7-9-00 Is 1, 1-9; 2Tm 1, 1-5; Lc 1, 1-4 (Francesco)

Visione

- Iniziamo la lettura del libro del Profeta Isaia affidandoci alla sua preghiera ed all'intercessione di Papa Giovanni che indicava le Sacre Scritture come la mensa che nutre il popolo cristiano. Oggi il Profeta inizia il suo messaggio rivolto al popolo del Signore con la parola "visione", con la quale ci vuole liberare dalla nostra condizione di tenebre. Il libro è una grande rivelazione del mistero di Dio che oggi cominceremo a scrutare e dentro al quale c'è la realtà del peccato e del dolore, che è la conseguenza del peccato. Chiedendo perdono per tutte le nostre mancanze, chiediamo anche di lasciarci rimproverare, correggere e confortare dalla Parola del Signore e preghiamo perché questa Parola non passi invano nella nostra vita.

- vs 2: colpisce la convocazione cosmica "Udite, cieli; ascolta, terra" attorno alle parole che rivelano i sentimenti di Dio. Questa convocazione, più che per un giudizio, sembra per un invito a tutti gli uomini, i luoghi e i tempi a condividere i sentimenti di Dio.

- Sempre nel vs 2 si parla di figli che hanno tradito la paternità di Dio, e più avanti la descrizione della figlia di Sion, piena di lividure, richiama la passione di Gesù.

- Il popolo non è consapevole del suo stato; al vs 3 Dio dice: "Israele non conosce, il mio popolo non comprende". Poi c'è la descrizione fatta con grande compassione di una persona malata; ed il brano termina usando la prima persona plurale perché anche il Profeta si mette dentro il suo popolo, prende su di sè il peccato.

- Colpisce la descrizione del popolo come di un uomo malato; richiama il IV canto del servo (uomo dei dolori), che è profezia del Signore.

- Bello che questa descrizione di peccato e desolazione sia racchiusa nell'azione del Signore di cui si parla all'inizio ed alla fine. Il "resto" (discendenza e seme nella Vulgata) ci è lasciato e quindi non tutto è perduto; questo richiama la parabola della zizzagna, dove il seme messo dal Signore è buono.

- vs 9: pur non negando la situazione tragica dei versetti precedenti, ci dà la consapevolezza della misericordia e della grazia.

- Ci possiamo chiedere se c'è continuità nel discorso che il Signore ci rivolge ogni giorno. Ieri abbiamo concluso il vangelo di Giovanni, oggi iniziamo il libro di Isaia: cosa li unisce? La continuità è nella presenza dei figli: Isaia, figlio di Amoz, ha poi generato figli. Il rapporto fra Dio e gli interlocutori è fra Padre e figli; il vangelo di Giovanni richiama sempre l'amore del Padre per il Figlio e per tutti gli altri figli. Oggi è ancora il Padre che continua a parlare; ci parla nella condizione di malessere dei suoi figli. Ieri eravamo consegnati al mistero dell'amore fra Padre e Figlio, oggi ci viene detto che questo mistero è per persone cariche di peccato e di dolore. Non ci dobbiamo scoraggiare, perché siamo proprio noi i discepoli che il Padre ama. La "visione" sta a significare la grazia, che Dio ci fa, di rivelare il mistero della sua volontà attraverso la descrizione di questo popolo peccatore che, gradualmente, tende a diventare una persona descritta nella sua malattia. E' una visione profetica di Gesù. Il Profeta fin dall'inizio ci presenta un mistero: la descrizione del peccato dell'uomo, ma anche la rivelazione da cui emerge la figura di un salvatore. La visione termina nella speranza: noi non finiremo come Sodoma e Gomorra, perché il Signore ci ha lasciato un "resto" (vs 9).

9-9-00 Is 1, 10-20; 2Tm 1, 6-11; Lc 1, 5-25 (Giovanni)

Il rito e la Parola

- Nel testo di oggi si avverte una grande lode della parola di Dio non in quanto tale, ma per l'azione divina che essa contiene. Azione totalmente ricevuta che toglie le pietre dei nostri sepolcri, spezza i nostri pensieri troppo consolidati, le nostre sicurezze cattive. Il dramma del vangelo rivela l'occasione di Dio di irrompere nella storia dei popoli. Anche la determinazione ad una nostra maggiore attenzione ed osservanza rimarrebbe sterile se non ci esponessimo alla dinamica che Dio ci ha fatto conoscere nell'atto del suo parlarci. Chiediamo perdono per tutte le volte che abbiamo creduto di poter fare qualcosa per il Signore, mentre tutto riceviamo da Lui. Questo ci dice anche la nostra Regola che ieri abbiamo festeggiato come sapienza di esporci all'avvenimento che conta, che è ascoltare il Signore.

- vs 17: "soccorrete l'oppresso" in ebraico è "dichiarate beato l'oppresso"; richiama il Salmo 1 e le beatitudini. C'è come una pregustazione della nuova saggezza portata da Gesù. La conversione infatti è una saggezza nuova per cui beati sono i piccoli: si tratta proprio di occhi nuovi e cuore nuovo.

- Oggi, parlando del rapporto col suo popolo, il Signore usa parole molto severe (non sopporta più) perchè è un rapporto non vero. Si coglie anche l'indicazione di come fare per renderlo vero: ci vuole un mutamento di direzione. Non liturgie più o meno belle, ma un cuore che si china per vedere il piccolo che c'è nel fratello.

- C'è qualche analogia col vangelo almeno nella situazione iniziale: l'ipocrisia del rito fine a sè stesso è la vicenda della sterilità dei Farisei, perché non c'è più un rapporto nuziale vero col Signore.

- vs 15: lo stendere le mani richiama la croce di Gesù; è solo lui che farà diventare bianchi tutti i peccati anche se fossero come scarlatto.

- vs 18: è interessante l'invito di Dio al dialogo. Manca un rapporto, non ci si parla; la presenza deve essere viva, anche la nostra parola ha importanza.

- Il testo del Profeta ci parla di una specie d'indigestione di Dio, che non ne può più dei riti (vengono usati tanti termini della sazietà). Anche il vangelo di oggi ci parla dell'incenso e si potrebbe pensare ad una contrapposizione fra rito e Parola, ma non è così. Il Signore ci vuole dire che il rito è l'apice della Parola. Uno può stancare Dio anche nell'ascolto della Parola o anche con atti morali. Interessante il rapporto fra Parola e cibo: noi abbiamo fatto di Dio un idolo debole che ha bisogno di tante cose, invece siamo noi che abbiamo bisogno di essere nutriti da Lui e quindi questi luoghi, gesti, tempi, sono la meraviglia dell'incontro col Signore. Non è la negazione del rito, ma qui la Parola si fa pane per noi, diventa il nostro nutrimento. Tutte le volte che cessa il rapporto con la Parola c'è questo capovolgimento: non siamo noi che siamo guariti da lei, ma noi che facciamo un piacere al Signore. Discutiamo pure col Signore, questo è un atto vivo, un incontro fra Dio e la nostra povertà. L'amore per il fratello, per i poveri ecc., non è in mano nostra, ma è il riflesso del fiorire della carità di Dio verso di noi. Dio non dice "fate il bene", ma "imparate". Lui parla ed io non mi stanco mai. Se irrigidiamo il nostro cuore, la prima cosa che va in crisi è l'ascolto, perché se uno ridiventa signore della sua vita, diventa Dio a se stesso. Solo l'ascolto ci riporta nella posizione giusta. Bisogna rendersi conto che l'ascolto della Parola è il totale silenzio della nostra vita. La Parola bisogna riceverla sempre; ci si può sentire piccoli, incapaci di capirla, ma va ricevuta sempre. Tutti siamo piccoli e peccatori, ma tutti possiamo essere salvati, tutti possiamo piegare il nostro essere nella direzione dell'ascolto del Signore, dopo verrà tutto il resto. Ma non possiamo pensare di soccorrere Dio con le nostre buone azioni.

 

11-9-00 Is 1, 21-31; 2Tm 1, 12-18; Lc 1, 26-38 (Francesco)

 

Una misericordia preveniente

 

- Il canto iniziale ci porta a considerare la città di Gerusalemme ed il desiderio di Dio di riconsegnarle l'antico splendore. Anche il brano d'Isaia ha al centro Gerusalemme che viene degradata dal suo splendore a causa di un atto d'infedeltà nei confronti del suo Signore. Torna la memoria del peccato che oggi viene identificato con l'idolatria. Nello stesso tempo ci viene offerta una luce di speranza. La nostra richiesta di perdono per i peccati deve essere umile, riconoscente di quello che siamo, ma anche fiduciosa nella bontà di Dio che tutto purifica ed edifica.

- vs 26: dopo la purificazione, la città viene chiamata fedele e città madre. Questi sono attributi molto consolanti; viene dimenticata la sua idolatria e prostituzione.

- vs 27: Sion sarà riscattata, mentre al vs 21 si era prostituita. La purificazione la rende ancora città della giustizia e dice che sarà riscattata per mezzo della rettitudine e della giustizia. Ma di chi? Di Gesù, l'unico che può riscattare i peccati.

- vs 27: "i convertiti", in ebraico vuol dire "ritorno": è un'opera del Signore che fa tornare al principio. E' interessante che questo cammino abbia un momento di vergogna, un'esperienza del peccato che delude. E' un venir meno della fiducia che si è posti in se stessi.

- Tra la prima e la seconda parte non c'è consequenzialità: non è che il popolo si converta e Dio li salva, c'è l'assoluta gratuità di questo giudice e di questa sapienza. Cio dà grande speranza a tutti noi. Il Signore parla dei nemici della città Santa come di suoi nemici; li combatterà, e solo per sua misericordia e volontà di bene ci tirerà fuori.

- vs 21: "Come mai? La domanda non ha risposta, viene usato lo stesso verbo della Madonna, "com'è possibile". Qui c'è tutto il mistero del male, della possibilità di lasciarsi sedurre dal tentatore anche se si è nella posizione di figli amati.

- Tema nuziale che emerge dall'immagine della città fedele, poi diventata prostituta. Parallelamente abbiamo letto il vangelo dell'Annunciazione. In greco il primo versetto del testo di Isaia dice: "La giustizia riposava in lei" (quasi come fosse una persona). Al vs 26, "città fedele", i LXX aggiungono "città madre". Ci sono diverse espressioni che richiamano il tema del rapporto fra superbia ed umiltà. Al vs 24 "il potente d'Israele" diventa in greco "parola che il Signore rivolge ai forti d'Israele". Al vs 25 in greco dice "umilierò i superbi", richiamando così il peccato d'orgoglio. Viene ripresa con forza la trasgressione della legge verso il prossimo in condizione di debolezza (orfani e vedove), ed i trasgressori ed i peccatori vengono minacciati di distruzione (crogiuolo, fuoco purificatore). Deve morire in noi quello che si oppone alla volontà di Dio. C'è quindi accusa del peccato, ma anche prospettiva di purificazione. Il Signore vuole cambiare le sorti del popolo, il cambiamento sarà in nome della misericordia di Dio. Questo riscatto provocherà la vergogna per gli idoli che la città si era procurata. Prima c'è l'atto di misericordia di Dio, poi il popolo, vedendo ques'atto, si accorge del suo peccato e chiede perdono. C'è quindi una misericordia preveniente (lume celeste).

 

12-9-00 Is 2, 1-5; 2Tm 2, 1-7; Lc 1, 39-45 (Francesco)

 

Dobbiamo andare tutti insieme verso Gerusalemme

 

- Le parole che riceviamo oggi sono di grande luce e speranza per i singoli e per la storia di tutti i popoli. Ci parlano del nostro rapporto con i popoli lontani proprio mentre le nostre sorelle e Gabriele Maria stanno arrivando in Africa. Il nostro viaggio, anche se non sembra verso Gerusalemme, è un viaggio di avvicinamento a tutti i popoli insieme ai quali andremo a Gerusalemme. Oggi il nostro cuore si apre alla speranza dopo giorni in cui il Signore ci ha fatto vedere il nostro peccato. La città, che fino a ieri era chiamata meretrice, oggi diventa faro per tutti i popoli. Anche la nostra richiesta di perdono oggi si apre ad uno sguardo più ampio, perché i nostri peccati e le nostre fatiche sono il luogo dove il Signore si compiace di portare la sua luce.

- vs 1: "ciò che Isaia vide"; nei LXX parla della Parola "fatta" per Isaia. Anche il monte preparato che ci sarà negli ultimi giorni è bellissimo: è il monte della liturgia che ogni giorno ci fa vedere cose nuove. In questo versetto il termine "parola" vuol dire anche fatto, avvenimento. Per "vedere" è usato un termine non comune nell'ebraico; forse è un vedere particolare, non esteriore; infatti tutti gli eventi che vengono descritti sono visibili solo all'interno della Parola. Quando parla di falci, la radice della parola rimanda al canto ed agli strumenti musicali; forse vuol dire che alle arti marziali non si sostituisce solo la laboriosità, ma c'è anche un elemento poetico.

- vs 5: si vede che anche la casa dei popoli è in cammino rispetto alla luce del Signore. Tutto è sempre in movimento verso il Signore. La casa di Giacobbe che va verso la luce è il tramite per cui tutti i popoli possono riconoscere la luce di Dio.

- Il Signore viene innalzato, c'è un'opera che lo rende più alto. Il verbo innalzare è il mistero della Passione e della sua gloria (quando verrà innalzato attirerà a sè tutti i popoli).

- La parola "vista" riprende il tema del primo versetto del libro: "visione" del profeta, che si colloca come colui che riceve dal Signore la particolare grazia di vedere le cose di Dio. Tutto questo ci deve invitare ad un rapporto fedele e profondo con la Parola che è la luce che ci permette di guardare la nostra vita e la storia dei popoli con gli occhi di Dio. Ancor oggi ci sono molte persone che ci insegnano a vedere il dono di Dio. Israele, che ha avuto questa luce, è chiamato a camminarre in essa. Israele l'ha ricevuta come patrimonio particolare. Noi ci collochiamo in continuità con Israele e dobbiamo impegnare in questo dono tutte le nostre forze. Il discorso della pace (trasformazione degli strumenti di guerra in strumenti di lavoro) è inserito nel discorso sul viaggio dei popoli verso Gerusalemme. Trovare le vie della pace richiede il mettersi in questo viaggio. C'è un dialogo che si svolge nel cuore delle persone: la via della pace va trovata nei tentativi di mettersi d'accordo sulle cose che ci dividono, ma più di tutto sul fatto di andare tutti insieme verso Gesù. Al vs 4 l'innalzamento di cui si parla richiama la croce di Gesù. Questo è il punto d'arrivo del dialogo di pace fra gli uomini e fra le nazioni.

 

13-9-00 Is 2, 6-10; 2Tm 2, 8-13; Lc 1, 46-56 (Francesco)

 

Entra fra le rocce, nasconditi nella polvere

 

- Affidiamo la nostra eucarestia all'intercessione di San Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa, molto importante perché è punto di comunione fra le Chiese d'Oriente e d'Occidente (che il Concilio definisce Chiese sorelle). Il brano di Isaia comincia oggi con un "poiché" che lo collega al testo di ieri, quando ci veniva detto di camminare nella luce. Molti rischi ci impediscono di camminare nella luce; uno dei più grandi è quello della ricchezza. Chiediamo perdono al Signore per ogni nostra lontananza dalla povertà di Gesù e da tutti i suoi piccoli.

- Colpisce la successione dei vs 8 e 9: il primo parla dell'idolatria, dell'uomo che arriva a fare di se stesso un dio; il secondo dice "perciò l'uomo sarà umiliato". L'uomo quando si innalza umilia se stesso: solo quando si abbassa nei confronti del suo Signore trova la via buona.

- vs 7-8: il paese è pieno d'argento e oro, poi d'abominio ed opera delle mani dell'uomo. E' come se tutte le ricchezze elencate fossero fonte d'idolatria: ricchi e idolatri sembrano essere la stessa cosa.

- Anche il cuore dell'uomo è spinto a confidare nelle ricchezze, ma è sbagliato porre la speranza in esse, perché non si confida più nel Signore. Anche il vangelo è un canto dell'opera del Signore: esalta i piccoli.

- vs 10: la conseguenza del peccato è nascondersi; richiama la Genesi ed il Cantico dove però lo sposo chiama la sposa e la porta fuori, come Gesù ci porta fuori dal peccato.

- Il testo di oggi inizia con un "perciò" (che manca in italiano), che ci collega al testo di ieri, che è uno dei più importanti della nostra fede perché rappresenta l'interpretazione della storia nella speranza. Papa Giovanni poneva in questi testi i segni dei tempi. Ieri finiva con l'invito al popolo del Signore di fare bene la sua parte: camminare nella luce. Quello di oggi è come una precisazione, come si fa a camminare nella luce? C'è una grande speranza per il mondo intero che non va disturbata. I disturbi invece sono molti: ricchezza, maghi orientali, indovini dei filistei ecc. C'è una certa religiosità di origine orientale che però abbiamo anche in casa nostra; culti e superstizioni che disturbano la nostra fede dal suo indirizzo pasquale. Questo invita a stare in guardia rispetto ad una religiosità falsa (culto dei morti, sedute spiritiche). Poi c'è il mondo delle ricchezze e quello dei cavalli e carri (industrie belliche); infine quello degli idoli, che viene a coincidere con l'opera delle nostre mani: lavoro concepito non come mezzo per vivere, ma come fine. Sono tutti pericoli che convergono nel farci considerare dio di noi stessi. L'umiliazione che l'uomo patirà ad opera di Dio è giusta e domani la rivedremo. Il manifestarsi della gloria del Signore porta alla necessità di nascondersi nella roccia (in ebraico al singolare): bisogna nascondersi nella misericordia del Cristo. Anche in Ap 6 c'è l'invito a nascondersi in rocce e caverne al manifestarsi della gloria di Dio.

 

14-9-00 Is 2, 11-22; Fil 2, 6-11; Gv 3, 13-17 (Giovanni)

 

Innalzamento ed umiliazione coincidono in Gesù

 

-Oggi è la festa dell'esaltazione della Croce che nel corso degli anni è divenuta sempre più preziosa nei nostri cuori perché ci ripropone la Croce in tutta la sua grande fecondità. Oggi ricordiamo anche l'ordinazione presbiterale di Francesco e Giuseppe, grande dono per tutta la nostra famiglia. Ognuno di noi deve avere conferma che con la nostra croce portiamo anche la croce di Gesù. Chiediamo al Signore di essere riconciliati con la nostra croce, riconoscendo che nessuna prova della nostra vita è senza speranza, perché è proprio lì che si concentra il mistero del Figlio di Dio. Ringraziamo il Padre perché, per sua misericordia, le nostre prove ci accostano a Gesù.

- Ci siamo tutti emozionati oggi nell'incontrare, nel testo di Isaia, parole così forti e luminose. E' un'occasione preziosa per renderci conto di cosa significhi che Gesù è l'adempimento di tutte le Sacre Scritture. Di Lui si dice della sua obbedienza alle parole del Padre e poi della grande novità da lui portata: la salvezza universale. E' questo il miracolo che continuamente ritroviamo ed ammiriamo in tante persone, come Papa Giovanni: la novità di Gesù, la certezza della sua destinazione a tutta l'umanità, a tutti i popoli e le culture. C'è una specie di sintonia interna in Gesù che poi ritroviamo in ciascuno di noi, in ogni uomo. Lui è il "Sì" di ogni bellezza e di ogni bontà che Dio ha celebrato in ogni creatura. Il progetto della vita cristiana è quello di portare la croce come Gesù e, così facendo, celebrare il giudizio di salvezza per tutta l'umanità. Isaia ci parla di un giorno severo, in cui sarà esaltato il Signore, Lui solo. Tutto quello che è grande, ricco, potente, da questo giorno viene giudicato perché lui solo deve essere innalzato, esaltato. Questa parola è preziosa in Cristo, questo verbo (innalzare) cambia radicalmente significato ed invece di essere un segno di potere è il preannuncio della croce, della suprema umiliazione. Innalzamento ed umiliazione coincidono in Gesù. L'umiliazione è la stessa parola che Maria canta nel Magnificat. Questo è il perenne scandalo di Cristo: noi siamo contenti che Gesù sia il Signore dei poveri, ma è difficile accettare che proprio Lui sia il povero ed il reietto. Questo è il mistero della storia: noi siamo sempre in quattro gatti, siamo sempre esposti al declino della fede cristiana, siamo rimasti in pochi e ci si deve chiedere: "E' un segno di decadenza questo, oppure è l'affermarsi del reietto?" Anche i nostri fratelli, che sono diventati preti in questo giorno dell'esaltazione della Croce, sono segnati da questo. Gesù è in mezzo a noi "come colui che serve", è sempre il figlio dell'uomo obbediente fino alla morte. I tempi che viviamo sono tempi di grande potenza. La fede forse è un grande vuoto, una grande assenza. Gesù è nella tua ferita, non ti fa andar bene le cose, ti trascina nella perdizione della tua vita. Bisogna stare attenti, ogni persona che cade sotto il giudizio, più si allontana dalla considerazione e dall'affetto, più lascia in pensiero. Cristo occupa il posto del condannato, del reietto; tutti possiamo essere reietti, esclusi, ma Cristo è già là. Tutti siamo esposti a qualche esclusione, ma siamo del Signore in modo assoluto; Lui ha attirato tutti a sè e noi ci lasciamo sedurre da Lui. Bisogna spegnere ogni giudizio ed abbandonarsi alla bontà spassionata di Gesù. Ci sono molte alture, idoli, imbarcazioni di lusso e violenze come dice oggi Isaia, ma Cristo è nella ferita dell'esistenza. Concediamo alla nostra preghiera di essere molto più potente del male che qualcuno ci può avere fatto.

 

15-9-00 Is 3, 1-15; 2Tm 2, 14-21; Lc 1, 57-66 (Francesco)

 

Beato il giusto perché avrà bene

 

- Ringraziamo il Signore e la Vergine Maria che ci consentono di celebrare la memoria della Vergine Addolorata. Restando con Maria e le donne ai piedi della croce, abbiamo la grazia di rimanere nella festa di ieri (esaltazione della Croce). Abbiamo molto da imparare dal mistero della Croce, che ci coglie spesso alla sprovvista ed in difficoltà. Chiediamo la grazia di poter stare ai piedi della Croce e delle nostre croci. Chiediamo perdono per tutte le nostre fughe dal dolore, per le nostre resistenze e ribellioni alla croce, per quando abbiamo perso la pazienza e non abbiamo saputo cogliere la presenza del Signore nelle nostre vicende.

- Dopo aver tolto pane ed acqua, il Signore toglie a Gerusalemme e a Giuda tante figure di riferimento per il popolo. Alcune sono negative (maghi e indovini), ma anche quelle positive alla fine del brano sembra che non lo siano più. Il popolo si trova sbandato se mancano le guide, se manca il Signore.

- Il primo versetto è perentorio: si collega alla fine del cap 2 (guardatevi dall'uomo che si innalza); infatti il Signore toglie ogni sostegno. "Togliere" è come una presa di posizione del Signore per tutto il male che viene dall'idolatria.

- C'è un giudizio (vs 15), molto severo; è bello che Dio difenda il suo popolo, che è uscito dalla festa di ieri (esaltazione della Croce). Pestare la faccia al povero è molto facile, la croce è il segno di questo atteggiamento.

- Forse tutte le persone citate, che il Signore toglie, non sono solo "guide"; possiamo essere tutti noi. Sembra che il Signore tolga una parte di popolo, i sacerdoti ed i re non sono citati

- vs 7: nei LXX dice "non sarò il tuo conduttore", in greco "guida"; è profezia del Signore perché questo termine nel NT è usato per indicare quello che il Padre ha costituito guida del suo popolo: Cristo.

- Perché succede tutto questo guaio? Perché la loro lingua e le loro opere sono contro il Signore. Questo popolo non ascolta ed usa in modo improprio la lingua.

- E' bello che il cammino del popolo vada avanti (vs 12); c'è una strada che viene percorsa e che prevede anche il dolore.

- Il brano di oggi è una precisazione del tema di ieri: il giudizio di Dio su tutto ciò che tende ad innalzarsi. Nelle categorie di oggi si tratta di tutto ciò che l'uomo può presumere per credersi potente. Tutto va letto all'interno del fatto che "verrà esaltato il Signore, lui solo". Dobbiamo eliminare tutto ciò che potrebbe opporsi al suo innalzamento. Manca però ogni figura di riferimento. Il testo vuole abbattere ogni presunzione di uomini e riferirsi solo a Dio, un Dio che però lascia un vuoto. Questo è proprio lo scadalo della fede: Gesù è lo sconfitto. Veste di derisione, mantello di porpora, corona di spine; in questo vuoto d'autorità c'è la figura di Gesù, un re deriso e sconfitto. Siamo lasciati nel vuoto del Sabato Santo, un vuoto ed un silenzio che si creano alla morte di Gesù. La luce di speranza in questo vuoto (ha detto il cardinale Martini) è data dalle donne silenziose, lì con gli aromi, una presenza ferma nel giorno di sabato, in un'attesa che è speranza. Silenzio ed attesa per cogliere il mistero di Dio.

 

16-9-00 Is 3,16-4,1; 2Tm 2, 22-26; Lc 1, 67-80 (Francesco)

La vanagloria

- Il Signore ci fa restare nel tempo e nel mistero della Pasqua di Gesù in compagnia della Vergine e delle altre donne e ci invita a seguire la testimonianza di queste persone deboli e, allo stesso tempo, forti. Possiamo cogliere così una testimonianza nuziale, un amore casto, pieno di desiderio e di intimità con Gesù. Chiediamo al Signore che ci purifichi da ogni vanità esteriore, come ci indica oggi il profeta Isaia, ma soprattutto interiore. Chiediamo perdono per ogni volta in cui la nostra persona ha voluto mettersi al centro dell'attenzione.

- vs 25: nei LXX dice: "il tuo figlio, il più bello, che ami, cadrà di spada"; a questa versione si può dare un'interpretazione cristologica. Il lutto può collegarsi all'abito di sacco di vs 24 che era abito di lutto. Oggi ci è data una visione della superbia che si esprime in piccole cose; è una superbia quotidiana, iscritta negli aspetti più minuti: fibbie, fermagli, ecc

- Di tutte le conseguenze della vanagloria, colpiscono due cose: la nudità del capo (vs 17), che richiama il fatto che ognuno deve essere rivestito di Cristo, e la desolazione (vs 26). La città è desolata come la donna a cui mancano i figli.

- Il primo versetto del cap 4 in greco dice: "il tuo nome sia invocato su di noi"; quindi si tratta non solo di un casato, ma di un'espressione aperta ad una interpretazione cristocentrica.

- Viene ripreso il tema del giorno del Signore (vs 18 e 4,1). E' il giorno del giudizio visto ieri in cui ogni idolo viene abbattuto. Abbiamo visto tante cose e persone abbassate dall'innalzamento del Signore. Oggi ci sono queste figlie di Sion descritte minuziosamente nella loro volontà di piacere, essere attraenti, ricercate. E' una ricerca non solo fisica, ma anche spirituale. E' una critica generale alla nostra vanagloria. Figlia di Sion indica tutto il popolo d'Israele in relazione con Dio e con gli altri popoli. Si tratta dell'infedeltà d'Israele che entra in rapporto con gli altri usi, costumi e dei. Anche la descrizione degli ornamenti, vestiti, gioielli, ecc. ha accenni ad Israele nella sua condizione liturgica; in greco usa proprio i temini porpora, bisso, scarlatto, una liturgia che si espone ad una relazione infedele con gli altri. L'esito di tutto questo è al vs 24 e seguenti: "invece di profumo ci sarà marciume...." e riporta l'umiliazione di tutto quello che, nei giorni scorsi, era nei posti alti. Tutto quello che è in relazione con la nuzialità diventa segno di desolazione e di bruttura. Gerusalemme viene descritta con lamenti e gemiti davanti alle sue porte, una città disabitata e colpita dal castigo di Dio che richiama i segni di lutto della Passione, l'immagine delle donne ai piedi della Croce. Sono segni che descrivono tutto il popolo in situazione di castigo. L'immagine finale delle sette donne che afferrano un uomo solo rappresenta il punto di massima sofferenza, ma anche di speranza: la desolazione si trasforma in preghiera. Queste donne si arrendono, cessano d'inorgoglirsi, si aprono ad una preghiera umile, chiedono di essere sposate a quest'unico uomo che può togliere la loro vergogna. La molteplicità delle donne (7) richiama la situazione opposta d'Israele, che aveva tanti idoli; ora sono tante donne che si rivolgono ad un solo uomo. L'espressione "afferrare" richiama la Resurrezione, quando le donne afferrano i piedi di Gesù e si prostrano a Lui. E' un testo, quindi, che si pone a sigillo di quelli dei giorni passati dove c'erano tanti aspetti dell'infedeltà dei popoli. Oggi l'infedeltà delle donne sembra si concluda nella richiesta di essere sposate dall'unico uomo che è quello solo che deve essere innalzato, il solo che deve essere il vero sposo.

 

18-9-00 Is 4, 2-6; 2Tm 3, 1-9; Lc 2, 1-7 (Francesco)

 

Il germoglio

 

- L'immagine del germoglio presentata oggi da Isaia, è la più bella per esprimere la speranza che il nostro Dio misericordioso vuole riaccendere nei nostri cuori. Il germoglio è qualcosa di molto piccolo, ma che può continuare a crescere nonostante le distruzioni che il Profeta ci ha presentato nei giorni scorsi. Anche in noi ogni giorno cresce questo germoglio, il Signore ci regala questa sorgente di speranza per la quale ogni bruttura può essere superata ed anche noi possiamo essere protetti e salvati. Non dobbiamo avere timore di aver bisogno di questo germoglio (Gesù), nè aver paura di sperimentare l'effetto buono che questo germoglio ha in noi.

- vs 6: "Una tenda (tabernacolo) fornirà ombra" ,un grande rifugio mobile ed agile. Il nostro cuore dovrebbe imparare a vedere nelle situazioni fragili l'agilità e la speranza.

- vs 4: "Spirito di giustizia e spirito di sterminio"; è bello sintetizzare così Pasqua e Pentecoste. Destinatarie di quest'opera sono le figlie di Sion che rappresentano la corruzione d'Israele.

- vs 2: non c'è "crescerà", ma "ci sarà" un germoglio per la bellezza e la gloria. Alla fine viene precisato che ci sarà per la magnificenza dell'ornamento e per la gloria d'Israele. E' bello pensare che questo germoglio sia Gesù e che sia per il popolo.

- vs 5: "la gloria del Signore sarà come baldacchino": questo baldacchino, luogo coperto, potrebbe essere la stanza nuziale; è una copertura per il suo popolo, fa pensare alla gelosia di Dio per la sua sposa. Allo stesso versetto non c'è "verrà", ma c'è il verbo creare: la realtà di cui si parla è una nuova creazione.

- Questo germoglio è sempre legato a "In quel giorno", che rimanda al giorno della salvezza (Pasqua). Nei LXX non c'è "il germoglio del Signore", ma c'è solo "Dio"; il Messia per i Greci è presente in Dio stesso. Tutto è per gli scampati d'Israele (il "resto" per i LXX); questo è interessante perché, per la profezia di Geremia, quelli che restano a Gerusalemme hanno un destino negativo. L'esito per i deportati sarà positivo, mentre per i rimasti, secondo Geremia, non c'è bene come invece sembra esserci oggi. Oggi ci sono parole di speranza per i pochi che restano: "Santi saranno chiamati, e iscritti nella vita". Bello anche che il Signore lavi le brutture e che ci sia questo dono dello spirito di giudizio e purificazione col fuoco. E' un giudizio che vuole purificare, vuol far procedere i figli e le figlie di Sion verso una nuova condizione. Poi c'è l'immagine dell'Esodo (nube di giorno e fuoco di notte); così li guidava il Signore. C'è quindi una ripresa dell'opera di salvezza anche per questo resto di popolo: un nuovo inizio. Da ultimo la tenda, ombra, rifugio, riparo, baldacchino: il Signore vuole custodire il suo popolo. Oggi il testo ci vuole incoraggiare e, se lo colleghiamo al vangelo (nascita di Gesù), troviamo un parallelo molto forte col germoglio. La nostra eucarestia è una promessa del Signore del rinnovarsi della sua misericordia ogni giorno sul nostro cammino, che deve proseguire con pace, forza e speranza.

 

19-9-00 Is 5, 1-7; 2Tm 3, 10-17; Lc 2, 8-21 (Francesco)

 

Canterò per il mio diletto il mio cantico d'amore

 

- La nostra regola ci ha parlato dell'amore eterno col quale il Signore ci ha amati per primo e nel quale vuole che ci amiamo in un'unica chiesa. Il brano d'Isaia ha oggi per tema il grande amore di Dio per noi. In continuità forte con quello che abbiamo ascoltato, non è eludibile il richiamo alle colpe, al peccato e, quindi, alla conversione. Non dobbiamo però aver timore di questo perché il principio della speranza della nostra conversione sta nel contemplare tutto il bene che il Signore ci ha voluto fino ad oggi. Chiediamo perdono al Signore per tutto quello che sarebbe stato doveroso ricambiare per quanto ha fatto per noi e noi non abbiamo neppure considerato. Il nostro esame di coscienza, in ogni modo, va fatto senza timore perché tutto quanto il Signore ci dice oggi ce lo dice in un impeto di grande amore.

- vs 1: colpisce che venga cantato, per il diletto, il "canto del diletto per la sua vigna". Il canto del fedele è solo una ripetizione del canto del Signore, come nella preghiera vengono rivolte a Dio solo parole che sono sue. La vigna è al femminile, mentre tutti i riferimenti sono al maschile e quindi forse sono tutti riferibili a Dio.

- Alla fine si tratta di un peccato contro l'amore: Dio ha sparso tanto amore, si aspettava giustizia ed ha trovato spargimento di sangue. In ebraico si usano termini molto simili: il confine fra giustizia e spargimento di sangue è piccolissimo. Questo fa pensare che la correzione fraterna e la distruzione del fratello sono molto vicine.

- Richiama il brano del banchetto nuziale al quale gli invitati non vanno. Il Signore fa una grande spesa di energia, ma poi le cose falliscono. A questo punto però la vigna viene aperta a tutti e forse la spesa enorme fatta per lei è la storia della salvezza.

- Bella la confusione rispetto al soggetto: chi canta? Isaia? Dio? e allora chi è il diletto? La cosa che colpisce è il cinismo assoluto: non è andato bene niente e canta. Bisogna prendere atto che se c'è una possibilità che le cose vadano bene, questa si verifica solo se le prende in mano Dio. E' importante cantare questo fallimento per sottolineare che, se c'è un frutto, questo può venire solo da Dio.

- E' importante notare che all'inizio c'è proprio il verbo "Canterò": è quindi un canto, non un'imprecazione od una minaccia, un canto d'amore. Nel Cantico dei cantici troviamo le stesse espressioni. Nelle scritture ci sono anche canti di lamentazione ed il canto di oggi è tutte e due le cose: un canto d'amore ferito. Certo l'amato emerge con molta forza, è una figura messianica per molti accenni. In ebraico al vs 1 "il mio diletto" è "figlio dell'olio" (Messia=unto con l'olio); al vs 7 la sua piantagione preferita è "germe del diletto" ed in greco "neofita amato". C'è il passaggio dalla casa d'Israele ad un unico uomo: Gesù. Anche i due riferimenti alla vigna che troviamo nei Salmi 88 e 79 fanno scivolare l'immagine dalla vigna all'uomo: il figlio amato. Il Salmo 88, 39 dice: "Tu lo hai respinto, hai diroccato le sue mura", espressioni tutte rivolte al consacrato. Nel Salmo 79, 15 dice: "Visita questa vigna, proteggi il germoglio che hai coltivato". Questo tipo di lettura porta a leggere il canto come una parola d'amore che richiede il pentimento, ma che è piena di speranza nel Messia. Il vs 5, "Toglierò la sua siepe, abbatterò il suo muro", richiama Ef 2,14, dove dice che Gesù nella sua passione abbatte il muro di separazione ed apre la salvezza alle genti. Quindi sono tutte indicazioni positive che annunciano pace ai vicini ed ai lontani.

 

20-9-00 Is 5, 8-17; 2Tm 4, 1-8; Lc 2, 22-35 (Francesco)

 

Guai a voi che aggiungete casa a casa

 

- Una parola colpisce molto nel testo di oggi, quella in cui si dice che il popolo "non bada", non contempla l'opera del Signore. Per distrazione dello spirito, non riesce più a soffermarsi sull'opera di Dio. Questa mancanza di lucidità, è dovuta prevalentemente all'avidità. Chiediamo perdono per quello che in noi è partecipazione a tutto quanto genera questa dimenticanza dell'opera di Dio.

- vs 8: "aggiungete" è in realtà "toccate" termine che dà un'idea più fisica e coinvolgente della fruizione del bene. Quando dice "non c'è più spazio" usa il termine del "sabato" nel senso che non c'è più tempo, si cerca un riposo. Potrebbero sembrare peccati poco gravi, invece è la mancanza di fede nel Signore, il non badare a Lui, il non vedere e non sentire, il non accorgersi della sua opera.

- Bello l'accostamento col vangelo dove Simeone vede Gesù. Molti termini d'Isaia vengono utilizzati da Luca sia per il Magnificat, sia per il "Nunc dimittis".

- vs 8: "Aggiungete casa a casa". Vogliono riempire tutto lo spazio. Si può pensare anche riferito alla persona che vuole crescere senza lasciare spazio ad altri; il contrario di Giovanni Battista che deve diminuire per far posto a Gesù.

- Sono parole di speranza perché l'opera del Signore è vigilante sull'uomo. Delude le aspettative di grandezza dell'uomo, abbassa il suo orgoglio, lo rende piccolo.

- vs 8: in latino usa termini nuziali, "congiunge casa a casa". L'ammonizione circa la sterilità della terra e le casa senza figli, sembra una conseguenza dell'avidità.

- E' proprio quest'avidità che porta come esito una condizione di solitudine e desolazione della propria vita (in greco dice che si abbandona il prossimo e si alita da soli sulla terra). L'ebbrezza dal mattino alla sera (vs 11) ricorda l'invito dell'Apostolo a non ubriacarsi di vino, ma di Spirito Santo. Quest'ebbrezza è anche all'origine (vs 12) della condizione di annebbiamento della propria coscienza che impedisce di ammirare l'opera del Signore. E' come in contraddizione con la promessa fatta da Dio a Simeone nel vangelo; lì c'è il dono dello Spirito che apre gli occhi e spinge Simeone al tempio. C'è poi il tema dell'umiliazione (vs 15) e dell'esaltazione del Signore per la sua giustizia. Da ultimo (vs 17) compaiono gli stranieri (i capretti in italiano), che mangiano in luoghi deserti (rovine). C'è anche un'apertura finale agli agnelli (popolo d'Israele) ed ai capretti (stranieri), che trovano cibo; quindi c'è una speranza perché tutti ricevono nutrimento dal Signore.

 

21-9-00 Is 5, 18-23; Ef 4, 1-13; Mt 9, 9-13 (Francesco)

 

Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene

 

- Affidiamo a San Matteo la nostra comunità dei Ronchi, tutta la gente che vi abita e soprattutto il nostro rapporto col vangelo. Per ricordare Matteo oggi la chiesa ha scelto il tema della misericordia di Dio per i peccatori, tema che ci collega al testo di Isaia che dà luce alla parola nuova del vangelo e da lei riceve luce. Chiediamo perdono per il nostro facile autogiustificarci, per il presentarci agli altri come sapienti, giusti, buoni, mentre dobbiamo presentarci nella nostra povertà per poterci sedere con il nostro Signore alla mensa dei peccatori.

- Rispetto al vangelo queste persone che si tirano addosso i guai non possono essere assimilate ai peccatori; sono infatti gagliardi, forti, vedono le opere del Signore, mentre i peccatori che si raccolgono nella casa di Matteo sembra abbiano molto bisogno di Gesù.

- vs 19: ricorda la crocefissione, quando Gesù viene deriso e gli viene chiesto di mostrare chi è. Queste persone si credono sapienti, ma non lo sono; sono in una situazione d'orgoglio e di superbia nella quale non si ha bisogno di Dio.

- Le tenebre devono essere considerate come tali perché si è in attesa della luce di Cristo, luce vera, che sola può illuminarle. Anche il ritenersi sapienti ed intelligenti va contro il tempo dell'attesa; sappiamo infatti che Gesù sarà rivelato ai piccoli.

- La sapienza è solo del Signore: sapeva chi lo tradiva e sapeva che la sua ora era ormai compiuta. Non c'è sapienza senza la croce.

- E' importante riflettere sulle parole di oggi in rapporto con i vangeli della passione. Il primo guai di oggi (3° dopo quelli dell'avidità e della ricchezza di ieri) è la fretta, perché vogliono vedere per credere (scenda ora dalla croce perché vediamo e crediamo). Anche nella seconda lettera di Pietro si parla degli schernitori che attendono Gesù; e bisogna ricordare la paziente attesa di Dio perché tutti devono giungere alla conversione. La fretta è dannosa alla virtù della pazienza e della docilità del patire. Il secondo guai di oggi (chiamare bene il male e male il bene), rivela l'atteggiamento di chi non accetta la realtà delle cose, vuole ribaltare la situazione in cui si trova. C'è una certa giustificazione del male: il non accettare che ci sia un giudizio di Dio sul male della nostra vita. Dio non giustifica il male in sè, lo giustifica nel suo Figlio. La mensa in cui si beve vino e si mescono sostanze inebrianti è diversa dalla mensa descritta da Matteo in cui i commensali sono convocati dal Signore e attendono da lui la giustificazione. Bisogna cercare il Dio che giustifica l'empio (Rm 4, 5). Isaia mette in chiaro che non si può giustificare la singola opera malvagia, mentre si possono giustificare, con atto di misericordia di Dio, le persone che compiono il male; questo per la giustizia del suo Cristo. L'opera di Dio è quella di rendere buono quello che è cattivo, luminoso quello che è nelle tenebre, dolce quello che è amaro. Ma è il Signore che fa questo per noi attraverso il sacrificio di suo Figlio, che è l'opera di misericordia più preziosa che Dio compie nella nostra vita.

 

22-9-00 Is 5, 24-30; 2 Tm 4, 9-22; Lc 2, 36-40 (Francesco)

 

Il giudizio sorgerà come un fuoco che salverà

 

- La nostra Regola oggi ci parla della bellezza del dono quotidiano della Parola e dell'Eucarestia. Anche oggi siamo chiamati a questo incontro nel quale ricordiamo la sorella Artura a tre anni dalla sua morte. Ringraziamo il Signore per i doni che ci ha fatto attraverso di lei. Ieri era San Matteo e questa nostra chiesa dei Ronchi, che a lui è dedicata, ringrazia ancora una volta per tutto il bene che il Signore ci vuole. Chiediamo perdono in modo particolare per tutti i nostri peccati contro la carità.

- La parola di Dio, oggi ascoltata, è molto ricca. Il tono è piuttosto severo, il Profeta nei giorni scorsi ha molto insistito nel mettere in evidenza il peccato ed il castigo conseguente (come una lingua di fuoco divora la paglia). C'è anche la minaccia di un popolo nemico, ma poi il Signore ci vuole consolare, ci prende per mano per darci speranza. Anche oggi qua e là ci sono scintille di speranza per tutti noi: la prima parola "lingua di fuoco" ricorda il giorno di Pentecoste; lo Spirito Santo aveva questa forma e quindi quel fuoco, che poteva sembrare solo di distruzione, è invece di purificazione. San Paolo poi ci parla spesso di paglia e di pula, ma il giudizio sorgerà come un fuoco che salverà. Il Signore brucia ciò che non è buono ai suoi occhi per lasciare l'uomo nuovo purificato. Anche la mano distesa, citata due volte, fa pensare alla mano di Gesù stesa sulla croce non per colpire, ma lui stesso luogo di espiazione per noi. Poi c'è il segnale ("vessillo") per tutti i popoli della terra che indica Gerusalemme; è il vessillo della croce che attira tutti verso Gerusalemme. La persona sola, veloce, leggera, che viene è Gesù, mite e dolce che prende su di sè la nostra povertà. Le frecce con cui colpisce i nemici sono i suoi comandamenti. Il suo ruggito, come di leonessa, è il ruggito del leone di Giuda che viene. Quando dice che ci saranno tenebre ed angoscia, è una predizione della morte di Gesù, momento in cui tutto il mondo è nelle tenebre. Gesù emerge sempre da queste pagine e si mostra nel mistero della sua croce. Così per Artura, che oggi ricordiamo, c'è ancora il dolore, ma la bontà, la bellezza, la gentilezza del suo passaggio fra noi ricordano tanto Gesù e sono per noi un incoraggiamento grande.

 

23-9-00 Is 6, 1-7; Tt 1, 1-4; Lc 2, 41-52 (Francesco)

 

La profezia è una potenza che, manifestandosi, salva

 

- Nel giorno di sabato la chiesa ci invita a far memoria della Vergine Maria. Noi lo facciamo volentieri perché ci sentiamo protetti dalla sua maternità. Oggi poi Isaia ci dice parole che richiamano molto l'Annunciazione e noi abbiamo bisogno di queste parole che ci ricordano l'incontro misterioso fra la bellezza, potenza e santità di Dio e la nostra povertà. Oggi c'è un "aimè!" di Isaia che si unisce agli "ai!" dei giorni scorsi. E' la Vergine che ci aiuta a vivere il tremendo incontro con la santità di Dio con animo fiducioso. Chiediamo di poter vivere con animo quieto l'Eucarestia in cui si compie questo misterioso incontro.

- vs 5: "io sono perduto", in ebraico può voler dire sia "essere rovinato", sia "essere ridotto al silenzio"; in greco può significare "essere compunto", quindi molto più ricco di significati rispetto all'italiano. Il fatto di dover tacere, di essere ridotti al silenzio (Regola) scaturisce dall'esperienza dell'incontro col Signore.

- Colpisce l'atteggiamento dei Serafini: il coprirsi ed il celarsi davanti al Signore ci fa capire che anche gli angeli sono consapevoli della loro indegnità; le loro parole, "Santo, Santo, Santo", gridate con forza sono solo un'esaltazione di Dio.

- Il brano detto "Vocazione d'Isaia" forse non è proprio solo una vocazione; qui Isaia viene purificato, poi sarà lui stesso ad offrirsi. C'è si una preferenza nuziale per Isaia, che però richiede una partecipazione, non c'è imposizione.

- vs 5: "perduti" nei LXX è "essere trafitti". Qui Isaia è trafitto perché vede di essere indegno mentre Dio si compiace di rivolgersi a lui.

- La visione che oggi contempliamo inizia con una nota storica: "Nell'anno in cui morì Ozia". Queste visioni, quindi, non sono solo insegnamenti o sgridate, ma anche profezie dette per illuminare la storia e darle speranza. La morte del re è importante, su di lui si poneva la speranza e la sua morte stupisce. Per la vanità dell'uomo, sembra impossibile che anche i re muoiano, ma devono anche loro cedere davanti alla manifestazione della gloria di Dio. La visione ha il significato di denuncia della piccolezza dell'uomo e di manifestazione salvifica di Dio. La profezia è una potenza che, manifestandosi, salva; è quindi una parola di speranza. Dio sul trono alto ed elevato (croce) è una manifestazione di grandezza, ma anche di debolezza. Il manto di Dio è il Cristo, di cui Dio si riveste per permettere all'uomo di vederlo. C'è un richiamo all'Annunciazione perché anche nel vangelo il manifestarsi della santità di Dio nella piccolezza dell'uomo turba Maria come oggi turba Isaia. Questo ci mostra il senso ultimo dell'avvenimento, che è un senso nuziale. E' importante vivere la sensazione deprimente della nostra pochezza come fa nell'Annunciazione Maria, con tremore ma anche con amore.

25-9-00 Is 6, 8-13; Tt 1, 5-9; Lc 3, 1-9 (Giovanni)

...e io li guarirò

- E' una grande grazia vivere nel tempo di Gesù, perché questo consente di riferire a Lui tutte le parole delle Scritture. Tutta la quiete del nostro cuore è legata al dialogo fra Padre e Figlio. Questo non ci sottrae alla responsabilità e alla vertigine di questo rapporto, ma è importante che ci possiamo mettere nelle braccia di Gesù. Attraverso di lui ci sembra non solo possibile, ma necessario che ogni uomo della terra trovi la dignità dell'esistenza. In questo anche la confessione dei peccati diventa pace. In questa vicenda pasquale di ogni giorno possiamo essere tratti fuori dai nostri sepolcri e restituiti ad un cammino di pace.

- Nella prima parte, le parole del Profeta "Eccomi manda me" sono in continuità con quelle di sabato che erano in parallelo a quelle dell'Annunciazione: "Ecco la serva del Signore". Le parole del Profeta non sono frutto di presunzione o sforzo di volontà, ma di una grazia assoluta da parte di Dio. Il Profeta aveva già detto di non essere degno, ma l'angelo lo aveva purificato col carbone. Non si può non rispondere alla grazia del Signore.

- vs 9-10: sono i più difficili della scrittura; ma alla fine del vs 10 in greco e in ebraico dice: "e io li guarirò". Questo è il vero finale della storia.

- Qual'è l'opera della Parola di Dio nella storia? Non è solo arrivare ad un nostro ascolto anche diligente, ma è portare tutto alla passione di Gesù. C'è una morte, ma anche una resurrezione: "progenie santa sarà il suo ceppo". E' una distruzione necessaria, che non finisce in sè stessa, ma porta ad un grande abbandono a Dio.

- La severità del discorso ci mette in difficoltà, ma la purificazione non è una condanna; a volte severità e rigore di vita sono necessari.

- Si può pensare a Gesù perché nessuno ha voglia di essere mandato al fallimento. Il vero problema non è che ci sono tanti guai e tanta gente scassata, ma è che questa parola deve venire per fallire, per arrivare alla morte di Gesù ed alla sconfitta del vangelo. Non è che il mondo giri bene perché c'è la parola di Dio, il fatto più grave è che chi va non solo va in mezzo ai guai, ma va verso la sconfitta. Il credente ha la sua massima prova non nell'ostilità del mondo, ma nella sconfitta della Parola. Spesso si arriva ad un certo livello, ma noi sappiamo, nell'intimo del nostro cuore, della sconfitta del vangelo nella nostra stessa vita. Spesso siamo tentati di fuggire proprio per questo. Quando le cose sono troppo complicate, le versioni ed i codici si moltiplicano. E dopo il vs 10 le cose vanno ancora male. Dove si deve arrivare? Persino la fine del vs 13 è incerta (in greco viene messa in nota). Bisogna capire che noi facciamo sempre un grande ingombro finché non arriva Gesù. Nei giorni scorsi era stato detto: "Guai a voi che aggiungete case su case "; oggi queste case sono vuote. Questo forse è un dato spirituale; ogni nostra anima corre il rischio del capitalismo, mentre Dio vuole solo che lo amiamo. La più grande fatica non è accettare che ci siano i peccatori, ma che il vangelo sia fallito. Se la comunità dei cristiani si autocompiace, allora è ingombrante; in realtà non possiamo che appoggiarci a Lui. Questo è il credente: aggrappato al Signore perché non ce la fa. Se ce la fa, è un limite: è meglio che non si siano trovati 10 giusti a Sodoma. Abbiamo pace perché sappiamo che il testo riguarda Gesù. Ogni frammento che lasciamo al nostro successo è un guaio, un ostacolo. Anziché guardare che la famiglia non funziona, che noi non combiniamo niente, che nessuno ci vuole bene, guardiamo che Gesù funziona. La castità è totale apertura, totale povertà ed accoglienza del bene che ci viene dall'alto. Il contrario della castità è il possesso. Bisogna concedere a Dio d'amarci, la vita diventa bellissima per chi si affida completamente a Lui.

 

26-9-00 Is 7, 1-9; Tt 1, 10-16; Lc 3, 10-18 (Francesco)

 

Se non credete, non comprenderete

 

- Il testo di ieri ci parlava del mistero dell'indurimento del cuore del popolo, mistero di cui il Profeta prospettava come frutto il castigo di Dio, la desolazione della terra, gli abitanti uccisi e deportati. C'erano alla fine le parole "e io li guarirò". Oggi siamo di fronte al primo verificarsi del castigo, l'avvicinarsi degli invasori. Il Profeta però anche oggi vuole darci una speranza. Il Signore continua ad essere vicino al suo popolo e c'è una sua difesa. Anche noi siamo dentro a questa storia: labbra impure, indurimento del cuore, avvertiamo le conseguenze negative di tutto ciò, ma siamo chiamati a nuova speranza e fiducia in Dio. Le ultime parole, "abbandono fiducioso", ci invitano a questo.

- E' bello che, di fronte al nemico, il cuore del re e del popolo si agitino in un modo unico, come i rami di un bosco. C'è solidarietà. "Sta tranquillo"= fai silenzio, cosa che va custodita contro il nemico. Questo ci toglie la paura e fa sì che non ci ammaliamo (altra traduzione: "non si abbatta il tuo cuore").

- vs 4: nei LXX dice: "Quando avverrà l'ardore del mio animo, io li guarirò". Ieri al vs 10 usava lo stesso verbo. La motivazione dell'attesa confidente è la guarigione del nostro animo da parte del Signore.

- vs 9: nei LXX dice: "Se non crederete, non comprenderete". E' lo stesso verbo visto ieri: "non comprendono col cuore". C'è la continuità, ma è sempre un rapporto mobile con Dio. Non ci sono sentenze fisse e chiuse, tutto si muove, il cuore si indurisce, ma c'è sempre la possibilità di fede provocata dalla parola di Dio.

- L'alleanza contro Giuda richiama in negativo l'alleanza fra i popoli per salire a Gerusalemme (cap 2). Questa è alleanza per il male. E' alleanza fra un re pagano ed una parte stessa d'Israele. Ricorda l'alleanza fra Erode e Ponzio Pilato. Al vs 2 ("Si è riposato Aram su Efraim") è come se la Siria, sempre nemica di Israele, trovasse riposo nell'amicizia con questo re. Al vs 1 "non riuscirono ad espugnare Gerusalemme" richiama il Salmo 47: l'alleanza dei popoli non riesce a distruggere Gerusalemme. Richiama anche "La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno vinta" (Gv 1,3). L'agitazione nei LXX è "come il legno viene scosso dallo spirito": richiama la croce, c'è un presagio della passione. L'accenno alla piscina richiama le acque di Siloe dove Gesù invita il cieco a lavarsi. Ci sono insomma tanti elementi di collegamento col vangelo. Al vs 5 la proposta dei due re nemici di sostituire il re (Tabel=nulla di buono), è immagine dell'attentato alla regalità di Dio (Salmo2). I vs 8 e 9, ripetendo spesso "capo", ricordano il confronto fra chi vuol essere primo (capi) ed i bambini. Infine l'invito del profeta: "Se non credete non sarete salvi" (nei LXX "non comprenderete"), è un invito ad avere fede nel Signore, nella sua potenza, nel fatto che Lui resta sempre.

 

27-9-00 Is 7, 10-17; Tt 2, 1-10; Lc 3, 19-20 (Francesco)

 

Il Signore stesso vi darà un segno

 

- Affidiamo questa Eucarestia a San Vincenzo de Paoli, chiediamo anche noi il dono della carità, che è l'umile risposta al grande amore di Dio per noi. Oggi Isaia ci invita ad una certa audacia della fede. Ieri c'era la grande tribolazione del popolo e l'invito finale alla fede, oggi c'è l'invito a chiedere. Anche noi dobbiamo trovare nella fede la forza e l'audacia per chiedere, senza rassegnarci al male. Dobbiamo trovare in fondo al cuore la spinta per affidarci al Signore. Chiediamo perdono per tutte le inerzie e le passività al male, per quando non abbiamo il coraggio o la voglia di rivolgere a Lui il nostro grido della fede.

- Nell'ultima parte del testo anche oggi la versione dei LXX è un po' diversa: nel testo italiano (che si appoggia più sull'ebraico) sembra si parli di un bambino che mangia panna e miele finchè non saprà distinguere il male dal bene; nei LXX si parla più di una situazione di prevenzione per cui, prima di sapere, lui sceglie il bene. Vengono messi in rapporto forte gli elementi interiori della storia dell'uomo con la storia esterna.

- Bello l'accostamento fra profondità ed altezza che possono diventare i segni del Signore. Il chiedere un segno in queste situazioni è bello perché richiama San Paolo nella lettera ai Romani quando dice che né altezza né profondità ci possono allontanare dall'amore di Dio. In Ef 3 si parla di altezza e profondità per dire delle dimensioni dell'amore di Cristo. Anche la Samaritana parla della profondità del pozzo e Zaccheo, che era piccolo, sale in alto sull'albero. Il Signore li cerca nelle situazioni in cui si trovano.

- Cos'è questo burro e miele che permettono di discernere il bene dal male? Nelle Scritture miele è un termine spesso usato per la parola del Signore; il burro potrebbe essere la carità. Parola di Dio e carità ci custodiscono nel bene.

- Bella la prima parola: "aggiunse". Il Signore parla a questo re empio che è sempre visitato dalla grazia e dalla parola di Dio. C'è un rinnovato dono in questo "aggiunse", ci tira fuori dalla nostra tristezza e rassegnazione. Anche il "chiedi" è l'invito conseguente a quanto detto ieri di avere fede. Bisogna rivolgersi a Dio con audacia, anche là dove sembra che non ci sia più niente da fare: nel profondo degli inferi e lassù nell'alto (se salgo in cielo là tu sei, se scendo agli inferi eccoti!). Oggi il Signore ci dice: "Chiedi!" Tutta la potenza di Dio è come appoggiata alla nostra ricettività. Colpisce la stanchezza (Gerolamo traduce "molestia"): è la possibilità di portare la stanchezza fin dentro al mistero di Dio; è la stanchezza di Gesù all'ora sesta. E' come se Dio si avvicinasse a questo re con tutta la sua potenza, ma anche tutta la passione del suo Cristo. E' un testo formidabile nella sua evoluzione: nonostante il no dell'uomo, Dio compie ugualmente la sua opera. E' Dio stesso che dà un segno: la Vergine (Israele), che viene fecondata dalla potenza di Dio e genera un figlio il cui nome indica la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Testo che mette in evidenza l'angoscia e la debolezza dell'uomo contrapposta all'opera che Dio in ogni caso vuole compiere.

 

28-9-00 Is 7, 18-25; Tt 2, 11-15; Lc 3, 21-22 (Francesco)

 

In ogni vicenda desolata c'è anche la salvezza

 

- Il testo ci invita a considerare un fatto importante: la decisione del male che si colloca dovunque, ha un carattere invasivo tanto che il testo ci dice che viene aggredita l'eredità del Signore, non in elementi marginali, ma nella sua totalità. Si parla dell'abbondanza di un cibo, panna e miele, che si collega al cibo di ieri, del bambino chiamato Emmanuele: è un cibo povero e si può prendere quando non c'è più cibo prodotto dall'uomo e dalla terra. Ciò ci fa pensare a Gesù che è cibo di desolazione, ma cibo che toglie il male. Questo cibo, in tutta la distruzione, è l'unica cosa che resta, è un'allusione all'essenziale, alla povertà; ma è il cibo che questo bambino nella profezia assume. Quindi, in ogni vicenda desolata, c'è anche la salvezza; la vicenda di salvezza ama essere nella desolazione.

Il testo di oggi è un invito al credente ad avere il coraggio di vedere la capacità di Dio di entrare nella desolazione, a rimanerci senza fuggire. Nel vangelo si dice che tutto il popolo è battezzato dopo che Giovanni Battista è condannato. Bisogna stare dentro alla vicenda di desolazione, perchè è anche vicenda di grazia.

 

29-9-00 Is 8, 1-4; Ap 12, 7-12; Gv 1, 47-51 (Giovanni-Casa della Carità)

 

Festa degli Angeli

 

- E' bello essere qui nella festa degli Angeli. Abbiamo bisogno di angeli: non si vedono perchè si nascondono dietro a degli occhi, a dei volti. Dio manda gli angeli per accorciare la distanza fra noi e Lui. Gli angeli sono segni di Dio in mezzo a noi. Le madri sono angeli della loro casa, i vescovi della chiesa, così almeno si dice. Gli angeli sono quelli che rappresentano Gesù in mezzo a noi e pregano per noi. Questa sera gli angeli di Gesù raccolgono la nostra vita, le tristezze, i peccati, per presentarli al Signore ed insieme a noi chiedere perdono. E' importante, in questi giorni in cui si vive la festa della Casa della Carità e si ricorda il suo inizio, passare attraverso la festa degli Angeli. Questa Casa è protetta da molti angeli: qui sono passati molti bambini, molti angeli piccoli, perché discepoli del Signore. Sono piccoli perché agli dei del mondo appaiono poco intelligenti, poco capaci, ma agli occhi di Dio sono i più importanti. Ricordiamo tutti gli angeli di questa casa che oggi contemplano la gloria del Padre. Dentro ogni persona c'è nascosto un angelo. Siamo ciascuno affidati ad un angelo, gli uomini e gli angeli si sono incontrati.

- Questa sera le scritture ci parlano di un bambino del profeta; è un bambino che nasce dalla custodia della parola del Signore e, per volontà di Dio, gli viene dato un nome bruttissimo, con dei significati che vogliono dire sventura, povertà, guai. Poi, nel vangelo, c'è Gesù, il Figlio di Dio, che dice che c'è il cielo aperto e gli angeli salgono e scendono su di lui. Questi angeli sono le persone "segno" di Gesù: e come fa ad essere segno di Gesù un bambino che ha un nome così brutto? Perché è venuto a prendere la tristezza e la sventura di ognuno. Noi diciamo: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo": questo vuol dire che prende sopra di sè i nostri mali e tutti i nostri nomi cattivi. Gesù, che prende su di sè tutti i mali, ci permette di andare in cielo accompagnati dagli angeli per salire con loro nella gloria di Dio. Gesù ha il volto del venerdì santo per prendere i peccati, e il volto di resurrezione per dire la gloria in cui ci porta. In questa casa sono passate tante persone ed essa, come quel bambino, ha preso tante vicende e nomi tristi: in questa casa si compie il miracolo dei due bambini perché quello che porta il nome cattivo viene poi a restituire serenità, il suo nome difficile viene trasformato in un nome di speranza e di pace. Oggi siamo venuti qui a portare i nostri carichi e usciamo dalla Messa e i cieli si aprono. Gli angeli ci ricordano che siamo destinati alla casa del Padre. In questa casa, gli uni per gli altri noi siamo angeli. E' una sera opportuna per presentare ogni tremore, sconfitta e pianto, perchè Gabriele ha il compito di cantare la parola di Dio in ogni cuore, Michele di combattere la buona battaglia che consiste nel cacciare l'accusatore perché nessuno parli male del suo fratello, Raffaele, che è un Angelo viaggiatore, ci viene a dire che c'è ancora una strada di speranza e ci rivela l'amore di Dio che è Gesù. Essi hanno vinto il drago col sangue dell'Agnello e, per questo, anche noi ritroviamo vita.

 

30-9-00 Is 8, 5-10; Tt 3, 1-15; Lc 3, 23-38 (Francesco)

 

Amare una vita povera

 

- Il ricordo dei Santi della nostra Regola ci conforta ed allieta. Domani ricorderemo Santa Teresa e fin d'ora ci affidiamo a lei. Oggi facciamo memoria di San Girolamo, così importante per il suo impegno a tradurre la parola di Dio. Ieri la festa degli Angeli ci ha fatto sentire la vicinanza del nostro Dio. Anche il testo di Isaia, pur nella devastazione di cui ci parla, oggi ripete due volte "la vicinanza di Dio al suo popolo". Il peccato oggi viene denunciato dal Profeta come fatica da parte del popolo di accettare di essere il popolo del Signore. Chiediamo perdono per ogni nostra mondanità, per ogni nostra interpretazione violenta e rapinatrice della nostra esistenza. Chiediamo al Signore l'umiltà e la mitezza.

- Testo strano che congiunge il nome di Dio, Emmanuele (Dio con noi), con l'invasione dell'Assiria su tutto Israele. Il mistero del male è interno al mistero di Dio, ma forse è Dio stesso che, con e per il suo popolo, lo assume.

- Testo di speranza: il popolo non è contento, Dio manda il male, ma è con noi perché ci ama. Il male, cioè la punizione, è in funzione del fatto che Dio vuol fare capire al suo popolo il dono.

- Impressiona molto che Dio voglia far capire attraverso il male. Si rischia di pensare che si debba guardare solo la Gerusalemme Celeste. Per fortuna il versetto che dice che Dio è con noi ci sostiene.

- L'oracolo d'Isaia riprende l'espressione "Dio è con noi" in termini drammatici perché ci fa capire che Dio è con noi non sempre in modo dolce come un padre; la pedagogia di Dio passa attraverso la potatura che fa male. Il popolo ha rifiutato le acque tranquille di Silo e anche Naaman il Siro aveva fatto fatica ad accettare di bagnarsi nel Giordano per guarire. Tutta la nostra esistenza va sempre indirizzata alla piccolezza ed alla figliolanza.

- La parola dello "scorrere piano" delle acque di Siloe (Gerolamo traduce "che vanno in silenzio") viene usata da Giacomo con "a mio agio" e da Davide quando dice "Trattate con riguardo il giovane Assalonne". Poi in Re 21 la troviamo quando Acaz, colpito dal rimprovero d'Elia, digiunò in silenzio e Giobbe (15, 11) la usa per dire che Dio parla con dolcezza all'uomo. Tutti testi che convergono verso l'idea che si tratti di un atteggiamento di Dio quando si rivolge all'uomo, o di persone (Davide e Giobbe) che testimoniano Dio. Bisogna fare attenzione al modo di comportarsi di Dio. Nel confronto fra le acque di Siloe e quelle dei grandi fiumi c'è il confronto fra le varie dinastie.Lo scorrere piano forse si riferisce non solo al modo di muoversi di Dio, ma anche dei re della terra. L'invito del Signore è di accettare questo segno della debolezza che Dio pone nella nostra storia rispetto a figure che potrebbero essere più promettenti. Dobbiamo amare questa vita povera, che potrebbe deludere per la sua piccolezza, aridità, monotonia, perché proprio in lei è seminato il dono di Dio. Chiediamo di essere contenti di queste acque che scorrono piano.

 

2-10-00 Is 8, 11-15; Fm 1-12; Lc 4, 1-15 (Giovanni)

 

Solo il Signore sia l'oggetto del vostro timore

 

- Un'espressione bellissima per la festa degli angeli custodi è ricordare che, attraverso di loro, Dio ci prende per mano. E' l'espressione che ci concede di affidarci a questi spiriti beati di cui non abbiamo consapevolezza. Confessiamo i nostri peccati e soprattutto la solitudine che nasce in noi perché ci dimentichiamo il nostro angelo. Consegnamo al Signore tutte le strade sbagliate della nostra vita, che sembrano negare la presenza degli angeli. Chiediamo che la misericordia del Padre scenda nei nostri cuori come lo scorrere lieto e dolce delle acque della piscina di Siloe (brano di sabato) che bene rappresenta la serenità del nostro appellarci alla misericordia di Dio.

- vs 13: paura e timore. Non è certo terrore, ma è un rapporto con Dio basato sulla soggezione, è una cosa triste perchè non collegata alla resurrezione: non temete. Si deve aver paura non del rapporto con Dio, ma quando non ci si sente presi per mano da Lui. Non c'è nelle letture di oggi una vita solitaria e nel terrore: Paolo può essere l'angelo custode di Onesimo, lo Spirito Santo quello di Gesù, non c'è solitudine.

- Anche nel discorso di chiedere un segno veniva detto di non avere paura. Noi abbiamo la Parola che ci accompagna tutti i giorni.

- vs 13: "Solo il Signore ritenete santo, egli sia l'oggetto del vostro timore". In 1 Pt 3, per confortare i fratelli che sono in grande tribolazione, Pietro dice di non aver paura della gente come fanno gli altri uomini, ma di temere Dio che è nei nostri cuori. Al vs 14 nei LXX dice: "Se uno sarà confidente nel Signore, egli sarà santificazione e non pietra d'inciampo e di caduta".

- vs 12: "Non chiamate congiure". In tutte le situazioni bisogna rapportarsi col Signore e non con l'uomo fino a non sapere più come si chiamano le cose. Questo rapportarsi col Signore comporta l'incapacità di dare giudizi, quindi si traduce in un grande silenzio.

- Il testo può essere molto utile per confermare quello che Gesù ci insegnava ieri domenica (Mc 9, 38-48). Oggi c'è quell'opposizione ai giudizi ovvi e superficiali che ieri Mosè faceva. Il Signore è la misura: quindi ogni giudizio, dialogo, relazione, va misurato dalla persona stessa del Signore. La pietra dei versetti di oggi è ampiamente ripresa nella lettera di Pietro: è il Signore questa pietra d'inciampo. Il vangelo ci dice che la tentazione suprema è mettere Dio in tentazione. La scrittura va citata con attenzione, non come fa il diavolo oggi nel vangelo. Non si deve tentare il Signore. Gli Angeli sono la mano di Dio che ci impedisce di prendere strade sbagliate, strade solitarie, strade temerarie. La condizione per non aver paura è temere il Signore, seguire il suo invito, non andare per certe strade. Dobbiamo chiedere di essere condotti nel timore di Dio, da soli non siamo capaci. Sabato il testo parlava di una quieta sorgente: teniamoci in essa. Quest'acqua leggera è un'alternativa agli impeti ed agli sconvolgimenti che possono sedurci. Quando i nostri angeli ci porteranno in paradiso riposeranno e noi ogni giorno sperimentiamo questo riposo nella liturgia dove tutto si distende e si pacifica.

 

3-10-00 Is 8, 16-23; Fm 13-25; Lc 4, 16-30 (Francesco)

 

La caligine sarà dissipata

 

- Affidiamo a San Felice, settimo vescovo della chiesa di Bologna, questa giornata che ci introduce alla festa di San Petronio, che a sua volta prelude quella di San Francesco, nostro patrono. Chiediamo ai nostri Santi Padri la rinnovata esperienza della generazione alla fede ed alla speranza. Di questa speranza è disseminato il testo di oggi, che ha diverse difficoltà di comprensione, ma su tutto emerge la luce del Signore e quindi emerge anche per noi la speranza. In mezzo ad una visione di dolore, al popolo del Signore viene donata la speranza. Chiediamo perdono per i nostri peccati, per ogni nostra distrazione dalla Parola che Lui ogni giorno ci rivolge, per tutte le voci estranee che sempre tentano di allontanarci dalla Sua voce.

- vs 18: "Io e i figli"; segni e presagi richiamano l'Esodo dove si dice spesso che il Signore è intervenuto nella storia d'Israele con segni. Isaia attribuisce questa specifica opera di Dio a sè ed ai suoi figli, come a dire che Dio agisce anche attraverso la semplice parola dei Profeti, non per questo in modo meno prodigioso.

- vs 16: "Si chiuda questa testimonianza". La parola è chiusa, sigillata in noi. Spesso nella nostra vita si percepisce qualcosa di nascosto in noi. A questo si accosta l'atteggiamento buono di sperare in Dio. La cosa sbagliata è voler conoscere direttamente la verità ricorrendo ai morti. Nel vangelo è importante che il Signore venga ed apra e chiuda la Parola: la Parola si è adempiuta nelle nostre orecchie.

- vs 17: è importante perché chi parla è dentro il nascondimento, fa parte della casa di Giacobbe, il Signore è nascosto. Chi è costui che ha fiducia? Forse il profeta, a cui Dio nasconde il volto, ma allo stesso tempo dà la forza di sperare.

- Il brano è complesso; preso com'è, in continuità con ieri, vuole concludere l'ammonimento fino in fondo, prima d'annunciare la liberazione (vedi cap 9). Isaia invita a tener ferma la sua testimonianza, che ha ricevuta dal Signore; in questo senso va intesa la chiusura di cui parla. Le pratiche di magia usuali in Samaria sono molto diverse. Solo Dio è santo e solo Lui va consultato.

- "Si chiuda questa testimonianza, si sigilli questa rivelazione nel cuore dei miei discepoli". La rivelazione è la Torà, l'insegnamento del Signore che deve essere custodito, protetto. Il vs 17 impressiona perché è una professione di fiducia e speranza nel Signore che ha nascosto il suo volto alla casa d'Israele. Proprio nel momento dell'oscurarsi del volto del Signore, il protagonista di questo brano gli si rivolge con fiducia e spera in lui. Ma chi è questo protagonista? Al vs 18 sembra uno molto potente: "Ecco io e i miei figli siamo segni e presagi". In Ebrei 2 questo versetto è ripreso da Paolo che dice del rapporto stretto, mediante la passione di Gesù, fra Dio ed il suo popolo ("figli" nei LXX è "bambini che il Signore mi ha dato"). Al vs 20 i LXX dicono: "Una legge che il Signore diede per aiuto". E' un'espressione molto bella, uguale a quella che troviamo nella Genesi per dire della donna che Dio diede per aiuto all'uomo. Belli anche i vs 22-23 perché parlano di una caligine che sarà dissipata e del fatto che non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia: è una parola di grande speranza. Conclusivamente, troviamo nelle parole di oggi l'offerta di una luce di speranza che coincide con il consacrato del Signore circondato dai bambini che il Signore gli dona.

 

4-10-00 Is 9, 1-6; Gal 6, 14-18; Mt 11, 25-30 (Francesco)

 

Riposo è accogliere con pace le fatiche della vita

 

- Quest'anno la festa di San Francesco è segnata da congiungimenti bellissimi: il primo è il testo d'Isaia, che è quello che si ascolta il giorno di Natale ed è molto bello che oggi si possa riferire a san Francesco; l'altro è il congiungimento fra tutti noi: Don Giulio, Don Giovanni, Don Lamiro che proviene dall'Equador ed è qui per l'amicizia che lo lega alla famiglia della Nelda, e poi tutti i presenti, tanti e da tante parti. Tutti insieme chiediamo perdono per i nostri peccati e per la nostra poca umiltà.

- Cerchiamo di riconoscere, attraverso le parole di Isaia, il volto di San Francesco. I Santi, attraverso la loro vita, ci fanno vedere la bellezza del volto di Dio in mezzo a noi. I Santi sono una luce per il nostro incontro con le Scritture. Isaia ci parla di San Francesco con le parole: "Bambino nato per noi". Siamo nelle tenebre da molti giorni, con sventure grandi per il popolo e oggi finalmente il popolo ha visto una grande luce. San Francesco aveva caro il mistero del Natale, fu il primo a fare il presepio ed il biografo dice che, in quella notte, a Greggio, in molti cuori nacque Gesù. San Francesco era appassionato al mistero dell'incarnazione. E' bello che oggi il Signore ci regali questo testo d'Isaia, perché anche nel nostro cuore oggi nasce Gesù. Poi Isaia parla della pace: il bambino che nasce sarà principe della pace; tutto quello che non è pace sarà divorato dal fuoco. Anche quando san Francesco venne a Bologna il suo messaggio fu di pace fra le diverse fazioni. "La pace scenda su di te" sono le parole che i fratelli francescani debbono portare per il mondo. San Paolo nei Galati parla di "stigmate", di qui l'accostamento con San Francesco, e anche di "nuova creatura" che è quello che conta perché è il rinascere della nostra persona dopo la morte al mondo attraverso la croce. San Francesco rappresenta un improvviso risvegliarsi del vangelo nella nostra vita. La sua figura è un principio di gran rinnovamento per la nostra vita, sia personale che comunitaria. Il vangelo ci parla ancora di bambini, come fa da diverse domeniche, ed è bello che San Francesco, nell'affresco di Cimabue, abbia il volto di un bambino. Giovanni XXIII prima del Concilio andò a Loreto e ad Assisi; parlando di Francesco usò sempre la parola "poverello", che descrive la povertà e la piccolezza come dono. Povero ci avrebbe spaventato, poverello fa tenerezza perché vi si avverte la povertà del Signore, una povertà da piccoli. Infine il vangelo parla di giogo del Signore. Sembra un invito paradossale quello di prendere il giogo del Signore; Gesù aveva detto "io vi darò riposo". E allora? Anche Francesco nella quinta ammonizione dice che è bene non gloriarsi di nulla, salvo delle nostre infermità e del portare ogni giorno la croce di Gesù. Il riposo è l'accogliere con pace e docilità le fatiche della vita. A santa Teresina quando nell'agonia diceva "Mi piace soffrire", le sorelle chiesero: "come mai?" Lei rispose: "Perché così piace a Dio". Noi non arriveremo a questo, ma ci piacerebbe trovare il carico leggero.

 

5-10-00 Is 9, 7-20; Rm 12, 3-13; Mt 23, 8-12 (Giovanni)

 

Il problema non è la caduta, ma il pensare di potersi rialzare da soli

- Oggi celebriamo la festa di San Petronio con un intreccio sempre più profondo con quella di San Francesco. Per l'intreccio dei testi ieri ammiravamo la dolcezza del bambino; oggi sembra tornare la durezza del giudizio di Dio. Ma non è così, è la grande azione di Dio che, mandando suo Figlio, è venuto a rivestirsi di tutte le nostre povertà. Noi sappiamo che non possiamo subire nulla perché tutte le nostre sofferenze sono nelle sue. Ci affidiamo al Signore ringraziandolo per tutte le nostre famiglie e per la familiarità grande che ogni mattina il Signore riapre con noi. Le relazioni che Dio apre con noi non possono essere spezzate, per la potenza del suo sangue. Il suo Figlio è venuto a noi nella croce. Chiediamo perdono per non aver sempre accolto questa notizia e chiediamo la grande grazia di poter rimanere mitemente sempre fra le sue braccia.

- La parola che cade su Israele ricorda il chicco di grano e la vita spesa dai grandi santi Francesco e Petronio. Tutto ciò porta alla resurrezione ed alla vita.

- Il ritornello "con tutto ciò" indica che, per quante siano le sventure che si abbattono sul popolo, nessuna è sufficente a spegnere l'ira di Dio. Solo un sacrificio più grande può spegnere quest'ira, è l'attesa del sacrificio di Cristo.

- In riferimento ai testi biblici di oggi, bisogna sottolineare la genialità che ha portato alla scelta di queste scritture: nella festa di un vescovo viene esaltato un popolo. Emerge il volto di una chiesa viva ed inserita nell'ordinarietà della vita. Il vangelo poi sottolinea che siamo tutti fratelli e figli. Nessuno si faccia chiamare maestro. La parola che viene mandata e cade, non è "contro Giacobbe", ma "in" o "su" Giacobbe; nei LXX poi non è "caduta" ma "venuta": è il Cristo stesso. Il nostro peccato più istintivo è quello del vs 9: i mattoni sono "caduti" e li ricostruiremo con pietre. Siamo così pazzi da pensare che, se qualcosa è caduto, possiamo ricostruire noi. Noi possiamo cadere e rialzarci solo se lui ci tiene per mano. Il problema grave non è la caduta, ma è il pensare di poterci rialzare da soli. Dio ci dice: "Sei caduto? Cado anch'io, così ti prendo per mano". La resa (convertirsi) è più volte citata. Al vs 11 il Signore è arrabbiato ed al vs 12 si capisce perché: perché noi non ci convertiamo. La sua ira allora rimane: braccio alzato e mano tesa, la sua ira rimane, non contro di noi, ma contro il nemico che è in noi. Quindi fa guerra e vince (braccia stese sulla croce) per noi. E' così che ci rialza. Il testo finisce con "non si calma la sua ira e la mano rimane tesa". Questo è importantissimo; noi ci stanchiamo di pregare e di sperare, ma lui no. A Mosè dovevano tenere il braccio alzato durante la battaglia contro gli Amaleciti, ma il Signore è fedele; noi non ci convertiamo, ma lui non smette mai di lottare, non cede al male. Quindi ogni mattina quel bambino cade sull'altare e diventa pane per noi. Non cede. E' la nuova eterna alleanza, l'unica nostra speranza. Il suo bene è certamente superiore al nostro male. Noi continuiamo a dire di no, ma Lui dice "si" ed il bene vince. Chi pregando intercede per noi è il braccio teso di Gesù; che una mamma dica un'Ave Maria fa parte di questa inarrestabile potenza di Dio che non cede: questa è la nostra speranza.

 

6-10-00 Is 10, 1-4; Gc 1, 1-8; Lc 4, 31-37 (Francesco)

 

Guai a coloro che fanno decreti iniqui

 

- Affidiamo a San Bruno la nostra Eucarestia e tutta la nostra vita cristiana. Ricordiamo l'amore di questo Santo per il silenzio e la solitudine come via per una profonda unione con Dio. Anche i testi di domenica prossima (XXVII TO) presentano questo aspetto. Oggi Isaia ci descrive le sofferenze del popolo di Dio; siamo rientrati nell'ordinaria descrizione di queste sofferenze. Chiediamo di ricevere queste parole come luce e conforto anche per le nostre sofferenze personali. Anche Giacomo ed il vangelo inseriscono oggi il mistero della sofferenza dentro il più grande disegno di Dio per noi. Chiediamo perdono per ogni atteggiamento del nostro cuore, labbra, gesti, che possa aver causato fatica e tristezza in chi ci sta accanto.

- Bello l'accoppiamento col vangelo di oggi, sembra che la gente abbia paura della Parola di Dio. La parola insieme alla mano tesa sono segni di salvezza.

- vs 3: si parla di cosa succederà nel giorno della visita. Implicitamente viene detto che i portatori di un giudizio giusto per i piccoli, sono al riparo da questo giorno. Ricorda l'amministratore che condona per essere accolto poi nel momento del bisogno.

- C'è un collegamento con la lettera di Giacomo riguardo la sapienza. L'osservazione d'Isaia fa sorgere la domanda: "Perché i potenti ed i violenti sbagliano?" Non è una mancanza di fede, ma di sapienza. La sapienza, se manca, si può chiederla a Dio. Basta che uno la chieda, Dio la dona.

- La descrizione che oggi Isaia fa del male è più profonda e chiara di quanto era stato fatto finora. Qui parla (vs 1-2) di un'ingiustizia scritta, quindi dell'ingiustizia di un sistema, di un programma del male, non una malvagità occasionale. E' veramente diabolico, la situazione è molto grave. Lo scopo è quello di fare fuori piccoli, vedove, orfani, ecc. Il vs 3 sembra che dica in controluce cosa è chiesto a ciascuno per operare a favore degli oppressi.

- E' importante che il Signore ci parli direttamente e ci manifesti le nostre colpe. E' lui che si piega a noi, vive la nostra storia, non ci lascia soli fino a morire per noi.

- vs 4: la mano tesa qui è manifestazione dell' ira di Dio. Richiama il brano del vangelo in cui bisogna mettersi d'accordo per strada, prima del giudizio di Dio.

- Il cap 9 è stato come un confronto: il Signore vuole mettere in evidenza l'inefficacia del potere regale. Il disegno divino dimostra che non esiste un re che vada bene. L'unica soluzione è l'Emmanuele, Padre per sempre, Dio potente. Il problema non è avere re giusti, ma avere Lui come consigliere. In fondo è positivo il rimprovero di oggi, il silenzio sarebbe stato peggio. (Al vs 3 nei LXX non c'è "castigo" ma "visita").

- Si possono fare tre osservazioni. 1)Nel vangelo la parola dei demoni ("Sei venuto a rovinarci?") è una rovina per la salvezza. La rovina di tutto ciò che non sta bene insieme a Gesù. Deve uscire il male dal cuore dell'uomo senza fargli danno. 2) Nel vangelo di Luca il dialogo fra Gesù ed il ladrone ci suggerisce quello che dovremo fare nel giorno del giudizio: è l'umiltà del ladrone la via d'uscita. 3) Giacomo dice: "ritenete tutta gioia quando cadete in tante prove". Le prove sono parte di un disegno attraverso il quale Dio compie la sua opera in noi e questo genera la pazienza. Tutto quello che succede bisogna prenderlo come castigo, purificazione, mistero, ma sempre nella speranza perché siamo sempre nell'opera perfetta di Dio e dobbiamo viverla in pace

 

7-10-00 Is 10, 5-12; Gc 1, 9-11; Lc 4, 38-44 (Francesco)

 

Anche nella sofferenza il popolo di Dio non è mai abbandonato

 

- Oggi la chiesa fa memoria della beata Vergine del Rosario. Ci affidiamo alla potenza della preghiera che la Chiesa ci ha dato per le persone più piccole e povere. Oggi le parole d'Isaia sembrano parole di speranza peché contengono sullo sfondo il particolarissimo amore che Dio ha per i suoi eletti. Amore che si dilata a tutti gli uomini e popoli cosicché il castigo e la condanna vengono cancellati e l'umanità redenta. Chiediamo alla Vergine di donarci una contemplazione sempre più forte dei misteri della nostra redenzione. Chiediamo perdono per non aver recitato bene questa preghiera dei piccoli, per non aver cercato una pace confidente più grande.

- Impressiona come Dio a volte scelga "strumenti", per attuare il bene del suo popolo, che sono malvagi e non sanno certamente di essere nelle mani sue mani. Alla fine poi (vs 12) Dio punirà anche lo strumento, forse perché anche questo deve convertirsi. L'accenno ai simulacri riporta il problema della gelosia di Dio. E' un Dio che ci è donato tutti i giorni (vedi "il libro ed il calice") ed ogni volta che gli sfuggiamo ci insegue con la sua gelosia.

- Ci sono dei paralleli illustri come ad esempio l'indurimento del cuore del Faraone. La presenza di Dio nel male impressiona molto e spesso, davanti a questo mistero viene l'obiezione: "Ma quando mai l'Assiria ha conosciuto il Dio d'Israele? Se avesse saputo di essere uno strumento avrebbe fatto quello che ha fatto?" Sono misteri per i quali bisogna affidarsi alla misericordia di Dio.

- Si può pensare al mistero della Pasqua, al mistero della croce, che innalza gli umili ed abbatte i superbi.

- Le parole "la verga ed il bastone del mio sdegno" fanno pensare al legno della croce. Il testo di oggi ha due parti segnate da quello che pensa il re Assiro. La prima (vs 9-11) mostra la presunzione del re Assiro di pensare che Samaria e Gerusalemme siano come le altre città aramee e quindi che lui possa vincerle. Emerge il tema del confronto fra l'elezione d'Israele e gli altri popoli. La seconda è un errore di valutazione del re Assiro perché non ha tenuto conto di ciò che è caro al Dio d'Israele. Questo è molto confortante perché ci fa capire che, anche nella sofferenza, il popolo di Dio non è mai abbandonato e continua ad essere oggetto dell'elezione del Padre. C'è collegamento con la lettera nell'invito a chi è nell'umiliazione a rallegrarsi per questa, come pure a chi è nell'allegrezza a rallegrarsi per questa. In ogni caso infatti è l'opera di Dio che si compie.

 

9-10-00 Is 10, 13-19; Eb 11, 8-19; Gv 8, 51-58 (Giovanni)

Siamo solo strumenti

- La memoria di Abramo ci ricorda che la fede è un mistero che ciascuno porta nel suo cuore. Quella di Abramo è una grande avventura. Così è per noi: la vita è sempre qualcosa di prezioso e irripetibile. La fede va riconosciuta nel fatto che la nostra vita è molto più grande di noi. Contraddice alla fede chi pretende di possedere la sua vita. Ogni nostro irrigidimento è una rinuncia alla fede: è un rinunciare al mistero, a quello che Dio vuole per noi. La fede è umiltà. La grande vicenda dei Padri Ebrei e di Gesù ci dice che la vita è ascolto, ogni giorno, nel profondo di noi, del mistero dell'esistenza. Così stamane entriamo nella liturgia con la consegna di non voler sapere; ricordiamo in questo tutte le persone che ci sono care, giovani ed anziane.

- Il Signore tratta il popolo d'Assiria come se questo avesse potuto capire. Al vs 17 dice che la luce d'Israele sarà un fuoco che santificherà, cioè anche il popolo d'Assiria sarà illuminato e purificato attraverso Israele.

- vs 13: il riferimento alla forza ed alla sapienza, poi i confini ed i tesori e l'abbattere, sono tutte azioni che richiamano l'opera del Messia e l'invio dei discepoli fino ai confini della terra. Il rovesciare dei troni richiama il Magnificat. In Ez 16 la sposa che il Signore si è preso ed abbellito si infatua della sua bellezza e si serve di questa bellezza e delle sue ricchezze per piacere agli altri popoli.

- La prima parte del brano è una buona notizia: c'è vanagloria, ma il Signore se ne serve. Il disegno globale del Signore sorpassa il peccato personale.

- Per quanto riguarda la scure, è molto facile non rendersi conto che c'è un altro che la muove. E' facile pensare di essere arbitri del proprio destino; solo la fede ci può far capire che siamo soltanto strumenti.

- Bisogna considerare anzitutto che il re d'Assiria ha fatto cose bellissime (vs 13-14). Secondo punto: l'accorgersi di essere solo strumento e non protagonista, deprime? Per decidere se deprime o no bisogna capire che si innalza il livello: 1) la nostra vita è strappata dalla solitudine; 2) siamo in compagnia di Dio. La nostra vita non è più nostra, ma è la vita di Dio in noi. C'è Dio di mezzo. Questo è un dato generale e si apre allora un orizzonte sterminato di rispetto davanti ad ogni vita e ad ogni vicenda. L'oscillazione fra fede e non fede sta tutta nell'attribuzione a noi di quello che in fondo è opera di Dio. Anche i giudizi morali della vita nostra e degli altri rischiano di farci pensare che le persone agiscano da sole. Essere scure di Dio non diminuisce la nostra responsabilità, ma l'accresce. Per il credente tutto è liturgia, tutto diventa più delicato. Dobbiamo agire, eppure c'è Lui. Tutto dipende da Lui. Dobbiamo prendere delle decisioni, possiamo fare più o meno bene, tutto è in mano nostra; e la consapevolezza che c'è Lui acuisce tutto. Questo arriva alla sua pienezza in Gesù che è perfetta obbedienza e perfetta responsabilità. Tutta la problematica del nostro pensiero, tutte le nostre domande, aumentano la vivacità della scure. Terzo punto: Israele cosa fa? Brucia Israele o l'Assiro? Forse è Israele che deve purificarsi, deve dimostrare che è sempre il Signore che agisce. Così noi, ogni mattina a Messa riconosciamo il Signore e questo riempie di un più grande valore ogni nostro spazio di vita. Più c'è Dio di mezzo, più è delicata la cosa, la nostra prudenza deve aumentare. Questo è il punto più delicato di oggi ed Abramo ha aperto un varco nuovo di interpretazione.

10-10-00 Is 10, 20-26; Gc1, 12-18; Lc 5, 1-11 (Francesco)

 

Accogliere docilmente le prove

- Oggi il brano della lettera di Giacomo dice che è beato chi sopporta la prova perchè riceverà la corona della vita. Questa è per noi una parola di luce. La prova sperimenta l'uomo. Dobbiamo accogliere docilmente le prove che il Signore ci manda. La prima di queste prove è l'incontro con la Parola di Dio che mette in luce la nostra miseria. La prova che affrontiamo quotidianamente dobbiamo riceverla docilmente per trovare già in essa la beatitudine. Chiediamo perdono al Signore per tutti i nostri peccati, particolarmente per quelli che la Parola oggi mette alla luce.

- vs 20: "lealtà" in latino è "verità". Nel vangelo di Giovanni Gesù dice di essere venuto a portare la verità, nel vangelo di oggi appare la verità della vita: il Signore ci porta tutti i giorni verso Gerusalemme.

- E' interessante assimilare tutta la storia d'Israele ad una continua ripetizione della vicenda pasquale (uscita dall'Egitto). Questo nuovo esodo è di un resto. C'è stata una potatura, solo un resto passa.

- L'inizio del testo richiama il giorno del Signore che si caratterizza attraverso due elementi: il giorno della fine e del giudizio, ed il giorno della venuta del Messia e della salvezza. Quindi, quanto dice il Profeta è quello che succede nel giorno del Signore. In esso (vs 20-21), avverrà un cambiamento di atteggiamento del resto del popolo, che non confiderà più nelle nazioni potenti, ma nel Signore. Quindi è un giorno di convocazione, di ritorno, di cambiamento del cuore. Il vs 20 si conclude con la parola verità=fedeltà: Dio è fedele e non mancherà di accogliere il resto pentito. "Consumazione" come radice è presente nel vs 22 dove verrà un effluvio di giustizia (salvezza). Al vs 23 ed al vs 25 c'è ancora la parola "consumazione", che è però seguita da una grazia di Dio al suo popolo. Così la croce è il luogo della consumazione, ma anche dello spegnersi dell'ira di Dio. In "consumazione" c'è anche il concetto di "abbreviare", rendere essenziale. Infine i riferimenti storici: Madian (vs 26) era anche all'inizio di cap 9 e in Giudici: è una guerra vinta per pura potenza di Dio, usando un piccolo resto dell'esercito (300 uomini). Madian è associata alla rupe dell'Oreb e questo è strano perché le battaglie dei Madianiti avvengono lontane dall'Oreb, ma forse vuole riportare alla Pasqua. Attraverso la descrizione delle sofferenze emerge sempre la luce della speranza perché il Messia concentra su di sè tutte le sofferenze dei popoli.

11-10-00 Is 10, 27-34; Gc 1, 19-27; Lc 5, 12-16 (Giovanni-Dozza)

(Beato Giovanni XXIII)

In quel giorno sarà tolto il suo fardello dalla tua spalla

 

- L'incontro di questa sera per la memoria liturgica del beato Giovanni XXIII ci ricorda i tanti regali ricevuti da questa grande guida cristiana durante il pellegrinaggio che abbiamo fatto assieme quest'estate. Le sue parole, infatti, ci hanno costantemente accompagnato durante il viaggio. Essendo qui in tanti a festeggiare papa Giovanni, siamo un po' un'eccezione fra le Chiese; ma in realtà il nostro è un grande privilegio. Associamo alla nostra celebrazione tutte le persone che ci hanno aiutato, anche durante la scuola della pace, a conoscere sempre meglio la grande figura di questo cristiano papa. Il secolo che abbiamo lasciato è più ricco a motivo di papa Giovanni. E questo vale non solo per le Chiese, ma anche per tante persone comuni, non credenti. Nell'intercessione di papa Giovanni, affidiamoci dunque alla misericordia di Dio confessando i nostri peccati.

- Oggi c'è un gruppo di versetti difficili. Ma, con l'aiuto del Signore, le parole d'Isaia ci consentono di sottolineare tre aspetti del Beato Giovanni.

1) vs 27: il fardello tolto, una grande oppressione dalla quale si viene liberati. E' quello che ha fatto papa Giovanni durante la sua permanenza a Roma e particolarmente durante il Concilio. Chi osa dire che il Concilio è stata una sventura, sbaglia di grosso; la durezza del giogo era arrivata a limiti insopportabili. La Chiesa si vedeva circondata da nemici, una Chiesa in contrapposizione, affidata al potere delle armi e del denaro. Cosa sarebbe accaduto alla futura generazione senza papa Giovanni? Il Concilio, con le sue luci ed ombre, sarebbe incomprensibile se non fosse stato collocato nella santità di Papa Giovanni. E' proprio lui, la sua persona che dà luce a tutto il Concilio. Papa Giovanni è stato uno strumento di Dio per togliere un peso gravissimo, insopportabile. Da allora molti hanno potuto riprendere il loro cammino. In moltissime case della nostra campagna sul televisore c'erano i due busti di Lenin e di Papa Giovanni; e per la gente questa non era confusione, era un modo di esprimere il cammino dei poveri. La gente non credente lo ha amato, ha intuito che in lui c'era la speranza. Don Giuseppe (all'Archiginnasio) ha detto: "Senza papa Giovanni, noi non saremmo qui". Senza papa Giovanni noi non saremmo andati al Giubileo. Togliendo il giogo ci ha riconsegnato alla purezza della nostra fede. Papa Giovanni diceva che ogni volta che arrivava al terzo mistero gaudioso ricordava, con Gesù Bambino, tutti i bambini nati quel giorno; è una cosa piccolissima, ma di una simpatia enorme.

2) Tutta la geografia dei nomi dei versetti di Isaia e le esortazioni ricordano la vastità e la potenza di penetrazione di papa Giovanni. Ha viaggiato poco (si ricorda solo un suo viaggio in treno) rispetto al papa attuale, ma in realtà ha fatto un viaggio immenso nel cuore della gente. Ha rappresentato in mezzo a noi la capacità di Dio di raccogliersi nel piccolo, una potenza straordinaria di raggiungere i lontani, tutti. E' importante che noi festeggiamo questa geografia di papa Giovanni; è una specie di gara perché tutti avvertivamo che teneva per noi e ce lo sentivamo vicino nella preghiera.

3) Ultima parte del testo, il grande abbattimento: la dolce forza della sua testimonianza è stato l'abbattimento dell'orgoglio della comunità cristiana. L'abbattimento dell'orgoglio è per il nascere di un germoglio nuovo, di un Dio che si è fatto bambino. Il mistero della piccolezza di Dio risplende per la bellezza di questo Santo. La sua santità è una profezia ancora tutta da ricevere, che ha molto da dirci, che preme sul tempo.

12-10-00 Is 11, 1-9; Gc 2, 1-8; Lc 5, 17-26 (Giovanni)

E' il grande che deve scendere

- Il brano di Isaia di oggi è molto legato al brano del vangelo, dove si parla di un uomo guarito da Gesù. La scrittura ci insegna che tutto quanto c'è di bello e di buono, tutta la speranza e la vita nuova sono doni ricevuti, portati a noi dallo Spirito del Signore. E' pericoloso impadronirsi di questi doni. Sull'altare dell'Eucarestia possiamo pentirci, cioè restituire tutto, perchè tutto è buono solo se è ricevuto dal Signore. Chiediamo perdono per i nostri peccati con piena fiducia nella misericordia di Dio.

- La Scrittura di oggi è centrata sulla bontà del Signore. I testi si illuminano a vicenda.

- Le belle parole d'Isaia sembrano smentite dalla storia ed attuabili solo in tempi messianici. In realtà tutto è già compiuto in Gesù. Ma poi? Quello che dice il Profeta si compie col perdono e con l'annuncio della buona novella.

- "La saggezza del Signore riempirà il paese" (vs 11); in realtà il Signore qui è oggetto, ed è la nostra conoscenza di Lui che riempirà la terra. E' un dono fatto agli uomini, non una qualità del Signore che ci sovrasta. La stessa parola al vs 2 è associata alla pietà (S. Gerolamo); è quindi una conoscenza mista a pietà, non orgogliosa, ma mite, che il Signore distribuisce a tutta la terra.

- vs 3: richiama la lettera di Giacomo e il grosso problema delle apparenze. Il virgulto andrà diritto alla sostanza, mettendoci in condizioni di uguaglianza ed indicandoci una strada di grande misericordia reciproca.

- Già l'inizio del brano suggerisce che si tratta del racconto di un grande incontro fra qualcosa che discende dal cielo e qualcosa che sale dal basso (vedi Salmo 84-85). Anche l'immagine della natura riconciliata, impossibile storicamente, ci incoraggia a pensare che siamo vicini alla fine. Come fanno cielo e terra ad incontrarsi? Tutto avviene perché il potente si umilia: l'angelo va a Nazaret da Maria, Maria va da Elisabetta, e così via. Non può essere un atto bilaterale, deve essere il potente a scendere. Anche nell'incontro utopico con la natura è sempre il grande che deve abbassarsi: il leone mangia l'erba, il lupo dimora con l'agnello, ecc. La regola ci è data: è il grande che deve scendere. Non è che il piccolo non voglia incontrare il grande (il germoglio nasce e cresce), ma se il grande (leone) non impara a mangiare l'erba, non c'è incontro. Il piccolo c'è (nella lettera di Giacomo entra nell'assemblea) e noi cosa ne facciamo? Dio si è umiliato di fronte alla sua creatura. Il Signore non vuole la non violenza, vuole l'incontro. Oggi è un grande canto dell'incontro, ma perché si verifichi non si può pensare ad una vittoria imperiale. Non si deve vedere chi ha ragione, ci si deve incontrare. Crediamo che Dio si è fatto carne? La fede è lo stupore di trovarci davanti un Dio così piccolo. Questo impressiona. La fede non è un annientamento, ma è lo stupore della creatura nuova che si trova di fronte al dono. Quando siamo davanti ad una persona che ci vuole bene, non stiamo ad analizzare il perché, ma siamo stupiti per il dono. Questo deve essere vero per entrambi. Ognuno sa che se vuole incontrarsi con l'altro deve farsi agnello: non è una coesistenza pacifica, è croce da entrambe le parti. Volersi bene non è un contratto, ma un continuo movimento, un ravvedimento-pentimento, un abbandonare-ritornare continui. La fede non è una superpotenza, ma è un continuo lasciare le proprie sicurezze. Dio non può essere incontrato con le nostre categorie. Il credere è una passione che ti porta dalla morte alla vita, ma esige una consegna: bisogna accettare di lasciare le proprie sicurezze; o vieni giù dalle tue categorie o non lo incontri.

(Islam vuol dire osservanza. Per un mussulmano i non mussulmani sono infedeli perché, siccome per loro tutti nascono mussulmani, se uno non lo è, è un infedele).

13-10-00 Is 11, 10-16; Gc 2, 8-13; Lc 5, 27-32 (Francesco)

Il Signore raccoglierà i perduti

- Dal passo della Regola ci è venuta stasera una sollecitazione riguardo la povertà, che sarà il tema delle Scritture di domenica prossima. Oggi il brano del profeta Isaia ci porta una voce di consolazione e di speranza. Il "virgulto" è al centro della visione di tutta la terra. Questo virgulto è Gesù che convoca tutto, anche noi oggi, malati e peccatori. Per entrare nella santa liturgia, chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, particolarmente per quelli contro la speranza.

- Alcuni termini del vs 10 rendono evidente la profezia di Gesù: il vessillo "sta", la dimora è il sepolcro glorioso.

- vs 11: "stenderà di nuovo la mano" richiama la prima volta, quella della liberazione dall'Egitto. Il fiume che qui si divide in sette braccia (quattro nella Genesi) dimostra una pienezza maggiore.

- testo pieno di movimenti che dà un segnale anche per la nostra vita. Tutto deve essere in funzione della grande meta finale, non bisogna mai fermarsi.

- La versione dei LXX rilegge l'ebraico in chiave messianica perché al vs 10 "vessillo" è il soggetto e le genti spereranno in lui. Al vs 12 c'è, secondo i LXX, "segno" e non "vessillo". Nel vangelo di Giovanni si dà grande importanza ai segni. Tutto questo è in una cornice pasquale, giorno in cui un segno si alza a vessillo per tutti.

- Vessillo è lo stesso termine usato nei Numeri per indicare il palo su cui bisognava mettere il serpente di bronzo, termine che nell'AT rappresenta la croce.

- Quand'è "quel giorno" per Levi? E' il giorno in cui il Signore l'ha visto. Così per noi ogni giorno è quel giorno. Il fiume ci avrebbe travolto, ma è stato prosciugato e possiamo attraversarlo con i sandali.

- Al vs 12: raccoglierà gli espulsi (nei LXX, "i perduti"): è la vera perdizione a motivo dei peccati. Introduce il concetto di persone che, nella loro perdizione, entrano in rapporto con tutti i popoli. Il vessillo che attrae tutti attrae anche i perduti di Israele. "Perduti" può essere messo in parallelo a pubblicani e peccatori del brano evangelico. Sia in Isaia che nel vangelo si descrive il fatto che, anche nella perdizione, c'è speranza e possibilità di recupero. Il "vessillo" attrae i "perduti": questo vale anche per noi e per tutti quelli che pensassimo "perduti". Questo non vale solo per il nostro rapporto col Signore, ma anche per il rapporto con i fratelli. Il Signore non vuole il giudizio, come dice anche la lettera di Giacomo, ma la misericordia.

14-10-00 Is 12, 1-6; Gc 2, 14-18; Lc 5, 33-39 (Francesco)

La tua collera si è calmata e tu mi hai consolato

- La mensa dei peccatori, alla quale ieri eravamo stati invitati ed accolti, è divenuta oggi un banchetto nuziale, nel quale non si può digiunare e dal quale sgorga la benedizione ed il rendimento di grazie. Così nella storia del popolo di Israele c'è un'evoluzione: si passa dalla speranza ad una realtà di rendimento di grazie e benedizione, di riconoscenza per la salvezza ricevuta e sperimentata. La Parola di Dio ci porta sempre attraverso valli di tenebre e luoghi di luce. Il Signore nel vangelo ricorda il pericolo di una generazione che rischia di non essere adeguata a questa storia di alterne vicende. Anche noi siamo inadeguati. Chiediamo perdono per non saper piangere e gioire col Signore.

- Tutto è piegato in direzione del Cristo. Al vs 2 "salvezza" è in realtà "salvatore" ed alla fine l'interlocutrice di Dio è in ebraico"abitatrice di Sion", cioè una dimensione nuziale. E' un testo importante per l'invito al canto, dove (vs 2) il canto è il Signore. Il Signore è chi motiva il canto, è l'oggetto del canto: "Cantate il Signore!"

- Non è chiaro chi sia il "Tu" di vs 1. Forse il popolo d'Israele in generale. Anche la formula di benedizione è al singolare. Al vs 3 cambia ancora improvvisamente: dal Signore ad un "voi", come se Israele dovesse parlare alle genti. Al vs 4 sembra che lo scopo finale sia portare la salvezza alle genti. La collera di Dio si è calmata, questo è il primo annuncio di salvezza. Il vs 1 comincia con le parole del vangelo di Matteo ("Ti benedico Padre"), che è il succo di questa preghiera.

- C'è una ripetizione accentuata di "in quel giorno", il giorno del Signore che è descritto in Isaia come giorno di castigo e di salvezza. E' il giorno della Pasqua. In esso: "La tua ira si è convertita e mi hai consolato". Fa tutto il Signore, l'uomo niente. Non parla di pentimenti e di preghiere, c'è solo l'opera di Dio che supera ogni pretesa e possibilità dell'uomo di essere causa della sua salvezza. Questo ricorda l'episodio dell'adultera dove non ci sono segni di pentimento né di conversione: fa tutto il Signore. E' ripetuta spesso la parola "salvezza"; il testo è una gran lode di questa salvezza che diventa persona in Gesù (nei LXX è "Salvatore"). C'è poi un accenno alle acque, che ricorda l'acqua del costato sulla Croce, ed una progressione del testo: si passa dal singolare al plurale, non è più il singolo, ma tutto il popolo che loda il Signore come nel Magnificat. C'è poi anche un'evoluzione da Israele alle genti (vs 4) ed un invito a tutti a lodare il Signore. Quindi il brano ci invita all'accoglienza dell'opera di Dio in ciascuno di noi, invito che poi si estende a tutta la terra. In questo si può inserire quanto dice Giacomo: le opere sono anzitutto l'opera di Dio per noi e per i popoli; la nostra opera è la lode di Dio che si estenderà fino ai confini della terra.

16-10-00 Is 13, 1-13; Gc 2, 18-26; Lc 6, 1-5 (Giovanni)

 

Nessuno è estraneo all'attenzione di Dio

- Oggi, attraverso il brano del libro di Isaia, il Signore ci dà una notizia importante: nessuno è estraneo alla sua attenzione. Noi abbiamo sempre un'idea molto mondana e ristretta della nostra vita, per cui tutti e tutto ci è estraneo. L'estraneità è il principio della inimicizia. E' meglio litigare con qualcuno che ignorarlo. Il Signore si occupa di tutti. Chiediamo perdono per essere così lontani dal suo atteggiamento. Nessuno deve essere fuori dalla nostra preghiera. Il Signore vuole che consideriamo tutti e tutto come nostro. Chiediamo che ci venga concesso questo allargamento del cuore per partecipare all'universale giudizio del Vangelo che ristabilisce in termini pieni la paternità di Dio.

- vs 2: segnale=vessillo (è anche al vs 11); è un termine importante che si collega alle promesse messianiche. Questo dà al testo un taglio particolare. Il segnale è associato ad un grido che fa pensare all'annuncio evangelico. C'è il comando del Signore di alzare la voce.

- A proposito del vessillo: in ebraico dice che esso è elevato sul monte Calvo (richiamo del Calvario); anche il grido e l'agitarsi delle mani riportano alla Passione.

- Il mistero del Signore ha una presenza assolutamente universale, mentre noi purtroppo siamo portati a stabilire che se qualcosa succede al di fuori del nostro orrizzonte, non ci interessa. Oggi il testo ci dice che il credente è uno spettatore impegnato a chiedersi quanto succede. Ci sono forti richiami ai testi apocalittici che ci dicono che le genti rimarranno sgomente davanti a quello che succederà, ma non noi che siamo impegnati a leggere tutto quanto succede nel mistero di Gesù. Per questo bisogna stare dentro a tutte le vicende ed assistere a come si compie il giudizio del Signore. Nessuna situazione o vicenda ci è estranea. Tutti sono figli del Signore che conduce tutti a sè. In tutto c'è la mano del Signore, sempre si può mettere in evidenza l'intervento di Dio per il piccolo e per il povero. Al vs 7-8 solo il credente capisce quello che succede: è il giudizio di Dio, cioè il mistero di Gesù. Non è vero che dobbiamo interessarci solo delle cose cristiane, la mano di Dio si vede in ogni vicenda. Siamo fratelli di tutti, partecipi di tutto. Dio ci ammonisce: tutti gli importano, tutti sono nel suo cuore, al di là di quello che appare. Bisogna affaticarsi ed anche piangere dentro il mistero dell'esistenza. Questo capitolo è difficile; non per questo dobbiamo renderlo estraneo rispetto al precedente, che è facile. Così per le vicende del mondo: la pecora smarrita va preferita. Siamo invitati a viaggiare lontano perché altrimenti il cuore tende ad occuparsi troppo poco di chi è lontano.

17-10-00 Is 13, 14-18; Fil 3, 17-4, 3; Gv 12, 24-27 (Massimo)

Tutto è sotto lo sguardo del Signore

- Oggi il brano del profeta Isaia ci parla di una dispersione; ringraziamo il Signore che ci ha radunato qui attorno all'altare. Oggi è anche memoria di Sant'Ignazio, che diceva che ci vuole umiltà per sconfiggere il principe di questo mondo. Chiediamo perdono per le nostre mancanze di umiltà e di carità e affidiamoci alla misericordia del Signore.

- L'oracolo su Babilonia si inserisce su una serie di profezie riguardanti Israele, che rimane al centro di tutta la storia. I grandi popoli sono strumenti La distruzione dei piccoli di Babilonia (vedi anche Salmo 136) ci dice che sarà sterminato l'avversario (il male) sin dalla radice. Babilonia viene totalmente distrutta, ma c'è almeno una parola, "trafitti", che ricorda Gesù: la sua croce interseca tutti i cammini dell'uomo, anche chi viene distrutto dal giudizio, che è sempre un giudizio di misericordia.

- Colpisce che per descrivere la desolazione totale si parli proprio di bambini, mogli, case, pecore che sono le categorie più deboli, difese da Gesù nei vangeli.

- vs 14: "Sono come un gregge che nessuno raduna". Chi ci raduna sempre è Gesù, il vero pastore che, sulla croce, convoca tutti a sè. Dopo non ci saranno più pagani e genti lontane, ma saremo un solo popolo.

- vs 16: richiama la passione di Gesù. I piccoli uccisi davanti agli occhi sono forte profezia di Gesù (volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto). E' un mistero di assimilazione: Gesù è messo accanto ad ogni situazione estrema. Gesù soffre come peccatore essendo innocente: è il modo in cui Gesù raggiunge tutto e tutti.

- Oggi non si parla di Israele, il brano si rivolge a tutti i popoli (vedi anche vs 14). La dispersione ricorda quella di Babele (Genesi). Il peccato di quegli uomini è che vogliono essere Dio. La reazione di Dio è decisa: gli uomini vengono dispersi e si generano i vari popoli.

- E' sottolineato che tutto è sotto lo sguardo del Signore. Geremia dice che Babilonia è stata come un martello nelle mani del Signore (Ger 51), ma abbiamo visto nei giorni scorsi che la scure non è staccata da chi la maneggia e non può insuperbirsi per il lavoro fatto. Il Signore è il Dio della storia: si servirà dei Medi per distruggere Babilonia (Salmo 137). La luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno preferito le tenebre. Noi cosa dobbiamo fare? L'atteggiamento giusto è quello del chicco di grano. Il Signore a volte ci manda grosse prove: a Sant'Ignazio ha dato appuntamento nel martirio, a San Francesco nel lebbroso. C'è sempre la mano del Signore. Chiediamo la grazia di poter spendere la nostra vita nella consapevolezza che il Signore sempre ci raduna nell'unità dell'Eucarestia: Gesù è l'unico Signore, un'unica carne, un unico altare.

18-10-00 Is 13, 19-22; 2Tm 4, 9-18; Lc 10, 1-9 (Francesco)

 

Babilonia, perla dei regni, sarà sconvolta da Dio

- Affidiamo a San Luca le nostre case e le nostre città. Sono i luoghi che la parola di Dio ci invita a considerare con maggiore attenzione. Possono essere luoghi benedetti e di pace, oppure maledetti e inospitali. Quello che fa la differenza è la presenza o meno del Signore. Chiediamo che il Signore trovi luoghi di pace per tutti e in particolare per i piccoli e per i poveri. Oggi è anche la memoria della morte del cardinal Lercaro; preghiamo per essere sempre più aperti al dono che ci è stato fatto col Concilio.

- Tutti i segni di distruzione del brano di Isaia si possono collegare alla seconda lettura dove Paolo è in prigione, solo e abbandonato. E' la prova, il crogiuolo dove viene vagliato l'oro.

- Nel cap 1 veniva detto che se il Signore non ci avesse amato saremmo come Sodoma e Gomorra. Il Signore però ci ama e, a differenza di Babilonia, non saremo distrutti.

- La contrapposizione fra Babilonia e Gerusalemme: Babilonia qui è chiamata "perla" , ma la bellezza e la gloria di una città non sta nelle cose materiali, ma nel fatto che vi abiti il Signore ed il suo popolo.

- vs 20: "L'Arabo non vi pianterà la sua tenda, né i pastori vi faranno sostare i greggi"; nel vangelo invece ci sono i messaggeri del Signore che portano pace e riposo a quelli che li accolgono.

- Ripensando alle case visitate dall'annuncio del vangelo, la situazione di Babilonia è proprio tragica. Mentre Gerusalemme non sarà più devastata, ma visitata (abitata), in Babilonia si stabiliranno gli animali del deserto, i gufi, gli struzzi ed i satiri. E' importante essere abitati dalla presenza del Signore perché o c'è il Signore, o ci sono i nostri pensieri cattivi.

- Le immagini descritte dal Profeta si riferiscono a luoghi (città, terre, case) ed al loro destino quando sono fuori dalla benedizione di Dio. Luoghi che diventano desolati, patiscono l'aggressione e la violenza da parte degli spiriti impuri rappresentati dagli animali ricordati (vs 21-22). E' la descrizione di quello che succede quando ci si allontana dal Signore, il contrario di quello che ci dice oggi il vangelo di Luca nell'ipotesi di accoglienzza di un uomo di pace. Anche nel vangelo però c'è l'ipotesi della non accoglienza e della desolazione conseguente. Anche il ricordo della parabola della casa che viene trovata vuota, spazzata e adorna e che viene rioccupata dagli spiriti impuri (Mt 12) è pertinente. Così è del cuore dell'uomo che, se non è occupato dalla presenza del Signore, diventa preda del male. Il testo di oggi richiama anche l'indemoniato geraseno (Lc 8) che vive in luoghi deserti fra i sepolcri. Infine "l'ora": la consapevolezza dell'ora richiama Gesù che sa che è giunta la sua ora e la vive in obbedienza al Padre ed al servizio dei suoi discepoli. Nel brano di Isaia l'ora è solo una prospettiva negativa dalla quale neppure ci si può difendere. In conclusione, i testi degli ultimi tre giorni ci descrivono il cuore dell'uomo nella sua condizione di benedizione o di maledizione: benedizione se accoglie la grazia di Dio, maledizione se si allontana da Dio e si espone all'invasione del male.

19-10-00 Is 14, 1-2; Gc 3, 1-6; Lc 6, 6-11 (Francesco)

L'elezione rinnovata

- Oggi la Regola ci ha parlato della speranza nel Padre ricco di misericordia e la misericordia è anche al centro del brano del profeta Isaia. Con la misericordia oggi il Signore ci vuole ricordare in particolare la sua ostinata fedeltà. Chiediamo al Signore di essere anche noi uomini di misericordia e di non cadere mai nella tentazione del giudizio. Chiediamo perdono per tutte le nostre cadute dalla misericordia, particolarmente per tutti i peccati commessi con la lingua, che oggi l'apostolo ci ricorda essere molto pericolosa proprio rispetto alla misericordia.

- Importante (vs 1) l'elezione rinnovata. In questo sta la misericordia di Dio: rinnovare l'elezione, che è più che coprire i peccati. L'unirsi degli stranieri (i Leviti si aggiungono ai sacerdoti nel culto del Signore) dice quindi di un'unità generale, ma con una certa gerarchia, forse valida tutt'ora perché Gesù viene da Israele.

- I due versetti di oggi interrompono l'invettiva contro Babilonia che poi riprenderà al vs 3. Colpisce che all'interno di questo lungo oracolo contro Babilonia ci sia il ritorno. Il fatto che questo resto d'Israele venga accolto e preso per mano da popoli stranieri e accompagnato a casa, è una cosa del tutto nuova; una nuova creazione in un certo senso. Israele avrà signoria sugli altri popoli, tutto questo è profezia della morte e resurrezione di Gesù.

- Richiama Ef 2 dove si dice che nel Signore si abbatte il muro di separazione, i due popoli diventano un popolo solo e tutti diventano familiari di Dio. Ci sono sia in Efesini che in Isaia molte immagini che richiamano le nozze.

- Il cambio improvviso di tono di questi due versetti è da accogliere come un gesto provvidenziale da parte di Dio. Ci ricordano che tutto quello che avviene è dentro ad un disegno più grande di misericordia. "Pietà" è l'utero di misericordia di Dio. Gli stranieri a cui "si unirono": è legame nuziale, Gen 29; al cap 56 si dirà anche che gli stranieri "aderiscono" al Signore direttamente. Nel vs 2, poco chiaro, si può pensare che i popoli prendano e conducano nel loro paese altri popoli (non quello d'Israele). In ogni modo l'oggetto di tutto questo è che diventino schiavi d'Israele. Letto in Gesù, in cui si adempiono tutte le profezie, è la sottomissione a cui sono destinate le genti rispetto al vangelo. In Rm 6 si riprende il tema della schiavitù per dire che da schiavi del peccato siamo diventati schiavi della giustizia.

20-10-00 Is 14, 3-21; Gc 3, 7-12; Lc 6, 12-19 (Francesco)

Come mai sei caduto dal cielo?

- Ringraziamo il Signore peché ci troviamo a Messa insieme. Ricordiamo la mamma dell'Antonia e la zia di Teresa che sono tornate al Padre. Oggi la regola ci parla di una potatura perché il corpo della nostra miseria deve diventare conforme al corpo della Sua gloria. Isaia ci parla della caduta di Lucifero dal cielo. La "canzone" per il re di Babilonia in realtà è una parabola che ci vuole mostrare una realtà nascosta: noi dobbiamo sentirci coinvolti. Chiediamo perdono al Signore per tutti i nostri peccati di orgoglio, superbia e vanagloria.

- Il re di Babilonia può servirci a ricordare che ogni persona esercita una regalità. Ci sono due regalità: quella di Gesù e quella del re di Babilonia. Il farsi uguali a Dio è una tentazione che anche nella vita grigia dei piccoli è spesso presente.

- Ci sono molti elementi che rendono la creazione spettatrice di quest'evento. San Paolo dice che la creazione geme e sospira. Se veramente quello di cui si parla è l'orgoglio, il peccato antico, la creazione geme perché non è solo spettatrice, ma è coinvolta in questa vicenda.

-Interessante il riferimento a Lc 10, 18 quando Gesù dice che vedeva Satana cadere dal cielo come la folgore. Il nome che oggi porta questo re, "Lucifero", si può affibiare al signore delle tenebre. Isaia mette in guardia perché anche la luce non è sempre positiva. Ma il Padre rivela ai piccoli la vera luce (ci vuole umiltà). Al vs 19-20 il re non viene sepolto, rimane fuori, vagante, non avrà parte nella resurrezione perché ha rovinato il suo popolo. Sembra un passo pasquale; questo re è stato definitivamente distrutto (ci sono tanti verbi che lo dicono); è finito per sempre: sembra proprio la sconfitta definitiva del male.

- Il primo verbo del testo di oggi è: "Ti libererà", ti darà riposo dalle tue pene. Anche al vs 4 dice che è finita l'arroganza; è sempre il verbo "sabat", il verbo del riposo che ritroviamo anche al vs 7: "riposa tranquilla tutta la terra". Questo va unito al fatto che il brano comincia con "in quel giorno", che è il giorno della salvezza, del Messia, della croce di Gesù. La distruzione dell'empio avviene in quel giorno e finalmente la terra torna al riposo. Il fatto di poter avvicinare questi avvenimenti alla pasqua di Gesù ci fa vedere che ci sono degli aspetti di questo re che vengono assunti da Gesù. Al vs 8 c'è il verbo "prostrato" (Gerolamo traduce "dormisti"): è il verbo del giacere, del morire. Al vs 9 gli inferi che si agitano per te: nell'iconografia della discesa di Gesù agli inferi si vedono questi re che si agitano. Anche le loro parole, "Sei diventato simile a noi", richiamano il mistero dell'incarnazione e così il vs 12: "come mai sei caduto dal cielo?" ed il vs 16 con lo stupore delle genti per il servo sofferente. Sono tutte cose che ci fanno vedere che nella Pasqua di Gesù c'è tutto, nel mistero della croce c'è anche la speranza per noi. Bisogna entrare in comunione con Gesù nella croce e sperare nella consumazione dell'uomo vecchio che deve lasciare il posto all'uomo nuovo.

21-10-00 Is 14, 22-27; Gc 3, 13-18; Lc 6, 20-26 (Giovanni)

Alla Chiesa non sta il condannare, ma il perdonare

- Oggi ci aiuta molto la memoria delle beatitudini per essere confermati circa il modo in cui dobbiamo accogliere la parola di Dio e particolarmente le profezie. Gesù stesso è profezia per noi. Oggi riceviamo la beatitudine dei poveri e non dobbiamo lasciarci vincere dal desiderio di ricchezza. Le parole di oggi sono di liberazione, di sconfitta del male: è la battaglia della fede. Chiedere perdono significa riconoscere che spesso ci lasciamo trascinare da pensieri che non vengono da Dio, ma da noi e ci rattristano ed angosciano. La liberazione dal male ci riconduca alla verità delle cose così come la riceviamo dalla sapienza di Dio.

- vs 25: "La mia terra, i miei monti". Il Signore agisce contro le forze del male con gran determinazione perché la terra è sua e Lui vuole liberarla. Questi aggettivi possessivi sono molto belli: anche noi siamo suoi.

- Colpisce questa decisione presa "per tutta la terra" ed anche la mano stesa "su tutte le genti". In Gesù si è compiuta questa profezia, le beatitudini sono una strada in cui Gesù ha camminato e con cui vince l'Assiro ed il Babilonese E' una vittoria dell'umiltà e della mitezza. Il giogo di Gesù elimina quello dei nemici.

- C'è una piccola spia per dirci che ciò che succede al male, non succede all'eredità del Signore; infatti il male viene distrutto tutto, anche il suo resto. Questo contrasta con la nostra percezione storica per la quale ci sembra che il male cresca sempre. Invece non cresce sempre, ma viene totalmente distrutto non solo nella sua radice, ma anche in tutta la sua estensione (tutti i popoli, tutta la terra). E' dunque una liberazione universale. Allora, qual'è il problema? E' il "ma quando avviene questo?" L'assicuraziione di oggi è così insistente che sembra quasi che il Signore debba giustificarsi nei confronti delle esitazioni del nostro cuore. Aiuta in questo il vangelo, perché anche Gesù si trova in difficoltà in questo senso e dice: "Beati voi che ora piangete". Questa parolina, "ora", ci dà la consapevolezza che "ora" non è così come Lui dice. La Parola di Dio contraddice anche oggi la realtà: non sono i poveri che stanno bene, ma i ricchi. Allora cos'è la fede? E' la risposta che troviamo quando si viene a messa. La letizia dei poveri è vera letizia; sono poveri, ma nella loro vita c'è la carità, l'amore, la gioia. Se uno sbaglia viene perdonato. Questo del perdono è un segno e la battaglia della fede sta nel gettare sempre nella storia dei segni. Succederà così: "la terra sarà liberata". L'eliminazione di Assur è il segno della liberazione da tutti i mali, anche i nostri e questo avviene nella nostra fede. Il fatto che anche noi qualche volta perdoniamo vuol dire acconsentire alla Parola di Dio: questa è la fede. Bisogna muoversi secondo quello che la parola di Dio ci dice: ci sono dei segni. Il problema però è resistere perché la fede è sempre minoritaria. Anche la comunità cristiana ha molte tentazioni (è difficilissimo perdonare fino in fondo). Il Beato Giovanni fece un'inchiesta su come veniva applicata la scomunica ai comunisti; diceva: "alla Chiesa non sta il condannare, ma il perdonare". La nostra intenzione non può essere la rassegnazione, altrimenti si accetta una sapienza mondana che ha le sue regole. La giornata va sempre cominciata con l'annuncio del vangelo, altrimenti vince quello che succede, invece deve vincere la lettura della parola che riceviamo da Dio.

23-10-00 Is 14, 28-32; Gc 4, 1-3; Lc 6, 27-36 (Francesco)

Il principio della verità è la carità

- Oggi il Signore ci consegna, attraverso il brano del Profeta, una speranza per i poveri. Chiediamo al Signore di poter essere guardati da Lui come poveri e di poter così scampare alla rovina. Presentiamo quindi al Signore le nostre povertà di ogni tipo. Chiediamo che su tutto e su tutti scenda il suo sguardo benevolo e la sua misericordia.

- Il brano del vangelo è un segno di grande misericordia da parte del Signore, una strada che ci viene data per far sì che l'invito del profeta possa essere accolto da ciascuno di noi.

- Il vs 29 invita ad una interpretazione nuova della storia. Noi pensiamo che se il Signore ci toglie quello che ci opprime, allora siamo a posto; ma non è così. Il vs 30 ci stupisce perché viene ribadita l'elezione e ci invita a stare tra i poveri. La storia che ci è davanti è del tutto diversa da quella che ci aspetteremmo. Il vs 32 è bellissimo: "Che si risponderà ai messaggeri delle nazioni? Il Signore ha fondato Sion, in essa si rifugiano gli oppressi del suo popolo". C'è un parallelo a questo versetto in Sof 3, 12: "Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero", ma c'è una differenza col testo di oggi ed è quel "farò restare". Questo resto noi lo pensiamo composto da persone "super", ma non è vero, sono umili e poveri.

- Al vs 32 anziché "messaggeri" in greco dice "re delle genti" e si può pensare ai Magi che cercano risposte. La risposta è che è il Signore che agisce: è attraverso di Lui che saranno salvati gli umili del popolo; la forza non è in carri e cavalli, ma nell'umiltà.

- vs 29: il grande pericolo del nostro cuore è quello di rallegrarsi del castigo, della pena e della sconfitta del nostro fratello, fosse anche il nemico o l'oppressore. C'è qui la profezia di una fraternità più profonda per cui non possiamo mai permetterci di non aderire all'altro anche quando fosse in posizione opposta. Il Signore vuole a tutti i costi che cerchiamo vie di pace e di carità. A volte c'è il rischio di esporsi ad una carità senz'anima. Il principio della verità è la carità: non c'è verità se non è buona, per il fatto profondo della fratellanza che Dio ha stabilito (non è vero che non c'è carità se non è vera). Dio è il Signore di tutti, noi sappiamo che è il Padre di tutti, per cui la categoria del fratello, anche se è errante, è sempre vincente; anche se il fratello fosse indotto a fare del male, ancora di più bisogna tenerlo vicino. San Gregorio dice che la preghiera per chi fa il male deve essere più forte di quella per chi lo subisce. La diversità e l'inimicizia vanno visitate nella categoria del dolore.

- Il brano inizia con "oracolo", una parola pesante (già vista al cap 13) che annuncia rovina e distruzione, ma per chi se ne fa carico può significare anche salvezza. Quest'oracolo è dato nell'anno in cui muore il re, come al cap 6 dove però era morto Ezechia, un re buono, mentre qui è morto Acaz, un re empio. Il non rallegrarci perché si è spezzata la verga, oltre ad un invito a non rallegrarci per la fine del nemico, è anche un invito a rimanere nell'oppressione, non opporsi al negativo che si sta vivendo, e trovare lì la speranza (perfetta letizia di San Francesco). Anche gli accenni alla salvezza data al popolo sono dentro al messaggio che oggi ci viene rivolto: per Lui si salveranno i poveri del popolo. C'è presente il mistero della Pasqua nell'aspetto di passione e di salvezza. La speranza è per i poveri che accolgono con pazienza quello che succede, senza sfuggire.

24-10-00 Is 15, 1-9; Gc 4, 4-10; Lc 6, 36-38 (Francesco)

Il mio cuore geme per Moab

- La Parola del Signore che ascoltiamo oggi dal profeta Isaia è riferita a un popolo, vicino e parente di Israele, al quale viene annunciata una serie di sventure. Il fatto che sia un popolo parente di Israele ci dice che non possiamo guardare a queste sventure da semplici spettatori; è cosa che riguarda anche noi. E Giacomo usa parole molto simili proprio per invitare ciascuno di noi alla conversione. Confessiamo allora i nostri peccati e chiediamo al Signore di rinnovare la nostra vita.

- vs 1: è importante l'indicazione di tempo "di notte", fa pensare alla notte di Pasqua. E' l'unico elemento concreto che emerge dal testo dove si parla di questo grande lutto ma non si dice da cosa sia determinato. Quindi è molto aperto, di carattere generale e può comprendere tutti i guai dell'uomo. Nei LXX la compassione a cui è invitato chi legge è espressa alla seconda persona, poi in molti punti il soggetto piangente Moab è femminile (la Moabita, come Ruth).

-Grida, pianto, lamento: sembra siano l'unica cosa da fare e possono riferirsi a tante cose. In ebraico al vs 5 dice "il mio cuore geme", al cap 16, 9 "io piangerò nel mio cuore" ed al cap 16, 11 "le mie viscere fremono". Il soggetto di queste frasi è Dio e quindi il pianto ha un ascoltatore, viene raccolto. Tutti sono figli di Dio. Alla fine per Israele rimarrà solo un piccolo resto impotente.

- vs 1: "di notte" spinge ad una lettura pasquale. La devastazione è il passaggio necessario nella morte per arrivare alla resurrezione. Riguarda ciascuno di noi, attraverso la morte si deve passare, bisogna ricordare sempre il venerdì santo.

- Si può leggere in una direzione di speranza; vs 5: "i fuggiaschi giungono fino a Zoar" che è la città dove si rifugiò Lot fuggendo da Sodoma ed ebbe salva la vita. Anche al cap 13 si dice dei fuggiaschi di Babilonia che ritorneranno alla propria terra. Così è ora per i Moabiti che provengono da Zoar.

- Ai collegamenti col tema della Pasqua si può aggiungere il vs 2: "E' salita la gente di Dibon sulle alture, per piangere"; richiama la salita di Gesù al Calvario, seguito dalle donne che piangono. In Ger 48 viene descritta con termini simili la rovina di Moab e se ne dà una spiegazione: i peccati di Moab riguardo la fiducia nelle proprie ricchezze, scherno nei confronti di Israele ed orgoglio nei confronti di Dio stesso. Al vs 5 il lamento è rivolto a Moab dal Profeta stesso. Dice in ebraico: "Il mio cuore geme per Moab". C'è una compassione, una partecipazione dolente per la caduta di Moab. Questo, collegato al vangelo ed all'invito a non giudicare, ci dice che per questi dolori bisogna provare compassione e pietà, cogliendo in questa rovina un invito per la nostra conversione. Conclusivamente, si può leggere il testo come una descrizione della passione del Signore, di fatti che si compiono nella nostra stessa vita che vogliono indurre al pentimento ed alla compassione verso chi, in questo momento, è più colpito dal dolore.

25-10-00 Is 16, 1-5; Gc 4, 11-17; Lc 6, 39-42 (Francesco)

Rendi come notte la tua ombra, in pieno mezzogiorno

- Oggi chiediamo la protezione della Vergine Maria, Regina della Terra Santa, pregando per la pace di quei luoghi. Preghiamo anche per il padre di Luca Neri, che il Signore ieri ha chiamato a sé. Nel brano di Isaia c'è un invito a Gerusalemme affinchè sia piena di compassione per Moab ed accolga i suoi profughi. Chiediamo anche noi di essere accoglienti verso tutti con grande misericordia, guardandoci dal pericolo di voler giudicare.

- Israele diventa il luogo di rifugio dei dispersi. Il vs 4 potrebbe essere al presente: "perché non c'è più il tiranno". Il compito della Chiesa è l'accoglienza perché siamo già nell'era nuova del trono basato sulla misericordia. All'inizio del testo la Vulgata dà una versione messianica, "Invia Signore l'agnello Sovrano della terra", che ben si accorda con quanto segue.

- Oggi c'è un gran condensato di consigli nei tre testi. Isaia, letto in Gesù, è molto chiaro: non è più necessario nessun sacrificio, perché c'è l'Agnello. Il vangelo, con la parabola della trave e della pagliuzza, ci dice che ci vuole una grande tenerezza nei confronti del fratello.

- I Moabiti desiderano essere accolti. Sembra nuova e pacificante la parte di Israele che deve accogliere gli altri. In genere è sempre stato lui a dover essere accolto. Bello il vs 3: "Rendi come la notte la tua ombra" richiama il buio dell'ora nona, non è un buio naturale: in quel momento tutti i nostri peccati vengono presi da Gesù.

- vs 3: colpisce il buio di mezzogiorno (morte di Gesù), ma è un segno di speranza, è un'ombra di protezione. "Su di te si stenderà l'ombra dell'Altissimo" dice l'Angelo a Maria. Anche l'ombra della croce, che spesso ci spaventa, è l'ombra di Gesù.

- Il vs 1 letteralmente è come lo traduce San Girolamo: "Manda l'agnello dominatore della terra". Si tratta di mandarlo al monte della figlia di Sion. L'agnello per Israele è figura importante, Isaia ne parla come il servo del Signore. Quanto a Moab, è descritta la sua debolezza (le figlie come un uccello fuggitivo, come una nidiata dispersa) che muove a compassione. I versetti successivi sembra siano un invito a Gerusalemme a farsi carico dei fuggiaschi di Moab. L'opera di carità richiesta ad Israele coinciderà con la fine della sventura (morte del devastatore). Gerusalemme deve farsi accogliente con tutti quelli che vengono descritti in condizioni di povertà. L'ultimo versetto contiene due parole, "grazia e fedeltà", spesso accoppiate nell'AT, legate alla persona del Messia. Anche le altre immagini (tenda di Davide, giudice di giustizia) sono molto forti nella direzione di una lettura cristologica, come fa San Girolamo. Negli altri due testi c'è l'invito a non giudicare perché il giudice è un altro. Nell'agnello siamo invitati a riconoscere Gesù, mandato per la redenzione, che fa di questo monte un luogo accogliente per tutti i popoli.

 

26-10-00 Is 16, 6-14; Gc 5, 1-6; Lc 6, 43-49 (Francesco)

Di Moab rimarrà solo un resto piccolo e impotente

- Oggi il passo della Regola ci ha ricordato che non possiamo vantarci di nulla, neanche della promessa di fedeltà fatta al Signore. Anche i voti di fedeltà sono grazia che viene da Dio. E il brano del profeta Isaia ci dice che non possiamo fare affidamento su ciò che abbiamo, anche se è stato ricevuto da Dio. Dobbiamo solo confidare nel Signore. Con umiltà, quindi, ma con grande fiducia nell'amore di Dio, chiediamo perdono per i tutti nostri peccati, specialmente per quelli di orgoglio e per la nostra chiusura alla Parola che Dio ci rivolge.

- Testo fin troppo lineare rispetto alla descrizione della vita dell'uomo. Il primo versetto dice che l'origine di tutto il male sono la superbia e l'orgoglio del pensiero dell'uomo. Segue poi la descrizione dello sfacelo che ne deriva: scompaiono frutti e gioia. Il vs 11, che si può attribuire a Dio, dice che Dio non è indifferente: è con noi, si commuove profondamente e partecipa alle vicende dell'uomo.

- vs 12: Moab si stanca degli idoli, va al santuario a pregare, ma senza successo. Forse, collegato al vangelo, significa che non è sufficente lamentarsi, occorre essere consapevoli e mettere in pratica gli insegnamenti del Signore.

- Tutto quanto avviene è inevitabile, ma c'è anche un aspetto positivo: rimarrà un resto. L'uomo scopre la sua realtà più profonda. Le cose descritte capitano a tutti.

- Viene distrutta la grandezza e l'orgoglio, rimane la piccolezza (il resto impotente) che è quanto serve per la salvezza.

- I riferimenti ai campi e alla vigna rimandano ad Is 5 con alcune differenze: la vigna di Moab ha lunghi rami che vanno fino al mare e dà frutti buoni; quella d'Israele è curata, ha un recinto, le sue sono viti scelte, ma dà frutti selvatici.

- L'orgoglio di Moab è citato in modo generico, salvo alla fine del vs 6 quando dice della vanità delle sue chiacchiere. Si capisce che Moab si compiace della sua potenza espressiva; i LXX dicono che si tratta di divinazione. In Sof 2, 8 c'è un altro aspetto dell'orgoglio: gloriarsi del proprio territorio. Il vs 7 (Moab si lamenta per Moab) fa pensare ad un lamento chiuso in sè stesso; forse è l'aspetto più doloroso che evidenzia la solitudine. Ma c'è il Profeta (e Dio) che si commuove. Al vs 9 è ancora il profeta che piange. Per quanto riguarda le focacce d'uva (vs 7), sono legate al culto degli idoli (Osea 3). Le troviamo anche nel Cantico dei Cantici 2, 5: "sostieni mi con focacce d'uva perché sono malata d'amore". Anche nel Cantico c'è molto il tema della vendemmia, nonchè dei canti e della gioia che qui mancano. La stanchezza sulle alture (vs 12) ancora richiama il culto degli idoli, la cui ricerca non può dare riposo (sono le vie del nostro orgoglio). Infine il resto piccolo e impotente è una speranza per noi dopo tutte le desolazioni perché è suggestivo della figura di Gesù.

27-10-00 Is 17, 1-6; Gc 5, 7-12; Lc 7, 1-10 (Francesco)

Israele e gli altri popoli

- Leggiamo il testo di oggi sotto l'influenza del Dottorato in Patristica che ieri Giuseppe ha discusso a Roma. Trattava del rapporto fra Israele e la chiesa composta dalle genti. Il rapporto fra Giudei e Gentili è presentato da Crisologo in modo non conflittuale, ma quasi di continuità e di compagnia fra i popoli nel loro viaggio verso Gerusalemme. Anche le parole d'Isaia, col rapporto fra l'Assiria ed Israele, ci parlano di una strada voluta da Dio lungo la quale il suo popolo amato stringe relazioni con altri popoli. Anche le sventure che colpiscono l'Assiria vanno lette nella profonda connessione con Israele. Noi facciamo parte dei Gentili, chiediamo perciò perdono dei nostri peccati imitando il centurione di cui ci parla il vangelo che si dice "non degno".

- Testo pieno d'immagini a volte tragiche come la distruzione e desolazione delle citta, a volte positive come la sopravvivenza di un resto.

- Colpisce la severità del testo: come si può arrivare da questa severità alla guarigione del servo del centurione riportata dal vangelo? E' merito della grande misericordia di Dio; anche le parole di Giacomo sulla pazienza aiutano molto.

- vs 3: agli Aramei toccherà la stessa gloria degli Israeliti. Per noi questa gloria ha assunto una fisionomia pasquale che passa nel crogiuolo dell'apparente negazione della gloria stessa, che poi tornerà.

- L'orizzonte storico aiuta: nell'oracolo di cap 7 Isaia metteva in guardia Acaz dal fare un'alleanza; diceva di chiedere un segno. Acaz però non volle ed il Signore mandò il re d'Assiria.

- Quest'oracolo presentato su Damasco connette la sorte di Damasco a quella degli altri popoli. Ognuno deve portare il suo peso, le vicende di sofferenza toccano tutti e si crea una specie di solidarietà fra gli altri popoli ed Israele. Le greggi (vs 2) sono un segnale dello sbocco positivo della vicenda. Le rovine, prima luogo ostile, diventano luogo di accoglienza di riposo e di pace. Il vs 3 dice che ad Efraim toccherà la stessa storia di Israele: distruzione, ma anche gloria. Sarà una gloria attenuata, che si depaupera del suo aspetto di potenza. Anche le ultime due immagini, mietitura e raccolta delle olive, indicano violenza ma nello stesso tempo preludono a qualcosa di buono: un mistero di fecondità e benedizione della terra. E' un dolore aperto alla speranza, un dolore che darà frutto. Il peso di sofferenza e di speranza di quest'oracolo sta tutto nella connessione fra la storia dell'Assiria e quella d'Israele. Anche le pene dei Gentili sono messe in continuità e somiglianza con le pene d'Israele. Ogni vicenda di dolore è connessa alle sofferenze di Gesù. Il vangelo ci fa vedere fino a che punto giungono questi cammini paralleli fra Israele e le Genti. In Gesù c'è la riconciliazione fra le persone lontane e la pace e la salvezza.

 

28-10-00 Is 17, 7-11; Ef 2, 19-22; Lc 6, 12-16 (Giovanni)

Nella salvezza d'Israele è custodita la salvezza di tutti i popoli

- I popoli che in questi giorni si sono avvicendati nel testo d'Isaia, lo hanno fatto perché il giudizio su di loro potesse essere accostato a quello d'Israele. Questo avviene perché Dio vuole la salvezza di tutti i popoli e, nella salvezza d'Israele, è custodita la salvezza di tutte le genti. Allo stesso modo noi ogni mattina accostiamo tutto e tutti all'altare di Gesù perché è su di lui che il Padre ha basato il suo giudizio di morte e resurrezione. Dio sempre agisce per la salvezza, perché è buono e vuole il bene di tutti i suoi figli. Ringraziamo quindi il Signore e chiediamo perdono per essere vissuti in quella cecità che, per ironia della vicenda umana, è la nostra pretesa di vederci e la gloria dei piccoli che sanno che tutto per loro è dono di Dio. Affidiamo tutto questo ai due Apostoli di cui oggi facciamo memoria, Simone e Giuda, che furono mandati fino ai confini della terra a rassicurare tutte le genti che nessuno è solo.

- Isaia è sempre attualissimo: il vs 7 descrive la nostra situazione di smarrimento continuo della via buona, seguito sempre da un giorno in cui si volge lo sguardo al Signore. Al vs 10 i giardini fatti crescere per un Dio pagano sono molto presenti anche ai giorni nostri. Al vs 11 dice che c'è la desolazione perché abbiamo fatto culti idolatrici e ci siamo illusi di poter camminare da soli, ma tutto svanirà in un dolore insanabile.

- vs 9: parla di città vuotate ed abbandonate per far posto agli israeliti. Questa profezia di sventura ha quindi in sè qualcosa di positivo. Anche questi luoghi saranno ripopolati, ma da un popolo che piace al Signore.

- vs 7: "si volgerà" in latino è "si china, si piega"; è lo stesso verbo che, nel vangelo di Giovanni, dice che Gesù "chinato il capo, spirò". Questo gesto del chinare il capo è simbolico del rapporto fra l'uomo ed il suo creatore nella passione. E' anche lo stesso verbo con cui Dio ha guardato l'offerta d'Abele: è bello che il primo sguardo sia quello di Dio.

- Il confine fra la desolazione e le cose positive è molto labile, ci vuole grande attenzione per le piccole cose.

- Due precisazioni: la prima è sulla qualità del tempo. Sembra si debba pensare che le parole dei vs 7-10 vengano rivolte a persone tranquille nella loro idolatria. Non c'è, forse, un peccato consapevole, sono in una condizione di pace. Forse non sono consapevoli del loro errore, c'è una fatuità avvolgente. Anche i verbi che poi vengono usati quando sono messi davanti alla desolazione non sono per dire che uno si pente o cerca di ritornare. Anche "guardare il Signore" è difficile dire che sia un mutamento del cuore. La seconda precisazione riguarda Dio e la loro strada: adesso sono loro i nemici sconfitti. Il popolo verrà strappato: è vero che c'è la resurrezione, ma ci sono dei passaggi che ci fanno capire che sono nel sepolcro. Il primo versetto, così bello, sembra quasi un confronto: l'accorgersi di Dio è una sorpresa, i verbi sono usati come nel Magnificat (quando si dice che i ricchi saranno rovesciati, è sicuramente un verbo negativo) e, come nella parabola del ricco Epulone, i protagonisti sono descritti senza implicazioni morali (Epulone non sapeva di fare male, non si accorgeva neanche di Lazzaro). Anche oggi, se osserviamo la cultura in cui viviamo, c'è un assenso al ricco ed una colpevolizzazione della povertà. Invece tutto è per la salvezza, perché c'è la potenza salvifica di Dio, ma questo non toglie che si possa sviluppare un cammino d'inimicizia.

30-10-00 Is 17, 12-18, 7; Gc 5, 13-20; Lc 7, 11-17 (Giovanni)

Funerale di Anna

Si alzerà un segnale sui monti, guardatelo

- Oggi festeggiamo la pienezza delle nozze di questa nostra sorella e madre, Anna, la pienezza dell'amore. Lunga è stata la sua vita, piena di gioia per l'incalzare di Dio in lei. Questa pienezza di gioia è la meta verso la quale anche noi stiamo camminando. Accanto alla gioia, c'è la pace. Consegnamo al Signore tutte le nostre resistenze a queste nozze, resistenze a Dio che nel suo Cristo ci ha dato la visione di cosa sia amore. Chiediamo per la nostra sorella e per tutti noi la pienezza del perdono, della luce e della gloria di Dio Padre.

- Ieri mattina nella Basilica di San Pietro, durante una liturgia molto faticosa, ho pensato a queast 'assemblea di oggi, tutta raccolta attorno alla nostra sorella Anna. Mi sono venute in mente le parole di don Umbero circa i problemi insormontabili che avrebbe avuto la grande Chiesa col passare degli anni e sulla necessità di occuparsi della "chiesa piccola", che lui chiamava "chiesa underground". Ho anche pensato: "Per fortuna domattina siamo a Sammartini dove è bello anche morire!" I testi di oggi danno grande letizia: li commentiamo per onorare lAnna, che io spesso provocavo dicendole che doveva diventare una martire. Ci sono immagini di grande contrasto nel brano d'Isaia: assalti furiosi nella notte, e alla mattina tutto è finito. C'è una luce più forte delle tenebre. L'impeto delle acque contrasta con la forte calma di Dio che sta nella sua casa e guarda. Anna temeva sempre di avere qualcosa di non consegnato alla misericordia di Dio. Contro tutti i tumulti del nostro cuore, com'è splendida la certezza della pace di Dio! Noi siamo sempre sotto lo sguardo di Dio da quando sul monte ha messo quel segnale per tutti gli uomini che è la croce di Gesù. Per noi è decisiva la partenza di Anna che, in mezzo ai tumulti della nostra vita, ci indica veramente cos'è che conta. Sono nozze totali che riguardano tutti, ogni vita è preziosa a Dio. Noi siamo ancora in mezzo a problemi e insicurezze, Anna no. Giacomo nella lettera oggi ci dice che qualunque cosa ci capiti bisogna trovare il modo di portarla al Signore. E nel vangelo, la nostra attenzione non è attratta dal fatto che si svolge un funerale; la cosa veramente importante è che il Signore si accorge della madre, della madre che piange. Tutto si compie fra Gesù e la madre, il figlio è una figura minore. "Non piangere!" L'umanità è salva perché, mentre è avviata alla sepoltura, c'è questa madre che piange. E' questa madre che oggi noi possiamo accostare ad Anna; non è la sua morte il problema, è la nostra morte. Tutto può esserci tolto perché le cose belle che abbiamo ci sono state tutte donate: noi siamo quell'umanità morta per la quale questa madre piange. Oggi siamo venuti a ricevere un nuovo grande dono da Dio.

31-10-00 Is 19, 1-15; 2 Pt 1, 1-2; Lc 7, 18-23 (Francesco)

Il Signore cavalca una nube leggera

- La prima immagine del brano di Isaia, il venire del Signore come una nube leggera, ci mette in continuità con la giornata di ieri nella quale abbiamo consegnato al Signore la nostra sorella Anna, che si è caratterizzata per la sua presenza "leggera" e mite fra noi. Il Signore con la sua mitezza abbatte gli idoli e purifica i cuori. Chiediamo che la sua presenza mite sia anche su di noi e prevalga sul nostro orgoglio e su ogni nostro idolo, affinchè possiamo ricevere la sua buona novella.

- Il vs 1 è molto importante. Nella nube leggera (che ricorda il vento leggero che è il Signore stesso, quando passa) c'è tutto il mistero della piccolezza/grandezza di Dio. Lo scatenamento di tutte le cose che avvengono dopo è dovuto ad una nube leggera. Dio ci sorprende perché è nello stesso tempo maestà e leggerezza. Tutto crolla per il venir meno degli idoli, l'inconsistenza dei quali è rivelata dalla visita di Dio. Tutto va in crisi, tutto va in giudizio.

- La cavalcatura leggera ricorda il puledro d'asina con cui Gesù entra in Gerusalemme. E' segno importante della mitezza di Dio e richiamo alla semplicità per tutti noi.

- vs 2: c'è un riferimento a quando Gesù dice che non è venuto a portare la pace, ma la divisione. C'è anche una progressione del male che parte da contrasti fra fratelli, e si estende fino a generalizzarsi in regno contro regno.

- La nube leggera è in contrasto con l'oracolo (in ebraico "peso"). La Parola di Dio è severa e pesante, mentre la presenza del Signore è leggera (nota di delicatezza del Signore) tanto che viene interpretata dai Padri come il grembo di Maria che porta Gesù in Egitto (e questo determinerebbe la caduta degli idoli egiziani, secondo testi apocrifi). E' la grande forza che ha la piccolezza di Dio che si manifesta attraverso suo Figlio. "Leggera" ricorda anche i messaggeri leggeri mandati ieri agli Etiopi. La venuta di Dio scuote gli idoli (richiama il tremore delle guardie al sepolcro di Gesù); in ebraico questo scuotersi è "sciogliersi del cuore" mentre in greco è "la sconfitta del cuore"; questo indica che gli idoli sono presenze spirituali interne al cuore dell'uomo. Al vs 2, le lotte che si accendono ricordano il rapporto fra la storia piccola di ogni uomo (fratello contro fratello), e la storia più grande delle nazioni. Nelle ricomposizione dei rapporti familiari si può contribuire alla pace fra i popoli. Dal vs 3 in poi c'è la descrizione della perdita della ragione conseguente all'idolatria. I vs 11 e 12 parlano dei sapienti divenuti stolti per la gloria della "propria" sapienza (vedi anche 1 Cor cap 1-2). E' il Signore la causa del diventare stolti dei sapienti (vs 14), questo è il tema del cap 6 dove il Profeta viene inviato per indurire il cuore del popolo. Alla fine il Signore diceva: "E io li guarirò". Anche in 1 Sam 16 Saul viene aggredito da uno spirito cattivo mandato dal Signore per uno scopo finale di conversione. Sono testi difficili in cui sembra proprio che l'indurimento del cuore, l'inganno e la stoltezza siano iniziative di Dio per la salvezza di coloro che si credevano sapienti, per un'opera di conversione al fine di giungere alla sapienza vera che è quella del Signore. Il vangelo ci aiuta perché ci parla della venuta del Signore in mezzo al suo popolo per guarire, liberare, annunciare la buona novella, con il finale: "Beati coloro che non si scandalizzeranno di me". Non bisogna scandalizzarsi del Signore che arriva non nella potenza, ma nella leggerezza e nella mitezza.

3-11-00 Is 19, 16-25; 2 Pt 1, 3-4; Lc 7, 24-35 (Francesco)

Israele sarà una benedizione in mezzo alla terra

- Le parole che il Profeta ci regala oggi, "benedizione, eredità, ecc." sembrano proprio fatte per la consolazione delle nostre anime. E' bello che il Signore ogni tanto ci tiri su di morale, come fa anche nel vangelo in cui ci dice che è importante essere sempre ubbidienti a lui. Ringraziamo quindi il Signore per queste parole di consolazione e chiediamo perdono per i nostri peccati contro la carità, che mettono tristezza nei nostri cuori, perché fanno cadere la speranza.

- vs 22: "percuoterò con piaghe" richiama l'Esodo e le piaghe con cui è stato colpito l'Egitto. Qui però dice anche che il Signore li guarirà, quindi è un completamento dell'Esodo. La Scrittura è sempre attuale: ci sono le piaghe mandate dal Signore, poi però c'è la speranza. Anche oggi dice che questa piaga verrà sanata e tutti saranno nella consolazione. Per quella parte d'Egitto che ognuno ha in sè o nella sua casa, le parole di oggi sono di pace e consolazione: è così che, nella fede, si deve considerare ogni prova.

- La speranza grande del testo di oggi richiama la motivazione per cui Papa Giovanni ha indetto il Concilio: tutto andava male, ci voleva una grande riconciliazione.

- vs 25: nei LXX è: "Benedetto il mio popolo che è in Egitto". La prima benedizione è per il popolo d'Israele disperso in questi paesi. La benedizione veramente universale passa dalla dispersione d'Israele a tutto il mondo.

- "Israele è la mia eredità" (vs 25), ma al vs 24 aveva detto "Israele sarà il terzo, con l'Egitto e l'Assiria"; quindi Israele viene assimilato agli altri popoli nonostante sia il popolo scelto, il benedetto, l'eletto.

- vs 2 0: bella la lettura che ne danno i LXX: "Il Signore manderà agli Egiziani un uomo Signore"; poi aggiunge che li salverà con un'opera di purificazione. Sarà una salvezza non indolore. La strada di cui parla il vs 23 non può essere altro che il Signore stesso; solo lui può mettere in rapporto questi popoli.

- Si può vedere un parallelo fra i tre popoli benedetti ed il brano degli Efesini in cui si dice che Gesù abbatte l'inimicizia e fa dei due un popolo solo.

- Il ripetersi di "In quel giorno" rimanda al giorno dei Signore. Queste profezie così straordinarie, quasi troppo belle per essere vere, sono comprensibili solo nel giorno del Signore che è la sua croce. Anche ai nostri giorni questi popoli (Egiziani e Siriani) sono difficili da raggiungere passando da Israele. Il discorso che gli Egiziani diventeranno come femmine, tremeranno e temeranno, forse non è un castigo, ma una grande speranza. La debolezza della donna, la sua disponibilità all'incontro sponsale, molto lontane dalla potenza degli Egiziani, sono una cosa bella. Le cinque città in cui si parlerà l'ebraico fanno vedere la presenza forte d'Israele in Egitto. Ai tempi d'Isaia la storia d'Israele era limitata alla pasqua, il fatto che Israele sia in Egitto al tempo d'Isaia, fa vedere che la condizione di dispersione e di schiavitù dura nel tempo. Questo indica la condizione perenne della nostra esperienza spirituale, la condizione di schiavitù in cui continuiamo a ricadere. Le liturgie e le stele descritte richiamano la chiesa che conserva la sua fedeltà nel paese d'esilio. E' bello vedere Israele in mezzo agli altri popoli come uno di loro, anche se lui è il motivo della loro benedizione. Questo ci dice che anche noi, senza nostro merito, siamo causa di benedizione per coloro che ci sono vicino.

4-11-00 Is 20, 1-6; 2 Pt 1, 5-11; Lc 7, 36-50 (Giovanni)

Gesù è stato "fatto peccato" per essere la salvezza del peccatore

- Oggi celebriamo la festa di san Carlo Borromeo, mentre la diocesi di Bologna celebra la festa dei santi Vitale e Agricola. La festa del nostro patrono ci invita a ringraziare il Signore per la nostra gente, per il nostro parroco e per tutto il bene che ci viene attraverso di lui. Una settimana orsono sapemmo della malattia di Anna, che nei giorni scorsi abbiamo poi accompagnata al Signore. E' una memoria limpida e lieta. Ogni giorno le Scritture ci rivelano che la bontà di Dio si effonde su tutto e su tutti. Le parole di Isaia oggi sono ricche e sorprendenti. Dio ci parla della salvezza dell'Egitto in modo molto intimo. Dio governa per il bene anche l'Egitto e anche il tempo della prova. Quindi dopo la messa dobbiamo essere pronti a leggere in tutti la mano di Dio. Chiediamo perdono per i nostri peccati, nella certezza che la potenza di questo pane e di questo calice riscatta tutti.

- vs 3: "nudo e senza scarpe" perché questo sarà un segno. Sembra che il Signore proponga a tutti la nudità della Pasqua. Il grande Egitto deve anche lui arrivare alla salvezza attraverso la povertà. Nudo e senza calzari richiama l'obbrobrio della croce.

- vs 3: si parla d'Isaia come di servo, anziché di profeta. La parola "servo" è legata al tema della sofferenza vissuta per qualcun altro; è profezia di Gesù. Il potere d'espiazione e di redenzione presente in questo servo si estende a tutti i popoli.

- C'è un grande avvertimento per noi rispetto alla soluzione dei nostri problemi. Qui si parla di alleanze, di un'operosità che viene messa in moto per risolvere il problema dell'Assiro. Il Signore scompagina le cose: la soluzione è nel servo. Bisogna stare attenti al segno giusto, senza voler contare su nostre soluzioni.

- Oggi Isaia è il segno potente di Gesù: una situazione nuda e spoglia, che durerà 30 anni. La domanda finale: "Come ci salveremo?" trova risposta nel vangelo: "La tua fede ti ha salvata". Il perdono arriva, basta restare ai piedi di Gesù.

- L'ultima parola del brano è lo scopo di tutto: far nascere nel cuore di questa gente la parola della salvezza, che è sempre una resa e una speranza. Tutte le altre alleanze erano sbagliate; non si può confidare in ciò che non è il Signore. Ma la parola salvezza è positiva. Con la resa inizia la fede. La domanda che il testo mette alla fine, "Ora come ci salveremo?", per noi ha già risposta nei primi versetti: andrà a finire bene perché il servo di Dio li precede. Dio è sempre più rapido di noi: quando precipitiamo nella desolazione, lo troviamo già là. Gesù porta su di sè quei segni che noi abbiamo per colpa nostra, mentre lui se li è assunti in obbedienza al Padre per salvarci. Le tre figure del vangelo sono interessanti: l'obiezione del Fariseo non è contro la donna, ma riguarda l'ospite. La cultura farisaica direbbe che quella degli egiziani è una deportazione per colpa loro e non ammetterebbe mai la commossa compassione della donna. Ma Dio si fa deportato perché loro non siano soli e dice alla donna: "La tua fede ti ha salvato. Va in pace!" Ma cos'è allora la fede? Forse è solo la domanda: "Ora come ci salveremo?" In quel momento infatti non confidano più in altri, ed entrano nella salvezza perché si incontrano con questo Dio che si è perso per loro. Così, nella parabola, il figliol prodigo rientra in sè proprio quando è più lontano. In questo testo c'è la promessa che, proprio nell'abisso dei nostri peccati, troviamo che c'è Gesù. Gesù è stato "fatto peccato" da Dio per essere la salvezza del peccatore. Sono cose molto più grandi di noi: molto perdonato = molto amato. Dio non si pone nella nostra razionalità che direbbe: "L'Egitto ha fatto male, peggio per lui!", e mette un segno.

6-11-00 Is 21, 1-10; 2 Pt 1, 12-15; Lc 8, 1-3 (Giovanni)

 

Il dissidio si può vivere solo nella categoria del dolore

- Oggi le parole del Libro del profeta Isaia sembra ci dicano che Dio partecipa della vicenda umana in un modo straordinario e per noi impensabile. Nelle cose degli uomini solo chi ha fatto male ed è punito è esposto al dolore, ma qui sembra che anche chi emette il giudizio sia nella sofferenza. Tutto questo è chiaro se si pensa a Gesù. Il giudizio di Dio è la sua croce. Per questo, ogni tipo di giudizio ormai non ha più senso se non è nella carità e nel dono di sè. Chiediamo perdono per tutti i nostri giudizi espressi non in direzione della vita e della speranza. Chiediamo perdono per tutti quelli che avessimo abbandonato od escluso. Chiediamo, per noi e per tutta la comunità cristiana, una presenza sempre più viva della misericordia divina.

- Il testo diventa sempre più sorprendente: il vs 3 di seguito al vs 2 dice quanto è lontano dal nostro modo di pensare. Il "per questo" con cui inizia il vs 3 esprime il dolore quasi materno del profeta (Dio), la sua intima partecipazione commossa, addolorata, profonda fino alle viscere, alla distruzione di Babilonia che aveva oppresso il suo popolo. Al vs 8 c'è anche una versione che dice: "Gridò il leone", che fa pensare al leone di Giuda, Gesù, che veglia per noi giorno e notte.

- I dolori come di partoriente, sono una ripresa di quanto detto al cap 19, 16 riguardo agli Egiziani (femmine). Collegato al versetto evangelico in cui si parla di donne che hanno seguito Gesù, fa pensare che le tribolazioni portino queste persone ad una debolezza non negativa, di affidamento ed apertura al Signore

- Il brano richiama la sentinella (don Giuseppe): questi oracoli non si sa bene se sono realtà, o profezia che dirige la storia. La profezia diventa più importante della storia; questo è vero per ogni vita e per ogni epoca. Anche noi viviamo la realtà di un Signore già dato, ma anche da attendere. La sentinella richiama Pietro che vuole tenere desti i fratelli con le sue esortazioni finché rimane in questa tenda terrena.

- C'è un punto sul quale bisogna prendere una decisione: chi è il soggetto dei vs 3 e 4. Si può pensare sia l'uomo di Dio (il profeta) o Dio stesso. Se il testo di sabato diceva che la profezia deve portare in sè il segno dell'obbrobrio che colpirà il colpevole, qui c'è il mistero del dolore per il colpevole, cosa che in Geremia e nell'Apocalisse non c'è. Qui emerge il suggerimento che la bontà di Dio impedisce la sua partecipazione al giudizio. Non c'è gioia e neppure soddisfazione perché giustizia è fatta. Dio è partecipe del dolore di Babilonia e quando Babilonia viene distrutta, non è contento. Nessuno viene distrutto se non Lui, nel mistero d'amore della sua croce. Nel mondo c'è una violenza che cresce non tanto in chi ha torto, quanto in chi ha, o crede d'avere, ragione. Se tu hai ragione e cerchi l'annientamento di chi ha torto, le cose non funzionano. Non si devono accettare o erigere muri: Dio non è così: Lui patisce per l'errore dell'altro. Non si può più vivere il dissidio se non nella categoria del dolore. Dobbiamo vivere anche le nostre ragioni non come giudizio. La nostra scuola della pace non è la scuola delle idee giuste; bisogna essere aperti ad ogni pensiero in quanto in ogni pensiero c'è un frammento di verità. Ci vuole una grande ricerca: il coraggio di Dio è quello di tenersi di fronte l'avversario e soffrire per lui. Dio è nel dolore del parto, un dolore che arriva alla croce. Il ministero apostolico deve sempre essere assistito da una diaconia femminile. L'avversario non va annientato: questo non è cristiano. Davanti ad un pensiero avverso devi metterti nella categoria del dolore. "Non si può odiare il carnefice, questo è il massimo disastro" diceva una giovane ebrea nel campo di sterminio.

7-11-00 Is 21, 11-12; 2 Pt 1, 16-18; Lc 8, 4-8 (Francesco)

Sentinella, che cosa dalla notte?

- Il tema di oggi è la notte. Non si può sfuggire a questa realtà. non si tratta infatti di sfuggire, ma di cogliere in questo mistero l'opera di Dio. Teniamo allora insieme le tre letture e cerchiamo di cogliere la luce che brilla nelle tenebre. Anche la Regola ci ha detto che c'è un'opera che Dio compie nella ordinarietà della nostra vita. Chiediamo perdono per quando abbiamo vissuto senza speranza, travolti dall'angoscia di essere stati abbandonati. Chiediamo perdono anche per tutte le volte che non abbiamo colto la presenza del Signore nei fratelli che ci ha messo accanto.

- Il primo versetto nei LXX è diverso dall'italiano, richiama il passo evangelico in cui i discepoli di Giovanni iniziano a seguire Gesù. Al posto di "domandare" c'è "cercare", poi la sentinella non dice "convertitevi", ma usa un verbo che vuol dire dimorare presso la persona cercata e ritrovata.

- Il vs 12 nella Vulgata assomiglia al greco e contiene l'indicazione chiara di come uscire dalla notte. Ci sono tre imperativi: domandate, convertitevi, venite. "Domandate" rimanda alla domanda con cui finiva il cap 20: "Ora come ci salveremo?"; la domanda quindi è importante perchè ci apre la strada della salvezza. Convertitevi richiama la liturgia delle Ceneri: "convertiti e credi al vangelo". Il "venite" richiama la sequela di Gesù.

- La notte ricorda Giuda quando esce dopo aver preso il boccone e Pietro quando al canto del gallo esce e piange amaramente. Nella lettera, al vs 18, il santo monte è quello in cui saliamo ogni mattina per uscire dalle nostre tenebre.

- C'è una complessità notevole in questi pochi versetti, ci sono tante voci, tanti soggetti non facili da individuare. Chi è che chiama da Seir? Forse è un'incertezza che va lasciata. Chi è il custode che parla? A chi parla? All'inizio dice: "Che cosa dalla notte?", che può significare una realtà notturna che si incontra. Il custode dice che viene il mattino e poi la notte, è importante che il mattino preceda la notte. "Viene il mattino" è lo stesso verbo di "venite" visto prima; questo fa pensare che noi possiamo venire perché prima è venuto il mattino (Gesù). Quando dice "se volete cercare", in ebraico è un'azione continuata: "Se cercherete, cercate" come se il cercare avesse in sè il suo compimento.

- L'Idumea ricorda il Salmo in cui il Signore dice che sull'Idumea getterà i suoi sandali (che significa prendere possesso della terra); questo dà una luce nuziale a tutto. Bello interpretare la notte come ricerca del Signore: l'attesa è sempre ricerca.

- Il grido viene da Seir, l'oracolo riguarda Edom (l'Idumea); questo fa pensare al grido di una nazione sorella (Edom era Esaù, fratello di Giacobbe). Il grido induce Israele alla solidarietà. Il popolo eletto è chiamato a vivere il dolore degli altri popoli come suo. A chi si rivolge il grido? Qui si usa il termine custode anziché sentinella ed il custode è sempre Dio (custode d'Israele). Quindi forse tramite Israele il grido giunge a Dio ed è bello che sia Lui che dà la risposta. "Che cosa dalla notte?" nel senso di cosa può venire dalla notte, che senso ha, o anche che speranza può venire da essa. Ma è anche grido perché passi la notte. La risposta del custode è sorprendente: "viene il mattino ed anche la notte". Tutti i passi paralleli proposti mettono prima la notte poi il mattino; qui no, è l'unico caso nelle scritture. Don Giuseppe ha dato un'interpretazionbe politica a questo: siamo nella notte senza spiragli di speranza. Cioè il testo vuole rappresentare col massimo realismo il peso della notte. Ma è anche importante che il mattino preceda la notte per il suo compito di illuminazione, conforto e luce di speranza per la notte della vita. In questo senso i LXX traducono: "custodirà il mattino e la notte"; quindi tutto è dentro questa custodia e protezione. In conclusione, bisogna stare con realismo dentro la notte, non pensare a facili vie d'uscita, ma sempre con la consapevolezza di essere figli amati (A Silvano di monte Athos il Signore diceva: "Rimani nel tuo inferno senza disperare).

8-11-00 Is 21, 13-17; 2 Pt 1, 19-21; Lc 8, 9-15 (Francesco)

Incontro alla sete portate acqua

- La chiesa di Bologna ricorda oggi i suoi santi. Ci affidiamo alla loro protezione, particolarmente a quella dei santi Vitale e Agricola, di santa Clelia ed anche dei nostri padri nella fede: il cardinal Lercaro, don Giuseppe, don Umberto, nonchè della nostra sorella Anna. Accogliamo le parole del profeta Isaia ricordando quello che ci dice oggi la lettera di Pietro: la parola profetica è luce che brilla nelle tenebre. La Parola è una grande grazia che ci viene donata ogni giorno. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati e per le nostre debolezze che ci sono ricordate dalle spine del brano evangelico di oggi.

- Importante l'attenzione che Dio ha per gli oppressi; vuole che gli altri li soccorrano. Dio ha il suo sguardo compassionevole su di noi ogni volta che siamo in una situazione difficile e vuole che ci si aiuti a vicenda.

- Spesso nelle Scritture il Signore giudica le nazioni che non hanno aiutato Israele nella sua fuga dall'Egitto. Israele è il primo nel cuore di Dio, ma con lui poi ci sono anche tutti gli altri popoli. La carità è quindi il comandamento più alto di tutti.

- vs 14: richiama Mt 25, la parabola delle vergini che vanno incontro allo Sposo e si conclude con le parole di Gesù che dicono che lo si può incontrare nei piccoli e nei poveri. E' bello che l'incontro fra questi popoli sia segnato dall'interessamento del Signore: Lui stesso ha avuto sete.

- Le tribù nominate nel brano di oggi sono: Dedan, figlio di Cam (Gen. 10), maledetto per aver scoperto la nudità del padre; quindi c'è un segno di maledizione; il suo nome però compare anche fra i figli di Abramo e in questo caso c'è benevolenza da parte di Dio. Kedar è un figlio d'Ismaele e quindi queste tribù, oggi descritte in situazioni di rovina, sono imparentate con Israele. Anche nel Cantico le tende di Kedar sono ricordate come cosa bella. Anche in Is 42 e poi in Is 60 si ricorda che questa tribù ha dato gloria al Signore, quindi Kedar è un popolo la cui rovina va guardata con dolore. L'invito agli abitanti del paese di Tema di portare acqua e pane richiama Rm 12: "se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare". Al vs 14 in ebraico e in greco dice: "Incontro alla sete portate acqua". Questo verbo "portate" è lo stesso che ieri era tradotto "venite" e che sembrava avesse come destinazione il Signore; oggi è rivolto verso i fratelli e mostra così una continuità fra una conversione verso Dio e l'amore per chi soffre. Infine c'è il tema della fine della forza e della gloria. Il tutto si può accostare al testo del vangelo (perseveranza e pazienza): bisogna essere pazienti davanti all'opera di Dio che riduce ogni popolo ad un piccolo "resto", che non deve confidare più in se stesso, ma nel Signore.

9-11-00 Is 22, 1-5a; 1 Pt 2, 4-9; Lc 19, 1-10 (Giovanni)

Il pianto rivolto a Dio è preghiera

- Per la festa della dedicazione della Basilica Lateranense, abbiamo scelto come brano evangelico quello di Zaccheo. La sua casa è diventata casa del Signore. Entriamo in questa casa nella consapevolezza del nostro dolore per tornare alla speranza e alla pace. La lettera di Pietro ci invita ad essere pietre vive per offrire il sacrificio gradito a Dio. Chiedere perdono per i nostri peccati oggi significa consegnare ogni interpretazione violenta del nostro pensiero e del nostro cuore, capaci solo di portarci alla solitudine. Chiediamo che la misericordia del Signore ci dia perdono e pace nel momento del nostro ingresso nella casa di Dio, che è il suo Figlio Gesù, il salvatore.

- Siamo grati per quanto ci è stato detto nell'introduzione e per la scelta del vangelo di Zaccheo che si conclude dicendo che il figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare chi era perduto. Nel vs 5 del testo d'Isaia si parla di un giorno di panico voluto dal Signore ed il richiamo a Geremia ci dice che Rachele non vuole essere consolata. Si era all'interno di un grande dolore, un giorno terribile dal quale sembrava impossibile venirne fuori. Ma c'è la volontà buona di Gesù che viene a cercare ed a salvare.

- Zaccheo sale sull'albero per vedere Gesù, in Isaia la gente sale sulle terrazze per festeggiare. Azioni simili (salire) possono essere fatte con intenti molto diversi: positivi o negativi; questo capita sempre nella nostra vicenda col Signore.

- vs 3: i capi che sono fuggiti insieme, i prodi che sono catturati, ricordano la fuga dei discepoli quando Gesù viene catturato. Anche nei testi degli ultimi giorni (la notte che succedeva al mattino e poi l'invito alle carovane a passare la notte nel bosco), hanno riferimenti alla notte del Getzemani.

- vs 5: "giorno di panico voluto dal Signore"; forse la particella "dal" può essere "per" o "al"; quindi può voler dire che proprio per il Signore diventa giorno di panico e smarrimento. E' sempre la profondissima partecipazione del Signore alle distruzioni ed ai lutti: Gesù per primo è in questo travaglio ed in questo pianto.

- I protagonisti del testo sono tre: due presenti ed uno assente. Il popolo è stato abbandonato dai capi, presi o fuggiti, e non ha riferimento. Non hanno neppure combattuto, si sono astenuti dalla battaglia. Nessuno ha combattuto per questo popolo la buona battaglia della fede. La storia del mondo è vista come una successione di fatti inevitabili. La stessa cosa noi pensiamo per i nostri peccati, ma è sbagliato, non si può mai dire che non c'è niente da fare, si deve combattere, magari perdere, ma combattere. Per quanto riguarda la particella del vs 5, in realtà direbbe che questo giorno di panico non è voluto dal Signore, ma è diretto verso il Signore; quindi è un pianto positivo, piangiamo verso di Lui perché questa è la nostra unica speranza. I capi sono scappati, il popolo si comporta in modo assurdo perché, mentre le cose vanno malissimo, loro vanno sulle terrazze a festeggiare, quest'uomo che piange è l'unico che fa una cosa giusta. Il pianto che non vuole essere consolato di Rachele è quello che poi fa fiorire la vita. La casa è bene che sia casa del pianto per poi diventare casa di resurrezione. Il dolore ha una positività. Il pianto rivolto a Dio è preghiera. Se il pianto ha una direzione è una delle preghiere più importanti che si possono fare. Non bisogna fuggire dalle vicende: per quest'uomo che piange la città sarà salvata.

10-11-00 Is 22, 5b-14; 2 Pt 2, 1-3; Lc 8, 16-21 (Francesco)

 

Mangiamo e beviamo perché domani moriremo

- Oggi ricordiamo San Leone Magno, noto principalmente per aver fermato Attila. E' stato un grande uomo di pace e di riconciliazione fra Occidente ed Oriente, fra latini e barbari. Sotto la sua guida è iniziata l'integrazione dei popoli barbari nella fede cristiana. Preghiamo perchè anche oggi la Chiesa sia luogo di pace e di accoglienza. Le parole del Profeta questa sera invitano alla speranza che viene dall'amore di Dio. "Mangiamo e beviamo perchè domani moriremo" è citato da San Paolo in connessione con la Resurrezione. Il Profeta parla con pace della vicina rovina di Gerusalemme; chiediamo di poterlo fare anche noi pensando alle nostre personali rovine. E chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, particolarmente per tutti quelli contro la carità.

- Il brano di oggi conferma quanto detto ieri sul pianto. Il lamento, il pianto , è l'unica cosa buona che si può fare, altrimenti non c'è speranza. Si mangia e beve in un discorso privo di speranza. Anche prima che si abbattesse il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, non facevano nulla di male, ma vivevano come se non ci fosse Dio.

- Ci sono due modi di comportarsi: mangiare e bere perché tanto moriremo, oppure pregare e sperare nel perdono di Dio.

- E' un brano molto attuale: ci sono tanti guai e noi cristiani dovremmo saperli leggere con uno sguardo appropriato e non con uno sguardo mondano.

- In 2 Re cap 18-20 si parla della vicenda di Ezechia e dell'invasione di Sennacherib re della Siria. Solo Gerusalemme non è stata ancora conquistata. Ezechia si arrende a Sennacherib, ma poi questi gli manda una lettera offensiva per il Signore. Ezechia allora consulta Isaia che lo rassicura che Gerusalemme non sarebbe stata conquistata. La gente però non aveva speranza e mangiava e beveva, perché pensava che il giorno dopo tutti sarebbero morti. Isaia è stato per loro come una lampada, ma loro hanno continuato nel loro atteggiamento, segno massimo della mancanza di luce. Bisogna stare attenti a come si ascolta il vangelo, perché alla fine non conta tanto la liberazione di Gerusalemme, quanto il modo in cui si comporta il nostro cuore.

- vs 12: "in quel giorno". E' importante per capire la qualità del tempo. Non è semplicemente un problema di respingere o di dimenticare la morte, importante è capire che si tratta del tempo del Signore.

- Belle le ultime parole "finché non sarete morti". In Lc 15 il padre del figliol prodigo dice al figlio maggiore: "Figlio tu sei sempre con me, ma tuo fratello era morto ed è tornato in vita". Il cristiano deve accettare la morte della creatura perché per lui devono essere possibili queste parole.

- L'indicazione generale è quella che bisogna fare attenzione a come si ascolta il Signore. Tutta la vicenda che si abbatte su Gerusalemme avrebbe dovuto servire alla città per accorgersi della visita del Signore che la chiamava alla conversione, prima di quella dei nemici. Non si può confidare nelle proprie opere. "Voi non avete visto", a chi si riferisce? Forse per il suggerimento che ci dà il testo ebraico le parole sono rivolte a Gerusalemme stessa, alla sua bellezza, al dono che Dio le fa continuamente prediligendola fra tutte le altre città. Nel momento della prova bisogna guardare alla fedeltà di Dio. Quando Paolo riprende le parole "mangiamo e beviamo perché domani moriremo", le fa precedere dalla frase: "Se i morti non risorgono". Infatti solo alla luce della resurrezione si può pensare diversamente da così. L'ultimo versetto, "non sarà espiato questo vostro peccato finché non sarete morti", può voler dire che il peccato non sarà mai espiato, oppure che con la morte si espia questo peccato. Il tema della morte e resurrezione, molto presente oggi, prende in Gesù una luce di speranza. Anche il vangelo ci suggerisce una via di speranza e di pace: cogliere tutte le vicende della nostra vita nell'ascolto, che è l'opera che Dio compie per la nostra salvezza.

11-11-00 Is 22, 15-25; 2 Pt 2, 4-10a; Lc 8, 22-25 (Francesco)

 

Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide

- Oggi affidiamo la nostra preghiera all'intercessione di San Martino di Tour, il primo santo a cui è stata dedicata questa terra. Come padre dei monaci di occidente, è protettore di tutti noi. Gli chiediamo soprattutto di darci una nuova fedeltà ai doni del Signore. Questo è anche il modo giusto di accostarsi alle parole del Profeta che ci parla di amministratori cui viene tolta la carica. Non abbiamo forza per pagare il nostro debito: quindi possiamo solo affidarci alla misericordia di Dio.

- Impressiona che tutto quello che si dice per Eliakim sia profezia della passione di Gesù. La chiave è la croce che viene posta sulle spalle di Gesù, con la quale si "apre" la salvezza per tutti. La croce è il trono di gloria e alla fine (vs 24) ogni gloria può essere solo lì dov'è la croce.

- Il brano si può leggere alla luce di quello di ieri: gli abitanti di Gerusalemme erano puniti per essersi impossessati della città santa, oggi forse Sebnà si è impossessato del dono di Dio (superbia, sepolcro in alto) ed il Signore punisce lui ed il suo successore Eliakim che, in fondo, non confida in Dio. C'è un chiaro messaggio circa il fatto di non confidare sulle nostre forze, ma abbandonarsi a Dio.

- Il vs 25 è un problema. Il primo, Sebnà, è forse un idolatra, ma quello che gli succede e che ha tanti riferimenti a Gesù, sembra proprio che venga dal Signore. Tutti dipendono da lui e va tutto bene fino al vs 24. Poi però il vs 25 dice che tutto cadrà perché il Signore ha parlato. Cosa vuol dire?

- Tutto il testo ci spiazza con quest'ultimo versetto: Sebnà vuole costruire una tomba come Abramo che compra il campo per seppellire la moglie. Anche il fatto della tomba, come la caduta del paletto, ci dicono che non c'è niente di sicuro, un rovesciamento continuo che si può assimilare alla morte di Gesù. Anche questa morte è inaccettabile per i nostri cuori se non ci abbandoniamo alla volontà di Dio.

- Tutte le cose che il Signore dona ad Eliakim sembra non si debbano piegare al versetto finale. La speranza cristiana non è il passare dal puro dono di Dio al cedimento della morte. Noi sappiamo che il Signore, morendo, regna e che alla nostra morte si sovrappone la morte del Signore. Il Battesimo è un dono assoluto.

- Cos'ha fatto di male Sebnà? Si è fatto scavare un sepolcro alto nella roccia, i suoi capi superbi mostrano un orgoglio militare pesante (vs 18). I tre "qui" di vs 16 forse fanno pensare che lui abbia ritenuto suo il possesso della terra, lui si è costruito un sepolcro suo, mentre Gesù l'ha avuto in prestito. Poi c'è il tema della paura della morte e della non fede nella resurrezione. Per Eliakim, è vero, ci sono molti aspetti che ricordano il Messia, la chiave sulla spalla, il trono di gloria, la casa di suo padre; anche le cose e le persone che gli vengono appese (vs 24) richiamano i paramenti dei sacerdoti ai quali venivano appesi nomi di persone (nella Sapienza dice che vi veniva appeso il mondo intero). Il fatto che anche lui finisca male è nella linea delle profezie messianiche. La notte segue il mattino, c'è prima la gloria poi la passione. E' in definitiva un testo che ci mostra la destituzione di un uomo e la sua sostituzione con un altro scelto da Dio. E' l'uomo vecchio che deve morire sostituito dall'uomo nuovo: questa è l'operazione che Dio vuole compiere in noi.

13-11-00 Is 23, 1-14; 2 Pt 2, 10b-16; Lc 8, 26-39 (Francesco)

 

Il Signore non vuole superbia e orgoglio

- Nei testi di oggi c'è grande continuità con la liturgia di ieri (Domenica XXXII T.O.), sia per i riferimenti geografici (Tiro e Sidone), che per il problema umiltà/orgoglio. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati e chiediamo che il Signore prepari anche per noi una vicenda di purificazione dall'orgoglio e di incontro con la sua misericordia.

- vs 9: "superbia ed orgoglio" che il Signore ha deciso di svergognare. Non viene detto che i traffici e le ricchezze sono cattivi; la cosa negativa è inorgoglirsene e confidare in esse; non affidarsi più al Signore. Le vedove di ieri hanno la vera ricchezza che il Signore ama.

- Oltre a quanto detto sopra, il vs 4 introduce un elemento nuovo: la mancanza di fecondità. Tutto il discorso dell'orgoglio e della ricchezza fa capire che in essi manca la possibilità di generare.

- Colpisce che dopo aver tanto parlato del peccato di orgoglio e della mancanza di fecondità, al vs 12 ci sia la compassione del Signore che usa il termine "vergine". Questo richiama Osea, dove il Signore vuole riprendere Israele sua Sposa. C'è poi il tema del riposo: il Signore vede nell'orgoglio una profonda solitudine. In Mt 11 il Signore, dopo aver detto che preferisce i piccoli ai sapienti, chiama chi è oppresso perché in lui trovi riposo.

- Le navi di Tarsis (vs 1 e 14): Tarsis è anche nel Salmo 47 dove si descrive l'opera che Dio compie contro i nemici di Gerusalemme. C'è giudizio di Dio su queste cose forti. Anche in Giona parla di Tarsis come un luogo laico dove ci si può rifugiare lontano dal Signore. Al vs 2 "ammutolite" fa pensare che le sventure che si abbattono su Tiro e Sidone devono portare al silenzio (segno della resa del cuore superbo che si pone in una condizione d'ascolto). Il tema del mare, simbolo delle potenze avverse a Dio, è molto presente in questo brano. Ricorda il Salmo 106 e vari episodi evangelici dove l'uomo viene salvato dal mare. Riguardo alla mancanza di fecondità, ricordiamo che per le scritture è una maledizione non poter generare. Forse c'è associazione, come nel nostro mondo occidentale, fra potenza, ricchezza, scambio di merci ed informazioni e la mancanza di fecondità. Dal vs 8 al 12 ci sono le operazioni che Dio compie contro questi vanti e ricchezze per portare alla conversione. Al vs 12 Tiro viene chiamata "vergine figlia di Sidone", appellativo buono e compassionevole per questa città. Poi Tiro e Sidone si ritrovano nei viaggi dei profeti, che sono viaggi portatori di salvezza, e anche nei vangeli quando il Signore tocca queste terre e le salva. Quindi alla fine Tiro e Sidone sono molto care al Signore. E' dunque una profezia di purificazione, ma anche di conversione e di speranza.

14-11-00 Is 23, 15-18; 2 Pt 2, 17-22; Lc 8, 40-48 (Francesco)

 

Dal nostro male il Signore tira fuori il bene

- Le parole del Profeta oggi riconfermano le impressioni di ieri: sono ammonizione severa, ma anche apertura alla speranza per questo popolo vicino di Israele. Anch'esso deve subire la necessaria purificazione. Al centro della nostra attenzione oggi c'è anche la figura della donna malata che nel Vangelo chiede a Gesù la salvezza. Questa donna malata è simbolo di tutti noi che dobbiamo pazientare nella nostra infermità e nel nostro peccato prima di incontrare il Signore. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati e, come la donna malata, avviciniamoci al Signore con fede.

- Interessante il modo in cui Dio fa tornare Tiro alla sua prosperità, che poi però Dio stesso prende tutta per i suoi poveri. Non è chiaro se Tiro è consapevole di questa redistribuzione dei beni. Anche nel vangelo di oggi (emorroissa) da Gesù escono tante potenze per i poveri e non sempre con il suo consenso.

- Il testo di oggi ci fa vedere non solo che ad un periodo di prova segue la benevolenza del Signore, ma anche che dal nostro far male il Signore tira fuori il bene. Tiro continua nel suo peccato, ma il Signore fa in modo che il guadagno, frutto della prostituzione, diventi un bene per i suoi piccoli.

- C'è analogia fra la prostituta dimenticata d'Israele e la donna che nessuno è riuscito a guarire del vangelo. E' un invito a non aver paura e ad usare le nostre possibilità senza arrenderci.

- vs 18: "il salario non sarà ammassato", viene dato tutto ai poveri; questo richiama la vedova povera di domenica scorsa che getta tutto nel tesoro del tempio. Il Signore oggi ci dice che proprio tutto deve essere consegnato a lui, anche le cose negative.

- I 70 anni stabiliti per Tiro sono gli stessi stabiliti per l'esilio di Gerusalemme (Ger 25). 70 anni di pazienza prima della riconciliazione con Dio. Quindi la sorte di Tiro è assimilata a quella di Gerusalemme. Il canto della prostituta dimenticata: è invito del profeta a Tiro perchè si faccia ricordare. Il canto di una donna peccatrice può essere solo di supplica, non può vantare meriti. Anche la nostra Messa è un memoriale a Dio perché si ricordi del suo Figlio morto per noi. E' quindi un canto di supplica. Passati i 70 anni, col ritorno alla prosperità, Tiro tornerà alle sue tresche e prostituzioni. Questo è tipico della situazione umana: si pecca, si è perdonati, si ripecca. Ma il Signore trasforma i frutti dell'iniquità in un bene che va a vantaggio di coloro che abitano davanti a Lui. Il vantaggio sarà il mangiare, il bere, il vestirsi; doni molto importanti, che per noi sono l'Eucarestia ed il Battesimo.

15-11-00 Is 24, 1-15; 2 Pt 3, 1-7; Lc 8, 49-56 (Francesco)

Acclamate popoli il nome del Signore Dio d'Israele!

- Oggi facciamo memoria di Sant'Alberto Magno, maestro di San Tommaso, teologo e scienziato che cercò l'armonia fra fede e conoscenza della natura. Quanto ascoltiamo dal Profeta non è estraneo a questo: si parla oggi di luoghi senza nome, con misteriosa vaghezza, quasi a voler dire che lo sguardo del Profeta si estende a tutto l'universo. E' una profezia di rovina e di desolazione, con spiragli di luce e di speranza alla fine del brano. Nel disegno del Signore è necessario che sia abbattuto ogni idolo, che vada in rovina ogni falsa gioia. Chiediamo questo anche per noi.

- Attualissima e profondissima la parola della Scrittura: oggi i tre brani sono anche molto uniti. Il profeta descrive non cose passate o future, ma la realtà di oggi. C'è una comunione nel male che avvolge uomo e natura, che non dipende da ciò che facciamo di mestiere, ma dal fatto che si è abbandonato il comandamento di Dio. Tutto è stato fatto per la gloria di Dio, ma non ci si comporta in modo conseguente. La natura dell'uomo è malata perché ha abbandonato la parola del Signore e il Signore è addolorato perché ci ama. Questo si avverte molto nella seconda parte del testo, quando si parla del cessare dei motivi della gioia; si sente una grande partecipazione al dolore, uno struggimento d'amore, ma non condanna. Tutto ha una direzione che, alla fine, è il giusto (vs 16), che è Gesù.

- vs 3: "perché il Signore ha pronunziato questa parola". E' questa parola che è al centro di tutte tre le letture di oggi. Nella lettera di Pietro è ben chiaro che la parola è il fondamento di tutto, dalla creazione alla salvezza. Tutto viene raccolto in una grande storia che finisce con le parole: "Va, la tua fede ti ha salvato".

- vs 1: la dispersione: richiama da una parte Babele e dall'altra i discepoli che vanno in tutto il mondo a predicare.

- vs 5: si dice che è stata infranta un'alleanza che però è eterna. Noi rompiamo un'alleanza, ma il Signore è fedele. Dopo il diluvio il Signore ha stabilito un'alleanza con tutta la terra: è lui che guarda l'arcobaleno.

- Le parole di oggi sono consuete nella nostra vita: sono le cose che noi chiediamo perché ci riconosciamo in quel popolo. Come dicono spesso i Salmi, se ci mettiamo dalla parte del perseguitato, speriamo che il nemico sia distrutto, anche quel nemico che è in noi stessi, creature ferite dal peccato. La distruzione assoluta serve per uscire dalla ciclicità (notte-mattino), per giungere ad una situazione nuova, definitiva, nel Signore.

- Il vs 2 parla di una parità di condizione a cui giungono tutti gli uomini a causa della rovina che colpisce tutta la terra. Non c'è nessun privilegio, la giustizia di Dio si compie sopra le differenze ed ingiustizie del mondo. Al vs 4 manca in italiano "i luoghi alti", sono le alture che vengono abbattute. C'è un cenno ecologico, l'inquinamento della terra per la violazione delle leggi della natura da parte dell'uomo. Dal vs 7 in poi c'è il tema del cessare dei motivi della gioia (mancanza di vino, canti, strumenti), questo richiama Cana, il mancare del vino, il venir meno della gioia delle nozze a cui Gesù provvede. La città del caos (vs 10) richiama la condizione della terra prima che Dio creasse la luce. Il mondo, la natura, le città, private della luce di Dio, sono in attesa di Lui e del suo intervento. Le porte abbattute (vs 12) non sono un segno negativo: le porte della città di Dio saranno sempre aperte ("non si chiuderanno mai perché non verrà mai notte", dice in Apocalisse). Alla fine i due ultimi versetti parlano dell'acclamazione dei popoli, del loro rallegrarsi per il Signore; poi le genti lontane danno gloria al Dio d'Israele. Tutto quello che sta avvenendo infatti ha questo fine: che le genti lontane giungano alla conoscenza del Dio d'Israele.

16-11-00 Is 24, 16-23; 2 Pt 3, 8-13; Lc 9, 1-10 (Francesco)

Il giusto deve farsi carico del male del mondo

- Le letture oggi convergono intorno all'annuncio della fine di tutte le cose e l'inizio di una realtà nuova che Dio crea per la nostra salvezza. La lettera di Pietro dice che il nostro comportamento deve assencondare questi avvenimenti, anzi deve affrettarli. Il brano del vangelo unisce a questi aspetti l'opera di Gesù e dei suoi discepoli di cura delle malattie che affliggono gli uomini. Chiediamo perdono per i nostri peccati, soprattutto per non essere stati all'altezza del mistero di morte e resurrezione attraverso il quale tutto e tutti debbono passare.

- vs 16: "Guai a me" si può accostare al "giusto" dello stesso versetto ed anche al mistero dell'iniquità. Il contatto con la santità di Dio e l'iniquità del popolo è vissuto dal profeta (vedi cap 6) come una condizione di grande disagio, di perdutezza. Ci vuole timore di Dio per accostarsi a Lui, ma bisogna rimanere sempre partecipi del peccatore. Il Profeta deve farsi carico, come poi Gesù, del mistero dell'iniquità.

- Dopo la prima parte di descrizione dei disastri che succederanno (fino al vs 20), il discorso si sposta verso la gloria del Signore di cui dirà all'ultimo versetto. Il verbo "saranno puniti" di vs 22 può essere anche tradotto come "saranno visitati", quindi sarà una visita, per quanto severa, del Signore, un incontro con lui.

- Nei primi due versetti c'è un contrasto fra il canto di gloria al giusto ed il lamento del profeta. Queste due dimensioni della realtà sono sempre presenti. La gloria del giusto passa attraverso il farsi carico di tutte le sventure e del male del mondo. E' la gloria della croce. C'è un prezzo da pagare se si vuole cantare l'alleluia: col nostro canto non stiamo glorificando un vincitore beato, ma un uomo crocifisso; questo è importante per le nostre liturgie. I segni cosmici di rovina riguardano tutta la terra. C'è una distruzione universale (diluvio) e c'è il terremoto che, insieme al venir meno della luna e del sole, sono segni della morte di Gesù (Mt 24, Mc 13, Lc 21). Al vs 19 nei LXX si parla di una perplessità che colpirà la terra che, per l'angoscia, non saprà più pensare a quello che sta succedendo; questo viene ripreso in Lc 21, 25 (angoscia dei popoli in ansia). E' importante legare i discorsi di Gesù a quanto ci dice il Profeta a proposito di un castigo che è una visita : è una venuta che ha prospettiva di salvezza, con creazione di nuovi cieli e nuova terra. Tutto questo si compie nella passione e morte del Figlio di Dio, quindi il testo va letto in una prospettiva di bene .

17-11-00 Is 25, 1-12; 2 Pt 3, 14-18; Lc 9, 10-17 (Giovanni)

Il Signore preparerà un banchetto di grasse vivande

- Questa sera facciamo memoria di Sant'Elisabetta di Ungheria. L'orazione della messa ci dice che ha fatto della sua vita un grande banchetto di carità per i poveri. Questo è in piena sintonia con le letture di questa sera. E' doveroso sentire la forza dell'invito che ci rivolge il Signore e bisogna sperare che tutti avvertano di essere chiamati. Tutti, infatti, sono invitati, salvo quella parte di ciascuno di noi che crede di essere già a posto. L'atto penitenziale questa sera esige la confessione al Signore delle nostre sicurezze, sazietà, mormorazioni verso chi ci tiene legati. Bisogna riconoscere che la misericordia del Padre opera per la salvezza per tutti.

- vs 8: "Il Signore eliminerà la morte per sempre"; in ebraico il verbo è "inghiottire". Il Signore non evita la morte, ma la assume.

- vs 7: il velo che viene tolto dalla faccia dei popoli è citato nella vicenda di Davide che si coprì il volto in segno di lutto per la morte del figlio Assalonne. Anche quando Elia giunse all'Oreb usò un velo per non vedere la gloria del Signore. E' bello quindi che questo velo sia tolto.

- vs 3: in greco parla di un popolo povero. Potrebbe fare riferimento ad una povertà esaltata ("quando sono debole, è allora che sono forte"). Parallelo a questo canto d'Isaia è il Magnificat. Proprio la povertà umana (5 pani e 2 pesci) viene usata da Dio per rovesciare tutte le situazioni d'impotenza.

- vs 3: "la città ti venera" è il verbo del timore, che è più vicino a quello che dovrebbe essere l'atteggiamento delle genti. Verso la fine, "la mano del Signore si poserà" è "si riposerà", che dà più il senso del riposo sul monte.

- I due banchetti (di Is e di Lc) si possono unire. Anche per i testi dei giorni scorsi l'impressione è che questi banchetti non siano una risposta alla fame della gente, ma per farla venire questa fame. E' un modo di Dio per giudicare il contrasto, è la presenza di popoli sazi. E' un cibo per poveri, nessuno lo vuole, nessuno ha fame. Si potrebbe fare a meno di questo banchetto. Rispunta la figura della vecchia meretrice che va in giro cantando con la chitarra: solo il Signore si ricorda di lei. Sotto il banchetto è nascosto il grande desiderio di Dio di recuperare la comunione con l'uomo, comunione smarrita nel giardino quando l'uomo si è impossessato del frutto proibito. E' come se il banchetto inseguisse la storia per dire: "Hai fame?" e c'è l'offerta di questo banchetto che vorrebbe dire rinuncia alla nostra saziata solitudine. Questo banchetto serve come giudizio di salvezza per le genti. La salvezza è accettare di essere salvati, tornare al giardino, dove Dio nutre, desiderosi di ricevere. Noi possiamo avere altri banchetti, non aver voglia d'andarci, ma il nostro compito è quello di tenerlo sempre preparato. E' il contrario del giudizio cattivo sul nostro fratello; è la nuova etica che è il riconoscimento da parte nostra di avere tutti bisogno di essere salvati.

18-11-00 Is 26, 1-6; Gd 1-7; Lc 9, 18-22 (Francesco)

C'è una città forte per noi

- Il canto di Isaia sulla città forte viene subito dopo la descrizione del banchetto sul monte descritto nel brano letto ieri. La città forte è generata dal banchetto per le nozze del Figlio, il suo sacrificio d'amore. Questo per noi avviene ogni giorno per mezzo dell'eucarestia. Chiediamo al Signore che tutta la storia sia sempre più appoggiata alla comunione con Lui e fra noi. Chiediamo perdono per la fiducia in noi stessi e nei nostri idoli.

- vs 1: la città forte si può collegare alla cittadella di ieri (vs 2). Forse è la stessa città perché la citta forte scaturisce dalla distruzione della città che noi costruiamo col nostro orgoglio dentro e fuori di noi. Solo così può emergere la città che il Signore edifica. E' sempre il tema della Pasqua.

- vs 1: l'espressione "in quel giorno" è tipica d'Isaia, però oggi si può collegare al giorno di Pasqua perchè in Gv 20, 19 dice: "Venuta la sera, in quel giorno"; è proprio il giorno della liberazione. Oggi dice "aprite le porte ed entri il popolo giusto"; questo ricorda Gesù che entra dai discepoli dopo la Pasqua.

- Forse per la città si può dire quello che si è detto per il banchetto: ha una caratteristica (che in italiano risulta un po' confusa). Al vs 2 infatti dice che c'è questa città affinchè noi entriamo in essa, così come per il banchetto veniva detto che era preparato perché tutti ne avessero accesso. E' un'immagine bella per dire che il popolo del Signore fa quello che devono fare tutti gli altri popoli: deve accettare l'invito, godere del banchetto, non pensare mai di potersi sostituire a Dio, né di possederlo. Siamo utili se, per primi, riceviamo. La città è di Dio, il popolo eletto ha solo il compito di accompagnare nell'ingresso alla città gli altri popoli. In Isaia il popolo eletto conosce il peccato, viene unito agli altri popoli per il castigo, ma ha un vantaggio: conosce la misericordia di Dio. C'è il verbo della fiducia (vs 2), perché lui sa che la misericordia di Dio non finisce. Noi siamo sempre chiamati fuori dai nostri sepolcri, siamo sempre nutriti e sostenuti. Appena ci si impossessa di qualche cosa, anche della Scrittura, subito si capisce meno, tutto si impoverisce. Se la città la possediamo, si riempie di crepe, mentre se si accolgono le cose come dono si espande la sapienza e tutto è più ricco e più bello. Questo è proprio un modo nuovo di essere che va tenuto in tutte le vicende della nostra vita: dobbiamo sempre essere in viaggio.

- C'è il pericolo del possesso della città. "Abbiamo" mette in rilievo il possesso, ma in ebraico dice: "C'è una città forte per noi", quindi è un dono. In Ap 21-22 dice che la città scende dal cielo come una sposa. In greco dice "Ecco una città forte", quindi esprime uno stupore molto lontano dal possesso. Anche il termine usato per dire città è diverso da quello usato ieri (cittadella: città fortificata); oggi si tratta di una città abitata. Il "noi" richiama il vs 25, 9: "Ecco il nostro Dio!" Il popolo nuovo che ieri nasceva dal banchetto oggi si rallegra per il dono di questa città. Al vs 11 "salvezza" da San Gerolamo è spinta verso l'interpretazione di una persona, "salvato", che fa da baluardo per questa città. Al vs 2 "Aprite le porte" è un invito all'accoglienza; è una città pronta ad accogliere. In Ap 21, 25 dice che le sue porte non si chiuderanno mai perché non vi sarà più notte. E' una città aperta, in pace, accogliente, fedele (in ebraico "stabilità", in greco "verità"). Questo è molto bello perché la fortezza della città è appoggiata sulla fiducia stabile del Signore. Al vs 3 non dice "il suo animo è saldo", ma "il suo animo è appoggiato al Signore"; per questo può confidare sempre (ancora, ancora). Al vs 4 "la roccia eterna" rimanda alla casa edificata sulla roccia (Mt 7) che è l'ascolto praticante della parola. Al vs 5 "abbattere" è "umiliare". Gli oppressi e i poveri in greco sono i "miti", quindi non c'è un'idea di violenza come nel testo italiano. C'è collegamento con la preghiera che Gesù fa nel vangelo: una vita tutta consegnata, appoggiata al Signore.

20-11-00 Is 26, 7-19; Gd 8-13; Lc 9, 22-27 (Francesco)

Signore, tu hai operato per noi tutte le nostre opere

- Possiamo collegare le parole del profeta Isaia di oggi alla liturgia di ieri (domenica XXXIII T.O.). Le tribolazioni che ieri ci portavano ad un sentimento di pazienza, di attesa e di speranza, oggi viene detto che sono occasioni per cercare il Signore. Ricerca che viene fatta nel tempo propizio del mattino. Anche noi dobbiamo vedere nelle tribolazione un segno del Signore e occasioni per ricercarlo.

- vs 12: nella Vulgata dice "infatti, Signore, tu hai operato per noi tutte le nostre opere"; ricorda San Paolo quando dice che il Signore prepara le opere buone per noi perché le pratichiamo. Al vs 18 "abbiamo partorito vento" indica la mancanza di fecondità dell'uomo della quale bisogna essere consapevoli. Al vs 19 "di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri" indica la grande potenza di Dio che non solo genera, ma ridà la vita ai morti.

- vs 8: "il desiderio" è un termine che indica la concupiscenza, ma in Luca compare con valenza positiva ("ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi"); è una parola quindi che esprime passione e questo redime tutto quello che c'è di negativo in lei. I morti di cui parla negli ultimi versetti sono gli stessi del vs 14: quelli messi a morte dal giudizio di Dio sono poi resuscitati da Dio stesso, che nella Pasqua fa morire e fa vivere.

- vs 17: l'immagine della donna incinta richiama il vangelo di Giovanni quando parla della donna che partorisce e che poi dimentica il suo dolore perché ha dato alla luce un uomo. Il problema è la ricerca del Signore che deve avvenire anche nella tribolazione, cosa difficile che neppure i discepoli sono in grado di accettare. Nel nostro rapporto col Signore noi facciamo fatica a dare alla tribolazione quel senso che il Signore vorrebbe che noi le dessimo.

- vs 10: c'è una grande differenza fra l'empio ed il peccatore: l'empio è colui che non teme Dio, nella tribolazione si indurisce e rinnega il Signore; il peccatore invece teme il Signore, lo cerca (vedi pubblicano) e accoglie il perdono.

- Nella prima parte del testo è molto presente il "giusto": ma è il Signore che rende diritto il suo cammino. Il vero giusto è chi spera nel Signore, lo cerca e lo desidera. La giustizia non è una virtù, ma è la consapevolezza che non l'abbiamo e quindi bisogna cercarla (vs 9). L'empio invece pensa di sapere già e non impara. Il Signore (vs 11) ha un amore geloso per il popolo. Il soggetto delle nostre imprese è il Signore. Per quanto riguarda i "morti" del vs 14, si può notare che non c'è l'articolo, quindi la parola morti si riferisce ai padroni e false divinità del vs 13. I morti che risorgono del vs 19 sono i "tuoi" morti, cioè i figli d'Israele. Al vs 17 nei LXX c'è la parola "amato" ("così siamo divenuti per il tuo amato"). Infine c'è la bella immagine della rugiada luminosa, speranza per coloro che giacciono nella polvere. In conclusione, è un testo molto bello che descrive un incontro felice fra il Signore ed il suo popolo che ricorre a lui nella consapevolezza di non avere altra speranza. Tutto il testo è una preghiera rivolta a Dio perché doni la vita e la gioia a tutti coloro che dalla tribolazione si rivolgono a Lui.

21-11-00 Is 26, 20-27, 1; Gd 14-19; Lc 9, 28-36 (Francesco)

(Casa della Carità)

La preghiera è riposo nel Signore

- Oggi affidiamo alla vergine Maria, che festeggiamo come Maria Bambina presentata al tempio dai suoi genitori, la nostra eucarestia, questa casa, i suoi abitanti, tutte le nostre vite e quelle dei nostri cari E' la prima offerta della vita di Maria al Signore. Chiediamo di poter fare anche noi della nostra vita un sacrificio d'amore. Chiediamo perdono per il nostro egoismo, per aver pensato che qualcuno ci tolga il nostro tempo, che interferisca con la nostra volontà e con i nostri desideri.

- Il vangelo della trasfigurazione è molto bello. Spesso ci sentiamo lontani dal vangelo; oggi c'è scritto che i discepoli erano oppressi dal sonno, cosa che spesso succede anche a noi, pure di fronte a tutta la gloria del Signore. Il vangelo ci dà una specie di apertura del cielo per vedere la bellezza di Gesù. E' come la messa, momento in cui il cielo si rischiara ed il cuore si riscalda per la buona notizia che Dio è Padre buono e ci nutre. Si vede Gesù nello splendore della sua bellezza. Quanto ad Isaia è facile trovare un collegamento con l'invito che Dio rivolge al popolo e la trasfigurazione. C'è un invito a nascondersi per un momento, un attimo: come un attimo è la visione della gloria di Gesù trasfigurato. E' un invito alla preghiera, ed infatti qualche parola d'Isaia viene presa da Gesù quando vuole insegnarci a pregare: chiudi la porta, ecc... La preghiera questa sera ci è presentata come invito a riposare in Lui. Non pregare è un "peccato". C'è l'invito a mettersi al riparo un attimo, per riposare nella preghiera. La parola stanza è usata nella Bibbia per dire di un luogo in cui ci si può riposare e piangere (episodio di Davide che piange per la morte di Assalonne). Oppure come luogo delle nozze (Cantico). Nei Proverbi si dice che il cuore è come una stanza segreta, quindi l'invito è quello di rifugiarsi nel proprio cuore. Anche San Francesco, nella casupola piccola di Rivotorto, con una decina di compagni, diceva che la vera cella è quella del cuore, dove poteva trovare le nozze con Dio. L'invito del popolo a pregare è perché bisogna proteggersi dall'ira di Dio stesso. Dio esce dalla sua dimora, dice il brano, per visitare il suo popolo ed ucciderà con la spada il serpente per salvare tutti.

22-11-00 Is 27, 2-5; Gd 20-25; Lc 9, 37-43 (Francesco)

Dio è il guardiano della sua deliziosa vigna

- I versetti del Libro del Profeta Isaia che leggiamo oggi sono una bellissima descrizione della comunione d'amore del Signore con tutti noi. Ci lasciamo confortare dalle parole che dicono la volontà di Dio di custodirci e di salvarci. Dio non viene come giudice, ma come guardiano della sua deliziosa vigna. Chiediamo perdono per tutte le volte che abbiamo pensato che ci siano alternative di pace fuori da questa vigna.

- vs 4: "Io non sono in collera" dice il Signore, anche se noi siamo una generazione incredula, come dice il vangelo. C'è la grande preziosità di questo guardiano che ama la sua vigna.

- Nella vigna c'è un rischio: decidere chi deve fare guerra ai rovi; non è una vigna tranquilla. L'invito a far pace con Dio è l'invito a smettere di far guerra ai rovi, così come la zizzania non può essere tolta dal grano, perché non bisogna intromettersi nel lavoro di Dio. In Giuda al vs 19 parla di divisioni (separazioni). Il rischio della vigna è l'uscita dalla comunione per fare una battaglia più efficace ai rovi. Bisogna lasciare che l'iniziativa sia di Dio.

- "Io non sono in collera" richiama il dolore che si prova quando si viene rimproverati da chi ci vuole bene. Il male è sempre fatto verso qualcuno che ci ama.

- Anche oggi il brano inizia con "In quel giorno", rimandandoci così al tempo della glorificazione del Messia. La vigna "deliziosa" non ha aspetti negativi se non per la presenza dei rovi. "Delizioso" lo troviamo in Gen 29 per dire di ogni sorta di albero gradito alla vista; poi in Gen 36 la donna vide che l'albero era "desiderabile"; stessa parola nel Salmo 18/19, dove sono i giudizi del Signore ad essere "deliziosi", e nel Cantico dei Cantici 2,3, dove deliziosa è l'ombra cui anelava l'amata. "Io" di vs 3 è molto bello. "Io sono il guardiano" nel senso di colui che preserva, difende, protegge. In ogni istante indica la puntualità del guardiano che le dà da bere, la cura notte e giorno perché non sia punita. Questo sembra quasi un controsenso perché Dio è il punitore e, allo stesso tempo, colui che la cura perchè non sia punita. Al vs 4 letteralmente dice: "Ira io non ne ho"; se c'è ira questa viene tutta indirizzata ai rovi e spine. Nell'ultimo versetto Dio invita la vigna ad accostarsi a lui, alla sua forza, e a fare pace con lui. Questo si può collegare a Giuda 23: "salvateli strappandoli dal fuoco"; quindi, un'azione brusca per salvare questi amici. Il tema principale che emerge è la bellezza e la preziosità della vigna (che siamo noi) per la quale Dio spende le sue energie ed il suo affetto. Bisogna stringersi alla sua protezione e cantare per lui. Oggi poi ricordiamo Santa Cecilia patrona della musica.

23-11-00 Is 27, 6-13; 1 Co 1, 1-9; Lc 9, 43-45 (Giovanni)

L'abbandono da parte di Dio è lo scandalo dell'elezione

- C'è una congiunzione molto felice fra il brano del profeta Isaia e quello del Vangelo: dicono in modo forte la congiunzione fra i due Testamenti e l'efficacia reciproca nell'illuminarsi l'un l'altro. Quanto riportato da Isaia è profezia della Passione. E nel Vangelo, quando Gesù parla della sua passione, nessuno capisce, come accade ancor oggi a noi. La sua Pasqua è il grembo della misericordia di Dio e la sua Passione sono le doglie del parto per un'umanità nuova e riscattata. Siamo sempre più stupiti dalla corrispondenza fra le parole dell'AT e la vita di Gesù. La potenza della Passione è tale che fa di ogni vicenda e di ogni storia il ricordo della Pasqua, per cui non c'è più nessuno che sia escluso dalla speranza. Chiediamo perdono per tutte le volte che abbiamo pensato che certe vicende fossero senza scopo e senza speranza.

- Il Signore tratta diversamente Israele per un suo disegno. Anche oggi viene detto questo: il motivo della prova di Giacobbe è in direzione della salvezza. E' adombrato il mistero di colui che espia per la salvezza di tutti. Ci sarà da questo una fioritura per tutto il mondo.

- La seconda parola del vs 9, "espiata", è interessante: non è chiaro se si riferisce ad altari idolatrici o all'altare legittimo. Nella seconda ipotesi il nuovo tipo di espiazione dell'iniquità comporta la distruzione dell'altare del tempio, di tutto quello che vi è di sacro. L'altare è Gesù e tutto va rivisto in lui.

- vs 11: in greco dice: "donne che venite dalla visione, venite qui"; richiama le donne che tornano dal sepolcro.

- C'è difficoltà nel testo: non si capisce a volte se si parla d'Israele o degli altri popoli. La vita a volte è confusa e così l'espiazione del peccato non è un momento completamente negativo.

- vs 7-8: notare la continuità fra castigo di Dio verso i popoli e castigo di Dio verso l'uomo misterioso che rappresenta Israele. Anche al vs 8 si parla di una punizione e del vento d'oriente (che è causa della rovina degli egiziani che inseguivano Israele). In questa persona collettiva c'è l'espiazione di tutto il male, in essa si sta preparando l'espiazione di tutto il mondo.

- Nell'ultimo versetto si dice che la salvezza è per ciascuno: si sarà riuniti uno ad uno, come dice la parabola della pecorella smarrita.

- In una lettura messianica, si arriva alla conclusione che il popolo d'Israele è trattato molto peggio degli altri popoli (vs 7): l'esperienza che Israele fa è molto più drammatica; nessuna persona ha sentito l'abbandono di Dio come suo Figlio (vs 11: "non avrà pietà chi lo ha cercato, nè chi lo ha fatto ne avrà compassione", lo sbatte fuori, gli toglie il culto, lo butta nell'ateismo, lo riduce a deserto, le donne lo raccoglieranno come rami secchi). L'abbandono da parte di Dio è lo scandalo dell'elezione. La sofferenza del popolo messianico è ad un livello di drammaticità assoluta, perché non è un estraneo, è il Figlio. L'appello che Dio rivolge a suo Figlio (popolo) implica un coraggio tremendo, perché Dio lo consegna alla vicenda comune di tutti i popoli, ma è ancor peggio perché Israele sa di essere l'eletto, il Figlio sa di essere prediletto. Gesù va alla croce come uomo: cosa che il cristiano non capisce. La fede è custodire la parola di Dio come dono contro tutto quello che può capitare. Sicuramente il Signore non ci abbandona, ma la prova è totale, al di là di ogni razionalità. I cristiani non sono una setta, ma sono uomini che gioiscono e patiscono molto più degli altri.

24-11-00 Is 28, 1-6; 1 Co 1, 10-17; Lc 9, 46-48 (Francesco)

 

E' la corona d'umiltà che diventa corona di gloria

- Il colore rosso dei paramenti oggi ci ricorda il sacrificio di 117 martiri avvenuto negli ultimi anni dell'800 e nei primi del 900 in Cocincina (attuale Vietnam), canonizzati nel 1988. Questa importante memoria deve allargare il nostro cuore verso i popoli dell'estremo oriente, così numerosi e così poco toccati dal Vangelo. Don Giuseppe, quando risiedeva a Gerico, faceva leggere durante il pranzo la storia della Cina. Bisogna tenere in grande attenzione la storia di questi popoli lontani. Chiediamo che il Signore, perdonando i nostri peccati, faccia giungere la luce della fede in tutti i cuori.

- "Corona" c'è tre volte. Alla fine dice che il Signore stesso diventerà "corona di gloria". Ha il significato sia di superbia che di maestà, a seconda che sia riferita all'uomo o a Dio. Gesù avrà sì una corona, ma di spine. E' la corona di umiltà che diventa corona di gloria.

- C'è un filo conduttore: la superbia. Isaia ed altri profeti la criticano. Anche nella chiesa di Corinto c'era il problema della superbia, così come nel vangelo ("chi è il più grande"). Il disegno di Dio è utilizzare la deportazione per fare ridiventare "bambino" il suo popolo.

- vs 4: "fiore" nei LXX è "qualcosa che precede", come Giovanni Battista. Qui però non dà spazio al Signore. L'umiltà, più che una virtù, è l'essere dietro (non davanti) al Signore.

- vs 6: "l'assalto alla porta" è un combattimento fra chi pensa che la forza sia regola di giustizia e che la debolezza sia inutile. Ma viene il Signore a rovesciare la situazione.

- La corona sembra essere di fiori. Essendo le persone ubriache, siamo nell'ambito di un banchetto che richiama Sap 2, 6. Bisogna godere dei beni presenti perché intanto tutto finisce. Ci sono gli stessi elementi: vino, fiori, ebbrezza. L'ebbrezza è quella di Noè, sconveniente. C'è un'ebbrezza cattiva, coronarsi di fiori che poi passano, ed un'ebrezza buona, quella di Gesù che dona la vita sulla croce. Il forte di vs 2 è inviato dal Signore, fa gesti delicati (non "getta" a terra con violenza; ma "fa posare a terra"). Al vs 4 nei LXX parla di questo fiore e del cadere della speranza e della gloria su di un monte alto. Al vs 5, "in quel giorno", come spesso citato, è il giorno del Signore. Il tribunale richiama la passione di Gesù. La forza è donata a chi torna dalla battaglia. Sono tutti segni e luoghi che ci fanno ricordare la passione di Gesù.

25-11-00 Is 28, 7-13; 1 Co 1, 17-25; Lc 9, 49-56 (Giovanni)

 

Bisogna andare incontro alla Parola con animo mite ed umile

- C'è un elemento che raccoglie in grande unità tutte le scritture di oggi: qual'è la profondità del timore di Dio che ci guida ogni giorno nel nostro viaggio attraverso le scritture? La possiamo considerare una domanda per la nostra penitenza e conversione. Dobbiamo sempre ricordare che la parola di Dio è piccola e può essere facilmente stravolta. Spesso abbiamo dovuto constatare che neppure leggere la Scrittura è una garanzia, perchè quello che conta è lo spirito con cui andiamo incontro ad essa. L'ubriachezza e la prepotenza caratterizzano il cuore dell'empio. In ciascuno di noi c'è certo qualche traccia di questi sentimenti quando usiamo il vangelo per giudicare gli altri. Per questo chiediamo perdono al Signore.

- Il Signore vuole parlare attraverso il Profeta, però dice cose che diventano motivo di scherno. Le parole ripetute vengono derise, però il Signore quello che vuole dire lo ridice in altro modo attraverso stranieri. Richiama il vangelo di ieri in cui metteva in mezzo un bambino ed anche la lettera ai Corinti che parla della stoltezza della croce.

- Il problema è che queste parole sono rivolte a chi ascolta. In Ger 6,10 si parla di una condizione del cuore favorevole per ascoltare. Ci vuole la "circoncisione del cuore", bisogna ripartire da qui altrimenti non solo non accogliamo la Parola, ma addirittura si genera in noi un qualcosa di opposto a quello che la Parola ci suggerisce.

- vs 9: la Vulgata dice "A chi farà comprendere l'ascolto?", come San Paolo dice "Chi crederà alla nostra predicazione?"

- "Precetto su precetto" cosa vuol dire? Mette in luce la deviazione dalla parola di Dio che viene presa in senso legale e non con cuore aperto. L'osservanza legale li porta ad un'autogiustificazione. Nei LXX è "tribolazione su tribolazione, speranza su speranza", che significa accusare la Parola di Dio di essere una favola, un qualcosa che non si realizza mai.

- Il brano continua il discorso di ieri sulla superbia del popolo e dei sacerdoti; superbia che si esprime nel dare per scontato il proprio ruolo ed il non aver bisogno. A questo Dio sfugge, parlerà con "lingua straniera", che è il linguaggio della croce.

- Sembra ci sia un dramma che si allarga: gli ubriachi pensano di essere ragionatori e trovano la Parola di Dio una parola da bambini e da ubriachi. Cioè Dio sembra stare al gioco: beffardo con i beffardi (Salmo 17), per cui se si smarrisce il timore di Dio si arriva sempre più giù. Al vs 12 Dio fa riemergere per un istante il significato vero: l'invito a noi, affaticati ed oppressi, ad accogliere il suo giogo per riposare. Questo è lo scopo della sua Parola. Per questo la responsabilità dell'ascolto è enorme. La Parola ha tutto in sè, ma determinante è il modo in cui noi ci incontriamo con essa. La Parola di Dio si manifesta a ciascuno in un incontro nuziale, non è una parola qualunque. Bisogna andare incontro alla Parola con animo umile e mite, per apprenderne anche il "respiro". In questo senso quello che dice la nostra Regola è tutto giusto per prepararsi all'incontro con la vera Regola che è, appunto , la Parola.

27-11-00 Is 28, 14-22; 1 Co 1, 26-31; Lc 9, 57-62 (Francesco)

 

Chi crede non vacillerà

- La liturgia di ieri (Cristo Re) ci ha presentato il dono del regno del Signore, regno di mansuetudine e di carità. Di questo regno oggi viene ricordata la pietra angolare, che sta alla base di questo edificio spirituale. Le altre pietre, dice Paolo nella lettera, sono state chiamate non per i loro meriti, ma per la loro piccolezza. Ci compiaciamo di essere persone da poco, senza spaventarci nel riconoscere la nostra indegnità. E con serena fiducia nella roccia su cui appoggiamo, confessiamo tutti i nostri peccati.

- vs 19: "Solo il terrore farà capire il discorso". E' questo "terrore", che può significare anche "agitazione", che fa capire la sinergia che c'è fra situazione di prova e ricezione della parola di Dio. E' la prova che fa capire il discorso, dove manca la prova c'è impermeabilità alla Parola. E' per questo che il Signore castiga, perché ascoltando la Parola si possa poi essere salvati.

- vs 19: rispetto ai versetti precedenti, che descrivono la rovina (grandine, acqua, flagelli), al vs 19 sembra di capire che ogni mattina, giorno e notte si viene presi dal Signore. E' quello che si trova anche nel Salmo 17,17: "Stese la mano dall'alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque". Ogni mattina il Signore ci riprende dalle nostre paure e ci salva. Nei LXX lo stesso verbo "essere preso" viene usato per le nozze di Rut e anche per quelle di Rebecca, quindi l'intrusione forte del Signore nella nostra vita non è solo violenta, ma è anche un atto d'amore. La Regola dice che siamo afferrati da Cristo Gesù, potati e lavorati.

- vs 15: descrive una situazione in un certo senso parallela alla vita cristiana. L'alleanza con la morte e gli inferi è un riconoscimento della propria impotenza; ma questo porta verso il male. La differenza è che nella vita cristiana non si sceglie, ma si è scelti (chiamati, Paolo), mentre il male viene scelto. Al vs 15 nei LXX dice: "Ci siamo fatti della menzogna speranza"; questa è una cosa molto pericolosa.

- A chi è rivolta la parola di oggi? Agli uomini arroganti (beffardi, derisori); richiama gli "empi" del Salmo 1 che sono sicuri di sè, si fanno beffe del giusto; sono coloro che deridono la debolezza di Gesù sotto la croce. I LXX li dicono "tribolati" e questo è importante perché forse loro sono così a causa della loro tribolazione. Il comportamento davanti alla tribolazione può essere molto diverso: dei due ladroni crocifissi con Gesù solo uno è beffardo. Nel testo di oggi la tribolazione porta gli uomini ad essere beffardi e ad allearsi con la morte. In Sapienza 1, 16 gli empi si alleano con la morte a causa della loro vita tribolata e deludente. Questo succede spesso all'animo umano che, invece di reagire contro la morte, la cerca per porre fine ad una vita insopportabile. Gesù nel vangelo dice: "lasciate che i morti seppelliscano i loro morti", a dire che ci sono dei vivi che è come fossero morti perché alleati con la morte. C'è un clima di morte che entra nel cuore dell'uomo, ma a tutto questo si oppone l'opera di Dio (vs 18) che cancella l'alleanza con la morte. Anche l'immagine della pietra angolare (pietra viva) è legata alla vittoria sulla morte. In conclusione, c'è una situazione tribolata dell'uomo che, scoraggiato, si può alleare con la morte e c'è l'opera di Dio che, attraverso Cristo, vuole spezzare quest'alleanza. "Tu seguimi!": il Signore ci chiama ad una vita nuova.

28-11-00 Is 28, 23-29; 1 Co 2, 1-10; Lc 10, 1-12 (Francesco)

 

Delicatezza, attenzione, buon senso

- Al centro della domanda di aiuto che oggi rivolgiamo al Signore c'è il dono della sapienza. La sapienza che chiediamo non è una capacità intellettuale, ma la grazia per affrontare la nostra vita con una speranza nuova. E' una sapienza che fa tutt'uno con la misericordia. Incominciamo quindi chiedendo perdono per tutte le volte che siamo stati poco attenti, rozzi e persino violenti con le persone che incontriamo ogni giorno.

- Il Signore sa molto bene come si lavora la terra. C'è un modo diverso di fare in ogni lavoro, per raccogliere senza che nulla vada distrutto. E' molto bello se si pensa che questo comportamento è applicato dal Signore a tutti i popoli ed a ciascuno di noi. La Regola dice che dobbiamo essere lavorati e potati, non c'è nessuna prova superiore alle nostre forze, dobbiamo capire che tutto fa parte di un disegno buono del Signore.

- Ci sono due elementi che fanno pensare che il lavoro di cui si parla sia la Pasqua. Al vs 26 "la disciplina rispetto al giudizio gliela insegna il suo Dio", ed il bastone con cui si lavora l'aneto che è un termine che richiama la croce. L'iniquità degli uomini, per essere "lavorata", richiede come strumento la croce.

- vs 23: c'è gran ricchezza di termini per indicare l'ascolto (porgete l'orecchio, ascoltate la mia voce, fate attenzione, sentite le mie parole), così come molti termini indicano i tipi di triturazione per i diversi semi; è un invito a stare molto attenti.

- L'inizio è un invito all'ascolto della voce del Signore e la fine dice che il Signore è grande nel consiglio e nella sapienza. Il Signore ci vuole dispensare la sua sapienza ogni giorno. E' un'aratura che ha anche aspetti dolorosi, un lavoro per il quale il Signore agisce in profondità nella nostra anima; ma questo lo fa perché si possa seminare. Il Signore come aratore e come seminatore ci rimanda al vangelo, dove però Gesù riprende solo l'immagine del seminatore per indicare uno stile nuovo, di grande delicatezza. Anche le immagini di bacchetta e verga del vs 27 (in greco, verga e scettro), in realtà sono la verga con cui Mosè agisce nelle piaghe d'Egitto, che assume il significato profetico della croce del Signore, e lo scettro che troviamo nel Salmo 2: "Il figlio pascerà le genti con scettro di ferro". E' un segno forte, ma il verbo pascere richiama più l'idea di un pastore che di un re violento. Sono gli strumenti che Dio assegna al suo inviato per esercitare la giustizia. Il vs 28, "Certo non lo si schiaccia senza fine", nella versione dei LXX è "Io non mi adirerò con voi in eterno, né la voce della mia amarezza vi calpesterà". L'ultimo versetto dice: "Anche questo viene dal Signore degli eserciti"; questa sapienza delicata e attenta alle diversità dei frutti della terra, ci dice la necessità di entrare nella conoscenza di chi ci sta davanti per poter trattare nel modo migliore ogni uomo. Il Signore agisce con grandezza di consiglio e di sapienza (nei LXX, "consolazione") perché l'opera di Dio deve essere di conforto. Il ebraico questa parola indica la capacità di fare scelte che abbiano un effetto concreto; praticamente vuol dire buon senso, cioè il piegarsi alle necessità concrete delle persone, il voler trovare per tutti la via giusta. Chiediamo anche per noi la grazia di questo buon senso pieno di delicatezza e di compassione per il prossimo.

29-11-00 Is 29, 1-8; 1 Co 2, 10-16; Lc 10, 12-16 (Giovanni)

Il male non può vincere: siamo nelle mani di Dio

- Le letture di oggi ci danno la grande opportunità di vivere il tempo di preparazione al Natale con la serena certezza che siamo tutti nelle mani di Dio, e che lo è anche il cammino di tutte le nazioni. L'immagine del sonno e dei sogni è molto utile. Abbiamo dormito e sognato perchè la realtà vera è troppo grande per noi. Ma davanti al mistero di Dio, che è Gesù, ci svegliamo da tutte le nostre alienazioni e, stupiti, vediamo che ogni nostro cattivo pensiero era un incubo che nostro Padre fa svanire. Spesso, invece, ci prendiamo troppo sul serio e prendiamo troppo sul serio le cose che accadono. Il discepolo del Signore è un uomo mite e disincantato, sereno per la certezza dell'amore del Padre per tutti e per tutto.

- I primi versetti mostrano l'amore appassionato del Signore per Gerusalemme. Un amore sofferto, che richiama il pianto di Gesù su Gerusalemme. Ogni parola è accorata e preoccupata di trovare il modo di conquistarla, come aveva fatto Davide. L'opera forte del Signore non è mai per distruggere, ma per liberare.

- C'è all'inizio un accenno al culto di cui non si dà un giudizio negativo. Si capisce però che è insufficente. Per andare al di là, per avere un incontro col Signore, bisogna passare da un crogiuolo.

- La fine del brano di oggi ci dice che le nazioni che marciano contro Sion rimangono "insaziate" perché Sion è la città Santa e quindi, al di là delle distruzioni materiali, rimane al di sopra di tutto. Qualunque cosa succeda, il male non può vincere, non può sfamarsi. E' un grande invito alla speranza.

- Gerusalemme è ciascuno di noi, è una preda ambita fra due contendenti: il Signore ed i nemici che l'assediano. C'è una lotta diretta fra i due, ma alla fine è il Signore che prende la Sposa. In Giobbe 19 ci sono immagini molto simili a quelle di oggi, di assedio e di lotta; anche lì alla fine c'è il vendicatore che si erge sulla polvere.

- La tesi del brano è che anche oggi Gerusalemme è imprendibile perché è la città di Dio. Chi l'assedia? Sembra siano i popoli, in realtà è con Dio che Gerusalemme ha la sua relazione fondamentale. Così è per Gesù: è nelle mani di chi? di Giuda, di Ponzio Pilato? No: di Dio. Ma mentre Gesù è senza peccato, Gerusalemme è peccatrice; quando sembra debba essere punita da altri, Dio dice "E' mia". Quindi Gerusalemme oggi, più che a Gesù, si può accostare al ladrone crocifisso vicino a Lui. Nel vangelo c'è il confronto fra le città pagane (Tiro e Sidone) e le città visitate da Dio; queste ultime hanno una responsabilità enorme. Noi, visitati, sappiamo che tutta la nostra storia è legata al nostro rapporto con Dio. Entriamo spesso nell'alienazione mondana di trovare colpe, cause e rimedi alle vicende importanti della nostra vita: tutto, invece, è determinato dalla nostra relazione con Dio. Per i non visitati è diverso, ma per noi tutto quanto accade, se non lo viviamo in Dio, è alienazione. I visitati da Dio patiscono come gli altri, ma sanno che i conti da mettere a posto sono quelli con Dio. Tutti sembriamo patire la stessa sorte, ma noi sappiamo perché. Gesù muore innocente, noi perché siamo peccatori; ma possiamo dirgli: "ricordati di noi". Facendo questo noi possiamo rivelare Dio agli altri. Tutta la nostra vita quindi va spiegata attraverso il nostro rapporto con Dio. Per esempio nel caso del martirio: un cristiano come un altro si può lamentare e protestare, ma dovrebbe accettare e rendere grazie per quello che gli sta capitando. In realtà spesso ci lamentiamo di quello di cui dovremmo ringraziare e siamo pessimi consiglieri anche verso altri. In Gesù c'è una lettura nuova che rende positiva la nostra vita in ogni caso: basta ritrovare il mistero del Signore. Bisognerebbe sempre giocare la parte del buon ladrone.

30-11-00 Is 29, 9-14; Rm 10, 9-18; Mt 4, 18-22 (Francesco)

 

La vita di ogni uomo è un mistero

- E' importante oggi che la Regola ci ricordi i quattro Santi ed in modo particolare Sant'Ignazio. La comunione fra i vescovi e le chiese si addice alla festa di Sant'Andrea. Preghiamo per la comunione fra Oriente ed Occidente, per l'unità delle chiese, per lo scambio delle ricchezze reciproche. Quando si ricorda un'apostolo, la liturgia mette in evidenza la grazia di coloro che portano lieti annunci ed estraggono gli uomini dal mare della solitudine. Tutto questo è in accordo col brano del Profeta Isaia. Ringraziamo il Signore e chiediamo perdono per la nostra trascuratezza e poca buona volontà nei confronti della sua Parola.

- L'accostamento particolare dei testi di oggi è bellissimo: noi siamo spesso in una situazione di torpore, ma il Signore vince ogni nostra lontananza e la prontezza dei quattro fratelli che seguono Gesù é per noi molto consolante.

- Anche la lettera ai Romani è preziosa quando ribadisce che è il cuore dell'uomo il filtro ed il mezzo per conoscere Gesù. Nel brano d'Isaia il Signore accusa il popolo di mancare proprio di questo cuore.

- Come nel vangelo è importante lasciare tutto per seguire Gesù, cosi negli ultimi versetti del brano d'Isaia è chiaro che bisogna lasciare la sapienza e l'intelligenza per fare spazio al Signore.

- Lo spirito di torpore di cui parla il vs 10 è piuttosto enigmatico: si tratta comunque di una cosa positiva perché viene dal Signore. In ebraico viene usato lo stesso termine che dice del sonno d'Adamo quando gli fu tolta la costola da cui ebbe origine Eva; nei LXX invece è la compunzione del cuore che i discepoli avvertono dopo la Pentecoste. E' una situazione di fronte alla quale è necessaria la Pasqua, perché solo l'uomo nuovo può intenderla.

- Delle due risposte ai vs 11 e 12 sull'impssibilità di leggere il libro ("non posso perché è sigillato" e "non so leggere"), è più bella la seconda che dà la colpa non al libro, ma alla nostra piccolezza.

- Il testo di oggi si può leggere in continuità col testo di ieri in cui le nazioni assediavano Gerusalemme come in un sogno. Ieri c'era inconsistenza dei progetti contro Gerusalemme, oggi gli occhi chiusi, l'ebbrezza ed il torpore sono condizioni in cui Dio pone volutamente i nemici di Gerusalemme che così non possono capire la realtà. San Paolo cita questo versetto del torpore riferendolo a quella parte d'Israele a cui è stato indurito il cuore finché tutte le genti non verranno convertite. L'indurimento del cuore poi viene esteso a tutto Israele e forse anche noi siamo dentro quest'operazione di torpore e di intorpidimento. Il libro che non si riesce a leggere è sicuramente la Bibbia, ma anche tutto il libro della vita di ogni uomo che è sempre un mistero difficile, spesso impossibile, da capire. Questa situazione quindi non è solo per i nemici del popolo del Signore, ma anche per tutti noi. Il testo profetico è dunque una grande domanda e attesa di Colui che deve venire ad aprirci il libro. Attraverso Gesù i sigilli saranno aperti e noi potremo ascoltare, aprire il cuore, ricevere la salvezza. La chiamata dei quattro fratelli (vangelo) indica che gli uomini possono essere condotti fuori dalla condizione cattiva. E' una sapienza nuova, quella vera, che ieri l'Apostolo ci diceva essere lo spirito di Cristo.

1-12-00 Is 29, 15-24; 1 Co 3, 1-9; Lc 10, 17-24 (Francesco)

 

Quando ci si nasconde, si dubita della bontà di Dio

- Gesù nel vangelo di oggi dice che sono beati gli occhi che vedono cose che molti re avrebbero desiderato vedere. A noi, nel mistero dell'eucarestia, viene concesso di vedere ogni giorno Gesù. Siamo qui per ringraziare Dio di questo regalo e per chiedere perdono per esserci lasciati distrarre dalle difficoltà della vita.

- Il vs 19 in greco dice che gli umili e i poveri aggiungeranno letizia nel Signore. E' uno dei temi fondamentali del Profeta. Al vs 15 si parla di una profondità del cuore che porta a nascondersi al Singore. Forse non è solo un meschino ritrarsi, ma una ricerca di sapienza che però allontana da Dio.

- Il testo è molto legato al vangelo dove le cose vengono nascoste a sapienti ed intelligenti e rivelate ai piccoli. Consola molto il vs 16: l'opera non può dire del suo artefice "non capisce". Dio è il nostro artefice.

- vs 15: "guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani"; richiama Adamo ed Eva che, dopo il peccato, vogliono sottrarsi alla vista di Dio. Questo è il principio di tutti i peccati per cui si potrebbe forse dire: beati quelli che restano alla vista del Signore.

- vs 23: santificare il nome del Signore vedendo la sua opera; si trova spesso nella vita di Gesù. Anche la speranza per i brontoloni (vs 24) la ritroviamo nel vangelo dove chi brontola è sempre visto in una prospettiva di salvezza.

- Per quelli che vogliono sottrarsi alla vista del Signore ("i profondi dal Signore", secondo Gerolamo; "quelli che in profondità fanno consigli", in greco) sono in una situazione di profondità (sono giù) e questo diventa per loro occasione di nascondimento. Tutto il contrario di "Dal profondo a te grido o Signore". Santa Teresa nelle sue cadute fa prestissimo a dire tutto al Signore per poter tornare subito fra le sue braccia; invece quando ci si nasconde si dubita della bontà di Dio e ci si autocondanna. E' inevitabile il collegamento col vangelo, dove tutti tornano contenti a raccontare e la loro gioia è dovuta al fatto che i loro nomi sono scritti nel libro. Cos'è che libera l'uomo dalla condizione di tenebre? E' l'opera di Dio che apre occhi ed orecchi e consente di capire il libro. E' per quest'opera che possiamo uscire dalla nostra condizione di vergogna, di spirito traviato, o di brontolio. Apprenderemo la sapienza, impareremo la lezione e questo avviene con Gesù. Oggi il Signore ci fa il regalo bellissimo di una vita da Lui visitata attraverso questo libro aperto; così ci possiamo unire al suo canto di esultanza per il Padre.

2-12-00 Is 30, 1-18; 1 Co 3, 10-23; Lc 10, 25-28 (Francesco)

 

Nell'abbandono confidente sta la nostra forza

- La liturgia di ieri ci portava come messaggio l'invito del Signore ad un abbandono confidente in Lui per la consapevolezza di essere da Lui amati perché piccoli. Oggi c'è un invito, in tono di rimprovero, a non porre la nostra fiducia in alleanze che ci possono sembrare sicure, ma a porre la nostra speranza solo in Lui. Anche l'Apostolo invita a non confidare nell'uomo, ma sempre e solo nel Signore. Chiediamo quindi perdono per ogni nostra oscillazione e confidenza in realtà che non possono diventare fondamento sicuro della nostra salvezza.

- Per l'abbandono confidente di cui si parla al vs 15, viene usato in ebraico un termine che indica un atteggiamento di silenzio sia esteriore che interiore; un rifiuto a moltiplicare le parole. L'asta di vs 17 è il palo del serpente di bronzo di Mosè. Nel crescere della paura finché rimane uno solo si vede molto bene la passione di Gesù.

- Il rifiuto a convertirsi, il cercare la salvezza con le proprie mani, richiama il cap 13 di Luca (invito alla conversione).

- vs 18: il Signore che aspetta, rimane ancora; è un'attesa per farci grazia. Poi dice che si innalza per avere pietà: questo è il suo modo di essere giusto. La giustizia di Dio non passa attraverso un giudizio, ma attraverso la grazia.

- vs 18: "beati coloro che sperano in Lui" in ebraico è "che attendono Lui". Richiama la lettera di Giacomo: bisogna avere pazienza per attendere la misericordia del Signore.

- Le tre letture sono collegate per il vs 15: conversione, riposo e silenzio, in cui sta la forza. Il comandamento del vangelo è la conversione; è un grande ritorno e affidamento a Lui. Non è solo un atteggiamento di salvezza individuale, ma di tutto un popolo che non può trovare un suo ruolo di relazione con gli altri popoli se non si abbandona alla Parola di Dio.

- Per i primi 7 versetti si parla delle speranze riposte nell'Egitto, dopo aver detto al vs 1 che le alleanze non sono fondate nello Spirito del Signore. Raab significa "superbia" ed è singolare che il popolo confidi nell'Egitto che è proprio il paese in cui è stato per tanto tempo prigioniero. Al vs 9 si parla di figli che non vogliono ascoltare la Torà. Al vs 10 si invitano i veggenti a non avere visioni ed i profeti a non profetare, ma a dire cose piacevoli (senza peli, cioè liscie); però il popolo è consapevole che la profezia giusta predice la rovina. Possiamo unire questo testo a quello di Paolo: confidare nel Signore e non negli uomini. La vita viene riposta nel comandamento dell'amore, viene appoggiata alla volontà del Signore ed ai suoi precetti. E' importante solo il dono di Dio che si identifica con la parola rivelata (la Torà), che è il fondamento della sicurezza del profeta.

4-12-00 Is 30, 19-26; 1 Co 4, 1-5; Lc 10, 29-37 (Giovanni)

Questa è la strada

- L'abbandono umile e totale e l'amore senza limiti di cui ci ha detto ora la Regola aiutano nella lettura del brano del profeta Isaia. L'idolo è una figura importante nella nostra vita, facile anche da identificare: è appunto tutto quello che impedisce l'abbandono umile e totale. In Dio, si può fare tutto, ma guai se qualcosa prende il sopravvento. Dobbiamo chiedere incessantemente nella preghiera di essere liberati dagli idoli. L'ingresso nella liturgia è un momento molto opportuno per farlo. Chiediamo dunque al Signore di liberarci da tutto quello che ci impedisce un affetto semplice e pieno per Lui e per tutti.

- In greco è molto sottolineato il pianto di Gerusalemme che, consapevole del suo peccato, chiede misericordia. Il Signore subito esaudisce, ma dapprima con pane d'afflizione ed acqua. Più tardi ci sarà grande fecondità, il Signore curerà e guarirà le lividure prodotte dalle sue percosse. E' la Pasqua: prima morte, poi resurrezione.

- I primi versetti richiamano per tanti dettagli la Maddalena nell'incontro con Gesù al sepolcro (il pianto, l'afflizione e le parole di Gesù).

- Anche il brano evangelico aiuta: lì la sofferenza e la tribolazione sono così grandi che chi soffre non ha più la forza di gridare; l'uomo è a terra ed aspetta in un totale bisogno. E verrà soccorso; mentre in Isaia bisogna gridare.

- Sembra che ci sia compresenza fra tribolazione e maestro che salva la vita. Bello al vs 21 "i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te"; è una voce che ti guida, ma non si impone e ti segue quasi sommessa.

- Bella l'espressione "questa è la strada", pronunciata dal maestro. E' in linea con il dono fatto al popolo di Dio del libro aperto, che permette al popolo di vivere l'afflizione con Dio. Ieri insieme ai segni di distruzione e rovina abbiamo visto che il Signore dà ai suoi la possibilità di viverli con speranza.

- Le prime parole richiamano Elia che, nel secondo libro dei Re, uccide tutti gli idoli ed i profeti, scappa nel deserto, implora di morire, ma viene soccorso da un angelo che gli porta pane ed acqua che gli consentiranno di arrivare sul monte Oreb dove incontrerà il Signore. Oggi il popolo deve fare un cammino verso il Signore ed il pane e l'acqua (vs 20) serviranno proprio per questo.

- Ci sono passaggi successivi. All'inizio il popolo piange da solo, poi il pianto solitario diventa un pane d'afflizione ricevuto da Dio. Questa è la misericordia di Dio per salvarci dall'idolo del dolore. Infatti se un'afflizione è solitaria diventa idolo. Noi dobbiamo ricevere la nostra vita solo da Dio anche quando siamo nella prova. Quando la parola grida da dietro "questa è la strada!", capiamo che possiamo buttare via l'idolo (vs 22) e scopriamo che tutto quello che si vive nella solitudine del cuore è idolo. La misericordia di Dio è tale che Lui entra nel nostro gioco solitario ed idolatrico. Nel brano di oggi tutte due le volte che Isaia cita l'idolo ci dice che è ricoperto di cose preziose (argento ed oro). Solo quando tutto viene ricevuto da Dio e Lui torna ad essere "il Maestro", allora tutto quello che prima ci occupava e preoccupava, anche se molto prezioso, svanisce. L'ultima parte del brano, dopo averci strappato dai fantasmi degli idoli, è molto concreta; si parla di agricoltura e di animali. Tutto si riempie di significato, la solitudine e l'idolatria sono alienazione, mentre Dio ci riporta dentro la realtà del mondo laborioso, concreto, bello. Se c'è Lui tutto è diverso, nella parabola di oggi il povero era a terra mezzo morto, ma il sopraggiungere del Samaritano misericordioso cambia completamente la sua storia. E' il contrasto fra solitudine e comunione con Dio.

5-12-00 Is 30, 27-33; 1 Co 4, 6-13; Lc 10, 38-42 (Francesco)

 

E' il Signore che combatte, noi dobbiamo solo cantare

- La Chiesa di Gerusalemme ricorda oggi san Saba abate, il cui monastero è noto a molti di noi. E' occasione preziosa per ricordare nella nostra preghiera la terra del Signore, in questi tempi così insanguinata. Le parole del Profeta ci dicono della battaglia che il Signore combatte per il suo popolo. Chiediamo che il Signore ci illumini a cogliere il suo messaggio di speranza e di amore. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, particolarmente per quelli contro la carità.

- E' chiaro che è il Signore, Lui solo, che combatte direttamente. Il popolo deve solo alzare un canto ed avere la gioia nel cuore (vs 28). La frase di vs 29 sembra dire che bisogna cantare sia mentre il Signore combatte, sia dopo, quando ha vinto. In 2Cr 20 c'è un episodio simile; c'è anche un legame col vangelo: "l'unica cosa che conta" di Maria. Questo canto è un ringraziamento ancor prima di vedere la vittoria e poi, dopo, nel contemplare quanto il Signore ha fatto.

- La Parola del Signore gioca un ruolo importante. Già all'inizio si parla delle labbra e della lingua del Signore, la cui parola è un fuoco divorante. Il suo furore è nella lotta contro il male. Poi al vs 30 c'è la voce del Signore ed il canto del popolo che è il modo di accogliere la Parola del Signore.

- Quest'apocalisse tremenda, che richiama il crollo delle mura di Gerico, è tutta dovuta al nome di Dio. Il modo con cui Dio mette in pratica questa profezia è indicato nel vangelo: la parola penetra come spada a doppio taglio e separa tutto quello che non vale perché rimanga la "parte migliore". Il rogo, di cui si parla alla fine, è per purificare.

- L'ira ardente ed il fuoco divorante servono per annientare il nemico per la salvezza del popolo, ma anche per purificarlo dal male per la salvezza universale.

- vs 28: le briglie che il Signore mette alle mascelle dei popoli servono per governare, guidare questi popoli quindi, in definitiva, per salvare.

- vs 27:;San Gerolamo traduce: "Ecco il nome del Signore viene da lontano, ardente nel suo furore e pesante da portare". Si intravede la croce di Gesù.

- Nell'ultimo versetto l'immagine del fuoco e della legna ricordano il fuoco della gelosia di Dio, la ricerca appassionata che il Signore fa di noi. In Ger 5, 14 si parla del popolo come legna per il fuoco del Signore.

- Si può notare la presenza forte del Signore, il suo farsi vicino. Questo testo quindi ben si addice all'Avvento. E' una venuta che causa distruzione (ira ardente), ma noi dobbiamo leggerla alla luce del NT ed accogliere gli aspetti di ira e distruzione in direzione del sacrificio sulla croce di Gesù. Il vs 27 "lingua come un fuoco divorante" indica la qualità bruciante della Parola del Signore. Nei LXX anziché "gravoso" c'è "gloria" sulle sue labbra. Così "soffio dello Spirito" (vs 28) viene descritto come "torrente che inonda". Il canto (vs 29) è espressione potente della parola liturgica per le battaglie che Dio combatte. Il braccio del Signore lo ritroveremo all'inizio del IV canto del servo. Al vs 31 c'è "la voce come verga che percuoterà l'empio" ed al vs 32 "il bastone punitivo che sarà accompagnato da timpani e cetre" (i LXX dicono "con flauti e cetre lo combatteranno"). Infine il Tofet (vs 33) pronto per il re: la vittima non è più un animale, ma il re, con riferimento alla passione di Gesù. Il nemico è distrutto; è il male che è in noi, il principe di questo mondo, che deve essere distrutto perché l'uomo sia liberato.

6-12-00 Is 31, 1-9; 1 Co 4, 14-21; Lc 11, 1-4 (Giovanni)

 

La preghiera è un grande atto di forza dei deboli (che rimangono deboli)

- Tutte le parole del Profeta possiamo oggi riempirle della persona di Gesù e quindi accettarle con pace, sapendo che l'alleanza con Dio in Gesù è salvezza per tutte le genti. E sappiamo anche che possiamo dire "Padre" e che, pur essendo cattivi cristiani, possiamo riposare nella fede, sicuri della misericordia di Dio. Chiediamo perdono per una vita troppo solitaria e quindi violenta. Chiediamo che ci venga data la grande grazia di una preghiera, di un grido che ci riconsegni alla infinita carità del nostro Padre.

- vs 1: "Speranza nei cavalli" richiama alcuni Salmi che esortano a non cercare aiuto fuori del Signore e a non confidare nella potenza dell'uomo. Bella l'immagine dei pulcini (vs 5) dove si vede la grande tenerezza del Signore.

- vs 3: si collega a "non ci indurre in tentazione". Il considerare il nemico un dio e non un uomo è la più grande tentazione alla quale siamo esposti. Non dobbiamo crearci falsi idoli. In Ebrei dice che la Parola è spada che mette in luce i pensieri di ogni cuore. Se si accetta questa operazione che la spada della Parola fa nel nostro intimo, saremo purificati e potremo tornare al Signore.

- Ci sono due riferimenti pasquali nel testo di oggi. Al vs 4 il leone che ruggisce (nei LXX "sono pieni i monti della sua voce"), si parla di una discesa del Signore e sembra che i nemici vengano sconfitti dalla sua voce. Al vs 5 "la risparmierà" è il verbo della pasqua : "la salterà, passerà avanti".

- vs 4: questo leone che ruggisce richiama l'immagine di Gesù quando viene aggredito e dice che non ha perso nessuno di quelli che il Padre gli aveva dato (Gv).

- Affascinante l'immagine del leone forte ma esposto. Non si lascia intimidire dalla schiera dei pastori. E' immagine del Signore che, sconfitto, trionferà. Così anche il segno protettivo dell'uccello che difende i suoi piccoli ci porta a Gerusalemme ed alla passione di Gesù. Il problema è aperto. L'ultima parte del testo ci ricorda che questa faccenda da Gerusalemme deve viaggiare fino ai confini della terra. Sarà la potenza della predicazione a fare questo. Tutti i popoli della terra dovranno soccombere. E' una vittoria sicura. Il testo di Isaia storicizza il "Padre nostro" che troviamo oggi nel vangelo. Rimangono tutti gli elementi dell'equivocità e della piccolezza, ma con la certezza della vittoria. E' il Figlio che fa sua questa storia e ci consegna la giornata di oggi. Gesù è forte per la sua debolezza. La preghiera è un grande atto di forza dei deboli, che però rimangono tali anche dopo la preghiera. Il testo italiano a volte dà l'impressione di un Dio che vada giù pesante; il vs 32 di ieri diceva: "Ogni colpo del bastone punitivo che il Signore le farà piombare addosso, sarà accompagnato con timpani e cetre", ma non c'è il verbo accompagnare per cui il colpo di bastone sarà il canto di Dio. Gli Ebrei sanno che è la voce del Signore che è potente e confidano in quella voce. La voce si materializza in Cristo, che è incarnazione della parola. La voce è debole, come è debole Cristo. Non è che nell'AT ci sia un Dio più robusto e mondano; Dio è sconfitto, ma nella debolezza vince. Dio è umanamente fragile, ma in questa fragilità c'è la sua vittoria. Il leone morirà per i tanti pastori, ma questo è il miracolo che celebriamo nell'Eucarestia. Noi confidiamo nei bastoni, ma la vittoria è nella croce. "Adesso ci penso io!" bisognerebbe trasformarlo non in pugni in testa, ma nella partecipazione (nell'equipararsi) alla passione del Signore.

7-12-00 Is 32, 1-8; 1 Co 5, 1-13; Lc 11, 5-13 (Francesco)

 

Un re regnerà secondo giustizia

- La regola ci ha parlato di una speranza: la speranza nella potenza misteriosa della Parola, accolta nella preghiera, nel silenzio e nel lavoro. E oggi il Profeta ci parla della sapienza divina, che non è una virtù di Dio, ma una persona, Gesù, che Dio ha inviato per salvare il suo popolo e tutte le genti. Chiediamo perdono per le nostre insipienze, per le chiusure del cuore e le distrazioni che ci impediscono di essere attenti alla Sapienza che viene dall'alto.

- I primi versetti nell'originale sono più personali: c'è un re ed un uomo nascosto dal vento che suggeriscono una lettura messianica. Al vs 4 il cuore degli stolti che può diventare un cuore intelligente fa pensare allo spirito di Gesù che fa cambiare il cuore dell'uomo. Alla fine però gli stolti rimangono tali; questo può significare che c'è, solo in Gesù, un'occasione che bisogna cogliere.

- Il greco è un po' diverso: al vs 1 è il Messia che regna e la sua venuta cambia il cuore e la lingua dei piccoli e dei balbettanti (quelli che parlano pace), che avranno le orecchie pronte per ascoltare.

- Anche il vs 23 è legato alla salvezza di cui parlavamo ieri: il re, a partire da questa salvezza, regna con giustizia e cambia il cuore dell'uomo per cui si può essere sostegno, conforto e riparo l'uno per l'altro. E' sempre collegato all'avere occhi ed orecchi attenti al Signore.

- L'inizio è molto bello: "Ecco, un re regnerà secondo giustizia". Poi sono presentati i principi che regneranno anch'essi con giutizia, i figli d'Israele. Al vs 2: "Un uomo (non "ognuno" come nel testo italiano), sarà riparo contro il vento". Si tratta di azioni normalmente attribuite a Dio stesso ed al suo Messia. Così si parla di apertura di occhi dei ciechi e di orecchie dei sordi e del dono della sapienza. Gli "animi volubili" di vs 4 sono "i precipitosi di cuore" che devono ricevere la sapienza come liberazione da un'agitazione che impedisce loro di cogliere la sapienza di Dio. La lingua dei balbuzienti parlerà in modo puro (anche spiritualmente). L'abbietto è lo stolto del libro dei Proverbi: il contrario del sapiente. Gli affamati ed assetati lasciati vuoti sono coloro che sono vittime degli stolti di prima. Il nobile, che ha nobili consigli e sorge sugli altri nobili è ancora figura messianica. E' la parola usata nel Salmo 50 quando Davide chiede di essere perdonato e ricostituito come re e figlio di re. In conclusione, queste figure contrapposte di re sapienti e di empi stolti sono quelle consuete dei libri sapienziali. Esse rappresentano la lotta ancora in corso fra Dio ed il suo Cristo da una parte ed il male dall'altra.

9-12-00 Is 32, 9-20; 1 Co 6, 1-11; Lc 11, 14-23 (solo lodi)

 

Confidare solo in Dio

- Le donne di vs 9 sono persone che stanno in quiete, una quiete che consiste nel fatto che non sorgono per udire la Parola. E' quindi una quiete cattiva. Più avanti si parlerà di una quiete buona che sorge dallo Spirito di Dio, anche se dopo una situazione desolata.

- La presenza delle donne e dello Spirito fa pensare a Maria ed allo Spirito Santo che la feconda e fa fiorire il deserto. Bello il vs 17: "Opera della giustizia sarà la pace, lavoro del giudizio sarà il silenzio".

- vs 16: "la giustizia regnerà nel giardino" è una grande riconciliazione dopo il problema del primo peccato.

- In altri passi si dice di ascoltare la voce del Signore: Gen 3, "Ascoltarono la voce del Signore"; Salmo 94, "Ascoltate oggi la sua voce"; Gv 10, "le pecore ascoltano la voce del pastore". E' bello, nella prospettiva del Natale, questo ascolto prezioso del Signore che ci viene a salvare.

- C'è un grande invito alla conversione per le donne che sono sicure nella loro opulenza; il Signore le invita a venite fuori dalla loro condizione. "L'uomo nella prosperità non comprende" dice il Salmo, perché la ricchezza induce a confidare in se stessi e non in Lui. Bisogna tremare, temere, deporre le vesti e mettere il sacco per poter ascoltare e sentirsi sicuri nella voce di Lui.

- La parola "confidare" c'è cinque volte nel testo di oggi. "Baldanzose" è "figlie confidenti", "tranquille" è "confidenti". E' un'istruzione su ciò in cui bisogna o non bisogna confidare. Ieri il capitolo 31 criticava quelli che confidavano nell'Egitto. L'invito è a scuotersi da questa sicurezza non buona (vs 10). E' da notare che si tratta di un discorso rivolto alle donne; ieri la donna era protagonista sia del vangelo, che del testo profetico. Sono giorni in cui il destinatario femminile è molto presente, è un invito a considerare la nostra relazione con Dio come quella dell'umanità sposa del Signore.

Viene poi annunciata la rovina e l'ipotesi del bene è tutta spostata nel futuro (giustizia e pace). Strana l'espressione di vs 20: "Beati voi che seminate sulle acque! (non "sulle rive", come dice in italiano), richiama il Qoelet 11, 1: "Getta il tuo pane sulle acque, perché col tempo lo ritroverai". E' un invito ad aver fiducia nei tempi che che verranno perché saranno tempi di benedizione. Al vs 18 c'è "Neve shalon", che è un invito di pace e di coabitazione pacifica fra Israele ed Arabi.

 

11-12-00 Is 33, 1-13; 1 Co 6, 12-20; Lc 11, 24-26 (Francesco)

 

C'è speranza sia per i vicini che per i lontani

- Accogliamo oggi Maddalena, al suo ritorno dall'Africa, ringraziando il Signore. Oggi la Chiesa ricorda san Damaso, il papa che chiese a san Girolamo di tradurre la Bibbia in latino (Vulgata). Siamo ancora dentro la memoria della domenica, della richiesta di Giovanni Battista di preparare le vie al Signore che viene. Anche le parole del profeta Isaia oggi ci parlano del mistero dell'incontro fra le ombre della storia e la speranza che ci dona la parola del Signore. Chiediamo perdono per i nostri peccati e chiediamo anche al Signore di donarci un cuore più aperto.

- vs 2: è di grande consolazione e di aiuto in questo tempo d'Avvento, richiama alla fedeltà ed a tener viva l'attenzione per preparare la venuta del Signore.

- vs 2: è una specie di supplica, che segue la parola diretta di Dio verso il popolo. Il vangelo di oggi ed il tempo d'avvento ci dicono che Dio per entrare in una casa deve diventare piccolo. Anche per distruggere il male Dio deve farsi bambino.

- Andando un po' indietro (donne "spensierate" = "confidenti", cap 32) troviamo donne che confidano nelle loro ricchezze. Ma si poteva anche interpretare "confidenti" non in segno negativo, donne "credenti" che il profeta avverte riguardo ad una rovina imminente. Questo testo si poteva collegare all'invito che Gesù fa in Luca alle donne di piangere non per Lui, ma per loro stesse e per i loro figli. Ricominciando di qui il testo di oggi è più comprensibile. Al vs 1 c'è un invito del Profeta a fare attenzione ad una prossima devastazione che Israele dovrà subire perché ha usato violenza all'inviato del Signore. Questo è collegabile al rapporto Israele/genti: Israele in un primo tempo rifiuta il Messia e questo permette alle genti di conoscerlo. Anche il vs 13, "Sentiranno i lontani (genti) quanto ho fatto, sapranno i vicini (Israele) qual'è la mia forza", si inquadra in questa prospettiva: tutti conosceranno l'opera di Dio, con un'alternanza di oscurità e di luce. Il testo ci fa vedere che nessuno è esente dalla sofferenza, ma tutti siamo destinatari di un messaggio di speranza. Al vs 2 c'è due volte il termine salvezza ed il vs 5 "eccelso è il Signore che abita in luogo alto" fa pensare al luogo della croce. Il vs 6 dice che la fede d'Israele è motivo di speranza per il popolo, c'è fede nei tuoi templi. C'è poi una descrizione di lutto a cui si contrappone un "esalterò" del Signore; quindi c'è un alternarsi continuo di alti e bassi, tutte parole che, lette nella passione del Signore, danno conforto e speranza sia per i vicini che per i lontani.

12-12-00 Is 33, 14-16; 1 Co 7, 1-7; Lc 11, 27-28 (Francesco)

 

Solo Gesù è il Giusto

- Oggi la Chiesa ricorda santa Giovanna Francesca di Chantal, sposa e madre; rimasta vedova, fondò la famiglia della Visitazione, dedicando la sua vita alla preghiera e al servizio ai poveri. A lei affidiamo il cammino che le nostre sorelle e mamme hanno iniziato ieri sera nell'approfondimento della parola del Signore. Il profeta oggi dice che i peccatori hanno paura. Il timore davanti alla santità di Dio è un elemento importante. Questa paura però deve portarci alla fiducia nel Signore. Riconosciamo i nostri peccati e con fiducia chiediamo perdono al Signore.

- Letti insieme i versetti di oggi parlano della stessa persona, di ciascuno di noi. Siamo perennemente divorati da un fuoco, ma, se si sta attaccati al Signore, si dimora in alto. Siamo in una situazione di grande difficoltà in cui il Signore ci colloca, ma se si sta nel timore di Dio si può "dimorare in alto", che poi forse vuol dire stare anche noi sulla croce con Gesù. Qui ci è garantito il pane del Signore.

- Il fuoco divorante richiama Mosè ed il roveto ardente. La condizione di paura che si prova nello stare vicino al fuoco ardente della parola è una condizione di grazia. La paura è positiva perché vuol dire che ci rendiamo conto del nostro peccato e quindi non rimaniamo nella nostra miseria.

- Gesù ha interpretato in modo perfetto questi versetti, particolarmente negli annunci della sua passione. La logica imporrebbe di andarsene da Sion per non avere più paura. Solo Gesù, che nell'orto degli ulivi patisce la paura, può dare risposta alla domanda d'Isaia di oggi. Non c'è altro giusto all'infuori di Lui.

- Alcune caratteristiche dell'uomo giusto descritte al vs 15 sono piuttosto singolari: "Si tura gli orecchi per non udire i fatti di sangue, chiude gli occhi per non vedere il male". Noi ci aspetteremmo un rapporto più attivo verso il male. Sembra che questo giusto si muova in modo pavido, fugge dalla presenza del male. E' un uomo "piccolo" consapevole di essere debole nei confronti del male. E' preso dallo stesso timore che caratterizza i peccatori di Sion del vs 14, un timore misto a prudenza ed umiltà per la propria piccolezza. Le notizie di male infatti hanno la capacità di influenzare a provocare altro male. C'è un'esemplarità del male come c'è per il bene; ci vuole un rapporto equilibrato fra la comunicazione delle notizie cattive (quelle del male) e le notizie buone del vangelo. Il testo è collegato ai Salmi 14 e 23 dove si parla delle caratteristiche del giusto, ma con un'avvertenza: il giusto non è un uomo ideale, inesistente, scoraggiante per noi, ma è "Il Giusto", Gesù, l'unico giusto attorno al quale si costruisce la congiura dei popoli. Lui è l'uomo secondo il cuore di Dio, l'inviato di Dio, il consacrato le cui virtù non sono attribuibili a nessun uomo. E noi cosa possiamo fare? Evitare la presunzione di poter essere come Lui (idolatria di noi stessi), ma anche non scoraggiarci. L'invito è a contemplarlo (Salmi), ad amarlo e a cercare la comunione con Lui. Il Salmo 23-24 dice di aprire le porte e fare entrare il re della gloria. Ci deve essere un rapporto vivo con quest'uomo che deve entrare nella nostra vita. Quando recitiamo i Salmi ci "nascondiamo" dietro questo Giusto per entrare con lui nella benedizione del Signore. Così si potrà abitare in alto e ricevere il pane e l'acqua della fedeltà. Un rapporto quindi che non ci spaventi, ma ci permetta di godere delle sue stesse benedizioni.

13-12-00 Is 33, 17-24; 1 Co 7, 8-16; Lc 11, 29-32 (Francesco)

 

Il Signore non fa i "conti"

- Oggi facciamo memoria di Santa Lucia e le parole del Profeta ci spingono a proporre la preghiera del Celeste Lumine come punto fondamentale per la nostra vita. Ci conceda il Signore una luce interiore che ci permetta, nell'oscurità della nostra vita, di vedere il Re e la sua santa Città. La liturgia è questo dono di luce, questa possibilità sempre nuova di speranza.

- Non viene descritta una situazione di fatto, ma una situazione da contemplare senza vedere quello che c'è. Bisogna vedere con gli occhi di Dio. E' una cosa importante, legata a quanto detto ieri (chi può dimorare nelle fiamme?). Viene rivelato che il Signore perdona i peccati, le nostre malattie non ci sono più e si può vedere la realtà profonda di Dio, che è la sua misericordia, anche se siamo immersi in altre realtà.

- Di fronte ai segni di potenza c'è anche tanta fragilità (tenda, cordicelle). E' un modo di richiamarci ai segni piccoli ed il pane e il vino che quotidianamente riceviamo devono essere la nostra tenda. C'è un rapporto stretto fra i vs 22 e 24. Nessuno può dire di essere malato, l'unico ad assolvere dalle colpe è il Signore; è Lui l'unico nostro giudice, legislatore, re.

- Nei LXX i primi versetti parlano di "grammatici" e di "quelli che tengono consiglio", termini che richiamanno la Passione. Non si vedono più quelli che hanno portato alla morte Gesù. Nell'ultimo versetto "io sono malato" nei LXX è "io m'affatico" e questo allarga molto il discorso. Nessuno può più piangersi addosso perché il peccato è stato sollevato

- vs 20: si parla di Sion come "città della nostra salvezza" ed il vs 24 dice della possibilità di trovare assolto il popolo che vi abita. Questo concetto viene allargato da Gesù perché la sua misericordia, dopo Sion, viene estesa a tutti gli uomini. Il fatto importante non è che uno sia convinto, ma che sia dentro la città della salvezza.

- Consolano le immagini di visioni, richiamano l'Apocalisse, ed è bello che si vedano lui e lei: sono le nostre nozze e non si può opporre l'obiezione del peccato.

- vs 18: richiama i Corinti dove Paolo parla della vittoria sulla morte "Dov'è morte il tuo pungiglione?" E' una grande liberazione del popolo assolto dalla sua colpa.

- Il testo ci mostra il confronto fra la grazia e la legge. La grazia è nella visione del re, della sua bellezza, la contemplazione del paese lontano, la consapevolezza che abbiamo il Signore che ci salverà. Sono tutti accenni al dono di Dio ed alla sua bellezza e splendore. Tutto questo si confronta con la legge, rappresentata dai personaggi de vs 18, chi conta e registra (nei LXX è lo scriba), persone nemiche di Gesù perché parlano di una salvezza che si ottiene attraverso i conti perchè Dio sarebbe un giudice contatore. Al vs 22 dice : "Il Signore è nostro giudice, legislatore, re...ci salverà". Ci si poteva aspettare che ci punisse, invece ci salva cosa illogica rispetto ai conti. Questo però accade sempre se consideriamo la salvezza come un'insieme di regole da adempiere e di buone opere da compiere. Se le cose stessero così, nessuno potrebbe salvarsi. Invece il popolo dei malati può perché c'è la salvezza che è tutta donata. Anche la nostra Regola potrebbe essere interpretata in questo modo, ma il "Celeste lumine" ci dice che non è una regola, ma l'offerta di una luce, l'amore preveniente del Signore nella nostra vita, un mistero tanto più grande di noi, una grazia che ci salva.

14-12-00 Is 34, 1-4; 1 Co 7, 17-24; Lc 11, 33-36 (Francesco)

 

Ascolti la terra e quanti vi abitano

- Ringraziamo il Signore per averci ancora una volta convocati attorno a Lui. L'invito ad avvicinarci a Lui rivolto a tutte le genti, di cui parla oggi il Profeta, ha un suo primo segno nella nostra piccola assemblea. Dentro questa santa convocazione contempliamo il mistero della Pasqua, nella quale si compie tutto il disegno di giustizia di Dio. Chiediamo che la sua misericordia cada abbondante su di noi, perdonando i nostri peccati.

- Colpisce che la parola del Signore sia rivolta a tutti: popoli, nazioni, terra, mondo. Cosa devono ascoltare? Ci sarà lo sterminio, ma questo porterà alla salvezza perché viene distrutto il male. Il sangue che cola dal monte è quello di Gesù che si è fatto peccato per noi e ha dato il suo sangue per la salvezza di tutti.

- Questi versetti sono il "negativo" della creazione che viene descritta nella Genesi. Tutto verrà distrutto, ma perché nasca una nuova creazione, che però qui nel testo di oggi non c'è ancora. Anche i discorsi apocalittici del vangelo (vedi Mt 24, 29) sono molto collegati. E' il preludio alla Passione, un'azione forte e tremenda di Dio per creare una vita nuova.

- Al versetto 1 troviamo la grande convocazione delle genti, popoli, terra, universo. Tutti sono invitati ad avvicinarsi per ascoltare. In Qoelet 4,17 dice: "Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti". L'ascolto della parola di Dio va considerato superiore a tutto ciò che la nostra presunzione pensasse di potergli offrire. Il confronto fra ascolto della parola e culto dà il primato all'ascolto. Anche in Gen 49, 2 Giacobbe chiama i figli e dice: "Radunatevi ed ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele vostro padre!". Riguardo alle categorie convocate, dopo le genti ed i popoli vengono chiamati (in greco) "i principi", cioè le istituzioni di potere che governano i popoli; a loro viene prospettata la rovina. Anche nel vs 2 l'ira del Signore è sopra le genti ed i loro eserciti, cioè su ciò che del popolo è più potente. Per i vs 2-4 i testi paralleli proposti sono quelli dell'Apocalisse per la descrizione dell'ira di Dio. Particolarmente Ap 6 alla fine, vs 12, quando parla dell'apertura dei sette sigilli: il grande giorno dell'ira di Dio e dell'Agnello che è il giorno della croce. Al vs 2 "massacro" in greco è "sgozzato" espressione che nell'Apocalisse è applicata all'Agnello. Anche la parola "sterminio" non va intesa in senso comune (uccisione di tutto), ma va intesa come dedicazione di tutto, uomini, animali e cose derivanti dalla preda, a Dio ed a Lui offerte in un unico sacrificio. Tutto si consuma nella croce del Signore; la nostra vita non è estranea a questo, è il mistero dell'eucarestia del Cristo che si compie in ciascuno di noi ed in ogni uomo: partecipazione allo "sterminio" del Figlio di Dio.

 

15-12-00 Is 34, 5-17; 1 Co 7, 25-35; Lc 11, 37-44 (Francesco)

 

Bisogna far guerra al nemico che è in noi

- L'amore misericordioso, di cui abbiamo letto ora nella Regola, è un modo bello per ricordare l'eredità di don Giuseppe, tornato al Padre 4 anni fa in questo giorno. Nel suo testamento don Giuseppe ha sottolineato il concetto dell'unità di tutte le Scritture. Senza questa unità ci saremmo trovati in difficoltà nel leggere certi testi di Isaia. Mettiamo ai piedi dell'altare tutte le cose che ci disturbano e le persone che vogliamo ricordare, perchè tutto sia dentro al sacrificio d'amore di Gesù, che è la speranza di noi tutti.

- vs 9: c'è un rimando a Gen 19, 24-28 in cui si parla del modo in cui il Signore punisce Sodoma e Gomorra. Il brano ricorda, per somiglianza di vicende, l'Esodo e le piaghe d'Egitto. Gli Egiziani sono puniti perché sono nemici d'Israele. Così è colpito Edom, nemico d'Israele. In entrambi i casi la punizione c'è perché il prediletto del Signore possa trovare la strada della salvezza. Il Signore distrugge il nemico di suo Figlio per la liberazione d'Israele e per la salvezza di tutti.

- Colpisce che, dopo la grande punizione di Edom, il brano parli di tanti animali che sembra si trovino molto bene nei luoghi lasciati: richiama lo spirito immondo che torna con altri sette spiriti nella casa vuota e pulita.

- vs 6: "La spada del Signore è piena di sangue". Tutto quanto succede è visto come sacrificio, olocausto e vittima d'espiazione. Questo testo verrà ripreso al cap 63 dove si vedrà lo stupore di Dio nel constatare la sua solitudine nel sacrificio ("Guardai: nessuno aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva", vs 5). Edom è il nemico per eccellenza, vedi Ap 19, 11-13 dove un cavaliere col mantello intriso di sangue si chiama "verbo di Dio". Non bisogna avere pietà del nemico, perché possa venire il regno di Dio.

- Le citazioni fatte sia sull'Antico che sul Nuovo Testamento ci aiutano a capire che oggi si parla della grande guerra fra Dio ed i suoi nemici, combattuta con la spada della Parola ed il fuoco dello Spirito. L'immagine desolata dei luoghi vuoti, abitati da animali repellenti, è la descrizione del cuore dell'uomo quando è vuoto, quando in esso non c'è il Signore (vedi vs 11 che riprende Gen 1, 2: "Terra informe e vuota"). C'è guerra fra Dio e il forte che abita nel cuore dell'uomo. E' una guerra cruenta, ma se ne parla in termini sacrificali. Mentre tutte le bestie che occupano le case vuote sono animali impuri (pellicano, riccio, gufo, corvo, sciacalli, struzzi, gatti selvatici, iene, civette, serpenti, sparvieri), quelli uccisi dal Signore sono animali puri (agnelli, capri, montoni, giovenchi e tori); animali cioè adatti al sacrificio. La guerra è reale e concreta, tutta l'ira di Dio è concentrata nel giorno del sacrificio di Cristo. Quindi anche questi versetti sono profezia di Gesù. Tutto questo noi lo stiamo celebrando nell'Eucarestia che ci dà la possibilità di partecipare in modo attivo al grande sacrificio di Gesù. Il testo finisce citando il libro (vs 16a), bocca del Signore, eredità eterna per coloro che lo leggono. C'è una speranza quindi di abitare in questo luogo di riposo che Dio prospetta per noi alla fine dei giorni.

16-12-00 Is 35, 1-10; 1 Co 7, 36-40; Lc 11, 45-54 (Giovanni)

(Casa della carità)

 

Tutto cambia se si è voluti bene

- Domani si entra nella novena di Natale. La grande festa è vicina. Il Signore vuole venire ad abitare in mezzo a noi. Le Sacre Scritture dicono che anche il deserto si può riempire di fiori. Tutto aspetta il Signore; tutta la nostra vita ha bisogno del Signore, perchè solo Lui può sanarla. Chiediamo perdono per quando abbiamo pensato che le nostre ferite sono più grandi del dono di Dio. Chiediamo che il Signore, nella sua misericordia, perdoni tutti i nostri peccati

- Quando il Signore dice cose che non ci piacciono brontoliamo, quando dice cose molto belle come oggi, non ci crediamo. Non siamo mai contenti. Ma la vita va presa sempre nel suo nome, sia quando va bene sia quando va male perché il bello della nostra vita è la sua presenza. Il capitolo 35 del libro d'Isaia che leggiamo oggi è tutta una descrizione di bellezza: il mondo cambia, le persone stanno bene. Noi però abbiamo l'impressione di vedere tante cose che non vanno intorno a noi e vengono dei dubbi: è tutto vero oppure è solo una favola? Secondo Gesù le cose sono buone non di per se stesse, ma perché Lui le vive con noi. Tutto il gran bene che Lui ci fa non è fatto nelle cose o in noi, ma avviene perché non ci lascia mai soli. Il deserto fiorisce perché c'è Lui, io resto cieco ma Lui mi descrive così bene tutte le cose che anch'io ci vedo, Lui tiene la mia mano cattiva nella sua e allora tutta la vita cambia. Gesù è così importante non perché cambia le cose, ma perché ci vuole bene. Quando si è voluti bene tutto cambia. Tutto cambia perché Dio ci ama. La vera potenza e il vero segreto di Dio è quello di volerci bene e noi cristiani abbiamo un solo, grande dovere: voler bene. E' un dovere che tutti possiamo fare, piccoli e grandi ed è l'unica cosa che Gesù ci chiede di fare. Gesù viene in mezzo a noi per insegnarci questa grande arte; noi siamo qui per far sapere ad un mondo così poco buono che tutti ci dobbiamo voler bene. Così questa casa (casa della carità di San Giovanni in Persiceto) è un giardino perché c'è gente che vuole bene. Voler bene è fare posto, Dio ci ha fatto un posto immenso nel suo cuore. Io sono un deserto ma Lui mi fa fiorire, io sono cattivo ma Lui mi fa fare qualcosa di buono, mi insegna le strade per voler bene. Tutti i progetti del giorno vanno sottomessi al voler bene. Quando vogliamo bene abbiamo la potenza di Dio. Facciamoci coraggio, abbiamo un maestro potentissimo che ci insegna la carità. Tutti dobbiamo imparare a dire "ti voglio bene", non è neanche importante che sia sempre vero. Bisogna farlo sempre il gesto buono che vuol dire ti voglio bene perché il Signore lo benedice comunque.

 

2-1-01 Is 36, 1-22; 1 Co 8, 1-13; Lc 12, 1-7 (Bettazzi)

Sovere, scuola della pace

Abbandonarsi a Dio così come siamo

- Scambiamoci un annunzio di pace e di fiducia nel Signore; la messa è culmine e sorgente della nostra vita in Cristo. Prepariamo il nostro cuore chiedendo perdono dei nostri peccati.

- Il testo di oggi è una grande rappresentazione del dramma della fede consegnato alle regole crudeli della storia. Si possono notare tre passaggi: 1) tentativo della difesa dei piccoli. Non è accettata la richiesta relativa alla lingua da usare. C'è una sfacciataggine di una certa verità in un clima di grande rissa. Non è vero che bisogna tutto dire, tutto far sapere. 2) terribile l'accenno all'Egitto. Loro tentano di mantenersi fedeli, ma l'avversario ricorda che sono peccatori; la mancanza di fede per essersi voluti appoggiare all'Egitto è vera. Questa è l'esperienza più dolorosa della fede. Il signore del male mette il dito fra professione di fede e vita di peccatore. 3) Loro tacciono: è stata data una disposizione di silenzio. E' il silenzio di Gesù che, nella sua passione, da un certo punto in poi tace. E' un silenzio delicato perché sembra una sconfitta, una rinuncia alle ragioni.

- vs 5: è un'altra tentazione che riguarda la parola: c'è una parola del coppiere (mondana), e la Parola di Dio che è più leggera.

- Ezechia è l'oggetto dell'invettiva del coppiere; Ezechia è pericoloso perché confida nel Signore.

- C'è un collegamento coi Corinti quando si dice che ci sono molti signori della terra, ma uno solo è Dio per il quale è tutto; e noi siamo per lui.

- Colpisce che questo re potentissimo rivendichi un mandato ricevuto dall'alto per giustificare il suo operato.

- Il significato delle chiese locali e delle comunità nelle chiese di Bologna. La chiesa di Bologna era una chesa di molte speranze particolari. Il nostro ascolto autonomo della Parola di Dio, con aiuto reciproco, fa ritrovare di più il senso di chiesa. Il Signore c'è se ci sono due o tre riuniti. Il pericolo è quello di chiudersi in se stessi. Il cammino di fede è spesso irto di difficoltà. Anche Ezechia ha sempre tentato di appoggiarsi agli Egiziani o agli Assiri, ma questo porta ad allontanarsi dalla fede nel Signore. Domenica scorsa (festa della Sacra Famiglia) Maria e Giuseppe non capivano, non sapevano come sarebbe andata a finire e questo è molto incoraggiante, possiamo non capire anche noi. Fra gli infiniti mondi che il Signore poteva scegliere, ha scelto questo, quindi va bene così; ci chiede solo di abbandonarci a Lui, poveracci come siamo. Una grande grazia del Concilio è stata quella di rimetterci in cammino nella parola. Il Signore ci ha voluti così come siamo ora e d'ora in avanti ci vuol fiducia ed abbandono in Lui lasciando prevalere la carità (II lettura). Non si può andare troppo veloci, bisogna camminare con la difficoltà di quelli che frenano, per poter stare tutti insieme

 

 

 

 

3-1-01 Is 37, 1-7; 1 Co 9, 1-12; Lc 12, 8-12 (Francesco)

Sovere, scuola della pace

 

Ogni momento della nostra vita ha senso

- La pace sia con voi. La pace ci viene da Gesù. Portiamo al suo altare tutti i nostri cari, le chiese, il mondo intero, chiedendo perdono per i nostri peccati.

- Appena Ezechia sente le parole del Signore si mette in un atteggiamento di povertà, pienamente affidato a Dio, consapevole della sua impotenza.

- Ezechia si veste di sacco come in una liturgia ed il suo atteggiamento richiama gli Atti quando i 12 cercano altre persone per essere aiutati e potersi occupare della preghiera.

- Le parole oggi sono molto importanti a dispetto di quanto aveva detto ieri il gran coppiere. Al vs 4 c'è sospensione ed angoscia, ma anche piena fiducia in Dio.

- Oggi c'è una parola in comune col vangelo: "bestemmia" (in italiano è tradotta "ingiuria"); è l'unica colpa che non verrà perdonata se è rivolta allo Spirito Santo. C'è universalità nel vangelo perché chiunque lo riconoscerà verrà perdonato.

-I termini con cui il Signore dice "non temere" tornano più volte nel NT. C'è lo Spirito inviato al re dell'Assiria, c'è una specie di violenza per cui è il Signore stesso che rigetterà chi ha presunzione di entrare nella sua terra.

- Bello il paragone col parto che non funziona. Ieri erano tentazioni le parole del coppiere, oggi questi abitanti di Gerusalemme sono nel travaglio di vedere che non c'è la forza d'arrivare in fondo all'atto di fede.

- E' una preghiera provocatoria nei confronti di Dio e sembra un dato irrinunciabile per Dio che sempre interviene. C'è un bambino che deve nascere, tutto è teso a questo (vedi anche cap 26). Anche Michea (ultima domenica d'Avvento) richiama questo compimento del parto.

- Lo Spirito promesso ai discepoli nel vangelo qui verrà dato dal Signore al re d'Assiria, il quale ascolterà con un ascolto che riporterà indietro (verbo della conversione) il nemico, verso un'altra strada.

- Bello che Dio sia invocato come Dio vivente: Lui è entrato nella nostra vita, capisce tutto di noi, ha viscere di misericordia e cuore pieno d'amore.

- Tutte e tre le letture sono un grande invito alla speranza, radicate nella certezza della fede. Ogni momento della nostra vita, anche il più fallimentare, ha un senso profondo per noi e per l'umanità e dà frutto. Dobbiamo avere sincerità: l'atteggiamento interiore importante è la sincerità nell'apertura al Signore, che apre alla carità. Uno può sbagliare nelle verità della fede, ma è l'atteggiamento interiore che non viene perdonato La fede nello Spirito Santo è importantissima. La grandezza dell'amore di Dio è infinita: se Lui lavora lasciamolo fare, lo Spirito Santo ci guiderà. Il parto: la Madonna si è sposata come ogni donna Ebrea per far nascere a Dio il Messia. E' tutto sconvolgente, ma c'è la certezza che Dio "guida" tutte la vicenda. La Madonna assunta in cielo, è Dio che la porta con sè. Il cielo è sinonimo di Dio. Gesù che ascende in cielo è l'umanità che entra nel mistero di Dio. La Madonna assunta in cielo è in Dio, ovunque è Dio. Lei ci accompagna nell'ascolto della Parola, ci aiuta ad accogliere la presenza di Gesù Crocifisso, ci aiuta a vivere nella fede e fa fruttare la nostra vita nella carità e solidarietà.

 

4-1-01 Is 37, 8-20; 1 Cpo 9, 13-18; Lc 12, 13-21 (Francesco)

Sovere, Scuola della pace

L'ultimo idolo: pregare perchè Dio ci faccia vincere.

-L'eucarestia è oggi un particolare rendimento di grazie per questi giorni vissuti assieme e per la visita dei due vescovi che ci hanno parlato della loro vita. C'è continuità nel dono di Dio; la sua grazia si estende di generazione in generazione. Le parole di Isaia ci invitano a una visione della storia dove Dio è Signore del suo popolo nella prospettiva della pace per tutte le genti. Possiamo contemplare con speranza la nostra miseria alla luce della potenza buona di Dio nella nostra storia.

- La preghiera di Ezechia è molto bella. Ezechia. non pensa di risolvere la situazione potenziando il suo esercito o alzando mura più alte, ma si affida a Dio. Prega, ma non come noi che in genere chiediamo che Dio faccia qualcosa per noi. Ezechia sposta in alto la sua preghiera: è una questione di dei e di Dio. Detto questo, si può anche notare che la sua preghiera non è perfetta. La preghiera perfetta è "sia fatta la tua volontà" perchè, come diceva papa Giovanni, "voluntas tua, pax mea".

- Gesto bellissimo quello di Ezechia che sale al tempio con la lettera e la dispiega davanti al Dio vivente. Il Signore sa cos'è successo, ma Ezechia lo coinvolge in modo fortissimo (porgi l'orecchio, ascolta, guarda). Anche la preghiera di Salomone è così, ed anche quella di Davide. Gli dice sì cosa deve fare, ma come ad un amico, in un rapporto fortissimo a tu per tu: qui è insultato il Dio vivente, l'amico, il tutto di me.

- La preghiera di Ezechia richiama la preghiera eucaristica; è una grande liturgia che viene fatta con grande familiarità e l'invito è esteso a tutti senza timore.

- La preghiera è rivolta al Signore non solo perché lo salvi dal pericolo degli invasori, ma perché non si spezzi il rapporto con lui: "Tu sei il mio Dio, perché non mi salvi?"

- In relazione al vangelo: Ezechia è uno che arricchisce davanti a Dio e non accumula per sè.

- Le potenze mondane sono molto forti, sono capaci di distruggere, però noi sappiamo che "Tu solo sei Dio". Il rapporto che va bene non è che il Signore ci salva da tutto, ma è che noi sappiamo che la salvezza è "Sia fatta la tua volontà". L'alternativa è ammazzarsi l'un l'altro.

- Bisognerebbe affidare ad Ezechia i presidenti che in questi giorni sono così deboli, anche Arafat, anche Bush. L'unico modo per essere laici è tentare di pregare perché altrimenti siamo invasi dagli idoli. Basta pochissimo perché tutto l'animo umano venga invaso dagli idoli. Solo la preghiera mi può strappare dagli idoli, riportare alla mia libertà ed farmi rientrare nella verità. La fede cristiana porta alle soglie dell'ateismo, alla massima laicità. Bisogna che ci proteggiamo con la preghiera gli uni per gli altri: è l'unica salvezza, perché l'ateo è una figura interessante ma in pericolo, perché va dietro al suo "io" ed a tutte le passioni.

- Bisogna sempre tenere presenti, come chiave di lettura, i vangeli della passione e resurrezione. "Non ti inganni il tuo Dio in cui confidi" richiama i dialoghi sotto la croce degli schernitori. Fede che deve accettare la tentazione estrema che Dio ci inganni e dobbiamo rifuggire l'ipotesi che Dio sia asservito al nostro successo, salute, ecc. La preghiera è la nostra via di salvezza, ma la preghiera più perfetta è "Fai tu quello che vuoi". La vicenda storica di Gesù è proprio questa: Gesù non è stato salvato, è il grande scandalo della croce per di Israele. L'abbandono umile e totale della nostra Regola vuol dire l'astensione dall'asservire Dio alla nostra causa. La fede deve essere liberata dall'ultimo idolo: che Dio serva alla nostra vittoria. Bisogna accettare fino in fondo lo scandalo della debolezza di Cristo, cioè di Dio. Il vangelo invita ad "arricchire" in Dio (non "davanti" a Dio): non si tratta di fare buone opere. La nostra ricchezza è Dio. Così Paolo dice che la sua ricompensa è nel dare gratuitamente il vangelo

 

5-1-01 Is 37, 21-29; 1 Co 9, 19-27; Lc 12, 22-34 (Giovanni)

Sovere

Dio vuole solo la comunione con noi

- Ieri abbiamo parlato molto della preghiera di Ezechia. Oggi dice "Ecco il Signore ha ascoltato la tua preghiera". Dio attua e dice quello che farà; risponde in modo specifico ad una preghiera generica.

- vs 22: la sentenza pronunciata contro Sennacherib sembra in contrasto con la paura che adesso pervade il popolo. L'atteggiamento del popolo deve essere questo del vs 22 che è poi lo stesso del Signore Dio verso l'empio ("se ne ride chi abita i cieli", Salmo 2). Sembra che il popolo sia lontano da sentimenti di questo tipo, invece il Signore proclama che siamo così. Non sono sentimenti di Dio, ma sono molto forti, sono quelli che noi dobbiamo provare verso il nemico ricordandoci sempre che è di poco conto e che il Signore ci fa partecipi di questi sentimenti di superiorità, anche se non ci sembra.

- vs 26: difficile come testo; si ha l'impressione che in ogni caso le imprese descritte nei versetti precedenti siano imprese nelle quali Dio ha una parte. Il re è strumento, Dio è presente nelle imprese del re come anche dopo nella sua vita (vs 28-29). C'è una signoria di Dio in tutte le azioni di questo re che così non è mai solo (collegamento col vangelo che ci parla della signoria di Dio sulla vita dell'uomo). L'invito di entrambe le letture è quello di lasciarsi prendere senza ricavarsi un proprio spazio di orgoglio.

- Belle le domande rivolte al re d'Assiria. Ezechia aveva capito che era un insulto al Signore; qui è il Signore che adesso vuole far capire al re che quello che lui pensava di fare al piccolo popolo era invece contro il santo d'Israele.

- Tutte le volte che noi preghiamo compiamo un atto di conversione. Il re Ezechia non si aspettava certo che questa dovesse esserne l'interpretazione: era andato preoccupatissimo e si sente dire che deve essere tranquillo, sentirsi superiore.

Il secondo dato importante di oggi è scoprire che il Signore tiene per noi. Per questo dice al re Assiro: "Tu hai offeso me". Questo ci dice quanto ci ama, quale misura ha il legame che egli stringe con noi. Anche nel vangelo dice di essere una cosa sola con noi. Al versetto 10 del capitolo 36 aveva detto che Sennacherib si era accorto che era Dio che lo muoveva. Questo è vero, ma è un'idea mondana quella di Sennacherib secondo il quale Dio era per il suo successo, per la sua vittoria. Dio invece pensa solo alla sua comunione con noi. Dio contesta Israele che si sente abbandonato e contesta Assur che si sente vincitore. Noi non possiamo mai assimilarci alla sconfitta di Gesù.

8-01-01 Is 37, 30-38; 1Co 10, 1-13; Lc 12, 35-48 (Francesco)

 

Nel terzo anno seminerete e mieterete

- Siamo grati al Signore per la ripresa del tempo ordinario nel quale il profeta Isaia ci propone parole di consolazione e ci mostra che il Signore porta a compimento tutte le sue promesse. Dio è fedele e ciò che si era sperato si compie. Le sue parole sono il bene dei suoi figli, sono parole efficaci. Chiediamo perdono per quando abbiamo lasciato cadere la speranza e abbiamo considerato con ansia la nostra vita e la vita di tuttti i popoli.

- Il Signore dice al re d'Assiria che non entrerà nella città santa, tornerà per la strada da cui è venuto e sarà ucciso. I Magi invece, che avevano cercato con umiltà il Re, devono tornare per un'altra strada, una strada nuova che conduce alla vita. Questo vale per noi, davanti alla grande "novità" della nascita di Gesù.

- vs 30: il segno del terzo anno ricco di frutti richiama la pienezza della resurrezione al terzo giorno.

- Il segno di vs 30 è strano perché non si pone come garanzia per il re Ezechia: si parla di tempi lunghi (tre anni), invece nella notte stessa ci sarà l'intervento dell'angelo del Signore. Il segno che giustifica la speranza è lontano, ma è introdotto subito, anticipato.

- vs 32: "lo zelo del Signore". La città non sarà occupata per lo zelo del Signore. Dio è geloso. Ricorda quando Gesù scaccia i mercanti dal tempio ("lo zelo per la tua casa mi divora"). Come qui parla del terzo giorno, là parla del tempio del Signore che sarà distrutto e ricostruito in tre giorni.

- Il segno per che cos'è? Nei giorni scorsi c'era il problema di mantenersi fedeli al vero Dio. Oggi, al di là delle cose che succedono, viene chiesta la perseveranza nella fede perché poi ci sarà il terzo anno ricco di raccolto. Colpisce che tutte e tre le letture di oggi parlino di mangiare, visto in senso negativo nella seconda e terza, mentre in Isaia il mangiare in povertà sembra mantenga fedeli al Signore.

- Riguardo al segno de vs 30 si notano espressioni rare che vengono usate solo in Lv 25, 11 quando si danno istruzioni per l'anno giubilare. Interessante questo riferimento al giubileo che noi abbiamo appena concluso; dopo un periodo di sospensione, ci sarà una ripresa del lavoro e dei suoi frutti. Nei primi due anni c'è non solo sospensione del lavoro, ma anche intervento della provvidenza di Dio. La ripresa è altrettanto lieta, perché è il reinizio di una vita feconda nel ricordo di una grazia ricevuta. I vs 31 e 32 sono una bella profezia del Messia: il "resto" salvato metterà radici in basso e darà frutti in alto. Il versetto successivo descrive in modo completo la salvezza: gli strumenti di guerra saranno aboliti (nel tempo del Messia). Al vs 35 dice la motivazione dell'azione di Dio per proteggere Gerusalemme: per se stesso e per il suo servo Davide (nel quale si può vedere il Messia). Gli ultimi versetti, che sono di racconto storico, mostrano come Dio agisca nella storia per compiere le sue profezie. E' una storia violenta nella quale noi dobbiamo vedere il giudizio di Dio che porta sempre all'innalzamento dell'umile e del piccolo (il violento si autodistrugge). Dobbiamo leggere per noi queste parole antiche, riceviamole con amore per non cadere negli stessi peccati di giudizio e per poter superare la prova con la forza che il Signore ci dà e che è sempre sufficente a superare ogni tentazione.

 

9-1-01 Is 38, 1-8; 1 Co 10, 14-22; Lc 12, 49-53 (Massimo Masi)

 

Il pianto è la preghiera più potente

Ringraziamo il Signore per avere oggi l'opportunità di meditare sulla preghiera. Dobbiamo pregare con mitezza, senza pretendere. Chiediamo perdono per ogni volta in cui, chiedendo cose che crediamo utili, non ci inchiniamo alla volontà del Padre e chiudiamo il cuore ai nostri fratelli.

- Ciò che salva Ezechia dalla morte è il suo grande pianto. Ezechia non chiede perdono per le sue colpe, si pone come giusto davanti a Dio. Ma lo fa piangendo e non c'è lacrima che Dio non veda. In questo pianto c'è una grande speranza per tutti noi.

- Il pianto: è importantissimo, non banale, non ha venature di rabbia o di rancore. E' il dispiacere dell'uomo davanti alla morte; in Israele c'è orrore per la morte ed attaccamento alla vita, che è profezia della resurrezione.

- vs 3: nell'AT c'è la preghiera di Anna dove è sottolineato il "ricordare" e ci sono le sue lacrime che verranno accolte. Richiama anche il "ricordati" del buon ladrone sulla croce.

- Il Signore ha grande attenzione per Ezechia, sembra quasi che gli mandi il Profeta per dargli l'opportunità di pregare. Poi c'è una risposta immediata alla preghiera che mostra la misericordia di Dio, ma anche il grande amore.

- vs 8: "Il sole retrocesse 10 gradi" è una cosa che riguarda tutti, quindi la preghiera e la sorte di un solo uomo ha rilevanza per la vita di tutti. Questo fa vedere la bontà del Signore e la potenza della preghiera di ogni uomo.

- vs 2: "Voltò la faccia verso la parete" sembra un voler ritirarsi dalla comunione con gli altri, ma può anche essere un voltarsi indietro per riconsiderare la propria vita, oppure un desiderio di intimità della preghiera ("entra nella tua stanza e prega in segreto").

- Il segno dell'aggiunta di 15 anni alla vita di Ezechia viene simboleggiato dal retrocedere del sole. E' il dono che il Signore fa ad Ezechia ed esprime la forzatura della preghiera sulla storia. Nel vangelo la vicenda di Gesù corre verso la soluzione finale, qui invece nel rapporto personale fra il fedele ed il Signore c'è la possibilità di modificare la volontà di Dio.

- Nell'AT si trovano due lodi per il re Ezechia (in 2 Re 18 ed in Sir 49) che viene descritto come un re fedele. La malattia mortale lo dispone alla preghiera ed il suo voltare la faccia può ricordare il gesto di Mosè che nasconde il volto davanti a Dio. E' bello avere un Dio che ascolta e vede, che raccoglie le nostre lacrime. Il pianto, nel NT, c'è varie volte: Pietro che si accorge della sua povertà, la peccatrice perdonata, la Maddalena al sepolcro e Gesù nell'orto degli ulivi, che è la preghiera più grande, che non verrà esaudita (almeno in quel momento). La preghiera non esaudita è la più grande perché mette tutto nelle mani del Signore (vedi anche la "spina nella carne " di Paolo). Ezechia non chiede nulla, pone davanti al Signore la sua vita (la sua è una lamentazione davanti a Dio, ben diversa da una lamentela che si fa davanti agli uomini). Lo scopo delle nostre preghiere deve sempre essere la richiesta dello Spirito Santo che Dio darà a chi lo chiede. Abbiamo un Padre che ci ascolta e noi dobbiamo sempre essere lieti che la nostra vita sia sotto l'occhio benevolo di questo Padre al quale possiamo portare direttamente le nostre ferite senza farle pesare sui nostri fratelli.

10-1-01 Is 38, 9-12; 1 Co 10, 23-11, 1; Lc 12, 54-59 (Giuseppe)

 

La malattia si è trasformata in pace

- Ringraziamo il Signore con l'Eucarestia, gli rendiamo lode per tutti i suoi doni, gli chiediamo perdono per tutte le volte che non abbiamo avuto riconoscenza e letizia per le sue visite. Chiediamo con fiducia perdono per tutti i nostri peccati.

- La malattia viene indicata in una ferita, ma non è chiaro di che ferita si tratti. Forse la dimenticanza della Parola di Dio; di Dio che si butta i nostri peccati dietro le spalle, cioè sulla croce.

- Non dobbiamo dimenticare mai che la salvezza viene dal Signore. Anche nell'ultima parte della lettera Paolo dice che il Signore vuole che tutti giungano alla salvezza.

- vs 9: nella Vulgata dice "Scrittura di Ezechia", in greco "canto", qui "preghiera". E' bellissima questa preghiera: Ezechia chiede la guarigione, ma sa benissimo che la sua malattia viene da Dio. E' una preghiera che fa venire in mente il battesimo. Il Signore guarisce la nostra malattia d'origine.

- Dal canto d'Ezechia oggi si capisce cos'è la vera vita: vedere il Signore nella terra dei viventi, camminare davanti a Lui. C'è molto la lode al Signore, non solo il ringraziamento per avergli prolungato la vita, bisogna stare con lui.

- Il testo mostra prima la preghiera poi la guarigione. Questa è preparata e prodotta dalla preghiera. Oggi si è al vertice dell'esperienza d'Ezechia che prega nel tempio. Il cantico in origine è "la scrittura"; richiama il momento in cui Ezechia era entrato nel tempio con lo scritto pieno d'insulti e minacce del re d'Assiria. E' uno scritto per ricordare sempre quello che è successo. La malattia è presentata come una crisi totale e Dio è non solo l'autore della guarigione, ma anche della malattia stessa (come in Giobbe). Al vs 17 si parla dei peccati e c'è connessione fra malattia e peccati. La guarigione è remissione dei peccati. La morte si presenta come interruzione violenta della vita, esperienza di separazione e solitudine. Al vs 12 la tenda (il corpo) divelta e gettata lontano è la separazione fra l'anima ed il corpo causata dalla morte. La vita è vista come la possibilità di lodare Dio, il momento in cui trasmettiamo ai nostri figli la conoscenza del Signore, la sua fedeltà (vs 19). La vita è anche un'esperienza di comunione (vs 20). Al vs 17 c'è un'espressione molto bella "Ecco in pace la mia amarezza". La malattia è momento d'amarezza che però, nella preghiera, si trasforma in pace. Questa è la vera guarigione: l'amarezza esiste ma, tramite la preghiera, va verso una dimensione di pace.

 

11-1-01 Is 39, 1-8; 1 Co 11, 1-16; Lc 13, 1-5 (Francesco)

 

Buona è la parola del Signore

- "Buona è la parola del Signore", il re lo dice dopo una parola che non sembra tale. Però lo dice. Questo è il dono più bello che il Signore ci fa con il dono del suo Verbo: il prendere dentro di sè il tutto della nostra vita. Lui è il Signore di tutto. E' l'atto di presa di possesso della nostra vita attraverso la sua parola. E' il manto di speranza che copre il mondo intero. Chiediamo di ricordare questa frase nelle situazioni più difficili. Chediamo scusa per la nostra non fiducia in essa, per non averne riconosciuto la bontà perché ci sembrava diversa dalla nostra parola, contraria alle nostre aspirazioni.

- Dispiace trovare, dopo la preghiera di Ezechia di ieri, questo "passo falso" di oggi. Il rapporto con la parola di Dio è complicato, Papa Giovanni cercava di pensare sempre che tutto è per il bene. Ezechia sembra pensare troppo a sè stesso e non troppo ai suoi figli.

- Non è chiaro se vada bene mostrare così l'intimità della propria casa. Non è bella questa specie di leggerezza di Ezechia, o forse è apertura?

- Il latino ha parole diverse: al vs 2, "non ci fu nulla che non mostrasse loro", "nulla" è in realtà "verbum". Al vs 8 "sicurezza" è "verità". Gerolamo sembra dare un taglio diverso.

- Isaia non esprime nessun giudizio mentre dice queste cose al re. Questa sospensione di giudizio è un atteggiamento di timore.

- Bisogna essere prudenti nei confronti del testo di oggi e non dare giudizi affrettati. Dobbiamo notare infatti che nel testo non c'è nessun giudizio. Cerchiamo di vedere i motivi per cui questo re dice alla fine che questa parola è buona. La traduzione italiana è un po' fastidiosa: non c'è il "Per lo meno" di vs 8, Girolamo mette un "Tantum", TM e LXX non mettono nulla. Il versetto quindi diventa: "Buona è la parola del Signore perché ci saranno pace e sicurezza nei miei giorni". Si tratta del rapporto fra Israele e le genti, c'è qualcosa di misterioso che qui è adombrato. Questi che vengono da lontano con doni ricordano i Magi e Melchisedek (letto al mattutino); portano anche libri (i loro pensieri), non solo doni materiali. Questi popoli tornano poi con doni più grandi che vengono da questa reggia. Il tutto passa attraverso la sofferenza d'Israele. E' un passaggio di patrimonio, Israele viene depredato. Israele poi, disperso fra le genti, a sua volta ha acquistato un grande patrimonio di ricchezze. Ricordiamo anche la regina di Saba e lo scambio di doni (là il tono era più cordiale, ma il tema era lo stesso). "Verranno giorni": tempi della necessaria fine di una stagione della storia, frutti nuovi per tutti.

 

 

12-1-01 Is 40, 1-5; 1 Co 11, 17-22; Lc 13, 6-9 (Francesco)

 

Lasciamoci consolare da Dio

- La strada appianata del canto di ingresso, profetizzata dal profeta Isaia, è il motivo della speranza e della consolazione. E' la strada del ritorno a casa, della riconciliazione, sulla quale gli esuli incontrano la gloria del Signore. E' la strada dell'eucarestia. Dobbiamo prepararla chiedendo perdono al Signore per i nostri peccati.

- Nei LXX l'invito a consolare è rivolto ai sacerdoti, cioè ad ogni battezzato. Il rimanere nella fede perché è finita la schiavitù (vs 2) è il motivo del consolare. Questo rimanere è il modo per trasmettere l'annuncio di Pasqua.

- vs 2: è proprio il mistero pasquale perché c'è la pienezza dell'umiliazione della croce.

- vs 5: la rivelazione della gloria del Signore avviene solo dopo che è stato fatto tutto il lavoro di appianamento delle strade per il ritorno del popolo del Signore. C'è una fase in cui bisogna "fare" senza la visione della gloria del Signore, fidandosi che questa consolazione arrivi, fidandosi completamente di Dio. Giovanni Battista annuncia alle folle l'arrivo della consolazione, che però non si vede.

- vs 2: è un bel modo di parlare al cuore delle persone. Nel momento di maggior confusione è importante il modo (ricorda Papa Giovanni).

- L'Ebreo fedele come può leggere oggi questo testo? La schiavitù di Gerusalemme non è ancora finita. Chi è che deve consolare? Chi preparare le strade? Il mistero di questa terra è grande.

- E' un testo molto ricco. C'è un invito pressante di Dio a consolare il suo popolo. Anche in 2 Cor 1 dice "Dio di ogni consolazione"; Dio consola e noi dobbiamo consolare. E' una consolazione dentro una situazione di sofferenza. L'inizio della consolazione è in Dio che ci consola nel suo figlio Gesù, noi dobbiamo estendere questa consolazione ai nostri fratelli. Papa Giovanni l'ha fatto in modo esemplare. Il motivo della consolazione è che è stato concesso il perdono dell'iniquità, è finita la condizione del popolo come oggetto della punizione, siamo entrati nella fase del perdono. E' significativo che questo testo sia richiamato dai vangeli per iniziare a parlare dell'azione di Gesù. Giovanni Battista parla di un'era nuova fondata sul perdono e sulla consolazione. Il perdono del peccati, deciso da Dio, apre la strada all'incontro con Gesù. Questo richiede una preparazione dei cuori: una conversione che è apertura del cuore per accogliere la consolazione che il Signore ci presenta. Lasciamoci consolare da Dio.

 

13-1-01 Is 40, 6-11; 1 Co 11, 23-26; Lc 13, 10-17 (Francesco)

Ogni uomo è come l'erba

- Affidiamo alla Vergine Maria questa eucarestia e la giornata che ci attende. Oggi il Signore ci dice parole di consolazione. Ci mette di fronte alla nostra povertà e alla nostra debolezza, ma anche alla sua tenerezza. Il pastore che conduce il suo gregge a pascoli quieti è il nostro Dio. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, deponendo sul suo altare ogni nostra fatica e ogni nostra umiliazione.

- Appena la voce dice "grida", ne segue "io rispondo". E' il nostro io interpellato dal Signore. Richiama il "Manda me". Subito dopo però si parla della fragilità dell'uomo. L'uomo è impari rispetto alla parola del Signore, ma deve solo gridare questa parola, essere annunziatore della buona notizia che il Signore è proprio in mezzo a noi.

- Bello l'accostamento col Vangelo dove Gesù libera la donna dalla schiavitù di Satana. Anche l'immagine del pastore è molto piena d'amore.

- Il grido può voler dire: l'uomo è piccolo e Dio è grande, o anche che Dio è attento all'uomo, lo cura e lo custodisce.

- Nel testo originale tutti i verbi del vs 9 sono al femminile. Si potrebbe pensare che il soggetto fosse Gerusalemme, che invece è la destinataria dell'annuncio. Allora forse si può pensare a Maria, o alle donne cui è affidato l'annuncio (ad es., Maddalena).

- vs 8: "la parola di Dio dura sempre". Viene usato il verbo "sorgere", c'è un'idea di movimento forte, di vera vita. La fragilità della carne è attribuita non solo ad una caratteristica della carne stessa, ma ad un soffio dello spirito di Dio. L'azione del Signore è mettere allo scoperto la fragilità della carne in vista della redenzione. La voce: c'è una rivelazione di Dio che, a partire dalla sua parola, passa per tutto il creato.

- I soggetti femminili del vs 9 sono quelli che portano l'annuncio (Sion, Gerusalemme). Portano messaggi felici perché portano il vangelo e quindi Gesù; sono figure di spose che divengono annunciatrici.

- Il grido potrebbe essere quello della povertà dell'uomo, o quello di Gesù sulla croce nella condivisione della morte dell'uomo.

- Il grido di oggi riprende quello di ieri nel deserto che preparava la venuta del Signore. Oggi ha come oggetto la considerazione della miseria dell'uomo che è come l'erba. Questo ci dà la misura della deblezza del verbo che divenne carne. La sua gloria è come quella del fiore del campo (nei LXX è "gloria", mentre in ebraico è "misericordia"). La misericordia dell'uomo è come il fiore del campo: non è solo la condizione misera della carne, ma è una qualità morale, è la poca fedeltà dell'uomo verso l'amore di Dio (pietas). In questa condizione di debolezza generale lo Spirito del Signore soffia rendendo più evidente la debolezza, ma anche cancellandola, facendola scivolar via ("soffia" si trova anche in Gen 15 quando Abramo caccia, soffiando, gli uccelli rapaci dai suoi sacrifici, e nel Salmo 147: "fa soffiare il vento e scorrono le acque"). Dopo aver detto che ogni carne è così debole, aggiunge che veramente anche il popolo è così: neanche l'unità più grande, il popolo tutto insieme, diventa più forte. E' un'ulteriore nota della povertà dell'uomo che è anche collettiva. Su questa situazione di estrema debolezza ci sono due certezze: la parola di Dio rimane in eterno, e ci sono annunziatrici che dicono che il Signore viene: "Ecco il vostro Dio". Di Lui si dice la forza, la potenza, il dominio, l'opera, in Lui si trova tutto ciò che non si può trovare nell'uomo. L'ultima immagine è quella di un pastore che pasce il suo gregge, solleva gli agnelli e conduce in luogo di riposo le pecore madri. E' un gesto di grande delicatezza. E' un Dio che di fronte alla povertà dell'uomo si avvicina e volge in compassione tutta la sua potenza.

 

15-1-01 Is 40, 12-24; 1 Co 11, 27-34; Lc 13, 18-21 (Giovanni)

 

Il Signore si fa piccolo per noi

- E' importante non dimenticare i primi versetti del capitolo 40 perché dobbiamo sempre tenere presente quanto sia grande il Signore, come si pieghi sui suoi figli più piccoli e come sia indotto a farsi piccolo proprio per piegarsi su di noi. La superbia del nostro cuore ci impedisce spesso di vedere il Signore perché lui è piegato su di noi, troppo piccolo per noi. Anche l'apostolo Paolo oggi ci avverte che la liturgia ci mette davanti al mistero di questo Dio piccolo, racchiuso nel pane e nel vino. Affidiamo alla sua misericordia la nostra personalità orgogliosa che ci porta lontano dal mistero di Gesù. E' a Lui che chiediamo il perdono ed il riconoscimento della nostra condizione di figli amati.

- Il testo di oggi è come diviso in due parti: 1) tutte le domande, retoriche, che sottolineano la grandezza di Dio; 2) gli artefici degli idoli, distratti dall'opera delle loro mani. Anche la nostra vita è spesso così: sempre presa dalla costruzione delle nostre cose, indifferente a quel Dio che, proteso su di noi, ci ama.

- vs 17: "tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui". Questo "nulla" è proprio quello che noi siamo di fronte al Signore. Questo "di fronte" richiama la creazione della donna (fatta perché l'uomo avesse di fronte una creatura simile a lui), quindi sembra quasi un'intenzione del Signore di sposare questo "nulla".

- Sono solo domande retoriche o ad alcune si può trovare una risposta pertinente? Spesso noi siamo così presuntuosi da voler correggere l'opera del Signore, o suggerirgli cosa deve fare. L'accostamento col vangelo è importante: il regno di Dio è piccolo e nascosto come il seme di senapa ed il lievito.

- Questo testo è citato in Rm 11: "Dio ha chiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia. O profondità della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo?"

- L'intendimento del testo è quello di dirci che noi non possiamo avere nessun rapporto col Signore se non è Lui che ce lo concede. Se Lui si rende presente, il contatto con Lui è importante anche per il nostro vivere quotidiano; altrimenti affrontiamo le cose in modo ridicolo (l'acqua del mare col palmo della mano, ecc). In Sap 9 dice che anche le cose terrene sono ardue: pensare di capire una persona o anche le ragioni della propria storia sono imprese impossibili se affrontate da soli. Il vs 16, "Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per l'olocausto", ci fa capire che tutto è inadeguato e quando si pretende di impadronirsi del mistero si costruisce un idolo ridicolo. Anche se mettiamo in atto tutte le nostre capacità di fare, se Dio non si rende presente tutto è inconoscibile e inadeguato. Nel testo di domani si capirà la preziosità del contatto con Lui che si china verso di noi. La realtà di Dio è dentro a tutte le cose per come Lui le visita. Dio anche oggi si cela nella fragilità del pane e del calice e solo l'orientamento della nostra persona verso l'umiltà ci permetterà di muoverci sia verso le cose di tutti i giorni, sia verso le cose di Dio. Sollecitare che Lui venga, riconoscerlo nelle nostre umiliazioni, là dove dobbiamo essere salvati, ci consente di trovarlo. E' soltanto riconoscendo i nostri limiti e la nostra piccolezza che possiamo finalmente aprirci alla preghiera.

 

16-1-01 Is 40, 25-31; 1 Co 12, 1-11; Lc 13, 22-30 (Francesco)

 

Tutto il mistero del male è interno al progetto positivo di Dio

- C'è una domanda nel passo di oggi del profeta Isaia, che è fatta da Dio stesso. E' un invito accorato ai suoi figli di non temere nella loro situazione di umiliazione e di dolore, perchè la loro vita è sotto il suo occhio misericordioso. Chiediamo perdono per aver spesso dimenticato che il Signore ha il suo sguardo su di noi e su tutti gli uomini.

- vs 27: sembra che inizi un discorso un po' diverso, ma a ben guardare è un discorso unitario. Ognuno è confrontato col male, ma anche il male è sotto il controllo di Dio. Nulla è nascosto a Lui, nessuna delle sue creature. Tutto il mistero del male è interno al progetto positivo di Dio.

- Non è un richiamo ad un generico Dio creatore: infatti chiama per nome tutte le sue creature, anche i singoli (vs 31: "quelli che sperano in lui").

- vs 28: "non si stanca", ma Gesù si fermò stanco al pozzo della Samaritana. Non c'è contraddizione perché Gesù non si stanca mai di occuparsi di noi, la Samaritana riceve da lui vigore e forza per correre a dare l'annuncio ai suoi.

- Gli ultimi due versetti sono di grande speranza. Nessuno è a posto, ma chi spera nel Signore riprende forza e tutti siamo invitati al grande banchetto di Dio.

- Il testo di oggi va letto in continuità con quello di ieri dove c'era continuamente la domanda "Chi?" che sottolineava l'unicità e la grandezza di Dio contrapposta alla nullità della creatura, al nulla delle nazioni, al nulla della terra informe (Genesi). Questo potrebbe portare ad una certa depressione della creatura che viene come schiacciata dal tutto di Dio. Oggi invece dice che Dio è pieno d'attenzione e di misericordia nei confronti della sua piccola creatura. Dio è unico, ma ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza e ci invita a levare in alto i nostri occhi. E' un invito bellissimo per dare speranza, richiama Abramo quando deve guardare le stelle del cielo. A quest'uomo piccolissimo viene data una grande potenza. Al vs 26 "Chiama tutti per nome" richiama il buon pastore di Gv 10 che chiama per nome tutte le sue pecore. Anziché perdersi davanti all'ampiezza di Dio, l'uomo è chiamato a guardare la potenza che gli viene data ed a considerare che neppure uno manca al numero di questi che il Signore chiama per nome. Il vs 27 ci dice una cosa molto consolante: tutto è noto a questo nostro Dio che si presenta come Padre buono per tutti. Al vs 28 poi si dice che Dio è "eterno", cosa collegata alla resurrezione. Infine (vs 31), c'è la beatitudine di coloro che sperano nel Signore e sanno stare dentro, con mansuetudine, alle loro tribolazioni: il Signore dà loro una forza ed una giovinezza che travolgono ogni limite anagrafico.

 

17-1-01 Is 41, 1-7; 1 Co 12, 12-26; Lc 13, 31-35 (Giovanni)

E' una grande storia d'amore

- La conclusione del cap. 40 aveva fatto pensare che la linea più forte di consolazione è confermarci che ogni storia è immersa nel rapporto fra Dio e la sua gente. Dio è estremamente interessato alla vicenda della gente; è una grande storia d'amore, con ferite e tradimenti, che ci vede amare Dio, ma anche gli idoli, ravvederci ed essere perdonati. Aggrappiamoci alla domanda "chi?", alla quale diamo spesso risposte sbagliate. E ricordiamo che il Signore ci conduce nella via della salvezza e della pace.

- vs 1: richiama l'ultimo versetto di ieri. Il testo inizia ancora con "mutare forza" che richiama il mistero della Pasqua: debolezza che è forza, mitezza che è grande novità perché annuncia una vittoria nuova.

- vs 4: "Io primo ... ultimo". Grandezza associata a debolezza, che ricorda quanto dice Gesù nel vangelo di Luca: il più grande è colui che serve. Invece i vs 6 e 7 indicano collaborazione e solidarietà per la costruzione di un idolo, qualcosa che vogliono innalzare, cosa ben diversa da Dio che si abbassa fino a noi.

- vs 1: le isole fanno pensare alla divisione sia fra i popoli che fra le singole persona. C'è un invito del Signore che vuole radunare tutti sotto la sua protezione. Bisogna riconoscere l'unità nel mondo del Signore; non pensiamo tutti allo stesso modo, ma tutti abbiamo bisogno di Dio, questo unifica tutto.

- vs 2: "Chi ha fatto sorgere..." vuol mostrare che Dio è l'origine di tutto. Le note indicano Ciro, un personaggio che non c'entra niente col popolo, ma che inconsapevolmente lo libera dalla schiavitù. Questo accade spesso; gli strumenti di Dio sono imprevedibili, fuori dagli schemi che noi possiamo pensare.

-Viene un grande vantaggio dall'accostamento dei testi di oggi. La lettera ci dice che la distruzione dei popoli descritta dalle scritture antiche è la distruzione della loro individualità cattiva che deriva dalla mancanza di umiltà. Tutti devono raccogliersi in Gesù, quindi c'è un grande movimento di conversione verso di Lui. Al vs 3 c'è la parola "pace" che non compare in italiano; la pace è Gesù, è l'invitare tutti alla conversione. Il vangelo aiuta a capire il senso del "Chi?": chi decide quando la morte diventerà la vita nuova. Il primo versetto di domani ci dice di Dio che si rivolge ad Israele col "Tu". La potenza di Gesù investe e distrugge, perché tutti possano, nella loro particolarità, lodare il Signore. In Gesù ogni persona ed ogni popolo non viene annientato, ma trova il meglio di sè. E' un Dio che fa fiorire: cedendo a Lui ognuno ritrova se stesso. Andando verso Dio si esce dall'alienazione e dall'isolamento, senza che si annullino le singolarità. Il "Chi?" rimane un enigma che continuamente si ripropone; è il mistero vivo di Dio che irrompe nelle vicende della nostra vita, giorno dopo giorno. Anche leggere il vangelo non è mai definitivo e noi sperimentiamo una cosa molto bella: il vangelo non è il modo per andare in Paradiso, ma è il Paradiso, così come la carità è il Padre Eterno. Quando ci incontriamo con Dio, nell'intimo o nella comunione, celebriamo il Signore. La barca della nostra vita tocca subito la riva in Gesù. "Il primo e l'ultimo" di vs 4 ha diverse traduzioni, ciascuna significativa: Lui è il primo ed è anche con gli ultimi; oppure Lui è il primo e l'ultimo come in Apocalisse, collega il presente con l'eternità. In Lui viene celebrato come un grande abbraccio ed oggi, alla soglia della preghiera per l'unità dei cristiani, chiediamo al Signore che Ebrei e Cristiani possano leggere assieme le Scritture. Gli ultimi versetti ci fanno capire che poi, in fondo, siamo sempre dei costruttori di idoli, ma il Signore è paziente e ci cerca sempre.

 

18-1-01 Is 41, 8-16; 1 Co 12, 27-31; Lc 14, 1-6 (Francesco)

 

Non temere, perché io sono con te.

- La Chiesa ha pregato ieri per il popolo ebraico e oggi inizia la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il posto speciale riservato ai nostri fratelli e padri ebrei è giustificato anche dalla parole che leggeremo oggi nel libro di Isaia. Il profeta rivolge a Israele espressioni che possono lasciare perplessi per l'esclusione di altri, anche nostra. Ma sappiamo che l'elezione di Israele è l'elezione del piccolo e del povero. In Israele, quindi, possiamo riconoscerci anche noi. Questa è una via di consolazione, ma anche di giudizio per chi si è allontanato da umiltà e povertà. Per questi peccati, che anche noi abbiamo commesso, chiediamo perdono al Signore.

- vs 10, in latino: "la destra del mio giusto tirerà su te", proprio come dice nel vangelo l'idropico. Dio elegge il piccolo ed il malato.

- Il vangelo può illuminare il brano di oggi anche perché al vs 13 dice "Io sono il tuo Dio e ti tengo per la destra", così come nel vangelo Gesù prende per mano. Più avanti in Isaia comparirà la figura del servo, che si fa prendere per mano; è colui che riscatta e, per far questo, deve essere riscattato. Un servo non potente, ma che ha bisogno di essere condotto da Dio.

- E' molto sottolineato che il servo non deve temere. Ed anche che i nemici (in greco) "non sono e non saranno" (il contrario del "Io sono" di Dio).

- vs 14: non è una condizione di piccolezza che viene descritta, ma è la condizione estrema, quella in cui si trova Israele.

- Il servo non deve ingaggiare battaglia coi nemici: Papa Giovanni diceva che la Chiesa non ha nemici. Chi è chiamato alla comunione piena con Dio è fuori da questi schemi: i nemici non ci sono, non ci sono presenze umane ostili. Il nemico è solo il demonio.

- Sono molto ripetuti i segnali d'affettuosità di Dio per il suo servo amato. La parola "servo" qui non è un segno di distanza, ma di stima. Essere servo di Dio vuol dire essere a lui graditi e poter essere suoi strumenti per la salvezza (nei LXX servo vuo dire quasi "ragazzo", "figlio"). Poi c'è il verbo dell'amore. E' un servo amato. C'è un'intenzione decisa di Dio di non abbandonare Israele, che quindi non deve temere ("Io sono con te", vs 10). Negli ultimi versetti il servo viene investito di una forte funzione, un'azione divina: vegliare. Il servo, nonostante le sua debolezza è strumento del giudizio di Dio.

 

19-1-01 Is 41, 17-20; 1 Co 12, 31-13, 13; Lc 14, 7-14 (Francesco)

 

Io, il Signore, li ascolterò e non li abbandonerò

- I miseri ed i poveri cercano l'acqua, ma l'acqua non c'è, dice il profeta. E' nell'eucarestia che i miseri e i poveri trovano risposta alla loro sete. Ringraziamo il Signore che ci porta a luoghi di quiete e di nutrimento. Siamo grati al Signore che elegge i poveri. Elezione è parola che incontriamo già da parecchi giorni; oggi c'è anche il congiungimento fra i poveri di cui parla il Vangelo e i poveri di cui parla il profeta. Riconosciamoci deboli e peccatori, perchè è proprio in questa condizione che incontreremo il Signore.

- Il testo d'Isaia rimanda all'Eucarestia ed all'unica fonte che è il costato del Signore. Nella "Pacem in terris" Papa Giovanni dice che è necessario garantire l'acqua potabile a tutti, cosa che è ben lontana dall'essere realizzata.

- I poveri cercano, ma non chiedono; ed il Signore ascolta e non abbandona.

- Nel vangelo si parla di un invito a nozze ed ai vs 18 e 19 di Isaia si parla di acqua ed alberi come nel Cantico dei Cantici, dove sono immagini della sposa e dello sposo. Il Signore prepara le nozze nel deserto della nostra vita. Poi ci sono parole che richiamano Gesù in croce.

- Nella lettera ai Corinti dice: "Quando verrà ciò che è profetato". In Isaia c'è una situazione di mancanza; la promessa di Dio di intervenire si può collegare con "l'oggi" del vangelo, quando racconta di Gesù che parla nella sinagoga.

- Al centro dell'attenzione ci sono i miseri ed i poveri. E' bello che questo sia il modo di continuare il discorso sull'elezione d'Israele che significa non esclusione, ma via di salvezza degli altri. In Israele nel povero e nell'eletto si possono riconoscere tutti gli altri popoli, infatti i miseri ed i poveri di oggi non hanno nazionalità. Israele poi dirà che il "consacrato" viene per portare il lieto annunzio ai poveri; siamo quindi in un punto fondamentale delle scritture. La ripetizione dei verbi del conoscere nell'ultimo versetto sta ad indicare che è Dio che compie l'opera. Anche nei Corinti si parla non di virtù, ma di una persona (Gesù) che compie opere. Gesù è la carità nella visibilità storica. La carità è la grande opera di Dio. Ed il vangelo ci sbalordisce per l'insegnamento: come ha fatto Dio che non ha voluto contraccambio dall'uomo, così dovremmo fare noi.

20-1-01 Is 41, 21-29; 1 Co 14, 1-12; Lc 14, 15-24 (Giovanni)

 

Io, il Signore, ti ho chiamato

- Il cap. 41 del profeta Isaia appare sempre più orientato verso la liturgia di domenica prossima (III TO, anno C). Il Signore attraverso il profeta chiede quali siano i tempi e i luoghi della rivelazione. La riposta è: la liturgia. Il banchetto liturgico è l'inizio di una storia nuova. Noi siamo sempre trascinati lontano da questo banchetto, verso altre seduzioni. Chiediamo perdono per i nostri peccati e chiediamo che sia rafforzato in noi il significato del banchetto eucaristico, anche perchè esso illumina tutte le altre nostre vicende.

- La lettera ieri metteva al centro il primato della carità, oggi la preminenza della profezia. In Isaia si dice che gli idoli non hanno né profezia, né carità: non fanno né bene né male.

- Dio contrappone agli idoli non se stesso, ma qualcuno che Lui ha suscitato e che Lui chiama. E' un segno potente dell'umiltà del Signore che si vuole manifestare attraverso la piccolezza del servo di cui si parlerà al prossimo capitolo.

- vs 24: "E' abominevole" nella Vulgata diventa "E' abominio chi sceglie voi". L'elezione che compie questa persona chiamata "abominio" (principe del mondo) contrasta con l'elezione ad un banchetto di comunione; infatti "abominio" è colui che tiene sotto di sè tutti quelli che, nel vangelo, sono invitati ma non vanno alle nozze.

- Il soggetto (plurale) dei primi tre versetti è il Signore con noi; quindi il testo, nella prima parte, ci descrive. Nella liturgia noi torniamo a vedere le cose nella loro prospettiva vera. Nel vangelo il bisogno di andare a vedere il campo appare inevitabile; il campo sembra una cosa grandssima, ma in realtà è piccola. Solo nella liturgia riprendiamo il senso delle proporzioni, è lì che riceviamo la grazia di poter rimisurare la nostra vita. L'adesione al banchetto non è solo un dovere morale, ma è tornare alla verità e cogliere, di lì, tutto il resto nella giusta misura. Le ragioni che portano via dal banchetto possono essere anche molto rilevanti ("ho preso moglie"), ma bisogna tornare ad una lucidità che solo Dio può dare. Nella seconda parte del testo il soggetto è Dio che rivendica la luce che Lui solo può dare. Nei Corinti il primato della profezia rispetto alle lingue è un discorso audace: ma "le lingue" pur essendo rivolte a Dio, partono dagli uomini, mentre la profezia parte da Dio e va verso gli uomini. Così le nostre "originali" preghiere non sono mai buone. Tutto quanto parte da noi è pericoloso, è spesso identificazione dell'idolo, il quale non sempre è falso, ma è sproporzionato; prende il nostro cuore ma è nulla, non sa fare né il bene né il male, è un vuoto che noi edifichiamo perché abbiamo bisogno di un dio, al limite costruiamo l'idolo di noi stessi. Dio combatte per farci capire che è Lui che organizza il banchetto. Ieri Dio ci ha presentato la carità come un dono che viene da Lui. L'"Io" che conclude il cap 41 è molto bello perché ci rimette nella proporzione giusta. C'è anche un discorso molto importante sul tempo: noi siamo spesso spinti verso il futuro in modo alienato (in positivo o in negativo) e Lui ci ricorda che è Lui il Signore del tempo. La liturgia, nella memoria del passato, ci ricorda dove andremo a finire togliendoci ansie e preoccupazioni e permettendoci di ricollocare tutto nella speranzae nella pace.

 

22-1-01 Is 42, 1-4; 1 Co 14, 13-19; Lc 14, 25-33 (Francesco)

 

Ecco il mio servo che io sostengo

- E' bello che la liturgia ci conduca con grande delicatezza e sapienza dalle letture domenicali al tessuto della lettura feriale con così grande continuità. Il compimento delle letture antiche in Gesù, che abbiamo visto ieri, è in singolare armonia con la figura del servo che oggi troviamo nel libro di Isaia. Così Gesù è sempre al centro della nostra speranza. Chiediamo un cuore più aperto ad accogliere la Parola di Dio e chiediamo perdono per ogni nostra distrazione verso gli idoli che insidiano la nostra vita.

- La persona che piace a Dio (in Isaia) è legatissima alla figura di Gesù che abbiamo incontrato ieri (dom III T.O.). I vs 2 e 3, con tutte quelle negazioni, ci dicono che è una persona specialissima. I verbi, qui negati, sono quelli dell'affermazione mondana o come mondanamente ci si raffigura che sia Dio. Ma non è così: la rinuncia alla violenza è la sua forza. Gesù è molto forte perché è molto mite. L'ultima parte di vs 3 è tradotta in modo un po' temerario, in ebraico è: "Con tutto questo lui farà fiorire il diritto verso una pienezza di verità". Il verbo "proclamare" e la parola "fermezza" andrebbero attenuate.

- Il Signore ci svela pian piano il mistero del suo Cristo. Al cap 41, 8 "Tu Israele, mio servo" ci mostrava l'amore del Signore per il suo popolo. Oggi c'è questa persona particolare su cui il Signore pone il suo Spirito. Da un popolo si passa ad una persona della quale viene descritto il modo di essere.

- "Ecco il mio servo" fa pensare ad "Ecco l'uomo" della Passione secondo Giovanni; caratteristiche sono il silenzio e la proclamazione del diritto con fermezza.

- "Ecco": dopo aver comtemplato il carattere deludente degli idoli di cap 41, viene fuori questa persona verso la quale volgere lo sguardo. "Servo" include anche una connotazione benevola, significa "bambino" o "ragazzo", quasi un bambino che ha bisogno di essere sostenuto dal padre. "Di cui mi compiaccio" indica non solo gradimento, ma accettazione del sacrificio. Poi l'improvvisa apertura a tutte le genti: il compiacimento di Dio non lo isola, ma lo fa uscire verso le genti. La mitezza e delicatezza del servo è segno d'attenzione ai destinatari del messaggio. Non c'è la parola "fermezza", ma "verità" ed al vs 4 dice "anche lui non si estinguerà e non verrà meno". Le isole sono già preparate ad accoglierlo: c'è un mistero d'attesa di qualcosa che non sanno. Tutto prende il volto di Gesù. Testo bellissimo di speranza e luminosità che è legato al vangelo di oggi per l'invito che il Signore fa circa il discepolato nei suoi confronti. Bisogna mettere Lui al di sopra ed al centro di tutto il nostro affetto, delle nostre scelte, delle nostre relazioni con le persone che abbiamo vicino.

 

23-1-01 Is 42, 5-9; 1 Co 14, 20-25; Lc 14, 34-35 (Francesco)

 

Perché tu apra gli occhi ai ciechi

- Il servo del Signore apparso ieri, oggi assume nuove ed importanti connotazioni. In particolare, si parla di una sua opera di illuminazione per i nostri occhi e per i nostri cuori. Con la Parola di giustizia e di misericordia di cui è portatore, rivela la nostra piccolezza, ma anche il grande amore che Dio nutre per noi. Dobbiamo solo lasciarci liberare dal carcere in cui ci troviamo e dal buio che ci domina.

- vs 6: "ti ho chiamato". Di chi sta parlando? L'ultimo versetto di oggi dice che queste parole sono preannuncio di cose nuove e dà in questo modo una risposta al vs 6: si tratta del profeta, ma non solo di lui, perché poi sarà il Messia ed anche tutti coloro che appartengono a Cristo.

- Questi versetti descrivono il mistero dell'uomo, dalla sua creazione, alla caduta, alla redenzione. C'è la signoria del Signore su tutto, il suo disegno di salvare la sua creatura attraverso il suo servo, il suo Messia.

- Si parla tre volte del Signore: nel vs 1 della creazione e dell'attenzione del Signore per ognuno; poi della redenzione operata dal Figlio, un fatto di luce contro le tenebre; infine del bisogno del Signore di difendere la sua creatura, della sua gelosia.

- vs 8: è molto solenne. Cos'è la gloria che non darà ad altri? Forse è l'opera di guarigione dei ciechi e di liberazione dei prigionieri: è l'opera di salvezza.

- vs 9: colpisce la signoria del Signore sul tempo: abbiamo un tesoro che dobbiamo cercare di comprendere.

- Il tema della luce. Il servo riceve un compito particolare. Dio (vs 5) è creatore di tutto e di tutti e dà non solo la vita, ma anche lo Spirito a quanti camminano sulla terra. Poi c'è un compito particolare dato al suo servo (come a Gesù): essere alleanza del popolo e luce delle genti. Il servo cioè ha il compito di riconciliare il popolo a Dio (alleanza), e di portare luce alle genti. Infatti dice che gli uomini sono ciechi, prigionieri e siedono nelle tenebre. C'è un progresso della rivelazione della nostra condizione di persone che devono essere tirate fuori dalle tenebre. In Gv 9 verso la fine dice: "Forse siamo ciechi anche noi?" E' autoescluso l'uomo che crede di vederci. Al vs 8 dice che il fine di tutta questa operazione è la gloria di Dio, la sua vittoria sugli idoli.

 

24-1-01 Is 42, 10-17; 1 Co 14, 26-40; Lc 15, 1-10 (Francesco)

 

Cantate al Signore un canto nuovo

- Il brano del Profeta inizia parlando di un canto nuovo e noi abbiamo iniziato la liturgia con un canto che narra la vittoria del Signore sui suoi e nostri nemici. Il canto è nuovo perchè celebra l'irruzione vincente di Dio nella nostra vita, rinnovandola ogni giorno. Benediciamo il Signore che ci invita a cantare di gioia e ci consente di riprendere con nuova speranza la nostra vita. Chiediamo perdono per tutte le ombre della nostra anima che ci trattengono dall'elevare questo canto.

- Passo bellissimo quello di oggi che va letto in continuità coi versetti precedenti. Risalta il comando a tutta la creazione di cantare un canto di lode. Vengono usati verbi diversi per esprimere la lode, ne risulta una grande, universale sinfonia che investe tutto. Perché tutto questo? Per questo servo che viene mandato per salvare tutto e tutti. Oggi improvvisamente c'è il Signore, col suo amore geloso che riempie tutto. Tutto viene trasformato: guida i ciechi per vie sconosciute, trasforma le tenebre in luce.

- Al vs 17 tutta la grande sinfonia finisce, l'uomo non sa vedere, è fragilissimo e torna sempre agli idoli. Dio vede ed ha un'attenzione grandissima nei confronti della piccolezza dell'uomo perché, nonostante tutte le infedeltà, lo ama.

- Impressiona il "Canto nuovo". La novità in cosa consiste? Nel Salmo 39, 4 dice che è nuovo perché "Mi ha tratto dalla fossa della morte". Il Salmo 143, 9 perché "Dai vittoria al tuo consacrato". In Giuditta 16, 13 è il canto di vittoria su Oloferne . La novità è legata all'opera straordinaria e fondamentale che Dio compie della vittoria sulla morte e sui nemici. I Salmi 95, 1 e 97, 1 dicono che quando si parla del "Canto nuovo" si parla di tutte le genti. Il "Canto nuovo" in Ap 5, 9 e 11, 3 è dovuto al fatto che l'Agnello è stato immolato ed ha salvato così uomini e nazioni. Al vs 14 è descritto il silenzio di Dio, che è il suo stile normale, che deriva dal suo amore: "Tacqui dall'eternità, feci silenzio, mi contenni" (è il verbo usato quando Giuseppe si contenne davanti ai fratelli). E' anche il silenzio di cui parla Sofonia. E' un silenzio tutto interno al rapporto amante di Dio per la sua creatura. Al vs 14 "ora" non c'è: non è che il Signore si stanca di tacere, ma continua il suo silenzio da sempre e questo silenzio ha la sua evoluzione nel dolore del parto. In conclusione si parla sempre del servo ubbidiente e fedele che, in questo modo mite, porta il suo messaggio di salvezza.

 

25-1-01 Is 42, 18-25; At 9, 1-22; Mc 16, 15-18 (Giovanni)

 

Sordi ascoltate, ciechi volgete lo sguardo per vedere

- E' una grande grazia la possibilità di celebrare la conversione di San Paolo attraverso le parole del profeta Isaia del brano di oggi. Il male è un grandissimo mistero che non deve dare a noi occasioni di giudicare gli altri. Siamo ciechi e pensiamo di vederci. Nessuno può dirsi adeguato a questo mistero. E' nel male che si celebra la meraviglia della conversione. Dio agisce proprio nel male con grande determinazione e delicatezza. La ragione di vita più importante delle nostre famiglie è essere luoghi di misericordia. Il Signore non ci risparmia prove e peccati proprio per manifestare la sua potenza. Ci fa bene incontrarci ogni giorno col nostro "impossibile" per affidarci a Dio e alla sua misericordia.

- vs 18: impressiona l'inizio del brano di oggi perché chiede cose impossibili: "Sordi ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere". Questo riguarda tutti: nei confronti della parola di Dio e del suo mistero noi siamo sempre sordi e ciechi, da questo non è esente neppure il servo del Signore, l'eletto, il protetto (vs 19). Quindi è una condizione del tutto generale, ma è proprio in questa condizione di sordità e cecità che il Signore fa fiorire la sua grazia: "Essendo ciechi vedono, essendo sordi odono". Solo l'intervento del Signore può cambiare la situazione (vedi conversione di Paolo).

- La richiesta impossibile di vs 18 viene spiegata al vs 24: c'è un nemico, un impedimento e poi, più profondamente, c'è un disegno di Dio che è per la conversione e la salvezza. In Gv 5 dice che è venuto il momento in cui i morti udranno. Alla fine c'è la potenza della Pasqua.

- vs 20: "Avete visto molte cose, ma non avete custodito". C'è quindi la possibilità di vedere, ma è la custodia che ci permette di stare attenti ed ubbidire.

- La serie di domande iniziali farebbero pensare che i destinatari della missione del servo fossero i ciechi ed i sordi (gli altri), invece il destinatario è l'inviato stesso, il servo e con lui tutti noi.

- Il vs 20 si può avvertire anche come un dramma; in questo ci aiuta la festa di oggi. Infatti Paolo è una persona lucida, che vede bene ed è lì che deve capire di essere cieco. La cecità è propria di quelli che ci vedono, non ci sono scappatoie etiche o morali (siete ipocriti, o ignoranti). Quindi anche chi è in perfetta buona coscienza può essere cieco. Il male è lucidità, è un certo modo di vedere. Paolo è accecato quando viene la luce vera; è allora che perde la sua lucidità. Quindi il giudizio verso il fratello è gravissimo: per noi c'è la figura drammatica della trave nell'occhio. Spesso ci si occupa dei mali altrui (piani pastorali, interventi sociali, ecc.) per non vedere il proprio dramma. Il male, come lucidità e potenza razionale è talmente più forte di noi che solo i ciechi possono cominciare a vedere. La conversione parte da una certa resa al mistero delle tenebre. La parola di Dio ci porta dentro ad una caverna dalla quale solo Lui ci potrà liberare (Salmo 12: "Dal profondo gridiamo a te"). E' una resa al mistero del male; non è un modo di essere, è un fatto che deve succedere, un luogo, un tempo. La vera carità nella misericordia è l'essere sempre partecipi al grande movimento che Dio ci mette intorno per salvarci (notare la complessità di persone e luoghi nella conversione di Paolo). Siamo sempre dentro al grande mistero della conversione.

 

26-1-01 Is 43, 1-8; 1 Co 15, 1-11; Lc 15, 11-32 (Francesco)

(Battesimo di Nicolas)

 

Non temere: tu mi appartieni

- Vedremo che letture di oggi, tratte dal Libro del Profeta Isaia, dal Libro dell'Apocalisse, e dal vangelo secondo Luca, sono proprio adatte per la celebrazione di un battesimo, in quanto ci parlano dell'amore di Dio per le sue creature. Per avvicinarci ai sacri misteri, confessiamo i nostri peccati.

- Nelle parole d'Isaia il Signore parla della sua creatura: l'ha creata, plasmata, riscattata. E' proprio quello che oggi è accaduto a questo piccolo bimbo che abbiamo appena battezzato. Il vangelo ci parla di una creatura che lascia la comunione e si allontana. E' la storia di ciascuno di noi. E' necessaria una redenzione, un gesto di Dio. Nelle parole del Profeta, al vs 1, il Signore dice: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni". Il bimbo infatti non è più solo dei suoi genitori, ma è del Signore e, quindi, di noi tutti. Il padrino è il primo segno dell'estensione d'appartenenza. Attraverso il profeta il Signore dà grandi assicurazioni riguardo il suo interesse e la sua protezione sull'uomo. Il battezzato non sarà preservato dal passare attraverso l'acqua ed il fuoco, ma il Signore sarà con lui. Dio ci ama singolarmente, ciascuno di noi è prezioso al suo cuore. San Paolo poi ci ha ricordato il cuore della nostra fede: la morte e resurrezione di Gesù. L'affetto del Signore è proprio per ciascuno di noi, anche per quelli che non si sentono all'altezza. Il Signore non fa problemi: corre incontro al figlio che si era allontanato e per lui fa una gran festa.

 

27-1-01 Is 43, 9-13; 1 Co 15, 12-19; Lc 16, 1-9 (Francesco)

 

Voi siete miei testimoni

- La regola, ponendo alla nostra attenzione il tema della carità, ci aiuta a meditare le parole che ascolteremo dal Profeta. Attraverso il Profeta, Dio ci dice di essere unico e di non tollerare altri dei. C'è anche un'unicità di rapporto fra Dio e noi, in quanto solo a Lui apparteniamo. Chiediamo al Signore di darci luce e forza perchè il nostro spirito sia liberato da ogni falso dio.

- E' da sottolineare il modo in cui vengono dette le cose che il brano contiene. C'è una specie di pathos di Dio che vuole comunicare col suo popolo con determinazione e, si potrebbe dire, con ansia. Interessa anche la dialettica fra popolo del Signore e genti. C'è una scelta di persone che credono e capiscono bene l'unicità di Dio (vs 10). Testimoniare l'unicità di Dio è il compito che il popolo di Dio ha in mezzo alle genti.

- vs 10: esprime il disegno di Dio riguardo ciascuno di noi e noi tutti insieme. La conoscenza-fede sarebbe il motivo per cui il Signore ci ha scelti. La custodia del rapporto personale fra noi e lui vissuto nel segreto, quasi un mistero d'amore nuziale, prima ancora di un annuncio ad altri. Da questo scaturisce la possibilità di riconoscerlo in persone ed avvenimenti che si succedono nella nostra vita.

- Il Signore chiama a testimoniare. Vuole coinvolgere i suoi nella sua opera di salvezza. Concetto spesso ribadito nei vangeli ed in altri libri del NT.

- Ha rilievo ricordare il versetto conclusivo di ieri che nella Bibbia di Gerusalemme è associato al primo di oggi. Il popolo al quale Dio si rivolge è un popolo di sordi e di ciechi, che pure hanno orecchie ed occhi. Il Signore ha a che fare con questo popolo che è chiamato a testimoniare. Le cose sono successe, non si può non essere testimoni (richiama gli Atti, quando gli Apostoli dicono che non possono tacere quello che hanno visto e udito). C'è un'oggettività della storia, questo popolo ha vissuto in diretta l'opera di Dio e si deve fare testimone della sua unicità ed in particolare dell'unicità della salvezza. L'affermazione dell'unicità di Dio esige il "no" a tutte le altre ipotesi. Al vs 12 dice "non c'è fra voi alcun dio straniero". L'unicità di Dio è tale che non vuole fra noi né cose, né sentimenti, né pensieri, né divinità straniere. Dio è geloso, non tollera accanto a sè altre cose. E' un amore esigente, vuole unità, semplicità e forza verso di lui. Al vs 13 dice: "Non c'è chi liberi dalle mie mani, e chi può far tornare indietro?". Con la sua opera Dio imprime alla storia una direzione che nessuno può variare. Non ci si può voltare indietro, bisogna procedere secondo le indicazioni che Lui dà.

 

 

29-1-01 Is 43, 14-15; 1 Co 15, 20-28; Lc 16, 9-14 (Giovanni)

Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore d'Israele

- Il canto iniziale ci ha ricordato la potenza del Signore. Oggi le Scritture dicono che il Signore non solo ci salva, ma ci crea ogni giorno. La salvezza dalla morte ed il dono della vita ci vengono dati ogni giorno. La liturgia di oggi ci ricorda la grade novità: la nostra vita è nel Signore. Solo così possiamo avere speranza per la nostra vita e carità verso i nostri fratelli. Confessiamo al Signore i nostri peccati e le nostre prigionie e chiediamogli la liberazione, per noi e per tutti.

- In entrambi i versetti di oggi è citato il Santo d'Israele. Santo è una qualifica che distingue Dio da tutti gli altri. E' una separazione santa, una consacrazione. La specificazione "di Israele" mette assieme il concetto di lontananza con la grande vicinanza di Dio al suo popolo.

- vs 14: "Per amore vostro". Il modo con cui il Signore regge la storia degli uomini appare condizionato dall'amore per Israele, non da astratti criteri di giustizia. Chi dirige il mondo è l'amore.

- Questi versetti ci ricordano che al centro di tutto c'è il Signore, nostro redentore, nostro Santo, nostro Re.

- Nella Vulgata dice che a Babilonia Dio distrugge tutte le sbarre (lucchetti), cioè i legami con la morte (richiama l'icona della discesa agli inferi con tutti i lucchetti spezzati). Questo fa pensare che il "mandato" a cui accenna al vs 14 sia il Messia.

- Per il vs 14 del testo di oggi, molto oscuro, ci sono dubbi di traduzione; forse la versione italiana va bene. Il "contro Babilonia" è un bel modo di essere contro la morte, per liberarci di lei. Il Signore vuole sottrarci tutti alla morte, questa è l'unica opera che a Lui interessa. San Paolo dice che bisogna legare tutti i Signori della morte. I Salmi storici quando parlano della prigionia di Giuseppe parlano di spranghe che devono essere abbassate (o alzate). Tutti vanno liberati dalla morte, quindi si parla della Pasqua e, allora, anche di noi. La nostra adesione all'opera di salvezza è molto incerta, ma conviene tenere certo che non siamo Babilonesi, anche se siamo pessimi cristiani. Il Battesimo ci ha tratti fuori da questo mondo: il nostro Re, il nostro Santo, è Dio. Il Signore ci ha individuati bene come suoi e noi, anche se con i nostri peccati, lo aspettiamo. Questa consapevolezza ci sorregge durante la giornata. Anche nella frantumazione della nostra morale è importante sapere che (vs 15) Lui è il nostro creatore, il nostro Santo, il nostro Re. C'è un miracolo di creazione per cui, quando celebriamo i misteri, veniamo ricreati ogni giorno: questa è la cosa che importa. Poi la giornata andrà come vuole, ma noi sappiamo che il Signore sta mettendo tutti i nemici sotto i suoi piedi (San Paolo). Ci vuole la sapienza del tempo che ci aiuterà a vedere che ogni persona è del Signore. Anche noi, così confusi come siamo, dobbiamo tenere fermo il fatto che siamo del Signore, un recupero d'identità molto forte dovuto proprio a quello che Lui, ogni giorno, opera per noi.

 

30-1-01 Is 43, 16-21; 1 Co 15, 29-34; Lc 16, 14-18 (Francesco)

 

Ecco faccio una cosa nuova, non ve ne accorgete?

- Il testo di oggi contiene molti riferimenti alla pasqua degli ebrei e anche alla pasqua di Gesù. E' un testo di grande speranza, che parla di strade che vengono aperte, anche nei luoghi più impossibili come il mare. Chiediamo al Signore che ci faccia accogliere la sua parola come luce per la nostra giornata. Chiediamo anche perdono per i nostri peccati, con particolare riferimento alle parole del brano evangelico.

- vs 19: si può trovare un parallelo nel vangelo. Il fiume di salvezza può essere il battesimo o anche l'acqua che esce dal costato di Gesù.

- vs 20: le bestie selvatiche sono le persone che non conoscono il Signore. Sono un'appendice del popolo che qui viene dissetato. La cosa notevole è la lode che qui viene attribuita a sciacalli e struzzi, e che poi sarà attribuita al popolo.

- Sembra che Dio veda tutta la realtà, anche quella degli uomini, in modo un po' animalesco. Struzzi, strani e statici, sciacalli aggressivi e cinici. L'immagine della passione, "Ecco l'uomo", ci dice che l'unico uomo per Dio è Gesù. Solo a partire da Gesù c'è la possibilità di una nuova umanizzazione.

- vs 21: la risposta del popolo è celebrare le lodi del Signore. Lui ha fatto una cosa nuova, ha aperto una strada nel deserto. E' una grande descrizione del "Canto nuovo" visto in precedenza (cap 42). La strada è quella che Lui fa verso di noi (oltre a quella che noi facciamo verso di Lui). La cosa nuova è che non c'è luogo che Dio non possa visitare; per questo dobbiamo lodarlo.

- vs 19: colpisce che il Signore dica: "Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" L'azione del Signore si compie senza che nessuno se ne accorga. Quello di Dio è un invito affinché anche noi crediamo al di là di quello che possiamo vedere. E' il segno della potenza di Dio che opera anche là dove sembra impossibile. E' importante per noi credere anche al di fuori della carne: noi possiamo credere perché Lui l'ha detto ed avverrà. Questo è di grande speranza per tutti gli uomini.

- Ci sono tre testi del NT che sono un'esplicita ripresa di queste parole d'Isaia. Il vs 19 viene ripreso in Ap 21, 5: "Io faccio nuove tutte le cose. Scrivi perché queste parole sono certe e veraci". In Apocalisse ci sono poi molti altri punti comuni riguardanti il superamento di cose antiche e la comparsa di cose nuove. La srada nel mare contrasta l'immagine del mare che di solito rappresenta la morte. In Ap 15 si parla del mare di cristallo misto a fuoco, i redenti stanno sopra questo mare e non hanno più paura. Tutto avviene perché ci sia un popolo che narri le lodi del Signore. Poi è richiamata 2 Cor 5 quando dice: "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova". Il riferimento non riguarda le condizioni dei Santi in Paradiso, ma riguarda chi, oggi, è in Cristo. E' l'oggi dell'essere in Cristo che permette la venuta delle cose nuove. Questo è anche quanto vuole suggerirci l'Apostolo nel brano della lettera: se non risorgono i morti, neanche Cristo è risorto.

 

 

31-1-01 Is 43, 22-28; 1 Co 15, 35-41; Lc 16, 19-31 (Francesco)

 

Io cancello i tuoi peccati

- Il commento della Bibbia di Gerusalemme al brano di oggi parla di processo di Dio verso il suo popolo. Forse è più giusto parlare di un linguaggio severo, ma paterno. Dio vuol fare capire al suo popolo qual'è il modo di mettersi in relazione con Lui. L'odierna memoria di San Giovanni Bosco non è estranea a questo passo di Isaia. San Giovanni Bosco ha messo in atto un metodo educativo per i giovani basato sull'amore paterno e sulla prevenzione. Chiediamo al Signore di perdonare i nostri peccati, specialmente con riferimento a quelli riguardanti la modalità del nostro rapporto con Dio e con i nostri fratelli.

- I testi di oggi, presi singolarmente, potrebbero angustiare, mentre presi insieme si nota che parlano della correzione paterna, del rapporto padre/figlio, e questo fa tornare la speranza. Non è un Dio giudice, ma un Dio Padre che ci chiede di parlare e dice: discutiamo insieme.

- Il testo d'Isaia si può leggere in modo molto positivo: basterebbe considerare il vs 25: "Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati"; poi indica la strada della piccolezza, dell'umiliazione e anche della punizione per cancellare i peccati.

- Tutto il capitolo è un grande testo d'amore, un amore che non si rassegna. Oggi c'è la denuncia delle colpe dell'uomo, ma subito dopo c'è la distruzione delle sue iniquità che il Signore non vuole ricordare. Dio ci vuole a tutti icosti, mentre noi istauriamo con lui un rapporto servile, un dare-avere che lui proprio non vuole.

- Il primo rimprovero, "Tu non mi hai invocato", è l'inizio di tutti gli altri mali. Se c'è l'invocazione sincera Dio non può non ascoltare; poi verrà tutto il resto (In Is 64 "nessuno invocava il suo nome"). E' necessaria la consegna totale al Signore.

- Bisogna fare una lode alla Bibbia di Gerusalemme che dice che il brano di oggi gioca con le parole "stancare" ed "asservire". Il Signore non ha voluto stancare ed asservire il suo popolo. Questo richiama due brani evangelici: quello in cui Gesù dice che il suo carico è leggero e quello in cui Paolo annuncia che noi non abbiamo ricevuto uno spirito di servi. Lo stile di relazione con Dio è quello di non stancarsi né affannarsi invano, ma tenere un rapporto quieto da figli amati e non da schiavi. Presumere di acquisire meriti stanca Dio, bisogna avere fiducia in lui; tutto il resto stanca Dio e noi. L'invito è di rapportarsi a Lui in modo più riposante, completamente affidati.

 

1-2-01 Is 44, 1-5; 1 Co 15, 42-49; Lc 17, 1-6 (Francesco)

 

Non temere, Giacobbe mio servo

-Il primo verbo che incontriamo oggi è "ascoltare". Dio invita il suo popolo ad ascoltarlo. Ieri il Signore aveva ammonito il suo popolo e l'aveva invitato ad un abbandono fiducioso. Bisogna accostarsi al Signore non con la presunzione di avere qualcosa da portare, ma semplicemente per ascoltarlo e per contemplare il suo mistero. Chiediamo perdono per tutto quello che occupa indebitamente il nostro cuore e lo distoglie dall'ascolto della parola del Signore.

- Ascolta: deve ascoltare le parole belle che il Signore gli dice. Parole che ricordano che Dio l'ha creato, lo ha eletto, lo ama e lo riempie di doni. Non ci sono parole di rimprovero.

- Segno sulla mano: richiama Apocalisse quando parla dei sigilli e del segno sulla fronte che hanno gli eletti. Ricorda il segno della croce.

- vs 5: è una glorificazione dell'appartenenza. Appartenere al Signore è importante, contro la quotidiana tentazione di fare da soli. Il Signore ci chiama per nome: ci ha creati a sua immagine e siamo suoi.

- vs 2: in latino usa il presente sottolineando che il Signore continua a formare il suo servo. Il Signore agisce fin dal seno materno e continua per sempre.

- Dio sembra essere preoccupato più dei posteri che di Giacobbe ed anche Giacobbe è preoccupato per la sua discendenza e Dio lo rassicura. Il Signore dà lo spirito in abbondanza, per cui Israele è eletto non tanto per un'appartenenza carnale (vedi epistola), ma perché porta nella storia lo Spirito.

- vs 3: lo Spirito verrà sparso sulla discendenza, non su di lui. Il rapporto col Signore non è mai diretto. La nostra appartenenza al Signore passa attraverso i Padri eletti. Così Paolo dice che anche noi siamo figli, ma in Gesù. Il Signore ama il Figlio in noi, non noi direttamente. Questa non è una diminuzione del nostro rapporto personale con Dio, anzi ne è la pienezza.

- Servo: già ieri due volte il verbo servire era usato nella sua accezione negativa (il Signore non voleva asservire il suo popolo e non voleva da lui sacrifici servili). Oggi servo ha il significato d'appartenenza, non di schiavitù. Infatti parla di elezione. Anche le espressioni successive lo confermano. Il servo deve entrare in un rapporto d'amore col Signore. "Assetato" (vs 3) è parola usata per l'uomo, non per il suolo, quindi è l'uomo che è nella necessità di ricevere acqua. Poi, insieme allo Spirito, viene promessa la benedizione per i posteri. Il vs 5 "Io appartengo al Signore", richiama Es 28, l'investitura del sacerdote Aronne a cui viene messa una lamina d'oro sulla fronte con scritto "del Signore", perchè possa invocare il perdono del Signore sul popolo. L'appartenenza al Signore adesso è su tutto il popolo: c'è una dilatazione della scelta fatta dal Signore al popolo. Così Paolo parla di icona dell'uomo celeste che noi portiamo e questo è un altro segno d'appartenenza. In conclusione, sono immagini molto belle anche se un po' problematiche perchè ci costringono ad una conversione e ad un rinnovamento della nostra vita interiore. La loro azione su di noi è più efficace dei testi che segnalano il nostro peccato.

 

3-2-01 Is 44, 6-20; 1 Co 15, 50-58; Lc 17, 7-10 (Giovanni)

 

Non siate ansiosi, non temete

- Affidiamo alla protezione e alla intercessione della Madonna questa celebrazione e la giornata che ci attende. Ringraziamo la Madre di Dio anche per la festa di ieri, quando ha presentato il suo bimbo ai fedeli dell'antica alleanza e, attraverso di loro, a tutti i popoli per la salvezza. Oggi ricordiamo con affetto Enrico R. nell'anniversario del suo ritorno al Padre. Sia il brano dell'epistola che quello del vangelo ci aiutano a capire il passo del profeta Isaia che ci parla degli idoli e, in particolare, dell'idolatria di noi stessi che ci toglie dalla quiete e dalla comunione con Dio. Per fortuna ogni mattina possiamo incontrarci con la misericordia divina e con un Sacerdote pietoso che comprende le nostre miserie.

- vs 9: impressiona il duro lavoro di questi artigiani per costruire idoli, confrontato con le parole del Signore in 1 Cor: "la vostra fatica non è vana nel Signore". Ci sono due modi di lavorare, uno buono ed uno cattivo.

- Ci sono due realtà opposte: una è quella di Dio che dice: io sono l'unico, non siate ansiosi e non temete; l'altra è quella dell'uomo sempre distratto che lavora moltissimo per costruire un suo idolo da adorare. E' quanto accade quotidianamente a tutti noi: Dio che continua ad interpellarci e noi che andiamo dietro ai nostri idoli.

- Si può confrontare il testo di oggi col cap 10 di Geremia sugli idoli. Qui si fa partire il discorso dalla piena comunione fra noi ed il Signore; poi però c'è un attentato alla comunione nuziale fra noi e Dio e questo è l'idolo. Il vs 8 "non siate ansiosi, non temete", dice che è la paura che genera l'idolo. C'è poi il problema dell'esistenza o meno di altri dei. Qui dice che non ci sono, mentre, in altri punti della scrittura, dice che ci sono. C'è un'possibilità di scoprire come stanno le cose: "Voi siete miei testimoni", dice sempre al vs 8. Le scritture, come abbiamo visto ieri, ci permettono la profezia. Chi si tiene in unione col Signore capisce la presenza dl Signore nella storia, mentre chi venera idoli no, non va oltre la cronaca. Ieri (festa della presentazione di Gesù al tempio) i due vecchi, gloria della profezia d'Israele, riconoscono Gesù che hanno aspettato tutta la vita. Nel caso degli idoli invece i loro "devoti" (la parola è "testimoni"), non capiscono nulla, non sanno, non comprendono. Infine le due figure del fabbro e del falegname, due figure molto brave; sembra che, più che essere devote all'idolo, siano devoti a sè. Questa è la suprema idolatria: si pensa di essere bravi, non si sente il bisogno di essere salvati. Così il vangelo ci dice che a Dio vanno bene le cose che facciamo, ma non devono essere per il nostro onore, ma per l'onore di Dio. Così la lettera dice che la resurrezione viene da Dio solo, non si perde nella ricerca di cosa accadrà o come avverrà; noi infatti la sperimentiamo ogni volta che capiamo che la nostra vita è un dono di Dio. Tutto quanto di noi è splendido viene da Lui, tutto quello che facciamo è per Lui: questo ci libera dall'idolo di noi stessi.

 

 

5-2-01 Is 44, 21-28; 1 Co 16, 1-12; Lc 17, 11-19 (Giovanni-Sovere)

 

Quando Dio parla, crea

- Il problema dell'idolatria lega il testo di oggi al capitolo precedente. E' da quel problema che il Signore ci libera, quel peccato che ci perdona. E' Lui che dice e fa, non l'uomo. Il fine del suo dire e fare è la comunione che stringe con noi. C'è spesso in noi un solitario protagonismo su quello che facciamo, sul nostro lavoro; invece dobbiamo mettere davanti a tutto la comunione; tutte le cose, anche Ciro, servono a questo. Amare attraverso il dono della parola. La Messa e la preghiera sono il luogo privilegiato per questa comunione.

- Il Signore rivendica di essere lui a fare tutto. Nell'ultimo versetto si parla di Ciro, che ha avuto una parte positiva nei confronti del popolo del Signore. Però poi lui stesso diventa strumento, come lo è stato Ponzio Pilato, per la distruzione e riedificazione del tempio.

- vs 26: "Suoi" e non "miei", perché? Chi è il soggetto? Il Signore interviene nella storia per mezzo di persone, anche se spesso gli inviati non sono riconosciuti né accolti.

- Colpisce il verbo del ricordo (vs 21) che collega le cose belle di oggi al rimprovero fatto nei giorni scorsi circa l'idolatria. Tutto succede a persone che hanno peccato. Richiama Ez 16 dove la ragazza alla fine è perdonata. Il verbo del "ritorno" di vs 22 è collegato al vangelo dove l'unico lebbroso che torna, dopo la guarigione, viene rimandato dal Signore con le parole: "Alzati e va, la tua fede ti ha salvato". C'è una salvezza e una guarigione continua.

- Oggi viene ribadita la chiamata del Signore a prescindere dalla nostra capacità di rispondere. Così la chiamata di Ciro, un po' esagerata per i termini messianici usati ("pastore che soddisferà tutti i miei desideri"), fa diventare Ciro strumento dell'opera di ricostruzione d'Israele e segno di speranza per tutti gli uomini.

- Il passo ci mostra la potenza della parola di Dio: quando Dio parla, crea. Ci si chiede sempre se Dio abbia creato prima il mondo o prima Israele. La Parola di Dio annulla quella degli indovini, cioè degli uomini. E' una parola che conferma la parola del suo servo, la fa "sorgere" (vs 26). Quando Ciro parla è Dio che parla. Parole che sono vere e potenti perché vengono da Dio, altrimenti non avrebbero significato. Quando Ciro fa l'editto per il ritorno a Gerusalemme, è Dio che decide e parla. Nel servo poi vediamo il Signore Gesù. Ieri (dom 5 T.O.) abbiamo ascoltato il dialogo fra Gesù e Simone: "Getta le reti!" "Sulla tua parola getterò le reti". Parola potente, che dà pienezza, ricostruisce le rovine, riempie il cuore di pace.

 

6-2-01 Is 45, 1-8; 1 Co 16, 13-24; Lc 17, 20-25 (Giovanni-Sovere)

 

Io sono il Signore, non v'è alcun altro

- Oggi è molto forte il discorso nuziale; Dio è l'unico, nel senso che è l'unico "altro" che l'uomo può amare; Dio ama di un amore fortissimo e vuole essere amato allo stesso modo.

- I tesori nascosti di vs 3 possono essere i segreti dei cuori, affinché tutto sia di Dio. Per quanto riguarda il problema di Dio che crea il male, pare necessario che sia così perché se no si dovrebbe pensare che il male fosse una realtà esterna alla signoria di Dio. Il male interno al disegno di Dio, di cui Lui si serve (pensiamo alla passione) non ci deve preoccupare. E' il male che è fuori, è la separazione da Lui che ci deve fare paura.

- Per due volte (vs 4 e 5) il Signore parla di Ciro dicendo che lui è l'eletto, sebbene non lo conosca. Un re straniero che viene descritto come l'Unto del Signore, profezia del Messia: ma che non lo sa. E' un puro strumento nelle mani di Dio. Questo vale per tutto e per tutti, per il bene e per il male. Al vs 7 infatti dice: "Io faccio la pace e faccio il male". E' il Signore che opera tutto.

- La descrizione di Ciro ha varie prospettive: è segno del Messia e della missione che il Messia avrà di abbattere i potenti (vedi Magnificat). Ricorda l'icona della Pasqua con tutti i chiavistelli spezzati. Poi rappresenta anche la chiamata dei popoli, ma "per amore d'Israele" tutto ruota attorno al popolo di Dio. Infine c'è il vs "Faccio il bene e creo il male" che chiaramente non vorrà indicare una creazione cattiva di Dio, ma piuttosto che c'è una signoria di Dio sul male: tutto rientra nei suoi piani. Al vs 3 "ti consegnerò tesori nascosti" in ebraico è "tesori di tenebra", termine che compare anche al vs 7 contrapposto alla luce.

- Vorrei fare un riferimento agli altri due testi riguardo la non visibilità del regno. Questo è il suo segreto, è una lode della laicità, Dio non si vede, le persone non sanno, ma Lui è dentro la vita, nel suo tessuto. Nella lettera di Paolo tutto risplende della presenza di Dio, persone, cose, salute. E' bellissimo questo giocare di Dio con noi, fra segreto ed epifania. Si nasconde nelle nostre vicende e per altro è attraverso di esse che si manifesta. Anche nel testo d'Isaia tutti avranno l'impressione che sia Ciro a fare, ma in verità è Dio, non si vede niente di clamoroso, ma è la manifestazione di Dio. Bello anche l'aspetto del conoscere (vs 3: "Perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d'Israele"); Dio vuole farsi conoscere anche da Ciro, non è che lo usa solo. E' un agire mite ed invasivo, affinchè lo si conosca come abitante dentro di noi, non lontano.Ed è vero che non lo conosciamo, è sempre antico e nuovo. Anche il male è importante che non lo pensiamo troppo grande. Lui sa, noi no. Anche se ci sembra che certe vicende siano solo negative, noi non lo sappiamo e comunque nelle nostre esperienze personali, mai il male è solo male; tutto promuove, anche nelle fatiche, un maggiore bene. Noi abbiamo un'esperienza certissima del totale dominio di Dio sul male, non solo per impedirgli di straripare, ma proprio per farlo funzionare bene. Certo l'espressione è così forte da gridare quasi allo scandalo. Ci si può orientare a guardare così anche i "tesori nelle tenebre" (vs 3); sono spazi bui in cui bisogna accendere e far splendere la luce di Dio.

 

7-2-01 Is 45, 9-17; 2 Co 1, 1-7; Lc 17, 26-37 (Francesco-Sovere)

 

Io ho creato l'uomo

- Domani si dirà (vs 19) "Io non ho parlato in segreto", e allora? Il testo del vangelo di oggi ci fa capire bene perché è nascosto. E' nascosto ed è facile non badargli perché si immerge nella nostra vicenda di oggi. Parla in modo semplice, non ha la visibilità che hanno gli dei, si rivela dall'interno della nostra vicenda. Dio si è nascosto nella semplicità nuova della vita umana, contro le divinità, i riti mondani che sono sempre molto festosi e terribili.

- Interessante il passaggio dal vs 12 al 13 perché al vs 12 dice "Io ho creato l'uomo" ed al 13 " Io l'ho stimolato per la giustizia". E' il discorso sul sacerdozio universale. In Gesù c'è un compito affidato ad ogni uomo. Tutte le affermazioni di forza e potenza di Dio sono in funzione della sua volontà di entrare in relazione con l'uomo; vuole che apparteniamo a Lui. Anche il brano del vangelo oggi chiarisce che il diluvio avvenne non perché gli uomini facessero cose cattive (mangiavano, bevevano, ecc...), ma perché mancava la relazione col Signore.

- Le domande sono molto concrete, si ripropongono spesso nella nostra vita. Se Dio rivendica tutto, sia il bene che il male, noi abbiamo molti interrogativi non solo per conoscere, ma anche in opposizione al Signore. Le domande sono giuste solo quando sono un'invocazione per conoscere la sua grandezza; purtroppo l'uomo spesso vuole dirigere lui la sua vita.

- vs 9: ci mette davanti al problema delle nostre critiche a Dio. Siamo noi che "non vediamo" e spesso nell'esperienza quotidiana notiamo che proprio quello che a noi sembra "insufficente" diventa il sostegno di tutta la nostra fede.

- Le parole del profeta, già nei giorni passati, ci hanno mostrato una visione provvidenziale della storia che accompagna la creazione. Un Dio che si nasconde (vs 15). Anche nella storia recente della Chiesa, di cui parliamo in questi giorni, si vede questo nascondimento. Tante cose belle non hanno ancora raggiunto visibilità. A volte ciò ci delude: lo si vede qua e là, ma non sempre si impone. Questo richiama Mt 11 quando Gesù ringrazia il Padre per aver nascosto le cose ai sapienti. Dio è nascosto per coloro che presumono di poter conoscere, la traduzione dei LXX fa intravvedere questo. Il giudizio di Dio, che attraversa il cuore di ciascuno e che prende una parte e una parte la lascia, si opera appunto attraverso il nascondimento della croce. In Gesù tutti questi movimenti e pensieri giungono al loro culmine e ci invitano alla ricerca di Dio nella piccolezza del suo Figlio.

 

8-2-01 Is 45, 18-25; 2 Co 1, 8-14; Lc 18, 1-8 (Giovanni-Sovere)

 

Dio riempie tutto con la sua parola

- Il Signore rassicura che la ricerca di Lui non è a vuoto. Nella creazione l'intenzione del Signore è avere un rapporto con le creature; il fine è la comunione. E' la stessa parola di Gen 1,1, quando si dice che la terra era vuota prima che Dio creasse le creature.

- Nel testo di oggi c'è molte volte la parola giustizia (anche se nel vs 23, 24, 25 è tradotta con vittoria e verità). Nel vs 21 si mette in evidenza come la giustizia si manifesta: è Dio giusto e salvatore. Se Dio fosse solo giusto punirebbe, ma è una giustizia che diventa salvezza. Anche il vs 8 dice: "si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia".

- Si sente molto presente la salvezza della croce per tanti piccoli particolari (il legno, il volgersi, il piegarsi delle ginocchia, il giurare per Lui).

- La stessa cosa si può pensare per il vs 22 dove si chiarisce che l'universalità è prodotta dal sacrificio di Gesù; è così che attira a sè tutti (in Giovanni Gesù dice "quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me"). Altrimenti questa conversione sembra molto difficile.

- Testo molto pieno della parola di Dio (dice continuamente "ho detto" o "esce dalla mia bocca"). Dio riempie tutto con la sua Parola, che interpella ciascuno.

- Sembra che Dio ripeta sempre le stesse cose (" Sono io che vi ho creato", "non c'è altro Dio fuori di me", "gli idoli", "voi sarete salvati"). Forse continua a ripetersi perché noi siamo duri di cuore e non ci basta sentirlo una volta.

- Faccio una proposta di lettura in sintesi: c'è una preoccupazione di Dio per la natura. Il testo crea una contrapposizione fra Natura e Parola, a vantaggio della Parola. Il Signore ha paura che noi consideriamo la Parola uguale alle altre cose. Ci viene a dire che è la Parola che viene prima, è lei che ci guida. La Parola viene prima di quello che a noi sembra tanto importante, come ad esempio la malattia, l'innamoramento, o l'informatica. Il contenuto della Parola è la giustizia che salva; questa è la cosa più importante, se no si va a finire in quei luoghi tenebrosi che sono i tranelli degli idoli. Dio dice qualcosa su tutto ed è più grande di tutto. Ecco il senso delle due espressioni evangeliche "pregare incessantemente" e " gridare a Lui giorno e notte". E' un dialogo fra Dio e noi, è un rapporto di ascolto e restituzione e questo avviene anche quando cantiamo i Salmi; vanno presi sul serio, altrimenti saltano fuori degli idoli paurosi. Quel giudice che si converte (nel vangelo) ancora una volta ci mostra la differenza fra Dio e gli altri dei che non combinano niente: invece il nostro Dio si muove bene verso la miseria dell'umanità.

 

9-2-01 Is 46, 1-13; 2 Co 1, 15-24; Lc 18, 9-14 (Francesco)

 

Gli idoli sono pesanti

- La parabola che oggi il Signore ci racconta nel Vangelo (Il fariseo ed il pubblicano) riguarda la preghiera e ci dona grandissima speranza. La via per trovare pace è quella della piccolezza. Isaia invece ci parla di pesi che danno stanchezza. L'invito del Signore è quello di farci portare da Lui, ed in Lui trovare riposo.

- vs 8: c'è un verbo (agite da uomini) che si trova solo in questo brano e che ha un significato duplice: "Sii te stesso" o anche "Sii ardente". Il quadro che oggi si dà dell'idolatria è più drammatico, l'insistenza del "portare" l'idolo, come se uno fosse un asino caricato, è significativa. Quando uno porta se stesso è molto carico. Il nostro idolo è la solitudine, è un idolo terrificante, ma si fa una grande fatica a sottrarsene. Poi ci sono le parole positive (ricorda, ascolta) e la relazione più profonda con Lui che ci costituisce figli. Nel vangelo il Fariseo "prega se stesso". E' una sfida alta quella di uscire dall'autoidolatria.

- vs 3: meravigliano alcune parole che attribuiscono al Signore segni di maternità nel senso di generazione: il resto d'Israele è generato da Dio. La forza dei termini è grandissima. C'è poi corrispondenza fra capacità creatrice di Dio e sua signoria su tutto il creato.

- Il grande tema dell'idolatria: oggi ci viene detto che gli idoli sono "pesanti", termine che ricorda il peso degli "affaticati e oppressi" del vangelo. Gli idoli stancano, costringono ad un grande impiego di forze perché ci consegnano alla solitudine e quindi a confidare nelle sole nostre forze. Gli idoli, una volta invocati, non rispondono (vs 6-7). Anche nel vangelo non c'è risposta per il fariseo, mentre si dice che il pubblicano fu giustificato. Una terza caratteristica degli idoli è che cadono a terra (vedi anche Is 19). Così in Giovanni, nella passione, quando Gesù dice "Sono io", tutti cadono a terra. Poi dal vs 12 c'è il discorso sulla giustizia. L'uomo è lontano dalla giustizia: ci si puù sforzare (fariseo), ma è la giustizia che si farà vicina (il pubblicano tornò a casa giustificato). In conclusione, gli idoli non sono statuette, ma un qualcosa che si trova nel nostro cuore; sono, ad esempio, nelle parole del fariseo e nella nostra presunzione di giustizia; invece è solo la giustizia di Dio che va cercata.

 

10-2-01 Is 47, 1-15; 2 Co 2, 1-11; Lc 18, 15-17 (Mauro e Francesco)

(Funerale del nonno Tullio)

 

Una fede semplice

- Il vangelo di oggi ci dice che se non si diventa come bambini non si può entrare nel Regno dei cieli. Il nonno Tullio è certamente entrato nel Regno; non aveva avuto una forte educazione religiosa, ma aveva fede come un bambino, aveva un forte senso di Dio. Quando nel 1975 sua moglie ebbe un grave incidente, ricordo che, mentre l'accompagnavo all'ospedale, ripeteva: "Ma Cristo esiste". E la sua preghiera fu esaudita. Aveva uno spirito religioso semplice. Del resto il Qoelet dice di stare attenti ad essere troppo religiosi: se fai voti, poi li dovrai osservare. Nonno Tullio aveva un grande senso pratico. Amava raccontare la storiella di un contadino che aveva paura che i topi gli mangiassero i salami, al quale un amico raccomandava: "abbiate fede, ma metteteci un gatto". Negli ultimi anni della sua malattia doveva dipendere per tutto dagli altri, era proprio ridiventato bambino. Passava le sue giornate chiamando la moglie: era la sua semplice forma di preghiera. Noi non siamo capaci di diventare bambini, non ne abbiamo voglia; per farci entrare nel Regno dei Cieli, il Signore allora ci costringe a diventarlo con la vecchiaia e con la malattia.

- Oltre al bambino, nella liturgia di oggi c'è anche una donna invitata al lutto. La vita è così. Ieri Isaia ci diceva che il Signore ci porta sempre, come una madre porta il figlio; anzi, continua a portarci, fino alla canizie. Questa è la nostra salvezza. Oggi Isaia ci parla di peccati e di dolori, di mancanza di umiltà e misericordia. Il vangelo dice che i bambini sono "offerti" al Signore, non portati. Così sia della nostra vita. Quanto ai voti (Qoelet), i passi vanno fatti, ma non con l'idea di esserne capaci, bensì con un animo inconsciamente coraggioso.

 

12-2-01 Is 48, 1-11; 2 Co 2, 12-17; Lc 18, 18-23 (Giovanni)

Prima c'è la Parola, poi la storia

- Tutti i testi di oggi celebrano una grande lode della Parola. Il Signore ha collocato la Parola prima di tutto; la Parola è la potenza generatrice di ogni cosa. Sin dal mattino, quando lo invitiamo ad aprire le nostre labbra, il Signore inizia a compiere il bene. Chiediamo perdono per la nostra poca fede, che ci fa attribuire agli idoli ed a noi stessi quello che solo dal Signore può essere ricevuto. Possiamo metterci nelle mani del Signore con spirito fanciullo, certi che Gesù è la luce serena che il Padre ha mandato in mezzo a noi.

- Il Signore insiste oggi nel dire che tutto Lui aveva già detto, in modo che non possiamo attribuire agli idoli ciò che accade. La Parola esce dalla sua bocca e poi d'improvviso "accade". Bisogna abbandonare tutto (dice il vangelo) e mettersi fiduciosi nelle sue mani.

- All'inizio del brano l'invito all'ascolto va in diverse direzioni, ma il vs 1 termina con "senza sincerità e rettitudine" (in greco "senza verità e giustizia") che indicano non tanto la mancanza di qualità morali, ma della consapevolezza che il Signore è in mezzo a noi. Si possono avere tutte le carte in regola riguardo all'appartenenza al popolo del Signore, ma manca il rapporto personale col Signore. Anche l'uomo ricco del vangelo non riesce a far spazio alla realtà nuova che si fa avanti: mancano quindi verità e giustizia.

- La preoccupazione di Dio è prevenire la nostra adesione agli idoli e il nostro pensare che siano le nostre forze a procurarci ricchezze. Dobbiamo sempre ricordare che tutto è suo dono e continuamente ringraziarlo.

- vs 10: in greco dice "ti ho eletto nel cammino di povertà". Sembra che l'elezione del popolo avvenga nella "fornace" della povertà (vedi vangelo).

- C'è un affanno di Dio: la preoccupazione di essere messo da parte. Dio è molto piccolo, noi possiamo facilmente dimenticarlo, fare senza di lui.

- Testo "nuovo", molto importante. Ci dice che prima c'è la Parola, poi la storia. Se non fosse così saremmo idolatri perché ci attribuiremmo la storia. Il primato è della Parola; tutto quello che c'è e che avviene è dovuto alla Parola ed obbedisce a lei. Dio dice e la cosa avviene: "Sia la luce e la luce fu". Se non si sta attenti noi tendiamo prima a fare, poi a considerare la Parola. Si fa fatica a volte a capire perché veniamo qui tutte le mattine così presto, invece questo momento è fondamentale perché quello che non è già dentro alla Parola è roba fatta da noi. Noi siamo qui tutte le mattine per mettere la Parola al primo posto, per cominciare da lei.

La seconda cosa importante è al vs 6 quando dice "ora": quella Parola antica, adesso, questa mattina, è nuova. La Parola ha due tempi: prima c'è la Parola detta, poi c'è quello che lei genera. Il testo dice anche che quella del Signore è sempre una parola nuova, mai prima udita né saputa, detta adesso per noi. Oggi siamo qui e Lui ci ripropone la vertigine di questa Parola nuova e tutto quello che siamo è creato continuamente da Lui in questo momento. E' il miracolo interno alla Parola che è sempre antica e nuova, non è un pio esercizio, è quello che sta succedendo da parte di Dio. La lettera di Paolo ci dice oggi che noi siamo il buon profumo di Cristo, diciamo le cose in Lui. Qui viene valorizzato il nostro scambio quotidiano che fa risuonare l'uno nell'altro la Parola. Anche nell'uomo del Vangelo la Parola, da lui conosciuta ed assunta come suo patrimonio, si ripropone nuova in Cristo e tutto è completamente nuovo. L'invenzione dell'omelia partecipata, che noi viviamo da anni ogni mattina, è decisiva per la nostra vita; se manca ci si sente soli e non bisogna mai smettere di ringraziare il Signore per questo grande regalo.

 

13-2-01 Is 48, 12-22; 2 Co 3, 1-6; Lc 18, 24-30 (Francesco)

 

Ascolto e docilità di fronte alla parola

- Il ricordo dell'uscita dall'Egitto nel canto d'ingresso sta sullo sfondo delle parole che ascolteremo oggi dal profeta Isaia. La novità di vita è al centro delle letture di oggi, singolarmente unite nel ricordare l'opera di Dio e del suo spirito nella nostra vita. Elemento importante dell'opera di Dio è l'umiliazione dell'uomo vecchio e l'esaltazione della nuova creatura. Tutto questo richiede da parte nostra ascolto e docilità di fronte alla sua parola, perchè non passi invano nei nostro cuori.

- "Se tu avessi ascoltato" ci sarebbe stata la sovrabbondanza, la fecondità. Non è così, ma poi c'è "non sarai distrutto", quindi la speranza per noi sta nella fedeltà di Dio che non ci abbandonerà.

- "Io" di Dio continuamente ripetuto è una grande dichiarazione d'amore. Lui vuole entrare nel cuore dell'uomo e sembra dica: "Io ci sono, e sono per te".

- vs 20: è un invito ad annunziare l'evento di salvezza. Noi ci siamo messi in schiavitù per non avere ascoltato, ma da questa condizione si può uscire. Bisogna entrare nella storia di Dio.

- Non è chiaro chi parli dal vs 16 al 19; la nota dice che è il profeta, ma forse può essere anche colui che è stato chiamato "Ciro" che parlerebbe per bocca di Dio. Lui è stato chiamato e tutte le sue imprese hanno avuto successo. Il vangelo ci fa pensare che sia Cristo. L'esodo da Babilonia, annunciato nel vs 20, ripreso nell'Apocalisse, trova compimento nel vangelo, dove dice che chi abbandona tutto già adesso, riceve molto più di quanto ha abbandonato.

- Il testo d'Isaia presenta tre tappe, con tre soggetti: inizialmente il protagonista è Dio, poi il suo inviato ed alla fine noi, suo popolo. Riguardo a Dio c'è una forte affermazione della sua persona ed un richiamo forte all'ascolto della sua parola. Un Dio che, non solo crea, ma chiama ed interpella la creazione. Nella parte centrale c'è l'emergere dell'inviato di Dio, "uno che io amo", che compirà il volere del Signore ed al quale Dio farà andare bene tutte le imprese perché sarà accompagnato dal suo Spirito. Spirito che è presentato anche nella seconda lettura (dove si parla di persona come lettera scritta con lo spirito del Dio vivente); la presenza dello Spirito che fa sì che la Parola entri nei cuori. Il vs 17 dice che il Signore insegna per il nostro bene e ci guida per la strada su cui dobbiamo andare. L'ultima parte ha come protagonista il popolo cui è promesso un avvenire di grande pace e fecondità, legate alla condizione dell'ascolto. In queste tre tappe si vede che il Signore vuol dare continuità alla sua opera di salvezza, anche nella storia attuale del suo popolo. Si può uscire dalla condizione vecchia perché quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio.

 

14-2-01 Is 49, 1-6; 2 Co 3, 6-11; Lc 18, 31-34 (Francesco)

 

Io ti renderò luce delle nazioni

- I vangeli della passione e resurrezione del Signore, che la Regola ci ha raccomandato di meditare, illuminano il brano che oggi leggiamo del profeta Isaia. Dio desidera che tutti giungano alla sua conoscenza e alla salvezza. La memoria che oggi la Chiesa fa dei santi Cirillo e Metodio è conferma del desiderio di Dio di giungere a tutte le terre e a tutte le culture. Chiediamo perdono al Signore per tutte le volte che siamo stati di ostacolo a questo suo desiderio.

- vs 2: nasconde un grande mistero di forza e piccolezza. La spada affilata, la parola, è nascosta nella mano. E' il mistero della morte e resurrezione di Gesù.

- Questi versetti sono il riassunto di una vita: quella del servo. In essi c'è il contrasto fra "protezione" (utero, faretra) ed "esposizione" (il servo diviene poi strumento di guerra). Se il servo è fedele alla parola che Dio gli consegna, proprio in questo diventa potente. Ma fa parte di questo disegno di fedeltà anche la sconfitta e quando il servo dice "invano ho faticato" diventa figura della Passione.

- La seconda lettura aiuta perché parla della gloria associata alla vicenda di Mosè, allo splendore del suo volto. Nel vangelo la gloria di Gesù è associata ad un volto coperto di sputi.

- Può sembrare che ci sia una contraddizione fra i vs 3 e 5. E' un servo, ma non è Israele; la linea interpretativa porta a distinguere le due figure di Israele e di Giacobbe. Israele scelto fin dall'utero materno sarebbe l'unione di due momenti: 1) scelto ancora prima della nascita e 2) bisognoso di un ritorno che presuppone la necessità di un allontanamento.

- vs 6: ricorda la passione secondo Giovanni, quando Gesù dice ai suoi discepoli "non vi chiamo più servi, ma amici". Dall'amore del Padre per il Figlio scende l'amore di Gesù per noi che non siamo più servi, ma amici per i quali si dà la vita.

- Si ha l'impressione che l'uomo descritto sia una persona molto amata. Dio ha gran cura di lui, lo protegge e lo custodisce fin dal seno materno; quindi non è "servo" nella nostra comune accezione di strumento. Al vs 4 si vede proprio che Dio si accosta a lui con molta attenzione. Proprio perché umanamente sconfitto, Dio gli dà un incarico di massima importanza (in italiano "ma certo"; in realtà "proprio per questo"). C'è un rapporto di grande tenerezza fra Dio e il servo e quest'amore ricevuto diventa lo stile di comportamento del servo, la cui opera è opera di guerra, ma di una guerra nuova, condotta con le parole di chi lo ha guidato. Lui fa tornare, radunare, essere luce, immagini bellissime che ci dicono che quest'uomo è tutto per la pace, per una generale riconciliazione. Nel vangelo il rapporto Signore/servo ha un evoluzione molto forte perché diventa la consegna del servo alle genti, un ulteriore rilievo dato alla sua mitezza. C'è quindi oggi un legame molto forte fra dolore e amore e questa sofferenza fa diventare il servo più importante nei confronti di Dio e più potente nei confronti dei popoli.

 

15-2-01 Is 49, 7-13; 2 Co 3, 12-18; Lc 18, 35-43 (Francesco)

 

Il Signore ha pietà dei suoi miseri

- Chiediamo al Signore la grazia della luce che il cieco di Gerico ha chiesto ed ottenuto da Gesù per poterlo seguire nel cammino verso Gerusalemme. A volte siamo stanchi e tristi, perchè pensiamo di essere noi a dover agire. E' il Signore, invece, colui che opera, come anche oggi ci dice il profeta Isaia.

- vs 13 seconda parte: trova conferma nel testo del vangelo dove il cieco trova grande consolazione nell'opera del Signore. Il cieco è segno di tutte le cecità, che muovono a pietà Gesù, il Salvatore.

- vs 9: "venite fuori" nella Vulgata è "mostrarsi". Le tenebre nascondono Dio a noi, ma anche noi a Dio. Nella Genesi Dio non vede Adamo peccatore, ma gli chiede di rivelarsi; e così anche con l'emorroissa. Anche il velo sul volto di Mosè e sul nostro cuore viene tolto da Gesù.

- vs 7: fra chi avviene il dialogo? Fra il Signore ed il suo servo, ed il Signore parla di noi. Ci sono tre presenze; noi apprendiamo, dalle parole di Dio al suo servo, chi è il servo per noi e, quindi, anche chi siamo noi.

- Il servo, del quale viene messo in evidenza (vs 7 e 8) l'aspetto di povertà, già visto ieri come persona in difficoltà, oggi viene descritto come reietto, abominio delle nazioni, servo dei potenti. Questa situazione richiama la misericordia di Dio che lo soccorre e gli affida una missione verso il popolo d'Israele ed anche verso i lontani. Nella seconda parte del testo emergono figure al plurale, persone che abitano nelle tende, che hanno fame e sete e che alla fine sono chiamati miseri e poveri. Il testo passa quindi dal servo reietto ai miseri. Il servo è motivo di speranza per i miseri perché è il primo che riceve soccorso dal Signore ed è redento. Il vs 10 parla di "viscere di misericordia" di Dio e della conduzione dei miseri alle sorgenti d'acqua. Il testo d'Isaia, come il vangelo, parla di un cammino da compiere. Il "velo" della seconda lettura può ritrovarsi nel verbo del vs 9 ("rivelarsi"): i prigionieri possono uscire dalla condizione di tenebra e trovare pascolo.

 

16-2-01 Is 49, 14-21; 2 Co 4, 1-6; Lc 19, 1-10 (Francesco)

 

Il Signore mi ha abbandonato

- "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato"; queste parole del brano di oggi descrivono come, spesso, nel cuore dell'uomo nascano sentimenti di disperazione. La nostra esperienza nei momenti più gravi di prova, di morte di una persona cara, di malattia, di abbandono, ci conferma circa la presenza di pensieri tristi e angosciosi. La parola di Dio ci consola ancora una volta. Chiediamo anche noi la luce del cielo perché possiamo lasciarci confortare dalle braccia di Dio. Chiediamo perdono per ogni nostro orgoglioso chiuderci in noi stessi, per non voler vedere la vicinanza del Signore e dei fratelli.

- La domanda che Sion pone al vs 21 trova risposta nel vangelo, nel senso che Zaccheo rappresenta bene la situazione di lontananza; anche lui è figlio ed è Gesù che alza gli occhi e lo vede. Il regalo del Signore è già dato: i figli inaspettati, di cui parla il profeta, ci vengono dati per pura misericordia.

- Bella esaltazione della femminilità della chiesa; Dio si paragona spesso alla madre, si commuove fino alle viscere, la sua misericordia è tenerissima.

- vs 16: "Ti ho disegnato sulle palme delle mie mani", richiama il Signore quando dà i comandamenti; questi precetti che ti dò, dice, tu li legherai alla mano. Per Israele c'è la parola del Signore che deve essergli sempre davanti e per il Signore c'è Israele che è disegnato sulle sue palme.

- Le prime parole di Sion (vs 14) vengono prese molto seriamente dal Signore e la risposta è molto forte. Dio ha un corpo che partecipa alla storia del suo popolo. La redenzione è presentata come una risposta alle parole di Sion. "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato" sono le parole con cui inizia il Salmo 21 e sono anche le ultime parole di Gesù secondo due evangelisti. Si tratta di un lamento reale, quello di Sion, che Dio stesso assume quando muore sulla croce. Perfino in questo punto di massimo dolore Dio si fa solidale con Sion. C'è il desiderio di Dio di entrare nella casa dell'uomo (Zaccheo) e poi le parole d'Isaia, unite a quelle di Salmo 21 ed a quelle di Gesù in croce, ci danno la misura della solidarietà di Dio di fronte alla nostra povertà. Le parole di consolazione che seguono non sono dette a cuor leggero: c'è dentro la croce. Nessuno che giunge a questo punto nella sua esperienza di vita, può sentirsi abbandonato. Nel testo di oggi sono molto presenti i figli. Al vs 21 "Io ero priva di figli, sterile" denuncia solitudine, sterilità, abbandono ed è in questa situazione che vengono donati a Sion i figli. Questi figli sono il suo abito nuziale, che indica quasi un'unione fra maternità e sponsalità. Il segno della sponsalità di questa donna sono i figli, non il marito. "Questi a me dov'erano?" E' una maternità che va molto al di là di una maternità biologica, forse è una maternità spirituale. C'è un dono da parte di Dio a Sion che va molto oltre i limiti biologici, è una maternità concessa a tutti rispetto alla quale non ci sarà più sterilità.

 

17-2-01 Is 49, 22-26; 2 Co 4, 7-15; Lc 19, 11-28 (Giovanni)

 

Dio fa tutto convergere in un suo piano di salvezza

- La conclusione del cap. 49 ci porta, dalle belle immagini di ieri (bambino, sposa, madre) alla considerazione che la nostra vita si svolge dentro una realtà più vasta, che ci porta a contatto con la storia di tutti i popoli e anche col mistero del male. Ma il testo ci dice anche che non dobbiamo avere paura, perchè Dio fa tutto convergere in un suo piano di salvezza. Dobbiamo anche accettare la nostra condizione di esilio come interna al nostro rapporto con Dio e con i fratelli. Purtroppo, invece, facciamo molti "tagli" ed abbiamo un atteggiamento ambiguo, tenendo separata la liturgia, che ci accomuna, dagli altri tempi e spazi della nostra vita. Per tutto questo chiediamo perdono al Signore.

- vs 22: "grembo". Fa pensare al discepolo che nell'ultima cena posa il capo nel grembo del Signore. E' un segno di grande amore.

- I figli e figlie riportate in braccio arricchiscono l'immagine di ieri. E' immagine ricca di pace fra Israele e le genti. Nella misura in cui Israele accetta la piccolezza e l'umiltà, c'è la possibilità di un rapporto riconciliato con le genti.

- Sembra di capire che Sion debba accettare di avere figli allevati da altri (vedi anche il brano di ieri). Misteriosamente rimane madre di figli che non ha allevato. Questo è parte del disegno di Dio. Alla fine tutti vengono riportati. Forse è un insegnamento anche per noi. Maternità e figliolanza vanno al di là di una nostra consapevolezza concreta; è chiaro però che nessuno rimane fuori.

- vs 26: immagini molto forti: c'è una sorta di sanzione interna per gli oppressori, per cui la loro azione si ritorce contro loro stessi. Oppure può essere un'immagine dell'eucarestia in cui si realizzano queste stesse parole.

- Si possono forse distinguere due parti nel testo. Gli ultimi tre versetti dicono la liberazione dal nemico. Ma c'è un pericolo: non bisogna confondere il nemico con le altre genti, altre culture. Noi di fatto nella vita quotidiana siamo dispersi in mezzo ad altri. Questa non è prigionia del nemico. Anzi, c'è un'intesa ("cenno" di Dio), c'è dentro una provvidenza. Così oggi c'è una terza mamma, dopo le due di ieri (la madre e le realtà che svolgono su di noi una funzione materna). C'è una visione positiva della storia, perché Dio conduce tutte le nazioni ed i figli di Dio devono giocare il ruolo di piccoli, di bambini. Si deve continuare a fare i piccoli anche fuori di qui, in mezzo agli altri. Le persone ci rendono memoria della potenza di Dio; più noi accettiamo una situazione ingenua ed infantile, più ci sentiamo portati. C'è una capacità di vedere la provvidenza di Dio che tutto conduce. Bisogna accettare di essere bambini, bisogna trovare la strada e i modi, ma bisogna estendere l'umiltà e la mitezza che abbiamo nei confronti di Dio e dei fratelli a tutte le condizioni della vita. Noi invece, facendo confusione di nemici, tendiamo ad assumere posizioni di forza e, così facendo, perdiamo libertà. Solo custodendoci fra i piccoli anche al di fuori della Santa assemblea saremo in condizioni di grande libertà (vedi Corinti).

 

19-2-01 Is 50, 1-3; 2 Co 4, 16-18; Lc 19, 28-40 (Giovanni)

Esclusione e perdono, rifiuto e abbraccio

- Dobbiamo riconoscerci fra quei poveri che, proprio perchè poveri, sono chiamati alla straordinaria opera del perdono. Tutto quanto si compie è per il perdono, la salvezza, la pace. Se c'è tribolazione, questo non deve confonderci: è per la salvezza. Spesso ce ne dimentichiamo. Chiediamo perdono per la debolezza della nostra fede, per come facciamo presto a rattristarci. Dobbiamo fidarci di Lui, anche a nome dei nostri fratelli e sorelle, particolarmente quelli che pensiamo siano più lontani da Dio, affidarci alla misericordia del Padre.

- Le prime due domande del testo di oggi potrebbe sembrare che avessero risposta negativa (il Signore non ha né venduto, né scacciato); invece la risposta è positiva, perché il Signore ha venduto e scacciato per poter riscattare. Molte volte ha indurito il cuore del Faraone per far vedere la sua gloria. Tutto è per un disegno d'amore più grande che noi, però, non siamo capaci di vedere. Il vs 2 ci mostra la sua delusione : "Chiamo e nessuno risponde".

- vs 1: il testo direbbe non "per", ma "nelle vostre iniquità siete stati venduti, nelle vostre scelleratezze...". E' una situazione in cui si trovano. Il Signore rivendica che la rottura del rapporto non è dovuta a Lui, ma a loro stessi.

- vs 1: dice la solitudine in cui ci mettiamo col peccato e nel vs 2 si dice del desiderio di relazione del Signore. Consola che da Tommaso Gesù sia ritornato, perché, nonostante il nostro peccato, ci ama.

- Il vs 2 sembra in contrasto col racconto evangelico dove c'è tanta gente attorno a Gesù. Lui viene e libera, ma noi abbiamo comportamenti contraddittori.

- L'ingresso del Signore a Gerusalemme e la sua passione fanno sì che le due domande dei primi versetti diventino una provocazione perché nel nostro cuore pensiamo che il Signore debba percorrere vie di potenza; invece non è così.

- I vs 1 e 2 vanno presi con serietà. Noi avvertiamo il giudizio sulla nostra vita e questo ci rende difficile accedere alla festa del perdono. Non possiamo non dire che le sensazioni che abbiamo siano quelle di essere venduti e dimenticati, e questo è un rischio che anche Dio corre. E' utile mettersi nella prospettiva dell'asino del vangelo: siamo legati, quel legame è serio e non è scontato che verremo liberati. E' bello che poi l'asino sia sciolto per portare il Signore. E' il passaggio dal regime della legge a quello del perdono. La potenza dell'insegnamento di ieri, liberare comunicando la misericordia di Dio, è la cosa più importante che il Signore ci ha affidato. Ci ha fatto conoscere cos'è la resurrezione dai morti, per farci conoscere la vertigine dell'amore. I Farisei, che sono vicini a Gesù, non sono in questa ottica. C'è quindi un grande contrasto, ma fra due cose che vengono entrambe da Dio: ci ha esclusi per perdonarci, ci ha rifiutato ma per riabbracciarci, ci ha allontanato per averci ancor più vicino. E' bello che anche il brano di Paolo dica di questo contrasto: "il leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata di eterna gloria". Noi a volte ci sentiamo legati da questo "leggero peso", ma c'è la potenza della preghiera che ci fa ritrovare ogni giorno il perdono di Dio. Bisogna fissare queste cose con forza per non rimanere prigionieri dei nostri pensieri. Riaccogliere la grazia anche oggi, riprodurre nella vicenda che ci aspetta la misericordia di Dio, del suo perdono. Più accettiamo il contrasto, più siamo capaci di riproporlo nelle situazioni più chiuse perché la misericordia è una grande sapienza per far vedere che la liberazione di Dio è preparata anche per le prigionie più buie.

 

20-2-01 Is 50, 4-11; 2 Co 5, 1-10; Lc 19, 41-344 (Massimo Masi)

 

Cercare il Signore, unica nostra luce

- Nel primo canto del Servo c'era una grande mitezza; nel secondo, una certa delusione, ma anche un'assicurazione da parte del Signore; oggi, nel terzo, vediamo che il Servo è perseguitato, ma la sua fede non è scossa. Quando ci sentiamo abbandonati, è proprio allora che il Signore ci tiene per mano. Chiediamo perdono per tutte le volte che abbiamo lasciato cadere la fiducia.

- C'è uno scarto fra i vs 5 e 6; nel vs 5 il servo è discepolo della Parola, nel 6 compaiono avversari a cui il servo si offre. Forse l'inimicizia nei confronti del servo si acuisce proprio per il suo rapporto con la Parola; l'opposizione alla Parola può scaturire dal movimento di discepolato alla Parola stessa.

- C'è per due volte la parola "iniziazione", termine che allude all'insegnamento e che va bene anche se bisogna eliminare l'idea di eccezionalità e di esclusione che di solito lo accompagna: è un insegnamento impegnativo, esteso a molti. Unisce l'ascolto della Parola ad una condizione di grande umiliazione: il cammino nella Parola è anche cammino nella croce.

- vs 5: si vede che il servo, prima di essere mite rispetto agli aggressori, è mite rispetto alla Parola. L'ultimo versetto ricorda la Passione del Signore, l'ora delle tenebre; i tizzoni ricordano le lanterne con cui sono andati a prendere il Signore, è una luce alternativa che non illumina.

- Ogni azione del Signore ha accoglienza e risposta da parte del servo che ha la certezza che il Signore è sempre presente anche in circostanze terribili (flagelli, sputi) Il servo cammina con mitezza nella strada che il Signore gli indica.

- Per l'immagine della faccia dura come pietra il testo di oggi richiama il vangelo di Luca durante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. C'è però una piccola differenza fra il servo e Gesù: il servo sopporta con fiducia e si offre per il bene di tutti; Gesù prega per i suoi persecutori e piange sulla città. Lui vuole portare tutti al Padre. C'è un crescendo nei tre cantici del servo finora visti: si passa dalla mitezza del primo, alla delusione del secondo ed alla persecuzione del terzo. Questo sembra essere il cammino di tutti i cristiani: la Parola vuole mitezza e può portare alla persecuzione. La veste, di cui si parla anche nell'epistola, si logora sempre. Non si deve cercare la luce che non illumina, i tizzoni che si spengono, il fuoco che non può scaldare; bisogna cercare il Signore che è l'unica nostra luce per poter poi essere luce per i fratelli che incontreremo oggi.

 

21-2-01 Is 51, 1-8; 2 Co 5, 11-17; Lc 19, 45-48 (Fratelli della Dozza)

 

La benedizione e la salvezza sono per tutti

- vs 2: "Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai". Guardare alle cose invisibili: Abramo e Sara viventi nella fede; ed a quelle visibili: il cielo e la terra destinati ad una fine definitiva (vs 6). Le prime aiutano a scoprire l'opera eterna di salvezza di Dio ed a mostrare la caducità delle seconde.

- vs 3: Il Signore ha pietà di Sion e per questo rende le sue rovine come l'Eden, un giardino magnifico i cui frutti sono giubilo, gioia, ringraziamento, inni di lode. Quattro frutti che escono dal giardino e si diffondono... E' il frutto della nostra partecipazione alla messa!

- vs 4: "da me uscirà la legge" ..." popolo porta nel cuore la mia legge": ciò che esce dal cuore di Dio si annida nel cuore dell'uomo! "il mio diritto sarà luce dei popoli" cioè si depositerà , riposerà nella luce di popoli, un diritto nuovo, non violento, ma di pace e di luce...

- vs 1-3: DIO-ISRAELE. Il Signore invita il suo popolo ad andare al principio della sua fede (Abramo) e al principio della creazione. Ritornando al principio, all'origine, al ciò che sta all'inizio, Israele ritrova la sua identità, la Giustizia di cui è in cerca... Deve ritornare al passato perché è Abramo l'unico eletto da cui è nata la fede e dal quale si è diffusa la benedizione di Dio (cfr. Rm 4).

- vs 5-8: DIO-I POPOLI. La benedizione e la salvezza sono per tutti! Notiamo la traduzione latina del vs 5 "è vicino il giusto, è uscito il mio salvatore" dove Gerolamo concretizza la giustizia di Dio in una persona, il giusto, il messia, Gesù. E non si tratta di una manifestazione, ma di una uscita come ha appena detto della legge (vs 4). Giustizia e salvezza, Giusto e Salvatore sono eterni, incancellabili, definitivi...

 

22-2-01 Is 51, 9-16; 2 Co 5, 17-21; Lc 20, 1-8 (Francesco)

 

Ho posto le mie parole sulla tua bocca

- La Chiesa oggi ricorda la cattedra di San Pietro, memoria che è anche occasione per pregare per l'unità di tutte le chiese. Anche nel testo di Isaia si parla di riconciliazione e di ritorno a Gerusalemme. Chiediamo che la Parola del Signore e il sacrificio di Gesù ci portino all'unione con tutti i fratelli. Chiediamo anche perdono per tutte le volte che abbiamo favorito la discordia.

- vs 16: improvvisamente illumina una parte del vangelo di domenica riguardo il problema delle parole buone o cattive. Qui è detto che la parola buona c'è se Lui la mette sulla nostra bocca.

- vs 16: è un grande regalo che la sua parola venga posta sulla nostra bocca, ed è grande consolazione che ci tenga sulla sua mano e ci dica: "Tu sei mio popolo".

- vs 9: c'è un forte invito a Dio di sorgere. Chi può rivolgersi a Dio in modo così imperativo? Forse la preghiera. Il vs 16 lo dice: tramite la parola. Forse la liberazione di cui parla è questione di parole.

- Testo di grande speranza per "oggi". Si ricordano le imprese passate del Signore e si parla di un'operazione di liberazione per il futuro; basterebbe questo passato-futuro, ma c'è poi il presente del "io sono il tuo consolatore" ed altri presenti. E' sottolineata la presenza oggi del Signore potente vicino a noi. E attraverso la preghiera possiamo addirittura rivolgerci a lui con un "imperativo".

- Richiama il Salmo 43: "Svegliati!" come dice oggi. Nel Salmo però sembra che il Signore ci dimentichi, mentre non è così nel brano d'Isaia di oggi.

- Si possono fare due ipotesi circa il vs 9: 1) invito a Gerusalemme (noi), a svegliarsi ed a ricordare quanto ha fatto il Signore per il suo popolo; 2) preghiera del popolo che, in modo un po' irriverente, dice a Dio di svegliarsi e di ricordarsi di quanto ha fatto nei giorni antichi sconfiggendo le potenze avverse. Nella Messa c'è un po' quest'invito a Dio di ricordarsi della sua opera di salvezza che ha compiuto tramite il sacrificio di suo Figlio (fate questo in memoria di me). Poi c'è il problema delle nostre paure; il Signore ci ricorda che non bisogna lasciarsi prendere dalla paura perché Lui governa la storia. Nel vs 16 ci sono parole già dette da Dio al suo servo, che ora sono rivolte a tutto il popolo. Quindi è un messaggio di grande consolazione, come anche sottolinea l'epistola ricordando che Dio si è riconciliato con noi per mezzo del Figlio.

 

23-2-01 Is 51, 17-23; 2 Co 6, 1-13; Lc 20, 9-19 (Francesco)

 

Svegliati, svegliati, alzati...

- Oggi la Chiesa ricorda san Policarpo, discepolo dell'apostolo Giovanni, vescovo e martire. Affidiamo a lui la nostra fede, la nostra povertà, le nostre fatiche. Oggi il profeta Isaia ci parla di povertà e di dolore, ma anche di un invito alla liberazione. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, particolarmente per aver ceduto alla tristezza e alla lamentela. Chiediamo che la liturgia ci "svegli". Affidiamo anche al Signore il padre di Alberto, che è morto ieri sera.

- C'è contrasto fra i versetti nel testo d'Isaia. L'ultimo versetto parla di una strada che è poi quella della salvezza.

- "vertigine"="torpore", ricorda il torpore in cui cadono Adamo ed Abramo. Gerusalemme beve questo calice, ma poi le viene tolto. Questo calice di torpore passa al Signore che, nella barca, si addormenta. Il Signore si fa carico di tutte le infedeltà di Gesusalemme; solo il Signore, il servo, passa attraverso il calice della morte.

- Ieri, oggi, e domani, i brani iniziano con "svegliati". Oggi c'è anche l'ordine di alzarsi, domani di rivestirsi della sua gloria. Ricorda la morte e resurrezione di Gesù. Anche Lui dice che non berrà più il calice. Il calice dell'ira di Dio è tutto bevuto dal Signore nella sua morte.

- Il testo di oggi richiama Ap 14 quando parla del calice dell'ira di Dio. Ci sono molti riferimenti alla croce di Gesù. L'ultimo versetto dice che la tribolazione di Gerusalemme cesserà perché sarà tutta assunta da Gesù. Tutto questo dentro l'invito di svegliarsi e di alzarsi (verbo della resurrezione). Anche l'Apostolo narra tutte le sue tribolazioni, ma invita a viverle in pace e speranza. Sono tutti testi pasquali. Dio entra con potenza nel mistero della sofferenza e del dolore. Nel calice della passione c'è la via della speranza.

 

24-2-01 Is 52, 1-6; 2 Co 6, 14-7, 1; Lc 20, 20-26 (Giovanni)

Il male va rispettato, è più grande di noi

- C'è un particolare nel brano del profeta Isaia che ci porta ad entrare meglio in un problema delicato che incontreremo nella liturgia di domani: il mistero del male. Il male è un mistero grande; oltre certi limiti, è impossibile, e forse anche sbagliato, darne spiegazioni, individuarne le cause. Se il male viene poco rispettato, viene banalizzata anche l'opera buona di Dio. Il male è molto, molto più grande di noi, per cui è importante per noi ricordare ogni giorno che il Signore è presente fra noi. Confessando i nostri peccati, rifugiamoci nel cuore del Signore, portando con noi tutti i nostri cari e tutti gli uomini, chiedendo anche al Signore di darci una domenica buona.

- Meraviglia come a volte la Scrittura mescola le carte. Le stesse vicende a volte avvengono per colpa del popolo, a volte non c'è colpa, sono gli oppressori che agiscono sulla vittima (Israele). Bisogna accettare che la parola del Signore sia diversa di volta in volta.

- Bello il parallelo col vangelo per quanto riguarda la gratuità. Il tributo da pagare a Cesare porta la sua effige, mentre i figli di Dio non hanno bisogno di denaro; il loro riscatto è totalmente gratuito, perché appartengono ad un'altra economia.

- Il testo di oggi si può considerare segnato da tre ragioni che Dio ci mette davanti in ordine alla necessità di rivestire sempre i nostri abiti battesimali. La resurrezione è il respiro continuo della nostra vita. Dio ci continua a chiamare alla festa della vita da tante lontananze e oscurità. E dice tre ragioni per cui dobbiamo gioire della nostra condizione di risorti in Cristo. 1) "Perché non entrerà più in te l'incirconciso e l'impuro" (Gerusalemme è senza abiti e stava concedendosi agli amanti). L'adulterio (cioè l'idolatria) per Dio è un peccato grave. Oggi comincia il perdono: rimettiti gli abiti. 2) vs 2-3: scuotiti la polverealzati, sciogliti i legami della schiavitù. E qui entra la gratuità: "senza prezzo foste venduti"; . Uno dei più gravi errori è quello di pensare che il male si possa spiegare e controllare, mentre il male è più grande di noi (nella vicenda della Palestina, ad esempio, c'è qualcosa di misterioso). Questo "più grande" noi ce lo portiamo dentro ed è importante che il Signore dica che siccome siamo stati portati via (dal male) gratis, anche la restituzione (a Dio) sarà gratuita. Siccome il male è più grande di noi, anche la misericordia di Dio deve essere "sproporzionata". Sbagliamo quando pensiamo di capire il male e facciamo una specie di religione: carcerato/giudice. Attribuendo al mio fratello il male, io mi arrogo il potere di giudicare, che è solo di Dio. Dare a Cesare quello che è di Cesare (brano del vangelo) è il contrario di un'equa divisione fra Cesare e Dio, perché dando a Cesare il suo denaro vuol dire sbarazzarsi di lui, per poi dare tutto quello che si è a Dio.

3) vs 4-6: se questi sono portati via schiavi, io cosa ci sto a fare?, dice il Signore. E' come se Dio si perdesse se non ci siamo noi; quanto siamo importanti per lui!. Se Dio non dialoga con noi col Cantico dei Cantici, cosa ci sta a fare?

La proposta della fede nei confronti di chi ha agito male può essere solo la liberazione. La colpa, il peccato, è già la sua pena; è un obbrobrio, dal venerdì Santo in poi, pensare che siamo di fronte ad un bivio e che possiamo scegliere fra bene e male. In realtà siamo legati e nudi, dentro al male più grande di noi. Ma è Pasqua: "Svegliati". Il rischio è una certa rassegnazione alla propria prigionia . La morte è vinta; bisogna fare i gesti della Pasqua: scrollarsi di dosso la polvere perché l'avvenimento del perdono, che è la Resurrezione, avviene. Il perdurare della nostra tristezza e dell'ombra di morte deriva dalla contaminazione del mistero; bisogna cercare atteggiamenti filiali, non dibattiti su chi ha ragione. Qui non ci sono più regimi, ma solo l'annuncio, che è la Pasqua, è il perdono, è la Resurrezione. Noi abbiamo considerato "nostro" il problema del male e pensiamo di poterlo risolvere con le condanne e col carcere. Invece siccome il male è grande e gratuito, così deve essere la sua soluzione: enorme e gratuita. La preghiera è l'atto più forte che noi possiamo compiere, è la provocazione totale nei confronti di Dio perché tutto il bene viene da Lui.

 

26-2-01 Is 52, 7-12; 2 Co 7, 2-7; Lc 20, 27-40 (Francesco)

 

Noi non abbiamo la luce, ma possiamo riceverla e trasmetterla

- Le parole che oggi riceviamo attraverso il profeta Isaia cantano la bellezza del messaggero di buone notizie. Cantare la bellezza vuol dire essere introdotti nel mistero dell'amore sponsale di Dio per l'umanità. Di queste nozze parla anche il brano evangelico. Il Signore è lo sposo di tutti noi perchè è l'unico annunciatore di buone notizie. Con la nostra esistenza cerchiamo di rispondere a queste buone notizie aprendo sempre più ad esse il nostro cuore.

- vs 8: "le sentinelle" richiama Is 21, 11-12, dove si chiedeva alla sentinella quanto resta della notte e la risposta era che la notte passa, verrà il mattino: "convertitevi". Là era profezia della salvezza, oggi la salvezza è già arrivata e le sentinelle gridano di gioia: siamo già alla Pasqua. Non è chiesto nulla all'uomo.

- Alcuni particolari: l'annuncio del messaggero riguarda una cosa esclusivamente di Dio: "Regna il tuo Dio". C'è come il ritorno ad una situazione originaria quando Dio guidava il suo popolo. Dio prende possesso di nuovo del suo popolo, Dio è tornato. Bisogna fargli spazio. Dio cammina davanti ed anche dietro la carovana. Lui è guida e sostegno.

- Il dialogo di oggi ci colloca in un tempo particolare, quello di un incontro presagito che ricorda il dialogo fra l'amato e l'amata del Cantico dei cantici. La sentinella avverte di una cosa che sta per avvenire: anche il ritorno del Signore si può vedere come una conversione del Signore al suo popolo.

- L'uscita richiama l'Eucarestia: si devono portare gli arredi del Signore e, come per la Pasqua, bisogna uscire in fretta. Anche nella liturgia è il Signore che conduce, è Lui che è guida e sostegno del nostro cammino.

- I messaggeri/sentinelle sono "esuberanti" per come vedono: sembrano lontani dalle guide cieche del vangelo di ieri (Lc 6, 39-45). Il Salmo 35 dice "Alla tua luce vediamo la luce", e si capisce che la guida di ieri era cieca perché pensava di poter essere lei ad avere la luce, mentre le sentinelle cantano la luce che arriva loro dal Signore. Ogni annuncio del vangelo è un'esclamazione gioiosa alla luce di Dio prima di essere annuncio al fratello. Possiamo comunicare la luce solo se fissiamo lo sguardo alla luce vera. Così è l'occhio fine del discepolo che può dire: "E' il Signore". E' l'onda di luce che invade l'annunciatore che gli consente di trasmetterla ai vicini. Noi non abbiamo luce, ma possiamo guardare la luce del vangelo e la possiamo indicare

- Due parole importanti. "La bellezza dei piedi del messaggero", che sta ad indicare la bellezza di un movimento verso chi riceve il messaggio, quindi la concretezza del farsi vicino di Dio con la sua parola. Sono persone concrete che ci porgono la parola, e l'incarnazione è la visibilità di questo portarci la parola. I piedi sono belli perché le parole portano pace, bene, salvezza, regalità. La seconda parola è "ha snudato il suo santo braccio", già usata al cap 20 e 47,2 per indicare nudità vergognose di qualcuno esposto al ludibrio. Oggi è il santo braccio di Dio che viene snudato, quindi forse è segno di debolezza, evocativo della nudità della croce. Dio agisce indebolendosi, spogliandosi. La bellezza massima di Dio è la nudità di Gesù sulla croce.

 

 

27-2-01 Is 52, 13-53, 6; 2 Co 7, 8-16; Lc 20, 41-44 (Francesco)

 

Contemplare l'uomo dei dolori

- E' bello concludere il primo tratto del tempo ordinario ed entrare nella Quaresima ascoltando le parole del canto del Servo, che riprenderemo dopodomani. Questo canto ci indica la direzione del nostro cammino quaresimale: contemplare il volto dell'uomo dei dolori, di Gesù. In queste parole c'è tanta forza e profondità. Esse ci fanno penetrare nelle parti più intime del mistero di un Dio che si è fatto figlio per noi. Chiediamo al Signore la grazia di stupirci davanti a questo mistero.

- vs 15: i re che si chiudono la bocca. Al cap 6 la chiamata d'Isaia da parte della santità di Dio l'aveva costretto al silenzio. Così qui la percezione della santità di Dio, con la sua piccolezza, schiaccia la "grandezza " dell'uomo.

- Il "successo" non è tanto presso gli uomini. Lo stupore e la meraviglia dei re possono anche essere negativi. Il successo forse è presso Dio, nel senso che questo servo fa veramente la volontà di Dio e così compie la sua missione. Isaia trasferisce su un uomo tutto quanto si dice nell'AT circa il capro espiatorio e lascia perplessi il fatto che ne parli al passato, come se fosse una cosa già avvenuta; sembra quasi di sentir parlare un apostolo. Il canto del servo è anche in Giovanni: "Signore, chi ha creduto alla nostra parola..."; si parla di parola, non di prodigi o segni. Tutto quanto succede a questo servo è interno alla rivelazione di Gesù.

- vs 15: in latino c'è il verbo dell'aspersione. Richiama l'antica alleanza quando Mosè asperge il popolo col sangue dei sacrifici. Anche in 2 Pt dice che gli eletti sono tali nell'aspersione del sangue di Cristo.

- L'interpretazione che gli Ebrei danno del canto del servo è che si parli di Israele, delle sue sofferenze e della sua dispersione fra le genti. Questo non è contrapposto all'interpretazione cristiana che vede, nel servo, Gesù, perché in fondo è la stessa cosa. Al cap 53, 1 "Su chi si è rivelato il braccio del Signore"? è un domanda su una persona; di chi sta parlando? E' bene lasciare aperta questa domanda per tenere largo il campo d'applicazione. L'uomo dei dolori certo è Gesù, ma è anche qualunque uomo che soffre. Anche lo stupore richiede di lasciare aperta la domanda, bisogna lasciare posto ad una certa misteriosità. Al vs 3 "non avevamo alcuna stima" è il verbo del non contare, non tenerne conto; è proprio la persona da cui riceviamo tutto, è Gesù, ma è anche tutte le persone della nostra vita, tanti casi di dolore, di persone toccate dalla predilezione di Dio. Anche Paolo parla di dolore (tristezza), secondo Dio, che è il dolore del pentimento perché riconosciamo di essere stati anche noi quelli che non hanno capito. E' il dolore che si manifesta quando c'è questa rivelazione: "Contempleranno colui che hanno trafitto".

 

 

01-3-01 Is 53, 7-12; 2 Co 8, 1-9; Lc 20, 45-21, 4 (Francesco)

Dal suo tormento vedrà la luce

- Come abbiamo già notato, quest'anno l'inizio della nostra Quaresima è incastonato nel cap. 53 del libro del profeta Isaia, che ci presenta il misterioso uomo dei dolori. Ieri la liturgia ci invitava alla conversione, al ritorno al mistero grande dell'uomo dei dolori, di cui oggi contempliamo la mitezza e la potenza di redenzione per le moltitudini. Il mistero dell'uomo dei dolori è il mistero di Gesù, di ogni vita, dell'umanità tutta.

- vs 10: tutti i tempi dei verbi passano dal passato al futuro ed il discorso diventa chiaramente profetico. Parla di un'offerta, presente anche nelle altre due letture, che è prima di tutto verso Dio, ma può diventare anche verso i fratelli. Tutto poi trova compimento nell'offerta della croce. Colpisce che dica: "Quando offrirà se stesso in espiazione, avrà una discendenza, vivrà a lungo". E' proprio la Pasqua.

- vs 8: l'offerta di uno per tutto il popolo è molto significativa per i cristiani; è necessaria una preghiera continua e forte.

- vs 7: il servo fu offerto perché lui stesso lo volle. Sembra ci sia una precisa volontà del servo di seguire questa strada, che lui non subisce, ma accetta con mitezza straordinaria. Soffre volontariamente e, nel silenzio, offre se stesso.

- Sempre al vs 7 c'è per due volte "non aprì la sua bocca". E' in negativo l'effatà che viene detto nel Battesimo, quello che fa il Signore con ognuno di noi.

- vs 11: quest'uomo è forse l'unico che capisce quello che sta succedendo "Dal (non "dopo il") suo tormento vedrà la luce". Si può collegare al 52,13: "Ecco il mio servo agirà con saggezza". E' l'unico che sa cosa sta succedendo.

- Oggi si contempla la totale coincidenza fra la volontà del servo e volontà del Signore.

- Testo molto ricco di particolari, un tesoro in gran parte inesplorato. Ci limitiamo ancora al problema dell'identificazione di questo servo. Gli Ebrei vedono in esso il loro popolo, le cui sofferenze hanno un valore redentivo. Questa interpretazione non va contrapposta a quella cristiana, il mistero è unico e bisogna che tutti possano riconoscersi in lui singolarmente o in modo collettivo. Il testo ci mostra un mistero che volutamente è tale proprio perché deve parlare ad ogni vicenda. Per il cristiano, è la croce di Gesù. Le altre letture si accostano in modo mirabile: Paolo concretizza nelle chiese di Macedonia il mistero della povertà; nel vangelo è la vedova che offre tutto quanto aveva per vivere ed in questo modo si incarna il mistero dell'uomo dei dolori. Il testo parla anche di persone beneficiarie della sofferenza del servo: empi, ricchi, moltitudini, peccatori. C'è una grande diffusione del bene prodotto da questa sofferenza.

 

2-3-01 Is 54, 1-10; 2 Co 8, 9-16; Lc 21, 5-11 (Francesco)

E' dalla povertà che viene fuori il bene

- Nei giorni passati abbiamo contemplato la figura dell'uomo dei dolori e la sua bellezza tutta particolare che respinge, ma attira. Questo potere di attrazione lo esercita su tutti e lo rende sposo dell'umanità. E oggi si parla proprio dell'umanità, che viene invitata a prendere gli abiti della sposa. Gerusalemme siamo noi, con tutte le nostre fatiche. Siamo quindi convocati dal Signore ad "allargare" la nostra vita per renderla luogo festoso di incontro. Chiediamo perdono per i nostri peccati e ascoltiamo il suo invito a rinnovare la nostra vita, facendoci prendere per mano da Lui.

- vs 7: si parla di breve istante d'abbandono e poi d'accoglienza. Il cambiamento d'atteggiamento del Signore non è causato da un cambiamento d'atteggiamento della sposa, ma è una questione interna di Dio stesso che, in un certo senso, si converte in modo unilaterale. E' Lui che insegna la conversione.

- Questo capitolo, molto noto, se viene letto in continuità con gli altri è ancor più prezioso. Colpisce che la fecondità della sposa sorga dalla passione del servo. Il Signore è lo sposo di sangue. La fecondità deriva dalla passione e dal dono della vita.

- La parola misericordia è molto frequente, anche come verbo, nel testo di oggi. La misericordia di Dio è eterna, come il suo amore .

-vs 10: non dice "non vacillerebbe", ma "non vacillerà"; ed è bello che il Signore dia quest'ultima garanzia sulla sua alleanza di pace.

- Gerusalemme non ha ancora partorito, ha provato con altri, ma solo Dio la può rendere feconda con un suo atto unilaterale. Domani già si parlerà di una Gerusalemme celeste. Dio viene, ma il rischio è che non sia riconosciuto (vedi vangelo). Lo sposo vero è il primo, anche se poi Gerusalemme lo aveva lasciato.

- vs 7-8, "breve istante": fanno capire che Dio non è mai lontano da noi.

- Colpisce, riguardo la fecondità, che siano chiamate a gioire le abbandonate e non le maritate. Forse quest'ultima è la situazione di chi crede di poter fare senza Dio.

- Conviene tener assieme anche i testi dei giorni scorsi, dove venivano descritte le sofferenze del servo. Oggi cambia tono, si parla di festa e salvezza. Siamo quindi passati dalla passione alla resurrezione. E si deve anche cogliere un'identità di situazioni: il messaggio si rivolge ad una donna che è in una situazione negativa, il "breve istante" che è tutta la nostra vita. La donna è in una situazione di sterilità e di abbandono, così come la gente cui Gesù parla nel vangelo. Il servo e la donna hanno in comune la sofferenza, situazione visitata dalla misericordia di Dio. E' nella situazione di difficoltà che la donna viene consolata. La parola di Dio sempre ci coglie in situazioni di difficoltà ed è lì che interviene. Come dice Paolo, è la povertà che arricchisce, è dalla povertà che viene fuori il bene. E' la buona notizia data ai poveri. La parola di consolazione data oggi è molto importante. E' l'ascolto di questa Parola che produce una realtà nuova. Anche il Salmo 58 dice: "Fammi sentire gioia e letizia" e non "dammi gioia e letizia". Siamo quindi invitati a leggere e rileggere questa parola per cogliere la buona notizia.

 

3-3-01 Is 54, 11-17; 2 Co 8, 16-24; Lc 21, 12-19 (Francesco)

Siamo peccatori, ma non abbandonati

- Impressiona che, anche oggi come ieri, il brano del profeta Isaia inzi parlando della situazione povera ed isolata della città e del popolo. E' proprio in questa desolazione che il Signore esprime tutta la sua consolazione. Se non fosse così, ci sarebbe il rischio di autocompiacimento, e piccolo sarebbe il prodigio. La salvezza non ci appartiene, ma ci viene consegnata istante per istante dalla misericordia di Dio. La fede non può essere altro che stupore, a partire dalla nostra presenza qui, raccolti appunto dalla misericordia di Dio. Bisogna quindi stupirsi ed abbandonarsi al Signore, dopo aver chiesto perdono per le nostre aggressività verso Dio e verso i fratelli.

- Vengono riprese le espressioni che indicano povertà e desolazione della sposa ed è proprio questa povertà che viene preziosamente adornata. La misericordia del Signore l'ha soccorsa nella povertà e non aspetta a renderla preziosa e feconda. I tesori sono la ricchezza intrinseca di Cristo che viene svelato a tutti.

- Discepoli del Signore: ripreso in Gv 6, 45 da Gesù. L'espressione discepolo era già stata usata in Is 50, 4 ("iniziato"). L'espressione, là riferita al servo, qui è riferita a tutto il popolo (vedi anche vs 17, dove tutti ora sono chiamati servi del Signore). La predilezione di Dio per il suo servo si diffonde a tutto il popolo.

- C'è vicinanza fra Isaia e vangelo per il tema dell'oppressione e per l'assicurazione finale che le armi del nemico non avranno successo. Il parallelo col vangelo c'è anche per l'ultimo versetto: "Ogni lingua sorgerà contro di te in giudizio" che ci fa capire che la sposa non è sottratta al confronto violento col mondo, pur avendo il soccorso del Signore.

- sorte = eredità; in Paolo si dice: eredi di Dio, coeredi di Cristo, tutti associati nella Pasqua

- E' un grande invito a ricordarsi dell'opera del Signore. Il vs 13 nell'originale dice di più sull'opera che il Signore fa, che è l'opera della salvezza. Fa tutto Lui. Quando il soggetto diventiamo noi (vs 14), c'è un comando: ricordarsi quello che lui fa per noi; quindi non avere paura. Siamo peccatori, ma non abbandonati a noi stessi; siamo dentro la sua opera di costruzione e di pace. Poi al vs 16 si parla di creazione, che è fatta proprio per un disegno di salvezza (anche per il nemico, che sempre il Signore ha fatto). Anche il serpente l'ha fatto Dio: nella Genesi dice infatti che il serpente è creatura. Noi siamo prigionieri a Babilonia e lì il Signore ci coglie, chiedendoci l'atto di fede. Siamo qui per presentare le nostre miserie e difficoltà, e Lui qui ci crea la pace. Fidandoci della sua parola e, abbandonandoci al suo mistero, troviamo nelle nostre prigionie la pace. Così è la Chiesa che, immersa nelle contraddizioni, annuncia il Salvatore. Tutto quello che c'è attorno a noi l'ha fatto Lui, quindi non dobbiamo avere paura. Mentre siamo dentro la nostra prigionia, proprio lì sperimentiamo la nostra liberazione.

5-3-01 Is 55, 1-5; 2 Co 9, 1-9; Lc 21, 20-24 (Giovanni)

La sete

- Il nostro cuore è sempre più colpito dai nomi che, di volta in volta, vengono assegnati a chi è chiamato alla salvezza. Oggi, gli assetati. Uno dei problemi più delicati, perchè abbiamo molta paura delle nostre ferite e delle nostre povertà, è quello di non riuscire ad accogliere l'invito del Signore. Ci sono in noi molte resistenze a collocarci nelle situazioni che Dio ha deciso di amare fino al dono di sè. Convertirsi significa prendere il posto giusto, mettersi nel gruppo di coloro che hanno bisogno di essere salvati. Se ci affidiamo alla misericordia di Dio, la sua carità verso di noi aumenterà. Consegnamoci allora al suo perdono.

- vs 2-3: si insiste molto sull'ascolto. Gli assetati qualificano l'ascolto come un atto vitale, l'unico che permette di attingere a questi beni che non si acquistano.

- C'è grande abbondanza di grazie da parte del Signore, quindi c'è l'invito a partecipare a questo patrimonio che è gratuito. Anche Paolo parla di benedizioni sulle quali si può seminare. C'è una grande ricchezza data dal Signore ai poveri.

- Dopo l'incontro di ieri con la donna Samaritana (di cui si è parlato nell'incontro delle donne a Dozza), alla quale Gesù fa capire con gran delicatezza che è lei l'assetata, è bello che oggi il testo cominci con "O voi tutti assetati venite all'acqua"; è un regalo per tutti noi.

- E' il Signore il primo assetato: deve bere il calice d'amarezza e di passione. Così facendo si attuerà quanto dice il profeta. Il compimento del disegno di Dio passa necessariamente attraverso la morte, ma il suo è un vino che porta alla salvezza. Bisogna partire riconoscendo di avere molta sete.

- Colpisce che al vs 1 si sia invitati all'acqua perché si ha sete, poi si riceva vino e latte: il dono è sempre superiore alle attese. Ricorda il Cantico e le nozze di Cana dove si attinge acqua e si beve vino. Il vino poi diventerà il sangue del Signore.

- Importanti gli assetati: non si presentano come poveracci (vs 2); sono ricchi che spendono, ma non riescono a comprare niente che disseti. Noi siamo poveri opulenti, ricchi ma poverissimi per tanti elementi (tragedie dei ragazzi, vecchi abbandonati) e siamo dentro una grande sete. Oggi c'è l'intreccio straordinario fra ascolto e mangiare e bere: il vero problema è avere sete. Alla donna della Samaria bisognava fare capire che aveva sete. Molti non sentono sete, molti non vanno al banchetto perché sono già sazi e quelli che ci vanno non sembrano avere una gran sete. Questo vale particolarmente per i preti che, più che assetati, sembrano distributori d'acqua. Dobbiamo convertirci alla sete, dobbiamo capire d'avere sete, altrimenti non riusciremo mai a far capire a qualcuno cos'è questo regalo; tutto diventa doverosità e va male perché l'ascolto non è una doverosa devozione. Così il giubileo della gioventù, grande raduno, ma poi cosa trovano i giovani tornando a casa? Trovano sacerdoti che hanno sete? La fede non è capire tutto, ma è avere bisogno di Dio. Così il brano di oggi o è reale, oppure a cosa serve? Se non si capisce più la necessità della Messa, è inutile farne un precetto: se non si ha sete, a cosa serve un viaggio alla fonte? C'è poi una categoria di persone che avrebbe sete e non viene a Messa perché noi carichiamo tutto di ortodossia e di precetti. L'asprezza della legge sostituisce il vangelo ed allora l'assemblea che si riunisce non è più di tutti perché tanti vengono esclusi (divorzio, aborto, ecc). E' la severità della vita che fa scoprire la sete, ma noi anche senza volerlo escludiamo molti. Il rapporto gente-chiesa è quello che dicono i giornali, le dichiarazioni dei vari vescovi. Chi le legge non si convince d'avere sete, ma si sente escluso. Ognuno di noi ha bisogno di essere aiutato a capire la sua sete; è un problema generale. La Samaritana ieri era portata pian piano a capire di avere sete, invece oggi quanto troviamo sui i giornali e ascoltiamo alla TV tende a far capire solo che si è fuori dalla Chiesa. Scoprire di aver sete è il dramma e la salvezza della nostra vita.

6-3-01 Is 55, 6-13; 2 Co 9, 10-15; Lc 21, 25-28 (Giuseppe)

Invocatelo mentre si avvicina

- Ringraziamo il Signore che ci ha riuniti anche stamane. Quest'opera di convocazione esprime tutto il suo amore per noi. Chiediamo perdono per ogni resistenza al suo richiamo, per ogni volta che abbiamo opposto ostacoli alla comunione con Lui e alla comunità tra noi suoi servi, e per ogni segno di mormorazione e di maldicenza. Chiediamo con fiducia la misericodia del Padre.

- Questo passo è molto legato al cammino della Quaresima. I pensieri e le vie nostre sono lontani in modo incommensurabile da quelli di Dio, ma il Signore si fa trovare, è vicino. Richiama Gv 3 quando parla di colui che viene dall'alto, è al di sopra di tutti ed attesta ciò che ha visto e udito. I nostri pensieri invece sono legati alla terra. C'è poi un'abbondanza di doni di Dio, ai quali deve corrispondere un'abbondanza di ringraziamenti da parte nostra.

- vs 1: "mentre si può trovare", dice la Vulgata e questo significa che non sempre si può. Ci sono delle condizioni, se non vogliamo che la nostra ricerca sia infruttuosa. Le condizioni sono: ascolto umile e mite della sua Parola, desiderio di pentimento e di conversione.

- E' un brano di grande intensità, in cui, in modo fortissimo, viene proclamato il ritorno di Dio. Le tre parole fondalmentali sono: ritorno, ricerca, invocazione. Sembra non ci sia un momento in cui il Signore dice: ecco, mi potete trovare; però ci viene rivelato dalla sua parola che il Signore è vicino a noi. Bello il paragone della pioggia e neve che operano come la Parola; la quale è sempre sproporzionata rispetto a noi, come lo è la misericordia di Dio.

- Il tema della vicinanza e lontananza è proprio del mistero di Dio. E' bella l'immagine della pioggia che scende dal cielo e della terra arida che non potrebbe produrre nulla se prima il cielo non si fosse piegato su di lei. Sottolinea l'intervento di Dio con la sua Parola (che esce, feconda, ritorna), che poi è Gesù.

- Il brano ha un'unità profonda con quello di ieri soprattutto per quello che "esce dalla bocca di Dio". Si tratta di un oracolo (vs 12) da parte di Dio al popolo che sta per tornare alla terra promessa. "Ritornare" si trova al vs 7 (empio ed iniquo che se ritornano troveranno misericordia), al vs 10 (similitudine con la pioggia e la neve), al vs 11 (è la parola che esce dalla bocca di Dio che ritorna). C'è anche il verbo "uscire": uscire da Babilonia. Il ritorno di Israele dall'esilio è presentato come un movimento che parte dal cielo, determinato da Dio che fa uscire il suo popolo e lo fa tornare alla sua terra. Come la Parola, così il popolo è in un movimento eterno che si svolge in Dio. Anche l'iniquo può tornare, perché sa che troverà misericordia. Questo mette al centro la Pasqua di Gesù ed è chiaro l'invito di cogliere l'attualizzazione della Pasqua nelle piccole cose. Così, ad esempio, fa Paolo (II lettura) dove per la colletta cita Is 55,10: la raccolta dei soldi è resa possibile dalla sovrabbondante grazia di Cristo. Anche nelle piccole cose si presenta la ricchezza del movimento che parte da Dio ed a Lui ritorna. E' infallibile e naturale il progetto di Dio: Dio è fedele a rispondere, come il sole a sorgere: sicuramente il suo progetto andrà a buon fine. "Invocatelo mentre è vicino" (vs 6) sarebbe "Invocatelo mentre si avvicina". Il regno di Dio è quel movimento che perennemente si avvicina a noi e questo comporta anche il movimento della nostra vita. Se fosse fermo uno potrebbe allontanarsene, ma Lui è in movimento, ci cerca come nella parabola della pecora smarrita e noi non possiamo sfuggirgli. Anche fisicamente c'è, per noi, un continuo movimento: ogni giorno veniamo attirati e ci riuniamo (nella liturgia), poi veniamo dispersi nella vita quotidiana.

 

7-3-01 Is 56, 1-8; 2 Co 10, 1-11; Lc 20, 20-26 (Francesco)

Un posto e un nome

- Ieri il Signore, per mezzo del profeta Isaia, ci ha detto parole importanti riguardo l'energia di fecondazione della sua Parola. In quel brano era facile vedere la profezia della venuta del Verbo di Dio, Gesù, fra l'umanità per portare la salvezza. Oggi le parole del profeta ci invitano ancora alla speranza, rivolta non solo al popolo eletto, ma anche alle situazioni più difficili e umiliate. Chiediamo perdono al Signore per le nostre resistenze, tristezze e scetticismi sul fatto che il bene della nostra vita possa crescere per la sua visita.

- vs 1: "si è avvicinata la salvezza"; anche il vangelo parla della vicinanza del Regno; è il Signore che si fa vicino ed offre la salvezza a tutti.

- vs 5: c'è un rinnovamento del culto per cui, al ritorno dall'esilio, si apre la porta a tutti, cosa non prevista dalla legge. Gesù non guarda più allo stato sociale (pubblicani e prostitute vi passeranno davanti nel Regno dei cieli), ma al cuore delle persone. Nelle parabole dei banchetti la sala deve essere riempita ed entreranno "buoni e cattivi". Gerusalemme diventerà il punto di riferimento per tutte le nazioni; c'è grande enfasi sulla preghiera più che sul sacrificio.

- Parole molto belle e ricche. Nella Vulgata al vs 2 dice: "Beato l'uomo che custodisce" (non "che non profana") il sabato". Si custodisce quando si ama, quindi la salvezza è amare.

- vs 5: è sottolineata la predilezione del Signore per la condizione umiliata (eunuchi), alla quale il Signore darà un posto migliore che ai figli e alle figlie, ed un nome eterno che non sarà mai cancellato.

- Bello particolarmente il vs 1 che evidenzia il tema della vicinanza, con l'invito ad osservare la giustizia non basato sulle capacità dell'uomo, ma fondato sul movimento che Dio sta attuando verso di noi. La salvezza, molto legata alla giustizia, non è prodotta dall'osservanza umana, ma dal movimento di Dio. E' il suo farsi vicino che muove il nostro volgerci a Lui. Anche ieri (vs 6) parlava del Signore "vicino". Belli anche i verbi che esprimono i rapporti fra persone e Signore: al vs 3 "aderire", al vs 4 "restare fermi nella sua alleanza", al vs 6 "amare il nome del Signore". Sono tutte espressioni che parlano di intimità fra l'uomo ed il Signore. Il tempio "casa di preghiera per tutti i popoli" è presente in tutti tre gli evangelisti. In Marco in particolare l'episodio della purificazione del tempio è incastonato nella parabola del fico sterile. C'è quindi il ricordo di una certa sterilità che poi viene superata da un'ulteriore dono definitivo di fecondità nella "casa di preghiera". Noi quindi siamo invitati ad una prospettiva di bene, di promesse buone, di una crescita nel dono di Dio (un posto e un nome). Israele, dopo l'olocausto, ha dedicato questo versetto ("un posto e un nome") a tutte le persone che hanno aiutato gli Ebrei durante le persecuzioni, aprendo così una prospettiva ancora più larga riguardo il bene che viene ad altri attraverso il contatto con Israele. (Qui in Isaia, invece, sembra che questo versetto sia per coloro che, anche se lontani, accettano le leggi ed i costumi d'Israele).

8-3-01 Is 56, 9-57, 2; 2 Co 10, 12-18; Lc 21, 34-38 (Francesco)

Tutti siamo chiamati ad essere guardiani

- La parola del profeta oggi riguarda i pastori del gregge del Signore. Dobbiamo sentirla rivolta a noi tutti, perchè ciascuno di noi ha una qualche responsabilità verso altri. Questa responsabilità contempla l'ipotesi del rimprovero per la correzione. Il discorso dei pastori rimanda all'unico Pastore Buono. E' a Lui che affidiamo noi e le nostre piccole greggi. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati di egoismo e di trascuratezza verso le persone che ci sono affidate.

- Può apparire strano per noi il discorso iniziale, il paragone coi cani muti; poi però ci si accorge che è rivolto a ciascuno di noi. Caino dice "sono forse io il guardiano di mio fratello?" Siamo chiamati a questo: ciascuno è nostro. Anche l'Apostolo tratta lo stesso tema. La via buona è spendersi per il vangelo e cercare gli interessi di Cristo (Fil 2,21).

- Bello anche il confronto col vangelo. Ai cani muti e sonnacchiosi d'Isaia si contrappone Gesù che, di mattina presto, insegna.

- Importante il susseguirsi, apparentemente disordinato, degli oracoli del profeta, inquadrati dalle note in tempi diversi: a volte incoraggiamenti, a volte sgridate. Tutto questo ci dice che uno non può mai disperare perché il Signore l'aiuta, ma non può presumere troppo di se stesso perché è un peccatore.

- Alcune parole, senza giustificare i guardiani, fanno capire che c'è un'impossibilità concreta per loro. Sono ciechi, incapaci d'abbaiare, non sanno saziarsi, sono incapaci di comprendere. Da soli non possono fare niente, ma non sembra ci sia malizia in loro. In Gv 10 dice la stessa cosa; bisogna che arrivi il Pastore ad aprire il recinto. Quindi possiamo sì essere guardiani l'uno per l'altro, ma, prima di tutto, siamo tutti pecore.

- 57,1: in greco è "guardate, perisce il giusto". E' un invito a guardare oltre il proprio steccato per vedere il giusto, che è la via di salvezza.

- 57, 1-2: richiamano Sap 4 dove si parla del Giusto che viene tolto per essere preservato dal male; fanno pensare anche al sepolcro di Gesù. E' la fecondità della morte di Gesù, incompresa dalla sapienza del mondo. Morte che è un modo di vigilare, come la preghiera che pure non ha senso per la sapienza del mondo.

- Testo vario con molti personaggi. Si apre con bestie invitate a venire a mangiare; poi guardiani paragonati a cani ed infine il "giusto" degli ultimi due versetti. Le bestie sono forse i dispersi d'Israele invitati al sacrificio. Le bestie torneranno in Ap 19, 17 quando c'è la descrizione del grande banchetto. Anche in Ez 39, 17 si parla di un banchetto sacrificale. Queste bestie forse non rappresentano solo Israele, ma tutte le popolazioni dei lontani. I guardiani nei LXX non vengono nominati; il vs 10 dice "Vedete, tutti sono diventati ciechi", quindi tutti sono dentro questo giudizio di non attenzione e custodia del gregge. Al vs 11 non è chiaro se parli dei pastori o dei cattivi, ma tutti si devono sentire interpellati. Infine il "giusto" è una figura molto suggestiva; il greco evidenzia la sua sepoltura nella pace. Le persone che non badano al gregge non vedono il patire di questo giusto. Tutte cose che per noi richiamano il sacrificio di Gesù.

9-3-01 Is 57, 3-13; 2 Co 11, 1-6; Lc 22, 1-6 (Francesco)

Chi confida nel Signore possederà la terra

- Le prime parole del brano di Isaia contengono tre volte il termine "figli". Con questo termine ci viene ricordata l'ipotesi negativa di essere figli della perdizione; ma è anche il termine che ci ricorda che, in realtà, siamo figli di Dio e che Dio ha cura dei suoi figli. Dobbiamo riconoscere i nostri peccati, ma non scoraggiarci perchè sappiamo che Dio non si stanca di noi. L'eucarestia è la mensa che il Padre prepara per noi, al di là di ogni nostra aspettativa. Dobbiamo aver fede nella nostra condizione di figli amati da Dio.

- Quando il Signore rimprovera come oggi, a questi rimproveri si alternano e si accostano atti di tenerezza. Solo nella consapevolezza del peccato ci può essere comunione con lui. Al vs 11 l'infedeltà dimostra che il Signore ci vuole bene.

- Sorprende come il vs 10, dopo tutti i guai combinati, suggerisca solo che bastava dire "inutile" e lui è pronto ad accogliere di nuovo. Nella lettera ai Corinti è Paolo che teme per il tradimento. C'è timore per i rischi che si corrono.

- vs 3: c'è stato uno che ha detto "vengo", cioè Gesù, che ha accettato di venire in questa condizione ferita. Questa è la cosa più importante che è successa nella storia. E' importante desiderare e chiedere di dire "si, vengo!" Adesso che è venuto Gesù, conviene accedere al giudizio divino perché è di perdono. E' sbagliato fuggire, sottrarsi. Venendo a messa accettiamo di essere riconosciuti come progenie malvagia. Ma, siccome c'è lui, va bene anche a noi. Rimane il problema di Giuda; ma Dio, che volge tutto al bene, ha messo tutto insieme. Da quando nella storia c'è Gesù, l'innocente, non bisogna più avere paura, ma gloriarsi di essere salvati. Anche molte malattie mentali derivano dal fatto che uno non accettala sua ferita.

- vs 4: richiama Gesù deriso nella passione, quindi il giudizio; accettarlo significa accettare la salvezza, che è il "non giudizio", cioè è la misericordia incondizionata nella quale non viene chiesto neanche il pentimento. I Corinti hanno bisogno di sapere che sono fragili, anche Giuda, apice della vicenda, fa parte del gioco, sapendo che alla fine c'è pace e salvezza.

- La sintesi è l'invito dell'ultimo versetto a confidare nel Signore e nelle sue promesse. Questo ci collega a quanto ieri ascoltato, quando la critica ai guardiani ciechi e muti si concludeva con la figura del giusto e della sua sepoltura nella pace. L'invito è a non confidare negli idoli, nei sacrifici, nelle liturgie sbagliate.Tra le varie immagini descritte, al vs 8 c'è "il tuo emblema"= il ricordo di te; cioè il peccato è stato compiuto nei luoghi (stipiti delle porte) dove andavano messe le parole di Dio. Bisogna invece fare attenzione alla memoria di un altro: di Gesù. La figura del Signore viene trascurata, dimenticata, schernita. Bisogna invece agire in modo opposto. C'è un evidente collegamento con l'Apostolo, dove i Corinti vengono presentati come vergini caste destinate come sposa a Cristo; ed anche col vangelo, dove l'inizio del racconto della Passione ci porta all'origine della nostra fede.

10-3-01 Is 57, 14-21; 2 Co 11, 7-15; Lc 22, 7-13 (Giovanni)

Gesù, la "congiunzione"

- Nella memoria della nostra vita dobbiamo sempre confessare come, alle nostre vie non buone, Dio risponde sempre con vie e avvenimenti di conversione e di riconciliazione. Il suo bene è più forte di ogni male. La storia è dominata dal suo assoluto desiderio di salvezza. Talvolta le scritture presentano ipotesi di stanchezza di Dio, ma poi all'improvviso ce lo troviamo accanto con la sua misericordia. Quindi portiamo qui stamattina tutti, specialmente quelli che potrebbero aver patito per causa nostra, e ringraziamo il Signore chiedendo perdono per i nostri peccati.

- vs 19: in ebraico "che crea come frutto delle labbra pace"; usa il verbo della creazione. Il rapporto precedente, che aveva come caratteristica la separazione fra Dio ed il popolo, qui viene cambiato e la pace, annunciata nella resurrezione, è il frutto della nuova creazione.

- vs 15: "cuore degli oppressi", richiama il Salmo 50 dov'è oggetto del gradimento di Dio. E' bello che il Signore si presenti come colui che vuol fare rivivere i cuori spezzati; quasi una rassicurazione per chi ha il cuore spezzato perché sarà accolto e consolato. Ci si può rimettere in cammino.

- vs 16-17: c'è una specie di difficoltà di Dio perché il suo sdegno ed il suo castigo non possono andare tanto oltre, altrimenti verrebbe meno l'alito vitale che ha creato. Deve superare questa difficoltà per giungere alla nuova storia dell'amore.

- I primi versetti (preparare la via, rimuovere gli ostacoli) trovano conferma nel testo del vangelo dove ci sono indicazioni per trovare questa strada e spianarla; poi però è Dio che fa tutto, non c'è più nessuna difficoltà, è la Pasqua.

- Alcuni termini portano a ricordarci che Dio non è giudice, ma padre paziente e misericordioso, in una dimensione molto domestica.

- Ci sono tante piccole paroline, infilate dal traduttore, che impoveriscono il testo. Si tratta invece di un testo sorprendente, che non nega niente di quanto detto ieri. Il vs 15 non dice "ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati" bensì "in luogo eccelso e santo io dimoro con gli oppressi e gli umilati". E' il mistero stupefacente di come Gesù abbia unito cielo e terra, vita e morte; altrimenti si introduce il sospetto che Cristo sia venuto perché è successo un incidente. Ma non è così, non è che se non fosse successo quest'incidente noi avremmo potuto fare da soli. Noi siamo poveri peccatori e Gesù sta nel Padre e in noi ed è assoluta alleanza. Al vs 16 mette in evidenza che Dio ha corso un rischio: Lui discute e si adira, ma viene meno il suo Spirito ed il suo alito vitale. Al vs 17 non c'è "eppure", è il dramma di Dio che dovrebbe rimproverare, ma questo allontana l'uomo che se ne va per le cattive strade del suo cuore. Al vs 18 non c'è il "ma"; dice: "Ho visto le sue vie (pessime), voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni". Nel suo cuore Dio vive in perfetta unità la sua santità e la nostra cattiveria. Non ci sono contrapposizioni fra noi e Dio, bisogna mettere solo congiunzioni. La congiunzione vera e unica è Gesù. Se Dio fosse consequienziale alla sua giustizia, noi saremmo annientati. Invece c'è perentorietà nell'atteggiamento di Dio perché Gesù è la sua misericordia. Invece di preoccuparci della nostra iniquità, dobbiamo preoccuparci delle nostre relazioni, perchè non si devono discutere i problemi che ci dividono, ma curare il nostro rapporto. Noi invece vogliamo vedere chi ha ragione. Il testo di oggi, "pulito" da tutti i "ma" e "però", ci dice che Dio davanti ai nostri peccati non li discute, ma cura la sua relazione con noi. Gli empi non troveranno pace perché prima vogliono mettere a posto quello che non si può mettere a posto. Non si può far altro che cedere; se no, badando solo alle ragioni della difficoltà, si spezzano legami preziosissimi. La prima cosa da curare è il rapporto stesso. La messa è infatti lo svolgersi del suo amore per noi e della nostra accoglienza di questo amore. Non si valuta mai abbastanza il fatto che la legge fondamentale è una legge di relazione. La cosa più importante è che tu voglia bene con tutto il cuore; i comandamenti o sono un modo per vivere bene questo amore, o sono inciampi. Questo vale per il nostro rapporto con Dio e fra noi. La messa è il primato di questo abbraccio.

12-3-01 Is 58, 1-7; 2 Co 11, 16-21a; Lc 22, 14-23 (Giovanni)

Siamo peccatori e Dio si affida a noi

- Sembra che il Signore in questi giorni voglia richiamare la nostra attenzione sul mistero della liturgia che ci regala ogni giorno. Già la domenica di ieri ci aveva dato forza con la Trasfigurazione. Oggi il cap 57 di Isaia ci restituisce il volto della sacra liturgia come liturgia dell'amore. Qualche cultura ha tratto da queste parole del profeta la convinzione che invece della liturgia bisogna celebrare la carità. In realtà bisogna far entrare tutta la nostra vita nella liturgia. La grande grazia della liturgia quotidiana ci permette di riassumere in essa ogni istante della nostra vita. C'è il rischio, è vero, di farne un atto dovuto e devoto, ma è un atto irrinunciabile della nostra vita per chiarire che ogni bene viene dal Signore.

- vs 1-2: colpisce l'incitamento grande e forte perché il popolo veda il suo peccato, anziché credere di vivere nella giustizia. Il Signore vuole che il popolo capisca e ritorni a Lui.

- vs 3: "gli affari". Non si tratta di affari, ma di "volontà", "la vostra volontà", anche nel senso di diletto, di "quello che più piace". C'è poi il verbo "angariare" che è lo stesso usato per dire dell'azione dei sorveglianti sul popolo d'Israele schiavo in Egitto (Es 7,3). Adesso sono proprio gli israeliti che trattano così gli altri.

- vs 6-7: la carità è definita come un digiuno che Lui ama. L'origine di quest'azione positiva è quindi una rinuncia, un astenersi da cose che ci piacciono; per questo è normale che la carità sia faticosa.

- vs 3: "Perchè digiunare se tu non lo vedi, mortificarci se tu non lo sai?" Dipinge bene uno dei rischi che ci sono per far contento Dio: avere una certa gratificazione, la vanità. Il digiuno è la consapevolezza del nostro peccato o è il far contento Dio? Il vangelo ci aiuta perché il pasto consumato col Signore è una cosa che ci viene data, non si può impossessarsene, bisogna riceverlo.

- vs 7: "dividere il pane con gli affamati"; è usato lo stesso verbo dello spezzare il pane dell'eucarestia. E' Gesù il primo a spezzare il pane, in lui si fondono liturgia e carità.

- E' già una grande grazia che il Signore ogni giorno nell'eucarestia continui a farci capire la nostra cattiva coscienza (vs 1). Le due mani nello stesso piatto, Gesù e Giuda, sono la sintesi del dramma dell'impurità. Anche noi siamo inevitabilmente "doppi" e la volontà di Dio è che noi accettiamo di stare dentro questo dramma. Pietro chiede di stare con Gesù, ma Lui non glielo concede. Noi celebriamo male la liturgia perché spezziamo il legame fra la liturgia e la nostra storia; dobbiamo accettare di essere incoerenti. Pietro pretenderebbe per sè la coerenza totale, senza tradimenti, fino a morire col Signore. La liturgia invece è una coscienza dolorosa, i gesti e le parole che celebriamo sono il giudizio che queste parole e gesti esercitano sulla nostra vita. Dobbiamo accettare con umiltà e gratitudine il giudizio di Dio. Il digiuno è il desiderio che arretri la nostra volontà in modo che sia la carità di Dio ad agire in noi. "Fate questo in memoria di me" vuol dire che l'arretramento della nostra volontà e della nostra vita deve acconsentire a che l'amore di Dio, col sacrificio del Figlio, ci accompagni fino alla fine. Dobbiamo tirare indietro la nostra vita di fronte alla potenza di Dio che celebriamo nella liturgia. La liturgia è sempre giudizio di Dio e nostro ravvedimento. Siamo peccatori e Dio si affida a noi. Quanto feconda sarebbe la liturgia per quelli che ci stanno vicino, se fossimo sempre consapevoli di essere indegni di quello che celebriamo!

13-3-01 Is 58, 8-14; 2 Co 11, 21b-33; Lc 22, 24-30 (Francesco)

Fare il bene è bello, non doveroso

- Le parole del profeta sul sabato, sul tempo dedicato al Signore, vengono illuminate dalle parole della Regola sulla povertà. Il tempo è la nostra ricchezza principale. Il Signore ci invita a consegnarla a Lui e ai fratelli come atto supremo di povertà e come via di speranza per il bene della nostra vita. Chiediamo al Signore che ci insegni questa via di umiltà e chiediamo perdono per aver disposto del tempo secondo la nostra volontà.

- Il cammino del digiuno è fecondo. Chi è ferito viene guarito ed il cammino è fecondo per approfondire il rapporto con gli altri e col Signore. Il Sabato va trattato bene, non bisogna fare la propria volontà, ma cercare la delizia della comunione col Signore e con i fratelli. Solo così si scoprirà la pienezza di questo giorno nuziale.

- vs 10: in greco, "se dai all'affamato il pane della tua vita" ha un significato che va oltre l'elemosina. Si può pensare che l'affamato sia Dio ed il vangelo ci insegna come consegnare la nostra vita al Signore: nella piccolezza.

- La discussione su chi sia il più grande che troviamo oggi nel vangelo c'è sempre anche nella nostra vita. L'invito d'Isaia di riconoscere la luce vera e di invocare il Signore riconoscendo la nostra piccolezza anticipa il vangelo.

- Letture molto dense e ricche di messaggi importanti da parte del Signore. Si può notare la consapevolezza della povertà della nostra condizione. Il profeta si rivolge ad un popolo povero, si parla della tua "ferita", parola spesso citata in Geremia (capitoli 3, 8 e 33) per dire della situazione della figlia d'Israele che è la condizione generale dell'uomo. Dio ha promesso di sanare il suo popolo dalla sua malattia; nel capitolo precedente (vs 18-19) c'è il verbo guarire. Altro aspetto della povertà è "l'oscurità": è un popolo che cammina nelle tenebre e nell'ombra della morte (Is 8 e 9). In questa situazione vengono promesse e donate la guarigione e la luce. Ad una condizione, però: la scoperta della bellezza del bene, non della sua doverosità. E' un invito a guardare la bellezza nascosta nel povero e nel tempo. Tutti gli "allora" e i "se" indicano, più che un comandamento, un invito a scoprire la bellezza che Dio ha messo nella nostra vita. L'affamato è Dio stesso che è quindi vicino all'uomo affamato e povero. Il servizio ai poveri (il cieco, la vedova, il malato) sono i luoghi privilegiati in cui si incontra la bellezza di Dio. Poi c'è il tempo: il Sabato che va scoperto per la delizia che porta, non per la doverosità. Il Sabato è il segno dell'osservanza alla legge; ci viene quindi indicata una via nuova del nostro rapporto con la legge: scoprire la bellezza di rimanere nei precetti del Signore. Vengono riportati anche tre "no", che è necessario considerare: 1) evitare di mettersi in cammino, da non prendere alla lettera, ma da considerare come un "non fare le tue vie"; 2) non sbrigare affari, nel senso di non favorire ciò che piace a noi; 3) non contrattare, nel senso di non dire parole nostre, per fare emergere le sue. Solo così troveremo delizia e pace.

14-3-01 Is 59, 1-15; 2 Co 12, 1-6; Lc 22, 31-34 (Francesco)

Non è troppo corta la mano del Signore

- La Regola ci ha appena detto del primato dei vangeli della passione e resurrezione su ogni altra parola. Tutte le Scritture, infatti, sono interpretate, nel profondo, dal questi vangeli. Questo ci porta a leggere le parole di oggi del profeta Isaia, pur così severe nel sottolineare la nostra condizione di peccatori, nella pace e nella speranza. La preghiera di Gesù per Pietro è più forte di ogni peccato dei discepoli. Con pace, riconosciamo quindi i nostri peccati.

- I primi due versetti ci rivelano il cuore del Signore; il guaio non sta in Lui, sono le nostre iniquità che hanno scavato un abisso fra Dio e noi. Lo costringiamo a nascondersi ed a non ascoltare, gli impediamo di fare quello che Lui desidera. Richiama Gesù che a Nazaret non può fare miracoli. Ai vs 9 e 14 si parla di giudizio e giustizia, rettitudine e verità che non possono venire a noi perché non le abbiamo nel nostro cuore; esse provengono solo dal Signore e noi possiamo solo riceverle ed accoglierle.

- Sembra che non si possa trovare una via per accogliere il Signore. Il vangelo ci fa capire che il vero problema è che noi crediamo di essere capaci.

- Testo molto appropriato alla Quaresima: dobbiamo riconoscere che il peccato è una cosa gravissima che ci allontana da Dio, ci mette in vie tortuose. Spesso non ci rendiamo conto di questo ed è importante sapere che Gesù prega per noi.

- Il vangelo di oggi aiuta molto: Pietro pecca nonostante la preghiera di Gesù. La fede è una cosa, la vita un'altra. Si può peccare anche conoscendo ed avendo fede in Gesù. In Isaia è descritta la situazione dell'uomo peccatore, la situazione reale, ma c'è la preghiera del Signore perché non venga meno la nostra fede. Dal vs 9 c'è cambio di soggetto e si dimostra che c'è consapevolezza del peccato e quindi possibilità di ravvedersi per ricominciare da capo.

- Si può partire dalla domanda: come mai la preghiera di Gesù non impedisce il peccato di Pietro? E' una preghiera per la fede, non per evitare il peccato che è una tappa ineludibile nell'esperienza di fede. Questi testi (cap 57 e 58) sono importanti per il nostro cammino di fede. Sembra sia interna a questo cammino la consapevolezza della nostra condizione di lontananza: il Signore vuole preservarci dall'autoinganno di credere di essere un popolo che pratica la giustizia e che conosce Dio. Il problema, come per Gesù nel vangelo, non sono i peccatori, ma quelli che credono di essere giusti e quindi di non aver bisogno di salvezza. Così Gesù oggi vuole salvare Pietro dalla presunzione di farcela. Fede è la capacità di continuare a sperare dentro l'esperienza di peccato. Anche le parole di Paolo, che si compiace delle sue infermità, sono su questa linea. Il testo ci dice che i peccati dividono da Dio, ma non c'è "scavare un abisso", che troviamo nel testo italiano (vs 2); c'è una separazione che Dio può superare perché la sua mano non è troppo corta. Dal vs 2 al vs 8 c'è la denuncia del peccato del popolo (in Rm 3 Paolo, citando questo testo, ricorda l'importanza che la legge metta tutti sotto il peccato, per poter poi tutti giustificare). Poi dal vs 9 al vs 16 compare il soggetto "noi" e diventa confessione di peccato e quindi preghiera, presa di contatto con Dio. Al vs 15 infine ritorna il soggetto "Dio" e si comincia a vedere la via d'uscita.

15-3-01 Is 59, 16-21; 2 Co 12, 7-10; Lc 22, 35-38 (Francesco)

Il Signore ha visto: nessuno intercedeva

- La Regola ci ha appena ricordato l'invito di santa Teresina a cercare Dio solo. E' invito a non abbandonarsi ad angustie e tristezze per il nostro peccato ed a metterci con umiltà in contemplazione del Signore che prende in mano la nostra situazione di peccatori e la redime. Chiediamo al Signore la grazia di uscire dalla nostre tristezze e di aprirci alla speranza che il mistero del sacrificio di Gesù offre a tutti noi.

- Chi sono i nemici contro cui vuole combattere Dio? Il Signore sa che un nemico c'è e che è colpa sua il peccato e l'iniquità del popolo. Si arma delle armi di cui parla Paolo in Ef 6 e si prepara alla battaglia contro principati, potestà e spiriti che stanno nelle tenebre. Al vs 16 dice "si è meravigliato perché nessuno intercedeva"; il Signore è solo, forse è lui il debole, ma, come dice Paolo, proprio per questo è forte. La vera spada è la sua passione.

- La citazione che si fa nel vangelo ("e fu annoverato fra i malfattori", Is 53), forse è il modo in cui si può compiere la profezia d'Isaia di oggi. Il modo di rivestirsi di corazza e manto è la nudità della croce: non ha altro che se stesso da offrire per il popolo d'Israele e per tutto il mondo ("occidente e oriente").

- Possiamo considerare il problema del modo con cui Dio si pone di fronte al peccato del popolo. Si parla di nemici (vs 18) e si usano espressioni delicate (vendetta; zelo nel senso di fanatismo, zeloti come fondamentalisti; retribuzione, vista con significato negativo), che fanno vedere un Dio fanatico, punitivo, interventista. Noi corriamo il rischio, davanti a queste parole, di interpretare troppo l'AT alla luce del NT quasi per correggerlo. Bisogna invece scoprire la continuità del procedere di Dio. Isaia lo leggiamo come luce che illumina la passione di Gesù, non viceversa. Quindi nel testo noi dobbiamo cercare i segni che ci mostrano la continuità, il suo carattere profetico. Ad esempio, questo capitolo si è andato concentrando su Dio; dopo c'è stata la confessione, ed al vs 15 viene presentato il Signore che "vede". Un Dio attento che vede ed interviene in una condizione di grande solitudine: "non c'era uomo", non c'era intercessore. E' questo che manca: Dio cerca un uomo che faccia da intercessore. Anche le espressioni successive "lo ha soccorso il suo braccio" e la descrizione dell'armatura di vs 17 (corazza è la giustizia, elmo è la salvezza), invitano a considerare la guerra intrapresa da Dio come spirituale. Già al cap 11 parlava del suo inviato che avrebbe percosso l'empio con la verga della sua parola. Non è l'uomo che può salvarsi, è Dio che compie una lotta contro il male dell'uomo e lo salva. Anche il vangelo, con le due spade ed il "basta" di Gesù, fa capire che si tratta di indicazioni spirituali. Proprio perché il loro Signore farà la fine del malfattore e vincerà essendo vinto, Gesù invita i suoi discepoli ad attrezzare il loro spirito per vivere e sopportare questi avvenimenti.

16-3-01 Is 60, 1-9; 2 Co 12, 11-18; Lc 22, 39-46 (Francesco)

Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce

- Il canto d'ingresso ci ha invitato a chiedere al Signore la sua luce e, per felice combinazione, la Regola ci ha ricordato la preghiera del Lume Celeste. Il brano dal libro del profeta Isaia che leggiamo oggi è quello che si ascolta nella festa dell'Epifania, festa di luce. Siamo quindi sollecitati da varie parti a lasciarci illuminare dal Signore, anche se a volte la sua luce ci sembra così fioca. Chiediamo perdono per i nostri peccati, ringraziando il Signore perchè la santa liturgia ci trae fuori dalla nostra condizione di oscurità.

- C'è un rapporto fra Israele ed il vangelo. La situazione di nebbia, oscurità e tenebra di entrambi i testi è un po' la normalità per i popoli. Poi c'è la possibilità di ritrovarsi avvolti di luce, legata all'alzarci (resurrezione). Nel vangelo c'è anche rapporto fra alzarsi e pregare, luce e preghiera.

- Oggi la luce risplende su Gerusalemme, ma sembra una cosa piccola rispetto alle tenebre in cui camminano tutte le altre nazioni. E' l'elezione della città santa su cui splende la luce di Dio che, adesso, è per tutti. Il vs 1 richiama il prologo di Giovanni ("viene la luce vera"). Poi c'è un grande movimento che nasce da quella piccola luce. Tutti possono andare in gran processione alla casa di preghiera.

- C'è la parola "terra" sia in Isaia che nel vangelo. In Isaia si parla della situazione negativa in cui si trova la terra, nel vangelo la terra è benedetta perché accoglie le gocce di sangue di Gesù.

- vs 5: il cuore di Gerusalemme si dovrà dilatare. E' una madre che dilata la sua maternità a tutte le genti. E' un segno importante per tutta l'umanità.

- Dagli interventi è venuta fuori una lettura un po' inattesa. Il singolare legame fra Isaia ed il vangelo è difficile da cogliere; ma c'è "alzati" in entrambi. E' un invito a venir fuori dalla situazione di fatica. La situazione d'Israele (luce) è diversa da quella delle genti (tenebre), ma in realtà anche Israele ora è nelle tenebre visto che è invitato a rivestirsi di luce. Quindi c'è un secondo collegamento col vangelo: Gesù è nella prova (buio), ma riceve una luce dal Signore pregando. Offre se stesso, così come in Isaia c'è una processione offertoriale. Anche la paura collega i due testi ("palpiterà il tuo cuore dallo spavento"). Gerusalemme si spaventa per la visita di Dio, anche il dono di Dio a volte spaventa. In conclusione siamo invitati a vivere tutte le nostre situazioni di buio e di fatica con pazienza e mitezza, come fa Gesù. Questa è la luce cui si riferisce Isaia: vivere abbandonati a Dio offrendo noi stessi. Fatica e dolore sono fecondi: saranno dati figli e figlie e molti riceveranno del bene. Questo testo è una svolta nel nostro cammino quaresimale, si passa dal buio alla luce, bisogna alzarsi perché si va in un cammino di speranza.

17-3-01 Is 60, 10-14; 2 Co 12, 19-21; Lc 22, 47-53 (Giovanni)

Nella mia ira ti ho colpito, nella mia benevolenza ho avuto pietà di te

- Entreremo fra poco nella domenica riempita dalle grandi parole della conversione, che nella liturgia di oggi è vista non come comando e dovere, ma come regalo e appartenenza. Gli stranieri che si dirigono verso Gerusalemme edificheranno le sue mura. Anche Gesù spesso è stato "edificato" da stranieri, con una fede che in Israele non si trovava. Nella messa di oggi teniamo presente tante vicende del nostro tempo, il mistero del male, la violenza dei nostri giudizi. Ma sappiamo che c'é anche il mistero del bene. Siamo gente da niente, ma avvolti e consolati dalla luce del Signore. Sosteniamoci nella nostra poca fede e portiamo con noi tutte le persone che vogliamo affidare alla misericordia di Dio perchè faccia sentire più forte nel loro cuore il suo grido.

- Non dice "sterminio delle nazioni", ma che "i luoghi delle nazioni di coloro che non vogliono servirti diventeranno desolati". Anche al cap 52-53, come qui al vs 14, c'è lo stupore delle persone che avevano disprezzato il servo ed ora si rendono conto di quanto le sue sofferenze hanno operato per tutti.

- "umiltà" del vs 14 in greco è un termine raro che significa "ansietà timorosa". E' con questo sentimento che le genti approdano a Gerusalemme. Per noi questo versetto si celebra in ogni rapporto col fratello, che è sempre portatore di un mistero che va oltre la sua persona. Così come Gerusalemme è portatrice della luce del Signore.

- Il testo di oggi conferma che la conversione, come ben sappiamo, è prima di tutto una relazione ristabilita, un fatto, non un'ipotesi moralistica. E' lasciarsi affascinare e commuovere dalla luce del Signore, è un viaggio verso casa. Si è colpiti dalla mediocrità della conversione del figliol prodigo che torna a casa solo per fame, poi sarà il padre a fargli festa. Se noi fossimo fuori dall'amorevolezza di Dio saremmo disperati; invece basta camminare. Oggi la conversione riguarda gli stranieri; e San Paolo sapeva bene che la conversione non è obbedire ai più di 600 precetti d'Israele. Dio unifica tutto dicendo che siamo tutti lontani e tutti in cammino. Nel vangelo di Giovanni sembra che anche chi viene ad arrestare Gesù sia da lui affascinato. Il vs 10 è interessante perché ci dice cos'è che ci affascina, tanto che anche i lontani ne sono attirati. Questo avviene perché il Signore dice: "nella mia ira ti ho colpito e nella mia benevolenza ho avuto pietà di te". Il testo ebraico è molto più prudente dei LXX, usa parole più semplici. Dio si era arrabbiato e poi ha deciso di consolarci. Queso ci affascina perché per noi è insopportabile consegnare la storia al male; noi facciamo grandi ingiustizie ed abbiamo bisogno di essere fermati dal giudizio severo di Dio. Spesso constatiamo la nostra opacità, non ci rendiamo conto di niente, abbiamo bisogno del suo giudizio che però non è mai disgiunto dal suo amore e dalla sua misericordia. E' questo che ci affascina. La parabola del fico che non produce frutto (domani è la Dom III di quaresima) è esemplare: Gesù ci prende in mano e ci cura. La gente è attratta perché Lui colpisce il male e poi riempie di bene. Ad esempio, la donna Cananea non ha dubbi su questo: lei ha il suo male e va da Lui perché solo Lui può sconfiggere il male. Le altre giustizie sono differenti: o uno è un Pierino, o è un galeotto; distinguono sempre il buono dal cattivo, invece in Gesù queste due cose si fondono. Il fico Dio voleva tagliarlo, ma c'è stata la sorpresa di Gesù che lo prende in consegna. Le due cose vanno tenute assieme, come il venerdì santo e la mattina di Pasqua. Noi, per la gente, siamo il segno di tutto questo. Noi cristiani siamo il segno del miracolo di Dio, la sua voce più vivace e più forte, siamo il luogo dove si esprime il giudizio di Dio contro il male e dove si afferma la speranza del buon esito della faccenda. Quando gli stranieri entrano in Gerusalemme portano ornamenti e ricchezze; quando un fratello entra nella misericordia di Dio, la città di Dio viene arricchita. Bisogna convergere tutti in questa unità; ed è un bene che non ci siano più le nazioni. C'è un primato della misericordia di Dio che concede anche ai Siro-Fenici di prendere le briciole.

19-3-01 Is 60, 15-18; Rm 4, 13-25; Mt 1, 16-24 (Giovanni)

Tutto direbbe che è ferro, invece è oro

- La collocazione dei versetti di Isaia nella solennità di San Giuseppe illumina molto l'atto di fede che Giuseppe ha compiuto; l'atto di fede non è solo il fidarsi dell'azione di Dio nella nostra vita, ma è il cogliere la resurrezione nel segno della croce. Qui è nascosto il segreto della vera pace; tutto questo è necessario nell'economia di Dio come manifesta la contraddizione nell'animo di questo giusto che vorrebbe rimandare Maria di nascosto, perché la legge deve essere l'espressione dell'unico, grande precetto: il comandamento dell'amore. Chiediamo perdono per la durezza del nostro cuore nel capire gli avvenimenti della nostra vita. Questo fa scaturire fatiche grandissime ed affermazioni molto lontane dal cuore di nostro Padre che ha voluto invece consegnarci tutto in questo atto d'amore.

- vs 17: il termine "governatore" in ebraico sarebbe quello dei sorveglianti del lavoro in Egitto e quindi può richiamare la schiavitù in Egitto, ma rievocata in termine positivo. In greco significa capi, principi ed episcopi, quindi già una visione ecclesiale di persone preposte alla chiesa.

- vs 18: "chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte". Chiamare è un verbo importante perché descrive l'opera che Dio fa per Gerusalemme e per il popolo. "Gloria alle tue porte" è un'espressione liturgica. La liturgia della lode fa diventare nuove le cose, i luoghi di dolore diventano luoghi di lode.

- vs 17: la vulgata dice: "Porrò la visitazione come tua pace". E' bello che la pace sia la visita di Dio, ma è anche la visita che riceviamo o facciamo al fratello.

- Bello all'inizio che la condizione d'abbandono sia legata al fatto che non c'è nessuno che passa. Nel vangelo spesso il passaggio di Gesù è importante: per il cieco, per Zaccheo, per la Samaritana ("doveva passare di là").

- Interessante che al vs 16 dica che Gerusalemme deve dissetarsi alle ricchezze dei popoli e dei re. E' un rapporto fra Gerusalemme ed i pagani dovuto alle ricchezze. Nel vangelo la Vergine riceve i doni dai Re Magi, mentre qui Gerusalemme riceve i doni da tutti i popoli che sono uniti in un unico popolo

- Possiamo concludere che, rispetto al Magnificat dove la Madonna è al centro di una beatitudine secondo la categoria del tempo (generazione su generazione), qui oggi oltre al tempo c'è anche la dimensione dello spazio (da tutti i luoghi della terra). Rispetto ad Abramo qui c'è un certo compimento: lui obbedisce e parte per una terra incerta, che non conosce e per una generazione che sembra impossibile ("vedeva come morto il proprio corpo e morto il seno di Sara"); Isaia invece chiede di accettare come luogo di salvezza una circostanza che sembra perduta. Per Giuseppe si trattava di una storia ferita che andava accettata come scrigno di un tesoro nuovo. Al vs 15, la frase "dopo essere stata derelitta" è un po' precipitosa e tutti gli "anziché" di vs 17 significano "al posto di"; non si tratta di una successione temporale, ma è una contrapposizione di avvenimenti. L'atto di fede diventa in Gesù l'obbedienza al Padre fino alla croce. Non è un fidarsi di ciò che non si sa e non si vede, ma è l'accoglienza di ciò che umanamente sembra il contrario. Bisogna accogliere l'obbrobrio di una situazione ferita perché è lì che Dio ha posto il suo dono, tutta la sua ricchezza. Tutto direbbe che è ferro invece è oro.

20-3-01 Is 60, 19-22; 2 Co 13, 1-4; Lc 22, 54-65 (Francesco)

Il Signore sarà per te luce eterna

- Il riscatto dalle sue sofferenze e dai suoi peccati, promesso oggi dal Signore a Gerusalemme, e la grazia, fatta a Pietro nel vangelo, di riconciliarsi con Lui dopo il rinnegamento, ci danno grande speranza. Anche Renato della casa della Costanza ieri è tornato al Padre alla luce di questa speranza. Chiediamo la grazia di essere confortati nella nostra vita dalla vicinanza del Signore e dei fratelli. Chiediamo perdono per la solitudine, l'orgoglio e la presunzione di poter fare da soli.

- vs 20: l'opera di sostituzione di sole e luna col nuovo sole, il Signore, che sarà luce eterna per Gerusalemme, fa si che la luna nuova si può identificare con Gerusalemme stessa che brilla della luce riflessa del nuovo sole e viene resa partecipe dell'eternità del Signore. Può essere anche immagine della Madonna.

- Sembra quasi che ci sia un'opposizione fra la luce intermittente del giorno e della notte e la luce eterna del Signore. Al tempo coi suoi ritmi si sostituisce l'eternità. Il problema del dolore richiama la necessità di convertirci a questa eternità perché il dolore è legato ai cicli. L'uomo è chiamato ad uscire dai suoi limiti, dai suoi "soli"; sembra quasi un nuovo esodo.

- L'ultimo versetto "a suo tempo farò ciò speditamente" sembra quasi una contraddizione, perché "a suo tempo" indica un qualcosa che verrà più tardi, mentre "speditamente" dà il senso della fretta. Le sue vie non sono le nostre vie, ma c'è un tempo che viene. San Paolo nei Corinti dice "nella pienezza del tempo" che è quello in cui tutte le promesse saranno realizzate.

- Da un lato c'è il tempo che è nella volontà di Dio, poi però in Gesù tutto è già compiuto.

- Come può essere vissuta nel quotidiano l'apocalisse di Isaia? Si tratta di una luce nuova ed il vangelo ci dice che il modo di essere luce nuova per il Signore è la sua passione.

- Riguardo a sole e luna, si predice che non ci saranno più tenebre. Bello il parallelo di Ap 21, 23 "La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello" e di Ap 22,5 "Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà". C'è relazione fra luce e tenebre e la passione e morte di Gesù. Al vs 20 c'è il riferimento al lutto e quindi al dolore della morte. Per quanto riguarda il tema della giustizia, il vs 21 "il tuo popolo sarà tutto di giusti" nei LXX è "tutto giusto" perché sono una piantagione del Signore, opera delle sue mani. Richiama il tema patristico di una chiesa tutta immacolata pur essendo formata da maculati (S. Ambrogio). E' stato poi ricordata l'intercessione del servo sofferente perché ci sia il bene di tutto il popolo. Da ultimo l'azione spedita del Signore richiama la visitazione (Maria si alza in fretta). Quando interviene un'opera compiuta da Dio c'è sempre una fretta buona: in Lc 18 il Signore non farà tardare la sua giustizia, anzi la farà venire in fretta. Anche oggi "immediatamente" il gallo cantò e "subito" Gesù guardò Pietro, che così si pente. L'opera del Signore è sempre estremamente rapida.

21-3-01 Is 61, 1-4; 2 Co 13, 5-10; Lc 22, 66-71 (solo lodi)

Portare il lieto annunzio ai poveri

- Nel testo di oggi parla colui che è stato mandato dal Signore e ci rivela che è stato mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, ai cuori spezzati, agli schiavi, ai prigionieri. Il verbo dell'annunzio di buone notizie era stato finora usato per Israele e per il popolo di Sion; adesso si capisce che quest'annunzio è proprio per i poveri. Alla fine quindi ci vuole rivelare che Israele è il povero e il prigioniero, e che così siamo anche tutti noi. E' importante riconoscere di essere all'interno di questo grande popolo bisognoso.

- E' un messaggio universale, vale per tutti, non c'è più distinzione fra Israele e le genti. Richiama il testo delle beatitudini che sono anch'esse un messaggio universale. Tutti gli uomini provati dalla vita, infatti, partecipano alle beatitudini.

- vs 4: è molto interessante il passaggio di potenza dal Signore a colui che parla. E' una potenza tutta volta a ricostruire e a restaurare. Richiama la missione dei discepoli che, ricevuta la potenza da Gesù, faranno meraviglie. Nella Vulgata dice "ricostruiranno le rovine in eterno"; forse c'è una proiezione nel futuro.

- vs 1: colpisce il verbo "fasciare" che in ebraico significa "legare, cingere". Questo verbo indica un'operazione che mette insieme pezzi andati in frantumi. E' bello che in ebraico ci sia anche la parola medico, usata per colui che deve ricostruire ciò che è devastato, riportare all'integrità ciò che è ferito. La missione affidata al medico quindi è soprattutto quella di ridare integrità; non parla di tagliare od asportare.

22-3-01 Is 61, 5-9; 2 Co 13, 11-13; Lc 23, 1-5 (Francesco)

Voi sarete sacerdoti del Signore

- Ieri il profeta Isaia ci ha mostrato l'immagine più completa dell'inviato del Signore, immagine che oggi si unisce a quella della discendenza di questo inviato. C'è continuità fra missione e grazia del consacrato e missione e grazia di tutti noi. Questo porta ad una comprensione più profonda del rapporto fra il popolo del Signore e gli altri popoli. Chiediamo che ci sia pace fra i popoli e all'interno del popolo del Signore e mettiamo questa intenzione nella nostra richiesta di perdono.

- vs 5-6: "Ci saranno stranieri a pascere i vostri greggi...Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore". Ogni persona del popolo di Dio è chiamata ad essere ministro del Signore, mentre le altre attività passeranno agli stranieri. Tutto il popolo del Signore è consacrato al servizio. In Siracide si sottolinea che lo scriba, che medita la legge del Signore fin dal mattino, ha un'attività distinta dalle altre che, pur importanti, non sono così nobili. Pietro dice "Voi siete la stirpe eletta". La parte di eredità del popolo di Dio è quella di attingere alla sapienza e diventare sacerdoti. La venuta del consacrato rende tutti i componenti del popolo eletto sacerdoti del Signore.

- C'è una specie di contrappasso positivo. Parla di una duplice confusione che produce il doppio di possesso della terra. Questa pienezza di possesso è un bene futuro, mentre la confusione è nel presente e forse è anche colpevole, intrecciata alla sua colpa. C'è un travaglio che forse Dio cerca di sciogliere.

- Pur nella loro bellezza, questi sono versetti problematici per la separazione fra il popolo di Dio e gli stranieri. Questi stranieri chi sono? Il compito loro assegnato è di umiliazione o, anche per loro, di onore?

- Il vs 9 parla del riconoscimento di un seme benedetto dal Signore, che sono i nuovi discepoli del comandamento dell'amore. Forse si parla del nuovo Israele, quello basato sull'amore ed il criterio dell'amore è quello che distingue il seme benedetto. Nel vangelo di Giovanni si dice: "Da questo vi riconosceranno: se avrete amore gli uni per gli altri".

- Testo apparentemente semplice, ma che nasconde problemi: il primo è il rapporto fra il popolo di Dio e gli altri popoli. Poi ci sono problemi di testo. Cominciamo da questi ultimi. Al vs 7 di chi sta parlando? Fin qui Dio parlava al suo popolo usando il "voi", ma qui introduce la terza persona "loro". Nel testo ebraico però dice "il vostro obbrobrio", quindi continuerebbe a parlare al suo popolo. Il significato potrebbe essere: poiché il vostro (popolo d'Israele) obbrobrio è stato doppio, allora loro (gli stranieri) riceveranno il doppio. Se è così Israele e le genti non sarebbero più separate, dalle sofferenze del popolo deriverebbero cose buone per le genti. C'è un rapporto fra benedizione che Israele riceve da Dio e quello che succede alle genti. In ogni caso tenendo conto dei vs 5-6 in cui si sottolinea che Israele ha il culto e gli stranieri il lavoro, questo si può vedere come un'ineludibile diversità di grazie e di responsabilità. In Gv dice: "Voi sarete chiamati liturghi di Dio", si tratta quindi di un popolo che fa una grande preghiera per tutti. La nostra regola poi ci fa fare un passo ulteriore: noi non possiamo fare solo i liturghi, ma c'è il lavoro come luogo per accogliere la parola di Dio e svolgere in modo fedele il nostro compito. Lavoro quindi come luogo d'accoglienzza fedele e lieta del dono che Dio ci fa e quindi luogo di solidarietà con gli altri. Questo unifica noi e gli altri; non si può dire che siamo tutti uguali, ci sono diversità di grazie e di responsabilità che non sono per la separazione, ma per la comunione di tutti.

23-3-01 Is 61, 10-62,5; Fil 1, 1-6; Lc 23, 6-12 (Francesco)

La vita è un intreccio fra fatica e luce

- Oggi il profeta Isaia ci parla di nozze, dello sposo e della sposa, dei loro splendidi abiti. Anche il vangelo ci parla di uno splendido abito che viene messo adosso a Gesù in segno di derisione. La Parola di Dio è tutta intrecciata fra splendore e silenzio misterioso di derisione. Così anche la nostra vita è un intreccio fra fatica e luce. Le parole del profeta a volte ci sembrano così lontane dalla nostra esistenza, eppure esse vogliono gettare una luce sulla passione del Signore e sulla nostra sofferenza. Chiediamo perdono per i nostri peccati, per le parole che hanno disturbato i fratelli e le sorelle e per tutte le volte che abbiamo voluto mettere noi al centro dell'attenzione invece del Signore.

- vs 2: non dice "i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria", ma "i popoli vedranno il tuo giusto, tutti i re il tuo famoso". Questa profezia è realizzata nel testo del vangelo dove Erode vede certamente il giusto e il famoso.

- Colpisce il gioire ed esultare del Profeta parallelo al rallegrarsi d'Erode. Il Profeta esulta per tutto quello che ha ricevuto da Dio e ringrazia per essere stato rivestito delle vesti di giustizia. Anche Gesù è rivestito di vesti splendide, ma sono quelle della passione. Tutto quello che Isaia dice di Gerusalemme va visto in una luce d'obbrobrio. Sarà una Città che uccide i suoi profeti, che odia, insulta deride. La bellezza di Gerusalemme sta tutta nel cuore del Signore, non sarà più una Gerusalemme terrena ma celeste e ci sarà la luce del Giusto.

- vs 11: la parola "giardino" richiama quello della creazione, una cosa molto bella, ma poi c'è anche il Getzemani ed il giardino dove Maddalena cerca Gesù.

- C'è il tema della gioia di Dio. In Lc 15 parla della gioia che c'è in cielo quando Dio ritrova i peccatori. Ci sono analogie con la parabola del figliol prodigo.

- Dove e quando avvengono queste nozze? La considerazione della nostra vita ci pone quest'interrogativo. Nella nostra vita tanto spesso incontriamo situazioni di abbandono e di sofferenza. Dove sono lo splendore, la bellezza ed il calore qui descritti? Si è messo in rapporto il testo d'Isaia con la passione di Gesù. Le genti vedranno il Giusto e ci sarà grande gioia. Tutto porta a rispondere che le nozze di cui parla Isaia sono nozze misteriose e la nostra aspettativa troppo mondana crea un certo fastidio in noi come l'aspettativa d'Erode che rimane deluso dal silenzio di Gesù. Le nozze sono da riporre nell'invisibile. Lo sposo è il Gesù deposto dalla croce. E' una direzione deludente questa? No, è di grande speranza: ci sono tanti problemi, ma è proprio lì che Dio ci invita a vedere la celebrazione delle nozze. Anche nella liturgia è uno stare insieme nuziale. Al vs 10 il verbo di "si cinge il diadema" è lo stesso usato per il sacerdote che si cinge l'abito liturgico. Da ultimo dove si celebrano queste nozze? Si parla molto dei figli (Gerusalemme madre che gioisce), oggi si dice "come un giovane sposa una vergine così abiteranno in te i tuoi figli". Lo sposalizio si celebra nella presenza dei figli che sono tornati, anche questo è un tema liturgico. Tutte le volte che i fratelli sono insieme noi sperimentiamo le nozze.

24-3-01 Is 62, 6-12; Fil 1, 7-11; Lc 23, 13-16 (Francesco)

Le sentinelle non taceranno mai

- Il quadro che la Parola di Dio ci sta offrendo in questi giorni è quello di una bellissima festa di grazia, di amore e di nozze. Oggi questo quadro si arricchisce di elementi importanti riguardo l'aspetto della gratuità della condizione di sposa. E si arricchisce anche di un nuovo elemento: le sentinelle, che in questa festa hanno una funzione importantissima. Abbiamo la grazia di essere dentro a questa funzione di sentinelle con la preghiera, che non è pia pratica, ma il modo di sorvegliare perchè la festa sia bella e accolga tutti. Chiediamo perdono particolarmente su questi punti e chiediamo anche la grazia di comprendere in modo profondo il significato della preghiera per la pace nostra e di tutti.

- Il primo versetto di oggi è molto collegato con l'inizio del cap 62 dove l'intenzione di non tacere, attribuita al Signore, era collegata all'amore per Gerusalemme. Oggi questo viene trasferito sulle sentinelle che non devono tacere perché devono ricordare il Signore. "Ho creduto perciò ho parlato" dice San Paolo; tutto dipende dalla fede.

- Chi sono le sentinelle? Forse ciascun uomo che cerca di vivere nella piccolezza il suo battesimo secondo i doni ricevuti, nella fatica o nella gioia, nella salute o nella malattia. Anche la Regola dice "Ogni giorno, per tutto il giorno...".

- Le sentinelle qui hanno una funzione diversa da quella del cap 52 dove dovevano avvertire se il Signore arrivava. Qui il compito non è quello di stare ad aspettare una venuta, ma quello di parlare al Signore per ricordargli le promesse che Lui ha fatto al popolo (potrebbero essere anche le promesse fatte dal popolo). Al vs 8 "il Signore ha giurato con la sua destra" parla di una promessa fatta dal Signore. Poi si capisce che è anche il compito di ogni cristiano che deve pregare perché si compia il regno di Dio.

- Le sentinelle hanno diverse caratteristiche importanti: sono persone messe lì da Dio, sono sopra le mura di Gerusalemme, cioè fra il popolo e chi sta fuori, hanno funzione di vedere quando arriva il Signore o dare l'allarme in caso di nemici (Ezechiele), hanno il compito di vegliare e non tacere mai. E' un invito a non tacere verso chi? In italiano sembra verso Dio, confermato dal vs 7. Però il loro parlare è anche fare memoria (agli altri) del Signore e delle sue opere. Questo è quanto noi facciamo ogni giorno a Messa. E' memoria di Gesù, anche per noi. Nei due versetti successivi cambia discorso: c'è la promessa di Dio che verrà un tempo in cui godranno del frutto del loro lavoro. Questo è connesso all'opera delle sentinelle: se il popolo sta dentro l'opera di Dio ne trarrà giovamento. Negli ultimi tre versetti il Signore arriva con la sua mercede (salario) per il lavoro e con la sua "opera", che non è la ricompensa, che porta davanti a sè e che è il frutto buono della nostra vita. Tutto è un dono di Dio, non un premio per i nostri meriti. Questo è sottolineato anche dalle ultime espressioni. In conclusione oggi c'è il coinvolgimento del popolo dentro la storia bella di Dio e c'è anche la bellezza di questo partecipare alla festa del Signore. Bisogna lasciare venire quest'opera di Dio nella nostra vita.

27-3-01 Is 63, 1-6; Fil 1, 12-20; Lc 23, 17-25 (Giuseppe)

La nostra debolezza è il luogo dove si compie la potenza di Dio

- Ringraziamo il Signore che oggi ci viene incontro con i segni della sua debolezza, che sono il luogo della sua potenza e della sua vittoria pasquale. Chiediamo perdono per tutte le volte che non abbiamo accettato in noi e attorno a noi che la debolezza di Dio fosse il luogo privilegiato della sua azione.

- Nel testo di oggi risplende l'assoluta solitudine dell'uomo che patisce ed insieme la portata universale di salvezza di questo sacrificio. Al vs 3 in latino al posto di "mio popolo" c'è la parola "genti", ed al vs 5 in greco invece di "il mio braccio ha salvato me" dice "il mio braccio vi ha salvati", quindi c'è un'estensione dell'opera di salvezza a tutti.

- Testo che pone alcune difficoltà; non sembra stia parlando delle sofferenze di questo personaggio. Il sangue di cui è macchiato non è il suo, ma dei popoli. E' un vendicatore che, con giustizia, calpesta i nemici. E' un vendicatore solitario, previsto dall'AT, che deve vendicare quello che i popoli hanno fatto contro Israele e contro il Signore. In che modo questo brano può essere profezia di Gesù? Se questo vendicatore diventa Gesù, il suo modo di vendicarsi sarà quello di prendere il posto dei popoli nel tino, lasciarsi pigiare e quindi prendere su di sè la sofferenza di tutti.

- E' chiaro che sussiste una certa frizione fra i due interventi, che rispecchia il clima culturale di lettura della Bibbia di questi ultimi decenni. La liturgia ci fa leggere questo brano insieme al testo dei Filippesi ed al vangelo di Luca, quindi non è a se stante, ma va interpretato nell'armonia dei tre testi e forse in tal modo perde il suo significato originale. Le vesti rosse esaltano la forza del vendicatore solitario: c'è parallelo fra queste vesti rosse e le catene di cui parla S. Paolo nei Filippesi che sono il luogo della manifestazione della potenza di Dio (l'umiliazione a cui l'Apostolo è sottoposto diventa occasione della manifestazione della potenza di Dio, tanto è vero che le catene danno forza ai cristiani nell'annuncio del vangelo). Isaia oggi inizia con una domanda: "Chi è costui?" Alla quale non c'è risposta. E' una ricerca che noi sentiamo dentro il nostro cuore, ma è fatica riconoscere nel crocifisso il figlio di Dio, il Risorto in un uomo morto. Ci ricorda tante altre domande, per esempio nel Cantico "Che cos'è che sale dal deserto?" oppure nel Vangelo "La gente chi dice che io sia?", o la Maddalena che lo scambia per il giardiniere, o i dicepoli di Emmaus che non sanno chi sia quel pellegrino e lo riconosceranno solo allo spezzar del pane; in Gv 21 non lo conoscevano e non osavano più chiedergli "Chi sei". E' bello che la parola di Dio rispecchi spesso l'incertezza del nostro animo che cerca nella notte un lucignolo fumigante. Quello che si dice della solitudine (vs 3 e 5) sembra convalidare la forza del vendicatore che fa tutto da solo, mentre per noi la solitudine di Gesù è dovuta al fatto che tutti lo hanno abbandonato, come pure è il caso per la solitudine di san Paolo in catene. Lo sdegno e l'ira (vs 6) sono segno della potenza di questo personaggio (vedi Salmo 2), ma sappiamo che Gesù è mite e si sacrifica per noi senza ira e sdegno. Siamo esortati a riscoprire nella nostra debolezza il luogo dove si compie la potenza di Dio ("Ti basti la mia grazia!").

28-3-01 Is 63, 7-14; Fil 1, 21-30; Lc 23, 26-32 (Francesco)

Dio li ha sollevati e portati su di sé

- Nel testo di oggi la prima parola è "ricorderò". Anche noi siamo qui convocati stamattina per ricordare, per fare memoria forte dell'amore di Dio per il suo popolo. Al di là di ogni bilancio più o meno negativo della nostra vicenda personale e della storia più in generale, il Signore ci chiede ogni giorno di fare memoria del suo amore per noi, che si è massimamente manifestato in Gesù. Chiediamo perdono per tutte le volte che abbiamo dimenticato che Dio ci ama e per le conseguenti tristezze che ci hanno assalito.

- E' citato due volte lo Spirito Santo, cosa rara nell'AT. Si dice che lo Spirito è l'attore della storia (vs 11), quindi rivela come Dio conduce la storia del suo popolo e la storia in generale. Al vs 10 mostra che la battaglia spirituale da combattere è mantenere mitezza verso lo Spirito che è interno a ciascuno di noi. Dio conduce dall'interno del cuore i nostri atti e i nostri sentimenti e noi ci dobbiamo muovere in modo mite ed arrendevole.

- vs 7: Ricordare. E' questo che noi dobbiamo sempre fare per tutte le cose che il Signore ha fatto per noi. Al vs 11 c'è ancora ricordare, ma in ebraico è al singolare, "si ricordò", e si può pensare che il soggetto sia il Signore. E' bello che il Signore ricordi quanto ha operato per il suo popolo, soprattutto ora che per questa vicenda è costretto a mettersi "contro" il suo popolo. Nei giorni scorsi c'erano quelli che non dovevano mai stancarsi di ricordare le promesse del Signore.

- Ieri ci chiedavamo chi fosse il personaggio misterioso con le vesti rosse; oggi dice che non è né un inviato, né un angelo ma è il reingresso di Dio nella nostra storia; è Lui che viene ogni giorno per ciascuno di noi. Questo è importante tenerlo fermo e ricordare che c'è una progressione; infatti domani ci sarà molte volte la parola "padre".

- vs 9 : bello che dica "li ha sollevati e portati su di sé"; è la storia del suo popolo, ma anche la storia di ciascuno di noi. E' Dio che ci porta, ma noi ci ribelliamo. Non viene detto perché succede; è un mistero.

- Cosa viene ricordato? Le misericordie del Signore, le sue lodi, la sua gloria e quanto ha fatto per noi. Questo grande bene e queste viscere di pietà sono la sua ricompensa al suo popolo. Quindi non è un salario secondo i meriti, ma secondo il suo cuore. Dio è il Salvatore (vs 8); come già diceva al vs 1, la sua giustizia è la salvezza. Il termine salvezza c'è anche al vs 9 unito al verbo del riscatto, alle parole amore e compassione ed in più alla parola figli (vs 8), cosa moto rara che domani si preciserà meglio. Poi c'è tre volte la presenza dello Spirito Santo che lo conduce al riposo. C'è anche il verbo del dolore che gli procura il popolo; questo è un passaggio delicato: il dolore di Dio lo porta a diventare nemico del suo stesso popolo. Anche ieri abbiamo visto la battaglia col sangue che gli contamina le vesti; questo lo collega al vangelo di oggi dove Gesù è portato a morire fra i due malfattori

29-3-01 Is 63, 15-64, 3; Fil 2, 1-11; Lc 23, 32-38 (Francesco)

Tu sei nostro Padre, perché ci lasci vagare lontano?

- Si fanno sempre più vicini i giorni della Pasqua. Nel vangelo di oggi c'è un anticipo della Passione secondo Luca. La Passione è il cuore della nostra vita spirituale. Le parole forti del Profeta vanno inserite nel contesto del ricordo della passione del Signore. Gesù nella sua passione ci mostra di confidare completamente nel Padre. Chiediamo anche noi di affidarci al Padre e chiediamo perdono per ogni atteggiamento di autosufficienza.

- vs 17: si osa imputare a Dio le nostre devianze. Il testo originale è più duro della versione italiana. E' un'affermazione audace, ma Dio accetta questa preghiera, caricando su Gesù tutte le nostre colpe. Paradossalmente si chiede una conversione di Dio, non nostra (il verbo "ritorna" è quello della conversione).

- Nei LXX anche al vs 15 c'è il verbo della conversione. Nel giorno delle ceneri si legge un brano di Gioele dove si chiede a Dio di convertirsi e di lasciare dietro di sè una benedizione.

- Il testo del vangelo racchiude una domanda che riassume tutte quelle che troviamo oggi in Isaia: "Perché, se sei il re dei Giudei, non salvi te stesso?" Questa domanda raccoglie quelle di vs 15: "Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia?", ed anche tutti i perché dei versetti seguenti. La nostra vita è piena di questi perché, è la grande contraddizione della vita cristiana, il mettere insieme il venerdì santo e la domenica di Pasqua. "Tu sei nostro padre, perché ci lasci vagare lontano?"

- Alla fine del vs 15 "non forzarti all'insensibilità" non c'è; dice invece "esse si sono trattenute da me", cioè tutte le cose belle di Dio (zelo, potenza, tenerezza, misericordia), diventano domanda perché sono come trattenute, allontanate da me. Questa è la sensazione di chi assiste alla passione del Signore, al tormento di Giobbe, allo sterminio degli Ebrei, che parlano di assenza di Dio. E' lo scandalo della croce di Gesù e di tante nostre esperienze di vita: nei momenti di prova ci si sente abbandonati. Ieri c'era la memoria della potenza buona di Dio, oggi la constatazione che questa potenza non c'è più. Al vs 16 dice che il nome di Dio è padre e redentore: è forse la prima volta che si dice questo nell'AT. Al vs 19 c'è il problema della regalità di Dio: "siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato"; c'è come una crisi della sovranità di Dio, cosa molto presente nella Passione: "Sei tu il re?" Poi c'è la preghiera molto bella: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" che è una chiara profezia dell'incarnazione. Si passa poi al paragone col fuoco di vs 1 che in ebraico è diverso da come è riportato in italiano; in ebraico non dice "il fuoco distrugga i tuoi avversari", ma "come si manifesta l'opera distruttrice del fuoco sulle stoppie e nell'acqua, così si manifesti l'opera di Dio sui nemici". La giustizia distruttrice di Dio si manifesta nel fatto che gli uomini conoscono il suo nome. Infine al vs 3 "per chi confida in Lui" è in realtà "per chi lo aspetta". In generale si può notare l'evoluzione del discorso da memoria forte delle opere di Dio (ieri) a preghiera di supplica perché non si vedono più le cose ricordate. Ma Dio non si manifesta con potenza, ha un modo misterioso di rivelare se stesso come padre. Padre è un nome di debolezza; è un Dio che scende dal cielo e rivela il suo nome di padre destinato anche ai nemici; nel vangelo, infatti, Gesù dice: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno". Ci sono contatti molto suggestivi fra i due testi.

30-3-01 Is 64, 4-11; Fil 2, 12-18; Lc 23, 39-43 (Francesco)

Non ricordarti per sempre dell'iniquità

- Il tema prevalente nel testo di oggi e quello del peccato. E' una parola che viene ripetuta varie volte. Il popolo si riconosce peccatore con sincerità; dice che anche le sue opere buone sono in realtà cosa negativa. E' un riconoscimento senza attenuanti che, quindi, diventa una preghiera. Il riconoscere i nostri peccati ci immette in una strada di speranza.

- Il testo di oggi ricorda il colloquio con Dio riguardo la distruzione di Sodoma e Gomorra. C'è un solo giusto e tutti siamo peccatori. Il colloquio con Dio è una condizione essenziale per tutti i cristiani.

- Al vs 8 dice: "non ricordarti per sempre dell'iniquità"; è molto legato al "ricordati di me" del ladrone crocifisso. Il peccato può diventare preghiera.

- vs 7: dà grande speranza perché si riconosce il peccato, ma si dice anche "Tu sei nostro Padre"; siamo in una condizione di piccolezza e di affidamento a Lui.

- vs 6: "Tu avevi nascosto da noi il tuo volto" è una sensazione di solitudine e di abbandono, che ha come conseguenza il peccato. La situazione d'iniquità se la assume Gesù che soffre anche per l'abbandono del Padre: "perché mi hai abbandonato?"

- La parola "ricordare" è molto importante. C'era già al cap 63, 7. Qui però si chiede a Dio di "non ricordare per sempre", cioè fino alla fine. Chiedono a Dio di volgere via lo sguardo dalle loro iniquità e di accorgersi del suo popolo. Il popolo capisce che tutti i disastri accaduti sono conseguenza del peccato ed invita Dio a non guardare i peccati, ma i peccatori. Anche il ladrone, quando dice "ricordati di me", vuole che Gesù guardi lui e non le sue iniquità; così nella nostra preghiera chiediamo che Dio ricordi suo Figlio e non i nostri peccati. Anche la parola "mani" si trova più volte: al vs 6 "ci hai messo nelle mani delle nostre iniquità"; al vs 7 "tutti noi siamo opera delle tue mani", quindi una preghiera che ricorda che noi siamo in buone mani. Nel testo originale al vs 4 c'è anche la parola "gioia": "Tu vai incontro a quanti gioiscono e praticano la giustizia". Questo compiacersi di Dio richiama il Salmo 1. E' importante il richiamo alla gioia: Lui si ricorda di noi, è nostro Padre ed anche l'esperienza più oscura di peccato è aperta alla speranza. C'è la consolazione di essere nelle sue mani. Anche nella Lettera c'è invito alla gioia, pur in una vita consumata. Sono parole di grande conforto nel dolore per i nostri insuccessi, debolezze, peccati. Il profeta ci apre ad una gioia grande, che va oltre le cose che si vedono.

31-3-01 Is 65, 1-7; Fil 2, 19-24; Lc 23, 44-49 (Giovanni)

Farà sgorgare una progenie di giusti da una stirpe di peccatori

- Con l'inizio del cap. 65 entriamo nella grande luce dell'ultima parte del Libro di Isaia. Il brano di oggi mette in evidenza la nostra incapacità di avere un buon rapporto con Dio. Siamo troppo piccoli e fragili; anche l'episodio evangelico dell'adultera, che leggeremo domani (domenica), mostra la sproporzione fra noi e Dio. Il brano di oggi ci fa capire che solo la croce di Gesù potrà colmare questa sproporzione e rendere possibile l'incontro fra Dio e l'uomo. A noi è chiesto solo di avere un animo mite ed accogliente. Nella pace del cuore, affidiamoci quindi alla misericordia di Dio.

- L'ultimo versetto ricoda la misura "scossa e traboccante" del vangelo di Luca. E' una misura di misericordia che sembra un po' il contrario di quanto detto oggi, ma le due immagini si completano.

- Ci può essere un legame fra il primo versetto di oggi, in cui il Signore si fa trovare da chi non lo cerca, come un regalo inaspettato, ed il vangelo dove il centurione ha come una rivelazione improvvisa e glorifica Dio. Così anche le folle, che se ne vanno battendosi il petto, hanno ricevuto un segno. Dio si fa trovare in molti modi, ma sempre partendo dalla croce.

- vs 2: "Ho teso la mano a un popolo ribelle" richiama la lettera dove Paolo dice che tutti seguono i propri interessi, ma non Timoteo che può seguire gli interessi dei fratelli e non pensare ai propri.

- vs 5: "Sta lontano"; le persone che stanno offrendo sacrifici idolatri si ritengono pure, non fanno avvicinare gli altri. Questo dispiace al Signore, richiama il problema di Gesù con scribi e farisei (vedi Gv 1,11).

- vs 6: "non tacerò"; il Signore ci perseguita, non tace mai finché non ci sarà la consapevolezza piena del nostro peccato. La ricompensa di cui parla forse più che una punizione potrebbe essere questo inseguirci del Signore per farci capire che siamo grandi peccatori.

- vs 1: il Signore offre la sua salvezza alle genti, si fa trovare da chi non lo cerca. Israele è il popolo ribelle, mentre le genti, come il centurione, lo ricevono.

- Per alcuni elementi del testo, più qualche suggerimento della TOB, sembra che la povera gente di cui si parla sia la gente di Dio, mentre i titoli delle nostre bibbie fanno pensare che qualcuno "funzioni". Il dramma dell'incapacità è di tutti, nessuno di noi riesce a comprendere la meraviglia di Dio. E' una situazione di muro a muro; una situazione drammatica. Nei giorni scorsi abbiamo visto la misura senza limiti della sua misericordia; di giusti non ne troverà e Lui farà sgorgare una progenie di giusti da una stirpe di peccatori. Nei vs 6 e 7 c'è il tema della vendetta e della restituzione. Alla fine del vs 6 manca la parola "grembo" che ha rilievo nel testo di Gv 13 (l'unigenito è nel grembo del Padre), ed anche nell'ultima cena dove dice che il discepolo amato è nel grembo di Gesù, una posizione molto intima. In Lc 6 parla della misericordia, di cui ci sarà versata nel grembo una misura traboccante. Anche Rut riceve nel seno una grande misura di grano. Oggi dunque il seno (grembo) di Dio diventa importantissimo. Da una generazione perversa Dio trae una generazione nuova La morte di Gesù è la vendetta di Dio. Anche per l'adultera (domani), il Signore prima stabilisce la norma di "chi è senza peccato scagli la pietra", poi non la applica (Lui è senza peccato). In realtà la applica, ma a sè: non muore l'adultera, ma morirà lui. La vendetta di Dio è la croce, cioè è la sua misericordia. Altre vendette non avrebbero senso: la misericordia è l'unico modo con cui Dio potrà salvare la creatura che ama. Gli antichi Padri sapevano bene che ci voleva il sangue dell'agnello perché la morte non si fermasse su di loro. Noi siamo una genia di ribelli e nello stesso tempo siamo gli eletti. E' nella stirpe dei perduti che Dio, con la morte di Cristo, fa nascere la generazione nuova. Malgrado tutto, in ciascuno di noi, ogni giorno, nasce, per la misericordia di Dio, una persona nuova. "Neanche io ti condanno. Va e non peccare più"; e anche noi possiamo andare in pace.

2-4-01 Is 65, 8-16; Fil 2, 25-30; Lc 23, 50-56 (Giovanni)

Da ogni sepolcro può ormai sorgere la vita

- Facciamo memoria della misericordia di Dio che ieri ci è stata consegnata come speranza per tutta l'umanità attraverso la figura della donna adultera che il Signore ha liberato dalla morte. Tutta la creazione tende, per povertà e desiderio, al Signore. Da ogni sepolcro, come dal sepolcro di Cristo, può ormai sorgere la vita. In ciascuno di noi il Signore è capace di celebrare la sua pasqua. Questo ci spinge ogni giorno ad avere serenità e fiducia. Rinnoviamo la certezza che Dio vuole salvare tutti i suoi figli e affidiamoci alla sua misericordia.

- vs 16: "Dio fedele" in ebraico è "il Dio dell'amen". Bella quest'espressione che noi troviamo in ogni preghiera . E' come il sigillo di Dio su quanto accade.

- E' ripetuto molte volte "servi" ed "eletti". Sono parole usate per descrivere l'eletto di Dio nei canti del servo; oggi sono parole estese a molte persone, quindi la predilezione di Dio si estende a molti. Nei vs 13 e 15 questi "eletti" sono contrapposti ad altri ("voi"). Ma come nelle beatitudini secondo Luca, i beati ed i maledetti non sono categorie diverse di persone, ma diverse categorie dello spirito di ciascuno di noi; anche qui noi siamo invitati ad entrare nella categoria degli eletti ed a rifuggire dalla categoria di quelli che non corrispondono l'amore di Dio.

- Importante il concetto espresso nell'ultimo intervento, e cioè che non ci sono due diverse categorie di persone. Anche ieri non c'erano due donne, ma un'adultera fatta sposa; è il mistero della salvezza che si compie in ognuno di noi. La santità la possiamo vivere solo nella figura del prodigo che torna a casa, non del figlio maggiore che non sbaglia mai. La santità è perennità di conversione, è la grande corsa. La dinamica della vita cristiana è la pasqua, che è passaggio dalla morte alla vita. Non ci può essere un'appartenenza al passato, la conversione non può essere un atteggiamento etico, è non sentirsi mai arrivati. Il testo dice spesso "voi" per dire cose negative (avrete fame, sete, griderete di dolore), questo chiarisce da che parte bisogna essere. Noi siamo la pecora perduta, questo ci consente di capire cos'è la grazia, la luce, la misericordia. O il vangelo è giudizio nei nostri confronti e allora noi peccatori possiamo gioire dell'abbraccio di Dio, oppure diventa una cosa stucchevole, che non ci riguarda. Tutti dobbiamo passare dalla condizione adultera a quella sponsale. O Lui si accosta al nostro sepolcro e ci tira fuori, o non succede niente. E' molto importante collocarsi nella scrittura al posto giusto. La santità sta nel chiedere perdono, è solo in questo slancio che possiamo capire la dinamica positiva della nostra vita. E' questo cammino della speranza che ci dà il senso della partecipazione alla misericordia di Dio. "Neanch'io ti condanno": anziché sanzionare la morte, ci chiama alla vita. Questo è il punto anche del testo di oggi. Ogni domenica l'assemblea cristiana viene convocata al banchetto della pace e del perdono; noi viviamo e respiriamo perché Lui ci viene accanto.

3-4-01 Is 65, 17-25; Fil 3, 1-11; Lc 23, 56b-24, 12 (Francesco)

Io creo nuovi cieli e nuova terra

- In questi giorni ci è data la grazia di ascoltare i vangeli della passione e della resurrezione in breve anticipo rispetto alla settimana santa. Questo ci aiuta a raccogliere tutto quanto abbiamo ascoltato in questi mesi, e stiamo ancora ascoltando, dal libro del profeta Isaia. Oggi il tema principale di Isaia è quello della novità di vita, che ha il suo fondamento nel mistero di morte e resurrezione che si compie nella vita di ciascuno. Chiediamo al Signore di poter vivere con consapevolezza queste parole di novità e chiediamo anche perdono per tutti i segni di mondo vecchio che sono ancora presenti nel nostro cuore.

- Parole belle ma contrastanti con la realtà in cui viviamo, così come nel vangelo l'annuncio delle donne è considerato un vaneggiamento.

- il vs 22 è misterioso: "quali i giorni dell'albero, tali i giorni del mio popolo". Forse quest'albero è quello della vita sempre verde e pieno di frutti di cui si parla nella Genesi e nell'Apocalisse. L'assimilazione di ciascuno a quest'albero è il frutto dell'abbassamento di Dio che, prendendo carne, raggiunge ogni realtà. Non è una visione miracolistica, ma ogni situazione è portata a pienezza dalla presenza ovunque del Signore. Il fatto che si può vivere dell'opera delle mani non è un'esaltazione dell'autosufficenza dell'uomo, ma è Dio che regala un frutto alla Chiesa che lei può realizzare con la sua opera.

- Il tema della novità c'era anche domenica scorsa nella prima lettura. E' una novità che è venuta con la morte e resurrezione di Gesù. Però uno si chiede: "Quando viviamo in tale realtà?" La fede vacilla, ma il vangelo aiuta a stare dentro alla contraddizione della fede. Anche tutta l'esultanza e la gioia di Dio per Gerusalemme e per il suo popolo lasciano piuttosto stupiti.

- Alcuni termini (ad es., creare), sono insistentemente ripetuti. "Creare" c'è in Genesi e qui torna per parlare della creazione dei nuovi cieli e nuova terra. Anche "gioia" torna spesso (vs 18: quattro volte; vs 19: due volte, con due termini diversi). Queste due parole ci dicono che succede veramente qualcosa di nuovo. E' il passaggio dalla creazione iniziale di cielo e terra ad una creazione rinnovata dell'uomo. Il brano richiama i cap 3 e 4 della Genesi dove viene descritta la condizione infelice dell'uomo, che qui dice che viene rimediata. Nella Genesi era successo un incidente, qui viene descritto qualcosa di rinnovato, tutto è ricostituito in termini nuziali con una dimensione di gioia e di pace che non si trovano in Genesi. Cosa giustifica queste immagini così forti e così positive per tutti gli uomini? Ciò che giustifica questo è l'attuazione della promessa dei tempi del Messia. Questo è l'elemento unificante fra i brani d'Isaia e del vangelo: tutto è fondato sull'opera che si compie nella persona di Gesù. Il vangelo ci illumina anche riguardo al nostro rapporto con questa comunicazione di novità: le ipotesi negative sono o rimanere insensibili nella nostra tristezza perché sono parole al di sopra delle nostre esperienze, oppure rifiutarla con scetticismo, perché troppo lontane da una lettura "obbiettiva" della realtà. Questi elementi sono presenti nei vangeli della passione e resurrezione. Oggi infatti si parla di "vaneggiamento" e questo denota un atteggiamento di superiorità che porta al disprezzo. I vangeli ci mettono in guardia dal reagire in questi modi. Come fare allora a "vivere" questa novità? La via è quella suggerita dalle donne del vangelo: seguire Gesù passo passo nella sua passione per essere poi coinvolti nella sua opera di resurrezione.

4-4-01 Is 66, 1-4; Fil 3, 12-4, 1; Lc 24, 13-35 (Francesco)

Dio volgerà lo sguardo sull'umile dal cuore spezzato

- Il tema principale di oggi è il seguente: nel nostro rapporto con le cose di Dio c'è il rischio di volersene appropriare, la presunzione di poter fare, noi, qualcosa di importante e di valido. Questa presunzione si ritorce poi contro noi stessi, perchè alla fine ci accorgiamo di non saper fare. L'ipotesi alternativa è quella di un atteggiamento di umiltà, di attenzione all'opera di Dio in noi. Quest'opera è la Pasqua, è Gesù. Chiediamo perdono al Signore per aver confidato in noi stessi e non in Lui.

- La vicinanza con la settimana santa che attendiamo con tremore ed il testo d'Isaia di oggi con la presenza di Dio in ogni luogo e tempo rinnovano la meraviglia per questa presenza. In ogni uomo c'è Dio, solo in Lui possiamo confidare, da soli non possiamo fare nulla.

- I primi due versetti continuano il discorso su cieli e terra nuova. In Apocalisse il discorso prosegue con la città santa che scende dal cielo. Oggi dice che il suo trono è il cielo, ma volge lo sguardo sulle situazioni d'umiliazione; così come dice nel Magnificat. Questo poi è il modo che Dio ha scelto per abitare fra noi.

- I versetti di oggi, in questo periodo finale della Quaresima, danno un avvertimento importante sull'ipotesi di essere a posto davanti al Signore. A Dio non interessa l'osservanza delle regole, ma la conversione del cuore.

- La questione della casa da costruire al Signore si ritrova in altre parti della scrittura (l'intenzione di Davide, la preghiera di Salomone dopo la costruzione del tempio). Dio non si lascia contenere dalle opere dell'uomo e, nemmeno, dalle opere di Dio (Salomone dice che neppure i cieli, né i cieli dei cieli possono contenerlo). Anche Stefano (At 7) alla fine del suo discorso parla di questo tema. L'idea di poter fare una cosa in cui Dio possa essere contenuto è molto grave per Stefano, così come l'idea che l'uomo, da solo, possa fare qualcosa di valido; questo infatti renderebbe vana la croce di Cristo. L'invito allora può essere questo: c'è la Pasqua, stiamo attenti che non sia una cosa nostra, solo un successo organizzativo. Si tratta di essere umili e di concentrare l'attenzione su Gesù perché Dio dice: "volgerò lo sguardo sull'umile dal cuore spezzato, su chi teme la mia parola" (vs 2). Cerchiamo di metterci nelle sue mani, confidare nella sua opera e nel bene che Lui vuole a noi.

5-4-01 Is 66, 5-11; Fil 4, 2-9; Lc 24, 36-43 (Giovanni)

Gioire nel breve spazio del dolore

- Siamo vicini alla conclusione della lettura del libro di Isaia e dobbiamo ringraziare molto il Signore per il bene che ci ha fatto attraverso questo libro e anche per il bene che ci siamo fatti tra noi sostenendoci nella preghiera. Anche i passaggi più difficili di questo libro hanno grandi segni di profondità e bisogna accoglierli con rispetto. Non bisogna mai aggredire il momento del lamento e del pianto perchè sappiamo che nel giudizio di Dio anche il lamento ed il pianto sono motivi di gioia più grande. Oggi contempliamo una Gerusalemme tribolata, ma non è una passione chiusa in se stessa; anzi, è un grembo pronto alla generazione. Chiediamo perdono perchè spesso nella vita rispondiamo agli avvenimenti non con mitezza ed umiltà, ma col tumulto che invade il nostro cuore.

- vs 5: "voi che venerate la sua parola"; è una ripresa del vs 2: "chi teme la mia parola". Si tratta di un'atteggiamento di devozione che ha un aspetto di sollecitudine e di affetto (vedi 1Re 4 quando Eliseo parla della premura della donna Sunamita). E' bello che questi sentimenti siano oggi rivolti alla Parola.

- Allo stesso vs 5 è impressionante la frase dei detrattori, "Mostri il Signore la sua gloria, e voi fateci vedere la vostra gioia", perché coglie il problema del rapporto fra Dio e l'uomo. Dio deve essere glorioso, altrimenti che Dio è? I suoi fedeli contenti, altrimenti a cosa serve Dio? Il vangelo ci aiuta a comprendere: la gloria del Signore sono i segni della sua passione e l'altro segno piccolo è quello del mangiare: i discepoli gioiscono per la comunione con lui. Non dobbiamo cercare segni e prodigi grandi; la gioia può essere la semplice comunione con i fratelli.

- La gioia: questo tema unisce le tre letture. In Isaia la gioia si caratterizza nella figura femminile: Gerusalemme come madre. Figura che ha attraversato tutto il libro. Gerusalemme può gioire perché è esperta di dolore (vs 10, "il suo lutto"; al cap 40, "il doppio castigo per i suoi peccati"). A suggellare tutto questo c'è il comando di rallegrarsi di Paolo; al cap 65,19 è Dio che esulta per Gerusalemme.

- vs 5: "confusi" ricorda la fine del vangelo di Matteo quando dice che i discepoli dubitavano. Rimane una confusione di fondo, che è propria della fede.

- Più si prosegue in questo libro, più sembra di capire che i discorsi sulla gioia sono un modo del Signore per insegnarci come si fa a stare dentro il dolore. Il significato del verbo che parla di venerazione della Parola forse si riferisce al fatto che la Parola nelle ore della giornata entra nella nostra storia ed allora timore e venerazione verso di lei sono adeguate. La Parola viaggia, entra nei nostri pensieri, nei dubbi, nel lavoro, nella noia dell'esistenza; il problema si fa delicato. E' un invito a ricordarsi della Parola anche nella nostra quotidiana esperienza del dolore, contro la quale si scaglia la persona violenta che è in noi. Quest'ultima dice: "O sei contento, o sei nei guai". A volte è imbarazzante rispondere alla domanda "Come stai?" Come si "sta" nella Scrittura? Bene? Male? Ma c'è un grande segreto: la storia in noi ed attorno a è provata, siamo esposti alla morte, la vita è fragilissima. La parola ci insegna a tenere tutto insieme e fanno male i beffardi che sfidano Dio a mostrarc la sua gloria e la nostra gioia. Le cose non stanno così! Nei primi capitoli della Sapienza la caratteristica degli empi è quella di sfruttare al massimo gli eventi perché la nostra vita è esposta al baratro. Non è così, ci vuole mitezza e umiltà di cuore ("imparate da me"). Bisogna custodire la speranza dentro il dolore. Allora il travaglio del parto è brevissimo; questo ce lo farà vedere Gesù nel triduo pasquale. Il comando resta quello di gioire; questo è importante: gioire nel breve spazio del dolore è l'annuncio cristiano. Quindi nel Signore tutti i tempi (un tempo per il pianto, uno per la gioia, ecc. ) si raccolgono. Nella liturgia si piange e si gioisce insieme. Il libro d'Isaia ci ha fatto vedere che non si esce dal tunnel anche se sembrava che dovesse succedere. Il Signore tenta di riconciliare l'unità della nostra persona in Gesù. Il suggerimento alla fine è quello di vivere da lattanti: ricevere tutto, non aver paura di avere molto bisogno di protezione, perdono, consolazione. Ascoltare e nutrirci della Parola in modo sovrabbondante; una lettura a fiume, diceva don Dossetti.

6-4-01 Is 66, 12-17; Fil 4, 10-14; Lc 24, 44-46 (Francesco)

Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò

- Siamo alla fine del testo d'Isaia e Gesù nel vangelo oggi ci dice che in Lui si devono compiere tutte le cose scritte nella legge di Mosè, nei Profeti, nei Salmi. E' la cosa più bella che ci potesse dire dopo tanti giorni passati col Profeta e per noi è un modo prezioso per entrare domenica insieme a Gesù in Gerusalemme e cominciare così la Settimana Santa. Le parole di oggi sono belle e consolanti per la presenza dei bambini portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia. Anche noi dobbiamo lasciarci prendere dalla bontà di Dio e delle persone che ci stanno accanto. Chiediamo perdono per le resistenze che spesso opponiamo all'amore di Dio e dei fratelli.

- vs 13: "un fiume di pace"; in italiano manca la parola "pace"e si perde quindi la promessa di consolazione. Bella la ripetizione della parola "consolazione", che viene usata anche nei confronti di Gerusalemme. E' una promessa di conversione e di perdono.

- vs 13: "la ricchezza dei popoli"; bella quest'espressione che mette in luce tutta la ricchezza della diversità. Dio si compiace di essere in tutti.

- Colpisce l'ultima parte del testo dove si avverte una specie di rigetto del Signore verso l'assurda consacrazione, una specie di farsa, con uno pseudo ministro. E' in grande contrasto con la prima parte, tutta piena di consolazioni.

- vs 1: colpisce la parola "fiume" che richiama la Genesi: "il Signore piantò un giardino in Eden, un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino". Questo fiume in Apocalisse esce dal tempio di Gerusalemme e va ovunque.

- vs 14: "voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore". C'è un rimando a Gv 16: "Anche voi ora siete nella tristezza, ma il vostro cuore si rallegrerà". Forse questo giorno è quello in cui verranno aperte le menti all'intelligenza delle Scritture. C'è una profezia velata dell'incarnazione.

- Il vs 13, "come una madre consola un figlio, così io vi consolerò", è il versetto centrale del testo di oggi; è un'affermazione molto bella e forte del Signore che si rivolge a Gerusalemme presentandosi come una madre che consola. Tutto questo però è all'interno di un testo più complesso, dove troveremo i popoli e le genti. Ci sono immagini molto belle di bambini portati in braccio, ma non si parla del rapporto di Israele e Gerusalemme con il loro Dio, ma di Israele e Gerusalemme con le genti. Sono i popoli che arrivano che prendono in braccio i figli dispersi e li portano a Gerusalemme. La cura di Gerusalemme verso il suo popolo avviene attraverso le genti e questo è piuttosto difficile anche per noi oggi. Può aiutare la lettera di Paolo ai Filippesi: "Avete fatto rifiorire i vostri sentimenti nei nostri riguardi". Il Signore riempie Paolo della sua grazia e quindi Paolo non avrebbe bisogno di niente, ma ha piacere che loro abbiano preso parte alla sua tribolazione, si sente come liberato dalla propria condizione di solitudine. "In Gerusalemme sarete consolati" (vs 13) vuol dire che ognuno deve cercare consolazione nella liturgia di ogni giorno.

7-4-01 Is 66, 18-24; Fil 4, 15-23; Lc 24, 50-53 (Francesco)

Ecco io verrò a radunare tutti i popoli

- Il raduno dei figli dispersi d'Israele e delle genti sembra essere il tema prevalente dell'ultimo tratto del libro d'Isaia. Siamo alle porte della Settimana Santa ed i vangeli raccontano la passione di Gesù come un atto di raduno di tutti i figli di Dio dispersi. Le parole del profeta oggi sono piene di grande speranza per ogni carne, speranza che ha il suo fondamento nella grande opera del Figlio di Dio che offre la sua vita per noi. Chiediamo che ci venga concesso di concentrate il nostro cuore e la nostra mente su di Lui. Chiediamo anche noi di essere portati spiritualmente alla santa Gerusalemme e di essere liberati dalle false divinità che ci impediscono di amare Gesù.

- L'ultimo versetto: è bello pensare che anche un versetto così problematico sia dentro la passione. Gesù. dice che è verme e non uomo e questo verme non morirà. Il fatto poi che Gesù sia crocifisso sul monte Calvario sembra proprio che sia perché tutti possano vedere l'abominio (vs 24).

- Colpisce che al vs 21 si parli del sacerdozio esteso a tutti. Anche nella lettera di Paolo si parla di questi santi come di un dono esteso a tutti.

- L'offerta di cui si parla, "verranno queste genti a portare i vostri fratelli", è estesa a tutti ed il volersi bene davanti a Dio diventa il sacrificio a Lui gradito. Il verbo dell'adorare di vs 23 richiama il "gioire " del vangelo dopo la salita al cielo di Gesù. C'è il mistero dell'adorazione piena del Padre e del Figlio in questa gioia.

- Sono versetti bellissimi che però, letti guardando la storia attuale di Gerusalemme, ci fanno capire come ancora siamo molto lontani dalla loro attuazione.

- I primi due versetti richiamano Babele e la storia delle lingue; c'è una ricomposizione di tutte le genti che va al di là di quello che noi vediamo, riguarda i cuori. E' il Signore che è fedele a sè stesso, porta avanti questo raduno dei popoli e la sua opera va al di là delle nostre intenzioni. Questo testo d'Isaia che arriva al sacerdozio di tutti è un evidente riferimento all'Eucarestia.

- Le ultime parole d'Isaia sono una specie di riassunto del libro, dove abbiamo trovato grandi vittorie e grandi sconfitte. Anche quest'annuncio di gioia viene fatto mentre il popolo è schiavo. La bellezza della nostra vita è proprio il legame fra cose belle e brutte: questo ci fa entrare nella Passione.

- La domanda che assilla tutti è: dove e quando avvengono le cose profetate? Dov'è il rapporto di pace fra Israele e le genti? Tutto questo, nella situazione attuale, dove si vede? Per la risposta è utile ripensare a tutto il libro d'Isaia. La prima impressione riguarda il tema dell'offerta, molto trattato soprattutto nei canti del servo. La vera offerta è la sofferenza. Dovunque si celebra il dolore dell'uomo c'è quest'offerta, questa fecondità segreta del dolore. Il sacrificio nuovo che Isaia ci mostra è il mistero di passione che coinvolge tutto e tutti. Per il "quando?" è difficile rispondere. La profezia finisce in modo molto severo (vs 24) tanto che nella sinagoga dopo il vs 24 rileggevano il vs 23 per non terminare la lettura del libro con questo terribile avvertimento. Noi abbiamo la fortuna di poterlo leggere nella Passione ed anche nella liturgia. Bello l'inizio "Ecco io vengo": è il venire quotidiano del Signore per radunarci e contemplare la sua gloria. In tutto il libro c'è l'invito a non considerare primario il sacrificio esteriore, ma il sacrificio del nostro cuore. Questo è ciò che noi vogliamo celebrare nell'eucarestia.