o almeno la grande difficoltà incontrata ieri dal giovane ricco, e il ricco di ieri, riguarda tutti. La contrapposizione tra i bambini, cioè coloro che sono adatti al regno dei cieli, e il ricco di ieri, porta alla conclusione di una difficoltà gravissima e generalizzata.

Il ver.26 mi sembra il cuore del nostro brano. C'è la rilevanza di quello sguardo del Signore (che sembra affermare sia l'amore, sia l'elezione di Dio), e la sua frase sull'impossibile che è possibile a Dio. Mi sembra molto bello il legame soprattutto con due testi biblici: Genesi 18,14 e Luca 1,37. Questi testi, che potrete ascoltare con grande delizia, si riferiscono alla nascita di Isacco dall'anziana Sara e di Gesù dalla Vergine Maria, insieme alla nascita prodigiosa di Giovanni Battista. Così il "miracolo" della fede che al Signore è possibile quanto a noi non lo è a motivo della nostra "ricchezza", si presenta come l'eventualità per noi di essere fecondi del Figlio di Dio malgrado la "povertà" della nostra "ricchezza".

A questo punto l'affermazione - domanda di Pietro al ver.27 mi sembra non solo un'"affermazione", ma anche e soprattutto una "constatazione meravigliata", una sorpresa, una meravigliata delizia, quasi se ne accorgesse solo in quel momento. E' la constatazione che quanto è capitato ai discepoli è proprio un miracolo del Signore. La fede, dunque, è sempre un miracolo; nulla togliendo al valore e alla necessità della nostra risposta e del nostro assenso, nulla si darebbe se non fosse per il dono di Dio.

Il giudizio finale cui sono chiamati a partecipare i discepoli, - non solamente i dodici, così si direbbe dal contesto - , non mi sembra si debba pensare in termini "tribunalizi", ma come il giudizio che alla fine verrà pienamente "rivelato" dal pieno splendore della vita, dalle persone e dalla testimonianza di questi "bambini" che splenderanno come scintille nella stoppia.

 

Mt 20,1-16                                                                                         Giovedì 9 agosto 2001

 

1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

 

In termini incalzanti il cap.20 proclama il nostro totale coinvolgimento nella "grandi nozze" della Pasqua di Gesù. L'umanità non sarà più sola e desolata, perché il Signore la salverà e la sposerà offrendo per lei la sua vita.

La vigna della parabola di oggi può essere intesa come immagine di quella Gerusalemme nella quale Gesù sta per entrare a celebrarvi appunto il suo sacrificio d'amore. Dunque la vigna è il "talamo" dove si consumano le nozze dell'amore di Dio per l'umanità. Ma Gesù chiarisce fin d'ora che siamo chiamati a partecipare e a celebrare nella nostra vita la sua stessa obbedienza d'amore.

Gesù "esce" dal Padre a chiamarci. Forse i chiamati della prima ora sono i padri ebrei. In ogni modo solo con questi primi si fissa un rapporto tra l'opera che svolgeranno e il compenso. Ai successivi si assicurerà più genericamente un compenso giusto (ver.4), e poi quel padrone della vigna non ne parlerà più. Invece sarà sempre più evidente che il cuore, il privilegio, sta nel fatto di essere chiamati e mandati. Altrimenti si è disoccupati (ver.3) o oziosi (ver.6) e si tratta nel testo greco dello stesso termine che dice l'essere "senza opera". Dunque l'esistenza si manifesta come senz'opera, senza una direzione, senza uno scopo, ("Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi"ver.6) finché non venga Lui a chiamarci nella sua vigna.

Ecco perché appare evidentemente degradata un'interpretazione che valuti la positività dell'accaduto in rapporto al compenso finale. In tal senso gli operai della prima ora non solo non hanno il diritto di protestare, ma rivelano soprattutto che nulla hanno inteso circa il valore supremo dell'esser stati chiamati nella vigna con il dono di un'operosità e un invio in essa. Mi viene in mente quel fratello maggiore della parabola del Prodigo in Lc.15, che giudica la positività o meno dello stare nella casa del padre, in rapporto al riconoscimento economico del suo servizio.

La bontà del Signore è pienamente manifestata nel fatto stesso di chiamarci nella sua vigna. E' occhio irrimediabilmente "cattivo" (tenete presente che alla lettera il ver.15 dice "o il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?") quello che non sa essere contento di questo essere assunti nel viaggio e nel compimento dell'amore nella Pasqua di Gesù. Forse i pagani sono - ma lo è prima di tutti ciascuno di noi - i chiamati dell'ultima ora e dunque più di ogni altro possono gustare e vedere quanto sia buono il Signore che non li ha tenuti esclusi e che proprio all'ultimo ha reso totalmente positiva una vita che sarebbe rimasta desolata e senza scopo.

 

Mt 20,17-19                                                                                     Venerdì 10 agosto 2001

 

17 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici e lungo la via disse loro: 18 «Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà».

 

Dunque Gerusalemme è la vigna nella quale il Signore ci manda, chiamandoci a tutte le ore della storia. E in questi versetti di oggi, per la terza volta il Signore ci dice che queste sono le nozze che ognuno di noi celebra in tale vigna; questo è il viaggio con Lui che Gesù ha prospettato al giovane ricco. E' conveniente andare a riprendere i due precedenti annunci della Pasqua che abbiamo incontrato in Mt.16,21-23 e in Mt.17,22-23; la differenza tra quei testi e l'annuncio di oggi ci rende consapevoli della strada che il Signore ci ha fatto percorrere.

La precisazione che "Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via..."(ver.17), ci avverte che non si tratta di qualcosa che Gesù dice di Sé, come appariva nei due precedenti episodi, ma che si tratta di una consegna profonda a tutti i discepoli attraverso la missione dei Dodici; dunque, ormai un dato fondamentale della vita di ogni credente. Non siamo più in Galilea come allora ai cap.16 e 17, ma siamo ormai vicini a Gerusalemme: luoghi e tempi ci accostano alla Pasqua.

E quindi dice:"...stiamo salendo". Si tratta di una vicenda nella quale Lui ci ha interamente coinvolti, come ieri venivamo confermati. Anche per noi , come per Lui, questa è l'obbedienza fondamentale e il senso della vita. Peraltro mi sembra molto importante che, subito dopo aver usato questo coinvolgente plurale, "stiamo salendo", subito il nostro testo ritorni alla terza persona singolare e quindi all'unico soggetto che è Gesù. Perché? Perché propriamente Lui solo è la vittima d'amore per la salvezza del mondo; ma noi siamo stati eletti a celebrare con Lui e in Lui la sua Pasqua di salvezza. Proprio come "celebriamo" la Messa, così "celebriamo" con tutta la nostra vita l'atto supremo e la suprema rivelazione dell'Amore di Dio nel sacrificio d'amore capace di vincere il male e la morte.

Per due volte (vers.18 e 19), Matteo , come anche Luca e Marco nei testi paralleli (Lc.18,31-34 e Mc.10,32-34), usa il verbo "consegnare", per dire che Gesù "sarà consegnato" ai sommi sacerdoti e agli scribi, e che questi lo "consegneranno" ai pagani. Questo verbo vuol dire effettivamente consegnare, vuol dire anche "tradire", ma vuol dire anche "trasmettere, tramandare": dunque questo passaggio di totale debolezza del nostro Signore, un fatto che appare mondanamente del tutto subìto, è in realtà la via per la quale sia ebrei che pagani ricevono il Cristo. Questa mite consegna e questa offerta della vita diventano per tutte le generazioni cristiane la via propria e feconda per l'annuncio del Vangelo.

L'ultima parola del nostro brano, "risusciterà", proclama non solo la vittoria di Gesù sulla morte, ma anche la sua presenza a tutte le generazioni della storia e la potenza sempre efficace della sua Pasqua che tutti i cristiani, ma misteriosamente anche ogni uomo e donna della terra, celebrano nelle loro persone e nella loro umile vicenda.

 

Mt 20,20-28                                                                                       Sabato 11 agosto 2001

 

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».

24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti»

 

Il dialogo tra Gesù e questa famiglia è molto importante per chiarire bene quello che nei giorni scorsi ci ha comunicato. Vedete quindi come sia grande il valore di questa "lectio continua" della Scrittura che ci accompagna in questi mesi con il Vangelo secondo Matteo.

S. Ambrogio difende la richiesta di questa mamma perché gli pare giusto che per i propri figli si sperino e si chiedano gli esiti migliori. Infatti non sembra che Gesù voglia rimproverare né lei né i suoi figli, ma vuole semplicemente ancora ribadire dove vada posta ora la nostra più profonda attenzione: non sull'esito finale appunto, quanto sull'orizzonte storico nel quale ci stiamo muovendo. Questa è una delle supreme genialità della sapienza ebraico-cristiana: mentre le "religioni" sembrano occuparsi dell'al di là suggerendo magari purificazioni e distacchi dall'al di qua, la nostra fede ci impegna nell'ora attuale fino a chiudere aspettative e previsioni sul punto d'arrivo. Questo è il senso più semplice e chiaro della risposta di Gesù alla richiesta della mamma e dei suoi figli. Ciò che conta è la nostra disponibilità ad assumere il calice che la vicenda di oggi pone davanti a ciascuno. Fede è un certo modo di interpretare e vivere il nostro tempo. Quasi contraddicendosi rispetto alle previsioni e alle promesse date in Mt.19,28-29 Gesù dice che di quel "premio" finale che la mamma chiede per i figli solo il Padre dispone. Noi dobbiamo occuparci solo di quella vicenda delle nozze e della vigna che è la nostra celebrazione-partecipazione al sacrificio pasquale di Gesù.

Forse Gesù non condivide il rimprovero che i compagni rivolgono ai due fratelli; ma rientra nel discorso per sviluppare ulteriormente il suo insegnamento. Innanzi tutto con quell'espressione importante "tra voi": questo significa che la comunità cristiana è in ogni modo impegnata a vivere e a manifestare modi e relazioni nuove. Il "calice" diventa qui una condizione e un comportamento da "servo" e da "schiavo", che il Signore peraltro presenta come il vero modo di diventare grande e di essere il primo. Il calice cioè non è solamente la prospettiva "finale" dell'offerta della vira con la morte, ma la quotidiana prospettiva della carità che ci porta a farci piccoli davanti ai nostri fratelli e a consumare le nozze d'amore con il Figlio di Dio offrendo nella vigna del Signore la nostra diaconia d'amore.

 

Mt 20,29-34                                                                                       Lunedì 13 agosto 2001

 

29 Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. 30 Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide!». 31 La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più forte: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 32 Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». 33 Gli risposero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». 34 Gesù si commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vista e lo seguirono.

La citazione della città di Gerico ci avverte che siamo ormai al termine del viaggio che porta Gesù e i suoi discepoli a Gerusalemme per la Pasqua che Egli ha più volte annunciata come tempo e luogo del suo sacrificio d'amore. Il testo di Matteo ci dice di una grande folla che segue il Signore senza precisare, come fa Mc.10,46, che siano in essa anche i discepoli.

Questi "due" ciechi mi fanno un po' ritornare ai "due" fratelli che subito prima hanno avuto bisogno che Gesù li illuminasse per capire bene dove e per quale scopo stessero camminando. Questi ciechi sembrano bloccati nell'oscurità della loro strada, finché "ascoltano" che il Signore sta passando: è un "ascolto" non ancora nella luce, e tuttavia è un principio decisivo per la loro vita; molte volte è così: si avverte che qualcosa sta visitando la vita, senza che

si possa già dire di chi e di che cosa si tratti. Ma basta questo per sciogliere in loro una supplica forte: "Signore, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!"(ver.50).

L'opposizione della folla, che ci ricorda certe "sgridate" dei discepoli, magari quella per i bambini che venivano portati al Signore (Mt.19,13),sembra provocare in loro non una silenziosa timidezza ma piuttosto una determinazione più forte. Può capitare che proprio chi ha più bisogno di incontrarsi con Gesù sia esposto a ostacoli da parte di chi magari, essendo più vicino, potrebbe favorire la cosa. Il Signore però arresta il suo cammino e li chiama chiedendo loro che cosa vogliono; mi ricorda il pietoso fermarsi del Samaritano della parabola di Lc.10, nuovo e inaspettato dopo l'allontanarsi del sacerdote e del levita. Come già altre volte davanti alla miseria della gente (Mt.9,36; 14,14; 15,32), Gesù "si commosse" (alla lettera "si impietosì").

La richiesta dei due ciechi che "i loro occhi si aprano" ha un seguito non previsto e che d'altronde svela il senso più profondo del miracolo: alla luce che è stata loro donata, possono anche loro seguire il Signore.

 

Mt 21,1-11                                                                                        Martedì 14 agosto 2001

 

1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. 3 Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». 4 Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta:

5 Dite alla figlia di Sion:

Ecco, il tuo re viene a te

mite, seduto su un'asina,

con un puledro figlio di bestia da soma.

6 I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7 condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8 La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava:

Osanna al figlio di Davide!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Osanna nel più alto dei cieli!

10 Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». 11 E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».

 

La preghiera mi ha suggerito una lettura di questo brano come in grande riferimento a tutta la profezia d'Israele che si compie in Gesù. Gerusalemme è dunque la vigna del Signore e il luogo delle nozze tra Dio e il suo popolo e, per questo, le nozze con l'umanità intera. Dirlo in questi giorni può forse aiutarci a intendere qualcosa del dramma di Gerusalemme, dei popoli che vi abitano, della diverse fedi, delle chiese...Il capitolo 21 nel quale oggi entriamo terminerà ancora con l'immagine di una vigna luogo di un'appropriazione indebita e dell'uccisione del figlio, erede della vigna stessa.

Alcuni verbi mi sembrano molto importanti per cogliere in Gesù il compimento di tutte le Scritture: Mandò...andate (vers.1-2); troverete (ver.2); sciogliete e conducete (ver.2) : sono espressioni che dicono il nostro rapporto con le Scritture antiche che devono essere trovate e condotte al Cristo per trovare il loro pieno adempimento; fino ad allora ogni realtà resta come "legata", in attesa della sua liberazione nel Cristo.

Il ver.3 pone sulle labbra del Signore - unica volta nel Vangelo secondo Matteo - appunto questo titolo di "Signore"; ma lo straordinario è che esso sia congiunto con l'espressione - anch'essa unica - che il Signore "ne ha bisogno"! Così, la piena obbedienza del Figlio al Padre attraverso la totale sottomissione alle antiche Scritture, "svela" in Gesù il Messia del Signore. Come dunque le Scritture hanno "bisogno" del Cristo per essere adempiute, così in certo modo Gesù ha "bisogno" di tutta l'antica profezia d'Israele per rivelarsi come il Figlio di Dio.

La divina bellezza del nostro brano riesce a congiungere tutta l'intenzione di evidenziare la totale diversità del Cristo dai re della terra, con le note dell'umiltà e della mitezza, con la gioia e la gloria dell'ingresso di Dio nella creazione e nella storia. Ecco perché Gerusalemme reagisce con "agitazione" a un avvenimento che appare razionalmente di non grande rilievo, ma proprio per questa "modestia" mette in evidenza la via che Dio ha scelto fin dal principio per comunicarsi al suo popolo: farsi piccolo fino a questo re mite che ora viene per offrire la sua vita per la salvezza di tutti.

 

Mt 21,12-17                                                                                            Giovedì 16 agosto

 

12 Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 13 e disse loro: «La Scrittura dice:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera

ma voi ne fate una spelonca di ladri».

14 Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. 15 Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide», si sdegnarono 16 e gli dissero: «Non senti quello che dicono?». Gesù rispose loro: «Sì, non avete mai letto:

Dalla bocca dei bambini e dei lattanti

ti sei procurata una lode?».

17 E, lasciatili, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

 

Entrato in Gerusalemme, Gesù entra nel luogo che è cuore della fede e del culto d'Israele. Pensando alla strada che il Signore ci ha fatto percorrere lungo il testo evangelico, mi sembra che si possa ricevere il brano di oggi come un gesto di Gesù che vuole togliere quello che stravolge la purezza del rapporto tra Dio e il suo popolo, tra Dio e la sua Sposa, o che in qualche modo ne limita quella estensione universale che proprio i testi profetici qui ricordati prevedevano. Infatti Is.56,7 che ci parla del tempio come "Casa di preghiera", aggiunge e questa espressione le parole "per tutti i popoli" ( e il testo parallelo al nostro brano di oggi cita per intero in Mc.11,17 "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti" ). In ogni modo penso che soprattutto l'espressione "spelonca di ladri" citata dal Signore da Ger.7,11 tenda a mostrare che Israele si è allontanato dal senso più profondo della preghiera e del culto voluto da Dio, facendone addirittura un luogo di furto nei confronti di Dio, tendente cioè a un'appropriazione di vantaggi e privilegi senza un reale vincolo di comunione nuziale e figliale con Lui.

La memoria evangelica di Matteo sembra poi voler rafforzare questa tesi segnalandoci due presenze straordinarie. Innanzi tutto quei "ciechi e storpi" (ver.14) che si avvicinano a Gesù e che egli guarisce: secondo Samuele 5,8 queste persone non potevano entrare nel tempio ed erano quindi escluse dall'atto di culto a Dio; qui invece, in Cristo, si celebra in pienezza l'opera salvifica di Dio verso il suo popolo! E poi si segnala (ver.15) che la folla acclamante del ver.9, era una folla di bambini ( o per lo meno comprendente in modo notevole i bambini), sia a conferma del privilegio che ai bambini Gesù ha attribuito come via per tutti di incontro e comunione con Lui e con il suo Regno, sia per citare il salmo 8 che vuole sottolineare come la presenza di Dio in Gesù sia talmente evidente e si imponga talmente che anche i bambini, con semplice immediatezza (ma questo è ciò che appunto li rende così adatti al Regno) riconoscono in Lui il Messia di Dio (Sal.8,3). Il Tempio ritrova oggi la sua vera fisionomia. Il passo successivo sarà addirittura il suo superamento di fronte al Tempio nuovo che è Gesù stesso.

 

Mt 21,18-22                                                                                     Venerdì 17 agosto 2001

 

18 La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. 19 Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Non nasca mai più frutto da te». E subito quel fico si seccò. 20 Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai il fico si è seccato immediatamente?». 21 Rispose Gesù: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. 22 E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».

 

E' conveniente, se ancora non è stato fatto, leggere per intero questo capitolo e magari anche il successivo: sarà più chiaro che , entrato in Gerusalemme, il Signore opera e comunica il passaggio dall'antica alla nuova economia di salvezza. Già ieri diceva la necessità ormai improrogabile di entrare nella pienezza della misericordia di Dio. Questo "superamento" ha due significati: da una parte, come sempre si è dato nella vicenda di Israele, Dio "corregge" le deviazioni dalla linea retta della fede; ieri era la "spelonca di ladri", oggi è l'incapacità del fico a soccorrere la fame. D'altra parte, si tratta di una pienezza, di un compimento: l'antica economia di preparazione e di attesa giunge finalmente al suo termine e inaugura la pienezza dei tempi della sapienza e della potenza misericordiosa di Dio.

L'albero della antica alleanza, alla fame di chi gli si avvicina, non sa offrire che foglie; manca il frutto che nutre. Si delinea nello sfondo un albero nuovo, l'albero della vita, la croce di Gesù, da cui pende il frutto capace di saziare ogni fame. Il nostro brano lascia aperto il dilemma se si tratti di una "sterilità" colpevole o di una sterilità inevitabile. A questo proposito, il parallelo di Mc.11,13 annota che "non era infatti quella la stagione dei fichi": dunque, per Marco, una infruttuosità ovvia e inevitabile. In ogni modo, colpevole o no, diciamo anzi ,colpevole o gloriosa (nota che già domani entrerà nelle parole di Gesù la persona più "gloriosa" dell'antica alleanza, Giovanni Battista) deve ormai iniziare la storia nuova inaugurata da Gesù e dalla sua Pasqua.

Allora, anche se l'immagine è un po' imbarazzante, deve essere accolta in senso totalmente positivo, nell'orizzonte della fede e della preghiera. Finalmente la grande "fame" di salvezza, di giustizia, di pace, di gioia...che caratterizza la vicenda del mondo, e che qui viene "assunta" da Gesù, sarà pienamente saziata. La verità divina dell'Antico Testamento rimarrà perenne, e anzi giungerà alla sua piena luminosità e fecondità, perché finalmente si compirà in Gesù Cristo. Tutto questo è affidato alla nostra fede (che qui significa l'accoglimento del dono di fede che viene a noi da Dio) e alla nostra preghiera. Ancora è utile rifarsi al parallelo di Marco che precisa che la condizione per entrare nella preghiera è perdonare "se avete qualcosa contro qualcuno"(Mc.11,25). E questo ci conferma che nell'inaridimento del fico non c'è nessuna avversione o inimicizia o giudizio verso qualcuno.

 

Mt 21,23-32                                                                                       Sabato 18 agosto 2001

 

23 Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?». 24 Gesù rispose: «Vi farò anch'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi riflettevano tra sé dicendo: «Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?"; 26 se diciamo "dagli uomini", abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27 Rispondendo perciò a Gesù, dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. 29 Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. 30 Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.

 

Le due indicazioni di luogo - il tempio nei vers.23-27, e la vigna nella parabola dei vers.28-32 - ci ricordano quello che la parabola di Mt.20, 1-16 aveva introdotto: il tempio, la vigna, Gerusalemme, Israele stesso e attraverso lui l'umanità intera, e quindi la creazione e la storia... sono lo "spazio" in cui il Signore è entrato per celebrare le sue nozze, il suo sacrificio d'amore per la salvezza del mondo intero. Per tutti questi giorni siamo stati invitati a entrare in questa "vigna". Visitata dalla presenza di Gesù, la vecchia economia della salvezza, pur gloriosa e necessaria per preparare la venuta del Messia di Dio, rivela il suo limite e la necessità d'essere sostituita da una potenza e da una vicenda nuove. Così ieri ci comunicava la vicenda "simbolica" di quel fico seccato perché incapace di saziare la fame assunta da Gesù in nome di tutta l'umanità.

Il brano di oggi, distinguibile in due parti è unificato sia dal senso globale dell'insegnamento del Signore, sia dalla persona di Giovanni Battista, citato da Gesù sia nella sua risposta ai giudei, già nella parabola dei due figli.

Si parte da un dato indiscutibile: l'autorità di Gesù; il termine usato da Matteo è più che "autorevolezza" e implica proprio la "potenza" che evidentemente si manifesta in tutto quello che Gesù dice e fa. Mi pare che la domanda circa l'origine, la fonte, di tale potenza sia formale e insincera; ciò che segue dice che essi sono consapevoli della provenienza da Dio di tutto quello che vedono e odono in Gesù. Il Signore ne trae in ogni modo occasione per stabilire un dato di assoluta importanza per la nostra fede ebraico-cristiana,

vale a dire la perfetta continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento: entrambi infatti provengono da Dio, e il Battista porta a compimento con il suo battesimo la grande preparazione compiuta dall'antica alleanza verso Gesù Cristo. Non è possibile negare l'una e affermare l'altra, e anche oggi, con immutata e necessaria attualità, i due Testamenti si intrecciano e si illuminano reciprocamente.

Tale evidenza non riconosciuta e sanzionata dal "silenzio" di Gesù viene confermata dalla piccola parabola dei vers.28-32 che è propria del solo Matteo, e che porta un nuovo arricchimento all'insegnamento del Signore. I due figli sono l'uno l'antico popolo di Dio e l'altro le genti. il Primo, che per secoli ha detto a Dio il suo sì nuziale disponendosi a entrare nella vigna del Cristo di Dio, alla fine non ci va. Le genti, all'ultima ora, come ci avvertiva la parabola della vigna di Mt.20, ci entrano. La bellezza straordinaria di tale evento è già presente nel "giudizio" che si manifesta nella vicenda di Giovanni Battista, che appunto ancora ritorna nelle parole di Gesù: davanti alla sua opera i capi si sono induriti, mentre i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. E' quel "rovesciamento" di situazione che ci ricorda che davanti al dono di Dio non ci sono

situazioni di privilegio, e quindi proprio coloro che sembrano più lontani si rivelano più pronti a entrare nella salvezza di Dio in Gesù.

 

Mt 21,33-45                                                                                       Lunedì 20 agosto 2001

 

33 Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41 Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartata

è diventata testata d'angolo;

dal Signore è stato fatto questo

ed è mirabile agli occhi nostri?

43 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. 44 Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà».

45 Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

 

Diversamente dai testi paralleli di Mc.12,1-12 e Lc.20,9-19 , il nostro brano può iniziare dicendo che Gesù ci invita ad ascoltare "un'altra parabola": infatti l'immagine di questa vigna ci è ormai consueta perché Matteo ci ha già dato la parabola degli operai chiamati al lavoro nella vigna all'inizio del cap.20, ancora ci ha parlato della vigna nei versetti precedenti a quelli di oggi per dirci di quei due figli che reagiscono in modo diverso all'invito del padre

(Mt.21,28-32), e ora porta a pienezza la forza dell'immagine con questa parabola ormai così interna al mistero pasquale del Signore.

La citazione di Isaia 5 serve a esprimere tutta l'affettuosità di cui Dio ha circondato questa vigna che è il suo stesso popolo e il mistero del suo regno in questo mondo. Il "tempo" di Dio è quello in cui Egli manda i suoi servi, i profeti, a ricevere i frutti della vigna; per Matteo sembra che non si tratti di una parte, ma proprio di tutti i frutti della vigna che dunque è veramente tutta sua. Il nostro brano mette al plurale questi servi, mentre i testi paralleli di Marco e Luca descrivono al singolare ogni invio di Dio; è la storia drammatica dei profeti che tutte le generazioni d'Israele rigettano e uccidono.

Il tempo "ultimo" è il tempo del Figlio, che dunque si pone in continuità con l'invio degli altri servi, ma che insieme se ne distacca completamente sia per la persona stessa che viene inviata, sia perché questo "ultimo" invio è anche il giudizio che Dio esprime per la sua vigna.

Ma appunto per questi motivi la sensibilità negativa dei vignaioli è particolarmente acuta: "é l'Erede!" essi intuiscono, e quindi intendono che ora si pone in termini definitivi l'urgenza della scelta.

Contro la speranza del padre: "Avranno rispetto di mio figlio!" i vignaioli decidono di compiere il gesto definitivo che le precedenti violenze contro i servi del padrone hanno profetizzato: Uccidere l'erede vuol dire potersi impadronire della vigna di Dio. Siamo alle radici del mistero di Dio e dell'uomo e del contrasto tra la volontà di Dio di donarci ogni cosa e il nostro istinto a impadronirci di ciò che è suo e non nostro. Il peccato è, alle sue origini e nel suo cuore, la scelta da parte dell'uomo di preferire al dono di Dio il tentativo di rubargli quello che Lui vuole regalarci. Così, dall'invito a lavorare nella vigna di Mt.20,1 questa è la strada che il Signore ci ha fatto percorrere per farci intendere il dramma della storia e l'evento della salvezza.

Cristo è la "pietra scartata" della citazione del Salmo 117 (ver.42), è l'erede che, cacciato fuori dalla vigna (è stato ucciso "fuori" da Gerusalemme), viene messo a morte. La vigna sarà data a un altro popolo, ad altri vignaioli: questi faranno fruttificare e consegneranno i frutti. Questo non significa l'esclusione di Israele in quanto tale; infatti i sommi sacerdoti e i farisei capiscono che la parabola parla di loro e non di tutto il popolo. Si tratta della nuova comunità di discepoli che nascerà dalla Pasqua del Signore.

Il giudizio non si presenta come una sentenza pronunciata da qualcuno contro qualcuno; sarà semplicemente inevitabile che quella pietra di salvezza diventi inciampo e condanna per i nostri rifiuti verso di essa.

 

 

 

 

Mt 22,1-14                                                                                        Martedì 21 agosto 2001

 

1 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. 4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. 5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 10 Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, 12 gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Possiamo oggi ancora una volta confermarci sul valore straordinario di una lettura continua della Parola del Signore. La parabola del banchetto che apre il cap.22 e che troverà nel resto del capitolo tutto il suo svolgimento, si presenta con tutta la sua efficacia di collegamento con quanto la precede, e in particolare con la parabola della vigna che chiude il capitolo precedente, e, più globalmente, con tutta l'immagine della vigna, quindi dall'inizio del cap.20. Dunque, la vigna di ieri e il banchetto nuziale di oggi: ieri per dire una possessività rapinatrice fino all'omicidio - o al deicidio -, oggi per dire un rifiuto e un rigetto che pure vanno fino al dare la morte. E' molto interessante che ci accorgiamo che si tratta della stessa realtà, come mi sembra già nelle "noticine" di ieri accennavamo: la vigna e il banchetto dicono di fatto la stessa realtà, e cioè questa vita e questa storia che Dio ci regala. ma di tutto questo noi tendiamo a impossessarci, come dice la parabola di ieri, mentre siamo spinti a rifiutarlo se è dono e invito di Dio. Oggi queste "nozze" esprimono molto efficacemente il dono del Signore, e cioè quella vita di comunione che sola può strapparci dal dramma della solitudine che ha nella morte la sua ultima, drammatica manifestazione. Ma noi stravolgiamo la comunione in possesso; se ci è chiesto di accedervi come al supremo dono di Dio, appunto rifiutiamo, come dice la parabola di oggi

Le nozze son nozze tra Dio e l'umanità, quelle che il Figlio ha celebrato e ci ha regalato mediante il suo sacrificio d'amore, con il quale ci ha dato la sua vita. Regalandoci il suo Amore, ci ha regalato l'unica potenza capace di vincere la morte, più forte della morte. Questo è l'avvenimento supremo della salvezza, che Dio ha lungamente preparato: "Ecco, ho preparato il mio pranzo" (ver.4); "Il banchetto nuziale è pronto" (ver.8) : questa "preparazione" significa forse tutto quello che Dio ci ha donato attraverso l'Antica Alleanza con i Padri Ebrei. Ora le nozze sono pronte!

Come dicevo prima, le due parabole di ieri e di oggi sono concordi nel ricordare l'invio e il rifiuto violento dei "servi", e sono vicine nel dirci il "provvedimento" che Dio prende di conseguenza. Ieri la vigna veniva data a "un altro popolo", oggi vengono invitati al banchetto altri che non erano stati chiamati. Tale "nuova" condotta di Dio sembra promuovere una nuova "etica", dove diventa fondamentale una cosa sola : accedere, acconsentire, a questa chiamata al banchetto. "Buoni e cattivi" (ver.10), tutti sono invitati, e pare che il testo si compiaccia di sottolineare che a Dio interessa solo che accettino l'invito, tanto quanto non sembra giustificata ogni scusa per rifiutare l'invito. Si può pensare che i primi chiamati fossero i giudei - che non hanno voluto (ricordiamo quel figlio che diceva: non voglio in Mt.21,30). Come per l'invito a lavorare nella vigna di Mt.20,1-16, quello che conta è andare, magari all'ultima ora, così come adesso conta andare, anche se siamo cattivi! Manca nel nostro testo quello che, in altro contesto, dice Luca in un brano parallelo al nostro (Lc.14,15-24), e cioè che i nuovi invitati sono poveri, ciechi, storpi... Per Matteo non ci sono preferenze di questo tipo, e quindi è più forte l'unica differenza tra chi accetta e chi non accetta l'invito.

E' in tal senso che io leggerei i vers.11-14 sull'invitato che non porta l'abito nuziale. Tale abito sembra essere la nostra partecipazione-adesione alle nozze del Figlio, realtà che non ci appartiene e che si manifesta come il supremo dono di Dio, condizione della vita che ci è data solo perché ci siamo "rivestiti di Cristo" (Galati 3,27). Non avere tale abito sarebbe come pretendere che tali nozze ci appartengono, e che non abbiamo bisogno di eventi e di abiti speciali; avremmo il diritto di entrarci "nudi e crudi", così come siamo; invece possiamo entrarci perché le nozze, a lungo preparate, ci vengono donate.

 

Mt 22,15-22                                                                                   Mercoledì 22 agosto 2001

 

15 Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. 17 Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22 A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

 

Dopo la grande immagine nuziale che il Signore ci ha data con la parabola dei vers.1-14 , immagine che delinea il legame esclusivo e radicale che Gesù cerca con ogni suo fratello, sorgono domande da parte dei suoi oppositori, tendenti a metterlo in difficoltà : la domanda sul tributo nei vers.15-22 che oggi celebriamo, il tema della risurrezione nei vers.23-33, la domanda sul primo dei comandamenti nei vers.34-40. Tutto ciò per tentarlo, per provarlo. Nel testo parallelo a quello di oggi in Lc.20, 20-26 l'insidia del problema dovrebbe esporlo all'autorità e all'intervento del governatore romano. Nel testo di Matteo a me pare prevalente un problema spirituale connesso appunto all'esigenza espressa ieri di aderire radicalmente al geloso invito di Dio verso le nozze del Figlio. Se le cose stanno così, come si potranno - oppure si dovranno - adempiere quei doveri che sembrano porsi pure essi in

maniera del tutto esigente? Così sembra darsi - o per una legale esigenza della società, o per un sopruso del potere straniero - il tema del tributo a Cesare.

Mi sembra sospetta, e francamente "non cristiana", anche tutta la premessa del ver.16, che pure contiene la bella annotazione della "via di Dio" insegnata da Gesù: non mi convince cioè una certa durezza che viene attribuita all'opera del Signore. Faccio fatica ad esempio ad accettare che per svolgere la sua missione, il Signore passi con tanta violenza sulle persone!

Gesù, che ben comprende l'intenzione provocatoria del quesito, li porta a considerare che la moneta reca l'immagine (l'"ikona") di Cesare, dell'imperatore romano, e la sua iscrizione. Questo gli consente di distinguere in modo assoluto ciò che va' reso (restituito) a Cesare e ciò che va' restituito a Dio: al cuore della sua risposta sta, secondo me, appunto l'"immagine"; ciò che resta decisivo, e che anche la parabola di ieri esigeva è che a Dio si restituisca ciò che reca la sua immagine; e noi siamo "a immagine di Dio" ora pienamente per l'opera compiuta dal Cristo che del Padre è l'immagine perfetta, come si dice, per esempio, in Colossesi 1,15:"Egli è immagine del Dio invisibile". Il cristianesimo chiede ai discepoli non solo la legalità ma anche la mitezza, e, al limite, anche l'accettazione del sopruso: il modello è sempre il Cristo della Passione!

Ma ciò che non può essere tralasciato è il senso profondo della nostra vita, il suo segreto, il suo cuore: il nostro legame amante, esclusivo, con il Signore della nostra vita. A nessuno possiamo cedere il volto profondo della nostra esistenza, la "ragione" stessa del nostro esistere, si potrebbe dire - anche se a me l'espressione non piace tanto - la nostra "dignità di figli di Dio". E figli di Dio noi rimaniamo anche nell'abiezione di un Lager. Per questa immagine di Dio che è in ogni persona noi consideriamo di supremo, divino

valore, anche l'esistenza umana più piccola e più ferita. Siamo "gelosamente" di Dio; non possiamo essere di nessun altro e di nessuna altra cosa.

 

Mt 22,23-33                                                                                     Giovedì 23 agosto 2001

 

23 In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c'è risurrezione, e lo interrogarono: 24 «Maestro, Mosè ha detto: Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza al suo fratello. 25 Ora, c'erano tra noi sette fratelli; il primo appena sposato morì e, non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello. 26 Così anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. 27 Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. 28 Alla risurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l'hanno avuta». 29 E Gesù rispose loro: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio. 30 Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. 31 Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: 32 Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi». 33 Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina.

 

In qualche modo simmetrico al brano di ieri, quello di oggi ci ricorda subito che questa seconda "delegazione" di obiettori si presenta da Gesù nello stesso giorno; contro la radicalità dell'invito nuziale, ieri erano farisei e erodiani a portare le buone ragioni del potere mondano e del suo porsi in modo prepotente fino all'idolatria, oggi sono i sadducei, "i quali affermano che non c'è risurrezione"(ver.23), a presentare l'obiezione, ben più profonda e irreversibile, della morte. Va bene l'amore....ma c'è la morte, potere assoluto di separazione, di isolamento, di solitudine.

La "parabola "dei sadducei ha un tono ironico e quasi caricaturale, anche perché la ragione della legge del levirato di per sé deprime il valore dell'incontro d'amore e si afferma solo per la preoccupazione di perpetuare la vita attraverso la discendenza dei figli. Infatti, la conclusione si presenta artificiosa e di stile maschilista con la domanda "...di quale dei sette sarà la moglie? poiché tutti l'hanno avuta"(ver.28).

Il fascino e la bellezza della risposta del Signore sta in questo legame esigente che Egli pone tra amore e risurrezione. Siccome ci ama e noi lo amiamo, non è possibile che Egli ci abbandoni alla morte! Le nozze sono eterne. sono indissolubili. Il Cantico dei Cantici diceva:" ...forte come la morte è l'amore"(Cant.8,6), ma Gesù proclama qui che le Scritture e la potenza di Dio (vedi il ver.29) proclamano che l'amore che ci lega a Dio è più forte della morte.

I vers.30-32 contengono due affermazioni molto importanti sulla risurrezione. La prima è che "alla risurrezione non si prende né moglie né marito": io penso sia bene notare che alla lettera il testo dice che i maschi "non sposano" e le femmine "non vengono sposate"; ancora le parole rivelano una connotazione maschilista, mondana, e quindi inevitabilmente "al di qua della morte". Per questo credo che anche le nozze che si celebrano sulla terra nella fede di Gesù, non sono solo e soprattutto "sposarsi e essere sposate", ma realmente significano e prefigurano il vincolo eterno dell'amore. Sempre per questo motivo, coloro che sono chiamati da Dio a glorificare il volto nuziale del battesimo, rinunciando alle nozze umane e consacrandosi all'Amore, non sono degli "zittelli", ma se mai sono in un'enfasi nuziale che già vive ora le nozze eterne che ci aspettano alla fine, senza fine. La seconda affermazione riguarda la persone stessa di Dio che è il nostro Dio e che noi abbiamo conosciuto e amiamo, secondo le Scritture e la potenza di Dio, come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. E mentre siamo qui a strimpellare le nostre noticine sull'infernale macchinetta noi siamo vivi; ma Dio è il nostro Dio, di noi che in questo istante siamo ancora vivi, perché è prima di noi il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: dunque anche loro sono vivi. E lo sono affinché Dio possa essere il loro Dio.

Dunque: l'amore è la "ragione" della risurrezione!

 

Mt 22,34-40                                                                                     Venerdì 24 agosto 2001

 

34 Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». 37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

Nel nostro brano di oggi, la domanda fatta a Gesù si pone in continuità con le due precedenti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione: mi pare che l'intenzione dell'evangelista sia quella di farci procedere in un crescendo fino alla domanda di oggi, e alla domanda che il Signore domani rivolgerà ai suoi interlocutori farisei.

Anche oggi la domanda è posta con l'intenzione di provocare una difficoltà, di mettere alla prova. Peraltro era consuetudine che i maestri (rabbi) tracciassero una specie di gerarchia tra i molti precetti della Legge, secondo la loro esperienza spirituale; si può considerare in tal senso una preghiera come il Salmo 14(15) che chiedendosi chi abiterà nella tenda del Signore, cita un certo numero di comandamenti, ponendo per primo "colui che cammina senza colpa" e poi il seguito. La connessione tra questa domanda e la precedente è esplicitata all'inizio, dicendo che il Signore aveva chiuso la bocca ai sadducei.

Notiamo subito che il dottore della legge gli chiede quale sia "il" più grande comandamento. Gesù risponderà affermando con forza - e qui sta la punta del nostro brano - che il più grande non è uno, ma due comandamenti. E' interessante che , citato il primo, Gesù subito afferma, secondo la grande tradizione veterotestamentaria, che "questo è il più grande e il primo dei comandamenti"(ver.38), ma subito aggiunge che "il secondo è simile al primo"(ver.39). Ora, bisogna sottolineare con forza che si vuole dire una verrà identità, non una certa somiglianza; d'altra parte non si può dire che sono identici, perché sono diversi: perdonate la mia pedanteria, ma questo è fondamentale; lo è per il mistero stesso di Dio come Gesù ce lo ha rivelato nella sua relazione con il Padre e lo Spirito Santo; lo è in questi due comandamenti che da Gesù in poi non si possono più citare separatamente l'uno dall'altro; e lo è per tutta la forza del cammino che stiamo facendo nel Vangelo per scoprire il volto nuziale della nostra vita. A conferma di ciò, con audacia straordinaria, il Nuovo Testamento talvolta cita il "minore" dei due per citarli tutti e due; ad esempio Galati 5,14 dice: "Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso". Questo comandamento, presente nella Legge antica (Levitico 19,18), ma certamente "minore", ormai è intimamente e inscindibilmente connesso con il primo e più grande dell'amore di Dio.

Dio si è fatto assolutamente "prossimo" in Gesù, la nostra relazione con Lui è ora pienamente nuziale, Lui e noi siamo una cosa sola, l'incontro con il nostro "prossimo" è totalmente immerso nell'evento nuziale del nostro incontro con Lui.

Al ver.40 Matteo afferma che "da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti"; ma alla lettera direbbe "in questi due comandamenti pende tutta la Legge e i Profeti", dove questo "pendere" si riferisce nel Nuovo Testamento quasi sempre al Signore che è "appeso " alla Croce. Questo ci porta a pensare che il Signore vuol dirci che il suo sacrificio d'amore raccoglie in sé ogni precetto della Legge; e anche che tutta la Legge è ormai "appesa", cioè in certo modo "morta", per lasciar "risorgere" l'unico- duplice precetto dell'Amore, che a sua volta non è tanto un precetto, ma piuttosto il Dono di Dio, la nostra comunione nuziale con Lui e tra di noi.

 

Mt 22,41-46                                                                                       Sabato 25 agosto 2001

 

41 Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42 «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43 Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:

44 Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,

finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

45 Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46 Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.

 

Questo capitolo, iniziato con la grande parabola dell'invito alle nozze e seguito dalle tre domande a Gesù sul tributo a Cesare, sulla risurrezione dei morti e sul comandamento più grande, si chiude oggi con due domande di Gesù ai farisei, domande che restano tali per tutte le generazioni, e quindi decisive per noi oggi.

Entrambi le domande inviano alle Scritture e alla fede di Israele: la prima, al ver.42, riguarda la figliolanza del Cristo. La risposta dei farisei, tratta da molti testi biblici - per cui è figlio di Davide - provoca la seconda domanda di Gesù : "Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo...." e cita il Sal.109(110), e conclude: "Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?"(ver.45).

Mi sembra importante connettere le "due" domande ai "due " comandamenti dell'amore del brano di ieri, così lontani tra loro nella tradizione del Vecchio Testamento (non in se stessi, ma per l'abisso che separa in ogni modo Dio e il prossimo, il mio fratello...)

e da ieri , cioè da Gesù, così assolutamente inscindibili. Anche le due domande che Gesù oggi pone a tutti noi sono assolutamente inscindibili, pur dando due risposte, o almeno orientando a due risposte non componibili razionalmente, ma neppure per la tradizione dei padri Ebrei : il Messia, cioè, è figlio di Davide; ed è Figlio di Dio. In Lui il cielo e la terra, Dio e l'uomo, si sono pienamente incontrati e sono inscindibilmente insieme, in un'alleanza nuziale eterna.

Le due domande del Signore restano come "sospese", non solamente nel nostro brano, ma anche nel nostro spirito. Provo a spiegarmi: Non usciamo dalla Scrittura con due risposte, ma con due domande! E in più, con l'affermazione del ver.46 : "nessuno era in grado di rispondergli nulla ; e nessuno , da quel giorno in poi, osò interrogarlo". Né gli rispondiamo, né lo interroghiamo: ma è Lui che perennemente, per tutte le generazioni cristiane, in ogni versetto della Scrittura, e in ogni istante della storia , ci rimette davanti a queste due domande di Cristo su Cristo. Il grande "problema" di ogni cuore e di ogni storia è Cristo. Ma non sarebbe stato meglio che invece di lasciarci due domande - o meglio un'unica immensa domanda - ci avesse lasciato una risposta?

NO, no, no! e per due motivi: Il primo è che, se la nostra unione con Lui è nuziale, deve essere libera, amante, e dunque deve essere un nostro sempre libero "sì": La seconda è che se ci avesse dato semplicemente una risposta, l'avremmo più facilmente isolata e chiusa in sé stessa, come un dato della realtà. Invece il Cristo, uomo e Dio, è la domanda che incessantemente si apre nella storia, perché incessantemente il dono cristiano sia cercato, chiesto, ricevuto, accolto, amato e fatto fiorire in ogni spazio e in ogni tempo. Ma qual è il Dono? Che da Gesù in poi, anche nella più piccola e nella più ferita esistenza dell'uomo, è presente e vuole fiorire e crescere la persona stessa di Dio.

 

Mt 23,1-8                                                                                           Lunedì 27 agosto 2001

 

1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli.

 

La forza del nostro brano, come di tutto questo capitolo 23, si coglie pienamente tenendolo collegato a quanto il Signore ci ha detto fin qui: La nostra vita nuova a partire dalla persona e dalla presenza di Gesù, della sua Parola e della sua opera in mezzo a noi. E' molto importante avere ben presente il rischio di staccarsi da questo dato essenziale, per ricadere in interpretazioni mondane della fede. Da tale rischio non sfugge la vicenda dei padri Ebrei , e tra loro vengono qui segnalati gli "scribi", cioè gli esperti delle Scritture, e i "farisei", cioè i "devoti", quelli che vivono nella preoccupazione e nella presunzione di attenersi in modo scrupoloso ai dettami della Legge. Come si vede, non si può dire che si tratti di persone malvagie: conoscere la Bibbia e voler vivere rettamente non si può dire che è male. Il rischio e il dramma stanno nello smarrire il nucleo vitale della fede, che è la salvezza che Dio ci dona stabilendo con noi un vincolo d'amore nuziale; Parola e vita morale sono gli spazi e le vie in cui tale vincolo si compie; ma solo Dio stesso ci dona e custodisce in noi il suo mistero di salvezza e di amore.

Oggi Gesù, nei vers.2-3, ci chiede di fare - ed è richiesta di grande umiltà - una distinzione, che è inevitabile e necessaria in quanto "sulla cattedra di Mosè" si sono appunto seduti gli scribi e i farisei che purtroppo rappresentano una deviazione dalla retta fede, come abbiamo tentato di accennare più sopra. Allora bisogna seguire quanto dicono, ma non fare "secondo" le loro opere, perché dicono e "non fanno". Ho messo delle segnalazioni al "secondo" e al "non fanno", perché, malgrado il versetto 4, non penso che si possa dire semplicemente che comandano ma poi loro non fanno niente. Mi sembra che il problema sia più sottile e profondo, e riguardi piuttosto l'intenzione globale e profonda del loro agire: "per essere ammirati dagli uomini". Il sospetto terribile è che forse Dio sia assente di fatto nell'orizzonte del loro pensare e del loro fare, e che il rischio sia quello di un tentativo di autodivinizzazione, e quindi quello di una competizione di potere: posti d'onore, primi seggi, saluti e titoli ("rabbì").....

Il pericolo è sottile e può andare oltre le nostre intenzioni di partenza; si può sempre insinuare; i discepoli di Gesù non ne sono esenti: per questo la memoria evangelica di Matteo si diffonde a lungo sui vari aspetti del problema.

Emerge subito una prima indicazione positiva: il rifiuto di farsi chiamare "rabbì" per la grande e gioiosa certezza della presenza dell'unico Maestro in mezzo a noi; e la meravigliosa constatazione che siamo tutti fratelli. Che bello!

 

Mt 23,9-12                                                                                        Martedì 28 agosto 2001

 

9 E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

 

Mi sembra di capire che l'invito del ver.9 a non chiamare nessuno "padre" (il testo aggiunge "vostro") sulla terra, sia una grande prudenza del Signore verso la nostra condizione di peccatori. Infatti ho visto che l'attributo dato qui per indicare il Padre da chiamare, "celeste", cioè, come dice l'italiano, "quello del cielo", è presente nel Vangelo secondo Matteo sempre con una nota caratteristica, quella della misericordia, della compassione. Sembra quindi che solo quel Padre del cielo possa essere sicura protezione per la nostra miseria.

Possiamo poi notare che Gesù sottolinea, sia per il Padre, al ver.9, sia per il Cristo al ver.10, l'attributo dell'unicità: uno solo! Questo è il principio dell'unificazione e della semplificazione della nostra vita e del nostro cuore: non perché noi siamo capaci di "fare sintesi" dei nostri pensieri e delle nostre azioni, ma per il nostro riferimento al Padre e al suo Figlio Gesù Cristo. E' la più efficace potenza e salvaguardia verso l'idolatria alla quale siamo continuamente esposti.

Il termine "maestri" e "Maestro" del ver.10 significa piuttosto "guida", titolo dunque di grande umiltà perché dice il riferimento a un Altro verso cui veniamo condotti: così è Gesù che ci conduce al Padre, diversamente dai molti maestri di questo mondo che attirano piuttosto a se stessi.

 

Mt 23,13-15                                                                                   Mercoledì 29 agosto 2001

 

13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 14 ... 15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.

 

Lasciamo oggi il discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli e alle folle e entriamo nell'invettiva polemica che Egli riserva agli scribi e ai farisei, per indurli a conversione. L'attributo ricorrente dato a loro è di "ipocriti": non si tratta semplicemente di un atteggiamento di insincerità, ma di una dimensione più profonda dello spirito; siamo ipocriti quando non ci riconosciamo destinatari del giudizio di Dio, ma, quasi fossimo "a posto", lo rivolgiamo agli altri, magari facendoci loro maestri. Questo falsa radicalmente la via della salvezza che il Signore ha preparato per noi e per tutti quelli che noi potremmo rendere partecipi dello stesso dono, a patto di sentirci come loro gratuitamente visitati e salvati dalla misericordia di Dio.

Perché scribi e farisei "chiudono" il regno dei cieli? Può essere utile riprendere da principio il cap.18 dove i bambini sono indicati come le persone adatte a entrare in questo regno: essi sono in certo senso l'opposto di scribi e farisei che pretendendo di entrarci con la loro grandezza, le loro forze e i loro meriti, in realtà non ci entrano, ne restano esclusi, e, ancor peggio, trasmettendo la loro dottrina, impediscono ad altri di entrarvi; perché, ricordiamolo, nel regno si entra perché il Signore ha compassione di noi, e non perché ne siamo capaci, o ne abbiamo diritto. Quando Pietro ha ricevuto la chiave del regno, al cap.16, ha ricevuto il ministero della misericordia di Dio. Ma se tale ministero non viene esercitato, oppure non viene accolto....

Il ver.15 segnala l'assurdo dello sforzo farisaico di fare proseliti, per poi gettarli in una strada senza speranza e piena di aspra tristezza.

 

Mt 23,16-22                                                                                     Giovedì 30 agosto 2001

 

16 Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19 Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? 20 Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.

 

Abbiamo già ascoltato dal Signore un insegnamento importante e radicale circa il tema del giuramento: in Mt.5,33-37 veniva detto esplicitamente di non giurare mai, scegliendo piuttosto di legare ogni parola alla relazione ormai viva e piena con Dio in Gesù Cristo: "il vostro parlare sia sì, sì; no, no: il di più viene dal maligno". Oggi Gesù entra con più discorsività nella tradizione giudaica, ma non con meno decisione; anzi le parole di oggi arricchiscono quell'insegnamento dato in precedenza.

La "cecità" è l'accusa che più volte viene ribadita. Quando al ver.16 dice "guide cieche", si può ricordare che al ver.10 ci chiedeva di non avere altri "maestri" (ma il significato del termine era piuttosto quello di "guide", e il termine di allora conteneva la stessa radice verbale di quello usato oggi, cioè il verbo "condurre") al di fuori del

Cristo. Pretendono dunque di essere guide, ma sono guide cieche e quindi non guidano verso nessuno e niente.

Ed è appunto questa assenza di ogni riferimento personale che mi sembra più evidenziata: in contrasto con l'ingiunzione del Cap.5 di parlare sempre e solo come davanti a Dio, i fragili insegnamenti farisaici sembrano proclamare la solitudine dell'uomo, e quindi la negazione della fede che ha come suo cuore il dono della relazione con Dio, ormai pienamente attuata in Gesù. Si ragiona su cose e luoghi, senza che tali realtà abbiano più un riferimento al Signore. Per questo, il ver.22 sembra voler riaffermare che non ci si riferisce in modo significativo a un luogo o a un oggetto, se non per la "presenza" che esso esprime e contiene.

In sostanza solo la nostra comunione con il Signore è garanzia della verità della nostra vita e dei nostri impegni. Altrimenti sembra inevitabile ricadere nelle prigionie delle nostre superstizioni e delle nostre cupidigie.

 

Mt 23,23-28                                                                                     Venerdì 31 agosto 2001

 

23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!

27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.

 

L'invettiva contro gli scribi e i farisei induce oggi il Signore a darci una sintesi straordinaria della struttura privilegiata del nostro legame con Lui. Dice infatti al ver.23 quali sono "le prescrizioni più gravi della legge": questa espressione si potrebbe rendere anche con "le cose più profonde della legge" si può pensare cioè che la legge non ci dia solo prescrizioni, ma, attraverso queste, le linee fondamentali del nostro rapporto con Dio; infatti la "Legge" non è , come per noi è istintivo pensare, solo un codice etico o giuridico, ma è anche rivelazione, e anche luogo d'incontro tra Dio e i suoi figli. Questi elementi principali sono "la giustizia, la misericordia e la fedeltà": anche qui io mi permetterei di precisare i termini in questo modo: "il giudizio, la misericordia e la fede". Così mi sembra che con queste tre parole Gesù ci ricordi che la via della salvezza inizia quando il Vangelo "giudica" la nostra vita, non per la condanna, ma in vista della salvezza: questa è generata e vive della misericordia del Signore; e si svolge nella nostra nuova vita nella fede, e quindi non più soli, ma in comunione con Lui. Queste, dice dunque Gesù, sono le dimensioni da cercare e custodire in modo privilegiato "senza omettere quelle": nel senso che ogni altra "prescrizione" ci è data come via per vivere quegli elementi portanti della nostra salvezza. Anche il più piccolo precetto ci è prezioso, ma tale preziosità si perde se viene a mancare il suo collegamento necessario con le realtà fondamentali del giudizio, della misericordia e della fede.

E' molto importante anche l'insegnamento che riceviamo dal ver.26: la purificazione dell' "interno" purifica anche l'esterno; contrariamente al nostro istinto che ci porta a rendere "presentabili" soprattutto le dimensioni esterne, visibili, della nostra persona e della nostra vita (si pensi anche all'immagine successiva sui "sepolcri imbiancati"!), Gesù ci riporta all'essenziale del nostro mondo interiore e, appunto, ci dice che l'attenzione agli elementi più profondi della nostra vita di fede è il vero modo per rendere luminose e positive anche le dimensioni più esterne della nostra persona e dei nostri comportamenti.

 

Mt 23,29-36                                                                                     Sabato 1 settembre 2001

 

29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!

33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare. 36 In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione.

 

Un grande tema-problema avvolge il nostro brano di oggi: il rapporto tra profezia e tempo. Gesù ce ne parla citando i sepolcri che vengono eretti e adornati per i profeti del passato; con un simile gesto si pensa di riparare al misfatto compiuto dai padri che li hanno perseguitati e uccisi, e che in ogni modo non li hanno riconosciuti e accolti, ma in realtà si colma "la misura dei padri"!

Infatti è essenziale accogliere i profeti nel tempo in cui Dio li manda, perché essi hanno il compito di risvegliare e di correggere l'atteggiamento del popolo nei confronti del Signore proprio nelle circostanze e per le ragioni concrete e impellenti che caratterizzano quella specifica condizione storica. Il ver.30 dice ironicamente l'impossibile ipotesi di questi figli degli uccisori, che oggi dicono che non si sarebbero comportati come i loro padri se fossero vissuti ai loro tempi.

Certi passaggi della versione in lingua italiana non mi sembrano convincenti: il ver.33 dice "come potrete scampare dalla condanna della Geenna?": a me sembra meglio tenere una versione del tipo "come sfuggirete al giudizio della Geenna?". Il ver.36 dice "tutte queste cose ricadranno su questa generazione"; mi sembra meglio rendere con "tutte queste cose accadranno , o verranno, a questa generazione". Cerco di spiegare le ragioni di tale scelta.

Nei vers.34-35 Gesù dice che Egli stesso manderà profeti, sapienti e scribi, e questi subiranno la stessa sorte di chi li ha preceduti nell'Antica Alleanza. Dunque: un male inevitabile? Di certo non si può dire. Tuttavia c'è un'osservazione del tutto doverosa, che qui viene sottilmente ma chiaramente accennata. Tutto il sangue dei profeti versato dal principio alla fine della storia è come raccolto in una misteriosa unità: essa si compie e si realizza nel sangue dello stesso Signore. Anche a questa generazione, quindi, accadrà tale dramma, come forse a tutte le generazioni dei "credenti": come cita l'evangelista Giovanni dal profeta Zaccaria (Zac.12,10), "Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto"(Giovanni19, 37).

Se dunque il rifiuto e l'eliminazione dei profeti e di Colui che essi hanno annunciato è misfatto terribile, non c'è peraltro nessuno che possa pensare di non essere partecipe dell'uccisione del Cristo di Dio e quindi di tutti coloro che l'hanno preceduto o seguito come suoi araldi privilegiati.

 

Mt 23,37-39                                                                                    Lunedì 3 settembre 2001

 

37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38 Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

 

Questi tre ultimi versetti del cap.23 portano un'improvvisa dilatazione con il passaggio dagli "scribi e farisei ipocriti" che sono stati gli interlocutori di Gesù fin dal ver.13 alla città stessa di Gerusalemme, che qui a sua volta mi sembra rappresenti l'intero popolo dei figli d'Israele, e , per estensione, l'attuale popolo del Signore. Dunque, il cap.23 ha tre interlocutori. Nei vers.1-12 Gesù si rivolge "alla folla e ai discepoli", poi a scribi e farisei, e infine appunto a Gerusalemme: se riflettiamo un momento, avremo la convinzione di essere ciascuno e tutti partecipi di tutti e tre questi interlocutori.

Oggi "Gerusalemme, Gerusalemme" sembra rappresentare il popolo amato da Dio ma non disposto a coglierne l'invito per lasciarsi convocare dalla sua opera di salvezza. Ciò è avvenuto nel passato come abbiamo visto bene nella parabola di Mt.21,33-44 , e avviene con Gesù ( è forse Lui in modo privilegiato l"Inviato" che vogliono lapidare, perché così vengono puniti i bestemmiatori, e Lui si proclama Figlio di Dio), e potrà non più avvenire solo quando Gesù sarà riconosciuto come "colui che viene nel nome del Signore" (ver.39)..

L'immagine splendida della gallina e dei pulcini sottolinea il termine e l'attenzione più forte del nostro brano, che è il "raccogliere", il desiderio del Signore di raccogliere i figli. Notiamo questa "distinzione" tra Gerusalemme e i suoi figli; e anche l'ulteriore passaggio - o ritorno - a quel "voi" che forse tornano a essere gli scribi e i farisei. Dunque, si può dire che Gesù ha davanti a sé quei "figli" ai quali si rivolgeva nei primi 12 versetti del capitolo; ha davanti a sé Gerusalemme come la realtà amata e violentemente avversa ("uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati"); e infine ha davanti a sé gli scribi e i farisei che sono i maggiori colpevoli del rifiuto di Gerusalemme.

 

Mt 24, 1-14                                                                                    Martedì 4 settembre 2001

 

1 Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2 Gesù disse loro: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata».

3 Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo».

4 Gesù rispose: «Guardate che nessuno vi inganni; 5 molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. 6 Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; 8 ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori. 9 Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10 Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. 13 Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. 14 Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine

 

Accorgiamoci subito che il nostro brano si svolge tra l'ammirazione dei discepoli al ver.1 per le costruzioni del tempio alla prospettiva dell'annuncio del vangelo in tutto il mondo annunciata da Gesù. Il tempio, pur nella gloria della storia che esso rappresenta, non si può considerare il punto d'arrivo della storia, ma se mai la pienezza di un'economia di preparazione e l'inizio di un ultimo cammino verso "la fine".

Anzi, il tempio "deve" essere distrutto, noi sappiamo, per essere sostituito dal tempio nuovo che è il Signore stesso e la comunità credente che si raccoglierà intorno a Lui.

Alla domanda dei discepoli al ver.3, quando si trovano con Gesù sul monte degli Ulivi, e quindi di fronte alle costruzioni del tempio, Egli risponde con un discorso che possiamo forse considerare in due passaggi: i vers.4-8 e i vers.9-13. Il ver.14 è la conclusione di questa prima parte dell'insegnamento di Gesù sulla fine dei tempi e il suo ritorno glorioso.

I vers.4-8 ci parlano, come dice al ver.8, dell'"inizio dei dolori";

: il termine "dolori" usato qui fa riferimento ai dolori del parto, alle doglie; si tratta quindi di un dolore positivo, in vista della vita e non della morte. Ciò non toglie che si tratti di passaggi molto severi: Il rischio dell'inganno da parte di falsi Cristi, guerre e sollevazioni di popoli, carestie e terremoti diffusi (sembra di leggere il Corsera!); tutto ciò "deve" avvenire: credo sia la partecipazione della storia alla passione del Cristo! Ma non si possono scambiare questi "travagli" con la fine.

I vers.9-13 dicono quale sarà la sorte dei discepoli e i rischi per la loro fede e la loro carità. Ma soprattutto, al ver.13, dice in quale modo ci si salverà: il nostro testo dice "chi persevererà fino alla fine", ma alla lettera e più efficacemente, si potrebbe rendere con "chi pazienterà verso la fine", cioè che vivrà pazientemente le vicende della storia continuando a sperare nella fine (non a avere paura di essa!).

Finalmente, al ver.14, Gesù annuncia la predicazione del Vangelo in tutto il mondo: allora verrà la fine; e questo perché allora veramente, e non con il vecchio tempio, la storia giungerà al suo esito supremo.

 

Mt 24,15-28                                                                                 Mercoledì 5 settembre 2001

 

15 Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda -, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, 17 chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18 e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 19 Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. 20 Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato.

21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati. 23 Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. 24 Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l'ho predetto.

26 Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete. 27 Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 28 Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi.

 

Mi pare ci sia un necessario criterio di interpretazione di questo brano, e in generale di tutti i testi "apocalittici": non si tratta di "prevedere" tempi drammatici, ma di "accorgersi" dei tempi in cui viviamo, e non per analisi catastrofiche fatte da noi, ma per il semplice contatto con la Parola di Dio. Noi viviamo in tempi "apocalittici" per il semplice e assoluto fatto che il tempo si è compiuto con la venuta e la presenza di Gesù Cristo in mezzo a noi. Porrei dunque al centro del nostro testo la "tribolazione grande" del ver.21: si tratta della passione stessa del Signore, nella quale passano, per la fede e le opere dei cristiani e non solo di loro, tutta la storia e tutta la creazione. Il male e il bene ci sono sempre stati, ma la presenza tra noi del Signore evidenzia in modo enfatico sia l'uno che l'altro. E d'altronde ci dicono che ogni tribolazione è affacciata sulla gloria della risurrezione.

Così, al ver.15, il vedere "l'abominio della desolazione...stare nel luogo santo" è la percezione ormai profonda e drammatica di ogni adesione idolatrica a ciò che non solo non è Dio, ma è intimamente male, come per esempio la sottomissione "religiosa" a poteri e ideologie mondane e perverse. Non occorre andare lontano per vedere come ci si può inchinare a regimi e a ideologie perversi.

Allora tutto l'insegnamento del Signore si orienta verso atteggiamenti di sapienza, di umiltà e di fortezza. Ecco dunque il dovere di "fuggire", al ver.16, per custodire l'eredità preziosa che ci è stata affidata non solo per noi, ma per l'intera umanità. Ma, nello stesso tempo, il comando di "stare fermi, di non distrarsi", e quindi di non lasciarsi trascinare verso preoccupazioni e azioni minori (prendere la roba, prendersi il mantello) come dicono i vers.17-18.

Il discepolo del Signore deve essere consapevole che ogni situazione delicata e impegnativa, come la generazione e la crescita, (ver.19), sono eventi delicati e più grandi delle nostre forze, e non possono essere interpretati e vissuti come puramente "naturali". Perciò la sua vita e la sua preghiera non saranno temerarie ma umili e consapevoli della sproporzione tra le poche forze che abbiamo e la storia che ci è assegnata (ver.20).

La presenza e la vita degli eletti - cioè dei piccoli discepoli del Signore - affretterà il termine finale della storia, e cioè il ritorno glorioso del Signore; e questo non solo in senso generale e cosmico, ma anche per la consolazione e la speranza che la testimonianza di Gesù comunica fin da ora al mondo intero (pensate a Papa Giovanni o a Madre Teresa di Calcutta....), confermando i cuori che il Signore è vicino ai suoi poveri figli.

I vers.23-26 sono per dire di "non cascarci", cioè di non farci ingannare dai molti bugiardoni che vedono prodigi e promettono miracoli di qua e di la: il vero unico miracolo è il Signore, nello splendore del suo Vangelo e nella potenza della Santa Liturgia, e della Carità che da esse scaturisce.

Il piccolo proverbio finale sul cadavere e sulle aquile è per rassicurarci che anche il brano di oggi non è difficile da accogliere e da intendere, perché sempre il mistero del Signore ha una sua evidenza che con un po' di pazienza e con molta grazia da parte sua si manifesta con semplicità, soprattutto ai semplici (cioè non a me!).

 

Mt 24,29-35                                                                                   Giovedì 6 settembre 2001

 

29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.

30 Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. 31 Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.

32 Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 33 Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte. 34 In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada. 35 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

 

La "tribolazione grande" che ieri era il cuore di tutte le immagini e gli annunci che il Signore ci affidava, oggi, al v. 29, si presenta il suo superamento: "subito, dopo la tribolazione di quei giorni". Abbiamo la possibilità e la gioia di ricevere questo annuncio come celebrazione cosmica della Pasqua del Signore: la Croce è "verso" la Resurrezione; ma questo evento supremo della storia è il principio della nuova creazione dove tutto "passa" dalla tribolazione alla gloria.

Sole, luna, astri e potenze del cielo non sono divinità ma umili "segni" di colui che deve venire Gesù Cristo: il loro tramonto significa ormai che il segno lascia il passo alla realtà. Se come segni devono "diminuire" perché Egli cresca, come "idoli", come oggetti di adorazione pagana, come realtà puramente naturali senza riferimento al Creatore e al Salvatore, devono cadere. E' il giudizio contro ogni idolatria antica e attuale. Il sole e tutto il resto sono bellissimi e importantissimi come creature che lodano Dio; e non di più.

Risplende ormai il segno del Figlio dell'uomo, la Croce e ogni dimensione della creazione e della storia che celebri e manifesti l'amore di Dio compiuto in Gesù e nella sua Pasqua. La "venuta" del Signore provoca il pentimento di tutta l'umanità che verrà in Lui quale sia la vera potenza - la potenza dell'amore - e la vanità assoluta dei cattivi poteri del mondo ai quali si è asserviti (v.30).

Viene convocata (v.31) la grande, universale assemblea degli eletti: di essa, anche la nostra modesta convocazione alla Dozza, un Messa per quattro gatti, è celebrazione piena ed efficace.

La parabola del fico e la sua spiegazione, ai v. 32-34, interpreta la storia che in questi giorni Gesù ci presenta nel suo intreccio di drammi e di attese, come realtà da leggere e interpretare nella assoluta speranza della Pasqua: tutto è portato dalla morte alla vita. Questa è l'opera del Signore.

Al v.35 Gesù ci dice che possiamo sapere con certezza di tutta questa realtà chiamata a "passare", perché c'è una realtà assoluta, che avvolge tutto dal principio alla fine: la parola che lui ci regala ogni giorno.

 

Mt 24,36-44                                                                                   Venerdì 7 settembre 2001

 

36 Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.

37 Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.

42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.

 

Il brano che oggi il Signore ci regala presenta un tema ancora di massimo rilievo: la venuta del Figlio dell'uomo (ver.37), e con esso il tema del sapere - non sapere quando questo avverrà; dunque avverrà certamente, ma non sappiamo quando. Il ver.36 pone un'affermazione delicatissima: noi non lo sappiamo, ma nessuno lo sa, neppure il Figlio. Se c'è qualcosa che il Figlio non ha ricevuto dal Padre, questo stabilisce dunque un'inferiorità del Figlio rispetto al Padre? Tanto più che noi abbiamo già sentito da Lui :"Tutto mi è stato dato dal Padre mio..."(Mt.11,27). Ebbene, che il Figlio "non sappia" è importantissimo per noi che lo abbiamo come maestro e che vogliamo vivere nella sua stessa relazione con il Padre, come Lui stesso chiede per noi al Padre (vedi Giovanni 17); a questo proposito devo dire che non sempre mi convince il fatto che sempre in italiano si traduce con "fede in Gesù" l'espressione originale "fede di Gesù", nel senso che noi non solamente abbiamo fede in Lui, ma abbiamo la sua stessa fede, cioè la fede "di" Lui. Ora, questo "non sapere" del Figlio cela il segreto del vero "sapere" sia del Figlio, sia di noi, in contrapposizione a un modo sbagliato di voler sapere, tipico dei demoni. Il Figlio, infatti, e dunque anche noi per il dono della fede, "sappiamo" perché ciò che sappiamo lo riceviamo da Dio, non perché ci impossessiamo da soli di un certo sapere; e questo vale per tutto, anche per ciò che abbiamo e addirittura per ciò che siamo: tutto quello che il Figlio è, ha, e sa, tutto è da Lui ricevuto dal Padre, nulla è "autonomamente "suo", né tantomeno è "rubato" da Lui, come invece è stato il maligno consiglio che l'Antico Serpente ha dato ai nostri progenitori. Ho consumato tutto questo spazio perché ciò costituisce il cuore del nostri brano: il "non sapere" del Figlio e da parte nostra, è questa nuova e straordinaria via del "sapere" che consiste nel ricevere ogni "sapienza" da Dio, come dono.

Tale era la conoscenza che Noè aveva del mistero della storia e del giudizio di Dio (vers.37-39): coloro che non avevano ricevuto la rivelazione di Dio vivevano come se nulla di nuovo o di particolare dovesse accadere ("mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito"); Noè invece, costruiva una barcona ....all'asciutto!! Dove il nostro testo dice "non si accorsero di nulla"(ver.39), alla lettera e più incisivamente direbbe "non conobbero" o "non seppero": vivevano senza quella sapienza-conoscenza che viene dalla fede, cioè dal dono di Dio; anche Noè non sapeva "quando" sarebbe venuto il diluvio, ma viveva preparandosi a quell'evento che sapeva da Dio stesso sarebbe avvenuto. Passando al termine di paragone nei vers.40-41, Gesù in certo senso modifica e insieme approfondisce quanto ci diceva attraverso l'esempio di Noè: la condizione nuova e straordinaria della fede non ha di per sé una sua visibilità clamorosa, ma costituisce l'intimo segreto di una vita completamente nuova; per questo può darsi che due uomini sembrino assolutamente uguali - o due donne -, ma di fatto uno sarà preso e l'altro lasciato, perché in realtà la loro vita e la loro condizione saranno diversissime per come le hanno interpretate e vissute.

Dopo l'imbarazzante paragone tra il Signore che viene e il diluvio dei tempi di Noè, Gesù ne introduce un secondo (vers.42-43) ancora più singolare: il Signore questa volta è paragonato a un ladro che viene nella notte, ma non si sa a che ora verrà. Siccome non lo sa, il padrone, sbagliando, non vigila. Invece, non sapendo, dovrebbe vigilare sempre! Tale vigilanza ininterrotta viene tradotta da Gesù nel comando di essere pronti: "state pronti!" leggiamo al ver.44.

A questo punto proviamo a trarre le conseguenze ultime e pratiche di tutto ciò. Innanzi tutto, non sapendo l'"ora", siamo invitati a fare della vigilanza l'atteggiamento di tutta la nostra vita: non facciamoci sorprendere dall'"0ra", ma viviamo sempre come in quell'"0ra". D'altronde, simile atteggiamento toglie dalla vigilanza cristiana ogni nota di emergenza e di ansietà, ma la trasforma in un'attenzione a vivere bene, positivamente, soprattutto nella carità, ogni tempo e ogni fatto della nostra vita. Addirittura, all'ansia verso il giudizio va sostituita l'attesa fiduciosa e forte della venuta del Figlio.

 

Mt 24,45-51                                                                                   Lunedì 10 settembre 2001

 

45 Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? 46 Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! 47 In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni. 48 Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, 49 e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, 50 arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa, 51 lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti.

 

E' bene portare la nostra attenzione sull'espressione che in italiano è resa con "al tempo dovuto"; di per sé non è presente nel testo l'attributo "dovuto", né si tratta di espressione adeguata, ma il termine greco è, particolarmente qui, intraducibile. Serve in ogni modo per sottolineare che questo "tempo" è veramente speciale. Perché? Innanzi tutto perché è "il tempo del Signore": infatti da quando Lui è venuto tra noi il tempo è radicalmente cambiato, nel senso che Lui è la direzione, il significato e il vero contenuto del tempo; è quello che i contemporanei di Noè non avevano colto e per questo continuavano a vivere come se niente stesse succedendo (Mt.24,37-39).

Essendoci dunque una specie di "identificazione" tra Cristo e il tempo, diventa decisiva l'interpretazione che noi diamo del tempo. E' molto interessante che il servo - sembra trattarsi sempre della stessa persona - al ver.45 è "fidato e prudente" e al ver.46 viene detto "beato", mentre al ver.48 viene definito "malvagio"; ora, si ha l'impressione che la diversità radicale delle due condizioni sia legata proprio a questa interpretazione del tempo: dare il cibo ai domestici "al tempo dovuto" e così essere trovato dal padrone "al suo ritorno", definisce la personalità positiva del servo; al contrario, egli sarà definito "malvagio" e subirà "la sorte degli ipocriti" se pensasse a un tempo vuoto di questa presenza del suo padrone, descritta con quella considerazione "il mio padrone tarda a venire", che lo induce a "rimpadronirei" del tempo come fosse suo e non del suo padrone. In una piccola regola di vita cristiana è detto che "il tempo non è nostro, ma di Dio e della Chiesa", interpretando perfettamente quello che tentiamo di dire.

I vers.50-51 stabiliscono il contrasto tra la serenità del tempo vissuto con umile fedeltà, un tempo di attesa e non di sorpresa, e la drammaticità di un giudizio negativo, dove il tempo di Dio, cioè l'arrivo improvviso, non aspettato e non desiderato, del Signore, evidenzierà l'atteggiamento possessivo e violento del servo che non ha servito il Signore e i suoi fratelli nel tempo, ma si è servito del tempo per farsi cattivo signore dei suoi fratelli, non facendo del tempo l'occasione della sua fedeltà e della sua attesa amante del Signore che ritorna.

 

Mt 25,1-13                                                                                    Martedì 11 settembre 2001

 

1 Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. 6 A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

 

Questa parabola, e anche la successiva dei vers.14-30, sono proclamate dal Signore senza una loro dettagliata spiegazione se non qui all'ultimo versetto, come ripresa e conferma di quanto già ci è stato detto: dunque appaiono come esplicitazioni e chiarimenti dell'insegnamento precedente. Questa parabola delle dieci vergini è propria del solo Matteo.

Il tema è esplicitamente nuziale e sottolinea che a questo sposo che viene anche noi usciamo incontro. E' un cammino di conversione, di crescita e di attesa verso di Lui. La differenza tra le cinque sapienti e le cinque stolte non si manifesta se non alla fine, e per ora la loro situazione sembra uguale, come già vedevamo per i due uomini e le due donne dei vers.40-41. L'arrivo dello Sposo sarà il momento del giudizio.

L'orizzonte in cui si svolge la vicenda fa riferimento al fatto che "lo sposo tardava" (ver.5): si tratta dunque della nostra attuale vicenda dove, accanto all'attesa di Lui, c'è un indubbio prolungamento di quest'ultima ora della storia, e abbiamo visto che il servo di Mt.24,48-51 vive male tale ritardo; qui ora si dice che per questo motivo "si assopirono tutte e dormirono" (ver.5) e il fatto non costituisce un dato negativo. La negatività consiste invece nella negligenza per la quale le cinque stolte "presero le lampade ma non presero con sé olio" (ver.3). Senza voler troppo indagare sul significato delle lampade e dei vasetti d'olio, è tuttavia evidente che dobbiamo tentare una spiegazione che sia coerente con quanto già è stato detto e con quanto seguirà, e che metta in luce il senso profondo di questa parabola.

Senza pretendere di aver ragione, sono portato a pensare che l'olio dei vasetti sia la carità, l'amore cristiano verso Dio e verso i fratelli, dono supremo che nello Spirito il Signore consegna ai suoi figli. La lampada potrebbe essere la nostra vicenda di battezzati, che deve essere sostenuta e fatta fiorire appunto con lo Spirito dell'amore. In tal caso si potrebbe capire perché le sagge non possono darne alle stolte (vers.8-9): l'amore è atteggiamento e opera che si può celebrare insieme, ma che in ogni modo è patrimonio di ogni anima. Allora i "venditori" del ver.9 potrebbero essere i poveri che anche il giovane ricco avrebbe potuto beneficare pere avere un tesoro nei cieli (Mt.19,21); per questa via incontreremo anche i "banchieri" nella successiva parabola (Mt.25,27).

Infine, si può capire che lo Sposo, che per amore ha dato la vita per noi, dica alle stolte "non vi conosco" (ver.12). Esse non avevano quello che Gesù ci ha donato e che ci fa suoi fratelli. Dunque questo breve tempo del nostra attesa del ritorno del Signore ci chiede.....di attendere anche quando non attendiamo(!!), nel senso che possiamo magari addormentarci, e cioè non essere sempre positivamente nel pensiero della fine, ma mai ci può mancare ciò che di questa fine costituisce l'essenza e lo scopo, l'amore di Dio, appunto, da Lui ricevuto come dono supremo e a Lui restituito nell'amore per Lui e per il nostro prossimo; la carità, come si legge in 1Co.13 è il supremo carisma e l'anticipazione del paradiso. Che se poi adesso Giuseppe a Messa dirà diverso, o a voi verrà in mente altro, sono ben contento di cambiare idea.

 

Mt 25,14-30                            Mercoledì 12 settembre 2001 (giorno dopo l'attentato alle due torri di New York)

 

14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24 Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

 

Devo premettere oggi due considerazioni. La prima è che il mio più grande desiderio, di fronte al dramma di ieri, sarebbe il silenzio, oppure la semplice possibilità di piangere insieme con voi: mi risolvo a proseguire in questa mia piccola obbedienza quotidiana solo perché, conscio che i fatti di ieri coinvolgono Dio stesso, non ci si può stancare nel tentativo di ricordare chi sia veramente Dio, il Padre di Gesù Cristo. L'altra considerazione riguarda noi cristiani e la responsabilità immensa che proprio il brano di oggi ci ricorda, sia per quanto è accaduto, sia per quanto potrà avvenire nei tempi prossimi: a noi è stato affidato un talento assolutamente inestimabile, che è ignominioso seppellire e nascondere. Altre volte, molte, l'abbiamo fatto, e abbiamo fatto in modo che tutto andasse avanti come se niente avessimo fatto.  Il ver.14, confermato dal 15, ci dice di questa partenza - dunque Lui , adesso, in certo modo non è qui - e di questo affidamento a noi - "consegnò loro i suoi beni" - di tutto il suo prezioso patrimonio: a chi molto, a chi meno, in ogni modo coinvolgendo tutti e ciascuno in una storia che è "nostra" non meno che "sua", per un cammino che è comune a Lui, a noi e a tutti coloro che ci sono intorno, popoli, culture, terre....  C'è un verbo molto importante, al ver.15, secondo me tradotto non bene in italiano, che dice come chi ha ricevuto i talenti, va a "impiegarli": l'espressione bellissima dice che andò subito "a operare in essi". Il talento, cioè, ha in se stesso una sua potenza e una sua positiva efficacia, e sembra di capire che chi opera nel talento certamente ne vedrà tutta la fecondità. Un testo quasi parallelo, in Mc.13,34, dice che chi parte, parte "dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito,...": letteralmente dice che ha lasciato a ciascuno la "potenza" e "l'opera". Il talento mi sembra dunque il Vangelo, anzi il Signore stesso del Vangelo, e tutta la sua meravigliosa potenza di sapienza e di carità. E' chiaro che si tratta di potenza espressiva non delle cattive potenze del mondo, ma di quella potenza nuova e unica, la sola capace di salvare questo povero mondo, che è l'Amore di Dio, anzi Dio stesso che in noi ama e nel Quale noi possiamo amare tutti, anche coloro che pensano di essere nostri nemici.  E' fin troppo evidente la responsabilità che ci coinvolge e il male di chi "nasconde" il tesoro del suo Signore. Peraltro è molto bella l'espressione di gioia del Signore per l'opera di chi, essendo stato "fedele nel poco", ora è chiamato a prender parte alla gioia del suo padrone, oltre che a partecipare alla sua signoria.  Possiamo fare qualche considerazione su chi ha nascosto il talento. Innanzi tutto per chiederci se a indurlo al male è stato il "poco" che gli è stato affidato; ma sembra di capire che già quel "poco" lo aveva spaventato; anzi, quell'"unico" talento è molto adatto a esprimere quell'unico grande talento che è il Figlio di Dio; il che ci conferma che anche chi riceve poco, in quel poco riceve tutto. Anche quella cruda descrizione dell'atteggiamento del padrone che vuole mietere dove non ha seminato è molto efficace per esprimere fino a che punto il Signore ci vuole coinvolgere nella sua opera di verità, di amore e di pace.  Stiamo tutti uniti e uniti a tutti in una incessante preghiera.

 

Mt 25,31-46                                                                                  Giovedì 13 settembre 2001

 

31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

 

I vers.31-32 del nostro brano - che è proprio del solo Vangelo secondo Matteo, e che una nota della Bibbia TOB suggerisce di intendere non come una parabola ma come una descrizione profetica dell'ultimo giudizio - annunciano, intorno al Figlio dell'uomo venuto nella sua gloria, un'assemblea universale che raccoglie insieme intorno a Lui il cielo e la terra: "tutti i suoi angeli" (ver.31) e "tutte le genti" (ver.32). Gesù viene presentato come sovrano (il "trono della sua gloria", ver.31), e come giudice finale: ricordando la grande immagine di Ezechiele 34, si dice che Gesù "separerà" gli uni dagli altri come fa il pastore; Matteo ha già usato questo verbo "separare" nella parabola della rete (Mt.13,47-50), anche là per annunciare il giudizio finale, con la differenza che in quella parabola erano gli angeli a separare "i cattivi dai buoni", mentre qui è Gesù stesso che opera questa separazione.

E' importante che si tenga conto che qui si tratta del giudizio di "tutte le genti", e quindi, come si afferma con chiarezza nel testo, di persone e interi popoli che non hanno conosciuto il Figlio di Dio. Con inopportuna trasposizione il testo viene riferito direttamente ai discepoli, cioè ai cristiani, mentre per la verità a questi il Signore domanda ben di più: ad esempio in Giovanni 13, dopo la "lavanda dei piedi" Gesù dice: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri"(Gv.13,34-35). Le "misure" del giudizio sono dunque diverse e in questo rivelano il desiderio assoluto da parte da parte di Dio di salvare tutta l'umanità. Ricordiamoci che in Mt.10,42 è detto che anche chi avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua a uno dei discepoli non perderà la sua ricompensa. Resta tuttavia il carattere universale di questo giudizio, dove sembra che l'elemento fondamentale del giudizio sia l'amore per il fratello più piccolo.

A proposito di questa espressione "uno solo di questi miei fratelli più piccoli"(ver.40), una lettura affascinante e terribile pensa che si tratti qui proprio dei discepoli, che per aver seguito Gesù non saranno tra coloro che possono fare qualcosa per gli altri secondo le azioni descritte nel nostro brano, ma piuttosto saranno "dall'altra parte", per ricevere dalle "genti" il segno della carità ed essere quindi per loro il luogo dell'incontro con Dio.

 

Mt 26,1-5                                                                                       Sabato 15 settembre 2001

 

1 Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: 2 «Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso».

3 Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4 e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. 5 Ma dicevano: «Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo».

 

Dopo la bella sosta di ieri per la festa dell'Esaltazione della Croce, entriamo con il cap.26 nella grande memoria della Pasqua del Signore, molto commossi per la sollecitudine con la quale, proprio attraverso queste circostanze del nostro "viaggio" nella Parola, il Signore ci dia un aiuto straordinario anche in riferimento ai giorni difficili che stiamo vivendo.

Apprezzo alcune note della TOB al brano di oggi. Il capitolo si apre con un verbo che manca nella versione italiana: "Avvenne"; mi sembra molto utile per sottolineare che ci troviamo davanti all'avvenimento centrale del mistero cristiano e dunque della nostra salvezza.

"Terminati tutti questi discorsi", dice al ver.1;alla lettera dice "Finite tutte queste parole". il verbo finire ci ricorda che in Gesù le parole sono strettamente connesse con il mistero della sua persona e della sua opera in mezzo a noi, per cui si deve pensare che tutte le parole che finora ci ha dette ora hanno il loro adempimento nella grande opera pasquale: solo la Pasqua del Signore infatti interpreta e illumina tutto quello che Gesù dice e compie in mezzo a noi.

E ora, al ver.2, l'annuncio fondamentale: l'incontro tra la sua passione e morte e la celebrazione della Pasqua degli Ebrei, che proprio per tale apice della presenza e della potenza del Figlio di Dio tra gli uomini, troverà il suo pieno adempimento. I nostri Padri celebrano il "passaggio" dall'antica schiavitù nell'Egitto del Male e della Morte; ora, in Cristo, noi celebriamo la liberazione donata all'intero genere umano dalla prigionia del Male e della Morte. "Voi sapete" dice Gesù: è proprio quello che conta sapere, e che bisogna sempre sapere con perfetta attualità, come ciò che di fatto anche in questo momento in certo modo si compie in ogni vicenda e in ogni cuore, anche nel dramma delle torri americane: il sacrificio d'amore per la salvezza del mondo. Per questo è meglio tenere, come alla lettera è scritto, non che "il Figlio dell'uomo sarà consegnato", ma che "il Figlio dell'uomo è consegnato". E ancora cerchiamo di interpretare con forza questo "essere consegnato" di Gesù: anche S.Agostino si domanda "da chi" Egli viene consegnato; da Giuda? dai sommi sacerdoti? da Pilato? La risposta più forte è che Gesù è consegnato dal Padre per la nostra salvezza.

E' splendido quell'"allora" che apre il ver.3. La congiura dei sommi sacerdoti e degli anziani - come pure ogni aggressione nei confronti di Gesù - non è indipendente, ma anzi è strettamente connessa con il disegno salvifico di Dio. Come dicevamo che è il Padre a consegnare il Figlio per il sacrificio d'amore, così questo "allora" ci avverte che anche questi propositi malvagi contro Gesù sono "interni" al mistero e alla potenza della sua Pasqua.

 

Mt 26,6-16                                                                                     Lunedì 17 settembre 2001

 

6 Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7 gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. 8 I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9 Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». 10 Ma Gesù, accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me. 11 I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. 12 Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».

14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 15 e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. 16 Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.

 

Il brano di oggi ha il suo parallelo in Marco 14,3-9, ed è molto interessante anche il suo confronto con Lc 7,36-50 e con Gv 12,1-8. Trovo in questa donna un'immagine molto bella di una chiesa umile, povera e molto determinata a celebrare un atto di amore nuziale ricco e senza preoccupazioni mondane.

La casa che ospita il Signore di trova a Betania: non è come Gv 12 la "casa dei tre fratelli" Marta, Maria e Lazzaro, ed è in un certo modo più "descrittiva" rispetto a quella di Lc 7 perché si delinea maggiormente la persona del padrone di casa, Simone il lebbroso.

La donna, che non è Maria sorella di Marta e di Lazzaro, come in Gv 12, e non è definita dal suo pubblico peccato come in Lc7, è figura più generica ma forse anche per questo più idonea a essere "segno" della sposa, della Chiesa che incontra e "riconosce" lo sposo e il Salvatore nell'ora del sacrificio d'amore; così può essere letta l'interpretazione che Gesù stesso fa del suo gesto: "lo ha fatto in vista della mia sepoltura" (v.12), che più letteralmente "verso" la mia sepoltura per dire di un riferirsi di questa donna, un aderire e un dedicare da parte di questa donna, un aderire e un dedicare da parte sua quel gesto all'atto conclusivo di queste nozze celebrate da colui che per l'umanità si fa "sposo di sangue".

L'obiezione verso il gesto ricco e razionalmente inutile della donna - ma è questa ricchezza e inutilità che sempre descrive i supremi gesti dell'amore - non viene qui da Giuda, come in Gv 12. Giuda (v.14) appare piuttosto come determinato, quasi costretto dal gesto della donna; né viene dal padrone di casa, come in Lc7, né da persone generiche come nel parallelo di Mc14, ma dai discepoli (v.18)! Ancora una volta Matteo ci ammonisce circa la pericolosa eventualità che l'amore nuziale del Signore per la sua gente e della sua gente - della sua Chiesa! - per Lui, trovi difficoltà proprio in noi, in chi cioè più di ogni altro è stato coinvolto in tale amore nuziale di Dio. Abbiamo già visto questo, a proposito di due temi qui in certo modo presenti: le nozze (Mt19,10) e i bambini (Mt19,13).

L'espressione "perché infastidite questa donna?" è alla lettera "perché procurate fatiche alla donna?". Sono gli ostacoli che si possono mettere a questo annuncio nuziale che, collocato qui e in Mc14 all'inizio della memoria della Passione, dice così fortemente la tensione e il fine dell'amore di Dio nel suo Figlio Gesù: la comunione nuziale tra Lui e la sua Chiesa raccolta dall'umanità intera. Per questo, afferma il v.13, non si potrà annunciare questo vangelo senza ricordare, in ogni luogo e in ogni tempo, questo gesto di adesione e di accoglienza che l'anonima donna di Betania ha compiuto a nome di tutti i noi, nei confronti della morte e risurrezione del Signore per la nostra salvezza.

 

Mt 26,17-30                                                                                  Martedì 18 settembre 2001

 

17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

20 Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».

26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». 27 Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».

30 E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

 

Il testo di Matteo si presenta come più scarno ed essenziale rispetto ai paralleli di Marco e Luca; Giovanni non ricorda l'istituzione della Cena e la sostituisce con la lavanda dei piedi. Nei vers.17-19, Matteo ha alcune particolarità interessanti; manca nel nostro brano un incontro "a due tempi" con la casa che lo ospiterà (Marco e Luca ci fanno incontrare prima con un uomo, forse un servo che li condurrà dal padrone di casa), e sottolinea maggiormente il riferimento diretto della Pasqua alla persona di Gesù: "Dove vuoi che "ti" prepariamo, per mangiare la Pasqua?"; notiamo anche l'identificazione tra la Pasqua e l'agnello che deve essere mangiato in quell'occasione. L'anonimo ospitante sembra molto importante come figura rappresentativa di tutta l'economia salvifica di Israele, alla quale il Signore fortemente si connette, proprio per portarla a compimento e pienezza; così notiamo la forza del messaggio che Gesù fa arrivare a questo ebreo: "Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". Penso che anche noi, oggi, quando celebriamo la Pasqua cristiana, in certo modo la "facciamo" con i padri ebrei e con Gesù la viviamo nella sua pienezza.

I vers.21-25 introducono nel nostro brano un'essenziale nota di drammaticità: la Cena si rivela anche come l'orizzonte in cui si manifesta il mistero del male. Mentre cioè Dio compie la sua suprema opera buona, quella che è principio e fine di ogni altra, il mistero negativo, quasi in controluce, deve essere svelato. Ci fa bene riflettere su questo proprio per cogliere tutta la portata dl mistero dell'Eucaristia, combattimento supremo e definitiva vittoria del Bene e della Vita sul male e sulla morte. Anche per ciascuno di noi la suprema opera di bene da parte del Signore è rivelazione del nostro male che deve essere tolto. Il tradimento è presentato come un male più vasto del bene stesso di essere nati (ver.24); anche se noi sappiamo che Dio incalza con un ulteriore bene più grande dello stesso essere nati, e cioè l'essere salvati! Il solo Matteo ci riferisce di un brevissimo scambio tra Giuda e il Signore, dove il traditore viene esplicitamente indicato e avvertito. Il particolare della "mano nel piatto" sottolinea un dato importantissimo, e cioè che il male non va pensato come proveniente da lontano e da estraneità, ma è vicino e viene da realtà le più prossime, come qui, da un discepolo!

Può essere molto importante, per i vers.26-28, riprendere le memorie pasquali del Primo Testamento, per lo meno Esodo12: vedremo così come Gesù entra in tutta l'economia dei padri ebrei, l'assume, la porta a pienezza e la svela. In quella Cena di Pasqua, per la prima volta si realizza e si manifesta quello che noi in ogni celebrazione della Messa abbiamo il dono supremo di gustare e vedere: essere il Signore Gesù il vero Agnello Pasquale che ci salva dal Male e dalla Morte.

L'annotazione, al ver.29, del "digiuno" del Signore fino alla fine dei tempi, illumina la Santa Cena non solo come memoria di questa Cena del Signore, ma anche come prospettiva e come reale anticipazione della Cena finale nel Regno. Viviamo dunque in un'unica e ultima ora della storia, dove nulla può avvenire che sia al di là e oltre la Cena Pasquale, nella quale è tutto: tutto Dio, tutto l'uomo, tutta la storia...Celebrare la Messa vuol dire dunque compiere l'atto più importante, più universale e più efficace, veramente capace di tutto raggiungere e tutto sanare...anche il dramma delle torri americane. Anche il personale dramma del nostro cuore.

 

Mt 26,31-35                                                                               Mercoledì 19 settembre 2001

 

31 Allora Gesù disse loro: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:

Percuoterò il pastore

e saranno disperse le pecore del gregge,

32 ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». 33 E Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai». 34 Gli disse Gesù: «In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». 35 E Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.

 

Il tema principale del nostro brano di oggi sembra essere quello dello scandalo. E' un tema particolarmente esaminato da Matteo. Mi sembra che, pur apparendo nella memoria evangelica in molte forme, esso abbia sempre un riferimento al mistero della piccolezza di Dio così come si è rivelata pienamente nella piccolezza di Gesù fino alla morte, ma come già era presente nell'elezione che Dio fin dal principio ha fatto del "piccolo", del "minore", del "povero"... Talvolta lo scandalo è rivolto a se stessi: il tuo occhio o la tua mano "ti" scandalizzano; altre volte si riferisce all'impossibilità di reggere l'insostenibile piccolezza del Signore (come mi sembra essere il caso di oggi), e allora si fugge e lo si rinnega, oppure si cede agli istinti più negativi e violenti e lo si aggredisce o si aggrediscono i piccoli che in modo più diretto e esplicito lo rappresentano e lo manifestano nelle loro minorità. In ogni modo, come Gesù stesso manda a dire a Giovanni Battista in Mt.11,6 , è "beato colui che non si scandalizza di me".

L'annuncio dato dal Signore riguarda assolutamente tutti noi: "Tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte"(ver.31); peraltro mi sembra molto bello accorgersi che Egli "appoggia" tali parole alla profezia di Zaccaria che proprio nel capitolo 13 del suo Libro preannuncia in termini straordinari la salvezza che verrà a noi attraverso la passione dell'Inviato di Dio; quindi tale dispersione del gregge è interna all'avvenimento della salvezza proprio nel suo momento culminante. E' molto forte anche il passaggio di Gv.16,32 : "Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me".

Perché questo "appuntamento" in Galilea, che peraltro Matteo ci descriverà con tanto rilievo nell'ultimo capitolo? Penso perché tutta l'avventura dei discepoli è iniziata proprio in Galilea per concludersi a Gerusalemme; allora la Galilea rappresenta quell' "inizio" dell'annuncio evangelico, e con questo siamo avvertiti che ogni parola e ogni opera di Gesù, raccolte nell'avvenimento supremo della sua Pasqua, sono annuncio e attuazione di questa Pasqua nel cuore e nella storia di tutti gli uomini e di tutte le donne della terra. In Galilea chiamati, dalla Galilea saranno mandati, anche se è sempre Gerusalemme il cuore e la fonte dell'annuncio cristiano, in quanto è a Gerusalemme che tutte le profezie di Israele si compiranno con il convergere di tutte le genti al monte di Sion intorno al Messia.

Il dramma del dialogo che nei vers.33-35 si svolge non solo tra Gesù e Pietro, ma, attraverso Pietro, con tutti noi, non si può liquidare come un semplice peccato di presunzione dell'apostolo. Esso piuttosto descrive il mistero e il travaglio del rapporto tra noi e il Signore; ciascuno di noi, e anche l'intero popolo del Signore nella vicenda storica della comunità cristiana. Da una parte è assolutamente buono e necessario cercare con umile determinazione quotidiana la nostra fedeltà e la nostra comunione con il Signore della nostra vita: sarebbe per noi insopportabile abbandonare questa appassionata ricerca della sua Persona, della sua Sapienza e della sua Volontà, lasciandoci rassegnare alla nostra fragilità; e tuttavia di tale fragilità e delle sue conseguenze negative è necessario che il Signore stesso avverta non solo Pietro e gli altri che stavano quella sera nell'orto, ma anche tutti noi, oggi!

 

Mt 26,36-46                                                                                  Giovedì 20 settembre 2001

 

36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39 E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? 41 Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». 43 E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».

 

Celebrando davanti al Padre e davanti a noi il suo dolore, oggi Gesù ci insegna quale sia per noi suoi discepoli il modo di vivere cristianamente l'ora della prova. Si potrebbe dire che da questo momento il dolore e l'angoscia della morte non sono più un retaggio della natura ferita dell'uomo, ma sono soprattutto un mistero divino, di cui anche noi siamo partecipi. Non è infatti che Gesù patisca nell'orto solo come uomo, ma in Lui è Dio stesso che patisce: questo bisognerà ricordarlo anche per tutto il seguito della memoria della Passione.

L'orizzonte in cui tutto l'episodio si svolge è quello della preghiera, che sarà raccomandata e sollecitata da Gesù stesso.

Al ver.37, mi sembra meglio non considerare l'aggiunta fatta in italiano - "provare" - perché insinua il fatto di un'esperienza soggettiva, mentre si tratta di una vera e oggettiva celebrazione del mistero del dolore. In tal senso mi sembra più adatto appunto il termine "dolore" piuttosto che la parola "tristezza", che tende a esprimere una percezione personale, più che a descrivere un dato oggettivo; quindi potremmo rendere l'espressione con "cominciò a essere nel dolore e nell'angoscia" o "cominciò a addolorarsi e a angosciarsi". Al ver.38 il Signore precisa quale sia la radice e la ragione di tale dolore: esso consiste nel "trovarsi davanti alla propria morte", questo significa "la mia anima è triste fino alla morte".

Nella vicenda vengono coinvolti Pietro, Giacomo e Giovanni che già il Signore aveva portati con sé sul monte della Trasfigurazione (Mt.17,1); quindi proprio loro che avevano contemplato la sua gloria finale, ora sono chiamati a essergli vicini nell'agonia dell'orto. Gesù ci dice come è possibile partecipare in modo vero al dolore di una persona: "restate qui e vegliate con me"(ver.38) e "vegliate e pregate"(ver.41).

Nel primo dialogo con il Padre, sembra darsi la possibilità dell'allontanamento del calice; in ogni modo tutto viene subito collocato nella volontà del Padre e quindi nella volontà del Figlio di essergli obbediente in ogni modo. Mi sembra molto importante notare che di per sé la volontà del Figlio è verso la vita e non verso la morte; i cristiani, quindi, non possono volere la morte! Devono volere sempre la vita (ver.39). Al ver.42, sembra che il calice non possa passare da Lui e allora Gesù conferma definitivamente quale sia il supremo atto di volontà, suo, e quindi di ogni suo discepolo: che si compia la volontà di Dio! Pensate, dunque: l'obbedienza suprema coincide con la propria suprema volontà. L'obbedienza non può essere per un cristiano né fatalismo né passività, ma solo pieno atto di responsabilità nell'accogliere la volontà divina.

In questi giorni mi sembra di estrema importanza cogliere tutto l'insegnamento di questo dialogo tra Gesù e il Padre intorno al mistero della morte: Questa non può essere voluta di volontà nostra: il suicidio è male. Non può essere subita passivamente, come un fatto puramente biologico inevitabile: noi non siamo fatti per la morte ma per la vita, e questo non va tralasciato mai! Non può nemmeno essere subita come un male che viene dagli uomini. Essa è dunque solo l'ultimo atto della nostra volontà di obbedire al Signore della vita che ci conduce alla pienezza della vita. Di più: è l'atto supremo della nostra comunione con il Figlio di Dio che nell'obbedienza offre la sua vita per la salvezza del mondo, e che dunque muore per dare la vita: è la misteriosa fecondità della nostra morte.

Per tutto questo Gesù da ora in poi è il Signore anche della morte; per questo ci invita alla veglia e alla preghiera perché anche noi possiamo essere partecipi di tale signoria, senza precipitare nella tentazione della disperazione o della ribellione. In certo senso, se vegliamo, possiamo veramente "dormire e riposare"(ver.45), perché questa ora della morte è di fatto "l'ora in cui il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori"(ver.45); per questo il traditore si sta avvicinando (ver.46); ma in realtà ormai sappiamo che Colui che in verità consegna il Signore ai peccatori per la loro salvezza non può essere che il Padre. Oggi possiamo chiedere che in tal senso veniamo liberati da ogni angoscia mortale.

 

Mt 26,47-50                                                                                  Venerdì 21 settembre 2001

 

47 Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.

 

Oggi festeggiamo con tutte le Chiese il nostro Evangelista Matteo; qualcuno mi fa notare, penso giustamente, che, pur favorendo la non interruzione della nostra Lectio continua, non è opportuno lasciar cadere certi brani della Scrittura che illuminano i giorni dedicati a persone citate dalle Scritture stesse, o a eventi particolari della vita del Signore tra noi. Ripariamo a questo mio errore affidando a Matteo il suo fratello Giuda che domina il breve testo di oggi.

Le prime parole del ver.47, "mentre parlava ancora", ci inducono a ricordare che nell'episodio precedente Gesù ha fatto dell'orto degli ulivi il luogo della sua piena consegna alla volontà del Padre e quindi l'occasione per rivelare che proprio in tale sua sottomissione Egli manifesta la sua signoria.

Sia Giuda, sia la grande folla che lo accompagna, sembrano non essere in fondo gli attori principali del dramma: questo non toglie la loro responsabilità, ma ci ricorda che chi agisce male è in fondo dominato da un principio di male superiore a lui; qui poi non va dimenticato che a condurre la storia è sempre, in definitiva, Dio stesso, anche quando il Signore del male e della morte sembra esercitare senza ostacoli tutto il suo potere.

Non so se è importante, ma preferisco far notare che qui al ver.48 il testo non dice che il segno del bacio Giuda lo "aveva dato"

(come ci è riferito in Mc14,44), ma che lo "diede". E noi, come interpretiamo il segno di questo bacio? A me viene da pensare che anche quando il nostro animo è dominato da pensieri e progetti negativi, restano sempre, e, come qui, in qualche modo si manifestano, i nostri più profondi pensieri e sentimenti; non penso quindi a un atteggiamento freddo e distaccato da parte di Giuda, ma a un suo dramma che non lo abbandonerà sino alla sua triste fine. Tanto più che Matteo aggiunge all'appellativo "maestro" anche il saluto "Salve", che è espressione positiva e buona.

Mi affascina molto anche la risposta che il solo Matteo ricorda da parte del Signore: "Amico, per questo sei qui!"(ver.50), una risposta che leggo priva di ironia e piena del sentimento positivo che Gesù nutre verso questo discepolo e apostolo, al quale ha annunciato il dramma del tradimento e che tuttavia non ha escluso dalla sua Cena. Mi sembra importante che, proprio in questi giorni in cui sentiamo parlare di giustizia come positiva alternativa all'assurdità di una "guerra", ma si tratta di una giustizia puramente vendicativa, noi prendiamo atto che la giustizia del Padre di Gesù Cristo è sempre giustizia salvifica, e cioè è sempre risposta e appello di amore e conversione nei confronti di chi sbaglia.

 

Mt 26,51-56                                                                                   Sabato 22 settembre 2001

 

51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.

52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

 

Per due volte, al ver.54 e al ver.56 , Gesù stesso ci offre la spiegazione più matura e più profonda non solo di quanto oggi il Vangelo ci narra, ma anche di quanto abbiamo raccolto nei due giorni precedenti , (anzi bisogna dire che questa è ormai, in Cristo, la chiave di interpretazione di tutta la storia, anche di quella triste e difficile di questi giorni): dunque tutto questo avviene "perché si adempiano le Scritture"; è il "commento" che il testo evangelico, e qui per bocca di Gesù stesso, continuamente ci ha dato. Tutta la storia si raccoglie e trova la sua unità drammatica e luminosa nel Signore Gesù, prima nelle profezie d'Israele e ora nel pieno adempimento di ogni cosa nel Cristo di Dio.

Il brano di oggi ci immerge in un tema di straordinaria attualità: quello della violenza e di quello che Gesù pensa di questa "energia" cattiva così presente nelle vicende della storia. Tutti e quattro i Vangeli ci parlano di questa reazione armata da parte di uno dei discepoli, che il Vangelo secondo Giovanni ci dice essere lo stesso Pietro. Potremmo intitolare i vers.51-54 "la tentazione della violenza mondana" nella vita dei cristiani; è una tentazione che fin dall'orto degli ulivi ha accompagnato in ogni tempo la storia della comunità cristiana, cogliendo quasi sempre i poveri discepoli di Gesù in grande fragilità e in grande esposizione a cedere e a giustificare ogni violenza. E' uno dei segni più evidenti che a tutt'oggi siamo ben lontani dall'adesione al Vangelo del Signore. Non mi riferisco solo alle drammatiche ipotesi di violenze collettive, ma anche al tessuto quotidiano delle vicende interpersonali tra le generazioni, le diversità culturali, l'uomo e la donna, gli adulti e i piccoli...Solo il testo di Matteo ci regala da parte di Gesù una spiegazione tanto ricca della sua rinuncia a una reazione mondana secondo le potenze del mondo. Due sono le affermazioni del Signore in proposito. Al ver.52 Egli ci dice che se entriamo nella prospettiva della reazione armata, ne restiamo poi definitivamente imprigionati in una storia che ha ancora nella morte il suo inevitabile e terribile esito finale ("periranno di spada"). Il ver.53 sembra voglia escludere però anche l'ipotesi di una "potenza" di diversa origine e di altra sostanza, non "terrena", non "mondana"; questo fa emergere in modo ancora più forte quello che Gesù intende affermare e comunicare come vera e unica "potenza" capace di vincere il Male del mondo, potenza che le Scritture hanno appunto profetizzato fin da principio nella vicenda del Messia atteso dalle genti e preannunciato a Israele: la mite potenza dell'Amore. Non una generica non-violenza, ma l'offerta della vita per dare la vita (l'opposto del kamikaze che muore per dare la morte).

Il ver.55 è rivolto alle folle; badate bene, non "alla folla" come dice la nostra traduzione ma appunto "alle folle" (anche questa espressione è del solo Matteo): questo fa pensare a una estensione e a una contemporaneità dell'insegnamento e dell'ammonizione del Signore a tutte le folle di tutti i tempi, fino ad oggi. In modo mirabile Gesù intreccia la sua regale signoria - "ogni giorno stavo seduto nel tempio a insegnare" - con la violenza che ora Egli mitemente accetta, insieme a una specie di ironia che sembra voler esprimere verso tutto l'armamento dei suoi aggressori - "siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni" -; ma appunto questo fa parte dell'adempimento delle Scritture. A questo punto, Matteo, come Marco, ci consegna, al ver.56, l'ultimo atto della mondanità dei discepoli: "Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono". Tutti, o come aggressori o come fuggitivi, siamo responsabili e colpevoli della Passione del nostro Signore.

 

Mt 26,57-68                                                                                   Lunedì 24 settembre 2001

 

57 Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.

59 I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; 60 ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. 61 Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». 62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 63 Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». 64 «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:

d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo

seduto alla destra di Dio,

e venire sulle nubi del cielo».

65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, 68 dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?».

 

Oggi ci troviamo davanti alla suprema opposizione del giudaismo "ufficiale" alla persona e alla parola di Gesù. Si intrecciano in tale opposizione irrigidimenti dell'interpretazione dottrinale, logiche mondane di potere, paura, illanguidimento del rapporto vivo con la fede e il culto donati da Dio. Sono presenti i custodi (infedeli) della Legge, del culto e della profezia: sommi sacerdoti, scribi e anziani.

Pietro che segue il Signore da lontano, secondo il solo Matteo si siede tra i servi "per vedere la conclusione", che letteralmente sarebbe "la fine", con l'uso di un termine che in Matteo, ma generalmente in tutto il Nuovo Testamento, ha un significato rilevante, collegato alla fine dei tempi e alla pienezza che la venuta del Signore porta in tutto e in tutti.

Da qui inizia un "andamento" dei fatti che sottolinea che, quanto più gli oppositori lo stringono fino alla morte, tanto più il mistero della persona e della parola del Signore s'ingigantisce e diventa inafferrabile. La testimonianza contro di Lui non può essere che falsa e senza esito.

L'accusa riguardo al tempio non coinvolge come negli altri Vangeli il rapporto tra il vecchio tempio e quello nuovo che è Gesù stesso, né fa riferimento alla sua morte-risurrezione, ma sottolinea semplicemente la potenza che Gesù si attribuirebbe: "posso" distruggere e...ricostruire (ver.61).

Il silenzio del ver.63 ci ricorda il quarto Canto del Servo in Isaia 53 ed è il silenzio dell'umile e mite obbedienza a Dio e insieme il silenzio del mistero divino dal quale si autoescludono coloro che lo aggrediscono. Generalmente, tutto il nostro brano tende a mettere in evidenza quanto sia vana e inutile la pretesa potenza delle aggressioni. Anzi, noi siamo portati a pensare che ogni aggressione, da Gesù in poi, è sempre ingiusta e vana perché coinvolge la persona stessa del Signore. Cosa questa che abbiamo già vista in Mt.26,52 dove Gesù estende il problema di quella spada attiva nell'orto a ogni uso delle armi.

La domanda diretta che il sommo sacerdote gli rivolge al ver.63, ricalca quella che Gesù stesso aveva ricevuto da Pietro quando Dio stesso glielo rivelava in Mt.16,16. La risposta di Gesù e qui molto contenuta, cita il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza (così, alla lettera, dice, per non nominare il nome di Dio, che sarebbe bestemmia) e la sua venuta nella gloria. E' quanto basta perché il sommo sacerdote vi colga la "bestemmia" e dunque la colpa degna di morte. Questo punto della memoria evangelica è centrale nella nostra fede, al di là di questo interrogatorio e dei suoi problemi. Infatti è per noi cristiani affermazione suprema della nostra fede quello che per le altre fedi religiose è bestemmia, negazione radicale del mistero di Dio. Questo è il cuore di un dibattito che non deve essere tralasciato perché per noi è irrinunciabile, e che deve essere portato avanti con la divina, umile potenza della Parola e dello Spirito. Si tratta di un problema decisivo, che non riguarda solo la concezione di Dio, ma, in questo, l'interpretazione e l'azione dell'intera esistenza.

 

Mt 26,69-75                                                                                  Martedì 25 settembre 2001

 

69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70 Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu voglia dire». 71 Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 Ma egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell'uomo». 73 Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo!». E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all'aperto, pianse amaramente.

 

Come ben si vede, la testimonianza cristiana non è semplicemente la custodia e l'esposizione fedele di una dottrina, ma coinvolge direttamente la persona del testimone: "Tu eri con Gesù"(ver.69), "Costui era con Gesù"(ver.71), "Anche tu sei di quelli"(ver.73); quindi, come per Gesù, così anche per Pietro quest'ora è l'opportunità di manifestarsi. Mi sembra molto importante che la testimonianza alla verità di Dio si appelli alla nostra persona prima che a quello che diremo o faremo: in tal modo si afferma che essere con il Signore non è una fatto e basta, ma opera una trasformazione della nostra persona e della nostra vita: è un nuovo essere, è il carattere profondo della nostra esistenza.

Siccome nel testo non ci sono sintomi che consentano di pensare a qualche pericolo per chi, come Pietro, si trova nell'opportunità di rendere testimonianza, sono portato a pensare che il "rinnegamento" contiene elementi non razionabili di mistero. Perché Pietro rinnega il Signore? Non ci sono ragioni evidenti che lo spieghino. La reazione alla prima volta della sua identificazione, che lo porta a "uscire verso l'atrio"(ver.71) sembra esprimere il desiderio istintivo di reimmergersi in un anonimato senza volto. Anche le reazioni alle due successive occasioni paiono sproporzionate alla situazione: giuramenti, imprecazioni. Insomma, viene da pensare quasi a un "passaggio necessario", per modo di dire, teso ad affermare che la testimonianza del Signore non è in nostro potere e nelle nostre capacità, ma è anch'essa puro dono di Dio; pensiamo al dialogo dei vers.33-35 dove Pietro e tutti gli altri affermano con sicurezza che non lo tradiranno; nel testo parallelo di Lc.22,31-32 Gesù cita esplicitamente il diavolo venuto per "vagliarvi come il grano" e aggiunge che Pietro, "una volta ravveduto", confermerà i suoi fratelli.

Per questo la conclusione del nostro brano è essenziale: al canto del gallo, Pietro ricorda le parole del Signore, esce fuori, e piange. Per sottolineare il pentimento, Matteo precisa che "pianse amaramente". Pietro ha veramente tradito Gesù, e in tal senso il suo peccato non è diverso da quello di Giuda; ma, a differenza di Giuda, Pietro si pente.

 

Mt 27,1-10                                                                                 Mercoledì 26 settembre 2001

 

1 Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.

3 Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». 5 Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. 6 Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». 7 E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. 9 Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, 10 e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

 

Il cap.27 inizia con un fatto di grande rilievo: Gli Ebrei "consegnano" il Signore ai gentili, ai pagani, alle genti, attraverso la persona di Pilato. E' sempre quel verbo che significa sia tradire sia appunto consegnare. Dunque, di tradimento in tradimento Gesù viene consegnato a orizzonti sempre più vasti della storia e dei cuori! Si conferma, anche per le vicende di questi giorni, un primato assoluto della speranza, proprio per questa volontà e potenza di Dio a piegare verso il bene anche ogni male.

Il racconto della fine di Giuda è del solo Matteo; un'altra versione di tale accadimento è riportata da Atti 1,15-20, piuttosto diversa; il nostro testo, in questi vers.3-10, è molto delicato e complesso, perché contiene termini anche del tutto positivi che tuttavia descrivono una vicenda drammatica e senza speranza.

Al ver.3 si dice che Giuda "si pentì", e al ver.4 tale pentimento sembra nascere da una vera consapevolezza; dice infatti "ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Perché dunque un esito così negativo e disperato?. Ha attirato la mia attenzione la reazione dei sommi sacerdoti e degli anziani che gli rispondono: "Che ci riguarda? Veditela tu!". Mi sembra che nella vicenda di Giuda manchi quello che è essenziale per il pentimento vero e efficace; Giuda ritorna al tempio e ai suoi complici, ma non ritorna dall'Unico che può salvarlo, il Signore della misericordia; sicché in definitiva resta solo, abbandonato a se stesso. La conversione cristiana è sempre un ritornare a Lui, e non solo e forse non tanto riconoscere il proprio male e ripudiarlo. Solo in Lui c'è salvezza!

Detto questo, mi sembra che anche i vers.6-10 ci lascino nel mistero della giustizia insindacabile di Dio e peraltro così assolutamente intrecciata alla potenza infinita della sua misericordia. I soldi del tradimento vengono spesi, in adempimento delle profezie per comperare un campo che anche oggi si chiama "Campo di sangue" (il sangue del Signore!) ed esso serve per la sepoltura degli stranieri. Non voglio spingere il commento più in là: ma a nessuno può sfuggire almeno un pensiero in "negativo", e cioè che il Signore ci "ferma" di fronte all'ipotesi della dannazione di Giuda. Non possiamo noi mandare all'inferno proprio nessuno; s'intende, neanche noi stessi.

 

Mt 27,11-26                                                                                  Giovedì 27 settembre 2001

 

11 Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». 12 E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. 13 Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose attestano contro di te?». 14 Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.

15 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. 16 Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. 17 Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». 20 Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. 21 Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». 22 Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». 23 Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».

24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». 25 E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». 26 Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

 

Dopo la narrazione della morte di Giuda che il solo Matteo ci dà nei Vangeli, il nostro brano di oggi ci riporta al ver.2 dove appunto si diceva che "...lo consegnarono a Pilato". E anche questo interrogatorio di Pilato si chiarisce solo rifacendosi a quello che Gesù ha subìto nel cortile del sommo sacerdote, dove il termine supremo di accusa era stato quello di appropriarsi del titolo di Figlio di Dio, titolo che in Mt.26,63-65 il Signore aveva decisamente modificato con quello di Figlio dell'uomo. Qui sembra che tale accusa di appropriazione di un titolo sia stata "tradotta" per Pilato in senso politico come attribuzione del titolo di Re dei Giudei. Alla domanda di Pilato del ver.11, Gesù risponde con quel "tu l'hai detto" che si può interpretare come risposta affermativa che tuttavia lascia e ricorda all'interlocutore tutta la responsabilità di quanto ha inteso dire e ora vuole concludere. In ogni modo qui Pilato sembra non tanto un giudice quanto l'arbitro del giudizio che i Giudei pronunciano contro Gesù.

Ritorna ancora, al ver.14 quel silenzio del Signore che abbiamo già visto in Mt.26,63, e che ora stupisce grandemente quest'uomo nato e cresciuto in una cultura dove ognuno deve incessantemente difendersi e accusare. A questo punto, con i vers.15-21, sembra che Pilato abbandoni decisamente la responsabilità di un giudizio oggettivo su Gesù e tenti di "riparare" nell'ipotesi di questa indulgenza pasquale. L'intervento della moglie al ver.19 , che il solo Matteo ricorda, conferma che il tentativo, non privo di una nota di paura, è quello di sottrarsi alla responsabilità dell'uccisione di un innocente.

Sintomo che probabilmente Pilato ritiene Gesù innocente è anche la frase del ver.23:"Ma che male ha fatto?", che peraltro denuncia il dramma umano di una giustizia che si ritiene tale solo quando riesce a mettere in evidenza il male! E' l'opposto della giustizia del Signore che distrugge il male con la sua misericordia e promuove in ogni cuore la nascita e la crescita del bene. Come a completare la drammaticità della situazione ci sono due particolari che vengono dalla folla dei giudei ingannati e sedotti dai loro capi. Ai vers.22-23 l'invocazione a che sia crocifisso, come non intendendo più nessun argomento e non rispondendo neppure alla domanda del governatore, dice come questa gente sia ormai in preda a una specie di ubriachezza. Al ver.25 i giudei si assumono una responsabilità suicida dichiarandosi disponibili a una vendetta per quello che ora stanno chiedendo. E Pilato, non meno gravemente, abbandona l'innocente rivelando la sostanziale debolezza del potere politico, e in genere mondano, a salvare; come dicevamo, esso si caratterizza solo come capacità di trovare il male per condannarlo.

Credo che per il nostro piccolo pubblico sia inutile sottolineare quello che una nota della TOB opportunamente richiama, e cioè l'assoluta aberrazione di chi facesse di questo testo una legittimazione dell'antisemitismo: chi purtroppo lo ha fatto, o lo facesse, sarebbe bestemmiatore contro il Vangelo e contro il Signore del Vangelo.

 

Mt 27,27-31                                                                                  Venerdì 28 settembre 2001

 

27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. 28 Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto 29 e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: «Salve, re dei Giudei!». 30 E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

 

Oggi il Figlio di Dio, che per la nostra salvezza sta entrando in tutta la vicenda dell'umanità perduta per riempirla di sé, per assumerla e per redimerla, attraversa un dato particolarmente drammatico di essa. Terminate infatti le ultime parvenze di legalità e di giudizio il Signore viene esposto alla pura manifestazione della violenza demoniaca che ha invaso la realtà dell'uomo. La violenza sulla sua persona che simboleggia ogni inutile tortura si intreccia con la tortura morale dello scherno. Il potere politico, che ieri ha mostrato tutta la sua fragilità e la sua impotenza a fare veramente giustizia e a salvare l'innocente, oggi mostra un suo volto particolarmente drammatico e purtroppo tanto diffuso, che è l'abbandono della persona alla pura e inutile violenza dei subalterni.

L'immagine più violenta e più significativa mi sembra quella della spoliazione (ver.28); essa si ripeterà alla Croce, dove i soldati si spartiranno le sue vesti tirandole a sorte (Mt.27,36).Mi sembra molto importante che ci ricordiamo della nudità di Adamo nel terzo capitolo della Genesi, per comprendere che il Signore ora si spoglia di sé perché noi possiamo coprire la nostra nudità creaturale, cioè tutta la fragilità e tutto il male della nostra natura ferita e abbandonata a se stessa, rivestendoci di Lui.

Come i capi dei giudei hanno schernito la sua missione profetico-salvifica in Mt.26,67-68, ora i romani scherniscono la sua regalità, s'intende sempre all'interno dell'equivoco circa la sostanza e il modo di tale regalità.

Il Quarto Canto del Servo in Isaia 53 aveva profetizzato le violenze che ora Gesù subisce e la rilettura di quel testo ci aiuterà a entrare nella speranza di salvezza che anche una manifestazione così grave di male e di barbarie misteriosamente contiene. Notiamo infine l'impressionante silenzio del Signore in tutta questa vicenda: è la conferma e il segno della sua radicale mitezza davanti al Padre dal quale tutto riceve come obbedienza.

 

Mt 27,32-38                                                                                   Sabato 29 settembre 2001

 

32 Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. 33 Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. 35 Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. 36 E sedutisi, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei».

38 Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

 

Di Simone Cireneo che incontriamo al ver.32 Marco e Luca ci dicono che tornava dalla campagna, e Marco ci informa che aveva due figli, Alessandro e Rufo. Alla tradizione cristiana è sempre stato molto caro questo personaggio minore che sembra simboleggiare i moltissimi che campano portando la loro croce con maggiore pena, costretti , direi, come Simone, perché ancora non sanno che stanno portando la Croce del Signore. I cristiani d'Oriente lo venerano come santo.

Circa il motivo del nome Golgota (ver.33), alcuni dicono che sia a motivo della sua forma; altri ricordano con piacere - e anche noi tra loro - la splendida leggenda che collega questo luogo alla grotta e alla sepoltura di Adamo (!), presente nella ikonografia tradizionale in quel teschio posto nella piccola grotta che sta sotto la Croce del Signore e che viene raggiunta dal suo sangue.

Una prescrizione della tradizione ebraica chiedeva alle donne pie di Gerusalemme di sollevare il dolore dei condannati a morte con una bevanda inebriante. Al ver.34 Matteo si unisce alla memoria di Marco ma vi aggiunge l'annotazione del fiele, che ricorda il Sal.68,22 . Secondo il nostro testo, Gesù , dopo averlo assaggiato, lo rifiuta. Perché? Perché è pessimo? O perché, come sembra suggerire Marco, non vuole attenuare la prova della croce? Non so dire, e peraltro il problema non è del tutto secondario, soprattutto ai nostri tempi. Tenete presente che tale bevanda aveva lo scopo di portare la persona a una minore coscienza.

Il ver.35 cita il Sal.21,19 per la spartizione delle vesti di Gesù. Ieri noi sottolineavamo la rilevanza di questa nudità del Signore. Al ver.36 Matteo - e solo lui lo ricorda - nota che i soldati gli facevano la guardia; sempre per il solo Matteo, il fatto ritornerà con grande rilievo al capitolo 28 dove si annuncia la risurrezione di Gesù Cristo.

E' propria del solo Matteo anche l'espressione "motivazione scritta" del ver.37; e ancora è solo lui a dirci che vi si leggeva "Questi è Gesù, il re dei Giudei". Per Matteo sembrano essere gli stessi soldati gli autori di questa scritta; in Marco e Luca non è precisato, mentre per Giovanni sarà lo stesso Pilato a comporla e a imporla malgrado le obiezioni dei sommi sacerdoti.

 

Mt 27,39-44                                                                                       Lunedì 1 ottobre 2001

 

39 E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: 40 «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!». 41 Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 42 «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!». 44 Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

 

Quello che avevamo visto nel pretorio di Pilato ai vers.27-31 si riproduce ora in modo ben più drammatico sulla Croce da parte dei giudei.

Il Sal.21(22) che entrerà potentemente nell'ultimo grido del Signore già oggi è presente nello scherno dei giudei al ver.39 e al ver.43. Forse vale la pena che fin d'ora lo ascoltiamo per intero, proprio per cogliere in esso la meraviglia dell'opera di Dio che fa passare da morte a vita il suo Eletto e dunque i suoi eletti.

Chi sono questi schernitori? Mentre per Luca si tratta di capi, qui, come in Marco, al ver.39 si dice che sono i "passanti", e con questo viene coinvolto l'intero popolo d'Israele; tra l'altro colpisce che questo verbo "passare", che corrisponde in ebraico alla radice "avar", sia una delle etimologie tradizionali del termine "ebreo", come colui che "passa", perché non ha qui una stabile e definitiva dimora, ma sempre tende alla Terra di Dio. In questo punto la citazione del Sal.21è per quello "scuotere il capo", che molte volte nelle Scritture antiche compare appunto per dire un atteggiamento di derisione, in genere verso chi si è fatto grande ma poi è precipitato nell'umiliazione, proprio perché non si è mosso secondo Dio.

Tre sono in Matteo i contenuti di queste imprecazioni contro Gesù: al ver.40 l'affermazione che secondo Mt.26, 61 gli è stata attribuita durante l'interrogatorio nella casa del sommo sacerdote; al ver.42 la sfida a "salvare se stesso" e a scendere dalla Croce: e qui non sono più i "passanti" a dirlo, ma i grandi sacerdoti con gli scribi e gli anziani; al ver.43 con l'altra citazione del Sal.21,9 circa la verità e la potenza della sua elezione divina e quindi la predilezione verso di Lui, che solo la liberazione dalla morte potrebbe dimostrare (questo passaggio è del solo Matteo).

Dunque, proprio gli elementi che noi consideriamo essenziali nell'offerta che Gesù fa di sé al Padre qui sono indicati come dimostrazioni di abbandono e di solitudine impotente; invece è proprio questo che si sta compiendo: vicende che esprimono la suprema umiliazione della vita umana sono assunte dal Figlio di Dio come le supreme celebrazioni del suo amore verso Dio e verso l'umanità.

Vorrei anche dire di un sottile e profondo senso di disperazione che percorre questo testo: in fondo viene scagliato contro Gesù quello che è presente in ogni animo umano come sintomo inequivocabile della sconfitta di fronte alla morte. C'è come un'aspra e feroce ironia nel cogliere in Gesù la sorte inevitabile dell'umanità intera. Ma in questo momento è proprio questa vittoria della morte ad essere contestata e vinta.

 

Mt 27,45-56                                                                                      Martedì 2 ottobre 2001

 

45 Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. 46 Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50 E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

51 Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. 53 E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

55 C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

 

Il buio su tutta la terra da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio sembra evocare la nona piaga d'Egitto, dove "non si vedevano più l'un l'altro, e per tre giorni nessuno si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti vi era luce là dove abitavano"(Esodo 10,23), e sembra sottolineare il tempo del giudizio come si dice in Amos 8,9 : "In quel giorno farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno!". Resta in ogni modo importante collegare il "giudizio" al sacrificio del Signore. Ciò che ci giudica e ci richiama con severità non è la paura di una minaccia, ma la potenza del suo amore per noi.

Ed ecco, al ver.46, l'ultima, suprema citazione del Sal.21,2; il fatto che ci venga riferita la frase in aramaico è legato all'equivoco per cui alcuni intendono che il Signore stia invocando Elia: "Eli, eli...". Certo, a me impressiona anche molto che proprio qui la memoria evangelica non ci ricordi solo la parola ma anche la "voce " di Gesù. Questo grido del Signore merita una attenzione senza fine; la potenza del versetto del salmo intreccia perfettamente l'esperienza di abbandono che il Cristo vive e che lo mette in contatto con infinite persone che in tutti i tempi e in tutti i luoghi entrano in questa ora drammatica (forse, ognuno, in certi passaggi dell'esistenza, prova tale abbandono), e tutta la forza invincibile della sua comunione con il Padre: "Dio mio, Dio mio...", al quale direttamente e appassionatamente si rivolge. Attraversiamo dunque questo passaggio del cammino di Gesù in mezzo a noi come una vetta della sua fede. Ricordiamo in tal senso la fede di S.Teresa di Gesù Bambino che ieri abbiamo festeggiato. Dio è sempre Colui che possiamo invocare anche quando in modo più severo ci "consegna" al mistero del sacrificio d'amore. Non assente, ma più che mai presente, presente appunto nell'abbandono di fede. Sento però a questo punto il bisogno di affermare che non scrivo questo perché ne sono capace, ma perché così mi pare sia detto e così spero dalla sua bontà.

Ritorna ancora, nei vers.47-49, Elia già incontrato a proposito di Giovanni Battista in Mt:11 e Mt.17; e ancora come testimone alla Trasfigurazione (Mt.17) e in Mt.16 tra le risposte alla domanda circa chi sia Gesù. Ma questo "Elia" che deve precedere l'ultima ora, non viene per "salvare" Gesù; é semplicemente il segno che siamo alla fine dei tempi. Tale infatti è la morte di Gesù: la fine della vecchia creazione e della vecchia storia e l'inizio di cieli nuovi e terra nuova.

 

Mentre il ver.51 del nostro brano ha paralleli sia in Marco 15, sia in Luca 23, i vers.52-53 sono del solo Matteo.  Lo squarcio del velo del tempio suggerisce una lettura del testo nell'orizzonte dei "segni" che seguono e scaturiscono dalla morte di Gesù; quindi tutto quello che viene descritto oggi tende a collegare direttamente e profondamente il sacrificio del Signore e la vita nuova che da esso scaturisce.

 Per il ver.51 troviamo un riferimento molto forte in Ebrei 9, particolarmente ai vers.11-12, che conviene ripercorrere con attenzione. In essi si dice come Gesù abbia portato a compimento l'antica liturgia del Tempio nel mistero stesso della sua persona, della sua vita e nell'avvenimento culminante della sua Pasqua. Così lo squarciarsi del velo riferito dal nostro testo dice come Egli, primo di tutti noi , con la sua morte, risurrezione e ascensione al cielo giunge alla presenza di Dio nel "Santo dei Santi", che per secoli è stato profetizzato da quel luogo di suprema santità nel quale nessuno poteva entrare se non il sommo sacerdote una volta all'anno (Ebr.9,6-8). Il sacrificio d'amore di Gesù è per tutti l'apertura, l'accesso alla dimora di Dio, la salvezza che deve essere annunciata a tutte le nazioni.

 Come il velo, anche le rocce - il testo originale fa uso dello stesso verbo - si spezzano, si "squarciano", dice alla lettera, e un improvviso terremoto (presente nei testi apocalittici come uno dei segni forti della fine dei tempi) è seguito, al ver.52 , dall'apertura dei sepolcri e dalla risurrezione di molti "santi morti". Questi sono gli immediati testimoni del frutto supremo della morte del Signore. La loro manifestazione a molti in Gerusalemme, dopo la Risurrezione di Cristo, è l'inizio di quella vicenda sublime dell'esperienza cristiana, per la quale, senza nessuna manifestazione "fantasmica" e nessun miracolismo, anche noi sperimentiamo accanto alla nostra persona e alla nostra vita la presenza di coloro che, avendoci manifestato la bontà di Dio quando ancora erano in questo mondo, continuano ad accompagnarci e ad assisterci, confermandoci nella speranza del Risorto. Dunque, il proprio di questa memoria evangelica di Matteo è quello di mostrare la connessione "diretta" tra il sacrificio del Signore e i suoi frutti.

 

La memoria evangelica di oggi ci invita ad osservare le "presenze" che stanno accanto al Crocifisso, quasi un preannuncio del nuovo popolo che dal sacrificio del Signore sarà generato.

 Ci colpisce che la prima di tali presenze sia quella di questi pagani, che per giunta sono gli uccisori materiali del Signore. Mentre per Marco e Luca è solamente il centurione ad essere coinvolto in questo evento, per il nostro testo insieme a lui entrano nella stessa esperienza anche quelli che con lui facevano la guardia a Gesù; così il "prigioniero" li libera dalle loro cecità e lontananze. Ancora, secondo Matteo, a provocare in loro tale straordinaria reazione sono gli sconvolgimenti che hanno accompagnato la sua morte. Non so perché il traduttore italiano dica "sentito il terremoto e visto quel che succedeva"; alla lettera il nostro brano dice semplicemente "vedendo il terremoto e le cose accadute"; tutto cioè si riconduce al fatto che "vedono". Quando , come qui , il timore è seguito da una confessione di fede, bisogna pensare che si tratti di un inizio di quel "timore di Dio" che non è paura m consapevolezza che ci si trova appunto davanti a una manifestazione-rivelazione divina.

 Anche per le donne dei vers.55-56 si tratta di una esperienza "visiva" : con un verbo diverso rispetto al "vedere" del centurione e dei suoi subalterni, anche di loro si dice che "stavano ad osservare". Mi sembra molto importante notare che mentre quando noi pensiamo a "visioni religiose", istintivamente e razionalmente supponiamo che si tratta di visioni sublimi, qui quello che sia i romani pagani sia le donne galilee vedono è lo spettacolo drammaticamente povero di Gesù crocifisso, a conferma che la nostra fede non è una "fuga" dell'uomo dalla povertà della storia, ma è la visita e la partecipazione totale di Dio a tale storia ferita e prigioniera del male e della morte.

 A queste donne vengono attribuite due espressioni fortissime della fede cristiana : seguono il Signore, e questo verbo esprime tipicamente la condizione del discepolo; servono il Signore, e il verbo usato da Matteo è quello della "diaconia". Siamo davanti a un passaggio molto importante per cogliere l'annuncio evangelico circa la condizione femminile e il suo compito nella nuova comunità messianica.

 Il fatto che sotto la Croce si trovino insieme, - soldati più accostati e le donne più "da lontano"- gli esecutori della morte del Cristo e queste sue "discepole e diaconesse", ci conferma circa la potenza misericordiosa della Pasqua di Gesù, e del bisogno che tutti abbiamo di accostarci a tale potenza.

 

Mt 27,57-61                                                                                    Mercoledì 3 ottobre 2001

 

57 Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. 58 Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo 60 e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.

 

Compare oggi accanto al Crocifisso un nuovo personaggio: Giuseppe d'Arimatea. Abbiamo di lui notizie ulteriori negli altri Vangeli: è membro del sinedrio, ma non è complice delle sue trame; é uomo buono e giusto; attende anche lui il regno di Dio; tiene segreta la sua condizione di discepolo per paura dei Giudei. Matteo precisa che è uomo ricco: c'è qui probabilmente un riferimento a Isaia 53, il quarto canto del Servo, dove al ver.9 è scritto che "con il ricco fu il suo tumulo", e questo può suggerire oggi una nuova lettura di questo testo profetico così importante per la Pasqua del Signore e la sua fecondità per tutti noi.

 Pilato ordina che il corpo di Gesù che questo discepolo chiede, gli sia consegnato: alla lettera il testo dice che gli sia "restituito", e così ci ricorda l'appartenenza di Gesù al popolo ebraico dal quale ha ricevuto la carne e tutto il tesoro dell'attesa profetica.

 Il candido lenzuolo (la parola greca è "sindone") e la tomba nuova dicono l'attenzione devota di Giuseppe e la preziosità di quel corpo. Questo "rito" di sepoltura guida la pietà cristiana in una direzione che da una parte certamente rifiuta una cura e un'enfasi di tipo "egiziano", tendente a "chiudere" l'esistenza umana in una specie di sopravvivenza dei corpi; e d'altra parte rifiuta un atteggiamento "distruttivo" che, o suggerisce che con la morte del corpo tutto veramente "finisca", o che , per uno "spiritualismo" spinto, il corpo non valga niente e non abbia rilevanza nella sorte dell'uomo. Questa semplice e gentile cura ha invece lo scopo di significare l'attesa della risurrezione finale dei corpi non come "sopravvivenza imbalsamata", ma come pienezza di dono e di gioia per quel corpo dove Dio ha scritto la sua mirabile storia di salvezza. La fede nella risurrezione dei corpi è l'elemento basilare per tutta la strenua difesa che la tradizione cristiana esercita nei confronti del rispetto, dell'onore e dell'attenzione amorevole che devono essere tributati ad ogni corpo, e all'impossibilità anche per ogni persona di gestire arbitrariamente la sua corporeità, e di arrivare addirittura a decidere per sé o per altri il termine dell'esistenza terrena.

 La grande pietra citata al ver.60 ritornerà come elemento importante nei testi della risurrezione.

 Le donne che stanno "sedute"(la parola manca nella nostra traduzione) davanti al sepolcro, dicono una coraggiosa fedeltà e forse anche un' "attesa" che aspetta di essere definita. Questa paziente perseveranza "accanto alla morte" sarà "premiata" con una precedenza nella notizia del Risorto.

 

Mt 27,62-66                                                                                        Sabato 6 ottobre 2001

 

62 Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: 63 «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. 64 Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». 65 Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete». 66 Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.

 

Il cap.27 termina con una notizia che è del solo Matteo e che ritornerà con rilievo nei testi della risurrezione (Mt.28,11-15). C'è un'ironia amara nelle parole dei sommi sacerdoti e dei farisei, una specie di "polarità" proprio rispetto al cuore della fede cristiana. Citano il verbo prezioso della memoria : "ci siamo ricordati", e di fatto ricordano il grande annuncio della risurrezione che Gesù più volte ha dato (Mt.16,21; 17,22; 20,19), ma pongono tutto sotto un attributo che assegnano al Signore -"impostore"-, che è la negazione radicale della sua opera di rivelazione della verità di Dio. Ci troviamo davanti all'aggressione della verità da parte della menzogna.

 Tuttavia, come vedremo nei prossimi giorni, anche questa suprema menzogna, "madre di tutte le menzogne", diventerà, per la potenza di Dio, funzionale alla verità. C'è infatti un tentativo di "imprigionare il Cristo" reso effettivo dal rendere più sicuramente chiuso il sepolcro (questo è il senso della loro richiesta!), per poter più sicuramente constatare che il morto....è morto! E' come se in questo momento fosse per loro drammaticamente importante dimostrare che non può succedere niente di nuovo e che ogni pretesa speranza è di fatto illusione o, peggio, inganno ("quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima":ver.64). Ma sarà appunto per questi motivi che anche dei poveri soldati diventeranno involontari e "inopportuni" testimoni della verità suprema : la vittoria della vita sulla morte (Mt.28,4.11).

 Il mondo pagano, rappresentato da Pilato, rifiuta di essere complice dell'operazione. Così, con una involontaria "profezia", saranno i Giudei a "custodire" il Cristo e ad esserne gli annunziatori "in città" e ai "sommi sacerdoti" (Mt.28,11). Viene in mente l'affermazione di Paolo riguardo alla conversione dei Giudei, quando appunto si staccheranno dalla "bugia dei soldati" e crederanno in Gesù, il Figlio di Dio : sarà "una risurrezione dai morti"(Romani 11,15).

 

Mt 28,1-10                                                                                         Lunedì 8 ottobre 2001

 

1 Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. 2 Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3 Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. 4 Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. 5 Ma l'angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. 6 Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. 7 Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto». 8 Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.

9 Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. 10 Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».

 

Le memorie evangeliche della risurrezione sono molto singolari in questo Vangelo secondo Matteo di cui oggi cominciamo ad ascoltare l'ultimo capitolo. Proveremo a sottolineare alcuni passaggi più caratteristici, affidando a ciascuno di voi il vero approfondimento di questo testo straordinario.

 Al ver.1 si dice che le donne vanno al sepolcro, alla lettera, per "vedere il sepolcro", diversamente da Marco e Luca che finalizzano questo gesto delle donne con l'usanza dell'imbalsamazione. Qui Matteo è più vicino alla memoria di Giovanni e all'intenso atteggiamento di Maria davanti al sepolcro (Gv.20,11ss).

 Ancora, un fatto riferito dal solo Matteo ci collega al momento della morte del Signore: un terremoto, che provocherà un "terremoto" nelle guardie (si tratta della stessa radice verbale, che nella versione italiana non viene evidenziata). E poi, questa venuta straordinaria di un Angelo del Signore e la "visibilità" della sua azione: "rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa"(ver.2), come grande gesto simbolico della vittoria e del dominio divino sulla morte. Concorre a tutto questo anche la rapida descrizione dell'aspetto e dell'abito dell'angelo.(ver.3).

 Ecco allora una presenza straordinaria accanto a questi avvenimenti: quelle guardie che i Giudei avevano voluto e che ora diventano involontari testimoni degli avvenimenti pasquali. Con molta forza il testo alle lettera afferma che questi uomini "furono atterriti ("terremotati") e diventarono come morti"(ver.4).

 Lasciando per ora in disparte questi poveracci il racconto evangelico ci riferisce le parole dell'angelo alle donne; così possiamo accorgerci che quanto sta accadendo non è l'evento puntuale della risurrezione di Cristo, ma un avvenimento prodigioso (terremoto, angelo, pietra rotolata via, angelo seduto sulla pietra, aspetto e parole dell'angelo) che "dimostra" visivamente quanto è già accaduto: "...cercate Gesù il crocifisso: non è qui: E' risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.."(ver.6)

 Quindi la missione delle donne verso i discepoli : annunciare la risurrezione del Signore e riferire dell'appuntamento in Galilea, dove lo vedranno; le donne corrono con una gioia che sembra superiore al timore a dare l'annunzio ai discepoli.

 Ed ecco ancora un fatto straordinario che è solo di Matteo e che ancora si collega fortemente con l'incontro in Gv.20 del Risorto con la Maddalena. E' l'unica volta in tutto il Nuovo Testamento in cui questo verbo "venire incontro" è attribuito al Signore, così come solo in questo punto Gesù rivolge un simile saluto: "Salute!". Sembra esprimere una particolare sollecitudine affettuosa di Lui verso le donne che hanno il privilegio di vederlo per prime e di toccare il suo corpo risorto per adorarlo .A questo punto saranno, come dicevano i padri, apostole degli apostoli.

 

Mt 28,11-15                                                                                      Martedì 9 ottobre 2001

 

1 Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. 12 Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: 13 «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. 14 E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia». 15 Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.

 

Con la sua infinita sapienza e con la sua bontà assoluta il Signore ci fa incontrare in questo giorno così rattristato dalla violenza dei cuori e dei popoli con questo ulteriore avvertimento di quanto sia drammaticamente negativo il legame tra la forza militare, la forza politico-religiosa e la forza dei soldi. E' opportuno tener presente il brano conclusivo del capitolo precedente, ai vers.62--66, dove la memoria evangelica del solo Matteo faceva emergere il problema del furto e dell'inganno a riguardo del corpo di Gesù.

 Notiamo il contrasto tra le due missioni di annuncio di quanto è accaduto: le donne verso i discepoli e i soldati verso i loro capi , anche se in questo primo momento non si potrebbe escludere del tutto un'ipotesi più favorevole anche per questi; un vangelo apocrifo, cioè non facente parte di quelli riconosciuti come autentici dalla fede della Chiesa fin da principio, chiamato "vangelo secondo Pietro", narra che i soldati si sono recati prima da Pilato e, riferendo quanto era accaduto al sepolcro, l'accompagnavano con quella professione di fede in Gesù Figlio di Dio che abbiamo già ascoltata dalle labbra del centurione in Mt.27,54; secondo questo testo apocrifo i giudei, conosciuta la cosa, preferiscono essere colpevoli davanti a Dio di un tale peccato piuttosto che affrontare la ribellione popolare, e convincono Pilato a far tacere i soldati e a far dire la menzogna del furto.

 Nel nostro brano entra ancora una volta la potenza del denaro che, come era servito per "consegnare il Signore" da Giuda ai capi del popolo, ora ritorna per impedire o almeno ostacolare la notizia del Risorto. C'è un legame anche con quel "sigillo" che viene posto alla tomba: tutto aspramente vuol dirci il carattere invincibile della morte. E' impressionante anche il collegamento tra i due poteri, quello politico e quello religioso, che viene tranquillamente assicurato dalle parole dei sommi sacerdoti (ver.14).

 Facciamoci una domanda. Perché è così essenziale la notizia della risurrezione? Non sarebbe più semplice e più razionale affidarsi semplicemente alla bellezza e alla forza del messaggio che scaturisce dalla dottrina e dalla morale cristiana? Perché dobbiamo così strettamente legare la luminosa verità del Vangelo a questi fatti che sembrano tanto vicini alla leggenda? In fondo, non siamo anche noi tentati di pensare che furto e bugia siano più probabili della "fantasia " di una risurrezione? Se si vuole speculare di un'immortalità dell'anima, ancora....Ma la risurrezione del corpo?! E così: nella storia della teologia cristiana, non si è forse fatto più affidamento su un elemento spirituale e quindi immortale che lega l'uomo a Dio, piuttosto che affidarsi a un fragile racconto di risurrezione del corpo? Il problema è decisivo. La nostra fede ci chiede con perentorietà assoluta di tenere al cuore della nostra fede la memoria evangelica che i poveri soldati tradiranno per denaro perché è proprio la risurrezione di Gesù come primogenito della nuova creazione a stabilire non solo la destinazione finale e paradisiaca anche dell'umile realtà corporale che ci definisce e nella quale viviamo, ma soprattutto il mistero santo e inviolabile che è proprio di ogni persona, di ogni corpo e di ogni vita, il suo essere "tempio" dove Dio abita, e dunque il comando assoluto di rispettare e onorare ogni persona, anche la propria persona: né uccisione, né suicidio, né ogni tipo di aggressione alla realtà corporea, psicologica e spirituale delle persone, anche di quelle "cattive" come i talebani (ma chi non è cattivo?). Il Signore ha offerto il suo corpo perché ogni corpo, senza eccezioni, venga indirizzato verso la positività e la bellezza della vita. Si sono bruciate le "streghe" pensando di martoriargli il corpo per salvargli l'anima. Ma la Pasqua di Gesù indica una strada completamente nuova e diversa. Anche per il dramma che stringe in questi giorni la vicenda delle nazioni, è urgente trovare una strada più consona all'opera di Dio.

 

Mt 28,16-20                                                                                  Mercoledì 10 ottobre 2001

 

16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. 17 Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. 18 E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. 19 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, 20 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

La Parola di Dio, in quest'ultimo brano del Vangelo secondo Matteo, ci porta su questo monte della Galilea - una possibile tradizione lo identifica con il monte della Trasfigurazione - e , soprattutto, ci riporta all'inizio del nostro buon cammino in questa memoria evangelica. L'appuntamento fissato in Galilea dove tutto ha preso inizio, vuol dirci che, se Gerusalemme sarà il grande punto di partenza del viaggio del Vangelo verso le genti, fino ai confini della terra, il "contenuto" del Vangelo parte dalla Galilea, cioè parte dall'inizio della predicazione e dell'opera del Signore tra noi, in quella suprema unità e rivelazione che tutta la vicenda evangelica ha avuto nella Pasqua di Gesù a Gerusalemme. Tutto il Vangelo, quindi , è Pasqua , è avvenimento di morte e risurrezione, è giudizio evangelico su ogni vicenda e su ogni cuore per la salvezza di tutti e di tutto.

 Come prima, al ver.9, Gesù si è mostrato alle donne, così ora si fa incontro agli undici che si sono fidati dell'annuncio delle donne. Lo vedono e lo adorano; e qui l'aggiunta "problematica": la versione italiana dice che "alcuni però" dubitavano; nel testo abbastanza vicino al nostro in Mc.16,14-18 che faremo bene a tener presente, il Signore rimprovera tutti loro per la loro incredulità e durezza di cuore; ma tale rimprovero si lega al fatto di non aver creduto alle donne, mentre qui sembra che il messaggio sia stato accolto e assolto. Qualcuno rende l'espressione con "essi che avevano dubitato", facendo appunto riferimento a un'eventuale loro incredulità verso le donne. Da molto tempo io penso che si debba semplicemente unire il fatto del dubbio al fatto della fede :si prostrarono e dubitarono , si prostrarono ma dubitarono. La nuova traduzione proposta dai vescovi italiani va' in questa direzione. Il verbo che viene tradotto con "dubitarono" è rarissimo nel Nuovo Testamento, è presente, oltre che qui, ancora solo in Mt.14,21 dove Gesù rimprovera la poca fede di Pietro che ha "dubitato" quando camminava sull'acqua. A me pare che il verbo dica una condizione di delicata precarietà, di realtà non posseduta, di dono che non si può trattenere e possedere come fosse un oggetto o una nozione; mi pare indichi l'accettazione di una condizione di per sé esposta al travaglio del "dubbio" e quindi a una certa incessante lotta: non mi pare che tutto ciò sia estraneo alla vicenda e all'esperienza dei grandi santi.

 Come a contrasto - meraviglioso! - con tale fragilità Gesù proclama con una determinazione che non troviamo in altre memorie evangeliche la pienezza della potenza (meglio che il termine "potere" della nostra traduzione) che gli è stata data (dal Padre, come frutto prezioso e definitivo del sacrificio di Pasqua).

 Quell' "andate dunque" ci suggerisce che tale potenza ora Gesù l'affida ai suoi per la missione alla quale li invia. Tale missione ha come compito sublime e vertiginoso l'adempimento del divino consiglio di salvezza, e viene espresso con tre verbi di grande rilievo : ammaestrare, battezzare, insegnare ad osservare. Provate a verificare se questa successione che si deduce direttamente dal testo è quella giusta e l'unica possibile : vedrete come è vasto e misterioso il procedere di Dio nei cuori e nella storia. Su tutto sta l'impegno del Signore a stare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.

 Tale impegno Egli lo ha certamente adempiuto in tutti questi mesi nei quali, senza la sua presenza tra noi non saremmo stati capaci di camminare nel Vangelo secondo Matteo. Lo adempie certamente anche oggi mentre sul monte della nostra preghiera e della Divina Liturgia, Egli si consegna a noi, anche se siamo feriti, peccatori, malati o rattristati; anzi, per questo, con ancora più grandi segni di misericordia.

 Chi ha tentato con la maggiore fedeltà possibile di scrivervi sull'infernale macchina ogni giorno con due dita e molti errori e poca fede, vi chiede di essere ricordato nella vostra cara preghiera. Domani è la memoria del nostro Beato Papa Giovanni: senza di lui non ci saremmo incontrati in questi mesi intorno al Vangelo come il nostro caro don Giuseppe continua a proporci dal Cielo. Dovrebbe iniziare un nuovo cammino nella lettera di Paolo ai Colossesi. Potremo ancora rimanere insieme attraverso questa modesta comunicazione? Chiediamolo, se volete, alla paziente bontà del nostro dolce Signore.