Ef 1,1-4
Lunedì 5 novembre 2001
1 Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in
Éfeso, credenti in Cristo Gesù: 2 grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e
dal Signore Gesù Cristo. 3 Benedetto
sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni
benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.
4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità,
In questi pochi ma densissimi
versetti, colpisce la ripetizione continua della parola Dio, Signore e Cristo.
v.1 “apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio”, v.2 “grazia a voi e pace da
Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo”, v.3 “Benedetto sia Dio, Padre
del Signore nostro Gesù Cristo”. Siamo
quasi confusi e dobbiamo leggeere con attenzione per vedere che ognuno ha un
ruolo e un opera ben precisi. Riguardo a Dio si dice “Padre nostro”: egli è
nostro Padre poichè è “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”: poichè “crediamo
in Cristo Gesù” diventiamo suoi fratelli e quindi FIGLI.
E anche noi, a motivo di questa
sinergia tra Padre e Figlio, riceviamo
molti “aggettivi”: santi, credenti, benedetti , scelti, santi e immacolati...
speriamo di poter essere illumminati dallo Spirito Santo per comprendere queste
meraviglie.
Mi fermo qui. Stasera a messa
avremo più spunti di riflessione!
Ef 1,5-10
Martedì 6 novembre 2001
5 predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,
6 secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua
grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; 7 nel quale abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la
ricchezza della sua grazia.
8 Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e
intelligenza, 9 poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà,
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito 10 per
realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo
tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.
Si ritrova un’espressione già
trovata ieri: “in Cristo”, “in lui” v.1, 3, 4, 7 “nel quale abbiamo la
redenzione”, 9 “aveva in lui prestabilito”, 10 “ricapitolare in Cristo tutte le
cose”. Paolo insiste con questa formula per dare l’orizzonte, il limite,
l’ambito del suo ragionamento, non riesce a esprimersi senza parlare di lui e
del suo rapporto essenziale con lui.
v. 5-6 FIGLIOLANZA. Dio ci ha
“predestinati a essere suoi figli adottivi”: l’elezione che Dio fa di noi ha
avuto come conseguenza la nostra “adozione” a figli; cioè non siamo, come Gesù,
figli “naturali” di Dio, anzi altrove si dice che siamo figli dell’ira e del peccato. Per grazia però lo
siamo diventati. C’è un disegno, una scelta precisa di Dio di inserirci,
attraverso Gesù nella loro famigliarità! E tutti siamo predestinati a questo!
E’ molto emozionante pensare e accorgersi di avere una famiglia che ci ha
adottati e ci ha tolto dalla solitudine e dalla paura.
v. 7-8 PECCATO. Eravamo nel
peccato. Ma poichè abbiamo creduto in Cristo e siamo diventati figli allora i
nostri peccati vengono cancellati! Il sangue di Cristo ci lava dai nostri
peccati rendendo bianche come la neve le nostre vesti!
Leggiamo un po’ avanti: Ef
2,1-6”Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2 nei
quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle
potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. 3 Nel
numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con
i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri
cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri.
4 Ma Dio, ricco di misericordia,
per il grande amore con il quale ci ha amati, 5 da morti che eravamo per i
peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati
salvati.”
v. 9-10 RICAPITOLARE IN CRISTO. C’è
un piano e che Dio ha cominciato ad attuare: ricapitolare in Cristo tutte le
cose (la chiesa prima di tutto, suo corpo, di cui lui è il “capo”, ma anche
tutto il resto). Dio aveva creato tutto in Cristo. Poi l’umanità e la creazione
si è dispersa, frantumata, perduta. E’ ora di ritrovare il legame originario
con il capo cioè Cristo, ricollegarci e ricollegare tutto a lui: i nostri cari,
il lavoro, le ore della nostra giornata, la preghiera, tutto!
Questa è l’opera fondamentale
dell’eucarestia che ci convoca intorno a Gesù morto e risorto e ci “riconnette”
a lui, ci fa ritrovare il nostro capo; così collegati possiamo di nuovo dare a
lui la gloria!
Ef 1,11-14 Mercoledì 7 novembre 2001
11 In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati
secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua
volontà, 12 perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi
abbiamo sperato in Cristo.
13 In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il
vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il
suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, 14 il quale è caparra
della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si
è acquistato, a lode della sua gloria.
Nell’attesa della messa di stasera
(19:15), quando riabbracceremo i fratelli che ritornano dall’Africa, possiamo
notare che il passo di oggi è abbastanza unitario nel tracciare la successione
di “avvenimenti” che caratterizzano il rapporto del credente con Gesù:
1) ascolto della parola della
verità;
2) fede nel Vangelo della nostra
salvezza (il vangelo stesso è portatore della salvezza come dice anche la
lettera i Romani 1,16 “... il vangelo...
potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”);
3) dono dello Spirito Santo,
caparra della nostra eredità (cioè un
“anticipo” che già ci fa pregustare e vivere la vita eterna; Damasceno
commenta: “chiama caparra l’inizio del
possesso; dice dunque che, avendo ricevuto lo Spirito, già abbiamo cominciato a
essere proprietà di Cristo e di Dio”);
4) attesa della redenzione piena
nella speranza in Cristo.
Questi passi, queste tappe
riguardano proprio tutti (che bella quella esclamazione del v. 13 “anche voi!”)
e hanno come oggetto Cristo che è parola di verità, oggetto della nostra fede,
oggetto dell’annuncio, elargitore dello Spirito Santo, fonte e oggetto della
speranza. Oggi scopriamo di essere
inseriti in un disegno comune che ha come obbietivo la glorificazione di Dio:
“predestinati secondo il piano di colui che tutto opera conforme alla sua
volontà perché fossimo a lode della sua gloria”.
Ef 1, 15-21 Giovedì 8 novembre 2001
15 Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore
Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16 non cesso di render grazie
per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, 17 perché il Dio del Signore nostro
Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di
rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. 18 Possa egli davvero
illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza
vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19
e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti
secondo l’efficacia della sua forza 20 che egli manifestò in Cristo, quando lo
risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra
di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro
nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello
futuro.
Paolo, terminata la sua grande
confessione di fede e di lode che ci ha accompagnati e consolati in questi
giorni nei vers.3-14 , sembra riprendere un discorso più diretto e specifico
con i cristiani di Efeso; ma quanto ha proclamato evidentemente lo trascina
verso nuove considerazioni di carattere globale e sostanziale per l’esperienza
cristiana.
Mi sembra importante il termina
“rivelazione” del ver.17. Esso indica un disvelamento: per dire che tutta la
realtà è come coperta da un velo, da una coltre, come si legge ad esempio in
Is.25,6-9 : “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di
tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti...”; anche questo brano
profetico collega questo toglimento del velo con la vittoria che Dio riporterà
sulla morte, come anche nel nostro brano è detto; ma lo vedremo più sotto. Qui
diciamo che questo “spirito di sapienza e di rivelazione” è quello che ci
consente la visione nuova, secondo Dio quindi, di tutto ciò che ci circonda.
Questo è essenziale! La
risurrezione di Cristo che viene con forza ricordata ai vers.20-21 non può
essere isolata in se stessa, ma deve essere colta in tutta la sua portata di
“capovolgimento” della realtà; a motivo della risurrezione del Signore, tutte
le cose sono nuove. Quindi Paolo prega che noi possiamo sempre più “comprendere
a quale speranza”(ver.18) siamo stati chiamati; dove sapete che, per la
certezza assoluta che la fede ci dà della vittoria riportata da Dio sulla morte
con la risurrezione di Cristo, questa “speranza” non è più una delle tante
ipotesi positive destinate a rivelarsi poi come illusioni; peri cristiani la
speranza è certezza, e costituisce il nuovo pensiero e la nuova azione liberati
da Dio nella storia. Ebbene questa speranza - che implica la pienezza della
gloria e della potenza del Signore verso di noi (vers.18-19) - Dio la
“manifestò in Cristo quando lo risuscitò dai morti...” (ver.20). Dunque la
risurrezioe del Signore è, come dicevamo, il principio di tutta la nuova
creazione e di tutta la nuova storia dell’umanità.L’opera dello Spirito Santo,
quello che l’Apostolo chiede per noi, è la rivelazione e il nuovo agire che
scaturiscono dalla risurrezione di Gesù.
L’affermazione che Dio ha fatto
sedere il Risorto alla sua destra...al di sopra di ogni “principato e
autorità...”(ver.21) la riprenderemo
Ef 1,22-23
Venerdì 9 novembre 2001
22 Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte
le cose a capo della Chiesa, 23 la quale è il suo corpo, la pienezza di colui
che si realizza interamente in tutte le cose.
La prima parte del ver.22 è una
citazione del Sal.8,7 e ci chiede di considerare per un momento il ver.21 che
ieri abbiamo appositamente lasciato alla nostra preghiera di oggi. Qui si parla
di “ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro
nome...”.Noi raccogliamo tutti questi termini nella considerazione di quelle
realtà che, sia positive sia negative, dominano l’esistenza umana; sono le grandi
strutture dell’esistenza, come le leggi che governano l’universo, gli istinti
più profondi della persona, le interpretazioni dominanti della realtà e della
storia, il tempo, lo spazio, la morte e la paura della morte, la sessualità, il
desiderio, la fame....e anche ogni realtà che in futuro potesse emergere come
egemone....: tutto questo il Padre lo sottomette al Figlio morto e risorto. E’
trasparente la presenza in questa affermazione del Sal.109(110),1 :”Siedi alla
mia destra finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Ogni
realtà che, anche apparentemente positiva, voglia porsi e imporsi come un
assoluto per l’uomo, è negativamente giudicata dalla signoria assoluta di Gesù
che è ormai la misura, il criterio e la sostanza di verità di tutto ciò che
esiste. Anche in questi giorni la coscienza cristiana è sbalordita per come una
realtà negativa e condannata indiscutibilmente dalla Croce del Signore possa
imporsi alle singole coscienze e al pensiero e alla volontà di interi popoli,
senza che sia evidente come al male, proprio per estirparlo, non si possa
rispondere che con il bene : ad esempio con l’assunzione profonda delle sorti
delle terre più povere da parte di noi paesi ricchi, per annientare il pericolo
drammaticamente già manifesto che un’eresia demoniaca invadendo la sorte dei
diseredati faccia della loro disperazione una sorgente spaventosa di furore e
di morte. Ormai solo la luce serena del Signore della storia può indicare,
promuovere e sostenere pensieri e azioni fecondi di bene: senza clericalismi,
ma con vera “laicità” se così si può chiamare una sapienza cristiana che sappia
comunicare e proporsi a ogni altra ipotesi di interpretazione della vicenda
umana, con mite risolutezza e con intelligenza culturale e politica.
La Chiesa viene allora proclamata
come il “corpo” di quel Cristo che è il capo su ogni cosa e che come tale è
“dato” alla Chiesa. Nella Chiesa il Cristo “viene compiuto” e “compie” ogni
realtà della creazione e della storia : ogni commento dice che questo versetto
è molto difficile da interpretare: Noi qui, affezionati a quel primato della
Parola e della Liturgia che è grande tradizione della nostra Chiesa di Bologna,
diremo che nella Chiesa, e centralmente nella Liturgia, cioè nella Chiesa in
atto radunata dallo Spirito per celebrare la Pasqua del Signore, il Cristo
viene “predicato”, cioè detto, manifestato e comunicato nei gesti e nelle
parole della Santa Assemblea, e lo stesso Cristo riempie di Sè ogni parola ,
ogni atto e ogni cosa che, come la Liturgia pienamente realizza e svela, e
consegna alla nostra obbedienza personale e collettiva, solo “riempita” di Lui
e da Lui, trova in Lui la sua verità e la sua efficacia.
Ef 2,1-7
Sabato 10 novembre 2001
1 Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2 nei
quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle
potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. 3 Nel numero di quei ribelli, del resto,
siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne,
seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura
meritevoli d’ira, come gli altri. 4 Ma
Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, 5 da
morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia
infatti siete stati salvati. 6 Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti
sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei secoli futuri la
straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in
Cristo Gesù.
Carissimi amici, oggi non siamo
riusciti a scrivere il commento! Ci
dispiace molto. Perdonateci. Vi inviamo solo il testo. A lunedì! Buona domenica.
Ef 2,8-10
Lunedì 12 novembre
2001
8 Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene
da voi, ma è dono di Dio; 9 né viene dalle opere, perché nessuno possa
vantarsene. 10 Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere
buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.
A partire con la parola che ci è
ormai cara e consueta, “grazia”, e in pochi versetti, Paolo raccoglie in una
grande sintesi tutta la nostra vita di credenti. E qui devo dire che la mia
speranza è che anche qualche fruitore di queste notarelle possa rendersi conto,
ma è meglio dire “possa scoprire” in se stesso il tesoro della fede senza le
eventuali complicazioni che lui stesso o altri avessero sovrapposto alla serena
semplicità del dono di Dio.
Dice dunque al ver.8 che siamo
salvi per grazia, mediante la fede. E qui pone il chiarimento fondamentale, che
questo fatto - oppure che la fede stessa ; qui mi sembra si possano considerare
soggetti dell’ affermazione sia l’accadimentto della fede, sia la fede stessa -
non è da noi : è dono di Dio! Dunque, che cosa è la fede? E’il venire di Dio a
noi, in modi e contenuti i più diversi,
secondo criteri e fatti che quasi sempre è impossibile a noi discernere appunto
come fede, e che solo poi, o per nostra diretta intuizione, o perchè qualcuno
ci prende per mano, riusciamo a cogliere nella concretezza di un “fatto” che ci
è capitato; un fatto imprevisto, non meritato, non preparato o previsto;
talvolta addirittura non voluto, o temuto, o istintivamente respinto; un
“venire di Dio a noi” che totalmente
prescinde da noi quanto a contenuti, a tempi, a modi...Dono dunque, perchè
appunto non è da noi ma viene da Dio solamente. In tal senso si vede con
chiarezza come tale dono della fede possa implicare una grande umiltà; e
peraltro si capisce èerchè sia quasi istintivo “riappropriarsene” in qualche
modo, ponendo come essenziale qualcosa da parte nostra. Invece, a questo
livello, va tenuto fortemente quello che il nostro testo dice: non da noi; è
dono di di Dio. Questa, si può dire, è la fede “dal versante” del Signore. Da
parte nostra, mi sembra molto importante prendere atto che, quando si tratta di
accogliere, di aderire con un atto che non è affatto un puro assenso
intellettuale, ma che coinvolge tutta la nostra persona e tutta la nostra
storia,non ci si trova davanti a qualcosa di problematico e incerto, ma davanti
a un fatto molto chiaro, anche se spesso molto umile e apparentemente
sproporzionato al “capovolgimento” che pretende e che di fatto opera in chi lo
accoglie.
E’ molto importante anche quello
che viene affermato circa le opere, ai vers.9-10. Innanzi tutto non viene dalle
opere per evitare un terribile fraintendimento : che ce ne vantiamo, come cosa
nostra; invece, dicevamo, è dono di Dio. Anzi, siamo noi opera sua; qui viene
usato un termine diverso da quello che dice le opere nel nostro testo; c’è un
riferimento importante alla “creazione”: infatti subito aggiunge “creati in
Cristo Gesù”; vedremo domani quanto questo è rilevante. Dunque, siamo opera
sua. E le opere non son importanti? Lo sono assolutamente, tanto che siamo
creati “per le opere buone” , o, come preferisce rendere S.Girolamo nella
versione latina, “nelle opere buone”. Le opere buone sono il senso e il fiorire
di questa “nuova creazione” che Dio ha compiuto donandoci la fede. Ma anche le
opere sono propriamente non nostre, ma sue. Egli le ha preparate, o disposte, o
predisposte, perchè non tanto le praticassimo, come dice la nostra traduzione,
ma, in prospettiva molto più affascinante, perchè “in esse camminiamo”: una
grande e bella e buona passeggiata verso la Casa di nostro Padre; questa è
ormai la nostra vita, pur nelle sue prove e nella precarietà della nostra
risposta al dono di Dio.
Ef 2,11-16
Martedì 13 novembre
2001
11 Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati
incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne
per mano di uomo, 12 ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo,
esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza
speranza e senza Dio in questo mondo.
13 Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete
diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. 14 Egli infatti è la nostra
pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di
separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, 15 annullando, per mezzo
della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se
stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16 e per riconciliare
tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se
stesso l’inimicizia.
Ho sentito di notevole rilievo, al
ver.11, l’invito, o il comando, di “ricordare”. La rilevanza della memoria
nella nostra fede ebraico-cristiana suggerisce che questo ricordare non sia un
semplice riandare con la memoria, nè sia un consiglio per un’opportunità da
cogliere “una tantum”, ma costituisca il cuore del nostro atto di fede, quello
che i nostri padri ebrei chiamano il “memoriale” e che per noi discepoli di
Gesù ha il suo apice nella Messa, memoria-celebrazione della Pasqua del
Signore, Pasqua che tra l’altro è ampiamente resa presente anche dalle parole
che oggi celebriamo (ver.16).
Sempre, dunque, in ogni evento
della nostra fede, noi “ricordiamo” e quindi rendiamo perfettamente attuale in
noi e nella storia dei cuori e dei popoli quel passaggio tra “un tempo”
descritto nei vers.11-12, e l’ “ora” del ver.13. Tutta la storia della
salvezza, sia che si tratti dell’antico passaggio dall’Egitto del peccato e
della morte, sia che si raccolga nell’avvenimento supremo della
morte-risurrezione di Cristo, tutta si presenta e si attualizza nella vicenda
umana, del singolo come dei popoli; per questo sono portato a pensare che qui
l’Apostolo ci inviti a celebrare incessantemente, nella memoria della “nostra
“storia della salvezza, l’opera che Dio ha compiuto per noi in Cristo.
In modo severo i vers.11-12
descrivono la nostra estraneità, che si manifesta in due direzioni: nei
confronti di Dio e nei confronti dell’antico popolo di Dio. Il ver.13 afferma
che noi che eravamo “i lontani”, in Cristo siamo divenuti “i vicini”, nel suo
sangue, cioè per la potenza del suo sacrificio d’amore. Vicini a chi? Appunto
ai padri ebrei, e a Dio stesso !
Al ver.14, in questo punto
culminate della rivelazione cristiana il Signore Gesù viene chiamato con un
appellativo sublime : Egli è “la nostra Pace” ! Egli infatti ha abbattuto il muro di separazione: tra chi o tra
che cosa? tranoi “pagani” e i padri
ebrei, ma anche il muro tra Dio e tutti noi, pagani e ebrei. Sì, anche gli
ebrei, che pure avevano la Parola, erano separati da Dio, perchè la Legge
“fatta di prescrizioni e di decreti” non poteva far altro che sancire e
evidenziare “l’inimicizia” con Dio. Ma allora, voi mi direte, a che cosa
serviva questa Legge, se di fatto non costituiva una strada di salvezza per chi
l’aveva ricevuta? Essa era la via della salvezza divina, ma come attesa e
profezia del Messia del Signore.
Solo Lui, Gesù Cristo, attua la
salvezza sia per gli ebrei sia per i pagani
Come questo Egli lo compia è
mirabilmente ricordato ai vers.15-16. Gesù annulla “la legge fatta di
prescrizioni e di decreti” “per mezzo della sua carne”(ver.15), cioè “per mezzo
della croce”(ver.16), perchè con il suo perfetto sacrificio d’amore Egli
distrugge “in se stesso l’inimicizia”, in quanto assume su di sè i nostri
peccati che la Legge antica metteva in evidenza ma non sapeva “togliere”. In
tal modo Egli crea “in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo ( i “due” sono
gli ebrei e i pagani), facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in
un solo corpo.
Si tratta veramente di una “nuova
creazione”, di un nuovo inizio per l’umanità salvata da Dio per amore, nella
Croce di Gesù, il Figlio. L’inimicizia
tra ebrei e pagani e la stessa inimicizia tra Dio e tutta l’umanità è stata
vinta da quella Pasqua del Signore che
anch’io, peccatore, posso celebrare tra pochi minuti, qui alla Dozza, da dove
vi auguro una giornata in quella Pace che è Gesù.
Ef 2,17-22
Mercoledì 14 novembre
2001
17 Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e
pace a coloro che erano vicini. 18 Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli
uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. 19 Così dunque voi non siete più stranieri
né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20 edificati
sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare
lo stesso Cristo Gesù. 21 In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per
essere tempio santo nel Signore; 22 in lui anche voi insieme con gli altri
venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.
Se avete un po’ di tempo, vi
consiglio una rilettura anche rapida di Isaia 56-57, per poter cogliere con più
forza l’adempimento delle antiche profezie nella riconciliazione di Israele e
di tutte le genti nell’unico Signore.
Per questo “annunziare la pace” da
parte di Gesù mi pare che il testo di riferimento più forte, oltre appunto
Isaia che qui viene esplicitamente citato, sia Giovanni 20,19-23; qui le “porte
chiuse” esprimono bene la condizione ferita di tutta la storia che il Signore è
venuto a liberare; e soprattutto illumina fortemente l’azione di Gesù - il suo
sacrificio d’amore - come principio e potenza di salvezza.
Il ver.18 proclama il nostro
ingresso - di noi, ebrei e pagani - nel mistero e nella realtà della Santissima
trinità : per mezzo del Figlio abbiamo accesso (non come dice la nostra
versione “possiamo presentarci”) entrambi (giudei e gentili, appunto) in un solo
Spirito, al Padre. Sono molto colpito da come questi testi della Lettera agli
Efesini continuino a evidenziare il primato del comandamento dell’amore
attraverso questa assoluta connessione tra il rapporto con Dio e il rapporto
tra i due grandi e contrapposti interlocutori, giudei e pagani, appunto, che
solo insieme, solo se sono insieme, sembrano poter accedere alla
pienezza della comunione con Dio; sembra non esserci questo annunzio cristiano
della pace se non a coloro che fanno pace tra loro.
Mi permetto di dare una lettura
particolare del ver.19, per evitare il pericolo di vivere questa nuova
condizione come un possesso e non come un evento perennemente rinnovato e
accolto. Essere cristiani vuol dire incessantemente “lasciare” una condizione
da stranieri e ospiti per entrare in quella nuova di concittadini dei santi e
familiari di Dio; oppure vuol dire, nello stesso senso, convertirsi sempre più
profondamente al dono che Dio ci ha fatto con l’unirci ai “santi” che sono i
padri Ebrei - noi che “eravamo” i lontani - e con l’accoglierci nella sua
grande famiglia.
I vers.20-22 descrivono la nuova
comunità messianica, la Santa Chiesa, come il tempio santo del Signore. Tale
costruzione non è vista come qualcosa di già compiuto, ma come una edificazione
in atto, come dunque l’avvenimento fondamentale che si sta compiendo, al di là
e dentro a ogni altro avvenimento piccolo e grande della storia dei cuori e dei
popoli. Gesù Cristo è la “Pietra angolare”, che, o sostiene tutto e tutti se
con questa espressione si intende la pietra che sta alla base e su cui tutta la
costruzione viene edificata, o è pietra di volta di tutto, se si intende come
quell’apice che tiene tutta la costruzione unita e compatta.
Ef 3,1-7 Giovedì 15 novembre 2001
1 Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili... 2
penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me
affidato a vostro beneficio: 3 come per rivelazione mi è stato fatto conoscere
il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente. 4 Dalla lettura di ciò che ho
scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. 5 Questo mistero non è stato manifestato
agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai
suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6 che i Gentili cioè
sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo
stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, 7 del
quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in
virtù dell’efficacia della sua potenza.
Il nostro brano si apre con la
forte attribuzione che Paolo fa a se stesso del titolo di “prigioniero di
Cristo”, stringendo insieme la condizione esterna cui la vita apostolica lo ha
condotto e la sua stessa missione: così viene riscattata la “prigione” che
diventa simbolo della sua radicale dipendenza dal disegno divino, e tale nota
essenziale del suo ministero viene evidenziata come un imperativo assoluto
circa i modi, i contenuti e i destinatari della sua missione.
Paolo afferma, sempre in questo
ver.1, di essere prigioniero “per voi Gentili” : la sua vita è veramente
stretta tra la volontà di Dio e la vicenda dei popoli pagani. Al ver.2 egli non esita a indicare tutto il
volto del suo ministero come un’esperienza fortemente personale : “ministero a
me affidato a vostro beneficio”; e ancora, ai vers.3-4, dice di una “rivelazione”
riservata a lui e di cui egli han scritto a loro, e quindi della particolare
“comprensione” che a lui è stata data del mistero di Cristo. Ora, tutto questo
non è circoscritto come elemento relativo e accessorio della predicazione
evangelica , ma come elemento universale e essenziale : il ver.5 afferma che
tale mistero non è stato rivelato alle precedenti generazioni , e penso si
riferisca alle generazioni del popolo eletto, ma ora è stato rivelato ai suoi
“santi apostoli e profeti” : chi sono questi? Non è precisato, ma sarei indotto
a pensare che si tratti di “tutti” gli apostoli del Vangelo, nel senso che
sembra di dover ritenere che per Paolo questo “annuncio ai pagani” è elemento
essenziale, vero “cuore” del mistero cristiano, e quindi del tutto
irrinunciabile per chiunque voglia proclamare il Vangelo del Signore Gesù;
anche se , appunto, tale illuminazione del mistero sembra passare come
esclusivamente attraverso l’esperienza di Paolo stesso.
Non è dunque possibile una
predicazione del Cristo che non abbia come suo elemento privilegiato l’ingresso
dei pagani nella fede. Non c’è, insomma, l’annuncio cristiano, e quindi il
nuovo volto della vita, e “poi” , “eventualmente”, l’accedere delle genti; ma
tale accesso “è” l’evento che caratterizza e qualifica l’annuncio di Gesù : o
Ebrei e pagani formano lo stesso corpo, o non si dà il tratto essenziale del
compimento delle profezie e del mistero cristiano. Non c’è fede senza
riconciliazione e comunione!
Ef 3,8-13
Venerdì 16 novembre 2001
8 A me, che sono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa
grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, 9 e di
far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto
da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, 10 perché sia manifestata
ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la
multiforme sapienza di Dio, 11 secondo il disegno eterno che ha attuato in
Cristo Gesù nostro Signore, 12 il quale ci dá
il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui. 13
Vi prego quindi di non perdervi d’animo per le mie tribolazioni per voi; sono
gloria vostra.
Paolo ha lucida consapevolezza
della tensione tra il compito sublime che Dio gli ha affidato e la miseria
della sua persona. In 1Co.15,9 egli dà un’esplicita spiegazione circa le
ragioni di questo suo ritenersi l’ultimo dei santi : l’aver perseguitato la
Chiesa. Tuttavia, al di là delle ragioni, ogni discepolo di Gesù, ogni
annunciatore del Vangelo, vive questo contrasto tra il “tesoro” che gli è stato
affidato e il “vaso” che lo contiene. Tutti abbiamo presente l’esordio
meravigliato del Magnificat e la stupefatta esultanza di Maria per l’elezione
divina nei confronti della sua piccolezza.
Paolo arriva anche a sottolineare l’opportunità di questo “contrasto”,
quando in 1Co1-2 argomenta lungamente su questa positiva scelta di Dio affinchè
“la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di
Dio”(1Co.2-5).
Tale compito affidato all’Apostolo
sta nella “grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di
Cristo”. E’ bello che il comando di Dio sia recepito come “grazia”! Mi sembra
che questi vers.8-10 non semplicemente riferiscano il contenuto della
predicazione paolina, ma siano pieni dell’impeto e della partecipazione
dell’Apostolo in questo disegno dell’amore di Dio per l’umanità.
La manifestazione, da parte della
Chiesa “ai principati e alle potestà”, della “multiforme sapienza di Dio” (ver.10),
non è solo l’annuncio della dilatazione del dono evangelico a tutti i popoli,
ma veramente il radicale cambiamento del “governo” dell’universo, che fino a
Cristo, e questo anche per il popolo di Dio, è stato tenuto da queste forze
universali - i principati e le potestà : sono le supreme categorie di
interpretazione , di giudizio e di forza nella quali si muove di fatto l’intero
genere umano - un governo tutto condizionato da quei criteri di particolarità ,
di esclusione, di inimicizia, di giustificazione e di imposizione della
violenza e della soppressione del diverso, dell’altro... tutti “princìpi universali” di un mondo e di
una natura umana feriti e segnati dal mistero del male e della morte. Ma ora,
in Cristo, tutto questo è definitivamente superato ed eliminato . Si tratta,
appunto, sembra suggerire Paolo anche alle vicende dei nostri giorni, di cogliere e accogliere questo “adempimento
del mistero” : non si può più tornare indietro, verso condizioni irredente, non
“salvate” dalla persona e dall’opera del Signore. Enorme è la responsabilità
cristiana in ordine alla continua elaborazione di una “sapienza della storia”
adeguata a quel “capovolgimento” che il Cristo ha provocato nella vicenda del
creato, e che Maria percepiva così fortemente nel suo Cantico:”...ha
rovesciato...”(Lc.1,46-55).
Al ver.12, piuttosto che
l’espressione “il coraggio di avvicinarci in piena fiducia”, mi sembra meglio
rendere alla lettera “la fiducia e l’accesso in confidenza” : mi sembra più
sgombro da ogni paura, e più ricco di affettuoso abbandono.
Ef 3,14-21
Sabato 17 novembre
2001
14 Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale
ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, 16 perché vi conceda,
secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal
suo Spirito nell’uomo interiore. 17 Che il Cristo abiti per la fede nei vostri
cuori e così, radicati e fondati nella carità, 18 siate in grado di comprendere
con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la
profondità, 19 e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza,
perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. 20 A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto
possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, 21 a lui
la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli
dei secoli! Amen.
Al v. 15 Paolo, facendo uso di un
termine molto raro, ci dice che dal Padre “prende nome ogni paternità nei cieli
e sulla terra”: siccome questa parola “paternità” significa anche “famiglia”,
mi piace a questo punto pensare alla moltitudine delle “famiglie” e quindi alla
loro comunione profonda con la suprema paternità di Dio. Mi sembra che questo
sia meravigliosamente coerente con quanto è stato detto finora circa questo
ingresso di tutte le nazioni nella fede e nel mistero del Signore.
Dopo questo riferimento essenziale
al Padre, nei vv. 16-17 vengono nominate con forza lo Spirito Santo e il
Cristo: la relazione d’amore eterno che, secondo la rivelazione di Cristo,
unisce le tre persone divine, costituisce “l’ambito” nel quale la nuova vita
nasce e si compie. Lo Spirito Santo ci rafforza “nell’uomo interiore”, cioè
afferma sempre di più in noi la dimensione profonda ed essenziale, quella che
ci rivela e ci fa crescere come figli di Dio: questa è ormai l’intima verità di
ogni uomo e di ogni donna sulla terra. Per questa azione dello Spirito, è il
Cristo stesso che abita nei nostri cuori: cioè
la nostra vita è sempre più il luogo e il tempo della sua presenza e
della sua opera in noi; ad esempio come Lui, anche noi chiamiamo Dio “Padre
nostro”.
I termini “ampiezza, lunghezza,
altezza, profondità” vogliono esprimere la dilatazione infinita del mistero di
Dio in tutti e in tutto; e nello stesso tempo il processo senza fine della
nostra conoscenza e della nostra azione in Lui: siamo chiamati, direbbe Papa
Giovanni, a pensare e ad agire sempre più “in grande”! (vv. 18-19). é molto
bello che il “genere letterario” dell’intero brano di oggi sia la preghiera,
una preghiera di supplica, di ringraziamento e di lode!
Ef 4,1-6
Lunedì 19 novembre
2001
1 Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in
maniera degna della vocazione che avete ricevuto, 2 con ogni umiltà,
mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, 3 cercando di
conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4 n solo corpo, un solo spirito, come una
sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra
vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6 Un solo Dio
Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è
presente in tutti.
Il cap. 3 iniziava con: “Io Paolo
il prigioniero di Cristo... “; il cap. 4 inizia con: “... io, prigioniero nel
Signore” ( e non come si legge nella versione italiana “prigioniero del
Signore”). Come dunque ci diceva chi è il suo carceriere, adesso ci dice quale
si il suo ...carcere! Non solo dunque gli apparteniamo, ma, più profondamente,
viviamo in Lui! Grazie a Dio!
Sembra poi che questo v.1 voglia
anche evidenziare il volto dinamico della nostra relazione con Lui: non solo
gli apparteniamo e viviamo in Lui ma incessantemente ci muoviamo verso di Lui
che ci ha “chiamati”; siamo così esortati a “camminare in maniera degna della
chiamata con la quale siamo stati chiamati”; così la versione letterale.
Il v.2 afferma che gli
atteggiamenti e le risorse e le risorse più opportune a questo scopo sono
quelli che caratterizzano un amore pieno di umiltà: umiltà appunto, e mitezza,
pazienza accogliente e larga, profonda attenzione - aggiunge il v.3 - a
celebrare la nostra unità nello Spirito Santo tenendoci legati nella pace.
Il v.4-6 descrivono gli elementi e
i movimenti della nostra comunione fraterna: l’espressione che li collega è
“uno solo”. L’altra caratteristica che li definisce è che sono tutti doni e
realtà oggettivi: non dipendono da noi, ce li ritroviamo dentro e intorno a
noi, già presenti e operanti nella nostra vita. Non cose da fare ma regali da
accogliere, custodire e lasciar fiorire.
Il v. 6 mette in relazione profonda
quell’”unicità” della nostra condizione - e che qui finalmente si raccoglie
nell’unicità stessa di Dio - con il termine “tutti”: Dio è Padre di tutti,
sopra tutti, attraverso tutti. Se si
pensa a queste tre preposizioni e allo spessore di quel “tutti” ... vengono le “vertigini”!!!
Ef 4,7-16
Martedì 20 novembre
2001
7 A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura
del dono di Cristo.
8 Per questo sta scritto:
Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni
agli uomini.
9 Ma che significa la parola <<ascese>>, se non che prima era
disceso quaggiù sulla terra? 10 Colui che discese è lo stesso che anche ascese
al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.
11 È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri
come evangelisti, altri come pastori e maestri, 12 per rendere idonei i
fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, 13
finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di
Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità
di Cristo. 14 Questo affinchè non siamo più come fanciulli sballottati dalle
onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli
uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. 15 Al
contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in
ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, 16 dal quale tutto il corpo, ben
compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo
l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da
edificare se stesso nella carità.
Le parole che oggi il Signore ci
regala sono uno sviluppo e uno svolgimento di quanto ieri era annunciato nella
sua interezza; ci viene cioè mostrato come il dono di Dio, che ieri veniva
presentato nella sua unità, si realizza e si compie in ciascuno di noi. E mi
pare opportuno sottolineare che da tale “finezza” di una consegna personale del
dono nessuno viene escluso : dice infatti “a ciascuno di noi” (ver.7).
I vers.8-10 rafforzano questa
certezza della non esclusione di nessuno dal dono divino, perchè ci ricordano
che “La parola ascese” significa che “prima era disceso quaggiù sulla
terra”(ver.9), e che quindi ogni persona, anche chi a noi sembra più piccolo o
più ferito, viene raccolto dalla misericordia del Signore e da Lui gratificato
con regali preziosi. E questo non è semplicemente per fare un piacere a noi, ma
soprattutto per realizzare il suo progetto di “riempire tutte le cose”(ver.10),
cioè di invadere con la sua presenza e la sua opera salvifica tutta la
creazione.
Una traduzione più letterale del
ver.11 direbbe che “Egli ha dato alcuni apostoli, alcuni profeti, alcuni
evangelisti...” oppure, ancora più radicalmente “ha dato gli apostoli, e i
profeti e gli evangelisti...” , dove qui la preoccupazione dell’Apostolo non è
come in 1Co12 quella di mostrare una distribuzione ordinata e non competitiva
dei vari doni, ma quella di far vedere che, assegnando a ciascuno un dono e un
compito, ha reso la comunità cristiana ricca di ogni bene.
Tutto questo, dice al ver.12, per
“l’istruzione dei santi all’opera del ministero”: ma mi sembra di capire che
quindi ha fatto doni a tutti e a ciascuno per aiutare tutti e ciascuno a
compiere “l’opera del ministero”, e cioè tutti aiutano tutti, ciascuno con il
suo dono e aiutato dal dono del fratello. E’ la descrizione di una chiesa
ricchissima, dove non appare una parte attiva e una parte passiva, ma dove
ciascuno e tutti sono importanti, e dove ciascuno e tutti hanno molto da dare e
molto da ricevere.
Il ver.13 è una grande lode di
questa sublime opera di Dio che è la Chiesa, che risplende tutta insieme per lo
splendore regalato a ciascuno dal Signore e espresso da ciascuno per la gloria
di Dio e per il bene dei fratelli.
Questa comunità cristiana tanto
matura supera radicalmente il pericolo di una condizione gracile (“come
fanciulli sballottati dalle onde...”;ver.14), dove persone non fortificate dal
dono divino e dalla responsabilità che ne consegue sarebbero esposti al
pericolo di dottrine sbagliate e seducenti.
Paolo chiama “vivere la verità
nella carità” questa condizione felice dell’esistenza cristiana, che nei
vers.15-16 viene presentata non come un dato statico, ma come una crescita, un
compiersi perennemente in atto.
L’immagine è quella di un corpo che cresce, e la direzione, l’apice di
tale crescita è l’amore.
Ef 4,17-24
Mercoledì 21 novembre 2001
17 Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i
pagani nella vanità della loro mente, 18 accecati nei loro pensieri, estranei
alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e per la durezza del
loro cuore. 19 Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla
dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.
20 Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, 21 se proprio gli
avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in
Gesù, 22 per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima,
l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici 23 e dovete rinnovarvi nello
spirito della vostra mente 24 e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio
nella giustizia e nella santità vera.
I vers.17-19 si colgono nel loro
spessore profondo se non si intendono come un semplice avvertimento morale ma
prima di tutto come il ricordo forte e continuo dell’esistenza nuova che il
Signore ha donato a noi discepoli di Gesù: questo è stato il tema svolto
soprattutto al cap.2 dove ci veniva ricordato “chi” e “come” eravamo e come
ormai non siamo più. I nostri peccati non sono quindi solo la trasgressione di
una norma, ma il rinnegamento del nostro essere, di questa nuova vita che
abbiamo ricevuto dalla misericordia di Dio. In tal senso, anche la descrizione
piuttosto severa del comportamento dei pagani non è tanto un rimprovero sul
piano etico, quanto la constatazione amara della negatività di un’esistenza non
visitata dal Signore. Per questo, sarebbe secondo me stato più opportuna una
scelta di termini che fosse più descrittiva di una situazione ferita che
causata da decisioni sbagliate .: si tratta di “ciechi” più che di accecati, e
di persone “insensibili” più che di persone “diventate insensibili”.
Ecco allora la grande forza di quel
“Ma voi” del ver.20 e quindi l’opportunità di dire, alla lettera, “non così
avete imparato (nel senso forte dell’ “essere discepoli”) il Cristo”. Il ver.21
mi sembra voglia dirci che certamente è così, se Gesù è quel Cristo che noi
abbiamo conosciuto e seguito; se dunque crediamo che Gesù di Nazaret sia il
Cristo di Dio.
Non mi convince la traduzione
italiana dei vers.22-23, per l’aggiunta del verbo “dovere”, “dovete
deporre...dovete rinnovarvi...”. Mi sembra che, con molta più incisività e
efficacia, Paolo non ci stia dicendo quello che dobbiamo fare, ma quello che ci
è stato donato e che deve compiersi per il fatto stesso che abbiamo ricevuto la
vita nuova. Questa “consiste” sia nella deposizione dell’uomo vecchio, sia
nell’assunzione del nuovo. Come abbiamo “imparato il Cristo”? così : come la
fine della nostra appartenenza alla stirpe ferita di Adamo e il nostro
ingresso, in Cristo, nella vita dei figli di Dio. Direi che solo al versetto
successivo l’Apostolo tira le conclusioni morali dell’evento pasquale nel quale
siamo entrati per grazia di Dio.
Ef 4,25-32 Giovedì 22 novembre 2001
25 Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio
prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. 26 Nell’ira, non peccate;
non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27 e non date occasione al
diavolo. 28 Chi è avvezzo a rubare non
rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per
farne parte a chi si trova in necessità.
29 Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole
buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che
ascoltano.
30 E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste
segnati per il giorno della redenzione.
31 Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con
ogni sorta di malignità.
32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
La meraviglia delle parole di oggi
mi pare si manifesti soprattutto nella capacità e volontà di Dio di
racchiudersi nel piccolo che qui è il tessuto della nostra vita quotidiana;
altrimenti il rischio è di attestarsi sui massimi sistemi, senza che questo poi
di fatto riguardi quel mistero universale-particolare che è la vicenda personale
di ognuno di noi.
Mi affascina ancora di più poter
constatare che peraltro in questo piccolo che è consegnato al piccolo di
ciascuno, c’è poi, in ogni “novità” che
viene richiesta, una conversione che è come una “risurrezione dai morti”,
perchè si tratta di atteggiamenti o azioni che stanno all’opposto del punto di
partenza. Provo adesso a esemplificare.
Può sembrare che il ver.25 non
domandi gran cosa; di fatto, mettendo al bando la menzogna, non chiede
semplicemente di essere sinceri, ma di dire “ciascuno la verità al proprio
prossimo”, che citando Zaccaria 8,16 in realtà ci immerge nella nuova realtà
messianica e quindi ci affida non una generica sincerità ma quella verità che è
il Signore stesso in mezzo a noi, e quindi il compito di “dirlo” al nostro
prossimo, che però ora viene svelato con l’annuncio che “siamo membra gli uni
degli altri”, che è molto più che “prossimo”!!
Al ver.26, citando il Sal.4,5 ,
dovrebbe dire, alla lettera, “irritatevi, e non vogliate peccare”. Il che ora
si traduce non solo e non tanto nel non consentire alla nostra ira di diventare
peccaminosa o fonte di peccato, ma semplicemente di farla sparire prima del
tramonto del sole, il che vuol dire “in fretta”.
E ancora, il ladro non solo la deve
piantare di rubare, ma deve diventare onesto lavoratore che non solo campi del
suo e non dell’altrui, ma addirittura possa fare mensa comune con qualche
poveretto che possa approfittare di quello che per lui da solo sarebbe troppo e
quindi indigesto.
E ancora, al ver.29, parole cattive
sostituite da parole che non solo siano buone, ma positivamente costruiscano e
diano doni, grazie, regali, a chi le ascolta.
Lo Spirito Santo è il Signore che
si è fatto piccolo per noi fino alla croce e fino al dono dello Spirito che
abita in noi; questo “piccolo” deve essere custodito lieto e allegro dentro di
noi, tanto quanto l’abbiamo rattristato campando senza la speranza della vita
nuova; ma “ora”....
Nella stessa linea gli ultimi
versetti. Dunque, per dire che l’evento supremo della storia, la risurrezione
di Cristo che è principio di cieli nuovi e terra nuova, può e deve manifestarsi
e fiorire proprio nel modesto tessuto esistenziale di noi poveri cristi,
cristiani mediocri, ma ospiti meravigliati di Colui che si è fatto piccolo per
noi per abitare nei nostri cuori.
Ef 5,1-5
Venerdì 23 novembre
2001
1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2 e camminate
nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per
noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3 Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia,
neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; 4 lo stesso si dica per le
volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece
azioni di grazie! 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o
avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio.
Il v. 1 contiene un’indicazione
molto rara nel NT, e qui molto interessante:
siamo invitati ad essere “imitatori
di Dio”. Ma questa imitazione viene subito collegata al supremo “imitatore di
Dio”, il Cristo: dice “come anche il Cristo.”.
Tale imitazione si compie
nell’orizzonte dell’amore. Se ci atteniamo alla lettera del testo, vediamo che
esso viene citato tre volte nei vv. 1-2. Per noi, innanzi tutto, che siamo
chiamati “figli amati”. Poi nell’invito a comunicare “nell’amore”. Infine per
il Signore che ci ha amati. Così diventa chiaro che è possibile per noi imitare
Dio nell’amore, perché siamo da lui amati; questo ci consente di “camminare
nell’amore”: questo verbo, che descrive il comportamento morale in modo
dinamico, l’Apostolo lo ha già usato più volte, e noi lo abbiamo trovato
ultimamente in Ef 4,1. Questo cammino lo facciamo seguendo Gesù che ci ha
donato l’amore amandoci e giungendo all’apice di esso nella sua obbedienza al
Padre fino all’offerta sacrificale di se stesso, vero agnello pasquale senza
macchia: così suggerisce al v. 2 l’espressione “sacrificio di soave odore”, che
è memoria e compimento in Cristo dell’antico culto dei padri ebrei. È molto importante ai vv. 3-5 l’omologazione
dei mali che impediscono di aver parte al regno di Cristo e di Dio (v. 5) nel
supremo peccato dell’idolatria (“roba da idolatri”, dice il testo italiano): in
tal modo si pongono a contrasto l’offerta della vita di Cristo che il Signore
ci invita ad imitare e il culto idolatrino di se stesso, soprattutto aggredendo
il mistero nuziale della nostra vita, e adorando l’idolo del possesso e del
potere.
Ef 5,6-14
Sabato 24 novembre
2001
6 Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti
piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. 7 Non abbiate quindi niente
in comune con loro.
8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi
perciò come i figli della luce; 9 il frutto della luce consiste in ogni bontà,
giustizia e verità.
10 Cercate ciò che è gradito al Signore, 11 e non partecipate alle opere
infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, 12 poiché di
quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. 13 Tutte queste cose che vengono apertamente
condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è
luce. 14 Per questo sta scritto: “Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti
e Cristo ti illuminerà”.
v.6 “nessuno vi inganni con vani
ragionamenti” letteralmente sarebbe “con vane parole”. S. Paolo è ormai un po’
di versetti che sta affrontando il tema della parola, usata nei rapporti con
gli altri: 4,29 “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma
piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione” 5,3
“Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se
ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità,
insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di
grazie!”. Purtroppo da Caino in poi la
“parola” ha potuto avere un potere ingannante, cattivo, che si traduce in
pensieri cattivi e quindi in opere malvagie.
Le opere che provengono da queste
parole di tenebra sono senza frutto e, secondo il v.6, attirano l’ira di Dio.
Per sfuggire alle sorti dei figli della disobbedienza occorre secondo
l’apostolo:
1) Non partecipare a queste cose,
che ci allontanano dalla verità (v. 7-11).
2) Discernere (più letterale di
“cercare”) ciò che al Signore è gradito.
3) Condannare apertamente l’inganno
perchè tutto verrà manifestato. Dice il vangelo di GV “Dio non ha mandato il
Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo
di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato,
perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è
questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male,
odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.”
E’ sorto il sole di giustizia che
illumina ogni uomo, ha squarciato le tenebre e dato speranza a tutti i
peccatori che non si sottraggono ai suoi raggi benefici. “Ora siete luce nel
Signore” v.8: impressiona l’ultimo versetto di oggi che mostra come l’essere
“luce” è una resurrezione dai morti, un rinascere a nuova vita per messo di
Cristo. riceviamo questo dono ogni volta che come figli obbedienti ci
allontaniamo dalle opere delle tenebre e ci lasciamo abbracciare dalla luce
serena del Signore.
Ef 5,15-20
Lunedì 26 novembre
2001
15 Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non
da stolti, ma da uomini saggi; 16 profittando del tempo presente, perché i
giorni sono cattivi. 17 Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere
la volontà di Dio. 18 E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla
sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, 19 intrattenendovi a vicenda con
salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il
vostro cuore, 20 rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel
nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Per la terza volta compare in Ef 5
quel verbo greco che dice del comportamento, il “camminare”; lo avevamo trovato
al v.2 “camminate nella carità” e al v.8 “camminate come figli della luce”.
Oggi ci viene dato come atteggiamento sapienziale, di interpretazione e di
azione “nel tempo”; il traduttore lo rende con due termini: condotta e
comportamento. La sapienza nuova mi sembra esiga che interpretiamo con molta
attenzione (in italiano c’è un termine dedotto da questo avverbio greco, molto
ricercata e rara: acribìa) i giorni: essi sono cattivi. Io penso che l’apostolo
non si riferisca a vicende particolari, ma faccia riferimento in senso generale
alla direzione “verso la morte” che caratterizza la creazione e la storia
esiliata da Dio. Perciò quando dice “profittando del tempo presente” a me pare
più giusto rendere qui con “riscattare il tempo” (“redimere” secondo la
Vulgata) perchè il tempo è riscattato quando noi viviamo nella direzione
radicalmente nuova del tempo riscattato dalla Pasqua del Signore: non più
giorni cattivi verso la morte ma tempo nuovo verso la pienezza di vita.
Questa lettura mi porta a vedere
nei v.17-20 un parallelo con i v.15-16. Non più una vita prigioniera della
morte e quindi spinta verso ebrezza cattiva di dispersione e di oblio (17.18a)
ma una vita di pienezza nello Spirito (18b) che celebra soprattutto nella
preghiera sulla Parola di Dio la sua bellezza nuziale. La preghiera qui si
presenta come pura fruizione del dono
di Dio, in questo intrattenersi (alla lettera “parlando tra voi”) in salmi e
cantici.
Il v.20 raccoglie tutto ciò in
grande ringraziamento “nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”: la nostra
preghiera cioè celebra l’esultante riconoscenza del Figlio verso il Padre (vedi
Mt 11,25).
Ef 5,21-24 Martedì 27 novembre 2001
21 Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. 22 Le mogli siano sottomesse ai mariti come
al Signore; 23 il marito infatti è capo
della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del
suo corpo. 24 E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli
siano soggette ai loro mariti in tutto.
Il grande regalo di una Lectio
continua del testo ci consente oggi di immergere il nostro brano in un contesto
molto ampio; infatti nella versione originale i vers.21- 22 si devono collegare
strettamente ai versetti precedenti, perchè tutti i verbi sono dei participi e
dipendono dall’espressione “siate ricolmi dello Spirito” del ver.18, per cui
tutto quello che è detto fino al ver.22 compreso, è lo svolgimento e la
fioritura di quella pienezza dello Spirito.
Di tale vita nello Spirito fa parte
“l’essere sottomessi gli uni agli altri nel timore del Signore”. Il clima
culturale nel quale siamo immersi nutre, con buone ragioni, molti sospetti su
ogni invito alla sottomissione, e preferisce sottolineare l’autonomia e
l’autodeterminazione di ogni individuo; per questo preferisce cogliere tutte le
dipendenze tra le persone come delle necessità funzionali, sempre però relative
a una sostanziale parità-uguaglianza tra tutti. Purtroppo molto spesso, per non
dire quasi sempre, questa impostazione restituisce la realtà alla legge del più
forte, quando non a una vera “lotta della jungla”; molti negli ultimi decenni,
soprattutto tra le donne, hanno avvertito la necessità di mettere in evidenza
non solo la uguaglianza ma soprattutto la diversità come elemento di valore e
di rispetto, e fonte di particolarità profonde e di relazioni proprie. Lascio
da parte questi accenni che esigerebbero molti altri pensieri, per dire che in
termini forti la fede cristiana proclama il legame e la relazione tra tutti i
rapporti tra le persone e la relazione primaria di ciascuno e del popolo di Dio
con il suo Signore; al punto che ogni relazione interpersonale, come ci dirà
questa lettera ai cristiani di Efeso, “celebra” la relazione fontale tra il
Padre e il Figlio, relazione di sottomissione e di amore. Ecco perchè questo
ver.21 deve essere considerato come una specie di titolo di tutto quello che
sarà detto fino a Ef.6,9. La sottomissione reciproca celebra la sottomissione
del Cristo al Padre, e dunque ogni altra sottomissione a Dio; essa riguarda non
tanto il piano morale, quanto il volto sostanziale dello stesso atto di fede:
la fede è questa sottomissione. Senza di essa, non si vivono le nostre
relazioni interpersonali nella fede, e come modi supremi della fede! Lo
“scandalo” della fede cristiana è che noi collochiamo questa sottomissione
reciproca come principio, e come tale da premettere ad ogni eventuale
affermazione sui diritti o sui ruoli o sulle competenze e persino sul rispetto
dovuto. La vita secondo la fede è, sostanzialmente, una vita consegnata.
Tutto questo, infatti, deve
compiersi “nel timore di Cristo”, cioè per Lui, e alla sua presenza, e
nell’imitazione di Lui, e nella perfetta libertà del Vangelo. Per questo, non
trovo opportuna l’aggiunta, al ver.22, dell’espressione “siano sottomesse”,
perchè restringe la portata dell’affermazione; infatti il testo vuole dirci non
solo e non tanto che le mogli siano sottomesse ai mariti, ma che lo devono
essere “come al Signore”; e quindi in questa sottomissione gli uni agli altri
le mogli lo sono ai mariti “come al Signore”; il che vuol dire non una
sottomissione qualsiasi, magari brutale o rattristata, ma come quella via di
bene e di pace che è per ciascuno il suo abbandono fiducioso alla persona di
Gesù.
Quando dunque il nostro testo
afferma al ver.23 che il marito è capo della moglie, bisogna fare attenzione al
rischio riduttivo che la lingua italiana potrebbe arrecare al discorso: capo
non va inteso come “caporale” o “comandante”, ma in riferimento al termine
corpo, presente nello stesso versetto, quando dice che Cristo è capo della
chiesa, Lui che è “il Salvatore del
corpo”. In Ef.1,22 abbiamo ascoltato che la Chiesa è il suo corpo, “la pienezza
di colui che si realizza interamente in tutte le cose”.
Ef 5,25-33
Mercoledì 28 novembre
2001
25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e
ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola per mezzo del
lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, 27 al fine di farsi comparire
davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di
simile, ma santa e immacolata.
28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio
corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 29 Nessuno mai infatti
ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa
Cristo con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua
madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. 32 Questo
mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
33 Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se
stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
Continuiamo a tenerci legati a quel
versetto 21 che abbiamo voluto considerare come il “titolo” di tutta questa
parte della lettera, da 5,21 a 6,9. Quindi non usciamo dal tema della
sottomissione ma passiamo al secondo elemento di essa. Mi permetto di suggerire
una rilettura di Gv 13 e quindi di quel breve dialogo tra Gesù e Pietro , che
deve farsi lavare i piedi perchè altrimenti, dice il Signore “non avrai parte
con me”; il termine “parte”
letteralmente vuol dire sorte ed eredità e ricorda ad un ebreo come la terra di
Dio sia stata, traendola a sorte, data in eredità ai figli di Israele. Gesù, in
Gv 13 dice che quanto Egli ha compiuto inaugura e significa quel “dovete
lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv13,14), cioè la reciprocità dell’amore!
Possiamo dire quindi che la sottomissione reciproca è la reciprocità
dell’amore.
Essa è resa possibile dalla nostra
accoglienza verso l’amore di Cristo e il suo sacrificio d’amore, ricordati nel
nostro brano al v.25. Il v.26-27 ci ricordano un dato essenziale delle nostre
nozze tra noi e il Signore. Egli non ama la Chiesa perchè è santa e pura,
gloriosa e senza macchia, ma esattamente al contrario: la Chiesa è così
luminosa, perchè Egli la ama e dona a se stesso per lei. Si “mondanizza” tutto,
perchè anche noi, sostenuti da tutta la nostra tradizione di pensiero, diciamo
che di ama ciò che è bello. Oggi ci viene rivelato che la bellezza non è il
principio ma il frutto dell’amore!
Circa la splendente citazione di
Genesi 2,24 che qui ci viene regalata al v.31 come perfettamente compiuta, mi
sembra si debba dire che il compimento portato da Cristo porta a pienezza la
rivelazione antica: essa non prevedeva che in “una carne sola” ci fosse una
tale assimilazione da poter dire “chi ama
la propria moglie ama se stesso” (v.28). Dunque l’Altro, l’altra persona
è il suo “se stesso”, e senza l’altro nessuna trova sè. Al v.29 si dice che
l’altro è la “sua carne” e che “nessuno ha mai preso in odio la propria carne
al contrario la nutre e la cura...”: due verbi molto materni. Curare nella lingua originale sembra quasi
un “cullare”. Conferma importante: Lui non è il nostro capo perchè noi siamo...
la sua truppa! ma perchè noi “siamo membra del suo corpo” (v.30).
Coraggio mariti, coraggio tutti!
Ef 6,1-4
Giovedì 29 novembre
2001
1 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è
giusto. 2 Onora tuo padre e tua madre:
è questo il primo comandamento associato a una promessa: 3 perché tu sia felice
e goda di una vita lunga sopra la terra.
4 E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli
nell’educazione e nella disciplina del Signore.
Una nota della TOB avverte che
l’espressione “nel Signore” del v. 1 manca in molti manoscritti. Tuttavia,
insieme a quella “disciplina del Signore” del v. 4 mi sembra importante per
ricordare che la descrizione della vita nuova e delle sue nuove relazioni
proclama che in Gesù Cristo tutta la realtà è stata “invasa” dal Signore e in
molti modi ne celebra la presenza e la potenza. Così ora, dopo la grande
immagine delle nozze, ci porta a considerare la nostra condizione di figli e di
genitori. Ecco allora questa esortazione all’obbedienza, con un verbo diverso
rispetto all’essere “sottomessi” di 5,21 e più espressivo di un corretto
rapporto tra la parola e l’obbedienza. Nel greco biblico “obbedire” e
“ascoltare” si identificano.
Mi colpisce molto che al versetto 2
si dica che “onora il padre e la madre” è il “primo comandamento”; Gesù
attribuisce questo primato al comandamento dell’amore di Dio. Tuttavia se si
considera ad esempio Mc 12,29 si nota che Gesù dice “il primo è ascolta
Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Dio, amerai dunque il Signore.....”.
Dunque il “primo” è legato innanzi tutto al verbo ascoltare, proprio come nel
nostro brano di oggi si chiede ai figli di “obbedire” ai genitori.
Ma questo ci porta verso un’ipotesi
che comunico con incertezza anche se mi affascina; e cioè che l’attribuzione al
comandamento dell’onore ai genitori di un “primato” che è proprio del primo
comandamento sull’unicità di Dio e sull’amore per lui, voglia suggerire un
accostamento dei due comandamenti a motivo del Figlio che in mezzo a noi ama
Dio andando al Padre; in tal modo i due comandamenti tendono a fondersi. Per
questo, ancor di più ogni esercizio dell’autorità paterna dovrà nascondersi
dietro al Signore, dovrà essere “disciplina del Signore” e nata e imposta da
noi, anche per non indurre i figli di Dio a quel “inasprimento” del v.4. Questa
parola contiene in sè la radice della parola “ira” che in Ef 4,27 era
deprecata.
Ef 6,5-9 Venerdì 30 novembre 2001
5 Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e
tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, 6 e non servendo per essere
visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la
volontà di Dio di cuore, 7 prestando servizio di buona voglia come al Signore e
non come a uomini. 8 Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero,
riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. 9 Anche voi,
padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le
minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che
non v’è preferenza di persone presso di lui.
L’obbedienza dei servi verso i
padroni è espressa con lo stesso verbo che diceva l’obbedienza dei figli verso
i genitori. Qui, al v.5, è notevole la precisazione che questi “signori” (così
lett. i padroni), sono “secondo la carne”: l’espressione ha uno scopo riduttivo,
per chiarire che tale signoria vale solo nell’orizzonte inframondano, che la
fede in certo modo “accetta”, ma che di fatto nel profondo trascende; e qui sta
tutta l’energia e l’esplosiva novità che il Signore mette in tutte le relazioni
interpersonali e quindi in modo molto forte, nel rapporto servi-padroni. E’
molto interessante la presenza di questa espressione “secondo la carne” nella
rivelazione cristiana, dove la sua alternativa “secondo lo spirito” deve essere
intesa non come elezione delle realtà “spirituali” in confronto alle materiali,
ma come rapporto, tensione e divaricazione tra realtà divina e quella umana.
Essendo quest’ultima ormai visitata e abitata dalla prima, la
tensione-contrapposizione si presenta continuamente: la condizione di servo non
può più essere vissuta secondo le regole del mondo, ma è possibile, e anzi
opportuna, solo perchè diventa occasione di celebrare l’unica vera “diaconia”
verso il Signore.
Questi servi, proprio nella
relazione con i loro signori, devono considerarsi di fatto e radicalmente
“servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore”: a me sembra che qui si
tematizzi implicitamente una “obiezione di coscienza”, quando si dice una
divaricazione-opposizione tra volontà divina e volontà di chi ci comanda. In fondo
ciò che definisce in profondità - e non secondo la carne - è il servire il
Signore e non gli uomini (v. 7); in ogni caso saremo ricompensati per il bene
fatto, qualunque sia la condizione in questo mondo (v. 8). Tutto ciò non
attenua ma anzi accresce lo “zelo religioso” del nostro servizio.
Al v.9 Paolo chiede reciprocità di
azioni-opere tra servi e padroni, chiedendo a questi ultimi di fare ai servi le
stesse cose che questi fanno a loro, sapendo che l’unico Signore degli uni e
degli altri non fa “preferenze di persone”: è una parola che non significa che
non fa differenze, ma che non si lascia convincere (o ingannare) dalla facciata
esterna; in 1Sam 16,7 Dio stesso dice al profeta: “l’uomo guarda l’apparenza,
il Signore guarda il cuore”.
Ef 6,10-17 Sabato 1 dicembre 2001
10 Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua
potenza. 11 Rivestitevi dell’armatura
di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia
infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i
Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro
gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
13 Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel
giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. 14 State dunque ben fermi, cinti i fianchi
con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, 15 e avendo come
calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. 16 Tenete
sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi
infuocati del maligno; 17 prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello
Spirito, cioè la parola di Dio.
Il testo di oggi è un regalo
preziosissimo perchè tutti possiamo riflettere non solo su alcuni elementi
portanti della vita umana, ma anche sui drammi arrecati alla vicenda dei popoli
- proprio in questi giorni - dall’ignoranza di questi caposaldi della
rivelazione cristiana. Notiamo ancora
una volta come le categorie della guerra non solo non vengano ripudiate, ma
anzi siano presentate come dati inevitabili, e, di più, assolutamente doverosi
nell’esperienza del credente. Lasciamoci mitemente sorprendere da questa doccia
fredda: dopo tutto quello che ci è stato comunicato sul volto splendidamente
nuovo di ogni nostra situazione e relazione, all’improvviso oggi ci viene detto
che è una grande guerra! Giustamente le
note nelle nostre bibbie ci ricordano che sempre Israele ha dovuto combattere
con nemici più potenti di lui e che sempre Dio gli è stato alleato e lo ha
fatto vincere. Ma, a partire dall’annuncio cristiano sulla paternità universale
di Dio, e quindi dalla non esistenza di nemici umani (è la “carne e il sangue”
del v. 12) ci viene ricordato in questo stesso versetto chi sono i veri nemici:
o il Nemico stesso, cioè il diavolo del v.
11, o questi Principati, Potestà ... del v. 12 che già ci erano stati
detti in Ef. 1,21 come vinti e sottomessi dalla grande vittoria riportata da
Gesù contro l’inimicizia, contro la morte. Tale individuazione dell’inimicizia
è fondamentale: altrimenti si perpetuano - persino con l’avvallo dei cristiani
- le stolte guerre e le inutili stragi: il nemico non sono i talebani; lo è
piuttosto la categoria dell’inimicizia che ci fa vedere i talebani come nemici
e che fa crescere il potere del vero nemico che è l’inimicizia scagliandoci
contro i talebani che a motivo di Cristo non sono nemici ma fratelli, anche se
un po’ vivacetti.
Il problema della guerra giusta e
di come combatterla, cioè con quali armi!!, non è problema morale: la guerra
contro la gente, ammesso pure che sia gente ... pessima! (e tu non lo sei?) è
sempre stolta, inutile e perdente. Anzi è sempre destinata al risultato di far
crescere il Nemico vero e di indebolire la possibilità di parlare di Gesù. Dunque occorre individuare il nemico,
scegliere le armi giuste, e partecipare fino in fondo all’unica battaglia
giusta: la pace.
Ef 6,18-24 Lunedì 3 dicembre 2001
18 Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di
suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e
pregando per tutti i santi, 19 e anche per me, perché quando apro la bocca mi
sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, 20 del
quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è
mio dovere. 21 Desidero che anche voi sappiate come sto e ciò che faccio; di
tutto vi informerà Tìchico, fratello carissimo e fedele ministro nel Signore.
22 Ve lo mando proprio allo scopo di farvi conoscere mie notizie e per
confortare i vostri cuori. 23 Pace ai fratelli, e carità e fede da parte di Dio
Padre e del Signore Gesù Cristo. 24 La grazia sia con tutti quelli che amano il
Signore nostro Gesù Cristo, con amore incorruttibile.
I versetti precedenti hanno
descritto l’armatura necessaria per la grande guerra della fede e della pace.
Oggi ci viene detto “come” si combatte questa battaglia. Mi pare si possano
individuare tre grandi ambiti o vie di essa: la preghiera, l’annuncio della
Parola, la storia.
La preghiera. L’insegnamento circa
una preghiera “in ogni tempo” può ricordarci due parabole che troveremo in Lc
11,5 : l’amico che importuna l’amico perchè gli dia tre pani, e in Lc 18,1, con
quella vedova che non si stanca di sollecitare il giudice disonesto.
Ricorderete anche la battaglia contro gli amaleciti in Es 17,8. Questo
combattimento della preghiera appare anche nei testi che ho citato come il
principale modo per convincere l’unico alleato che può portarci alla vittoria contro un avversario molto più
forte di noi davanti al quale saremmo sconfitti. Oltre l’estensione temporale -
in ogni tempo - ci viene data anche la vastità della preghiera stessa: “ogni
sorta di preghiera e di supplica nello Spirito”; i beneficiari della preghiera:
tutti santi e in particolare lui, Paolo. Dunque una preghiera “grandissima” in
tutti i sensi.
La seconda via di questa battaglia
è l’annuncio della Parola, che è legato strettamente alla preghiera, perchè
anche qui non nella forza e nella sapienza dell’annunciatore, ma puramente nel
dono di Dio; dono non fatto e ricevuto una volta per sempre ma in ogni occasione:
dice “quando apro la bocca” che alla lettera sarebbe “la parola mi sia data
nell’apertura della mia bocca”. L’annuncio del “mistero del vangelo” è dunque
un avvenimento miracoloso che Dio compie nella storia attraverso i discepoli
che sono l’ambito di tale prodigio della storia.
E la “storia” stessa è luogo di
questo combattimento della fede e della pace. Non solo la storia come ambito
dove Parola sale a Dio come preghiera o scende nei cuori come annuncio. Ma la
storia stessa dei discepoli diventa forza di consolazione e conferma per chi
riceve notizie. Per questo viene mandato Tichico (v.21)!
I saluti finali (v. 23-24) non si
presentano solo come auguri e convenevoli, ma anche come parole potenti - pace, carità, fede, grazia - che creano
nel cuore ciò che esprimono.