Lectio continua anno 2000-2001

Libro del profeta Isaia (26-66)

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Is 26,7-19

E' molto bello il tono che usa Isaia in questi versetti; sta pregando il Signore con grande forza e desiderio. E parla al plurale: noi ! Non è solo ma insieme ai suoi! Ed è una preghiera appassionata che ricorda come dolore e partecipazione il parto.

Sembra tragico che però non partorisca nulla, solo vento. Essi non possono portare nessuna salvezza al paese, forse perché effettivamente l'uomo è molto piccolo davanti a Dio, non può nulla, solo il Signore può dare davvero la vita farci rinascere, risorgere dalla polvere. Siamo allora vivificati dalla sua rugiada luminosa, il Cristo stesso che ci fa partecipi nella preghiera e nella liturgia della sua vita eterna.

Is 26,20-27,1

Qui è il Signore che parla e risponde alla nostra preghiera di ieri! Come dirà anche Gesù (MT 6) c'è un posto speciale per la preghiera: le nostre camere! Cioè un posto dove stare nascosti, piccoli, riparati, affinché passi il breve tempo dell'ira divina! Qualcuno ha detto che ci dobbiamo nascondere in Cristo, partecipando alla sua croce, andare a lui per trovare riposo e ristoro. E' ancora una volta il nostro Gesù che ci salva, ci ripara e ci nasconde. Gesù nella Parola, nella Liturgia, nella Messa. Per grazia di Dio abbiamo questi luoghi dove poter nasconderci e riposare quel breve tempo che ci separa dall'incontro con Lui.

Is 27,2-5

Oggi è un testo talmente bello e semplice che non ha bisogno di commento! Che cura e attenzione perenne e preveniente che ha il Signore per noi che non dobbiamo solo fare pace con lui!

Is 27,6-13

Oggi ascoltiamo i frutti del lavoro del Signore nella sua vigna: frutti riempiono la terra! Vengono raccolti ad uno ad uno! Forse il frutto più importante è la piena comunione tra Dio e il suo popolo, non più distratto da idoli o pali sacri e che si riunisce sul monte Sion per adorare il suo Signore! All'opposto c'è la città fortificata arida e desolata, tutta secca.

Is 28,1-6

Anche oggi il Signore ci parla di fiori e ornamenti per noi: se è fatto da noi stessi, dalla nostra superbia allora appassirà presto e sarà gettato per terra e calpestato, come il sale insipido, o i tralci che non portano frutto. Se invece con umiltà e piccolezza accoglieremo come bambini il dono che lui ci fa, allora sarà il Signore stesso la nostra corona, l'ornamento che ci rende belli, che ci dà la forza nella custodia della pace.

Is 28,14-22

1)Ogni conversione è un dramma perché siamo prigionieri della morte e della menzogna: ma con esse "abbiamo concluso un'alleanza", abbiamo, magari con amarezza, solidificato il nostro rapporto con la morte (vv. 14-15).

2) La pietra posta in Sion è meno la pietra angolare intorno a cui si costruisce, ma piuttosto come un seme gettato nella terra, il lievito nella farina: come un principio nuovo che farà tutto nuovo (v. 16).

3) Così è dolorosa e benefica, anche se con il "terrore" (v 19), la distruzione del nostro "rifugio fallace" (v. 17).

4) Il v. 22 sembra l'indicazione per evitare la sofferenza crescente che è data dal decreto di rovina da parte di Dio: abbandonare l'arroganza. ancora un invito all'umiltà.

Is 28,23-29

Certamente è denso di richiamo il v.23: porgere l'orecchio, ascoltare, fare attenzione, sentire... è certamente convertirsi ad un rapporto più profondo con la realtà che contiene sempre il Mistero di Dio di cui ogni cosa o avvenimento o PARABOLA.

Così l'invito globale del testo è di ammirare la sapienza divina nell'opera dell'uomo. Tutto "proviene dal Signore degli eserciti" v. 29.

Però vorrei proporre anche e soprattutto una lettura più interna del testo in connessione con queste immagini contadine:

v. 24 non si continua sempre ad arare, rompere e sarchiare la terra: l'azione purificatrice e al limite purificatrice di Dio non è fine a se stessa non è per sempre.

bisogna poi seminare (v.25): non c'è correzione e distruzione se non per edificare. Tale è l'esito finale dell'opera divina: la salvezza e la resurrezione. Bello che ci siano vari tipi di semi e posti diversi dove essere seminati, secondo le specificità di ogni uomo!

poi c'è la mietitura: v.27-28 forse anche qui con elementi di dolorosità (penso alla potatura della nostra Regola), ma per ritornare con i covoni, cantando. Tanti semi e frutti diversi, trattati con strumenti diversi dicono la cura divina per ogni singola persona

Is 29,1-8

Il testo di oggi descrive una situazione di duplice "assedio" per Ariel: da un lato il Signore che si accampa contro, intorno, sopra di lei (v.1-3) e dall'altro i suoi nemici (v.5 e 7). L'intervento del Signore è però positivo, volto alla salvezza e alla liberazione: circonda la città - che viene così abbassata, umiliata, - e poi la visita con forza (v.6), visita che ha come conseguenza il rendere i nemici (forse interni alla città, i dominatori, i tiranni) come polvere e la moltitudine dei nemici (esterni che la stringono e marciano contro di lei) come un sogno che svanisce subito, all'improvviso. Il pericolo, il nemico viene cancellato. Ariel sarà svuotata dal male che la domina e la assedia, non lo può fare da sola (con le sue feste e le sue pratiche religiose vuote v.1), ma solo con l'aiuto e l'intervento del Signore

Is 29,9-14

1) Il torpore (v. 10): nella Scrittura non è sempre di colorazione negativa. il torpore di Adamo finalizzato alla creazione di Eva; quello di Abramo in occasione dell'Alleanza di Dio; l'interpretazione dei Padri del sonno di Cristo sulla croce. Il torpore può essere quindi inteso come l'operazione di Dio di rendere inattivo l'uomo per poter compiere in lui e per lui i suoi prodigi.

2) L'immagine del libro del v. 11 introduce il concetto dell'impossibilità dell'uomo di accedere alla conoscenza. Solo Dio può concedere questo accesso, e la conoscenza è la conoscenza di Lui. Concede l'umiltà e la piccolezza, porte della vera sapienza, contrapposte alla saggezza e alla intelligenza mondane.

3) Istintivamente la risposta di Dio all'ipocrisia del suo popolo dovrebbe essere la punizione; Egli invece, come "sanzione", promette di continuare a operare le sue meraviglie, per vincere il male con il bene.

Is 29,15-24

1) v. 15: "Vogliono sottrarsi alla vista del Signore" usa il termine del Sal 129: il profondo, de profundis per dire il tentativo di nascondersi, di inabissarsi, perché Dio non conosca i nostri progetti (consilium)

2) stupisce che il v. 16, per sottolineare l'accusa, ci parli del rapporto vaso - vasaio. mentre cioè dice che evidentemente non possiamo sottrarci a Lui, dice che siamo suoi. Dunque ci rimprovera ma con una riaffermazione del legame con Lui, non con una esclusione da Lui. Mi colpisce molto soprattutto l'ultima domanda del v. 16: il vaso può dire del vasaio: "Non capisce? Come posso dire che non capisce se è Lui che mi plasma e dunque io sono suo?

3) Il legame e lo strappo tra i primi versetti e il resto ci appare ancora una volta come una risurrezione dei morti. é assoluto il contrasto tra quel "profondo" nel quale mi inabisso e tutte le immagini dei vv. 17-24.

4) I vv. 17-18 descrivono il miracolo della salvezza in due modi: la fioritura e i frutti in contrasto con il caos della selva improduttiva; i sordi e i ciechi restituiti al Libro.

5) I vv. 19-21 dicono la salvezza già compiuta: gli umili e i poveri sono la nuova umanità nella quale non ci sono più né il tiranno né il beffardo né tutti gli altri mascalzoni.

6) Quando tutto ciò? Tra un po', tra poco (v. 17); v. 22: d'ora in poi, ora (LXX).

7) Nuova umanità nella lode e nel timore di Dio (v. 23).

8) Chissà perché il traduttore ha saltato una meraviglia nel v. 23: i figli di Dio che sono opera sua!!

Is 30,1-18

Nel lungo testo di oggi si possono notare più oracoli (cinque), più discorsi in un unico discorso. Lo stesso tema è visto in vari modi, forse in fasi diverse della storia di Israele. Il Signore parla di come è inutile, dannoso, vuoto, per il suo popolo cercare rifugio, protezione preso altri popoli, tradire l'alleanza con Dio - l'unica che sia sincere, veramente favorevole e duratura - per cercare altri alleati. E' un tradimento che non può che portare a confusione, vergogna, perdizione. (v. 14 è come un vaso di creta che va in frantumi talmente piccoli che non servono più a nulla). La ribellione del popolo è molto decisa: verso il Signore, il Santo, ma anche verso i suoi profeti, e soprattutto verso la sua legge (v. 9-11). Prende le sue ricchezze sulla groppa degli angeli e se va in giro...

Ma il Signore ASPETTA perché per poter dare quello che vuole al suo popolo, deve aspettare che questo torni, si abbandoni a Lui, riponga in Lui la sua fiducia. Solo così potrà fare quello che gli è proprio: riempire di grazia, tesori, ricchezze, regali i sui amati. "Aspettare" e "sperare" del v.18 in ebraico hanno la stessa radice: il Signore aspetta, attende, spera nel popolo che ritorna e così - su questo esempio - anche il popolo spera, attende il suo Signore. Dio ci da il modello!

Is 30,19-26

1) v. 19-20: grande rilievo dato al pianto, al grido... ma non nel vuoto: Dio udrà e risponderà; anzi il v. 20 rivela il senso nuovo del pianto, perché non parte più da noi ma è ricevuto da Lui come pane dell'afflizione e acqua della tribolazione: allora diventa reale vivere il dolore come obbedienza e come partecipazione al mistero del dolore di Dio.

2) Mi chiedo se quando udiamo questa parola (v. 21) che ci dice che "questa è la strada" da percorrere non vuole affermare che ciò che prima pativamo e poi abbiamo ricevuto e accolto da Lui non sia infine la via retta del discepolo che segue il maestro.

3)v.22: allora è possibile rigettare l'idolo che potrebbe essere quel pianto vissuto da soli: l'idolo è ricoperto di preziosità perché si impone a noi come alto e prezioso: non si può trascurare. Quando invece tutto è ricevuto dal Signore l'idolo si rivela come cosa da poco malgrado il rivestimento che lo fa apparire di tanto rilievo.

4) Allora gli ultimi versetti (23-26) mi sembrano, nel recupero della comunione con il Signore, anche una restituzione alla realtà buona della creazione e della storia. Quasi un contrasto rispetto al cupo dominio degli idoli e a quel pianto senza speranza del primo versetto.

Is 31

1) Sia pure in forma negativa già il v. 1 richiama il nostro cuore al "guardare" e al "cercare" l'unica nostra salvezza.

2) v. 2: sono un po' arrabbiato con il traduttore che ci tiene a far vedere che il Dio del Vecchio Testamento è violento e grande e grosso; invece è lo stesso del Nuovo Testamento, il papà di Gesù; qui si dice che egli "si alzerà sopra, o verso, la casa dei cattivi..."

3) v. 3: è un uomo e non è un dio: si lega alla richiesta del Padre Nostro di non essere lasciati cadere nella tentazione idolatrica.

4) è fortissima l'immagine del v. 4 circa quel leone (LXX: i monti sono pieni della sua voce e i nemici sono vinti) che di fatto dovrà soccombere di fronte a "tutte le schiere dei pastori" - che qui sono Erode e Pilato e tutti quelli come loro - e che però non si lascia impaurire.

5) i vv. 4-5 (cf Mt 23,37) ci portano alla Gerusalemme della passione di Gesù: sia questo leone che di fatto i pastori uccideranno, sia gli uccelli che vogliono proteggere: e Gerusalemme sarà protetta e liberata..

6) I vv. 6-7 sono parole di grande conversione e ripudio dell'idolatria.

7) Il v. 7 dice che da Gerusalemme, dove Dio è stato presente come leone ucciso e come protettore dei pulcini, la Parola dovrà andare all'Assiria (alle genti) come "spada ma non di uomo": è la mite e potentissima spada del Vangelo.

8) In più al v. 9 c'è un'insegna: tutto ciò trascinerà i popoli nella "morte" del Battesimo e nell'essere schiavi dell'unico Signore; abbandonando le proprie sicurezze (la "rocca" del v. 9).

Is. 32,1-8

Il v.1 proclama un re e regno nuovo: giustizia e diritto cioè una condizione giusta e un'azione di giustizia, lo caratterizzano.

I paragoni del v.2 (sono quattro) sono molto efficaci per dire che il regno non si deve intendere in modo statico, una situazione statica, una situazione data, senza bisogno che accada qualcosa; il regno è invece l'azione buona e continua che entra in una condizione negativa e la ostacola: così ad esempio i canali d'acqua che scorrono nel deserto.

Ciò consentirà di tenere gli occhi aperti - e così le orecchie, senza ripiombare nel buio e nel silenzio; così ci sarà continua tensione positiva per intendere e per parlare (v.3-4).

v.5: le cose avranno il loro nome: nei regimi mondani si fa passare l'abietto per nobile...

tutto ciò mette allo scoperto la negatività dei nostri "regni" quando non sono visitati e occupati dal regno nuovo di Dio: gli abietti e gli imbroglioni combinano guai anche se si fanno passare per "nobili".

i v.7-8 giocano su una contrapposizione attraverso un identico verbo che italiano invece è macchina al v.7 e si propone al v.8. Così, mentre l'imbroglione "progetta" scelleratezze, il nobile "progetta" cose nobili. E' interessante che il nobile agisca secondo la "natura sua" (nobile - cose nobili), diversamente dall'imbroglione.

Is 32,9-20

Testo diviso in due parti, ma meno di come appare in italiano. Infatti il v.15 non dice Ma infine... ma finché: così è sottolineato il contrasto ma anche la continuità tra la vicenda negativa e la gioia successiva.

Le donne sono protagoniste dei vv.9-14; poi dal v.15 c'è noi: questo è eccezionale anche in genere troviamo voi o Gerusalemme; qui c'è ora un coinvolgimento anche del profeta, un suo immergersi nella vicenda di tutto il popolo.

Tutto ricorda la festa dell'Immacolata: dalla descrizione del peccato e delle sue ferite in Genesi 3, al testo dell'Annunciazione. Protagonista la donna: le donne di 9-14 e il noi la sposa nuova di 15-20.

C'è poi una parola che ricorre in traduzioni diverse in entrambi le parti; dove è detto delle donne che sono baldanzose: in realtà è il verbo della fiducia, quindi le donne sono confidenti. In questo esprimono ancora un dato positivo, nuziale, propriamente femminile e per tutti noi cristiani. Certo bisogna potersi affidare non a se stessi o a persone e realtà sbagliate che tradiscono. Finalmente in noi sarà infuso uno spirito dall'alto e allora potremo quietamente confidare. v.18 il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille in luoghi sicuri: qui torna il verbo, la radice confidare!

v.18 ancora: in polcritudine pacis (vulg.) è il motto episcopale del Patriarca di Gerusalemme Michel Sabbat: preghiamo per lui e per la pace per la Terra Santa!

Is 33,1-13

1) v.1: il nemico che ci devasta sarà vinto. ricorda la parabola del forte che sarà cacciato dal più forte (Lc 11,21-22); ma attenzione a quella di oggi (Lc 11,24-26). C'è un giudizio divino sul saccheggiatore.

2) vv. 2-6: il legame unico e meraviglioso tra noi e il nostro Signore. I vv. 2-3 sono in forma diretta di preghiera: supplica e confessione di fede. I grandi doni di Dio di cui riempie Sion: diritto, giustizia... v.6 alla lettera: ci sarà fede nei tuoi tempi, ricchezza di salvezza, sapienza e scienza. Ai vv. 10-13 Dio risponderà positivamente a questa preghiera. Il v. 2 contiene la proclamazione della confidenza in Dio.

3) vv 7-9 è un lamento sulla situazione attuale della nostra vita. è "terribile", come suggerisce anche TOB, l'equivocità del rapporto al v. 8: chi ha violato l'alleanza?: Dio? Il re? Il nemico?: per quanto ci riguarda (come nella Passione di Gesù) a noi conviene ricevere tutto dalle mani di Dio, magari a nostra punizione, ma sempre in vista della salvezza.

4) vv. 9-13: ma il Signore si "alzerà" e interverrà: è la risposta del Signore; qui è Lui il soggetto.

Is. 33,14-16

1) La paura e lo spavento del peccatore esprimono la sua consapevolezza della sua infedeltà e del suo peccato. Il credente accetta questa quotidiana esposizione al "fuoco divorante" del giudizio di Dio. Lo fa perché a motivo di Cristo tale giudizio non è per la condanna ma per la salvezza: il dono di Dio sta proprio nella grazia di poter ogni giorno morire con Cristo per risorgere in Lui. Questa è l'azione di salvezza che il Signore opera in noi. Nessuno quindi potrebbe abitare presso il fuoco divorante così com'è: ma in ogni modo e in qualunque situazione può esporsi e ricevere il giudizio divino della salvezza.

2) IL nostro brano usa due diverse parole per dire di questo "abitare", qui al ver.14 (due volte), e al ver.16. Al ver.14 usa un termine che dice l'abitare di un forestiero, un'abitazione di passaggio. Questo ci aiuta a cogliere qualcosa del ver.15 dove Isaia descrive la vita di chi è fedele a Dio; si tratta di un'esistenza che si ritrae da se per far posto al mistero e alla volontà e infine alla presenza stessa di Dio. Così cammina, alla lettera "nelle giustizie" (di Dio) e parla i "giudizi divini", non vie sue e non parole sue. Non accetta un tornaconto né in bene, né tanto meno nel male, è quindi una vita "povera". Rinuncia a udire e vedere tutto ciò che non è secondo Dio.

3) Il v.16 ci dice che "costui abiterà in alto": questa volta si tratta di un abitare stabile e sereno nella pienezza della forza (rocce e rifugio) e nella delizia di una vita nutrita e dissetata da Dio.

4) Tutto questo è la Pasqua di Gesù. Lui per primo si espone, innocente al fuoco divorante di Dio che lo consumerà fino alla croce. Lui cammina in totale umiltà e mitezza nelle vie di Dio. Lui entra, primo di tutti noi nella gloria. Noi oggi accettando umilmente il giudizio di Dio siamo crocifissi con Cristo e in lui risorgiamo.

Is 33,17-24

La presenza notevole di termini legati al vedere (v. 17, 19, 20) e l'unicità di Gerusalemme rispetto a tutto il resto a motivo delle sue caratteristiche (Cf. vv. 20-21) danno al brano di oggi un'intonazione apocalittica, finale.

Il re nel suo splendore e la terra nella sua immensità sono la prima visione che viene promessa.

Il v. 18 sembra dire che passato il tempo della paura e del dolora sussistono nel cuore le memorie ansiose delle angherie subite dall'invasore occupante. La versione greca e latina sembrano più orientate ad un'interpretazione più positiva.

Gerusalemme è al centro della visione che ci porta a Ap 21-22. La presenza del Signore è sostitutiva di elementi che per le genti e le loro sapienze costituiscono una garanzia essenziale (v. 21). è molto bella l'immagine di Gerusalemme come "tenda che non sarà più rimossa"; dove si uniscono due elementi: la permanente leggerezza/fragilità della tenda e la definitiva sua protezione da parte del Signore.

Il v. 22 ci dà i quattro attributi divini che Gesù porterà a pienezza nella sua persona: giudice, legislatore, re e salvatore; e sempre in assoluta e positiva relazione con noi: "nostro".

Nuovo chiarimento al v. 24: ogni presenza - relazione con i popoli e i nemici è relativa alla relazione fondamentale tra il Signore e il suo popolo: "è stato assolto dalla colpa"; nessuno è malato.

Is 34,1-4

E' importante l'invito ad avvicinarsi per ascoltare. In Gn 49,1 Giacobbe convocava tutti i suoi figli. Qui sono convocate tutte le genti. Ecclesiaste 4,17 afferma che avvicinarsi per ascoltare vale più di tanti sacrifici che spesso praticano opere immonde.

L'ira - lo sdegno - di Dio è rivolta all'umanità intera. Fa pensare al diluvio universale. E anche a Rm1 dove si dice che il Gesù si manifesta l'ira di Dio, perché tutti hanno peccato. Tutti in Lui possono essere salvati: e così si compie l'ira di Dio! La venuta di Gesù compie l'ira di Dio! Dunque si può e si deve affermare che Gesù è l'ira di Dio: un'ira certo inaspettata sia contenuti che nei modi, ma non meno radicale.

v.3 cf. Ap 6 (dove l'Agnello apre il sigillo e la terra è sconvolta... ), Eb 1, Sal 102: alla distruzione cosmica corrisponde la Signoria di Dio; non resta che Lui!

Is 34,5-17

1) Teniamo conto dell'immagine della spada, così importante nel NT (Ebr.4,12-13).La spada è collegata con il sangue e così è reso più forte il legame profetico con la Parola che si fa carne ed è crocifissa.

2) Al ver.6 si fa un'affermazione fondamentale: "si compie un sacrificio al Signore in Bozra, una grande ecatombe nel paese di Edom. Edom è il grande nemico che deve essere eliminato per sempre: il male e la morte. In questi versetti è descritta la terribile ecatombe, ma Israele la celebra attraverso il sacrificio. E' il sacrificio lo spazio e il tempo dell'ecatombe. E' il sacrificio del mite Gesù l'unica ecatombe capace di distruggere il Nemico. E' nella liturgia che dobbiamo portare tutto il male nostro e di tutti perché la spada e il sangue di Dio lo distruggano. Ogni risentimento e inimicizia che restasse oltre la liturgia sarebbe luogo improprio e inefficace per poterlo eliminare. Combattere il male senza la spada e il sangue del Crocifisso non fa che aumentare il male stesso.

3) Nella lotta contro il male c'è anche un elemento di punizione - sanzione nei confronti di chi lo compie perché ne è schiavo. Ma l'abbattimento del peccato ad opera dell'Agnello di Dio libera e rigenera il peccatore. Tale è la lettura che proponiamo per i ver.16-17 dove, leggendo nel Libro del Signore, vediamo che ognuno rientra in possesso della sua porzione di terra; e nessuno manca.

Is 35

Il testo di oggi è la continuazione e per certi versi l'opposto di quello di ieri.

Molte parole richiamano il testo del Cantico dei Cantici. Il testo di oggi è un canto d'amore che ci viene regalato per percorrere la strada che è davanti a noi. Stiamo ritornando a Sion (v.10) con gioia e giubilo. E' quindi una strada Santa perché preparata da Dio e percorsa da Lui insieme a noi e incontro a noi (v. 8). Prima non potevamo accorgerci di questa via perché eravamo ciechi. Non potevamo incamminarci perché eravamo zoppi. Non potevamo gridare di gioia perché eravamo muti.

Il v.6 dice che tutto questo comincia quando il Signore viene e ci salva. Ricordiamo quello che dice il vangelo di Mt a proposito di Gesù:

Giovanni, avendo in prigione sentito parlare delle opere del Cristo, mandò due dei suoi discepoli a dirgli: Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettarne un altro?". E Gesù, rispondendo, disse loro: "Andate e riferite a Giovanni le cose che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista e gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati e i sordi odono; i morti risuscitano e l'evangelo è annunziato ai poveri. Non ci sono bagagli o pesi da portare. Sul capo abbiamo felicità perenne e dietro a noi gioia e felicità (v.10).

Is 37

E' centrale in tutto il capitolo la figura di Ezechia, grande profezia di Gesù e della sua fede radicale

La difesa dei piccoli. E' ammirevole in questa grande difesa e confessione da parte della comunità credente la protezione per i piccoli e i deboli: così la richiesta che il Nemico parli in una lingua che questi piccoli non possono capire.

L'accusa di peccato. La parte più dolorosa del testo è parsa quella relativa all'Egitto. Lì il Nemico aggredisce l'intenzione positiva del popolo credente accusandolo di cercare l'alleanza con l'Egitto: Tale accusa non è priva di verità (cf.Is.30); ma è proprio questo che rende dura la prova: mentre cerca e vuole custodire la fede in Dio il popolo viene accusato del suo peccato. E' proprio la parte del Demonio che accusa giorno e notte gli eletti di Dio. Non dice cose non vere, ma in tal modo attenta alla comunione tra Dio e la sua gente: E' necessario accettare con umiltà questo passaggio difficile. Ricordiamoci che Dio stesso ha voluto stabilire la sua alleanza con noi peccatori.

Il silenzio. Anche questa è una grande prova e peraltro è un grande criterio di verità che Gesù stesso ci ha mostrato nella sua persona, particolarmente nell'ora della passione: a un certo punto bisogna tacere, anche lasciando imperversare il Nemico fino in fondo. La parola deve diventare silenzio per essere feconda.

Is 37,1-7

Il re Ezechia continua a sostenere il suo ruolo di uomo completamente abbandonato in Dio, che assume su di sé la ferita della storia e si presenta a Dio con i segni della ferita.

Al ver.2 c'è come un coinvolgimento di altri da parte del re, che mi sembra dica come il credente sia chiamato a far sua la ferita del messia che a sua volta è ferita della storia che il messia assume e porta a salvezza

La Parola, o meglio l'uomo della parola, il profeta, è l'incessante fonte di interpretazione e di azione nella storia che per quanto ferita non è mai abbandonata dal suo Signore. Ho visto che l'immagine drammatica di un parto che non riesce a giungere al suo fine è certamente descrizione di un dramma che va oltre il fatto contingente, ma coinvolge tutta la vicenda del popolo; e tuttavia (cf. ad esempio Is26,16-19) è un'immagine che dice già un'apertura alla speranza, quasi che Dio non potesse rinunciare all'evento di quella nascita, che per altro sarà impossibile senza il suo intervento.

Nella preghiera del re, Dio stesso viene coinvolto perché in fondo è Lui l'aggredito dall'arroganza blasfema del re pagano. Infatti anche nella nostra piccola storia personale è Dio stesso che sempre si mette in gioco, sia nella sconfitta sia nella salvezza: per questo è ormai impossibile interpretare ogni vicenda piccola e grande senza la forza paradigmatica della morte e della risurrezione di Gesù

La parola di Dio deve toglierci ogni paura per altre parole risuonate in noi e nella nostra storia: Dio non abbandona e, pur non vedendo adesso come ciò avverrà, noi sappiamo che il Nemico sarà estirpato dallo spirito che il Signore manderà e sarà eliminato.

Is 37,8-20

Oggi tutta l'attenzione del commento si è concentrata sulla preghiera di Ezechia; a partire tra l'altro da quel gesto straordinario con il quale il re srotola e mette davanti al Signore i fogli che gli hanno portato i messaggeri degli Assiri.

Tutto il discorso sugli innumerevoli dei e signori e sulla loro impotenza suggerisce che la preghiera è il vero unico modo per liberarsi di tutti gli idoli compreso e prima di tutti l'idolo di noi stessi, tra l'altro così presente nella non - preghiera fatta dall'uomo della parabola evangelica che, anche per la forza dell'espressione che dice di come sia solo con se stesso nei suoi pensieri, tenta di risolvere nel possesso il senso della sua vita. Quindi saltava fuori una tesi sulla preghiera come vera laicità e come liberazione dai nostri assensi religiosi ai signori del mondo.

Tutto questo nella prospettiva del Cristo che ci insegna al riguardo quale sia, di conseguenza, l'apice della supplica cristiana: Sia fatta la tua volontà. Tra l'altro viene in mente che poi Gerusalemme cadrà nelle mani dei nemici e anzi Dio stesso, in Cristo, morirà e che dunque tutto quello che è offerto ci viene restituito. Altrimenti rimarrebbe almeno il sospetto di un certo asservimento all'idolo. La preghiera è invece pienezza di libertà per i figli di Dio.

Is 37,21-29

Il ver.22 ci ha dato un messaggio molto forte circa la preghiera come conversione. Il re si era presentato con i suoi guai e le sue paure, ma la Parola di Dio lo costringe a far sua l'analisi di Dio e quindi questo capovolgimento di prospettiva: Gerusalemme è nelle mani del Signore e lo sconfitto è Assur. Pregare, cioè assumere come nostre le parole del Signore vuol dire accettare e far nostra la sua interpretazione e la sua azione.

Al cuore di tutto sta quello che Assur deve sapere, e cioè di questa totale identificazione che Dio fa tra sé e il suo piccolo popolo. I vers.23 e 24 sono per dire che appunto Dio stesso è stato aggredito dall'arroganza di Assur contro Israele. Questo dato assoluto in tutte le Scritture porterà Dio a compiere l'ultimo passo, e cioè ad assumere la carne e la mortalità dei suoi eletti per farne per sempre i suoi figli.

Forse in questi quattro giorni di ripresa del cammino in Isaia, il Signore vuol darci con chiarezza la particolarità sostanziale della preghiera ebraica e cristiana: mentre nelle sapienze mondane Dio viene richiesto perché noi siamo e cresciamo, magari fino ad ogni possesso e vittoria ( ma in questo proiettiamo in Dio la radice delle nostre tensioni di potenza e identifichiamo Dio con tale trionfante potenza ), nella rivelazione cristiana Dio si fa piccolo per incontrarci e si piega quindi su di noi, e chiede a noi di piegarci verso di Lui; qui il fine di tale relazione non è la potenza e una solitaria prevalenza, ma la comunione. Viene forte una domanda: dunque c'è una necessaria connessione tra amore e diminuzione?

Is 37,30-38

1) La risposta di Dio alla preghiera di Ezechia fa intravedere per Israele un tempo non di dominazione Assiria, di distruzione, ma piuttosto di speciale "fertilità" della terra: per un anno mangeranno quello che nasce dai semi caduti, per un anno ciò che cresce da se, e al terzo anno finalmente semineranno, mieteranno, pianteranno vigne e raccoglieranno... Quindi un tempo di attesa in cui si vivrà dei doni "spontanei" della terra, e poi tempo di fertile coltivazione!

2) Il cammino del re Assiro è opposto a quello dei Magi, che per un'altra via fecero ritorno a casa, dopo l'incontro magnifico, di pace e scambio con il Salvatore e Re. Sennacherib vuole incontrare Israele per distruggerlo e invece per questa stessa via violenta deve tornare, cioè morire!

3) Queste parole sono scritte (vedi 2° lettura) per noi sia per il conforto e la speranza (Ezechia) nella protezione del Signore, sia come ammonimento (Sennacherib) a guardarci dalla superbia e dalla violenza contro il fratello, pronti e vigilanti all'arrivo del Signore (vedi vangelo)

Is 38,1-8

1) Ezechia si volge verso il muro e prega. Qual è questo muro? Di casa? Del tempio? E' importante che si volga e lasci così dietro di se tutto il resto per rivolgersi totalmente al Signore (come S. Teresina...).

2)Ezechia dice di essere stato per tutta la vita davanti al Signore con fedeltà e cuore SINCERO che in ebraico può voler dire anche con tutto il cuore, "totalmente", e anche con cuore pacifico.

3) "proteggere" (v.6) è un verbo che in Eb. compare solo 8 volte nella bibbia e vuol dire proteggere, custodire (da qui viene la parola scudo) e anche curare con affetto come un giardiniere(!). Si, ricorda così Maria Maddalena che scambia Gesù risorto (GV21) per il giardiniere. Effettivamente Gesù risorto ci raccoglie e ci custodisce nel giardino dal quale con Adamo eravamo stati scacciati!

4) Il Signore che parla è il Signore di Davide. Questo riferimento ci fa capire che la preghiera di Ezechia è potentissima, come suo padre Davide! Isaia non fa in tempo a scendere nel giardino dopo aver detto a Ezechia che la sua malattia è mortale che subito deve tornare indietro ad annunciare il rinvio della morte... (vedi per questo il testo parallelo di 2RE 20)

5) l'intervento di Dio non è di guarigione! Dice solo che aggiunge alla sua vita 15 anni. E' come se fermasse il tempo, come se lasciasse Ezechia in questa condizione di pace, grazia, fedeltà.

Is 38,9-22

1)v.19. "il vivente il vivente ti rende grazie". Per il fatto che siamo viventi rendiamo grazie e viceversa rendiamo grazie per cui viviamo! "il vivente" è anche uno dei nomi di Dio; infatti siamo viventi della stessa vita di Dio, la vita di Dio è la nostra vita! Rendiamo grazie "quest'oggi" e facciamo conoscere la fedeltà di Dio ai nostri figli! Così riceviamo, trasmettiamo, diamo la vita!

2) Il testo di oggi ci mostra prima la preghiera di Ezechia e poi la guarigione (v.21 azione di Isaia). E' bellissimo notare che Ezechia confessa la guarigione, la salvezza durante la preghiera, dice che è già avvenuta! La nostra guarigione è preparata, motivato, causata, anticipata dalla e nella preghiera.

3) La preghiera è fondamentale perché è l'ambito proprio del nostro rapporto con Dio, e il nostro rapporto con Dio è la fonte stessa della nostra vita: è Lui che è "responsabile" delle guarigioni ma anche delle malattie (per es. v.12"Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi recidi dall'ordito. In un giorno e una notte mi conduci alla fine", ricorda Giobbe...)

4) La preghiera di Ezechia è definita al v.9 uno "scritto" (it. cantico). Quindi una memoria una testimonianza, un testamento del suo rapporto con Dio!

5) il testo originale (oggi è molto complesso e incerto) al v.17 non dice "ecco, la mia infermità si è cambiata in salute" ma "ecco in pace la mia amarezza". Cioè in Ezec. avviene un avvenimento straordinario: l'amarezza, la sua infermità, è nella pace, quello che era crisi, difficoltà, angustia, tribolazione ora, per opera di Dio è nella PACE. Infatti l'infermità per Ezechia sono essenzialmente i peccati; è il peccato la vera amarezza della nostra anima! e la guarigione la pace avviene quando il Signore si getta alle spalle tutti i nostri peccati (v.17). (Notiamo come sia importante questo discorso nel NT con Gesù! ) E' qui che viene guarito veramente! - nella preghiera avvertiamo questo straordinario regalo di Dio - La guarigione fisica viene dopo quella dell'anima

Is 39

1) v.1 i doni che Ezechia riceve in Eb. è una parola al singolare: "dono" che vuole anche dire offerta, offerta per il sacrificio. Questi messaggeri da Babilonia quindi sembrano un po' ambigui, quasi idolatri...

2) Tutto il testo ricorda Gen. 3 la caduta di Adamo e Eva, il loro successivo dialogo con Dio. Ezechia infatti alle domande di Isaia sembra voler nascondere il suo piacere per la visita ricevuta; egli d'altra parte non ha nascosto nulla ai babilonesi in visita, mostrando - come nudo - tutti i suoi averi, tutto il suo regno. E' significativo che non compaia tra le "ricchezze" ostentate, il tempio, la casa di Dio. Ezechia sembra essersi dimenticato di Dio, dopo tutto quello che da lui aveva ricevuto (vedi testi prec.)!! L'esilio a babilonia - restando nel parallelismo con Gen 3 - corrisponde alla cacciata di Adamo e Eva dal giardino di Dio.

3) In ebraico è usata la stessa parola (davar) al v.4 "non c'è cosa alcuna che Ezechia non abbia mostrato loro " e al v.5 "Ascolta la parola del Signore". Poiché i due vv. sono così vicini sembra che il contrasto tra il niente di Ez e la parola dal Signore sia ancora più grande!

Is 40,1-5

"Poiché la bocca del Signore ha parlato".

1) Il testo inizia con un imperativo ripetuto due volte: consolate, consolate. Consolare è un comandamento da parte di Dio per il popolo che gli appartiene (il mio popolo v 1).

2) Il motivo per cui il popolo dev'essere consolato è il fatto che è stato schiavo ma ormai tale schiavitù è dichiarata da Dio finita. La schiavitù più importante è quella rispetto al peccato. Il peccato stesso è già in se stesso esperienza di umiliazione e perciò di castigo da parte di Dio. Forse per questo il castigo è chiamato qui "doppio".

3) I congiuntivi del v 4 possono essere anche tradotti come dei futuri, identici al rivelarsi del v 5. Si tratta dunque della descrizione di una storia che va compiendosi: si prepara una strada perché avvenga l'incontro del Signore col suo popolo.

4) La preparazione della strada nel deserto è affidata ad ognuno di noi: "preparate", come consolate del v 1, è un imperativo. La strada è "del Signore" nel senso che è il Signore a percorrerla: è "la strada per il nostro Dio". Vedi anche il v 10: Ecco, il Signore Dio viene con potenza.

5) La gloria del Signore è destinata ad ogni uomo, ad ogni carne. Non è più solo un privilegio riservato al popolo di Israele, ma è ormai per tutti i popoli di tutta la terra e di tutti i tempi.

6) La conclusione del testo "La bocca del Signore ha parlato" dice il vero e ultimo motivo per cui la gloria del Signore è destinata ad ogni creatura e per cui, in definitiva, occorre sempre consolare, essere consolati, consolarsi, vivere nella consolazione. La parola che esce dalla bocca del Signore è buona, è "buona notizia", porta gioia e pace, consola nel senso che trasmette la consolazione che proviene dal mistero stesso di Dio.

Is 40,6-11

Viene ripreso il grido del ver.3 che adesso ci viene affidato: siamo noi che dobbiamo gridare, ci è consegnato il grido di Dio. Questo sarà confermato al ver.9 che nel nostro testo è di congiunzione tra la prima immagine (ver.6b-8) e la seconda (ver.10-11)

La prima immagine dice la fragilità e la precarietà della nostra vita e delle nostre persone; il soffio del Signore ci fa rapidamente appassire: un evento doloroso che spesso affatica il nostro orgoglio o il nostro amor proprio, o la nostra vanità, ma che è azione divina di salvezza. Infatti se il fiore appassisce, la Parola che in quel soffio ci è donata dura sempre. A proposito di questo "durare", è importante notare che il verbo usato in ebraico è quello che normalmente indica il sorgere, il risorgere, dunque non una condizione statica ma la perenne azione di risurrezione in noi da parte del Signore. nello stesso senso è notevole che il termine usato al ver.6 per dire la gloria è quello che normalmente dice la misericordia.

La seconda immagine, quella del pastore, dice con forza due elementi preziosi: la docilità e piccolezza delle pecore, e la dolcezza del pastore nel condurle. Si avverte il legame tra questa immagine e la prima: questo gregge è un popolo nuovo che non vive e non confida nella sua fragile esistenza (l'erba e il fiore del campo), ma vive di quella parola di vita che non è sua ma di Dio e che a Dio lo consegna.

Is 40,12-24

Io sono niente, Dio è tutto! queste parole del nostro caro papa Giovanni sono un commento molto efficace al testo di oggi, che ci mostra la incommensurabile grandezza di Dio e il nostro niente di fronte a lui. L'acqua del mare, il cielo non possiamo misurarli né con ciò che Dio ci ha regalato (le mani) né con gli strumenti che con la nostra intelligenza abbiamo creato (moggi, stadere, bilance...)!

E lo spirito? Chi può dare dei consigli al Signore, guidare o orientare le sue decisioni? O dire qualcosa per primo? Invece è proprio Dio che ci dona lo spirito, che ci guida, ci parla per primo e ci risponde!!

Anche fare delle immagini di Dio è impossibile e idolatrico.

Siamo proprio nulla.

Il vangelo di oggi (Lc13,18-19) suggerisce che il regno di Dio non è qualcosa di fisso o di fissabile: è come un granellino di senape che piantato cresce e diventa un albero! o lievito che mescolato con la farina fa crescere e lievitare tutta la massa!

La vera grandezza di Dio poi si è manifestata quando ha mandato il suo figlio, qui sulla terra, facendosi piccolo come noi, per sconfiggere anche la morte.

Is 40,25-31

E' molto bello sapere che Dio non si stanca perché conosciamo bene la nostra debolezza, la nostra fragilità. E proprio Dio invece che ci da la sua forza così da poter camminare e correre senza stancarci! Dobbiamo sperare in lui e riacquisteremo la forza, un forza nuova, rinnovante, inesauribile!

v.27 c'è una debolezza e umiltà negativa: è quella che ci fa pensare che Dio, dalla sua enorme grandezza, non si occupi di noi, ci trascuri, si dimentichi! Non è bene piangersi addosso perché chi spera nel Signore diventa forte e esce dalla sua tristezza.

v.26 la creazione di Dio ha una doppia luce: tutti gli esseri sono un'unità, escono tutti insieme e hanno ciascuno un proprio nome! Ricorda l'immagine di Gv10 del pastore che conduce fuori dal recinto tutte le pecore insieme e tutte sono conosciute per nome!

v.31 il correre è molto importante nel NT: vengono in mente: il padre del figlio prodigo che gli corre incontro quando torna a casa; la corsa al sepolcro di Pt e Gv; la corsa delle donne che vanno ad annunciare la resurrezione; S. Paolo; Maria che si alza in fretta e va da Elisabetta... La nostra vita rinnovata dalla forza del Signore, è una bellissima corsa, perché il tempo si è fatto breve!

Is 40,1-7

Sembra molto importante quel "chi" presente ai ver. 2 e 4, che confermando un dato principale del cap.40 ci mostra quale sia l'interpretazione fondamentale di ogni avvenimento piccolo e grande: si tratta sempre della relazione d'amore tra Dio e i suoi figli; sono loro i protagonisti veri e ultimi di ogni fatto. Dunque, "chi"? Certamente Dio; tra l'altro il "protagonista storico" (Ciro) non è neanche nominato. E' il Signore che guida tutto per condurre a sé il suo popolo. Il brano di domani evidenzierà il "tu" che siamo noi

Il collegamento che si può fare con il brano dei Co (che sarà presente nella liturgia di domenica prossima) illumina circa la distruzione delle genti annunciata ai ver.2-3 : viene distrutta la loro individualità solitaria e vengono immersi nell'unico corpo di Cristo. Questo non annulla ma esalta in modo pieno e vero, cioè non alienato dalla rissa, il volto proprio di ogni persona, o cultura, o popolo...

Altro legame si può stabilire con il brano evangelico dove la minaccia di Erode deve sottostare ed essere funzionale al compiersi del mistero di Dio: non Erode ma Dio è il Signore di Gesù e di ogni credente, anzi di ogni creatura umana.

E' molto bella anche l'espressione del ver.4 : "Io, il signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi". Dice veramente l'orizzonte complessivo dell'opera di salvezza e cita espressamente e affettuosamente gli ultimi. Sono belle anche le versioni più "apocalittiche" dei LXX e della Vulgata.

Oggi si può leggere questo testo per pregare per gli Ebrei e con gli Ebrei, come la chiesa indica per questa vigilia della settimana di preghiera ecumenica..

Is. 40,6-11

Viene ripreso il grido del ver.3 che adesso ci viene affidato: siamo noi che dobbiamo gridare, ci è consegnato il grido di Dio. Questo sarà confermato al ver.9 che nel nostro testo è di congiunzione tra la prima immagine (ver.6b-8) e la seconda (ver.10-11)

La prima immagine dice la fragilità e la precarietà della nostra vita e delle nostre persone; il soffio del Signore ci fa rapidamente appassire: un evento doloroso che spesso affatica il nostro orgoglio o il nostro amor proprio, o la nostra vanità, ma che è azione divina di salvezza. Infatti se il fiore appassisce, la Parola che in quel soffio ci è donata dura sempre. A proposito di questo "durare", è importante notare che il verbo usato in ebraico è quello che normalmente indica il sorgere, il risorgere, dunque non una condizione statica ma la perenne azione di risurrezione in noi da parte del Signore. nello stesso senso è notevole che il termine usato al ver.6 per dire la gloria è quello che normalmente dice la misericordia.

La seconda immagine, quella del pastore, dice con forza due elementi preziosi: la docilità e piccolezza delle pecore, e la dolcezza del pastore nel condurle. Si avverte il legame tra questa immagine e la prima: questo gregge è un popolo nuovo che non vive e non confida nella sua fragile esistenza (l'erba e il fiore del campo), ma vive di quella parola di vita che non è sua ma di Dio e che a Dio lo consegna.

Is 40,12-24

Io sono niente, Dio è tutto! queste parole del nostro caro papa Giovanni sono un commento molto efficace al testo di oggi, che ci mostra la incommensurabile grandezza di Dio e il nostro niente di fronte a lui.

l'acqua del mare, il cielo non possiamo misurarli né con ciò che Dio ci ha regalato (le mani) né con gli strumenti che con la nostra intelligenza abbiamo creato (moggi, stadere, bilance...)!

E lo spirito? Chi può dare dei consigli al Signore, guidare o orientare le sue decisioni? O dire qualcosa per primo? Invece è proprio Dio che ci dona lo spirito, che ci guida, ci parla per primo e ci risponde!!

Anche fare delle immagini di Dio è impossibile e idolatrico.

Siamo proprio nulla.

Il vangelo di oggi (Lc13,18-19) suggerisce che il regno di Dio non è qualcosa di fisso o di fissabile: è come un granellino di senape che piantato cresce e diventa un albero! o lievito che mescolato con la farina fa crescere e lievitare tutta la massa!

La vera grandezza di Dio poi si è manifestata quando ha mandato il suo figlio, qui sulla terra, facendosi piccolo come noi, per sconfiggere anche la morte.

Is 40,25-31

E' molto bello sapere che Dio non si stanca perché conosciamo bene la nostra debolezza, la nostra fragilità. E proprio Dio invece che ci da la sua forza così da poter camminare e correre senza stancarci! Dobbiamo sperare in lui e riacquisteremo la forza, un forza nuova, rinnovante, inesauribile!

v.27 c'è una debolezza e umiltà negativa: è quella che ci fa pensare che Dio, dalla sua enorme grandezza, non si occupi di noi, ci trascuri, si dimentichi! Non è bene piangersi addosso chi spera nel Signore diventa forte e esce dalla sua tristezza.

v.26 la creazione di Dio ha una doppia luce: tutti gli esseri sono un'unità, escono tutti insieme e hanno ciascuno un proprio nome! Ricorda l'immagine di Gv10 del pastore che conduce fuori dal recinto tutte le pecore insieme e tutte sono conosciute per nome!

v.31 il correre è molto importante nel NT: vengono in mente: il padre del figlio prodigo che gli corre incontro quando torna a casa; la corsa al sepolcro di Pt e Gv; la corsa delle donne che vanno ad annunciare la resurrezione; S. Paolo; Maria che si alza in fretta e va da Elisabetta... La nostra vita rinnovata dalla forza del Signore, è una bellissima corsa, perché il tempo si è fatto breve!

Is 41,8-16

I vers. 8 e 16 contengono l'uno un "ma" e l'altro un "invece" che sottolineano la sorte d'Israele come opposta a quella delle nazioni, perché è servo, è amato è scelto dal Signore, gli appartiene. Per la nostra fede ebraico - cristiana le persone valgono non tanto in se stesse, quanto per la relazione preziosa che le avvolge, sia con Dio sia con il prossimo: su questo si può considerare anche il testo del vangelo di oggi, Lc.14,1-6. I vers.8 e 9 confermano questo con il ricordo dell'elezione e con la preziosa qualifica di "mio amico". E' fatta bene la piccola nota della TOB su questo termine. Sia il ver. 10 che il 14 dicono "non temere" : perché Dio è con noi, ci dà forza, ci aiuta, ci sostiene (ver.10); siamo sempre doverosamente posti davanti alla "sproporzione" tra il nostro niente e il bene infinito del Signore (ver.14). Emerge così l'intreccio tra il "non temere" come non aver paura e il "Timore di Dio" come consapevolezza che siamo suoi e viviamo alla sua presenza.

Is 41,17-20

L'altro ieri il soggetto era Dio che ci interpellava: "Chi ha suscitato....?" Ieri il soggetto era il "tu" del popolo invitato a consegnarsi con fiducia all'amore del suo Signore,; oggi il soggetto sono i miseri e i poveri (ver.17). Così l'elezione di Israele, particolarmente raccolta nei suoi poveri, sembra oggi dilatarsi a tutti coloro che, proprio perché miseri e poveri, entrano nell'elezione di Dio. La loro miseria e povertà viene descritta in questa vana ricerca dell'acqua, che nel deserto non può esserci; e in questa sete che li riempie di arsura. Ma Dio fa scaturire acqua anche nel deserto per il bene dei suoi figli. Diversamente da ogni divinizzazione della natura, per la nostra fede essa è l'orizzonte dove si celebra il grande mistero dell'amore di Dio e del suo popolo. Come dice la parabola del vangelo di oggi (Lc:14,7-14), Dio celebra con i suoi poveri il banchetto della carità, la cui lode è tessuta dal testo di 1Co13 pure presente nella liturgia. La traduzione italiana perde la ripetizione al ver.19 e al ver.20 della stessa espressione "insieme": al ver.19 si dice di quegli alberi diversi tra loro che tutti insieme vengono piantati da Dio nel deserto; al ver.20 si elencano alcuni verbi, ovviamente diversi tra loro, che "insieme" (in italiano dice "a un tempo") confessano la fede nell'opera di Dio. E' bello questo convergere insieme di diversi, e questa è l'opera di Dio, particolarmente significativa in questi giorni di preghiera per l'unità dei cristiani e la comunione tra le chiese.

Is 41,21-20

Compare molte volte il verbo "annunciare" (in italiano è reso in vari modi). E' il cuore del testo di oggi. Individuare i buoni annunciatori, che portano buone notizie e evitare di scegliere quelli cattivi che non dicono nulla, capaci di niente.

C'è un confronto tra Dio e suoi interlocutori che al v.23 sono chiamati "dei". Ad essi il Signore da del "voi", o ne parla in terza persona plurale. E' una sorta di processo del Signore per questi. Lui appare forte perché conosce le cose passate e le cose future e di queste le prime e le ultime! Gli altri non sanno niente! E' il Signore che guida la storia: è il principio e la fine di tutte le cose.

Non è solo. Ha un messaggero che lo rappresenta: un evangelista, un portatore di cose liete! Bellissima profezia del Signore Gesù (v. salmo 18)

L'accusa più forte del Signore riguarda la "parola": questi dei sono privi di parola, non possono portare alcuna prova, non possono proprio parlare (v.26), non si può riflettere su ciò che dicono. E privi della parola sono anche privi dell'azione sono perciò NIENTE, NULLA, VUOTI! Per la bibbia tutto ciò che esiste e agisce a motivo della Parola.

Nella seconda lettura (1Cor14,1-12) S. Paolo parla del dei doni dello Spirito e di come sia superiore il dono della PROFEZIA perché è comprensibile, si capisce, edifica! Il dono delle lingue invece ha bisogno di uno che le interpreti....

v.24 "è abominevole vi chi sceglie". E' una parola molto forte, che vuol dire obbrobrioso, contaminante, da evitare assolutamente... Anche nel Vangelo di oggi gli invitati al banchetto che rifiutano perché hanno altro fa fare, vengono esclusi e tenuti lontano... Il Signore ci vuole vicino a se lieti partecipanti al suo banchetto di nozze.

Is 42,1-4

1) Sembra esserci un legame profondo tra l'umile mitezza di questo servo e la potenza universale della sua opera (le nazioni del v 1; le isole del v 4). 2) I vv 2-3 con tutte quelle negazioni ripetute (non griderà, non farà udire...) sono il ripudio di tutte le vie mondane di affermazione e di potere. Per questo il v 3b potrebbe essere reso in modo diverso, non così stagliato; per es.: "Farà uscire il diritto verso la verità": è una fioritura piena della giustizia di Dio. 3) c'è un rapporto tra il "non spezzare" e "non spegnere" del v 2 e il "non verrà meno e non si abbatterà" del v 4. Così si può pensare che anche un lucignolo fumigante il Signore non lo spegne ma anzi si riduce Lui stesso a quella condizione di estrema minorità e ne fa ambito della sua opera di salvezza. Perciò, guai a spegnere questo minimo lume!

Is 42,5-8

1) i vv di oggi sono una sintesi di quello che ci accade nella messa: la grande opera della creazione (v.5); l'opera di redenzione e liberazione (apertura degli occhi, uscita dal carcere e dalle tenebre); le cose prime sono avvenute e sono annunciate quelle future (v.9). Vedi anche punto 2/17 della Piccola Regola. 2) E' bello che al v.5 si parli della creazione di Dio, del dono del soffio di vita per ogni creatura. L'opera del servo (v.7) è una nuova creazione, una liberazione che rinnova e ridà vita. 3) Questa sinergia creativa è resa possibile dal rapporto strettissimo, intimo, materno, generante di Dio e il suo servo (v.6). In questo senso la profezia di Gesù - figlio, luce, alleanza, liberatore e salvatore - è chiarissima!

Is 42,10-17

I vers.10-12 dicono il modo privilegiato della nostra partecipazione alla grande battaglia del Signore contro gli idoli: il canto, la lode, la celebrazione, l'esultanza... Tutto questo ricorda la vittoria contro i nemici che il piccolo popolo dei padri riportava se Mosè rimaneva sul monte in perenne invocazione di Dio Si proclama con forza che il tempo lunghissimo del silenzio inerte di Dio è finito ; ora Egli parla, grida, lotta per noi e tutte queste cose non cesserà di farle ( vers.14- 16 ). La natura che può essere luogo privilegiato dell'insidia idolatrica deve essere radicalmente trasformata per essere solo l'orizzonte dell'opera di salvezza di Dio verso i suoi figli. Sono loro quei "ciechi " che Lui fa camminare per strade nuove, trasformando per loro le tenebre in luce.

Is 42, 18-25

1) La scoperta drammatica è che questo "servo" (v.19) che deve portare "il diritto alle nazioni" - oggi si può pensare particolarmente a S. Paolo nella Festa della sua Conversione - è lui stesso cieco e sordo nei confronti del mistero di Dio e della sua Parola. 2) Così l'inizio, "sordi ascoltate, ciechi volgete lo sguardo.." pare assurdo: si chiede l'impossibile. Il seguito rivelerà che non è così. In ogni modo già qui possiamo cogliere il miracolo della "conversione" come un puro dono di Dio. 3) Il dramma evidenziato particolarmente nel v.20, più forte di come appare nella versione italiana, dice che questa cecità e sordità ha come suo proprio di essere inconsapevole. Si pensi a Gv 9 dove Gesù afferma l'inevitabilità della cecità di chi pensa e dice di vederci. Ecco perché, al contrario, lo svelarsi della condizione di cecità - sordità, rivelazione operata da Dio stesso nel dono della sua parola, è già una condizione meno drammatica di chi è cieco ma non se ne accorge. Ecco perché il v 18 che dice: "Sordi, ascoltate, ciechi...", è già condizione di salvezza. Ricordiamoci che Paolo, convinto di vederci ma cieco, finalmente ci vede quando Dio lo acceca sulla via di Damasco.

Is 43, 1-8

Dio confida apertamente i suoi sentimenti nei confronti del suo popolo. E' dunque il grande tema dell'elezione; questa ha segnato, anzi ha creato la storia passata ("ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome.."ver.1), e sarà l'orizzonte di quella futura ("sarò con te"ver.2). C'è dunque un assoluto nell'atteggiamento di Dio, che totalmente prescinde da noi e dalla nostra risposta o non risposta. Sono parole piene appunto del suo assoluto amore per noi : "Tu mi appartieni...sarò con te...io sono il Signore tuo Dio...il tuo Salvatore...tu sei prezioso ai miei occhi...sei degno di stima e io ti amo...:"vers.1-4. Dunque, "non temere" (Vers.1 e 5) : sembra che questa possibilità reale di fiducia e di pace sia legata proprio a quel timore di Dio che caratterizza una storia totalmente afferrata e protetta dal suo amore. Tutti i popoli e tutta la creazione sono convocati e ordinati a collaborare alla grande vicenda di Dio e del suo popolo : Egitto, Etiopia, Seba (ver.3) , oriente, occidente, settentrione, mezzogiorno (ver.6) Ma il colmo di tutto questo è al ver.8 , che peraltro verrà ampiamente confermato soprattutto dalla parte finale di questo cap.43 , dove si ribadisce che questo popolo così amato e così privilegiato dal Signore è un popolo di ciechi e di sordi. E' necessario, ma non è facile, accettare questa radicale sproporzione tra la misura infinita dell'amore di Dio per noi e la delusione della nostra poverissima risposta. verremo addirittura a sapere che il popolo si è stancato di questo Dio che lo predilige (Is.43,22).

Is 43, 9-13

1) Il testo di oggi ci si presenta ancora un breve confronto tra gli dei, gli idoli delle genti e il Dio di Israele. E' molto bello che quest'ultimo abbia come testimoni proprio il suo popolo (v.9,12) che ricorda tutto quello che il Signore ha fatto per lui. SIETE VOI I MIEI TESTIMONI! E anche noi tutti dobbiamo sentirci tali nella battaglia contro gli idoli... 2) Il versetto 10 è molto bello perché ritira in ballo il "servo". Il latino dice: "vos testes mei dicit Dominus et servus meus quem elegi ut sciatis et credatis mihi et intellegatis quia ego ipse sum ante me non est formatus deus et post me non eri"; cioè il Signore dice "siete testimoni voi e il mio servo..", insieme. Aggiunge poi che lo ha eletto perché sappiamo, crediamo e comprendiamo che Il Signore è, e non ce n'è un altro... E' una profezia molto chiara di Gesù: eletto del Signore, vero testimone del padre, che è venuto perché noi crediamo, sappiamo... quanti testi del NT vengono in mente, specialmente del vangelo di Gv. 3) Anche la seconda lettura (1Co,12-19) spiega come tutta la nostra fede, tutta la nostra vita dipende unicamente dalla resurrezione di Cristo. Se non fosse risorto sarebbe tutto vano! Siamo dunque testimoni avendo come capo, guida, Gesù morto e risorto per la salvezza di tutte le genti.

Is 43, 14-15

1) L'autopresentazione del v 15 da parte di Dio non è un'affermazione teorica o semplicemente dogmatica con un valore dottrinale astratto. Essa piuttosto è giustificata dal fatto che Dio opera nella storia del suo popolo, Israele, prendendo posizione contro Babilonia (cf v 14). Altrove leggiamo per es.: Io sono il Signore, che vi ho fatti uscire dall'Egitto, dalla condizione servile. Egli si dimostra come Signore, santo, creatore, re perché di fatto è più forte di Babilonia (simbolo, nella Bibbia, del male e del maligno). 2) "Le spranghe" divelte del v 14 sono un riferimento pasquale. Il Signore Gesù è sceso agli inferi per vincere la morte e portarsi via di là, come bottino di guerra, i morti da lui catturati come prigionieri di guerra. "Salendo in cielo ha portato con sè prigionieri, ha distribuito doni agli uomini". Tale immagine di liberazione dalla schiavitù è confermata dal primo termine con cui il Signore si presenta nello stesso v 14: "Il vostro redentore". Il Signore redime, cioè riscatta lo schiavo, paga per lui il prezzo del riscatto. 3) La sorte dei Caldei che confidano nella loro forza (il testo originale parla della soddisfazione per le navi - attenzione a navigare in Internet! -), viene cambiata: dal clamore della gioia o dell'allegria violenta al dolore del lutto. E' un altro riferimento pasquale. La pasqua di Cristo è luce per chi siede nelle tenebre e nell'ombra di morte e invece accecamento - perciò buio fondo - per chi crede di vederci confidando sulla propria falsa e sterile luce individuale.

Is 43, 16-21

1) v.18 "non ricordate più..." non è un invito a liquidare la memoria, a cancellare il passato. Altrimenti come potremmo celebrare la messa che è un memoriale? In realtà il Signore ci chiede di vedere ogni cosa (in primo luogo la messa) come una cosa nuova, che lui compie e fa oggi! 2) v.19 invito ad accorgersi dell'opera del Signore. E' un germoglio, ci vuole attenzione per scoprirlo vale per ciascuno! vale per il nostro tempo che può sembrare così lontano dall'accorgersi di germogli nuovi.... 3) viene più volte detto che il Signore fa un strada (16 e 19) accompagnata o affiancata dall'acqua... E' una bella profezia di Gesù che di sé dirà "io sono la via la verità e la vita". 4) Il Signore fa violenza alla natura: lui desidera modificare tutto in modo che le potenze negative scompaiano completamente (v.17) e i paesaggi selvaggi diventano praticabili, animali selvatici ricuperati perché il popolo come prima il servo possa cantare le lodi a Lui (v.12) 5) v.21 "popolo plasmato PER ME". In modo forte il Signore sottolinea il suo legame strettissimo con il suo popolo. 6) Molti verbi al futuro: la resurrezione è la nostra prospettiva. Il tempo ha un inizio uno sviluppo, una pienezza che è Gesù e un finale nel suo ritorno sulla terra. Ma c'è anche un invito a guardare al presente (v.19) come nel brano di Lc16,14-18 "fino a GvBt... da allora in poi..." ora c'è il Regno dei cieli!

Is 43, 22-28

Nel testo propriamente quel "invece" non c'è, ma è efficace per segnare lo stacco molto forte di questo brano rispetto a tutto il cap.43, che è stato tutto positivo e di lode verso Israele. Tuttavia vedremo che anche questo finale più amaro è fonte di straordinaria consolazione. Sono notevoli soprattutto due verbi : stancare e molestare. Entrambi vengono riferiti sia al Signore che al popolo. "ti sei stancato di me"(ver.22) - "nè ti ho stancato"(ver.23) - "mi hai stancato con le tue iniquità"(ver.24) "non ti ho molestato"(ver.23) - "mi hai dato molestia con i peccati"(ver.24). Tutto questo è riferito a tutta la ricchezza di incontro e di comunione che Dio ha preparato e stabilito attraverso le possibilità e le norme del culto e della preghiera. Mi sembra importante ricordare l'odierno brano evangelico (Lc 16,19-31 RICCO EPULONE E LAZZARO), dove il ricco non "approfitta" della sua sovrabbondanza per mettersi in relazione positiva con il povero. Così si conferma che Dio non "ci guadagna" niente con i nostri sacrifici e le nostre offerte che sono per noi invece l'opportunità e la via per porci in comunione con Lui. E' straordinaria anche la conclusione (Vers.25-26). Dio afferma di cancellare e di non ricordare i nostri peccati. Poi però invita nuovamente al ricordo ("fammi ricordare" per il testo ebraico; "ricordati" per il testo greco) : è un'ulteriore possibilità che il Signore dà al popolo, a ciascuno di noi. La relazione che non abbiamo stretta positivamente con Lui mediante la preghiera e la fedeltà alla sua Parola, possiamo ricuperarla proprio nel pentimento e nel ricordo dei nostri peccati, incontrandoci in tal modo con il dono supremo della sua misericordia che è il Cristo tra noi e nei nostri cuori.

Is 44, 1-5

Dopo l'interruzione degli ultimi versetti del precedente capitolo, riprende il discorso della relazione d'amore tra Dio e noi. Ora Egli chiede solo due cose : che Israele ascolti (ver.1), e non tema (ver.2). Dio ancora ricorda la sua azione : lo ha eletto, lo ha fatto, lo ha formato dal seno : qui la versione italiana aggiunge l'attributo "materno", che non è nel testo originale. Così potremmo pensare che si tratti del grembo stesso di Dio. Al ver.3 circa i luoghi che Dio riempie della sua acqua, più che a un "suolo" o a un "terreno", si può pensare a persone, citate prima al maschile e poi al femminile (un assetato e un'arida) per dire che tutti, uomini e donne, hanno bisogno di quest'acqua di Dio: sembra una grande profezia dello Spirito. Ciò che accade sembra descrivere una realtà che scende in basso e un'altra che sale, che cresce. Sembra proprio il dono dello Spirito e ciò che esso produce. Il ver.5 può far pensare ad una dilatazione dell'avvenimento al di là di Israele, cioè a un accesso al popolo del Signore, a una iscrizione - ammissione di chi al di fuori dell'eletto viene raggiunto, mediante l'eletto, dallo stesso dono. (cf. il salmo 86).

Is 44, 6-20

1) Di fronte e contro il legame meraviglioso che unisce Dio e il suo popolo, sta il peccato più grave che il popolo può commettere nel corso della sua storia: l'IDOLATRIA. E' il peccato supremo per due motivi: perché è adulterio che attende le grandi e uniche nozze con Dio; perché degrada massimamente chi lo commette.

2) v.6 "fuori di me non ci sono dei". Altre volte se ne afferma in qualche modo l'esistenza: sono "potenze" che pericolosamente si sostituiscono alla comunione e all'adorazione dell'unico vero Dio . Più spesso come qui se ne afferma la non - esistenza: sono "vanità" dei "vuoti" che si impongono in modo assurdo alla mente e al cuore (v.9). E' molto bella la raccomandazione del "non siate ansiosi e non temete" (9) perché svela una delle fonti principali dell'idolatria, come costruzione di un deus ex machina, di fronte alle paure della vita.

3) La lunga dissertazione sulla costruzione e sull'adorazione dell'idolo (v.9-20) sembra che nel suo apparente disordine e nella sua ripetitività celi forse quello che di più cupo e triste caratterizza l'idolatria: l'autoidolatria. L'uomo che adora l'idolo è quindi un uomo abile, un notevole tecnocrate che compiendo un'opera di pregio e ammirandola in fondo ammira se stesso e la sua condizione di vita. Sembra di fatto affermare la sua capacità a far bene tutto, idolo compreso, ma in fondo lui al suo idolo non crede. Cosa resta se non la malinconia del proprio solitario autocompiacimento?

4) la costruzione dell'idolo avviene mentre si fanno azioni essenziali alla vita: far da mangiare, scaldarsi.. (v.15-16). Quindi la fabbricazione degli idoli è in qualche modo "naturale", non possiamo fare a meno se non vigiliamo. Colpisce che essa comporti una fatica tremenda, si soffre, si ha sete, fame, mancano le forze... (12). E inoltre comporta spavento e confusione (11).

5) Il Signore da parte sua ci ripete con grande affetto che è lui l'unico Dio e che gli idoli sono proprio inutili, nulla: è interessante vedere un parallelismo con il vangelo di oggi (Lc 17,7-10): "dopo aver lavorato nei campi, servito il padrone di casa, finito ogni cosa dite: SIAMO SERVI INUTILI, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare". Riconoscersi umilmente servi inutili, cioè piccoli, non indispensabili, è molto salutare nella lotta contro l'idolatria.

Is 44, 21-28

Ricordiamoci della descrizione e dell'invettiva di Dio contro l'idolatria ascoltate nel brano precedente. Il ver.22 si riferisce a questo peccato del popolo che Lui ha perdonato. Ora possiamo e dobbiamo "ricordare"(ver.21) che apparteniamo a Lui e solo a Lui: siamo i suoi servi, che Lui non dimenticherà.

Dunque non gli idoli fanno e dicono, ma il Signore fa (vers.23 - ha agito - e 24-ho fatto tutto) e dice (vers.26-28) : Io dico a Gerusalemme(ver.26), Io dico all'oceano (ver.27), Io dico a Ciro (ver.28). Dunque è Lui il creatore e Signore del mondo e della storia. Davanti a Lui devono scomparire o correggersi i maghi e i sapienti di questo mondo (ver.25). In tal modo la creazione e la storia assumono il loro vero volto, che non è quello di essere il rissoso orizzonte dell'orgoglio e della violenza dell'individuo, ma la grande cornice e la via lungo le quali si celebra la nostra comunione con il Signore e tra di noi.

Is 45, 1-8

Contempliamo oggi la potente e pacifica invasione dei cuori e della storia da parte del Signore. Tale invasione ha per fine la pace (ver.7, in it. il bene) con un dominio assoluto sul male di cui Dio osa dirsi creatore (ver.7, in it. la sciagura).

Ciro non è uno strumento cieco nelle mani di Dio, anzi, riceve tesori e ricchezze, perché sappia che Dio è il Signore che lo chiama per nome. Sicché tutto si compie tra sapere e non sapere (cf. i vers.4 e 5 ). Ma questa non è la storia particolare di Ciro, ma è proprio del credente conoscere il Signore e non conoscerlo , per come la vastità del mistero si presenta totalmente nuova ogni giorno. Il miracolo interno della Parola è proprio questo: il Signore è presente e opera prima che noi ce ne rendiamo conto, agisce benevolmente prima che possiamo pensare di ringraziarlo.

Infine anche l'esperienza del male, in ciascuno di noi si manifesta sempre come nel controllo di Dio, e quindi volta al bene.

Is 45, 9-17

I vers.9-11 portano queste domande - rimprovero da parte di Dio, che noi conosciamo anche per la ripresa di questa immagine del vasaio nella lettera ai Romani. Mentre ci chiede l'umiltà come via e ambito del nostro rapporto con Lui, il Signore assume i titoli splendidi del Creatore, e poi del padre e della madre (ver.10): perciò al ver.11 ci chiama figli.

E' molto bello il legame tra "l'uomo" citato al ver.12, che è Adamo, l'uomo come umanità, e come questo "uomo" è anche il soggetto del ver.13, dove evidentemente si torna a parlare di una persona specifica, cioè di Ciro, che a sua volta è per noi profezia di Gesù. Mi pare si possa intendere il mistero e il dono di una nuova umanità (e quindi di una nuova creazione) che, profetizzata nell'Antico Testamento, si compie nel Cristo di Dio, Gesù di Nazaret, e viene celebrata in ogni discepolo del Signore e, potenzialmente, in ogni persona. Il compito di questo "eletto" di Dio sarà la ricostruzione della città e la liberazione dei prigionieri, azioni tipicamente messianiche.

Il ver.14 ci ricorda che a tale cammino di salvezza verranno chiamati, attraverso la mediazione del popolo di Dio, tutte le genti.

Il ver.15 dice "tu sei un Dio nascosto", un Dio che si nasconde, letteralmente. Troveremo nel brano di domani un'affermazione apparentemente opposta, dove dirà "io non ho parlato in segreto"(ver.19). Mi pare che tutto sia invece coerente. Dio si nasconde perché, diversamente dalle manifestazioni idolatriche, si "nasconde" nella più umile vicenda umana; ma peraltro non richiede vie complesse per trovarlo in quanto ci parla nella semplicità della sua parola e in quella dei segni piccoli e preziosi della nuova "gestualità" che è la Santa Liturgia, principio di tutti i gesti buoni che Dio ci Dona e ci affida.

Is 45, 18-25

Ho raccolto in sintesi le molte luci del testo di oggi nella preoccupazione di Dio che ci facciamo vincere per molti motivi da elementi della natura e della storia fino a farli diventare "idoli" che ci dominano o affascinandoci o spaventandoci o rattristandoci. Non si tratta sempre di elementi negativi, ma la loro negatività nasce dalla prevaricazione che prendono su di noi. Ecco perché il nostro testo continuamente riafferma che il Signore "è Dio; non ce n'è altri"(cf. vers.18;19;21;22). La prova "storica" di tutto questo è la sua "giustizia che salva"(cf.vers.19;20;21;22;24;25 :non sempre la traduzione italiana riprende la parola "giustizia"). Il mistero profondo e la forza di tutto ciò sta nella sua Parola, nel fatto del suo rivolgersi a noi per donarci la sua Parola potente e sapiente, Parola che sta al principio di tutto e che quindi è superiore a tutto, parola semplice e chiara (ver.19); la terra è stata creata per essere da noi abitata e per essere quindi il luogo dove avviene l'incontro tra noi e Lui che ci parla e noi che gli restituiamo nella supplica e nella lode questa parola stessa (ver.18). Questa Parola che conduce la storia e che sarà fino alla fine (ver.22), è la vera forza che impedisce che elementi minori e in ogni caso compresi dalla parola prevarichino e siano idoli per noi.

Is 46, 1-13

Questo intero, piccolo capitolo è ancora dedicato al tema dell'idolatria, che oggi sembra manifestare una connotazione in più: essere cioè l'idolatria non solo una relazione sbagliata con una realtà sbagliata (cioè di per sé non atta a essere oggetto di adorazione) ma anche una prigionia di se stessi, nel senso che forse ogni idolatria è sempre autoidolatria perché l'adorante di fatto vuole tenere sotto controllo e possedere l'oggetto della sua adorazione (anche se poi ne viene anche sedotto e a sua volta posseduto), Ma l'idolatria di se stessi non è una relazione (come bene insegna il fariseo della parabola della liturgia di oggi), ma appunto, prigionia di se stessi. C'è una relazione tra l'immagine dei vers.1-2 che descrive questi animali oppressi dal peso che portano, idoli che cadranno e non li salveranno, e il committente di idoli dei vers.6-7, anche lui sotto il peso di idoli che non lo salvano . Qui emerge il grande rilievo nel brano di oggi del verbo "portare", più volte presente e per fortuna mantenuto nella versione italiana: vers.2;3;4;7. Gli idoli, pesantissimi, si fanno portare e provocano schiavitù (ver.2); il Signore invece ci porta fin dalla nascita (cf.ver.3, dove il testo latino propone l'immagine del grembo e dell'utero di Dio!), e ci porterà fino alla fine (ver.4). Per uscire dalla prigionia dell'idolo (ieri ci parlava della Parola), l'invito è a "ricordare", e ad "agire da uomini", dove quest'ultimo è un verbo usato solo qui in tutta la Scrittura che ha il senso di "essere o trovare se stessi" la propria vera identità (ver.8). L'altro invito è ancora quello di ascoltare (ver.12).. Molto bella infine l'immagine dell'uccello da preda chiamato dall'oriente e quest'uomo secondo i progetti di Dio chiamato da una terra lontana, (ver.11), affinché si facciano vicine la giustizia e la salvezza di Dio.

Is 47, 1-15

1) Babilonia parla come se si sentisse lei stessa Dio, infatti usa espressioni che abbiamo sentito dire da dio :

Sempre io sarò signora, sempre Io e nessuno fuori di me!

è orgoglio di potere e sicurezza per se e per il proprio futuro!

2) Viene condannata perché è senza pietà, neanche per i vecchi (v.6). E' condannata a scendere e a sedersi, al silenzio e all'ombra, proprio l'opposto di quello che Dio ha previsto per il suo popolo: si alzerà, salirà, canterà e sarà nella luce (->Cristo).

3)La condanna è una morte. sarà vedova e perderà i figli: la sua prosperità sarà completamente nulla! Sola e infeconda.

4) Bello il parallelismo con il vangelo dove c'è il bambino che va a Gesù, perché di chi è come loro è il regno dei cieli! Piccoli e semplici, l'opposto di Babilonia.

Is 48, 1-11

I primi due versetti ci ricordano con severità che l'appartenenza al popolo del Signore non è un titolo né una condizione stabile e garantita, ma è legata a ciò che siamo e a ciò che viviamo nel tempo e nel momento.

Per questo la fede d'Israele è intimamente connessa all'ascolto obbediente della Parola di Dio: la Parola precede la creazione e la storia; la creazione e la storia "dipendono" dalla Parola: " Dio disse: Sia la luce! E la luce fu"(Gen.1,3). La fede nella Parola precede ciò che nella creazione e nella storia accade o esiste. Leggiamo al ver.3:"Io avevo annunziato da tempo le cose passate...ho agito e sono accadute". Tutto questo contrasta l'idolatria, specialmente l'autoidolatria, che come abbiamo visto nei testi dei giorni scorsi è la forma più profonda di idolatria. Senza questa "precedenza" della Parola, l'uomo si impadronisce e attribuisce all'idolo di se stesso ciò che esiste e ciò che avviene:"...per timore che dicessi: "Il mio idolo le ha fatte..."(ver.5). I più vecchi come me ricordano che noi attingevamo alla Parola di Dio, con la "revisione di vita", per analizzare e verificare se ciò che eravamo o ciò che facevamo era secondo questa Parola; Si trattava di un atteggiamento lodevole, ma imparagonabile a ciò che in questi anni la tradizione d'Israele e della Chiesa ci hanno trasmesso, e cioè che la Parola di Dio non è semplicemente il codice morale e la verifica etica della nostra vita, ma la fonte stessa della vita e della storia. Per questo non c'è niente di più importante per noi che questo ascolto nella fede e nella preghiera della Parola che ogni giorno "crea" il tempo che ci aspetta e indica la via lungo la quale il Signore ci viene incontro.

Siccome però si potrebbe dire che ormai quella Parola dovremmo conoscerla, e che dunque è inutile tornare sempre ad ascoltarla, il nostro meraviglioso brano di oggi, che dunque genera questo oggi secondo Dio, afferma la perenne "novità" della Parola di Dio: "Ora ti faccio udire cose nuove e segrete che tu nemmeno sospetti..."(ver.6). E' proprio vero che la Parola è antica e nuova; è stata data ai nostri Padri e alla loro fede, e si è compiuta; oggi è data a noi perché l'accogliamo e perché in noi si compia. Abbiamo un esempio molto luminoso di ciò nel brano evangelico di oggi sull'uomo ricco (Lc.18,18ss). Gesù gli ricorda gli antichi comandamenti e l'uomo gli risponde di averli accolti e custoditi; allora il Signore gli parla nell'oggi del loro incontro nella novità della sua Parola. Quando noi ci troviamo ogni giorno, convocati dal Signore intorno alla sua parola, non incontriamo parole "risapute", ma la sua Parola sempre nuova.

Is 48, 12-22

Si può considerare il brano di oggi come diviso in due parti:vers.12-17 e vers.18-22.

La prima parte è una sintesi di memoria di quanto il Signore ha detto nei testi precedenti intorno alla sua opera, alla sua unicità, alla lotta contro gli idoli, alla storia della salvezza che ha promosso verso il suo popolo, a colui che sarà inviato per la liberazione del popolo, alla guida del popolo...

Il ver.18 è lo spartiacque del brano. In particolare il verbo che dice "se avessi prestato attenzione": è la grande condizione che il Signore pone alla sua gente; un'attenzione che non è l'osservanza dei precetti, ma la tensione positiva e amante da parte nostra verso le parole che ogni giorno Egli ci regala. Fa pensare se mai al Sal.1 e alla meditazione "giorno e notte" della Parola: Questa "attenzione" dice molto bene un rapporto amante e vitale con il Signore della nostra esistenza.

I vers.18-22 sono la proclamazione della grande abbondanza di bene che nasce da questa attenzione al dono di Dio. La traduzione italiana perde proprio la parola più forte per esprimere ciò e dice al ver.18 "benessere" mentre la parola è "pace". Si esce dalla prigionia di Babilonia e si cammina per il deserto, dove Dio fa scaturire acqua dalla roccia: é la memoria in pienezza dell'antico esodo ed è la profezia della nostra vita oggi,13 febbraio 2001, giorno in cui ricordiamo la nascita di don Giuseppe e di Clelia Barbieri, e in cui noi facciamo la nostra umile vita nel deserto meravigliati per tutte le fonti di bene e di bello che il Signore fa scaturire per noi

Is 49, 1-6

Questo brano che è riconosciuto come "il secondo canto del Servo" si può forse scomporre in tre parti: 1)vers.1-3 la divina chiamata del servo, la comunione tra lui e il Signore, la sua missione. 2)ver.4 la sconfitta mondana dell'opera del servo, e quindi la sua glorificazione presso Dio. 3)vers.5-6 la dilatazione della missione del servo da Israele alle genti.

Al ver.3 è meglio rendere in italiano l'espressione "..sul quale manifesterò la mia gloria" con la versione letterale "Nel quale sarò glorificato"; infatti la forma passiva rende meglio il fatto che Dio sarà glorificato, cioè pienamente rivelato, da questo piccolo servo e dalla minorità della sua vicenda. Cioè: non malgrado tale piccolezza, ma attraverso di essa noi possiamo cogliere chi sia Dio.

Per questo il ver.4, apice del nostro brano, porta in sé quella contraddizione che appunto in Dio viene composta . Da una parte il servo denuncia l'inutilità della sua opera nella quale si è consumata la sua vita: D'altra parte afferma che "ma, certo" o, più fedelmente al testo "perciò" riceverà la sua ricompensa. Dunque, sconfitta mondana e ricompensa divina, profezie della croce e della gloria di Gesù si compongono nell'unico evento pasquale di salvezza. E quale sarà la ricompensa? Una traduzione più letterale ce lo dice meglio: il diritto e la ricompensa non saranno "presso" Dio ma saranno semplicemente Dio stesso; Lui è la ricompensa per l'opera del servo.

Ecco allora quella dilatazione dell'opera del Servo che il vecchio Simeone annuncerà per Gesù "Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele". Proprio la piccolezza del servo fino alla croce di Gesù, proprio questa genera la grandezza universale della sua missione.

Is 49, 7-13

Il servo ieri si manifestava soprattutto nella sua relazione con il Signore e per il volto globale della sua vita. Oggi viene messo in evidenza il suo rapporto con le nazioni e i loro re: una condizione radicalmente umiliata, "la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni"(ver.7); la traduzione greca è ancora più impressionante e vale la pena renderne il testo in italiano: "Santificate colui che disprezza la sua vita, che è in orrore alle genti": qui è presente anche la spesa che positivamente il servo fa di sé e della sua vita. Ma tutto questo è in realtà la fedeltà di Dio e la sua elezione verso Israele: per questo gli stessi re che disprezzano e opprimono l'eletto, "vedranno e si prostreranno"(ver.7).

A questo punto del libro di Isaia tutto sembra raccogliersi in un'unica attenzione: il popolo è prigioniero e deve essere liberato. Non si cita più la colpa del popolo, nè la "funzione" punitiva delle genti. Ormai quello che interessa è la salvezza dei figli. Questo ci riporta alla beatitudine dei poveri che Gesù proclamava nel Vangelo di domenica scorsa :"poveri"; poveri e basta; poveri, perché? per colpa loro? Per colpa di altri? Ormai non importa! Agli occhi del Signore siamo semplicemente i suoi poveri figli, prigionieri e ciechi. Quello che deve avvenire è semplicemente la nostra liberazione, non la nostra condanna che Egli non vuole. Qualunque sia l'origine o la causa del nostro male, il Servo del Signore è mandato per liberarci.

Is 49, 14-21

Sentiamo prima di tutto necessario aderire all'invito del Signore: "Alza gli occhi e guarda"(ver.18); altrimenti siamo portati inevitabilmente a guardare tutto attraverso le opacità e le tristezze del nostro cuore.

Tre grandi immagini dominano il brano di oggi: il bambino (vers.14-16); la sposa (vers.17-18); la madre (vers.19-21).

Il bambino. A Israele che si pensa abbandonato e dimenticato, il Signore risponde paragonandosi a una mamma. Il ver.15 ripete con insistenza il verbo dimenticare per rassicurarci che Lui non può dimenticarsi di noi; fosse anche che una mamma si dimenticasse, la sua maternità è invincibilmente legata a noi poveri suoi figli.

Anch'io da ragazzino mi scrivevo sulle mani quello che non volevo dimenticare (ver.16).

La sposa. Questa immagine nasce attraverso l'immagine dei "costruttori" (ver.17), citati in contrasto dei "devastatori": mentre questi si allontanano da Gerusalemme, quelli accorrono, si radunano, vengono (ver.17-18). Sembra che, come una sposa, la città si adorni di loro, quasi che il loro essere costruttori li facesse diventare veste e ornamento della sposa.

La madre. Con stupore si accorge che la desolazione di prima è ora un posto troppo stretto per contenere tutti questi figli che ritornano (ver.20), persino troppo irruenti nel volere un posto insieme alla mamma. Ma di più: il ver.21 ci dice di questo nostro materno stupore perché ci troviamo accanto figli nostri, che però , nella nostra sterilità, non abbiamo certo generato noi, e che, per la nostra desolata solitudine, certamente noi non abbiamo nutrito. Ma "dov'erano costoro?". Il brano che era iniziato nella tristezza di una affermazione negativa, termina con la sospensione di una domanda meravigliata, affacciata sulle meraviglie che Dio compie per noi.

Is 49, 22-26

1) La mano e il vessillo (v 22) sono il segno della potenza di Dio che combatte per Israele (cf Es 17, 16) e lo preleva dall'Egitto. Anche Gesù parla del serpente di bronzo (cf Gv 3, 14-15) come di un segno, guardando il quale, con fede, si ottiene la salvezza.

2) I potenti hanno una doppia funzione, positiva e negativa. Positivamente proteggono Israele, lo nutrono e lo fanno ritornare dall'esilio (vv 22b-23). Negativamente lo opprimono e lo sfruttano, come il Faraone in Egitto, mantenendolo in proprio potere come bottino e preda (vv 24-26).

3) Gesù è il più forte di Giovanni Battista (cf Lc 3, 16) e del diavolo (cf Lc 11, 21), lui strappa al nemico la preda, cioè ci libera dal peccato e dalla morte che ci rendono schiavi del male.

4) Gli avversari di Israele divengono gli avversari di Dio (v 25b). Così chi rifiuta il regno di Dio nella propria vita (cf il Vangelo di oggi) finirà nella sua violenza (v 26a). Tale violenza si esprime con immagini cruente sia nell'Antico Testamento sia nel Nuovo (cf Lc 19,27).

Is 50, 1-3

v.1 due immagini incisive di come il Signore percepisce i peccato del suo popolo: come un documento di ripudio per cacciare la moglie o come una vendita per saldare un debito. Entrambe le figure parlano di un distacco netto, definitivo, di un divorzio, di una frattura profonda... non è consentito un ritorno.

Ma il v.1 è una domanda di Dio provocatoria! Dai, tirate fuori questo documento! ditemi chi è il creditore! In realtà questi non esistono, Dio ci fa capire come NON voglia ripudiarci o venderci. Non è neanche la punizione prevista! (Cfr. titolo bibbia di Gerusalemme!!!) Più propriamente il testo direbbe "nella vostra iniquità vi (potrebbe esserci anche un senso riflessivo) siete venduti, vostra madre nella vostra iniquità è venduta... Quindi nella situazione di peccato c'è questo allontanamento.

Dio invece ha in se un gran potere di redimere e riscattare (v.2). Per cui il testo di oggi ci apre una grande prospettiva di salvezza, di speranza di essere salvati nonostante le nostre scelleratezze!

Bello anche il versetto 2 dove Dio dice "io c'ero, ho chiamato ma perché non c'era nessuno di voi, nessuno ha risposto?". Ci da degli appuntamenti dove lui è presente e ci interroga, ci chiama ci invita. Non perdiamo queste occasioni!

Is 50, 4-11

ieri "l'ascoltatore" di Dio era sfiduciato, si sentiva ripudiato da Dio stesso, oggi il SERVO del Signore ci aiuta a ritrovare la strada della fede. Il servo infatti è mitissimo davanti al Signore stesso: non si tira indietro quando l'onnipotente gli apre l'orecchio e gli parla; allo stesso modo non si tira indietro davanti ai suoi persecutori, che lo maltrattano e lo picchiano. Si "lascia" fare, si abbandona a queste azioni "violente"; il motivo è la certezza (la fede appunto) che Dio è accanto a lui, lo assiste, gli rende giustizia (v.7,8)

Ogni mattina il servo riceve un regalo dal Signore: una lingua da SCOLARO. E' molto importante questa parola, tradotta in italiano con "iniziato". Lo scolaro può parlare di quello che sa, dire quello che ha sentito da Dio. Se l'origine della nostra Vita è la messa e la Parola di Dio, allora in tutti gli altri ambiti, momenti della giornata, da bravi scolari non dobbiamo fare altro che vivere la "istruzione" ricevuta.

PAIDEIA è la parola greca che viene usata nella LXX. Istruzione, disciplina, correzione, educazione.... La scrittura è ricca di "istruiti": da Mosè a S. Paolo , e ritorna in punti importanti del profeta Is (26,16 53,5). Il discepolo, cioè chi si sottopone alla disciplina, all'istruzione, scatena inevitabilmente l'odio, e l'avversione intorno a se basta vedere Gesù...

Is 51, 1-8

"guardare" alle cose invisibili (v.2) - Abramo e Sara, viventi nella fede - e a quelle visibili (v.6) - il cielo, la terra destinati ad una fine definitiva -. Le prime aiutano a scoprire l'opera eterna di salvezza di Dio e a mostrare la caducità delle seconde.

v.3 Il Signore ha pietà di Sion e per questo rende le sue rovine come l'Eden, un giardino magnifico i cui frutti sono giubilo, gioia, ringraziamento, inni di lode. Quattro frutti che "escono" dal giardino, si diffondono... E' il frutto della nostra partecipazione alla messa!

v.4 "da me uscirà la legge"..."popolo porta nel cuore la mia legge" ciò che esce dal più intimo i Dio si "annida" nel cuore dell'uomo! "il mio diritto sarà luce dei popoli" cioè si depositerà, riposerà nella luce di popoli, un diritto nuovo, non violento ma di pace e luce...

v.1-3 DIO-ISRAELE. Il Signore invita il suo popolo ad andare al principio della sua fede (Abramo) e al principio della creazione. Ritornando al principio, all'origine, al ciò che sta all'inizio, Israele ritrova la sua identità, la Giustizia di cui è in cerca... Deve ritornare al passato perché è Abramo l'unico eletto da cui è nata la fede e dal quale si è diffusa la benedizione di Dio. (cfr. Rm4)

v.5-8 DIO- I POPOLI. La benedizione e la salvezza è per tutti! Notiamo la traduzione latina del v.5 "è vicino il giusto, è uscito il mio salvatore" dove Girolamo concretizza la giustizia di Dio in una persona, il giusto, il messia, Gesù. E non si tratta di una manifestazione ma di una uscita come ha appena detto della legge (v.4). Giustizia e salvezza, Giusto e Salvatore sono eterni, incancellabili definitivi.

Is 51, 9-16

Nel teso di oggi ci sono due promesse che nascono da due situazioni diverse: 1) v.11 è conseguenza della preghiera del popolo a Dio (v.9-10); 2) v.14 viene da un'autopresentazione di Dio: egli è il consolatore (v.13). Nel v.13 c'è anche una piccola tiratina d'orecchie molto vera e importante: il popolo (e quindi noi) ha dimenticato Dio, il creatore, e rimaneva prigioniero della sua perenne paura. Invece da poveri che siamo come ci ricordano i vangeli di queste domeniche, siamo beati perché il Signore tiene per noi, non si dimentica, guarda alla nostra piccolezza e ci aiuta.

Le promesse di Dio riguardano il futuro "I riscattati dal Signore ritorneranno e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo; giubilo e felicità li seguiranno; svaniranno afflizioni e sospiri" ma anche il presente "Io, io sono il tuo consolatore".

v.11: i frutti del giardino meraviglioso (=Sion trasformata) che vedevamo ieri saranno la "dotazione" dei riscattati del Signore: saranno la corona sul capo, il "bagaglio al seguito" dei riscattati!

la risposta alla sollecitazione del popolo per Dio del v.9 "Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi" è descritta nel v.16 "Io ho posto le mie parole sulla tua bocca" e "Tu sei mio popolo". Questi due regali di Dio sono l'opera più grande che lui ha fatto, fa e farà per noi, ben più grande e importante dell'apertura delle acque del mar rosso

Is 51, 17-23

Il Signore riprende, sia pure con un verbo diverso, l'invito al risveglio; viene anche usato un verbo ebraico che classicamente si riferisce anche alla "risurrezione" e che nel nostro brano dice, al ver.17, "alzati".

Ci ha molto presi questo tema del calice, anche perché l'odierna memoria liturgica del martire S. Policarpo porta la preghiera di poter condividere il calice del Signore. E' il calice della tentazione al Getsemani, quello che il Cristo obbediente assume, e che ci prende per mano per interpretare in senso pieno il nostro brano. Del calice si parla al ver.17 e ai vers.22-23, per dire da parte del Signore che a Gerusalemme questo calice dell'ira divina è finalmente tolto: sia perché l'ha già assunto, cioè è stata già punita, sia perché ora Dio darà questo calice ai "torturatori" (ver.23)

Sappiamo che tutto questo si compie perché tra tutti i figli di Gerusalemme, quelli che secondo il ver.20 giacciono agli angoli di tutte le strade, ce ne è uno che questo calice fino alla morte l'ha assunto in perfetta innocenza. Resta dunque che il calice è quello dell'ira di Dio, ma diventa calice pasquale di comunione e di vita nuova perché è diventato il calice del nostro Signore.

Is 52, 1-6

v.5 Fa impressione la crisi di identità di Dio che dice: "che faccio io qui?". Il Signore si interroga, riflette, sulla sorte del popolo oppresso. Si risponde da solo indicando il senso fondamentale del suo "agire": FAR CONOSCERE se stesso, CHI E', COSA FA. E per questo non può fare da solo. Ha bisogno del popolo, del uomo. Cerca in tutti i modi di stabilire delle relazioni importanti per questo scopo. Dice infatti alla fine del testo "eccomi". Per cui è molto grande il privilegio che ci è dato quando ascoltino la su Parola, celebriamo il Mistero della Messa, ci vogliamo bene... Sono i vestiti più belli che possiamo indossare perché ci danno la sua Gloria.

C'è messaggio fondamentale riguardo alla LIBERAZIONE, attraverso la memoria dell'Esodo e dell'Esilio. La liberazione avviene perché il Signore è vicino al suo popolo, è presente si in esilio che nella terra promessa, paga per riscattarlo... L'immagine del v. 1, la descrizioni delle vesti più belle (lett. "vesti di splendore, di gloria") è fortemente nuziale: Gerusalemme (Vulg. "città del santo") si riveste della gloria che riceve dal suo Signore.

v.2 manca completamente un verbo che è un po' strano: "scuoti la polvere, alzati e SIEDITI". Siediti come sono seduti i re, i giudici: Dio si rivolge a Gerusalemme sua sposa e quindi "principessa".

v.6 la LXX finisce con queste parole "sono proprio io, colui che ti PARLA, ECCOMI". Forte parallelismo con il vangelo di Gv cap 4, quando Gesù parla con la Samaritana.

Is 52, 7-12

Si riafferma la regalità di Dio in Sion (v.7), e insieme a questo il principio della gioia: passare dall'essere usurpatori della signoria di Dio all'essere i felici annunciatori di esse. Non è più il tempo della lontananza, l'incontro sta per avvenire: ognuno può entrare in questa grazia.

Le sentinelle- messaggeri ricordano le guide cieche del vangelo di domenica. Non sono cieche per quello che dice il salmo 35: "alla tua luce vediamo la luce". Ci si vede non quando si pretende di essere la guida dei fratelli ma quando il fratello può essere ascoltatore del nostro grido di gioia per quello che vediamo.

Come mai di questo messaggero si dicono belli i piedi piuttosto che le parole o la voce? Per sottolineare la concretezza di un fatto: un persona si avvicina a noi per annunciarci pace, letizia, salvezza, regalità.

L'affermazione del v.10 del "braccio snudato" indica una nudità vergognosa: Dio si manifesta non solo nella bellezza (v.7) ma anche nella nudità della croce.

La prima lettura (2Co 7,2-7) ha diversi rimandi nel nostro testo a proposito di TITO che portò un gran bene ai Corinti consolando tutti e portando il lieto annunzio della liberazione dalla morte.

v.12 Il nuovo esodo non è caratterizzato dalla fretta (come l'esodo dall'Egitto). E' nella quiete, non c'è più alcun pericolo. Il Signore è davanti e dietro, protegge e custodisce il popolo. Allo stesso modo il nostro esodo dalla schiavitù avviene ogni giorno nella messa, quando celebriamo i santi misteri, nella pace!

v.8 Più che "senti?" il testo direbbe "voce". E subito le sentinelle "alzano la voce", come lo scambio a cui assistiamo nel Ct dei Cantici tra lo sposo e la sposa (ecco un voce....).

Le buone notizie si diffondono progressivamente: dal messaggero, piccolo e delicato (vedi domani), alle sentinelle ì, a Gerusalemme, al popolo intero e a tutte le nazioni della terra!

Is 52, 13 - 53, 6

Una nota della Bibbia TOB aiuta ad individuare nel testo di oggi vari soggetti parlanti: Dio (v. 52,13-15), le folle (53,1-6) il profeta (7-13) ancora Dio (11-12). Per questo motivo sentiamo le parole di oggi come un grande DIALOGO che ha come oggetto il servo di Dio, Gesù! E' molto bello pensare che un dialogo simile sia sempre vivo e vivace nel nostro cuore e nella nostra vita.

v.13 "il servo avrà successo", questo verbo può anche significare "capire", "comprendere", "stare insieme per capire". Capiamo quindi che il servo è pienamente consapevole di quello che fa, e quindi anche Dio! Dio si immerge nella storia dell'uomo in particolare nel suo MALE, nella sofferenza, nell'umiliazione.... per partecipare, per capire e far capire, insieme, dove sta la vera luce, la salvezza, la meraviglia che farà stupire tutti: La Pasqua! (v.15).

Il cap. 53 comincia, avendo già sentito che la pasqua è la prospettiva finale, la promessa, la luce: i versetti del cap. 53 mostrano che della situazione di sofferenza, di umiliazione del servo, è molto difficile capire, se non impossibile. Occorre accettare il mistero del male senza capirlo, perché è molto grande, misterioso. Solo con questa pazienza interiore si può accettare e cogliere la ragione vera della consolazione cristiana: dall'abisso incomprensibile della sofferenza SI ESCE, c'è la salvezza, la liberazione!

v. 53,1 "chi avrebbe creduto all'annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?". Queste sono domande impegnative, riguardano il "successo" dell'opera di Dio, del suo farsi conoscere all'uomo, del dono della fede per tutti. Come fa Dio a fare ciò? La via che lui sceglie è quella della sconfitta, apparente, del suo servo, della umiliazione, della piccolezza, senza potere mondano, forza violenta, imposizione. E' una via strana, molto nascosta. Dio si mette sotto, in basso, si addossa le colpe e i peccati del suo popolo.

Naturalmente è molto chiara la profezia di Gesù in tutti questi versetti. Lui stesso dirà "ero malato, ero carcerato, nudo, affamato, forestiero... " (Mt 25). E' un grande mistero Dio che attraverso il suo Figlio Gesù si fa presente in tutte queste persone piccole!

Is 53, 7-12

Un aspetto importante della figura del servo del Signore è la consapevolezza e volontarietà del suo sacrificio: al v. 7 abbiamo si lasciò umiliare (S. Girolamo ha fu offerto perché lui stesso lo volle). Un altro aspetto è la mitezza, che si esprime nel silenzio: e non aprì la sua bocca (due volte al v. 7). Sono descritti coloro che beneficiano delle sue sofferenze: il popolo iniquo (v. 8), gli empi e il ricco (v.9), le moltitudini, i potenti e i peccatori (v. 12). In sintesi ci sembra che questo canto ci mostri il mistero della figura di un uomo che con le sue sofferenze è causa di salvezza per molti. In lui riconosciamo il volto di Gesù, ma, in Gesù, il volto di ogni uomo in cui si compie lo stesso mistero di dolore.

Is 54, 1-10

Dopo il canto del Servo, e dopo l'annuncio della fecondità del suo sacrificio d'amore, ecco il grande invito rivolto a noi perché esultiamo e prorompiamo in grida di gioia (ver.1) : a questa gioia siamo invitati mentre ancora ci troviamo nel nostro esilio e nelle nostre grandi sterilità. E' il perenne stupore della fede che contempla l'incontro tra la nostra povera vita e l'immenso dono di Dio.

Per questo, non solo canteremo inni di esultanza, ma anche porremo nella nostra vita i segni e le azioni che esprimano tale grande dono. L'allargamento della tenda che mi pare dica così bene l'allargamento del cuore, del pensiero e soprattutto della carità, sembrano dover precedere l'effettivo arrivo di tutte le genti alla tenda di Sion: come se dovessimo già compiutamente vivere ciò che Dio ci ha promesso, che noi fiduciosamente attendiamo, e che già quindi viviamo nei nostri atteggiamenti interiori ed esterni.

I vers.4-8 cantano lo splendore della vicenda nuziale del popolo. L'abbandono e la solitudine sono solamente passaggi ed episodi nella grande vicenda della fedeltà di Dio, malgrado ogni nostra infedeltà. Per il Signore non c'è ripudio (ver.6); anzi sembra di dover capire che all'abbandono per i nostri peccati segue un amore più grande per noi da parte sua (ver.7).

Bisogna ormai prendere atto che la sua misericordia è "per sempre". Il ricordo del diluvio e della promessa divina sul non ripetersi di quell'evento è qui richiamato per garantire che non si adirerà più con noi: questo si compirà nell'alleanza nuova e eterna nel Sangue di Gesù.

Is 54, 11-17

1) Le prime tre parole del v 11 esprimono la condizione di povertà, di devastazione e di sconforto (= assenza di consolazione) in cui si trova la città di Gerusalemme, simbolo del popolo eletto.

2) Diversamente dall'operosità a cui Gerusalemme madre era invitata nei vv 2-3, ora è Dio che agisce (vv 12-13). Il suo intervento è ordinato, mira ad una costruzione solida dalle fondamenta, adornata di pietre belle e preziose. Tutte queste attenzioni che riguardano ciò che non appare (le fondamenta) e ciò che appare (gli ornamenti) saranno riprese alla fine della Bibbia per descrivere la città santa, la Gerusalemme celeste, che appunto discente da Dio ed è da Lui preparata, adornata, abbellita.

3) Al v 13 la pace (CEI prosperità) è connessa alla possibilità per i figli di Gerusalemme di essere istruiti da Dio. Questo v viene ripreso in Gv 6, 45: Gesù dice che i suoi discepoli in realtà vanno da lui perché hanno ascoltato da presso il Padre e hanno imparato da lui. Per Gesù, i suoi discepoli sono anzitutto delle persone che il Padre stesso gli ha preparato e inviato. Per Is 54, 13, invece, si diventa discepoli, cioè si viene ammaestrati da Dio, nella misura in cui si appartiene all'insieme dei figli di Gerusalemme. Come dirà san Giovanni nella sua prima lettera, si insiste qui sull'appartenenza alla comunità, i cui membri, in effetti, divengono figli da Dio, sono da lui generati, e quindi sono e debbono sempre stare attaccati alla comunità, senza lasciarla mai e senza dividersi con sentimenti di odio. Perciò il v 13 ci invita a stare uniti alla comunità dei figli della Chiesa perché, nella misura corrispondente a questa appartenenza, saremo ammaestrati da Dio stesso.

4) Il v 15, almeno nelle versioni antiche, parla del fatto che in Gerusalemme troveranno rifugio e sicurezza anche stranieri, forestieri, più o meno simpatizzanti dei giudei (i proseliti).

5) Il v 16 dice che l'uomo sia nella sua dimensione positiva (il fabbro) sia in quella negativa (il distruttore) provengono da Dio, come era stato già detto che da Dio proviene il bene e il male. Costruzione e distruzione sono dentro ad un piano misterioso che ci rimanda, secondo la fede, alla provvidenza di Dio.

6) Nel giudizio i servi del Signore non devono temere perché ogni strumento di violenza non raggiungerà il suo scopo (v 17). Come anche assicura Gesù nel brano del Vangelo di oggi (Lc 21, 15) ogni lingua maledica sarà vinta dalla lingua e dalla sapienza che vengono da Dio.

7) L'eredità dei servi del Signore (v 17) è nelle mani di Dio che parla a Israele (Oracolo del Signore) e che fonda Israele sulla giustizia (v 14).

Is 55, 1-5

Oggi c'è un invito molto forte del Signore per noi tutti, che siamo assetati e senza denaro! Ci offre vino e latte in abbondanza senza pagare nulla! Completamente gratis, bisogna solo accettare l'invito! Ricorda molto alcune parabole del NT.

E' molto bello anche il "mangiare" e l'ascoltare: il banchetto a cui siamo invitati è il banchetto della parola di Dio che ci da la vita e ci rigenera ogni giorno. Bisogna fare molta attenzione a non spendere denaro, temo energie per quello che pane non è e sceglierci invece la "parte migliore"!

C'è un parallelismo con la prima tentazione del diavolo di ieri (1 di quaresima) a Gesù affamato dopo i quaranta giorni nel deserto.

Lo spendere per ciò che non è pane ricorda la vicenda del figlio giovane che chiede al padre la sua parte di eredità e esce di casa. Sperpera il denaro e si ritrova affamato e solo!

Il patto che Dio stabilisce con Davide coincide con le misericordie (in italiano i "favori"). Il patto cioè è tutto pendente dalla parte di Dio che tutto da, tutto regala... v.4 "principe e sovrano sulle genti". Si può anche tradurre "colui che sta davanti colui che da i precetti PER le genti" cioè a favore delle genti, al servizio delle genti. Il suo carattere di "convocatore" di "missionario" è dato proprio dal fatto che ha ricevuto e riceve tutto da Dio, lui non ha niente, assetato e povero direbbe il v. 1. Solo così è davvero efficace e vero.

Is 55, 6-13

La ricerca e l'invocazione del Signore, così come l'abbandono di strade sbagliate, si compiono in condizioni di totale favore, perché in questo tempo il Signore si fa trovare, è vicino. A proposito dell'espressione "largamente perdona" la bibbia della TOB fa notare che il verbo è di grande rilievo e usato solo qui in Isaia.( vers.6-7).

I vers.8-11 hanno il compito di sviluppare e approfondire tale affermazione. La lontananza tra cielo e terra serve a ricordare quanto i pensieri e le vie del Signore siano lontani dai nostri.

(vers.8-9). Ma i versetti 10-11 sviluppano una conseguenza imprevedibile e meravigliosa: la distanza tra cielo e terra non è solo ne tanto per dire appunto una lontananza, ma per proclamare con più forza la meraviglia del "viaggio" della misericordia di Dio che si piega sul deserto della nostra vita e lo fa fiorire; l'efficacia della pioggia significa la fecondità assoluta della Parola di Dio. La "distanza" della prima immagine enfatizza la "vicinanza" della seconda.

I versetti 12 e 13 non sono separati dal nostro brano, come suggerirebbe qualche edizione della bibbia, ma al contrario sono intimamente connessi con quanto precede, perché la partenza dall'esilio verso la Terra Santa è appunto il compiersi di quanto le belle immagini descritte avevano annunciato.

Is 56, 1-8

Il brano di oggi proclama in pienezza l'accesso di tutti i popoli all'eredità di Israele.

Vengono prese in considerazione particolare due condizioni, lo straniero e l'eunuco. Di per sé, entrambi queste situazioni patiscono esclusione: ma proprio in questo si rivela il mistero e la meraviglia della Parola di Dio. Come ieri la "lontananza"(tra cielo e terra, tra i pensieri di Dio e i nostri) si rivelava come orizzonte del farsi prossimo a noi di Dio con la sua misericordia (immagine della pioggia e della neve e della loro capacità di far fiorire), oggi la legge, pensate, la legge, che sembra essere sempre elemento di giudizio e quindi di esclusione, diventa oggi occasione di invito, di accoglienza e di consolazione. Pensate: le qualifiche che sentenziano l'esclusione fioriscono sulle labbra di Dio come luoghi di elezione d'amore, di predilezione ( più dei figli e delle figlie ).

"un posto e un nome" suonano in ebraico "Jad wa Shem",: chi è stato a Gerusalemme sa che questo è il nome del luogo che ricorda lo sterminio degli ebrei da parte del nazismo: questi perduti hanno presso Dio "un posto e un nome".

Is 56, 9 - 57, 2

Ieri il Signore diceva ad eunuchi e stranieri, che si sentivano fuori dalla benedizione di Dio, che la loro fedeltà, il loro custodire il sabato, il loro non profanare il sabato, il loro essere servi amanti del nome del Signore, era così gradito che avrebbero ricevuto nella casa di Dio un posto privilegiato!

Oggi al contrario c'è una grande ammonizione per i "guardiani" (del gregge?, del popolo?, della legge?) irresponsabili, che non vedono, che sono ciechi, che amano sonnecchiare e appisolarsi, che seguono i loro interessi e le loro passioni. E' una grande ammonizione anche per noi, per la nostra superficialità, la nostra poca fedeltà al Signore e alla sua parola.

Le conseguenze di questo atteggiamento sono drammatiche: il giusto perisce! Il giusto, il pio (lett. l'uomo della misericordia) viene tolto di mezzo, ucciso senza che NESSUNO se ne accorga! Vengono in mente molti parallelismi con il NT, la vicenda di Gesù...

D'altro canto è molto consolante venire a sapere che egli non è dimenticato da Dio: v.12 "entra nella pace". Il Signore guarda alla piccola, umile nostra fedeltà e la ricompensa con la pace della domenica di pasqua!

Is 57, 3-13

Oggi sentiamo un lungo discorso del Signore sulla nostra IDOLATRIA, vista come infedeltà, adulterio alle nozze ricche e bellissime con il Signore. Ci aiutano anche le altre letture: 2Cor11,1-6 Paolo provando per i Corinti una gelosia divina vuole presentarli al Signore Gesù come vergine casta e l'annuncio, l'ascolto del Vangelo è lo spazio in cui avviene l'incontro tra Gesù e la sua Sposa, La chiesa. Lc 22,1-6 l'accordo tra Giuda e i sommi sacerdoti per la consegna di Gesù, tradito quindi e venduto per 30 denari.

Il testo di oggi è severo: mette ognuno davanti alla responsabilità della propria scelta: dove ci collochiamo? Che eredità scegliamo? Due sono le possibili conseguenze (eredità) al nostro comportamento: 1) v.5 Se mi corico sotto i terebinti, per "spasimare", immolare bambini allora l'eredità saranno le pietre levigate del torrente. 2) Chi confida nel Signore, si ricorda di lui, hai timore di lui allora possederà la terra (non solo nel futuro ma anche adesso nel presente) erediterà il monte santo.

v.8 Il Signore osserva che abbiamo messo l'emblema - cioè più letteralmente RICORDO, MEMORIALE - dietro la porta, "appeso al chiodo", dimenticato. Per questo il Signore ci propone e ci offre la messa, la liturgia semplice e profonda di Gesù: "fate questo in memoria di me".

v.10 Dio nota che la sposa "nelle sue vie" si è stancata, affaticata... poiché l'idolatria e l'infedeltà non è fonte di pace! Purtroppo è una schiavitù dalla quale non si ha la forza di uscire: "non hai detto: è inutile". Ma il Signore (v.1) nonostante sappia tutto, chiama i suoi, li invita ad andare a lui, con molta dolcezza manifesta il suo desiderio di riabbracciarli: v.11 "Non sono io che uso pazienza e chiudo un occhio?". L'ebraico dice al posto di "ho pazienza" "sto in silenzio" e il greco "guarda oltre, guarda ma non vede"... il suo amore è proprio divino: supera tutte le possibili infedeltà del SUO popolo, come dice S.Paolo nella sua 1Cor 13 nell'inno alla carità.

Is 57, 14-21

Tutte le parole del testo di oggi sono bellissime, per cui è difficile scegliere quali sottolineare!

v. 14 ricorda la predicazione di Giovanni Battista quando preparava la venuta del Messia. Anche nel Vangelo di oggi (Lc 22,7-13) ci sono due "preparatori": i due discepoli mandati da Gesù a preparare la stanza per la Pasqua.

dal v. 15 al 19 c'è un discorso diretto del Signore che a cuore aperto ci comunica ancora una volta il suo grandissimo desiderio di ritrovare i suo popolo, ritrovare il rapporto d'amore con lui. Egli abita in un luogo eccelso e santo (irraggiungibile?) ma ANCHE con gli oppressi e gli umiliati!!! Lui sta con i piccoli, i poveri, nonostante abbia la "residenza" in luoghi santissimi! E' molto bello questo apparente contrasto. E' un ammonimento al nostro orgoglio e alla nostra superbia che ci allontana dalla piccolezza di Dio.

Questi afflitti e oppressi sono visti dal Signore come AMMALATI bisognosi di guarire (V.15, 18, 19) e non come peccatori colpevoli da accusare e punire. Per loro il Signore fa fiorire il dono della pace! (v.19) Per gli empi invece (coloro che non accettano questo guarigione, rifiutano le braccia tese di Dio, ciechi che dicono di vedere, con travi negli occhi che vogliono togliere le pagliuzze....) non c'è la pace (v.21).

nei v.17-18 è descritto con molta vitalità e attualità il rapporto tra Dio e il suo popolo: di fronte all'ira, al rimprovero di Dio 'uomo se n'è andato! Dio s'è nascosto e l'uomo ha percorso vie diverse, ha cominciato a vagabondare "nel suo cuore". Dio sembra colpito da questo e vuole correre ai riparti per recuperarlo, per sanarlo, guarirlo, "riempirolo di consolazioni".

Is 58, 1-7

"Grida a squarciagola!". A chi è rivolto? Al servo del Signore? Sembra in contrasto con quanto abbiamo sentito nei cap. precedenti in cui il servo del Signore è stato presentato come uno che non alza la voce, non spegne il lucignolo dalla fiamma smorta... Forse il popolo con cui aveva a che fare "quel" servo era un popolo misero, povero, affranto. Il popolo di oggi invece appare molto forte sicuro di sé anche e soprattutto nella pratica religiosa, nel "cercare Dio", nel cercare la sua vicinanza. E' come quel fariseo del Vangelo che forte della sua situazione pregava Dio incensando se stesso. Anzi è così forte che DIGIUNA davvero, si mortifica, sfidando Dio ad una risposta un cenno di assenso e di stima, e in più è litigioso e maltratta i piccoli. Il suo è un digiuno sterile, lontanissimo da quello che vuole Dio. Il Signore ha a cuore le relazioni tra le persone, e quindi tiene soprattutto alla Carità, al soccorso alla liberazione dai giochi e dai legami. Sono bellissimi i v. 6-7.

Is 58, 8-14

Nel brano di oggi, meraviglioso come sempre ( ma ogni giorno sembra più bello! ), ci sono dei "se" (vers.9,10,13) , e degli "allora" (vers.8,9,10,14). I "se", cioè le condizioni sono in due direzioni: la misericordia, sia come perdono sia come carità, ai vers.9 e 10; gli "allora", cioè il frutto e la conseguenza, saranno lo splendore di una vita nuova, amata da Dio e da Lui soccorsa, come dice ai vers.8,9,11, e 12, e la "delizia" "sabbatica" della comunione nuziale con il nostro Signore.

Al ver.8 mi colpisce la ricca presenza del "tuo" e del "te", come una attribuzione a ciascuno di noi delle sue ferite e debolezze, ma sanate e soccorse da Dio, e della luce e della giustizia di Dio, ma ormai donate a noi e quindi "nostre".

Il vero, unico riparo per i nostri peccati sta nella misericordia, alla quale viene attribuito qui un senso meravigliosamente pasquale,

"allora brillerà fra le tenebre la tua luce"(ver.10), e tutta la nostra vita diventa l'incontro affettuoso tra la nostra piccolezza e la sua bontà; e tutto questo con l'incontro tra immagini contrapposte: invocare e rispondere (ver.9), terreni aridi e giardino irrigato (ver.11),

rovine e ricostruzione (ver.12).

Il sabato è il doveroso tempo e spazio in cui gustare e vedere quanto è buono il Signore.

Is 59, 1-15

La preghiera e il commento insieme mi portano a proporvi il ver.1 come "titolo" di tutto questo capitolo, tendente a dimostrare appunto che la nostra vicenda di peccato non impedisce l'azione salvifica di Dio.

Il "ma" del ver.2 segue la versione latina e quella greca; l'ebraico ha all'inizio del versetto un "perché", come se appunto dovesse spiegare che sono le divisioni tra noi e Lui provocate dalla nostra infedeltà a consegnarci ad un'esperienza di "non ascolto" da parte del Signore. Notate che nel testo originale i versetti 1 e 2 terminano con la stessa identica parola: "Da non ascoltare". ma mentre al ver.1 è per dire che la potenza di Dio non è tanto corta "da non ascoltare", al ver.2 attribuisce ai nostri peccati questa situazione di Dio del suo "non ascoltare".

C'è una progressione nel testo attraverso il mutare del soggetto dei diversi versetti. Quando al ver.9 si arriva al "noi", si è ormai passati dalla considerazione del male che abbiamo fatto alla vicenda dolorosa che per questo motivo siamo costretti a vivere. Sarà questo a muovere la compassione di Dio. Notate infine il passaggio breve e stupendo del ver.12, che con quel "davanti a Te" fuggevolmente ma con certezza ci avverte che malgrado tutto queste parole sono ascoltate e dette davanti a Dio; e quindi nella preghiera: e quindi in un vincolo non spezzato, malgrado la difficoltà.

Is 59, 16-21

v.17 E' descritta una vestizione solenne di Dio, che anticipa altre vestizioni che vedremo nei prossimi gg. (Is 63). Il Signore, di fronte ad popolo nel quale nessuno segue più il diritto, la verità, interviene direttamente! E si veste di giustizia, di salvezza, vendetta e zelo. Questo v. è ripreso diverse volte nel NT (Ef 6,14-17), e ci ricollega in modo molto forte alla trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, di domenica scorsa. Le vesti candide di Gesù sono le vesti della lotta che egli combatterà a Gerusalemme nei giorni della Pasqua. E' attraverso Gesù che Dio interviene sulla terra per portare la salvezza e la giustizia a tutte le genti!

v.21 ricorda ancora le letture di domenica scorsa: Gn 15 ci parlava dell'Alleanza tra Dio ed Abramo, a quale Dio prometteva discendenza e terra. Anche nel v.21 si parla di Alleanza, un'alleanza spirituale per la quale Dio promette il suo Spirito e le sue parole! ("questo è il figlio mio l'eletto, ascoltatelo"). Leggendo l'ebraico con una vocalizzazione diversa si può intendere LA MIA PAROLA invece che "le parole". Allora il v.21 ci da un'immagine trinitaria: Dio Padre che promette lo Spirito e la Parola, il Verbo fatto carne, Gesù.

Dio nella sua pienezza trinitaria può con grande forza vincere la nostra lontananza da Lui il nostro peccato (Cf. testo di ieri).

Is 60, 1-9

1) Il passo è un invito rivolto a Gerusalemme, la città simbolica di Israele, il popolo eletto di Dio, ad accogliere una luce che non le appartiene ma che le viene donata, una luce che non parte da se stessa ma da Dio, una luce che non viene dal basso ma dall'alto.

2) Israele partecipa delle tenebre in cui vivono tutte le nazioni della terra, ma diventa diversa a motivo della gloria del Signore che "si alza", "sorge" (questo verbo è tradotto dalla CEI "brilla" al v 1, "risplende" al v 2, "sorgere" al v 3) sopra di lei ("sopra" si trova al v 1 e al v 2, dove è tradotto "su"). Nello stesso modo si diceva ieri "Il mio spirito è sopra di te" (Is 59, 21) per indicare il primo termine dell'alleanza di Dio con Israele.

3) Il dono della luce su Israele produce un grande movimento: di Israele stesso che si alza (v 3) e che alza gli occhi (v 4a), dei figli di Israele che tornano in patria dalle loro dispersioni e lontananza (v 4b), delle ricchezze e dei beni delle genti della terra (v 5). Tali ricchezze sono cose preziose, animali, oro, incenso, navi, argento (vv 5-9), ma sono ancora soprattutto gli stessi figli di Israele che i popoli riportano indietro alla terra d'Israele, dalla quale, per il loro peccato, si erano allontanati.

4) I "montoni dei Nabatei" (v 7), offerta gradita e spontanea, rappresentano i popoli del mondo e noi stessi, che ogni giorno uniamo all'offerta del Figlio di Dio l'umile offerta di noi stessi.

Is 60, 10-14

C'è un concorso di ogni elemento che è sotto il cielo alla bellezza e alla gloria del tempio e della città che lo contiene: animali (dromedari, greggi, montoni - vedi testo di ieri), frutti del lavoro e opere dell'ingegno umano (navi), figli dispersi, popoli stranieri, alberi (cipressi, olmi e abeti - quelli che il "servo" aveva piantato nel deserto

Is 41,19). E' una bellissima immagine della liturgia, del mistero della messa "nella quale è tutto: tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazia e la redenzione: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione ed ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno" (Piccola Regola 2/17). Siamo chiamati come figli di stranieri a orientare lì il nostro servizio (v.10,12), portare lì le nostre ricchezze, i frutti del nostro lavoro...

Colpisce l'apertura senza riserve, senza ostacoli, senza "porte" della città a tutti e a tutto.

C'è una forte sottolineatura del carattere di SERVIZIO rivestito dagli stranieri (cioè noi) che vengono e si radunano intorno al tempio e alla città che lo contiene. Servizio, sottomissione, umiltà davanti al popolo eletto che paradossalmente è molto più piccolo, più debole di tutte la "altre" genti, eppure... Dio rivela sempre la sua sorprendente originalità volendo rovesciare le situazioni che nel mondo sembrerebbero sicure (vedi per esempio la predilezione di Giacobbe invece che Esaù, o il Magnificat di Maria...). Rovescia sempre a favore dei suoi piccoli! Gesù di Nazaret ad adempiuto e rivelato pienamente questo disegno di Dio.

Ma anche Dio è cambiato: v.10 "nella mia ira ti ho colpito, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te".

 

Is 60, 15-18

Oggi viene dato un nome nuovo a tutte le realtà che circondano la città del Signore: non ci sarà un re, ma sovrano sarà la PACE; non ci sarà un governante perché governerà la GIUSTIZIA (come Giuseppe, santo sposo di Maria che oggi veneriamo che governava con giustizia la sua famiglia, non una giustizia che deriva dalla legge, ma dalla fede e dallo Spirito); il muro sarà la SALVEZZA, i battenti e le porte GLORIA! Anche noi siamo chiamati a vivere, poiché battezzati, in questa grazia: abbiamo un nome nuovo e con noi tutta la realtà intorno a noi.

v.16 "succhierai il latte dei popoli..." conferma dei vv. precedenti in cui Dio stabiliva il primato di Israele, popolo eletto sugli altri popoli per la quale tutte le ricchezze, i potenti si sottomettono a lui.

v.17"Costituirò tuo sovrano la pace". La Vulg. dice "porrò tua visitazione la pace" cioè tutte le volte che la città viene visitata (da Dio, il suo sposo, ma anche dai popoli) allora avviene, si realizza, nasce la PACE!

Is 60, 19-22

Il libro della Genesi (1,18) racconta che Dio ha creato il sole e la luna per illuminare la terra e per regolare il giorno e la notte, vide anche che era cosa buona! Il nostro testo annuncia il superamento - compimento della prima creazione quando Dio stesso sarà la luce e lo splendore della terra, prenderà il loro posto (pensate all'importanza del sole e della luna per l'umanità!), non rimarrà che lui!

E' bello notare come le parole di oggi siano dirette a noi anzi a ognuno di noi: "Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna". Il libro dell'Apocalisse - che riprende molti versetti di oggi - parlerà alla 3 persona plurale. Il Signore viene proprio in nostro soccorso, visita con grande forza le nostre tenebre e promette di non tramontare mai, di non dileguarsi, ma di restare con noi e per noi per sempre.

Ricordiamo come è iniziato il capitolo "rivestiti di luce, viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te... Le tenebre ricoprono la terra... ma su di te risplende il Signore... " Oggi non si parla nemmeno di ombre, ne di popoli esclusi, tutto è compreso nella luce e nello splendore del Signore.

Anche il popolo sarà "perfetto": "Il tuo popolo sarà tutto di giusti" (pensate a tutti i passi biblici che ci ricordano il nostro peccato o ancora di più che non c'è nessun giusto sulla terra...). Le piantagioni del Signore, agricoltore molto capace (perfino di far fruttare un fico sterile), sarà dono per il popolo!

Quando tutto questo succederà? Fin dall'inizio il popolo eletto ne ha gustato delle anticipazioni (esodo dall'Egitto, ritorno dall'esilio, regno di Davide, ecc.) con Gesù ne è avvenuto il compimento ("io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita" Gv 8), oggi noi proviamo a viverlo nonostante il nostro peccato, specialmente nella messa, mentre camminiamo verso il Regno dei Cieli dove pienamente contempleremo la sua luce e avremo la sua pace e la sua gioia senza fine.

Is 61, 1-4

La continuità del cap. 61 rispetto al cap. 60 appena concluso suggerisce che il soggetto del v.1 sia ancora Gerusalemme; è su di lei che si posa lo spirito del Signore, è lei che il Signore consacra con l'unzione. Questa lettura conferisce al testo di oggi un carattere più dolce, materno, semplice: la città dalle porte sempre aperte a tutti, nella quale regna la pace e la luce eterna del Signore ha la "missione" di consolare, accogliere, liberare l'umanità dalle sue prigionie.

Il v.1 potremmo leggerlo così: "SICCOME il Signore mi ha consacrato con l'unzione allora lo spirito del Signore Dio è su di me " per sapere che attraverso un gesto concreto di Dio - la consacrazione - riceviamo il suo Spirito.

v.2 Fa impressione il contrasto tra i tempi di Dio della vendetta ("ricompensa") e della misericordia: 1 giorno contro 1 anno (che forse vuol dire "per sempre")!

Rispetto al Magnificat, dove è cantato il rovesciamento delle condizioni degli uomini sia in positivo che in negativo - gli affamati vengono ricolmati di beni ma anche i potenti vengono rovesciati dai troni, i ricchi rimandati a mani vuote - il profeta Isaia sembra mostrare che l'afflizione, la miseria, i cuori spezzati è comune a tutti gli uomini, nessuno escluso.

Per tutti è annunciata gioia e letizia! v. "lieto annuncio" v. 3 "allietare", "olio di letizia" "canto di lode"...

v.4 Gli afflitti consolati, gli schiavi liberati saranno i principali protagonisti della "ricostruzione". Dovranno ricambiare il dono ricevuto e trasmetterlo agli altri, come ci insegna Gesù nella parabola del Samaritano ("va e fai altrettanto"). Anche la seconda lettura di oggi (2Cor13,5-10) parla di ricostruzione: "non son venuto a distruggere ma ad edificare" (e questo dovrebbe essere vero per tutti noi come cristiani: non distruggere niente, nemmeno il male, ma costruire...). Il frutto di questa edificazione è che i Corinti diventano "forti" e ricchi mentre Paolo, da forte diventa povero e debole.

Is 61, 5-9

Il nostro brano mette in evidenza il nuovo rapporto che si stabilisce tra Israele e i popoli per la grande opera compiuta dall'eletto di Dio di cui si diceva ieri. Israele porta il compito e la responsabilità del culto a Dio, anche in relazione a questi stessi popoli. E i popoli lavorano, operano, anche a favore di Israele. Anzi, Israele sembra vivere di rendita per l'operosità delle genti. Tutto ciò è presentato come la giustizia di Dio. E' per tutto quello che il popolo ha patito: sembra adombrare profeticamente il rapporto tra la chiesa e le genti. Tale relazione tra Israele e le genti non ha niente della violenza delle relazioni di potere mondano, ma si presenta come un grande, reciproco riconoscimento positivo, l'esito finale della storia.

Is 61, 10 - 62, 5

1) Il testo si compone di due parti: nella prima (61, 10-11) continua a parlare, come in tutto il cap. 61, la città di Gerusalemme che rappresenta Israele, il popolo eletto, la sposa di Dio; nella seconda (62, 1-5) si sente una voce, probabilmente quella del profeta, in ogni caso di un messaggero di lieti annunzi che porta a Gerusalemme la buona notizia della giustizia e della salvezza del Signore che le sono date in dono.

2) Al v 10a la salvezza e la giustizia presentate come vesti e manto suggeriscono l'idea di una certa precarietà della condizione di chi viene rivestito, il quale permane in una qualche esperienza della sua propria nudità e povertà, che vengono infatti ricoperte per l'intervento misericordioso di Dio. Le immagini ricordano la coperta con la quale viene protetta la nudità di Noè ubriaco (cf Gen 9).

3) Al v 10b la scena della copertura è guardata dalla parte maschile e dalla parte femminile. Chi viene ricoperto da Dio è allo stesso tempo sposo e sposa, maschio e femmina. L'idea rimanda a quanto dice san Paolo a proposito di Cristo e della Chiesa, che formano un solo soggetto (che a Bologna viene insistentemente chiamato il Christus totus): Cristo capo e la Chiesa membra sono inseparabili.

4) Al v 11 la giustizia e la lode che germogliano davanti a tutti i popoli possono indicare che Israele ricevendo la giustizia di Dio lo loda oppure che i popoli, vedendo che Israele è giusto loda Dio, oppure che gli stessi popoli esperimentano, come Israele, che anch'essi possono ricevere la giustizia di Dio e lodarlo. In ogni caso è evidente che la giustizia e la lode sono prodotte da Dio: è lui che opera, agisce, porta alla giustizia e alla lode. Anche san Paolo, nella seconda lettura, spiega che la comunione nel Vangelo, per la quale lui prega ringraziando Dio, deve crescere: "sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Fil 1, 6).

5) Il v 1 dice che la parola profetica ha una funzione temporale, nel senso che prepara l'uscita del giusto e del salvatore (come li chiama la traduzione latina). In pratica la parola serve come precursore del Verbo. In questa luce, nel brano del Vangelo, Erode, che prima ha sentito molte parole intorno a Gesù, quando si trova finalmente di fronte a lui non riceve più alcuna parola. Gesù tace, sta zitto, non ha più niente da dire perché lui è la parola incarnata, il giudizio di Dio stesso su Erode (cf Lc 23, 9).

6) Al v 5 le parole "ti sposerà il tuo architetto" sono molto belle e affascinanti, ma purtroppo non fanno parte del profeta Isaia. Come la nota della Bibbia di Gerusalemme avverte giustamente, si tratta di una "congettura", cioè di un'ipotesi, che in questo caso è abbastanza fantasiosa. Il testo, come ancora la nota dice, afferma: "i tuoi figli ti sposeranno". Si sta parlando ancora una volta del ritorno degli ebrei esiliati da Babilonia a Gerusalemme: quando saranno arrivati avranno trovato la sposa - che in questo caso è anche la loro madre (cf Is 54) - che li accoglie; allora Dio stesso ne sarà contento e gioirà "su" Gerusalemme come uno sposo gioisce "sulla" sposa.

Is 62, 6-12

v. 6 le sentinelle non devono mai tacere! (in genere le sentinelle stanno zitte, controllano la situazione e in caso di pericolo chiamano). Non devono mai riposare e soprattutto non devono mai far riposare Dio!!! Devono tenerlo sveglio, disturbarlo, rammentandogli le promesse fatte. Le sentinelle stanno sulle mura di Gerusalemme, figura ancora una volta della umanità ferita e bisognosa di protezione. Queste sentinelle quindi sono uomini di preghiera che sempre incessantemente si rivolgono a Dio per ricordargli (attraverso la salmodia per esempio) le promesse e le parole che Lui stesso ha fatto e detto.

v. 10-12 Vengono elencate le azioni, in ordine di importanza, che servono per preparare l'avvento del Salvatore, dal Messia: entrare nella città, spianare la via per l'ingresso degli altri popoli (Cf. Mt 23,13 quando Gesù rimprovera i farisei e gli scribi di non voler entrare nel Regno dei cieli e così di impedire anche agli altri l'ingresso...), eliminare ostacoli e inciampi dalla via (Cf. Is 40 e nel NT Giovanni Battista che prepara l'arrivo di Gesù), innalzare il vessillo cioè un segno che fa conoscere a tutti l'elezione di Israele davanti a Dio affinché anch'essi intraprendano la via verso la salvezza.

Is 63, 1-6

E' un testo che la grande tradizione cristiana e la liturgia della Pasqua hanno fin dall'antichità riferito alla passione e alla gloria del Signore.

Soprattutto sono molto forti le immagini dell'abito tinto di rosso (vers.1;2;3), peraltro osservato in una prospettiva di grande bellezza (ver.1), e la sottolineatura della "solitudine" nella quale questo personaggio compie la sua opera (vers.3;5).

Al ver.1, quando il nostro testo dice "avanza nella pienezza della sua forza", in realtà il testo originale dice che "si piega nella pienezza della sua forza".

Al ver.6, dove dice "li stritolai con ira", letteralmente dice "mi inebriai nella mia ira".

Possiamo infine notare quanto sia importante questo andamento "dialogico" con domande e risposte, che ci accompagnerà nel seguito di questo capitolo. Di fatto sempre la Santa Scrittura ci viene incontro con queste domande "chi è?" e "perché?", interrogativi convergenti nell'unica grande risposta intorno al Cristo di Dio. Io credo che questo dato per noi così forte in tutta la Scrittura, sia in realtà presente in ogni aspetto dell'esistenza, perché tutto si pone come domanda verso Gesù Cristo.

Is 63, 7-14

Nel testo di oggi è molto presente la parola RICORDO, che si può vedere in due prospettive:

1) il ricordo da parte del popolo delle azioni straordinarie di Dio per lui. Da questo ricordo consegue una conversione, un ritorno del popolo al Signore, conquistato dalla bontà senza fine di Dio. Perfino gli eroi come Mosè in questo ricordo vengono visti "salvati", guidati, riempiti di Spirito da Dio stesso! Così è anche Gesù che ci ha insegnato ad essere totalmente aperti alla bontà di Dio, Padre da cui tutto ricevere.

2) Al v.11 quando dice "Allora si ricordarono dei giorni antichi..." si dovrebbe propriamente tradurre al singolare "Allora si ricordò dei giorni antichi...". Dio è il soggetto! Nel cammino della storia del uomo Egli interviene, partecipa, si mescola ma non come un despota onnipotente, ma bensì come uno che ha fiducia (v.8 disse: "Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno"), aiuta, sostiene, libera, ma anche viene tradito ("ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito") si rattrista, diventa nemico...finché appunto RICORDA i giorni antichi, le sue opere di misericordia e così ricomincia a guidare il popolo. Quello di Dio e il suo popolo è un cammino travagliato, che però vede sempre "vincitore" il Dio della piccolezza e dell'amore ("Egli ci trattò secondo il suo amore, secondo la grandezza della sua misericordia").

Is 63, 15 - 64, 3

v. 15 nel testo originale e nelle versioni non c'è scritto "Non forzarti all'insensibilità". Il testo ebraico direbbe circa così: "il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia.. verso di me si sforzeranno" mentre il greco "dov'è l'abbondanza della tua misericordia... poiché ti sei ritirato da noi, Signore?".

Vengono fatte al Signore domande forti , provocatorie, che lo inducano a ad assumere la paternità di chi sta parlando (potremmo dire anche "di chi sta pregando"). Al v.17 per esempio si "accusa" il Signore di essere il responsabile della durezza del cuore e quindi della mancanza di timore per lui!

v.19 "Siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato, sui quali il tuo nome non è stato mai invocato": pensiamo al testo di ieri che parlava del ricordo delle azioni di Dio per il suo popolo, della storia vista tutta come guidata da Dio! Anche qui la provocazione vuole costringere Dio ad aprire i cieli e scendere sulla terra, profezia dell'incarnazione del Verbo.

Is 64, 4-11

Continua il tema della preghiera visto ieri; oggi non si parla di avversari e nemici ma del peccato, dell'iniquità (parola molto ripetuta) del popolo. Il peccato è la vera causa dei mali, della devastazione, della distruzione in cui si trova Israele e la sua città. Vedi per es. il v.5 "Siamo divenuti tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento" e v. 9-10 "Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte".

Il ravvivarsi della preghiera permette di ritrovare il rapporto di comunione con il Signore. v 6 " Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità".

Il profeta è perfettamente consapevole che "autonomamente" non riuscirà mai a risollevarsi; solo l'intervento di Dio potrà tirarlo fuori (essendo anche velatamente il "responsabile" di questa situazione). Colpisce il v.11 un po' il riassunto di questo capitolo: "Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai sino in fondo?"

Occorre fare attenzione a ricordare i nostri peccati: non con violenza, protesta, nei confronti di Dio. Così si manifesta pienamente la nostra fragilità e la nostra lontananza. v6 "ci hai messo in balìa della nostra iniquità" lett. "ci hai fatto rammollire nella mano della nostra iniquità". A questa nostra mano si contrappone la MANO creatrice di Dio v.7 "noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani".

Ancora più importante è il ricordo che Dio deve avere di NOI e non dei nostri peccati! v.8 "Signore, non adirarti troppo, non ricordarti per sempre dell'iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo." Il vangelo di oggi ci parla del dialogo sul calvario tra Gesù crocifisso e il ladrone crocifisso "Ricordati di ME quando sarai nel tuo regno" " in verità ti dico oggi sarai con me in paradiso".

La speranza di oggi potrà essere quindi chiedere al Signore di ricordarsi di NOI e non dei nostri peccati e anche noi dei nostri fratelli non dovremo ricordare i peccati ma le persone.

Is 65, 1-7

Dal cap. 63 abbiamo visto come il nostro profeta Isaia parli della preghiera dell'uomo verso Dio, a volte provocatoria... Oggi abbiamo il punto di vista di Dio: le sue parole sono una severa e realistica descrizione del cuore degli uomini, che, prigionieri delle tenebre e della morte: "abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi". nel v.2 il testo dove l'italiano dice "seguono i loro capricci" più propriamente sarebbe "seguono i loro pensieri": senza quindi un carattere negativo di ciò che si segue, negativo è il seguire, l'andare dietro alle preoccupazioni i progetti, le idee che ci prendono la testa e ci fanno dimenticare Dio e i suoi appelli.

All'uomo non riesce di cercare Dio, istintivamente resta indifferente alla ricerca, non risponde ai suoi appelli. I versetti a ben vedere descrivono in successione il progressivo allontanamento dell'uomo da Dio e la sua immersione nel male: sacrifici idolatrici, nascondimenti nei sepolcri, cibi immondi... fino a cacciare indietro Dio (v.5 "Sta' lontano! Non accostarti a me").

Ma sorprendentemente è ancora una volta Dio stesso a fermare questa spirale di male: lui ci viene a cercare, lui si fa trovare anche se nessuno lo cerca, lui tende la mano, lui ci dice "Eccomi, Eccomi!" (v. 1-2) e supera l'abisso che ci separa da lui, che noi stessi abbiamo scavato. Molti testi del NT confermano questa posizione: la chiamata dei primi discepoli (tranquilli pescatori o esattori delle tasse), la samaritana, l'indemoniato di Mc 5 (ha molte analogie con il testo di oggi: repulsione a Gesù, sepolcri, suini,...).

Pietro quando si ritrova la barca piena di pesci dice a Gesù "Sta lontano da me che sono un peccatore!".

v.6 "Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me; io non tacerò finché non avrò ripagato" in ebraico è la parola "ketuvà" che si usa per il patto nuziale, lo scritto che sancisce il matrimonio. A questo patto Dio resta fedele per sempre nonostante i ripetuti tradimenti di Israele...

Is 65, 8-16

Il testo di oggi parla dei SERVI del Signore, specialmente in confronto agli idolatri, descritti al v.11 che comincia con "ma voi..." C'è quindi una sorta di confronto tra due stili di vita, che ritroviamo anche nel nuovo testamento: nelle beatitudini (Mt 5) o in Simone il fariseo (Lc 7) nel giudizio finale di Mt 25... A questo proposito il v.13-14 è un po' il compendio del testo: "Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno e voi resterete delusi; ecco, i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per la tortura dello spirito."

Is 65, 17-25

Una prima nota sul testo: v.17 "Poiché eccomi io creo nuovi cieli e nuova terra... ", e v.18 "... poiché eccomi faccio Gerusalemme gioia e mio popolo contentezza". Dio cioè si presenta in prima persona, viene in questa scena bellissima di nuova creazione. (Cfr tra qualche giorno quando anche Gesù dirà "eccomi" a quelli che lo vogliono catturare).

La nuova creazione qui annunziata sostituisce la prima che non va perfino più ricordata! La caratteristica principale di questa nuova è l'interpretazione del tempo: ora si vive nel presente, nella pienezza del presente, con la presenza del Signore avvolgente e esultante. I neonati non moriranno giovani, i vecchi andranno fino a cent'anni. La pienezza del presente riguarda anche il lavoro, le coltivazioni, le costruzioni di case, le nuove generazioni di figli...

L'avvenimento reale di questa nuova creazione si fonda nulla fede e nella speranza che sarà emergente nella domenica di Pasqua quando comincerà a diffondersi la notizia della resurrezione di Gesù, e che è propria di S. Paolo (cfr. Fil 3,1-8 seconda lettura di oggi e di domenica scorsa).

Complessivamente la creazione nuova portando la gioia ci restituisce alla comunione profonda con Dio e tra noi: viene regalata la gioia ai cieli, alla terra, a Gerusalemme, al popolo... e tutti si partecipa di questo dono insieme. Dio, che esulta a sua volta, con il popolo, i giovani e i vecchi a lungo insieme, il lupo e l' agnello il leone e il bue... Ciò che separava, il muro frammezzo ( la morte) è sparita. Dio è prontissimo a riempire ogni spazio, a riversare i suoi frutti, rispondere ad ogni appello, così pronto che... v. 24 "Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati" . I vangeli delle domeniche appena passate sono nella stessa linea (Padre-figlio perduto Lc 15, Gesù-adultera Gv8).

Is 66, 1-4

C'è una forte reminiscenza del Magnificat per due passaggi del ver.2: "volgerò lo sguardo..." e "sull'umile"

Il ver.1-2 ci ricorda Genesi 1, anche perché dove dice "ed esse sono mie", letteralmente sarebbe "ed esse furono", che ci ricorda appunto il venire all'esistenza di tutta la creazione. E' molto potente l'immagine che dice la pochezza di tale creazione di fronte all'immensità di Dio. Ma proprio per questo suona quasi ironica la domanda, peraltro retorica, del ver.2:"Su chi volgerò lo sguardo?"

perché afferma ciò che è opposto alle vicende umane, dove chi è in alto guarda ancora più in alto, contrariamente anche al Sal.130:

"..non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi,..."

Così si riconferma l'assurdo del nostro incontro "difficile" con il Signore, perché Lui che è grande cerca il piccolo, e noi nella nostra miseria cerchiamo sciocche grandezze. Nel testo di Filippesi oggi Paolo chiama gente così "nemici della Croce".

Da parte sua oggi il Vangelo dei discepoli di Emmaus si preoccupa di confermarci che anche nella gloria della sua risurrezione il Figlio di Dio non frequenta i grandi o le grandezze, ma i piccoli, con i quali entra all'osteria per rimanere con loro.

Is 66, 5-11

Il testo di oggi parte dall'invito per quelli che "venerano la parola" (stesso verbo usato ieri nell'espressione "volgerò lo sguardo... su chi TEME la mia parola" che si potrebbe tradurre "trema alla mia parola") ad ASCOLTARE. Ricordiamo che ieri invece il Signore diceva al v.4 "io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha ascoltato". Dall'ascolto tremante, stupito, aperto, delle parole del Signore nasce la fecondità, la gioia descritte nei vv. successivi.

Dio vuole rispondere all'accusa del v.5 "Mostri il Signore la sua gloria, e voi fateci vedere la vostra gioia!". La gloria del Signore (v.7-9) è nel suo intervento a far ritornare i figli dall'esilio, repentinamente, una nuova "generazione" di Sion di Figli, parto senza dolore! I figli esultano si rallegrano per l'abbondanza dei doni, dei frutti, che possono gustare dal seno di Gerusalemme (v.11). Rinati nello spirito anche noi ogni giorno veniamo rigenerati dall'ascolto della parola e dall'eucaristia e godiamo così della gioia e della pace del Signore.

Is 66, 12-17

Il versetto 14b "La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi, ma si sdegnerà contro i suoi nemici" può essere visto come il titolo delle due parti in cui si divide il testo di oggi:

1) (v.12-14) "La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi": il Signore elenca i doni che vuol dare ai SUOI SERVI: "farò scorrere la PACE (in ital. prosperità) verso di essa come un fiume". La pace è il dono più grande, la benedizione, il dono messianico che riguarda sia la pace del cuore, dello spirito ma anche la prosperità nella vita, nella famiglia... GLORIA DEI POPOLI: come abbiamo già visto nei capitoli precedenti i popoli invece che depredare riverseranno tutte le ricchezze su Gerusalemme. CONSOLAZIONE, notare che è Gerusalemme il luogo in cui si riceve la consolazione di Dio, Gerusalemme che non è certo la città degli uomini ma quella che costruiamo noi attraverso la comunione fraterna, l'amore reciproco, il sostegno dei fratelli (la chiesa). Anche nel Vangelo di oggi Gesù risorto dice che dopo aver ricevuto a Gerusalemme lo spirito santo, da Gerusalemme gli apostoli partiranno per annunciare a tutto il mondo la buona notizia. GIOIA "le ossa germoglieranno come erba fresca" vuol dire che per noi creature morte (come quelle ossa nella valle del profeta Ez) ci sarà la resurrezione!

2) (v. 14-18) "ma si sdegnerà contro I SUOI NEMICI" quelli cioè ostili al Signore, che rifiutano il dono di Dio. Ancora possiamo appplicare a noi stessi questo giudizio severo, a quella parte di noi che si allontana da Dio che si distrae, che ci porta alla solitudine.

Il Signore attraverso la sua PAROLA ci aiuta a sconfiggere, bruciare, consumare il male che è in noi per riversare i suoi belllissimi doni!

Is 66, 18-24

v. 18 E' annunciata una pentecoste anticipata ("verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue" v.18) che ristabilirà la dispersione avvenuta con la distruzione della torre di Babele.

Vengono descritte le fasi di un grande movimento di tutta la popolazione della terra:

1°) v.19 "manderò i loro superstiti alle genti" (lett. "i salvati dalle genti"). Il Signore manda come missionari a tutte le genti quei i pagani convertiti alla religione del Dio di Abramo.

2°) v.19b i missionari, i salvati sono degli annunciatori! Annunciano alle genti la gloria di Dio. Cioè quello che tutti, anche quelli che non hanno mai udito parlare del Signore, "verranno e vedranno... " è prima di tutto ANNUNCIATO Cfr. la 2° lettura di oggi (Fil 4,15-23) "al principio del vangelo nessuno apri con me un conto di dare e avere se non voi, Filippesi..." cioè anche per il rapporto di comunione tra Dio e la gente di Filippi tutto comincia con l'annuncio del vangelo da parte di un missionario...

3°) v.20 La grande convocazione a Gerusalemme: i popolo stranieri portano a Gerusalemme gli ebrei dispersi (i vostri fratelli) tra le genti, nello stesso modo con cui gli ebrei portano l'offerta al Signore nei vasi puri... E' bello il termine "fratelli" che accomuna in modo profondo e definitivo tutti gli uomini: universalità del dono e della lode nella varietà della gente. Ricorda il natale quando Maria e Giuseppe, i pastori, i magi, arrivano al salvatore ognuno per la sua strada. Nel nostro testo inoltre si dice che ognuno viene "portato", accompagnato su qualsiasi mezzo di trasporto...

4°) v.21 nuovi sacerdoti (anche i pagani anzi probabilmente possiamo aggiungere "tutti sacerdoti..") v.22 nuova creazione, v.23 nuovo culto nel quale ogni "carne" verrà ad adorare il Signore. Nuovo culto come fu "nuovo" il pregare degli apostoli nel tempio dopo la resurrezione di Gesù (cfr. vangelo di oggi Lc 24,50-53)

al v.24 ci viene ricordato che da tutto questo sono esclusi quelli che si sono ribellati al Signore per i quali rimane severo il giudizio di condanna.