Ef 1,1-4                                                                                               Lunedì 5 novembre 2001

 

1 Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Éfeso, credenti in Cristo Gesù: 2 grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.  3 Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,

 

In questi pochi ma densissimi versetti, colpisce la ripetizione continua della parola Dio, Signore e Cristo. v.1 “apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio”, v.2 “grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo”, v.3 “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”.  Siamo quasi confusi e dobbiamo leggeere con attenzione per vedere che ognuno ha un ruolo e un opera ben precisi. Riguardo a Dio si dice “Padre nostro”: egli è nostro Padre poichè è “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”: poichè “crediamo in Cristo Gesù” diventiamo suoi fratelli e quindi FIGLI.

E anche noi, a motivo di questa sinergia tra Padre e Figlio,  riceviamo molti “aggettivi”: santi, credenti, benedetti , scelti, santi e immacolati... speriamo di poter essere illumminati dallo Spirito Santo per comprendere queste meraviglie.

Mi fermo qui. Stasera a messa avremo più spunti di riflessione!

 

Ef 1,5-10                                                                                            Martedì 6 novembre 2001

 

5 predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, 6 secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; 7 nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.

8 Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, 9 poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito 10 per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.

 

Si ritrova un’espressione già trovata ieri: “in Cristo”, “in lui” v.1, 3, 4, 7 “nel quale abbiamo la redenzione”, 9 “aveva in lui prestabilito”, 10 “ricapitolare in Cristo tutte le cose”. Paolo insiste con questa formula per dare l’orizzonte, il limite, l’ambito del suo ragionamento, non riesce a esprimersi senza parlare di lui e del suo rapporto essenziale con lui.

v. 5-6 FIGLIOLANZA. Dio ci ha “predestinati a essere suoi figli adottivi”: l’elezione che Dio fa di noi ha avuto come conseguenza la nostra “adozione” a figli; cioè non siamo, come Gesù, figli “naturali” di Dio, anzi altrove si dice che siamo figli  dell’ira e del peccato. Per grazia però lo siamo diventati. C’è un disegno, una scelta precisa di Dio di inserirci, attraverso Gesù nella loro famigliarità! E tutti siamo predestinati a questo! E’ molto emozionante pensare e accorgersi di avere una famiglia che ci ha adottati e ci ha tolto dalla solitudine e dalla paura.

v. 7-8 PECCATO. Eravamo nel peccato. Ma poichè abbiamo creduto in Cristo e siamo diventati figli allora i nostri peccati vengono cancellati! Il sangue di Cristo ci lava dai nostri peccati rendendo bianche come la neve le nostre vesti!

Leggiamo un po’ avanti: Ef 2,1-6”Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2 nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. 3 Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri.

4 Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, 5 da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati.”

v. 9-10 RICAPITOLARE IN CRISTO. C’è un piano e che Dio ha cominciato ad attuare: ricapitolare in Cristo tutte le cose (la chiesa prima di tutto, suo corpo, di cui lui è il “capo”, ma anche tutto il resto). Dio aveva creato tutto in Cristo. Poi l’umanità e la creazione si è dispersa, frantumata, perduta. E’ ora di ritrovare il legame originario con il capo cioè Cristo, ricollegarci e ricollegare tutto a lui: i nostri cari, il lavoro, le ore della nostra giornata, la preghiera, tutto!

Questa è l’opera fondamentale dell’eucarestia che ci convoca intorno a Gesù morto e risorto e ci “riconnette” a lui, ci fa ritrovare il nostro capo; così collegati possiamo di nuovo dare a lui la gloria!

 

Ef 1,11-14                                                                                       Mercoledì 7 novembre 2001

 

11 In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, 12 perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.

13 In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, 14 il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.

 

Nell’attesa della messa di stasera (19:15), quando riabbracceremo i fratelli che ritornano dall’Africa, possiamo notare che il passo di oggi è abbastanza unitario nel tracciare la successione di “avvenimenti” che caratterizzano il rapporto del credente con Gesù:

1) ascolto della parola della verità;

2) fede nel Vangelo della nostra salvezza (il vangelo stesso è portatore della salvezza come dice anche la lettera i Romani 1,16 “... il vangelo...  potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”);

3) dono dello Spirito Santo, caparra  della nostra eredità (cioè un “anticipo” che già ci fa pregustare e vivere la vita eterna; Damasceno commenta:  “chiama caparra l’inizio del possesso; dice dunque che, avendo ricevuto lo Spirito, già abbiamo cominciato a essere proprietà di Cristo e di Dio”);

4) attesa della redenzione piena nella speranza in Cristo.

Questi passi, queste tappe riguardano proprio tutti (che bella quella esclamazione del v. 13 “anche voi!”) e hanno come oggetto Cristo che è parola di verità, oggetto della nostra fede, oggetto dell’annuncio, elargitore dello Spirito Santo, fonte e oggetto della speranza.  Oggi scopriamo di essere inseriti in un disegno comune che ha come obbietivo la glorificazione di Dio: “predestinati secondo il piano di colui che tutto opera conforme alla sua volontà perché fossimo a lode della sua gloria”.

 

Ef 1, 15-21                                                                                         Giovedì 8 novembre 2001

 

15 Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16 non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, 17 perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. 18 Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19 e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza 20 che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro.

 

Paolo, terminata la sua grande confessione di fede e di lode che ci ha accompagnati e consolati in questi giorni nei vers.3-14 , sembra riprendere un discorso più diretto e specifico con i cristiani di Efeso; ma quanto ha proclamato evidentemente lo trascina verso nuove considerazioni di carattere globale e sostanziale per l’esperienza cristiana.

Mi sembra importante il termina “rivelazione” del ver.17. Esso indica un disvelamento: per dire che tutta la realtà è come coperta da un velo, da una coltre, come si legge ad esempio in Is.25,6-9 : “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti...”; anche questo brano profetico collega questo toglimento del velo con la vittoria che Dio riporterà sulla morte, come anche nel nostro brano è detto; ma lo vedremo più sotto. Qui diciamo che questo “spirito di sapienza e di rivelazione” è quello che ci consente la visione nuova, secondo Dio quindi, di tutto ciò che ci circonda.

Questo è essenziale! La risurrezione di Cristo che viene con forza ricordata ai vers.20-21 non può essere isolata in se stessa, ma deve essere colta in tutta la sua portata di “capovolgimento” della realtà; a motivo della risurrezione del Signore, tutte le cose sono nuove. Quindi Paolo prega che noi possiamo sempre più “comprendere a quale speranza”(ver.18) siamo stati chiamati; dove sapete che, per la certezza assoluta che la fede ci dà della vittoria riportata da Dio sulla morte con la risurrezione di Cristo, questa “speranza” non è più una delle tante ipotesi positive destinate a rivelarsi poi come illusioni; peri cristiani la speranza è certezza, e costituisce il nuovo pensiero e la nuova azione liberati da Dio nella storia. Ebbene questa speranza - che implica la pienezza della gloria e della potenza del Signore verso di noi (vers.18-19) - Dio la “manifestò in Cristo quando lo risuscitò dai morti...” (ver.20). Dunque la risurrezioe del Signore è, come dicevamo, il principio di tutta la nuova creazione e di tutta la nuova storia dell’umanità.L’opera dello Spirito Santo, quello che l’Apostolo chiede per noi, è la rivelazione e il nuovo agire che scaturiscono dalla risurrezione di Gesù.

L’affermazione che Dio ha fatto sedere il Risorto alla sua destra...al di sopra di ogni “principato e autorità...”(ver.21) la riprenderemo

 

Ef 1,22-23                                                                                          Venerdì 9 novembre 2001

 

22 Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, 23 la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.

 

La prima parte del ver.22 è una citazione del Sal.8,7 e ci chiede di considerare per un momento il ver.21 che ieri abbiamo appositamente lasciato alla nostra preghiera di oggi. Qui si parla di “ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome...”.Noi raccogliamo tutti questi termini nella considerazione di quelle realtà che, sia positive sia negative, dominano l’esistenza umana; sono le grandi strutture dell’esistenza, come le leggi che governano l’universo, gli istinti più profondi della persona, le interpretazioni dominanti della realtà e della storia, il tempo, lo spazio, la morte e la paura della morte, la sessualità, il desiderio, la fame....e anche ogni realtà che in futuro potesse emergere come egemone....: tutto questo il Padre lo sottomette al Figlio morto e risorto. E’ trasparente la presenza in questa affermazione del Sal.109(110),1 :”Siedi alla mia destra finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Ogni realtà che, anche apparentemente positiva, voglia porsi e imporsi come un assoluto per l’uomo, è negativamente giudicata dalla signoria assoluta di Gesù che è ormai la misura, il criterio e la sostanza di verità di tutto ciò che esiste. Anche in questi giorni la coscienza cristiana è sbalordita per come una realtà negativa e condannata indiscutibilmente dalla Croce del Signore possa imporsi alle singole coscienze e al pensiero e alla volontà di interi popoli, senza che sia evidente come al male, proprio per estirparlo, non si possa rispondere che con il bene : ad esempio con l’assunzione profonda delle sorti delle terre più povere da parte di noi paesi ricchi, per annientare il pericolo drammaticamente già manifesto che un’eresia demoniaca invadendo la sorte dei diseredati faccia della loro disperazione una sorgente spaventosa di furore e di morte. Ormai solo la luce serena del Signore della storia può indicare, promuovere e sostenere pensieri e azioni fecondi di bene: senza clericalismi, ma con vera “laicità” se così si può chiamare una sapienza cristiana che sappia comunicare e proporsi a ogni altra ipotesi di interpretazione della vicenda umana, con mite risolutezza e con intelligenza culturale e politica.

La Chiesa viene allora proclamata come il “corpo” di quel Cristo che è il capo su ogni cosa e che come tale è “dato” alla Chiesa. Nella Chiesa il Cristo “viene compiuto” e “compie” ogni realtà della creazione e della storia : ogni commento dice che questo versetto è molto difficile da interpretare: Noi qui, affezionati a quel primato della Parola e della Liturgia che è grande tradizione della nostra Chiesa di Bologna, diremo che nella Chiesa, e centralmente nella Liturgia, cioè nella Chiesa in atto radunata dallo Spirito per celebrare la Pasqua del Signore, il Cristo viene “predicato”, cioè detto, manifestato e comunicato nei gesti e nelle parole della Santa Assemblea, e lo stesso Cristo riempie di Sè ogni parola , ogni atto e ogni cosa che, come la Liturgia pienamente realizza e svela, e consegna alla nostra obbedienza personale e collettiva, solo “riempita” di Lui e da Lui, trova in Lui la sua verità e la sua efficacia.

 

Ef 2,1-7                                                                                              Sabato 10 novembre 2001

 

1 Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2 nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli.  3 Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri.  4 Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, 5 da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. 6 Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7 per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.

 

Carissimi amici, oggi non siamo riusciti a scrivere il commento!  Ci dispiace molto. Perdonateci. Vi inviamo solo il testo. A lunedì!  Buona domenica.

 

Ef 2,8-10                                                                                            Lunedì 12 novembre 2001 

 

8 Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9 né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 10 Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

 

A partire con la parola che ci è ormai cara e consueta, “grazia”, e in pochi versetti, Paolo raccoglie in una grande sintesi tutta la nostra vita di credenti. E qui devo dire che la mia speranza è che anche qualche fruitore di queste notarelle possa rendersi conto, ma è meglio dire “possa scoprire” in se stesso il tesoro della fede senza le eventuali complicazioni che lui stesso o altri avessero sovrapposto alla serena semplicità del dono di Dio.

Dice dunque al ver.8 che siamo salvi per grazia, mediante la fede. E qui pone il chiarimento fondamentale, che questo fatto - oppure che la fede stessa ; qui mi sembra si possano considerare soggetti dell’ affermazione sia l’accadimentto della fede, sia la fede stessa - non è da noi : è dono di Dio! Dunque, che cosa è la fede? E’il venire di Dio a noi, in modi  e contenuti i più diversi, secondo criteri e fatti che quasi sempre è impossibile a noi discernere appunto come fede, e che solo poi, o per nostra diretta intuizione, o perchè qualcuno ci prende per mano, riusciamo a cogliere nella concretezza di un “fatto” che ci è capitato; un fatto imprevisto, non meritato, non preparato o previsto; talvolta addirittura non voluto, o temuto, o istintivamente respinto; un “venire di Dio  a noi” che totalmente prescinde da noi quanto a contenuti, a tempi, a modi...Dono dunque, perchè appunto non è da noi ma viene da Dio solamente. In tal senso si vede con chiarezza come tale dono della fede possa implicare una grande umiltà; e peraltro si capisce èerchè sia quasi istintivo “riappropriarsene” in qualche modo, ponendo come essenziale qualcosa da parte nostra. Invece, a questo livello, va tenuto fortemente quello che il nostro testo dice: non da noi; è dono di di Dio. Questa, si può dire, è la fede “dal versante” del Signore. Da parte nostra, mi sembra molto importante prendere atto che, quando si tratta di accogliere, di aderire con un atto che non è affatto un puro assenso intellettuale, ma che coinvolge tutta la nostra persona e tutta la nostra storia,non ci si trova davanti a qualcosa di problematico e incerto, ma davanti a un fatto molto chiaro, anche se spesso molto umile e apparentemente sproporzionato al “capovolgimento” che pretende e che di fatto opera in chi lo accoglie.

E’ molto importante anche quello che viene affermato circa le opere, ai vers.9-10. Innanzi tutto non viene dalle opere per evitare un terribile fraintendimento : che ce ne vantiamo, come cosa nostra; invece, dicevamo, è dono di Dio. Anzi, siamo noi opera sua; qui viene usato un termine diverso da quello che dice le opere nel nostro testo; c’è un riferimento importante alla “creazione”: infatti subito aggiunge “creati in Cristo Gesù”; vedremo domani quanto questo è rilevante. Dunque, siamo opera sua. E le opere non son importanti? Lo sono assolutamente, tanto che siamo creati “per le opere buone” , o, come preferisce rendere S.Girolamo nella versione latina, “nelle opere buone”. Le opere buone sono il senso e il fiorire di questa “nuova creazione” che Dio ha compiuto donandoci la fede. Ma anche le opere sono propriamente non nostre, ma sue. Egli le ha preparate, o disposte, o predisposte, perchè non tanto le praticassimo, come dice la nostra traduzione, ma, in prospettiva molto più affascinante, perchè “in esse camminiamo”: una grande e bella e buona passeggiata verso la Casa di nostro Padre; questa è ormai la nostra vita, pur nelle sue prove e nella precarietà della nostra risposta al dono di Dio.

 

Ef 2,11-16                                                                                         Martedì 13 novembre 2001 

 

11 Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, 12 ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo.  13 Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. 14 Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, 15 annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16 e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia.

 

Ho sentito di notevole rilievo, al ver.11, l’invito, o il comando, di “ricordare”. La rilevanza della memoria nella nostra fede ebraico-cristiana suggerisce che questo ricordare non sia un semplice riandare con la memoria, nè sia un consiglio per un’opportunità da cogliere “una tantum”, ma costituisca il cuore del nostro atto di fede, quello che i nostri padri ebrei chiamano il “memoriale” e che per noi discepoli di Gesù ha il suo apice nella Messa, memoria-celebrazione della Pasqua del Signore, Pasqua che tra l’altro è ampiamente resa presente anche dalle parole che oggi celebriamo (ver.16).

Sempre, dunque, in ogni evento della nostra fede, noi “ricordiamo” e quindi rendiamo perfettamente attuale in noi e nella storia dei cuori e dei popoli quel passaggio tra “un tempo” descritto nei vers.11-12, e l’ “ora” del ver.13. Tutta la storia della salvezza, sia che si tratti dell’antico passaggio dall’Egitto del peccato e della morte, sia che si raccolga nell’avvenimento supremo della morte-risurrezione di Cristo, tutta si presenta e si attualizza nella vicenda umana, del singolo come dei popoli; per questo sono portato a pensare che qui l’Apostolo ci inviti a celebrare incessantemente, nella memoria della “nostra “storia della salvezza, l’opera che Dio ha compiuto per noi in Cristo.

In modo severo i vers.11-12 descrivono la nostra estraneità, che si manifesta in due direzioni: nei confronti di Dio e nei confronti dell’antico popolo di Dio. Il ver.13 afferma che noi che eravamo “i lontani”, in Cristo siamo divenuti “i vicini”, nel suo sangue, cioè per la potenza del suo sacrificio d’amore. Vicini a chi? Appunto ai padri ebrei, e a Dio stesso !

Al ver.14, in questo punto culminate della rivelazione cristiana il Signore Gesù viene chiamato con un appellativo sublime : Egli è “la nostra Pace” !  Egli infatti ha abbattuto il muro di separazione: tra chi o tra che cosa?  tranoi “pagani” e i padri ebrei, ma anche il muro tra Dio e tutti noi, pagani e ebrei. Sì, anche gli ebrei, che pure avevano la Parola, erano separati da Dio, perchè la Legge “fatta di prescrizioni e di decreti” non poteva far altro che sancire e evidenziare “l’inimicizia” con Dio. Ma allora, voi mi direte, a che cosa serviva questa Legge, se di fatto non costituiva una strada di salvezza per chi l’aveva ricevuta? Essa era la via della salvezza divina, ma come attesa e profezia del Messia del Signore.

Solo Lui, Gesù Cristo, attua la salvezza sia per gli ebrei sia per i pagani

 

Come questo Egli lo compia è mirabilmente ricordato ai vers.15-16. Gesù annulla “la legge fatta di prescrizioni e di decreti” “per mezzo della sua carne”(ver.15), cioè “per mezzo della croce”(ver.16), perchè con il suo perfetto sacrificio d’amore Egli distrugge “in se stesso l’inimicizia”, in quanto assume su di sè i nostri peccati che la Legge antica metteva in evidenza ma non sapeva “togliere”. In tal modo Egli crea “in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo ( i “due” sono gli ebrei e i pagani), facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo.

Si tratta veramente di una “nuova creazione”, di un nuovo inizio per l’umanità salvata da Dio per amore, nella Croce di Gesù, il Figlio.  L’inimicizia tra ebrei e pagani e la stessa inimicizia tra Dio e tutta l’umanità è stata vinta da  quella Pasqua del Signore che anch’io, peccatore, posso celebrare tra pochi minuti, qui alla Dozza, da dove vi auguro una giornata in quella Pace che è Gesù.

 

 

 

Ef 2,17-22                                                                                      Mercoledì 14 novembre 2001 

 

17 Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. 18 Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. 19 Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20 edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. 21 In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22 in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.

 

Se avete un po’ di tempo, vi consiglio una rilettura anche rapida di Isaia 56-57, per poter cogliere con più forza l’adempimento delle antiche profezie nella riconciliazione di Israele e di tutte le genti nell’unico Signore.

Per questo “annunziare la pace” da parte di Gesù mi pare che il testo di riferimento più forte, oltre appunto Isaia che qui viene esplicitamente citato, sia Giovanni 20,19-23; qui le “porte chiuse” esprimono bene la condizione ferita di tutta la storia che il Signore è venuto a liberare; e soprattutto illumina fortemente l’azione di Gesù - il suo sacrificio d’amore - come principio e potenza di salvezza.

Il ver.18 proclama il nostro ingresso - di noi, ebrei e pagani - nel mistero e nella realtà della Santissima trinità : per mezzo del Figlio abbiamo accesso (non come dice la nostra versione “possiamo presentarci”) entrambi (giudei e gentili, appunto) in un solo Spirito, al Padre. Sono molto colpito da come questi testi della Lettera agli Efesini continuino a evidenziare il primato del comandamento dell’amore attraverso questa assoluta connessione tra il rapporto con Dio e il rapporto tra i due grandi e contrapposti interlocutori, giudei e pagani, appunto,  che  solo insieme, solo se sono insieme, sembrano poter accedere alla pienezza della comunione con Dio; sembra non esserci questo annunzio cristiano della pace se non a coloro che fanno pace tra loro.

Mi permetto di dare una lettura particolare del ver.19, per evitare il pericolo di vivere questa nuova condizione come un possesso e non come un evento perennemente rinnovato e accolto. Essere cristiani vuol dire incessantemente “lasciare” una condizione da stranieri e ospiti per entrare in quella nuova di concittadini dei santi e familiari di Dio; oppure vuol dire, nello stesso senso, convertirsi sempre più profondamente al dono che Dio ci ha fatto con l’unirci ai “santi” che sono i padri Ebrei - noi che “eravamo” i lontani - e con l’accoglierci nella sua grande famiglia.

I vers.20-22 descrivono la nuova comunità messianica, la Santa Chiesa, come il tempio santo del Signore. Tale costruzione non è vista come qualcosa di già compiuto, ma come una edificazione in atto, come dunque l’avvenimento fondamentale che si sta compiendo, al di là e dentro a ogni altro avvenimento piccolo e grande della storia dei cuori e dei popoli. Gesù Cristo è la “Pietra angolare”, che, o sostiene tutto e tutti se con questa espressione si intende la pietra che sta alla base e su cui tutta la costruzione viene edificata, o è pietra di volta di tutto, se si intende come quell’apice che tiene tutta la costruzione unita e compatta.

 

Ef 3,1-7                                                                                             Giovedì 15 novembre 2001 

 

1 Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili... 2 penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: 3 come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente. 4 Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.  5 Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6 che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, 7 del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell’efficacia della sua potenza.

 

Il nostro brano si apre con la forte attribuzione che Paolo fa a se stesso del titolo di “prigioniero di Cristo”, stringendo insieme la condizione esterna cui la vita apostolica lo ha condotto e la sua stessa missione: così viene riscattata la “prigione” che diventa simbolo della sua radicale dipendenza dal disegno divino, e tale nota essenziale del suo ministero viene evidenziata come un imperativo assoluto circa i modi, i contenuti e i destinatari della sua missione.

Paolo afferma, sempre in questo ver.1, di essere prigioniero “per voi Gentili” : la sua vita è veramente stretta tra la volontà di Dio e la vicenda dei popoli pagani.  Al ver.2 egli non esita a indicare tutto il volto del suo ministero come un’esperienza fortemente personale : “ministero a me affidato a vostro beneficio”; e ancora, ai vers.3-4, dice di una “rivelazione” riservata a lui e di cui egli han scritto a loro, e quindi della particolare “comprensione” che a lui è stata data del mistero di Cristo. Ora, tutto questo non è circoscritto come elemento relativo e accessorio della predicazione evangelica , ma come elemento universale e essenziale : il ver.5 afferma che tale mistero non è stato rivelato alle precedenti generazioni , e penso si riferisca alle generazioni del popolo eletto, ma ora è stato rivelato ai suoi “santi apostoli e profeti” : chi sono questi? Non è precisato, ma sarei indotto a pensare che si tratti di “tutti” gli apostoli del Vangelo, nel senso che sembra di dover ritenere che per Paolo questo “annuncio ai pagani” è elemento essenziale, vero “cuore” del mistero cristiano, e quindi del tutto irrinunciabile per chiunque voglia proclamare il Vangelo del Signore Gesù; anche se , appunto, tale illuminazione del mistero sembra passare come esclusivamente attraverso l’esperienza di Paolo stesso.

Non è dunque possibile una predicazione del Cristo che non abbia come suo elemento privilegiato l’ingresso dei pagani nella fede. Non c’è, insomma, l’annuncio cristiano, e quindi il nuovo volto della vita, e “poi” , “eventualmente”, l’accedere delle genti; ma tale accesso “è” l’evento che caratterizza e qualifica l’annuncio di Gesù : o Ebrei e pagani formano lo stesso corpo, o non si dà il tratto essenziale del compimento delle profezie e del mistero cristiano. Non c’è fede senza riconciliazione e comunione!

 

Ef 3,8-13                                                                                           Venerdì 16 novembre 2001 

 

8 A me, che sono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, 9 e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, 10 perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio, 11 secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12 il quale ci dá  il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui. 13 Vi prego quindi di non perdervi d’animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.

 

Paolo ha lucida consapevolezza della tensione tra il compito sublime che Dio gli ha affidato e la miseria della sua persona. In 1Co.15,9 egli dà un’esplicita spiegazione circa le ragioni di questo suo ritenersi l’ultimo dei santi : l’aver perseguitato la Chiesa. Tuttavia, al di là delle ragioni, ogni discepolo di Gesù, ogni annunciatore del Vangelo, vive questo contrasto tra il “tesoro” che gli è stato affidato e il “vaso” che lo contiene. Tutti abbiamo presente l’esordio meravigliato del Magnificat e la stupefatta esultanza di Maria per l’elezione divina nei confronti della sua piccolezza.  Paolo arriva anche a sottolineare l’opportunità di questo “contrasto”, quando in 1Co1-2 argomenta lungamente su questa positiva scelta di Dio affinchè “la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”(1Co.2-5).

Tale compito affidato all’Apostolo sta nella “grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo”. E’ bello che il comando di Dio sia recepito come “grazia”! Mi sembra che questi vers.8-10 non semplicemente riferiscano il contenuto della predicazione paolina, ma siano pieni dell’impeto e della partecipazione dell’Apostolo in questo disegno dell’amore di Dio per l’umanità.

La manifestazione, da parte della Chiesa “ai principati e alle potestà”, della “multiforme sapienza di Dio” (ver.10), non è solo l’annuncio della dilatazione del dono evangelico a tutti i popoli, ma veramente il radicale cambiamento del “governo” dell’universo, che fino a Cristo, e questo anche per il popolo di Dio, è stato tenuto da queste forze universali - i principati e le potestà : sono le supreme categorie di interpretazione , di giudizio e di forza nella quali si muove di fatto l’intero genere umano - un governo tutto condizionato da quei criteri di particolarità , di esclusione, di inimicizia, di giustificazione e di imposizione della violenza e della soppressione del diverso, dell’altro...  tutti “princìpi universali” di un mondo e di una natura umana feriti e segnati dal mistero del male e della morte. Ma ora, in Cristo, tutto questo è definitivamente superato ed eliminato . Si tratta, appunto, sembra suggerire Paolo anche alle vicende dei nostri giorni,  di cogliere e accogliere questo “adempimento del mistero” : non si può più tornare indietro, verso condizioni irredente, non “salvate” dalla persona e dall’opera del Signore. Enorme è la responsabilità cristiana in ordine alla continua elaborazione di una “sapienza della storia” adeguata a quel “capovolgimento” che il Cristo ha provocato nella vicenda del creato, e che Maria percepiva così fortemente nel suo Cantico:”...ha rovesciato...”(Lc.1,46-55).

Al ver.12, piuttosto che l’espressione “il coraggio di avvicinarci in piena fiducia”, mi sembra meglio rendere alla lettera “la fiducia e l’accesso in confidenza” : mi sembra più sgombro da ogni paura, e più ricco di affettuoso abbandono.

 

Ef 3,14-21                                                                                          Sabato 17 novembre 2001 

 

14 Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, 16 perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. 17 Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, 18 siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19 e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.  20 A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, 21 a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.

 

Al v. 15 Paolo, facendo uso di un termine molto raro, ci dice che dal Padre “prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra”: siccome questa parola “paternità” significa anche “famiglia”, mi piace a questo punto pensare alla moltitudine delle “famiglie” e quindi alla loro comunione profonda con la suprema paternità di Dio. Mi sembra che questo sia meravigliosamente coerente con quanto è stato detto finora circa questo ingresso di tutte le nazioni nella fede e nel mistero del Signore.

Dopo questo riferimento essenziale al Padre, nei vv. 16-17 vengono nominate con forza lo Spirito Santo e il Cristo: la relazione d’amore eterno che, secondo la rivelazione di Cristo, unisce le tre persone divine, costituisce “l’ambito” nel quale la nuova vita nasce e si compie. Lo Spirito Santo ci rafforza “nell’uomo interiore”, cioè afferma sempre di più in noi la dimensione profonda ed essenziale, quella che ci rivela e ci fa crescere come figli di Dio: questa è ormai l’intima verità di ogni uomo e di ogni donna sulla terra. Per questa azione dello Spirito, è il Cristo stesso che abita nei nostri cuori: cioè  la nostra vita è sempre più il luogo e il tempo della sua presenza e della sua opera in noi; ad esempio come Lui, anche noi chiamiamo Dio “Padre nostro”.

I termini “ampiezza, lunghezza, altezza, profondità” vogliono esprimere la dilatazione infinita del mistero di Dio in tutti e in tutto; e nello stesso tempo il processo senza fine della nostra conoscenza e della nostra azione in Lui: siamo chiamati, direbbe Papa Giovanni, a pensare e ad agire sempre più “in grande”! (vv. 18-19). é molto bello che il “genere letterario” dell’intero brano di oggi sia la preghiera, una preghiera di supplica, di ringraziamento e di lode!

 

Ef 4,1-6                                                                                              Lunedì 19 novembre 2001 

 

1 Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, 2 con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, 3 cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.  4 n solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6 Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

 

Il cap. 3 iniziava con: “Io Paolo il prigioniero di Cristo... “; il cap. 4 inizia con: “... io, prigioniero nel Signore” ( e non come si legge nella versione italiana “prigioniero del Signore”). Come dunque ci diceva chi è il suo carceriere, adesso ci dice quale si il suo ...carcere! Non solo dunque gli apparteniamo, ma, più profondamente, viviamo in Lui! Grazie a Dio!

Sembra poi che questo v.1 voglia anche evidenziare il volto dinamico della nostra relazione con Lui: non solo gli apparteniamo e viviamo in Lui ma incessantemente ci muoviamo verso di Lui che ci ha “chiamati”; siamo così esortati a “camminare in maniera degna della chiamata con la quale siamo stati chiamati”; così la versione letterale.

Il v.2 afferma che gli atteggiamenti e le risorse e le risorse più opportune a questo scopo sono quelli che caratterizzano un amore pieno di umiltà: umiltà appunto, e mitezza, pazienza accogliente e larga, profonda attenzione - aggiunge il v.3 - a celebrare la nostra unità nello Spirito Santo tenendoci legati nella pace.

Il v.4-6 descrivono gli elementi e i movimenti della nostra comunione fraterna: l’espressione che li collega è “uno solo”. L’altra caratteristica che li definisce è che sono tutti doni e realtà oggettivi: non dipendono da noi, ce li ritroviamo dentro e intorno a noi, già presenti e operanti nella nostra vita. Non cose da fare ma regali da accogliere, custodire e lasciar fiorire.

Il v. 6 mette in relazione profonda quell’”unicità” della nostra condizione - e che qui finalmente si raccoglie nell’unicità stessa di Dio - con il termine “tutti”: Dio è Padre di tutti, sopra tutti, attraverso tutti.  Se si pensa a queste tre preposizioni e allo spessore di quel “tutti” ...  vengono le “vertigini”!!!

 

Ef 4,7-16                                                                                           Martedì 20 novembre 2001 

 

7 A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

8 Per questo sta scritto:

Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.

9 Ma che significa la parola <<ascese>>, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10 Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.

11 È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, 12 per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, 13 finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. 14 Questo affinchè non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. 15 Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, 16 dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.

 

Le parole che oggi il Signore ci regala sono uno sviluppo e uno svolgimento di quanto ieri era annunciato nella sua interezza; ci viene cioè mostrato come il dono di Dio, che ieri veniva presentato nella sua unità, si realizza e si compie in ciascuno di noi. E mi pare opportuno sottolineare che da tale “finezza” di una consegna personale del dono nessuno viene escluso : dice infatti “a ciascuno di noi” (ver.7).

I vers.8-10 rafforzano questa certezza della non esclusione di nessuno dal dono divino, perchè ci ricordano che “La parola ascese” significa che “prima era disceso quaggiù sulla terra”(ver.9), e che quindi ogni persona, anche chi a noi sembra più piccolo o più ferito, viene raccolto dalla misericordia del Signore e da Lui gratificato con regali preziosi. E questo non è semplicemente per fare un piacere a noi, ma soprattutto per realizzare il suo progetto di “riempire tutte le cose”(ver.10), cioè di invadere con la sua presenza e la sua opera salvifica tutta la creazione.

Una traduzione più letterale del ver.11 direbbe che “Egli ha dato alcuni apostoli, alcuni profeti, alcuni evangelisti...” oppure, ancora più radicalmente “ha dato gli apostoli, e i profeti e gli evangelisti...” , dove qui la preoccupazione dell’Apostolo non è come in 1Co12 quella di mostrare una distribuzione ordinata e non competitiva dei vari doni, ma quella di far vedere che, assegnando a ciascuno un dono e un compito, ha reso la comunità cristiana ricca di ogni bene.

Tutto questo, dice al ver.12, per “l’istruzione dei santi all’opera del ministero”: ma mi sembra di capire che quindi ha fatto doni a tutti e a ciascuno per aiutare tutti e ciascuno a compiere “l’opera del ministero”, e cioè tutti aiutano tutti, ciascuno con il suo dono e aiutato dal dono del fratello. E’ la descrizione di una chiesa ricchissima, dove non appare una parte attiva e una parte passiva, ma dove ciascuno e tutti sono importanti, e dove ciascuno e tutti hanno molto da dare e molto da ricevere.

Il ver.13 è una grande lode di questa sublime opera di Dio che è la Chiesa, che risplende tutta insieme per lo splendore regalato a ciascuno dal Signore e espresso da ciascuno per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli.

Questa comunità cristiana tanto matura supera radicalmente il pericolo di una condizione gracile (“come fanciulli sballottati dalle onde...”;ver.14), dove persone non fortificate dal dono divino e dalla responsabilità che ne consegue sarebbero esposti al pericolo di dottrine sbagliate e seducenti.

Paolo chiama “vivere la verità nella carità” questa condizione felice dell’esistenza cristiana, che nei vers.15-16 viene presentata non come un dato statico, ma come una crescita, un compiersi perennemente in atto.  L’immagine è quella di un corpo che cresce, e la direzione, l’apice di tale crescita è l’amore.

 

Ef 4,17-24                                                                                      Mercoledì 21 novembre 2001 

 

17 Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, 18 accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. 19 Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

20 Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, 21 se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, 22 per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici 23 e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente 24 e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.

 

I vers.17-19 si colgono nel loro spessore profondo se non si intendono come un semplice avvertimento morale ma prima di tutto come il ricordo forte e continuo dell’esistenza nuova che il Signore ha donato a noi discepoli di Gesù: questo è stato il tema svolto soprattutto al cap.2 dove ci veniva ricordato “chi” e “come” eravamo e come ormai non siamo più. I nostri peccati non sono quindi solo la trasgressione di una norma, ma il rinnegamento del nostro essere, di questa nuova vita che abbiamo ricevuto dalla misericordia di Dio. In tal senso, anche la descrizione piuttosto severa del comportamento dei pagani non è tanto un rimprovero sul piano etico, quanto la constatazione amara della negatività di un’esistenza non visitata dal Signore. Per questo, sarebbe secondo me stato più opportuna una scelta di termini che fosse più descrittiva di una situazione ferita che causata da decisioni sbagliate .: si tratta di “ciechi” più che di accecati, e di persone “insensibili” più che di persone “diventate insensibili”.

Ecco allora la grande forza di quel “Ma voi” del ver.20 e quindi l’opportunità di dire, alla lettera, “non così avete imparato (nel senso forte dell’ “essere discepoli”) il Cristo”. Il ver.21 mi sembra voglia dirci che certamente è così, se Gesù è quel Cristo che noi abbiamo conosciuto e seguito; se dunque crediamo che Gesù di Nazaret sia il Cristo di Dio.

Non mi convince la traduzione italiana dei vers.22-23, per l’aggiunta del verbo “dovere”, “dovete deporre...dovete rinnovarvi...”. Mi sembra che, con molta più incisività e efficacia, Paolo non ci stia dicendo quello che dobbiamo fare, ma quello che ci è stato donato e che deve compiersi per il fatto stesso che abbiamo ricevuto la vita nuova. Questa “consiste” sia nella deposizione dell’uomo vecchio, sia nell’assunzione del nuovo. Come abbiamo “imparato il Cristo”? così : come la fine della nostra appartenenza alla stirpe ferita di Adamo e il nostro ingresso, in Cristo, nella vita dei figli di Dio. Direi che solo al versetto successivo l’Apostolo tira le conclusioni morali dell’evento pasquale nel quale siamo entrati per grazia di Dio.

 

Ef 4,25-32                                                                                         Giovedì 22 novembre 2001 

 

25 Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. 26 Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27 e non date occasione al diavolo.  28 Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità.

29 Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano.

30 E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione.

31 Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità.

32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

 

La meraviglia delle parole di oggi mi pare si manifesti soprattutto nella capacità e volontà di Dio di racchiudersi nel piccolo che qui è il tessuto della nostra vita quotidiana; altrimenti il rischio è di attestarsi sui massimi sistemi, senza che questo poi di fatto riguardi quel mistero universale-particolare che è la vicenda personale di ognuno di noi.

Mi affascina ancora di più poter constatare che peraltro in questo piccolo che è consegnato al piccolo di ciascuno,  c’è poi, in ogni “novità” che viene richiesta, una conversione che è come una “risurrezione dai morti”, perchè si tratta di atteggiamenti o azioni che stanno all’opposto del punto di partenza. Provo adesso a esemplificare.

Può sembrare che il ver.25 non domandi gran cosa; di fatto, mettendo al bando la menzogna, non chiede semplicemente di essere sinceri, ma di dire “ciascuno la verità al proprio prossimo”, che citando Zaccaria 8,16 in realtà ci immerge nella nuova realtà messianica e quindi ci affida non una generica sincerità ma quella verità che è il Signore stesso in mezzo a noi, e quindi il compito di “dirlo” al nostro prossimo, che però ora viene svelato con l’annuncio che “siamo membra gli uni degli altri”, che è molto più che “prossimo”!!

Al ver.26, citando il Sal.4,5 , dovrebbe dire, alla lettera, “irritatevi, e non vogliate peccare”. Il che ora si traduce non solo e non tanto nel non consentire alla nostra ira di diventare peccaminosa o fonte di peccato, ma semplicemente di farla sparire prima del tramonto del sole, il che vuol dire “in fretta”.

E ancora, il ladro non solo la deve piantare di rubare, ma deve diventare onesto lavoratore che non solo campi del suo e non dell’altrui, ma addirittura possa fare mensa comune con qualche poveretto che possa approfittare di quello che per lui da solo sarebbe troppo e quindi indigesto.

E ancora, al ver.29, parole cattive sostituite da parole che non solo siano buone, ma positivamente costruiscano e diano doni, grazie, regali, a chi le ascolta.

Lo Spirito Santo è il Signore che si è fatto piccolo per noi fino alla croce e fino al dono dello Spirito che abita in noi; questo “piccolo” deve essere custodito lieto e allegro dentro di noi, tanto quanto l’abbiamo rattristato campando senza la speranza della vita nuova; ma “ora”....

Nella stessa linea gli ultimi versetti. Dunque, per dire che l’evento supremo della storia, la risurrezione di Cristo che è principio di cieli nuovi e terra nuova, può e deve manifestarsi e fiorire proprio nel modesto tessuto esistenziale di noi poveri cristi, cristiani mediocri, ma ospiti meravigliati di Colui che si è fatto piccolo per noi per abitare nei nostri cuori.

 

Ef 5,1-5                                                                                             Venerdì 23 novembre 2001 

 

1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2 e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

3 Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; 4 lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio.

 

Il v. 1 contiene un’indicazione molto rara nel NT, e qui molto interessante:

siamo invitati ad essere “imitatori di Dio”. Ma questa imitazione viene subito collegata al supremo “imitatore di Dio”, il Cristo: dice “come anche il Cristo.”.

Tale imitazione si compie nell’orizzonte dell’amore. Se ci atteniamo alla lettera del testo, vediamo che esso viene citato tre volte nei vv. 1-2. Per noi, innanzi tutto, che siamo chiamati “figli amati”. Poi nell’invito a comunicare “nell’amore”. Infine per il Signore che ci ha amati. Così diventa chiaro che è possibile per noi imitare Dio nell’amore, perché siamo da lui amati; questo ci consente di “camminare nell’amore”: questo verbo, che descrive il comportamento morale in modo dinamico, l’Apostolo lo ha già usato più volte, e noi lo abbiamo trovato ultimamente in Ef 4,1. Questo cammino lo facciamo seguendo Gesù che ci ha donato l’amore amandoci e giungendo all’apice di esso nella sua obbedienza al Padre fino all’offerta sacrificale di se stesso, vero agnello pasquale senza macchia: così suggerisce al v. 2 l’espressione “sacrificio di soave odore”, che è memoria e compimento in Cristo dell’antico culto dei padri ebrei.  È molto importante ai vv. 3-5 l’omologazione dei mali che impediscono di aver parte al regno di Cristo e di Dio (v. 5) nel supremo peccato dell’idolatria (“roba da idolatri”, dice il testo italiano): in tal modo si pongono a contrasto l’offerta della vita di Cristo che il Signore ci invita ad imitare e il culto idolatrino di se stesso, soprattutto aggredendo il mistero nuziale della nostra vita, e adorando l’idolo del possesso e del potere.

 

Ef 5,6-14                                                                                            Sabato 24 novembre 2001 

 

6 Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. 7 Non abbiate quindi niente in comune con loro.

8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; 9 il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.

10 Cercate ciò che è gradito al Signore, 11 e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, 12 poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.  13 Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. 14 Per questo sta scritto: “Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà”.

 

v.6 “nessuno vi inganni con vani ragionamenti” letteralmente sarebbe “con vane parole”. S. Paolo è ormai un po’ di versetti che sta affrontando il tema della parola, usata nei rapporti con gli altri: 4,29 “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione” 5,3 “Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!”.  Purtroppo da Caino in poi la “parola” ha potuto avere un potere ingannante, cattivo, che si traduce in pensieri cattivi e quindi in opere malvagie.

Le opere che provengono da queste parole di tenebra sono senza frutto e, secondo il v.6, attirano l’ira di Dio. Per sfuggire alle sorti dei figli della disobbedienza occorre secondo l’apostolo:

1) Non partecipare a queste cose, che ci allontanano dalla verità (v. 7-11).

2) Discernere (più letterale di “cercare”) ciò che al Signore è gradito.

3) Condannare apertamente l’inganno perchè tutto verrà manifestato. Dice il vangelo di GV “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.”

 

E’ sorto il sole di giustizia che illumina ogni uomo, ha squarciato le tenebre e dato speranza a tutti i peccatori che non si sottraggono ai suoi raggi benefici. “Ora siete luce nel Signore” v.8: impressiona l’ultimo versetto di oggi che mostra come l’essere “luce” è una resurrezione dai morti, un rinascere a nuova vita per messo di Cristo. riceviamo questo dono ogni volta che come figli obbedienti ci allontaniamo dalle opere delle tenebre e ci lasciamo abbracciare dalla luce serena del Signore.

 

Ef 5,15-20                                                                                          Lunedì 26 novembre 2001 

 

15 Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; 16 profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. 17 Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. 18 E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, 19 intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, 20 rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

 

Per la terza volta compare in Ef 5 quel verbo greco che dice del comportamento, il “camminare”; lo avevamo trovato al v.2 “camminate nella carità” e al v.8 “camminate come figli della luce”. Oggi ci viene dato come atteggiamento sapienziale, di interpretazione e di azione “nel tempo”; il traduttore lo rende con due termini: condotta e comportamento. La sapienza nuova mi sembra esiga che interpretiamo con molta attenzione (in italiano c’è un termine dedotto da questo avverbio greco, molto ricercata e rara: acribìa) i giorni: essi sono cattivi. Io penso che l’apostolo non si riferisca a vicende particolari, ma faccia riferimento in senso generale alla direzione “verso la morte” che caratterizza la creazione e la storia esiliata da Dio. Perciò quando dice “profittando del tempo presente” a me pare più giusto rendere qui con “riscattare il tempo” (“redimere” secondo la Vulgata) perchè il tempo è riscattato quando noi viviamo nella direzione radicalmente nuova del tempo riscattato dalla Pasqua del Signore: non più giorni cattivi verso la morte ma tempo nuovo verso la pienezza di vita.

Questa lettura mi porta a vedere nei v.17-20 un parallelo con i v.15-16. Non più una vita prigioniera della morte e quindi spinta verso ebrezza cattiva di dispersione e di oblio (17.18a) ma una vita di pienezza nello Spirito (18b) che celebra soprattutto nella preghiera sulla Parola di Dio la sua bellezza nuziale. La preghiera qui si presenta come  pura fruizione del dono di Dio, in questo intrattenersi (alla lettera “parlando tra voi”) in salmi e cantici.

Il v.20 raccoglie tutto ciò in grande ringraziamento “nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”: la nostra preghiera cioè celebra l’esultante riconoscenza del Figlio verso il Padre (vedi Mt 11,25).

 

Ef 5,21-24                                                                                         Martedì 27 novembre 2001 

 

21 Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.  22 Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;  23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. 24 E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.

 

Il grande regalo di una Lectio continua del testo ci consente oggi di immergere il nostro brano in un contesto molto ampio; infatti nella versione originale i vers.21- 22 si devono collegare strettamente ai versetti precedenti, perchè tutti i verbi sono dei participi e dipendono dall’espressione “siate ricolmi dello Spirito” del ver.18, per cui tutto quello che è detto fino al ver.22 compreso, è lo svolgimento e la fioritura di quella pienezza dello Spirito.

Di tale vita nello Spirito fa parte “l’essere sottomessi gli uni agli altri nel timore del Signore”. Il clima culturale nel quale siamo immersi nutre, con buone ragioni, molti sospetti su ogni invito alla sottomissione, e preferisce sottolineare l’autonomia e l’autodeterminazione di ogni individuo; per questo preferisce cogliere tutte le dipendenze tra le persone come delle necessità funzionali, sempre però relative a una sostanziale parità-uguaglianza tra tutti. Purtroppo molto spesso, per non dire quasi sempre, questa impostazione restituisce la realtà alla legge del più forte, quando non a una vera “lotta della jungla”; molti negli ultimi decenni, soprattutto tra le donne, hanno avvertito la necessità di mettere in evidenza non solo la uguaglianza ma soprattutto la diversità come elemento di valore e di rispetto, e fonte di particolarità profonde e di relazioni proprie. Lascio da parte questi accenni che esigerebbero molti altri pensieri, per dire che in termini forti la fede cristiana proclama il legame e la relazione tra tutti i rapporti tra le persone e la relazione primaria di ciascuno e del popolo di Dio con il suo Signore; al punto che ogni relazione interpersonale, come ci dirà questa lettera ai cristiani di Efeso, “celebra” la relazione fontale tra il Padre e il Figlio, relazione di sottomissione e di amore. Ecco perchè questo ver.21 deve essere considerato come una specie di titolo di tutto quello che sarà detto fino a Ef.6,9. La sottomissione reciproca celebra la sottomissione del Cristo al Padre, e dunque ogni altra sottomissione a Dio; essa riguarda non tanto il piano morale, quanto il volto sostanziale dello stesso atto di fede: la fede è questa sottomissione. Senza di essa, non si vivono le nostre relazioni interpersonali nella fede, e come modi supremi della fede! Lo “scandalo” della fede cristiana è che noi collochiamo questa sottomissione reciproca come principio, e come tale da premettere ad ogni eventuale affermazione sui diritti o sui ruoli o sulle competenze e persino sul rispetto dovuto. La vita secondo la fede è, sostanzialmente, una vita consegnata.

Tutto questo, infatti, deve compiersi “nel timore di Cristo”, cioè per Lui, e alla sua presenza, e nell’imitazione di Lui, e nella perfetta libertà del Vangelo. Per questo, non trovo opportuna l’aggiunta, al ver.22, dell’espressione “siano sottomesse”, perchè restringe la portata dell’affermazione; infatti il testo vuole dirci non solo e non tanto che le mogli siano sottomesse ai mariti, ma che lo devono essere “come al Signore”; e quindi in questa sottomissione gli uni agli altri le mogli lo sono ai mariti “come al Signore”; il che vuol dire non una sottomissione qualsiasi, magari brutale o rattristata, ma come quella via di bene e di pace che è per ciascuno il suo abbandono fiducioso alla persona di Gesù.

Quando dunque il nostro testo afferma al ver.23 che il marito è capo della moglie, bisogna fare attenzione al rischio riduttivo che la lingua italiana potrebbe arrecare al discorso: capo non va inteso come “caporale” o “comandante”, ma in riferimento al termine corpo, presente nello stesso versetto, quando dice che Cristo è capo della chiesa, Lui che  è “il Salvatore del corpo”. In Ef.1,22 abbiamo ascoltato che la Chiesa è il suo corpo, “la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose”.

 

Ef 5,25-33                                                                                      Mercoledì 28 novembre 2001 

 

25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, 27 al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata.

28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 29 Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo.  31 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. 32 Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

33 Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.

 

Continuiamo a tenerci legati a quel versetto 21 che abbiamo voluto considerare come il “titolo” di tutta questa parte della lettera, da 5,21 a 6,9. Quindi non usciamo dal tema della sottomissione ma passiamo al secondo elemento di essa. Mi permetto di suggerire una rilettura di Gv 13 e quindi di quel breve dialogo tra Gesù e Pietro , che deve farsi lavare i piedi perchè altrimenti, dice il Signore “non avrai parte con me”; il  termine “parte” letteralmente vuol dire sorte ed eredità e ricorda ad un ebreo come la terra di Dio sia stata, traendola a sorte, data in eredità ai figli di Israele. Gesù, in Gv 13 dice che quanto Egli ha compiuto inaugura e significa quel “dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv13,14), cioè la reciprocità dell’amore! Possiamo dire quindi che la sottomissione reciproca è la reciprocità dell’amore.

Essa è resa possibile dalla nostra accoglienza verso l’amore di Cristo e il suo sacrificio d’amore, ricordati nel nostro brano al v.25. Il v.26-27 ci ricordano un dato essenziale delle nostre nozze tra noi e il Signore. Egli non ama la Chiesa perchè è santa e pura, gloriosa e senza macchia, ma esattamente al contrario: la Chiesa è così luminosa, perchè Egli la ama e dona a se stesso per lei. Si “mondanizza” tutto, perchè anche noi, sostenuti da tutta la nostra tradizione di pensiero, diciamo che di ama ciò che è bello. Oggi ci viene rivelato che la bellezza non è il principio ma il frutto dell’amore!

Circa la splendente citazione di Genesi 2,24 che qui ci viene regalata al v.31 come perfettamente compiuta, mi sembra si debba dire che il compimento portato da Cristo porta a pienezza la rivelazione antica: essa non prevedeva che in “una carne sola” ci fosse una tale assimilazione da poter dire “chi ama  la propria moglie ama se stesso” (v.28). Dunque l’Altro, l’altra persona è il suo “se stesso”, e senza l’altro nessuna trova sè. Al v.29 si dice che l’altro è la “sua carne” e che “nessuno ha mai preso in odio la propria carne al contrario la nutre e la cura...”: due verbi molto materni.  Curare nella lingua originale sembra quasi un “cullare”. Conferma importante: Lui non è il nostro capo perchè noi siamo... la sua truppa! ma perchè noi “siamo membra del suo corpo” (v.30).

Coraggio mariti, coraggio tutti!

 

Ef 6,1-4                                                                                             Giovedì 29 novembre 2001 

 

1 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto.  2 Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: 3 perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra.

4 E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.

 

Una nota della TOB avverte che l’espressione “nel Signore” del v. 1 manca in molti manoscritti. Tuttavia, insieme a quella “disciplina del Signore” del v. 4 mi sembra importante per ricordare che la descrizione della vita nuova e delle sue nuove relazioni proclama che in Gesù Cristo tutta la realtà è stata “invasa” dal Signore e in molti modi ne celebra la presenza e la potenza. Così ora, dopo la grande immagine delle nozze, ci porta a considerare la nostra condizione di figli e di genitori. Ecco allora questa esortazione all’obbedienza, con un verbo diverso rispetto all’essere “sottomessi” di 5,21 e più espressivo di un corretto rapporto tra la parola e l’obbedienza. Nel greco biblico “obbedire” e “ascoltare” si identificano.

Mi colpisce molto che al versetto 2 si dica che “onora il padre e la madre” è il “primo comandamento”; Gesù attribuisce questo primato al comandamento dell’amore di Dio. Tuttavia se si considera ad esempio Mc 12,29 si nota che Gesù dice “il primo è ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Dio, amerai dunque il Signore.....”. Dunque il “primo” è legato innanzi tutto al verbo ascoltare, proprio come nel nostro brano di oggi si chiede ai figli di “obbedire” ai genitori.

Ma questo ci porta verso un’ipotesi che comunico con incertezza anche se mi affascina; e cioè che l’attribuzione al comandamento dell’onore ai genitori di un “primato” che è proprio del primo comandamento sull’unicità di Dio e sull’amore per lui, voglia suggerire un accostamento dei due comandamenti a motivo del Figlio che in mezzo a noi ama Dio andando al Padre; in tal modo i due comandamenti tendono a fondersi. Per questo, ancor di più ogni esercizio dell’autorità paterna dovrà nascondersi dietro al Signore, dovrà essere “disciplina del Signore” e nata e imposta da noi, anche per non indurre i figli di Dio a quel “inasprimento” del v.4. Questa parola contiene in sè la radice della parola “ira” che in Ef 4,27 era deprecata.

 

Ef 6,5-9                                                                                             Venerdì 30 novembre 2001 

 

5 Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, 6 e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore, 7 prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. 8 Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. 9 Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che non v’è preferenza di persone presso di lui.

 

L’obbedienza dei servi verso i padroni è espressa con lo stesso verbo che diceva l’obbedienza dei figli verso i genitori. Qui, al v.5, è notevole la precisazione che questi “signori” (così lett. i padroni), sono “secondo la carne”: l’espressione ha uno scopo riduttivo, per chiarire che tale signoria vale solo nell’orizzonte inframondano, che la fede in certo modo “accetta”, ma che di fatto nel profondo trascende; e qui sta tutta l’energia e l’esplosiva novità che il Signore mette in tutte le relazioni interpersonali e quindi in modo molto forte, nel rapporto servi-padroni. E’ molto interessante la presenza di questa espressione “secondo la carne” nella rivelazione cristiana, dove la sua alternativa “secondo lo spirito” deve essere intesa non come elezione delle realtà “spirituali” in confronto alle materiali, ma come rapporto, tensione e divaricazione tra realtà divina e quella umana. Essendo quest’ultima ormai visitata e abitata dalla prima, la tensione-contrapposizione si presenta continuamente: la condizione di servo non può più essere vissuta secondo le regole del mondo, ma è possibile, e anzi opportuna, solo perchè diventa occasione di celebrare l’unica vera “diaconia” verso il Signore.

Questi servi, proprio nella relazione con i loro signori, devono considerarsi di fatto e radicalmente “servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore”: a me sembra che qui si tematizzi implicitamente una “obiezione di coscienza”, quando si dice una divaricazione-opposizione tra volontà divina e volontà di chi ci comanda. In fondo ciò che definisce in profondità - e non secondo la carne - è il servire il Signore e non gli uomini (v. 7); in ogni caso saremo ricompensati per il bene fatto, qualunque sia la condizione in questo mondo (v. 8). Tutto ciò non attenua ma anzi accresce lo “zelo religioso” del nostro servizio.

Al v.9 Paolo chiede reciprocità di azioni-opere tra servi e padroni, chiedendo a questi ultimi di fare ai servi le stesse cose che questi fanno a loro, sapendo che l’unico Signore degli uni e degli altri non fa “preferenze di persone”: è una parola che non significa che non fa differenze, ma che non si lascia convincere (o ingannare) dalla facciata esterna; in 1Sam 16,7 Dio stesso dice al profeta: “l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”.

 

Ef 6,10-17                                                                                            Sabato 1 dicembre 2001 

 

10 Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza.  11 Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.

13 Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove.  14 State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, 15 e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. 16 Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; 17 prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

 

Il testo di oggi è un regalo preziosissimo perchè tutti possiamo riflettere non solo su alcuni elementi portanti della vita umana, ma anche sui drammi arrecati alla vicenda dei popoli - proprio in questi giorni - dall’ignoranza di questi caposaldi della rivelazione cristiana.  Notiamo ancora una volta come le categorie della guerra non solo non vengano ripudiate, ma anzi siano presentate come dati inevitabili, e, di più, assolutamente doverosi nell’esperienza del credente. Lasciamoci mitemente sorprendere da questa doccia fredda: dopo tutto quello che ci è stato comunicato sul volto splendidamente nuovo di ogni nostra situazione e relazione, all’improvviso oggi ci viene detto che è una grande guerra!  Giustamente le note nelle nostre bibbie ci ricordano che sempre Israele ha dovuto combattere con nemici più potenti di lui e che sempre Dio gli è stato alleato e lo ha fatto vincere. Ma, a partire dall’annuncio cristiano sulla paternità universale di Dio, e quindi dalla non esistenza di nemici umani (è la “carne e il sangue” del v. 12) ci viene ricordato in questo stesso versetto chi sono i veri nemici: o il Nemico stesso, cioè il diavolo del v.  11, o questi Principati, Potestà ... del v. 12 che già ci erano stati detti in Ef. 1,21 come vinti e sottomessi dalla grande vittoria riportata da Gesù contro l’inimicizia, contro la morte. Tale individuazione dell’inimicizia è fondamentale: altrimenti si perpetuano - persino con l’avvallo dei cristiani - le stolte guerre e le inutili stragi: il nemico non sono i talebani; lo è piuttosto la categoria dell’inimicizia che ci fa vedere i talebani come nemici e che fa crescere il potere del vero nemico che è l’inimicizia scagliandoci contro i talebani che a motivo di Cristo non sono nemici ma fratelli, anche se un po’ vivacetti.

Il problema della guerra giusta e di come combatterla, cioè con quali armi!!, non è problema morale: la guerra contro la gente, ammesso pure che sia gente ... pessima! (e tu non lo sei?) è sempre stolta, inutile e perdente. Anzi è sempre destinata al risultato di far crescere il Nemico vero e di indebolire la possibilità di parlare di Gesù.  Dunque occorre individuare il nemico, scegliere le armi giuste, e partecipare fino in fondo all’unica battaglia giusta: la pace.

 

Ef 6,18-24                                                                                            Lunedì 3 dicembre 2001 

 

18 Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, 19 e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, 20 del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere. 21 Desidero che anche voi sappiate come sto e ciò che faccio; di tutto vi informerà Tìchico, fratello carissimo e fedele ministro nel Signore. 22 Ve lo mando proprio allo scopo di farvi conoscere mie notizie e per confortare i vostri cuori. 23 Pace ai fratelli, e carità e fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. 24 La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo, con amore incorruttibile.

 

I versetti precedenti hanno descritto l’armatura necessaria per la grande guerra della fede e della pace. Oggi ci viene detto “come” si combatte questa battaglia. Mi pare si possano individuare tre grandi ambiti o vie di essa: la preghiera, l’annuncio della Parola, la storia.

La preghiera. L’insegnamento circa una preghiera “in ogni tempo” può ricordarci due parabole che troveremo in Lc 11,5 : l’amico che importuna l’amico perchè gli dia tre pani, e in Lc 18,1, con quella vedova che non si stanca di sollecitare il giudice disonesto. Ricorderete anche la battaglia contro gli amaleciti in Es 17,8. Questo combattimento della preghiera appare anche nei testi che ho citato come il principale modo per convincere l’unico alleato che può portarci  alla vittoria contro un avversario molto più forte di noi davanti al quale saremmo sconfitti. Oltre l’estensione temporale - in ogni tempo - ci viene data anche la vastità della preghiera stessa: “ogni sorta di preghiera e di supplica nello Spirito”; i beneficiari della preghiera: tutti santi e in particolare lui, Paolo. Dunque una preghiera “grandissima” in tutti i sensi.

La seconda via di questa battaglia è l’annuncio della Parola, che è legato strettamente alla preghiera, perchè anche qui non nella forza e nella sapienza dell’annunciatore, ma puramente nel dono di Dio; dono non fatto e ricevuto una volta per sempre ma in ogni occasione: dice “quando apro la bocca” che alla lettera sarebbe “la parola mi sia data nell’apertura della mia bocca”. L’annuncio del “mistero del vangelo” è dunque un avvenimento miracoloso che Dio compie nella storia attraverso i discepoli che sono l’ambito di tale prodigio della storia.

E la “storia” stessa è luogo di questo combattimento della fede e della pace. Non solo la storia come ambito dove Parola sale a Dio come preghiera o scende nei cuori come annuncio. Ma la storia stessa dei discepoli diventa forza di consolazione e conferma per chi riceve notizie. Per questo viene mandato Tichico (v.21)!

I saluti finali (v. 23-24) non si presentano solo come auguri e convenevoli, ma anche come parole potenti  - pace, carità, fede, grazia - che creano nel cuore ciò che esprimono.