Col 1,1-8                                                                                          Giovedì 11 ottobre 2001

 

1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, 2 ai santi e fedeli fratelli in Cristo dimoranti in Colossi grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro!

3 Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4 per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, 5 in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del vangelo 6 che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7 che avete appresa da Epafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo, 8 e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.

 

Affidiamo l'inizio del nostro cammino nella lettera ai Colossesi all'intercessione del Beato Papa Giovanni di cui oggi festeggiamo la memoria liturgica che la Chiesa ha fissato nel giorno in cui Giovanni Xlll ha pronunciato quel discorso di inizio del Concilio che ha dato al Concilio stesso un inaspettato e straordinario orientamento di speranza e di fortezza spirituale. Oggi è anche l'anniversario delle "torri americane": un mese fa un Islam preda di un'eresia di violenza demoniaca scatenava la furia dei poveri contro una specie di tempio dei paesi ricchi, dando il drammatico inizio, con il sacrificio di migliaia di innocenti, a un percorso di follia e di morte che sta trovando in un'inutile guerra la prosecuzione sterile degli errori del "golfo" e dei "balcani". Dunque, è proprio per questo che noi cerchiamo e chiediamo alla Parola dell'Apostolo ai Colossesi quella speranza nuova che non è rifugio intimistico per tenersi staccati dal dramma della storia, ma dono supremo alla storia da parte di Dio in Gesù Cristo.

 

 I vers.5-6 sono il cuore del nostro brano e la fonte appunto di questa speranza. La "parola di (o "della") verità del Vangelo" è questa fonte. Tutto per noi è incominciato quando ne abbiamo udito l'annuncio. E questa esperienza della parola in noi è parallela, è sintomo, di quanto questa parola operi nel mondo intero fruttificando e crescendo. Anche in noi fruttifica e cresce! Dunque, noi siamo certi della direzione positiva della storia perché sperimentiamo in noi la stessa potenza che la parola esercita nel mondo intero.

 

 Questo è il motivo e l'oggetto della preghiera incessante di Paolo e di Timoteo per i Colossesi: si dice ai vers.3-4 che questa loro preghiera di ringraziamento è per la fede dei Colossesi in Cristo Gesù che Paolo ha "ascoltato"(così alla lettera, come per dire che questo ascolto della loro fede è il frutto dell'ascolto che i Colossesi hanno fatto della Parola di verità del Vangelo di cui dicevamo prima); questa preghiera di ringraziamento è anche per la carità che i Colossesi nutrono verso tutti i santi, cioè verso tutti i fratelli (è il "miracolo" dell'amore fraterno che unisce i discepoli del Signore); l'orizzonte in cui tutto questo viene vissuto è la speranza: di essa si dice che , alla lettera , "è riposta per voi nei cieli", e peraltro essi l'hanno già conosciuta a motivo della predicazione evangelica; così dunque la speranza è l'elemento di unione tra il cielo e la terra, perché è la consapevolezza che l'annuncio della Parola è la comunicazione a noi della stessa realtà dei cieli.

 

 Tale annuncio proviene dall'umile ed essenziale ministero apostolico. Paolo non è stato diretto annunziatore ai Colossesi, ma li sente ugualmente suoi e per loro appunto ringrazia Dio incessantemente (ver.3), perché unica è l'opera apostolica: questo Epafra (vers.7-8), compagno di Paolo nel ministero ha annunciato la Parola (ver.5),e ha sviluppato l'annuncio nell'insegnamento: tale è il significato di questo verbo al ver.7. Lo stesso Epafra ha manifestato a Paolo il frutto di amore spirituale presente nei Colossesi, e per loro e per tutto questo Paolo ringrazia Dio: l'opera apostolica dunque va dal primo annuncio a questa lode al Signore per le sue meraviglie.

 

Col 1,9-12                                                                                        Venerdì 12 ottobre 2001

 

9 Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, 10 perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; 11 rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; 12 ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

 

Penso che il significato del ver.9 sia più denso e si riferisca a quanto affermava Paolo al ver.4; anche allora dicevamo che non si tratta semplicemente di "notizie ricevute circa la vostra fede", ma dell'avere "ascoltato la vostra fede" : una fede eloquente che in se stessa "parla " e quindi si comunica. Così adesso il verbo viene ripreso - "abbiamo ascoltato" - e quindi si collega in modo forte a quanto già affermato: come prima, avendo "ascoltato" la loro fede, Paolo incessantemente pregava per ringraziare Dio, ora con uguale perseveranza lo prega, ma adesso non tanto e solo per ringraziare, ma per domandare: è l'altro volto della preghiera ed è la struttura tipica della preghiera ebraica, cioè, dopo aver ringraziato Dio per la sua opera, lo si prega di intervenire ancora per proteggere, o per soccorrere, o per mutare la situazione attuale.

 

 In questa preghiera l'Apostolo domanda per i Colossesi che possano "portare a pienezza la conoscenza della volontà (di Dio) in ogni sapienza e intelligenza spirituale". Compare qui già una preoccupazione di Paolo circa l'integrità e la rettitudine del loro pensiero e quindi della loro prassi. Infatti al ver.10 parla di comportamento, e lo fa con un termine quasi sempre presente e che indica un "camminare" e che dunque attribuisce alla vita del credente un carattere dinamico di movimento verso Dio; è a Lui che deve piacere il nostro modo di camminare nella vita. Tale cammino positivo porta i suoi frutti: e qui viene ripresa con molta genialità un'espressione già presente nel testo di ieri e che purtroppo non viene evidenziata dalla versione italiana - "portando frutto e crescendo" - , e sono gli stessi verbi usati ieri per dire che il Vangelo "porta frutto e cresce" in tutto il mondo; e aggiungeva che esso portava frutto e cresceva "anche in voi". Dunque, come al ver.6 era il Vangelo a portare frutto e a crescere, ora sono i Colossesi stessi che, riempiti di tale Vangelo, devono, nella preghiera dell'Apostolo, portare frutto e crescere; e precisa che devono portare frutto "in ogni opera buona" e crescere "nella conoscenza di Dio": i contenuti della fede e la prassi sono strettamente legati l'uno all'altro.

 

 Il ver.11 ci ricorda quale sia la potenza nuova che Gesù Cristo ha proclamato, ha celebrato in se stesso e ci ha donato : non come dice la nostra traduzione "essere forti e pazienti in tutto", ma essere rafforzati "secondo la potenza della sua gloria in ogni pazienza e magnanimità"; non è un qualsiasi essere forti e pazienti, ma è l'accogliere e celebrare in modo crescente questa nuova potenza che viene dal Signore e che consiste appunto in quella "pazienza e magnanimità" che ha avuto nel suo sacrificio d'amore il suo culmine e la sua pienezza.

 

 L'espressione "con gioia" appartiene ancora al ver.11 e il verbo ringraziare è, alla lettera, "ringraziando": in tal modo il ver.12 è strettamente connesso al versetto precedente, come peraltro è unito a quello successivo. E' bello quindi sottolineare che l'invocazione dell'Apostolo è rivolta al Signore "con gioia": non solo quando ringraziamo, ma anche quando domandiamo, la nostra preghiera è fatta con gioia; tanto più che al ver.12 si ritorna con grande forza a una preghiera di ringraziamento che sarà svolta per tutti i vers.13-20. In questo versetto si ringrazia Dio perché "ci ha fatto idonei" - cioè veramente ci ha "trasformati" - perché potessimo partecipare alla "sorte" dei santi; sorte veniva chiamata quella porzione di terra che veniva assegnata a sorte ad ogni tribù nella terra promessa e che diventava la "loro eredità". Qui i "santi" sono o i figli della Prima Alleanza o semplicemente gli altri cristiani.

 

Col 1,13-14                                                                                       Sabato 13 ottobre 2001

 

13 È lui infatti che ci ha liberati

dal potere delle tenebre

e ci ha trasferiti

nel regno del suo Figlio diletto,

14 per opera del quale abbiamo la redenzione,

la remissione dei peccati.

 

 

In due soli versetti il nostro brano sintetizza e ricorda l'opera di Dio per noi, la nostra storia della salvezza. Riflettiamo oggi su questi due termini, opera e storia, per chiedere al Signore di essere rafforzati nel dato essenziale della fede. Il nostro rapporto con Dio non avviene tanto per il nostro confronto con una teoria filosofica o con un codice morale, quanto prima di tutto per questa sua azione potente, per questo "fatto" che si è verificato e si verifica nella nostra esistenza, per cui Egli ci libera da una situazione negativa e ci "trasferisce" in una condizione nuova di redenzione e di libertà nella verità.

 

 Ci troviamo dunque nella memoria forte della Pasqua. Il "punto di partenza" è "negativo"; siamo prigionieri di un "male" dal quale non possiamo scioglierci con le nostre forze. Bisogna aver chiaro che già per questo "inizio" la fede ebraico-cristiana si pone all'opposto delle concezioni dominanti del pensiero umano, che se mai concepiscono un "inizio" integro, che poi per diversi motivi si degrada o può degradarsi. Questo "male" è meglio descriverlo secondo due sue fisionomie; la prima è quella detta, e cioè che la sua potenza negativa è superiore a ogni nostra forza e quindi a ogni speranza di liberarci; la seconda, che è intimamente connessa alla prima, è che la nostra persona si rivela debole perché "da sola"; per la nostra fede e la nostra sapienza la persona non è né autonoma né autosufficiente.

 

 Qui dunque si compie l'opera liberatrice-salvatrice di Dio che il nostro testo sintetizza in due verbi: "ci ha liberati....ci ha trasferiti". Il primo dice "da quale" male siamo stati strappati; il secondo "in quale" bene siamo stati posti. Dunque il nostro rapporto con Dio è una "storia", è la storia di questo "passaggio" che Egli ci fa compiere dal male al bene; tale male e tale bene, nel loro pieno manifestarsi sono la morte e la vita , che qui vengono descritte nella loro "potenza": la potenza della tenebra e il regno del suo Figlio diletto. Quest'ultimo termine "diletto" è espresso, alla lettera, con "Figlio del suo amore".

 

 L'avvenimento è dato come già avvenuto, non come un'ipotesi o magari una certezza per il futuro. L'istinto "religioso" dell'uomo colloca il premio "alla fine", e dunque al termine di un itinerario consegnato all'incertezza e alla precarietà degli eventi; la nostra fede proclama l'opera di salvezza di Dio come già compiuta, e noi quindi come già "trasferiti" nel regno del Figlio. Questa è la realtà e la potenza del Santo Battesimo. La vita dei "santi", cioè dei cristiani, come intende il Nuovo Testamento quando usa questa parola, è e può essere così proprio perché il "trasferimento" è già avvenuto. Non si tratta dunque di ricevere un premio alla fine della vita, ma di custodire e di far fiorire il dono della vita eterna (che non è solo una vita che non finisce mai perché è al di là della morte, ma è semplicemente la bella vita di Dio) in questa strada dell'esistenza terrena lungo la quale camminiamo verso la casa di nostro Padre. Allora non ci siamo ancora arrivati!?! Per fede, come vita "nuova" in noi, come potenza di bene, è già data; quest'ultima ora della storia è perché, liberandoci da ogni residuo di male e di morte, consentiamo al Signore di portare a compimento la sua opera buona in noi e per noi.

 

 A conferma di tutto questo, il ver.14 afferma che per mezzo di questo "figlio dell'amore" noi "abbiamo" la redenzione e la remissione dei peccati. L'espressione è molto bella perché in quell' "abbiamo" viene detto certamente che tale potenza di riscatto e di rinnovamento è collocata al principio della nostra vita nuova, e che d'altra parte l' "abbiamo" come perenne offerta e dono di Dio perché in ogni istante, anche oggi, possiamo essere da Lui salvati e perdonati. Il che significa che la "salvezza" non è solo un atto iniziale con il quale Dio ci ha liberati dal male e dalla morte, ma è il tessuto profondo della nostra relazione con Lui, ed è il compito, l'obbedienza che ci è chiesta come sapienza e prassi per tutta la nostra vita. La Carità è la consegna a noi - "và e anche tu fa lo stesso" viene detto al termine della parabola del Samaritano in Lc.10 - dell'azione e della potenza che di Dio abbiamo conosciuto e che da Dio abbiamo ricevuto.

 

Col 1,15-18a                                                                                                                       Lunedì 15 ottobre 2001

 

15 Egli è immagine del Dio invisibile,

generato prima di ogni creatura;

16 poiché per mezzo di lui

sono state create tutte le cose,

quelle nei cieli e quelle sulla terra,

quelle visibili e quelle invisibili:

Troni, Dominazioni,

Principati e Potestà.

Tutte le cose sono state create

per mezzo di lui e in vista di lui.

17 Egli è prima di tutte le cose

e tutte sussistono in lui.

18 Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;

 

 

Tutto ciò che è detto in questi versetti è troppo grande per essere commentato da me e in così breve spazio. Per un piccolo aiuto alla preghiera mia e tua faccio alcune sottolineature.

 

 Al ver.15 il termine "ikona", immagine, in relazione all'attributo "invisibile". Il Cristo è dunque la "visibilità" dell'invisibile Dio: ogni "rappresentazione" di Dio diversa - più grande o più solenne o più gloriosa - della persona di Gesù è di fatto più distante dalla verità di Dio, e questo vale non solo per la sua fisionomia personale ma anche e soprattutto per la fisionomia della sua personalità, del suo carattere, delle sue reazioni di dolore e di gioia, per il suo pianto e la sua mitezza... Che Egli sia l'immagine del Dio invisibile dice insieme l'Amore e la Speranza connesse alla fede in Gesù Cristo: Amore perché dunque veniamo a sapere che l'uomo e la donna sono a "immagine di Dio" che in tal modo si è a loro "donato"; Speranza, perché anche la creatura umana più povera e ferita porta in sè l'immagine del Creatore.

 

 Ancora, al ver.15, la parola "primogenito", che è la versione letterale di quello che in italiano è espresso con "generato prima", in relazione alla parola creatura; è molto forte che la creazione sia , a motivo di Gesù, intrecciata con la creazione, e che dunque ogni creatura sia posta in una relazione figliale con il Creatore.

 

 Il ver.16 è tutto dedicato alla creazione e alla relazione tra ogni creatura e Gesù Cristo. Con tre preposizioni di straordinario rilievo Paolo dice che tutto il creato, anche in quelle dimensioni supreme che sono del tutto al di sopra dell'esistenza umana e tendono a dominarla (Troni, Dominazioni....), è stato fatto "in" Lui, dice all'inizio di questo lungo versetto, e, alla fine, "per mezzo" di Lui e "in vista" di Lui. Ogni creatura dunque trova in Gesù il segreto della sua più profonda realtà, la sua vera origine e il senso della sua esistenza.

 

Col 1,18b-20                                                                                    Martedì 16 ottobre 2001

 

18b il principio, il primogenito di coloro

che risuscitano dai morti,

per ottenere il primato su tutte le cose.

19 Perché piacque a Dio

di fare abitare in lui ogni pienezza

20 e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,

rappacificando con il sangue della sua croce,

cioè per mezzo di lui,

le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

 

Vorrei ritornare per un istante al brano di ieri per notare con voi che in questa grande "descrizione" di Dio e dell'universo è assente ogni discorso sul peccato, e questo mi è sembrato sempre più importante perché quando, come oggi, sia pure con molta discrezione e parlandone già nella via della risoluzione, si parla di esso, tutto è come già avvolto e compreso nel disegno positivo della relazione tra Dio , la creazione e la storia. Cristo non è il rimedio per un "incidente di percorso" , il peccato appunto, ma è, come anche oggi viene ribadito, "il principio", nel quale tutto è stato creato, come ascoltavamo ieri, e tutto è salvato, come riceviamo oggi. In tal senso tutto il tempo e tutta la realtà dalla creazione fino a Cristo appaiono come "profezia" di questa nuova creazione che ha nella "chiesa", qui nominata per la prima volta nella lettera, il suo "luogo"; essa cioè si presenta come lo spazio e il tempo in cui l'opera di Dio perfettamente si compie - "in lui ogni pienezza" dice al ver.19 - , e la chiama "corpo" di cui il Signore è il capo (ver.18).Questo peccato viene allora citato solo implicitamente per dire ed esaltare la grande opera che il Padre compie per mezzo del Figlio: riconciliare e rappacificare (ver.20).

 

Gesù è il grande protagonista di quest'opera del Padre. Come è stato il "primogenito" di ogni creatura (ver.15), ora Egli viene detto "primogenito" di coloro che risuscitano dai morti. Noi penseremmo che la creazione e la storia sarebbero state migliori se non ci fosse stato il peccato; invece mi sembra che le nuove creature rispetto a quelle dell'antica economia siano come una risurrezione dai morti; e questo perché il Cristo, che è il principio della vecchia creazione, è il principio della nuova, generata e sorretta dal suo sacrificio d'amore: la nuova creazione in questo è infinitamente superiore all'antica, perché è generata e sussiste per l'amore di Dio pienamente svelato e dato nel sangue di Cristo.

 

Oggi veniamo a sapere ancora una volta la grande novità di vita avvenuta nella storia con la Pasqua di Gesù! I vv. sono in parallelo con quelli di ieri (15-18a) rispetto ai quali costituiscono una sorta di seconda "strofa" del bellissimo canto su Gesù Cristo. Ieri si parlava della prima creazione del quale Egli era "primogenito" di ogni creatura. Oggi è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, poiché con la sua Pasqua ha dato inizio alla seconda creazione, definitiva, splendida, rinnovata, esultante, che riguarda ancora "tutti" gli uomini.

 

Ieri il verbo dominante era "creare" oggi si parla di "riconciliare; ancora due "sinonimi": la prima creazione era, ed è ferita, incompleta, soggiogata dalla guerra e dalla divisioni a motivo del peccato e della morte. Solo il sacrificio d'amore di Gesù, il suo sangue versato può liberarla e rinnovarla, regalarle la pace duratura e autentica. Noi rendiamo grazie a Dio che ci ha dato suo Figlio e celebriamo nella Messa di ogni giorno la vittoria della vita sulla morte; abbiamo bisogno di essere ogni giorno riconcigliati e perdonati perché ancora portiamo con noi tutte le fatiche e le debolezze dell'uomo.

 

La pienezza (v.19) della vita, della verità, dell'essere non la troviamo in noi o nell'umanità ma in Gesù nel quale Dio ha voluto che risiedesse per sempre e in modo totale! Solo "attraverso di Lui e per Lui" tutte le cose e le persone ricevono vita e significato.

 

Molto importante per questi giorni segnati dalla guerra e dai tentativi goffi e inutili di portare pace con la violenza, è per noi il v.20 dove ci viene rivelata la metodologia Divina di FARE LA PACE: "con il sangue della sua croce". Solo se si passa attraverso il sacrificio d'amore pieno e incondizionato, si può sperare di ottenere efficacemente, secondo Dio, la PACE vera, quella della Pasqua. Ricordate che Gesù risorto visita secondo il vangelo di Giovanni i suoi discepoli chiusi per la paura dei giudei, dicendo "pace a voi!". Forse non ci verrà chiesto di versare il nostro sangue, però è indubbio che per essere facitori di pace dobbiamo celebrare la messa cioè il suo sacrificio, unico e definitivo, associarci e unirci al sangue che lui per noi ha versato una volta per tutte.

 

Col 1,21-23                                                                                                 Mercoledì 17 ottobre 2001

 

21 E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, 22 ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: 23 purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro.

 

Qui casca l'asino : cioè io! perché bisognerebbe conoscere veramente le lingue della Bibbia per "resistere" alle scorciatoie che il traduttore italiano ama imbroccare talvolta, per evitare qualche problema ma in verità...provocandone altri. Chiedo scusa in anticipo.

Il brano di oggi vuole evidentemente sottolineare il contrasto tra la nostra precedente situazione e la nostra nuova vita, e lo fa in due modi: secondo la categoria del tempo, dicendo "..un tempo.. ora..", e secondo la categoria di uno spazio simbolico - e questa descrizione domina il nostro testo, per dire dove eravamo e dove siamo adesso.

Dunque, eravamo stranieri (ver.21), e la parola dice una collocazione totalmente diversa, sottolineata qui dall'affermazione circa "la mente", che, alla lettera, era non solo intenta (questa parola non c'è nel testo), ma più radicalmente era "nelle opere cattive", e non solo quelle "che facevate", ma per dire che la nostra mente era sostanzialmente immersa in un universo negativo. Tale situazione la rendeva, dice ancora, "nemica". Dunque alla lettera il testo direbbe :"E voi un tempo estranei e nemici con la mente nelle opere cattive".

Ora, dice, il Signore "vi ha trasferiti nel corpo della sua carne mediante la morte". Questo trasferimento Gli consente di presentarvi, di porvi, al suo cospetto santi e immacolati : le parole ricordano il meraviglioso testo nuziale di Efesini 5,27 dove appunto si dice che questa è la condizione e la comunione nuziale nella quale noi ora viviamo. Il nostro compito, il nostro dovere, è di "rimanere" in tale condizione; alla lettera direbbe : "Se rimanete nella fede fondati e fermi" e, con un altro verbo ancora di movimento, "non vi spostiate dalla speranza del Vangelo che avete ascoltato".

Dunque : la predicazione evangelica di Paolo (ver.23) ha operato il miracolo del nostro trasferimento da una condizione di inimicizia a una nuova realtà nuziale della nostra vita con il Signore. Ci è chiesto di rimanere in tale nuova vita. Come vedete, è opera di Dio e non nostra. Come già ieri dicevamo, la nostra antica condizione di peccatori viene citata solo in funzione di proclamare lo splendore dell'opera del Signore : dopo averne parlato per la creazione (vers.15-17), e in generale per la sua opera di salvezza (vers.18-20) oggi ci ha ricordato quale sia la nostra personale esperienza di questa signoria assolutamente buona del Signore della nostra vita.

 

Col 1,24-27                                                                                                                        Giovedì 18 ottobre 2001

 

24 Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25 Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, 26 cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, 27 ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria.

 

Al ver.24 Paolo afferma, letteralmente : "Gioisco nei patimenti per voi" Non si tratta di masochismo e neppure di un "fioretto" per il bene dei Colossesi, ma del legame tra la salvezza dei cuori e dei popoli e il sacrificio d'amore di Gesù; così già abbiamo incontrato al ver.20 dove la nuova pace nei cieli e sulla terra era annunciata come frutto del "sangue della sua croce". Ora l'Apostolo ci dice che tale fecondo sacrificio è in qualche modo affidato alle generazioni cristiane, che trasmetteranno il Vangelo non come una ideologia o una normativa, ma appunto come la vita nuova mediante il sacrificio d'amore.  Tale mi sembra sia il significato dell'espressione "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo": non che Gesù non abbia patito fino all'estremo, fino alla pienezza del suo sacrificio d'amore; ma tale sacrificio del Signore viene celebrato in ogni generazione cristiana e in ogni discepolo di Gesù come fonte e segreto di ogni comunicazione del Vangelo attraverso una comunione nella quale si dà la vita, ci si ama come Lui ci ha amati. Così Paolo porta a pienezza, nella sua persona, la celebrazione della passione del Signore a favore del suo corpo che é la Chiesa.  Nei vers.25-27 l'Apostolo descrive la particolarità della sua missione, la predicazione alle Genti, ai pagani. Questo compito non è semplicemente un aspetto molto importante della missione della Chiesa, ma viene qualificato da Paolo come "il mistero"; e il mistero, nascosto per secoli e ora svelato attraverso la sua stessa missione, è appunto la chiamata dei Gentili alla stessa salvezza prevista e preparata nel popolo della Prima Alleanza. Le ultime parole del brano di oggi si possono forse considerare quasi una definizione di questo mistero :"Il Cristo in voi, la speranza della gloria". Vi consiglio vivamente l'ascolto di tre testi fondamentali : Ef.2,13-22, dove si descrive l'opera di pace che Cristo ha compiuto abbattendo il muro di separazione tra Israele e le genti e facendo dei due un popolo solo; Ef.3,3-6, dove con altre parole viene celebrata questa opera fondamentale di Dio; e Rom.16,25-27, dove nelle parole conclusive della Lettera viene proclamato con grande forza il mistero della salvezza universale.

 

Col 1,28-29                                                                                      Venerdì 19 ottobre 2001

 

28 È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. 29 Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

 

Dice al ver.28 : "E' Lui infatti che noi annunziamo..."; si tratta di una precisazione molto importante. L'annuncio del Vangelo è annuncio di Gesù Cristo; non viene annunciato un libro o quello che vi è scritto, ma in tutto questo viene annunciato il Signore, la sua persona; tanto più che l' "annuncio" non è solo una trasmissione di notizie, ma la reale "consegna" di Colui che viene annunciato. L'annuncio del Vangelo, dunque, quando è veramente tale, è un avvenimento potente e coinvolgente che ci dona non solo una conoscenza del Signore ma la sua potente presenza in noi.

 

Ripetendo per ben quattro volte la parola "ogni", Paolo ci dice la cura, l'impegno e lo scopo delicato e profondo dell'opera evangelizzatrice : alla lettera dice "ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni sapienza per presentare ogni uomo perfetto in Cristo". Dice la cura scrupolosa per consegnare ogni contenuto del messaggio cristiano, dice anche come ogni via della fede sia particolare e esiga un procedimento proprio per ogni persona.

 

L'uso del termine "sapienza" fa pensare a un'elaborazione del puro dato conoscitivo in direzione di un'esperienza spirituale diretta e concreta. Il termine "perfetto" non deve essere pensato secondo una tradizione culturale che ci è più istintiva e deriva dalla nostra più profonda tradizione di pensiero, ma che non appartiene propriamente al pensiero ebraico-cristiano, come se "perfetto" volesse dire senza difetti. Perfetto qui va pensato in direzione ancora del Cristo stesso, e quindi il suo significato si avvicina al termine stesso di "cristiano", cioè "di Cristo"; qui l'espressione è confermata e rafforzata dall'aggiunta "in Cristo". La nostra perfezione coincide con la nostra piena comunione con Lui.

 

Il ver.29 descrive l'opera apostolica come una lotta impegnativa, che racchiude in sé sia la fatica di un lavoro di enorme impegno, sia l'affrontamento dei pericoli e dei timori di una "lotta". Ma la seconda parte del versetto dice che tutto ciò non è consegnato alle nostre limitatissime forze, ma è l'orizzonte nel quale si manifesta e opera la potenza stessa del Signore, potenza che opera direttamente e efficacemente nella persona e nell'azione di chi vuole e deve annunciare il Vangelo.

 

Col 2,1-7                                                                                           Sabato 20 ottobre 2001

 

1 Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona, 2 perché i loro cuori vengano consolati e così, strettamente congiunti nell'amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, 3 nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. 4 Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti, 5 perché, anche se sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.

6 Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, 7 ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie.

 

La lotta aveva chiuso il cap.1 e la lotta apre il secondo. Non viene qui indicato un “nemico” con il quale essa viene combattuta, ma ci viene indicato il suo scopo, espresso con tre parole : La consolazione, l’amore e la conoscenza del mistero di Dio (ver.2).

L’accenno fatto in 1,7 viene ora confermato : questa chiesa non è nata direttamente dalla predicazione di Paolo, ma anche se “non hanno visto la mia faccia nella carne”(così, alla lettera, al ver.1), sono ugualmente cari all’Apostolo che per loro sostiene questa lotta.

La traduzione del ver.2 è molto libera rispetto al testo. Non ci sono i due verbi “congiunti” e “acquistino”, ma solo uno, molto forte, per esprimere una grande saldezza e unità di pensiero e di atteggiamento. Alla lettera si potrebbe dire “affinché siano consolati (in senso forte, esortati, convinti) i loro cuori, rafforzati (questo è quel verbo forte che significa compattezza e determinazione) nell’amore e verso tutta la ricchezza della pienezza del pensiero per una conoscenza del mistero di Dio, Cristo, nel quale sono tutti i tesori della sapienza e della scienza”. Il versetto è contorto e ridondante ma serve molto bene a dare l’idea di questa totale unità nella persona del Signore di ogni sapere.

Il ver.4 contiene un fugace accenno alla difficoltà proveniente da altre interpretazioni contro le quali Paolo lotta. Esse però non vengono descritte se non come aggiunte e deviazioni rispetto alla unità e alla semplicità che caratterizza il mistero cristiano, la sua perfetta sintesi appunto nella persona, nell’opera e nell’insegnamento di Gesù Cristo.  In tale unità e coerenza bisogna camminare.

Col 2,8-15                                                                                         Lunedì 22 ottobre 2001

 

8 Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.

9 È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10 e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. 11 In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. 12 Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 13 Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, 14 annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; 15 avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo.

 

Il testo di sabato diceva: “Camminate nel Signore Gesù”. Oggi Paolo ci spiega in cosa consista camminare in Gesù, quale sia la natura e la sostanza della nostra comunione con lui. Notate quante volte si ripete l’espressione “in Lui” “con Lui” come nella messa quando si dice “per Cristo con Cristo e in Cristo...”. Fa impressione vedere che i verbi siano al passato: la nostra morte con lui, la nostra sepoltura ma anche la nostra resurrezione in lui, è già avvenuta, nel battesimo!

“Con lui Dio ha dato vita anche a voi”. Possiamo guardare a Gesù con un occhio, un affetto una gratitudine rinnovata, piena di speranza.

E’ proprio un testo ricchissimo, sul mistero di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso attraverso il battesimo. Ci siamo fermati soprattutto sul v. 14, che dice che Cristo sulla croce ha “cancellato il documento scritto le cui condizioni ci erano sfavorevoli”. Manca nella traduzione italiana una parola che spiega perché questo documento ci era sfavorevole: “per i precetti”. Cioè la Legge, con i suoi comandamenti, mostra le nostre trasgressioni e quindi è causa di un giudizio sfavorevole nei nostri confronti: da questo Gesù Cristo con la sua croce ci ha liberati.

Anche nel vangelo di oggi (Mc 3,1ss.) Gesù mette in guardia da una certa interpretazione della Legge (l’osservanza del sabato) che rischia di impedire il vero bene dell’uomo: forse sono questi i “vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana” a cui fa cenno al v. 8 oggi l’apostolo.

 

Col 2,16-23                                                                                      Martedì 23 ottobre 2001

 

16 Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: 17 tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! 18 Nessuno v'impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, 19 senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.

20 Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali 21 «Non prendere, non gustare, non toccare»? 22 Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! 23 Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.

 

Il v.16 inizia con la parola "dunque": come in altri punti, S.Paolo nel ragionamento si ferma un attimo per trarre un paio di conclusioni dopo le affermazioni capitali dei v. di ieri "12 Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. "

1° conclusione (v.16-19): ci sono dei fatti nella vita religiosa dell'ebreo e del cristiano che sono secondari, marginali, non essenziali (cibo, bevanda, feste, noviluni, sabati), sono solo ombra della realtà che deve venire, anzi che è già venuta: CRISTO. Le pratiche religiose, cultuali hanno valore nella misura in cui ci accompagnano, ci portano verso quello che esse significano, anticipano: CRISTO!

Ma la "realtà" di Cristo è una realtà complessa: è il capo (la parte più importante, quella che comanda, che guida) di un "corpo". All'interno di questa realtà complessa capo-corpo S.Paolo oggi ci dice che l'essenziale è il rapporto, il legame che li unisce: v.19 "essendo stretti al capo" (attaccati, afferrati, aggrappati) "tutto il corpo CRESCE secondo il volere (la "crescita" direbbe lett. l greco, la dinamica, l'energia) di Dio. Capo e corpo, Cristo e la Chiesa, Cristo e tutti noi, sono in un legame di vita, di crescita, di sviluppo, continuo.

2° conclusione (20-22) i precetti, i dogmi (v.14 =le condizioni, a noi sfavorevoli, inchiodate sul legno della croce) non devono prendere il sopravvento. Esse ci condannano! Il nostro rapporto con il Signore non deve assolutamente tornare e essere come quello dell'antica alleanza, una pratica di precetti, un osservanza stretta, sterile dei comandamenti. Questi precetti, che sono certamente di origine divina, in mano agli uomini si "consumano con l'uso" (v.22), diventano sempre più precetti di uomini e non divini. Ricorderete il quando Gesù viene interrogato dai farisei sul fatto che i suoi discepoli non si lavano le mani... I precetti per quei farisei sono diventati più importanti di tutto, soffocando le cose essenziali: la misericordia, la giustizia e la fedeltà (Mt 23,23).

C'è un rischio grave, molto comune e noto a tutti, e cioè il ridurre il nostro rapporto con il Signore ad un sistema di osservanze (messa, lodi, vespri, rosario, ecc...) dimenticando che esse sono l'occasione che ci è regalata per incontraci con Lui, con la persona di Gesù, il nostro CAPO, dal quale riceviamo sostentamento e vita.

 

Col 3,1-4                                                                                       Mercoledì 24 ottobre 2001

 

1 Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2 pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

 

I pensieri di questi giorni si raccolgo e si derivano tutti dalla NOTIZIA dataci da Paolo nel capitolo precedente: L'avvenimento della Pasqua di Gesù ha un'applicazione concreta nella vita di ciascuno di noi, a partire dal battesimo. Applicazioni e conseguenza anche etiche, regole di comportamento che non derivano quindi dal "sentire comune", dalla tradizione, "dagli uomini" ma appunto dalla Pasqua di Cristo (cfr. testo di ieri: cibo, bevanda, feste, noviluni, sabati, precetti quali non prendere, non gustare, non toccare; o quello di domani). Già notavamo che Paolo ripete la parola "dunque"; è proprio questo il ragionamento, la modalità tipica del "cristiano": La Pasqua di Gesù... Il battesimo... DUNQUE... E' molto importante ricordarci sempre che la fonte della nostra sapienza sono quei due avvenimenti capitali!

Nel testo di oggi questo è particolarmente evidente: dal momento che Cristo è assiso alla destra di Dio ("lassù") e dal momento che siamo stati battezzati ("siete risorti con Cristo") allora dobbiamo cercare le cose di lassù! Il nostro legame con la Pasqua di Cristo ci proietta continuamente verso di Lui dove ora si trova! Uno potrebbe notare molto giustamente che questo è impossibile; come facciamo a pensare sempre alle cose di lassù quando siamo presi da tante cose "della terra", da mille preoccupazioni, dal lavoro, dai figli, ecc.? Viene in mente Pietro che se da un lato, ispirato dal Padre riconosce Gesù come Cristo, Figlio del Dio vivente, ma dall'altro subito dopo protesta ammonendo Gesù di non andare a Gerusalemme per subire la passione. Gesù gli dice "lungi da me Satana perchè non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini". In Pt confessore ispirato ma anche uomo, siamo tutti noi!

Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi di cosa mangiare, di come vestirsi: "cercate PRIMA il regno di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". E' importante quella parola PRIMA. Se da un lato non possiamo pensare sempre alle cose di lassù, però possiamo guardare per un momento, magari all'inizio della nostra giornata, al Signore, dando al nostro cuore l'orientamento principale... poi la giornata ci assorbirà ogni forza. E' una grande grazia poter "anticipare" quello che vivremo una volta che saremo accanto a Lui per sempre: ci è data la possibilità di pensare alle cose di lassù, di cercare non le cose della terra ma quelle del cielo!

La nostra vita è per ora nascosta con Cristo in Dio. Cioè ancora non è la pienezza; Mt 6 ci ricorda che l'incontro con il Signore avviene nel nascondimento della nostra camera, con la preghiera. E questo non per un gusto del segreto e del mistero ma proprio perché solo quando si manifesterà Cristo, NOSTRA VITA, anche noi scopriremo la nostra gloria. "Fin d'ora siamo Figli di Dio ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato. Sappiamo però che quando egli sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è." (1Gv 3,2).

 

Col 3,5-11                                                                                        Giovedì 25 ottobre 2001

 

5 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, 6 cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. 7 Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. 8 Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9 Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni 10 e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11 Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.

 

 

Ieri ci invitava a guardare alle cose di lassù e non a quelle sulla terra. Il nostro legame con la terra e quindi con il peccato è fortissimo, sono le membra stesse del nostro corpo (in italiano "parte di voi"). Queste le dobbiamo uccidere, mortificare!

Prendo un commento di Crisostomo dal libro BIBLIA "Lettera ai Colossesi" a cura di G. Sgarbi:

"v. 5. "Fate morire". Ma che dici? Non hai detto che «siete stati sepolti», che «siete stati sepolti con lui» (cf. 2,12), che «siete stati circoncisi» (cf. 2,11), che «ci siamo spogliati del corpo dei peccati della carne» (cf. ivi)? Dunque, come puoi ancora. dire: "Fate morire"? Non scherzare! Parli come se queste cose fossero in noi. Non è una contraddizione. Come non si contraddirebbe uno che, dopo aver pulito una statua sporca, anzi, dopo averla rifusa e riportata al suo primitivo splendore, dicesse che la ruggine è stata tolta ed è sparita, ma consigliasse anche di impegnarsi a togliere la ruggine. Consiglia, infatti, di togliere non la ruggine che egli ha eliminato, ma quella che apparirà in seguito. Così l'apostolo non parla della morte precedente, ne delle precedenti fornicazioni, ma di quelle che sorgeranno in seguito. Le vostre membra che sono sulla terra. Ma ecco, - dicono gli eretici - Paolo avversa la creazione. Prima infatti ha detto: Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (3,2), poi dice: "Fate morire le vostre membra che sono sulla terra". Ma qui l'espressione "sulla terra" significa il peccato, non l'avversione alla creazione. In questo modo, infatti, chiama peccati quelle cose che sono «sulla terra»: sia perché sono commesse da un pensiero terreno e «sulla terra», sia per mostrare che i peccatori appartengono alla terra. Concupiscenza cattiva. Ecco, Paolo in modo generico ha detto tutto. Tutto è infatti «concupiscenza cattiva»: invidia, ira, tristezza."

Mi è stato molto utile leggere la lettera ai Romani 7,20ss "...ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge  della mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. O miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25 Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato".

La grazia del battesimo è la possibilità di spogliarsi dell'uomo vecchio con le sue azioni e di rivestire quello nuovo. E come l'opera di mortificazione, di purificazione è continua, mai conclusa così anche l'opera di "rinnovamento". Questa secondo il v.10 avviene mediante la conoscenza della verità, cioè di Cristo; "guardando le cose di lassù". Ma ancora più stupefacente è il fatto che veniamo rinnovati "a immagine di colui che ci ha creato". Se prima eravamo in balia delle nostre membra ora camminiamo portando l'"immagine di Dio", rinnovati incessantemente dall'azione dello Spirito in noi.

"Qui", letteralmente "dove", cioè in questa opera di rinnovamento a immagine del creatore, le differenze tra le persone non sono più causa di divisione, ma "Cristo è tutto in tutti". Ognuno vede nel fratello il Cristo, la propria vita! 

 

Col 3,12-15                                                                                                                        Venerdì 26 ottobre 2001

 

12 Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13 sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15 E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!

 

v. 12 "rivestitevi": questo verbo l'abbiamo appena incontrato "Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore". Si tratta di un abito nuovo perché si "rinnova" continuamente e più lo usi più è bello! Anche oggi Paolo ci esorta ricordandoci la nostra condizione più profonda e importante: "come eletti di Dio, santi e amati". E' proprio perché siamo stati eletti, santificati, amati da Dio che ora ci possiamo rivestire di "viscere di misericordia".

"viscere di misericordia" nella bibbia indica la parte più intima della persona, più interna, dove hanno sede i sentimenti... è curioso che stia parlando di un abito: "rivestitevi di viscere di misericordia". L'abito bianco del nostro battesimo, è nascosto agli occhi del mondo ("la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio"), riguarda noi e il nostro rapporto con il Signore.

La bellezza, la positività della nostra vita è quindi un regalo che il Signore ci fa e che noi non dobbiamo che riconsegnare a lui attraverso il prossimo con il quale viviamo: "bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza... sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri". Il dono ricevuto ci "obbliga" a vivere come amati di Dio, santi e diletti", "Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi".

Il verbo "perdonare" (v.13) e il verbo "essere riconoscenti" (v. 15) in greco hanno la stessa radice: "grazia"; li potremmo tradurre "il Signore vi faccia grazia" e "rendete grazie" (è il verbo da cui deriva la parola eucaristia). E' un termine molto caro a Paolo in questa lettera:

1,3 Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi

1,12 ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

3, 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

 

Col 3,16-17                                                                                       Sabato 27 ottobre 2001

 

16 La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

 

Come sentiamo dal vangelo di oggi di Mc (4,10-20), la nostra vita è conquistata dal seminatore Gesù, che sparge senza riserve la sua semente su di noi, in qualunque modo (sassosi, spinosi, fertili, ecc.) noi ci presentiamo: "la parola di Cristo abiti in voi abbondantemente". L'antico libro del Dt 6,7 diceva "La mediterai quando stai seduto e quando ti alzi, quando ti corichi e quando vai per strada".

"ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza e intelligenza": siamo tutti coinvolti! Quello che al cap.1,28 ("É lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo") sembrava solo del ministero dell'apostolo ora caratterizza tutti i battezzati.

Dobbiamo ammaestrarci a vicenda ma soprattutto ammaestrare "noi stessi": la vulgata dice "verbum Christi habitet in vobis abundanter in omni sapientia docentes et commonentes VOSMET ISPOS psalmis hymnis canticis spiritalibus in gratia cantantes in cordibus vestris Deo."

Dicendo "con canti inni e cantici spirituali" ci fa capire che questi sono proprio "parola di Cristo". Quando cantiamo i salmi cantiamo le SUE parole, e se accordiamo la mente con il cuore, se non ci distraiamo ma pronunciamo con il cuore ciò che leggiamo allora la nostra preghiera non è più nostra ma di Gesù e della Chiesa in noi.

Ma l'unitarietà della preghiera "in Cristo" si dilata anche a tutto quello che facciamo "quotidianamente": "17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre".

E' un testo evidentemente straordinario difficile da commentare con le nostre parole. Penso non sia perciò stato un gran danno l'enorme ritardo con cui vi ho scritto il nostro commentino. Scusate. Lunedì cercheremo di essere più puntuali.

 

Col 3,18-4,1                                                                                                                         Lunedì 29 ottobre 2001

 

18 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. 19 Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20 Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21 Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22 Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. 23 Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, 24 sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore. 25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v'è parzialità per nessuno.

 

1 Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.

 

Ricordiamo il v.17 "tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù". I versetti di oggi sviluppano quel v.17 nelle dinamiche dei rapporti interpersonali tra mogli e mariti, figli e padri, servi e padroni. Tra queste tre coppie c'è sempre uno più piccolo, più debole e uno più forte, più grande. Paolo ci ricorda che queste relazioni, che hanno naturalmente un equilibrio fragile, sono esposte al giudizio del Signore: "25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso".

Occorre "sapere" che il Signore non solo c'è e ci giudicherà per quello che facciamo nei confronti dei piccoli, ma anche che è il vero riferimento, il vero termine, il vero scopo del nostro agire: "qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini". Cfr. in questo senso i testi precedenti sul primato assoluto di Cristo. Se teniamo presente Lui nel nostro cuore, umilmente, ecco che ogni rapporto con il nostro prossimo, grande o piccolo che sia, riceverà luce e respiro. Provate a rileggere il testo di oggi e sottolineare tutti i rimandi al Signore: "come si conviene nel Signore", "ciò è gradito al Signore", "nel timore del Signore", "fatela di cuore come per il Signore", "riceverete dal Signore l'eredità" e l'espressione che le riassume tutte, valida non solo per i servi ma per tutti: "Servite a Cristo Signore".

Mi viene in mente un paragrafetto della nostra regola (Nota integrante - S.Francesco): "L'Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva, personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per conformità d'amore al Crocifisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni creatura, per poi riceverle trasfigurate nella lode pura dell'Altissimo Signore, lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai popoli non cristiani".

 

Col 4,2-6                                                                                          Martedì 30 ottobre 2001

 

2 Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. 3 Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: 4 che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.

5 Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. 6 Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.

 

La preghiera (v.2-4). E' un tema importante nella lettera ai colossesi. Fa da cornice al testo di ieri infatti Paolo ne aveva parlato al v.16 "La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali" e ne riparla oggi. Il nostro comportamento, i nostri rapporti con gli altri, specialmente quelli delicati (moglie-marito, figli-padri, servi-padroni, cfr. ieri!) trovano la loro giusta collocazione, il loro giusto equilibrio se immersi, sostenuti, custoditi dalla preghiera.

Più in generale la preghiera plasma, vivifica, rinnova il nostro rapporto con il Signore, con Cristo.

Col 1,3 "Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4 per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi".

Col 1,9 "non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio".

E quale preghiera? Paolo oggi dice: "Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie (lett. nell'eucaristia")". Quindi la messa che è la continua celebrazione del nostro rendimento di grazie perché non siamo più da soli, ma abbiamo Gesù con noi.

E' importante anche l'invito di Paolo affinché i Colossesi preghino per "lui e i suoi" che annunziano il vangelo! Il compito che Dio gli ha affidato è grave, importante e sa bene che da soli non possono nulla. Sono i grandi capi, gli apostoli eppure hanno bisogno della preghiera degli sparuti Colossesi! E' bellissimo.

Dice letteralmente "pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della PAROLA": certo la parola della predicazione ma forse qualcosa in più. "La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente" (v.16). Ognuno di noi ha il compito e la responsabilità di aprire il dono che ha ricevuto, Cristo in noi, e diffonderlo a tutti.

v.5-6. Dopo aver insistito tanto sulla preghiera come mezzo per manifestare il mistero di Cristo, ora Paolo ci cala nella storia e ci dice come fare con "quelli di fuori" cioè quelli che, vicini a noi, non conoscono ancora Gesù oppure lo hanno dimenticato: "con quelli di fuori camminate con sapienza, il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come rispondere a ciascuno." Dobbiamo tradurre tra i nostri amici la sapienza che abbiamo ricevuto, camminando con loro, condendo con il sale del Signore ogni cosa che facciamo, avendo una parola importante per ciascuno!

 

Col 4,7-9                                                                                       Mercoledì 31 ottobre 2001

 

7 Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, 8 che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. 9 Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.

 

Siamo al penultimo testo dei Colossesi. Ci fermeremo due giorni per i santi e i defunti e sabato leggeremo i saluti finali. E' lo stile della "lettera" che impone un inizio con l'esplicitazione di mittente e destinatario e un finale con saluti e raccomandazioni. Il fatto stesso che questa lettera sia stata scritta ci fa capire come fosse, e come è, importante, la circolazione di notizie, di persone, di lettere appunto per le comunità cristiane dei primi secoli. Ricordiamo che la fede in Gesù a Colossi l'ha portata Epafra: Col 1,6-7 "... così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7 che avete appresa da Épafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo, 8 e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito". I gruppetti sparsi e sparuti di cristiani formavano piccole comunità che si sostenevano attraverso i ministri del Vangelo, come Paolo, che giravano e portavano conforto e notizie da arte delle altre chiese. E si tenevano "collegati".

 

E' importante che ci fossero sia le lettere, testi scritti, che rimanevano, che potevano essere rimeditati, passati ad altre persone o ad altre chiese sia le persone, qui Tichico e Onesimo, che portavano la testimonianza diretta che potevano spiegare a voce il pensiero dell'apostolo, che davano la loro vita in questi viaggi. Dopo i testi bellissimi dei cap. precedenti su Cristo e sul nostro rapporto con lui, potevamo sentire il rischio di una fede per il nostro cuore, solitaria, individuale, invece i testi sulla preghiera e ancor più quello di oggi e di sabato ci consegnano un comunità fatta di persone concrete con nome e cognome, che vivono sulla loro pelle, insieme, le verità bellissime della vita cristiana.

 

Di Tichico si dice che era fratello, diacono e conservo, tre caratteristiche importantissime del discepolo di Gesù. Ma ancora più incisivi sono gli aggettivi che Paolo usa per lui, che lo avvicinano ancora di più al Signore: fratello "amato" (Gesù viene detto dal Padre "questo è il Figlio mio diletto..." nel battesimo e sul monte Tabor); diacono "fedele" (nell'Apocalisse Gesù è chiamato il servo fedele); schiavo nel Signore (Fil 2 Gesù svuota se stesso e si trova nella condizione di schiavo).

 

E cosa deve fare Tichico? Deve confortare, consolare. Il verbo usato è lo stesso che si usa per dire dello Spirito Santo "paraclito", consolatore. E' il grande mediatore-annunciatore diretto della lettera! Pensiamo che Paolo, che al momento della redazione dello scritto era probabilmente a Roma in catene, forse aveva altro a cui pensare, anche in ordine al suo rapporto con Cristo. E invece si spende per il gruppino dei Colossesi e invia loro il suoi servo fedele!

 

Col 4,10-18                                                                                                       Sabato 3 novembre 2001

 

10 Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza - 11 e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione. 12 Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. 13 Gli rendo testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli. 14 Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.

15 Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. 16 E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi. 17 Dite ad Archippo: «Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene».

18 Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.

 

1) E' il passo conclusivo della lettera ai Colossesi. Paolo porta i saluti di alcuni fratelli (10-14) e manda a salutare i fratelli (15-17). Alla fine pone lui stesso il suo saluto e fa un'ultima richiesta, di ricordarsi delle sue catene (18). La lettera termina con un augurio di benedizione (la grazia sia con voi).

2) La lettera si conclude con un tono e un linguaggio molto personali e familiari. In fondo, in questa lettera, Paolo non si è riferito a situazioni contingenti di vita personale o comunitaria, ma ha proposto un'ampia catechesi sulla vita del cristiano, morto e risorto con Cristo, chiamato a pensare alle cose di lassù e a vivere con Cristo una vita nascosta e autentica. Alla fine della lettera, invece, Paolo si riferisce a persone concrete, conosciute per nome, ad esperienze di vita personale e comunitaria, a fatti accaduti a lui e ai suoi amici e collaboratori. La Parola, infatti, entra nelle vicende della vita di tutti i giorni e va a toccare non solo i rapporti generali (moglie-marito, figli-padri, schiavi-padroni) ma anche quegli specifici aspetti miei e tuoi, quelle persone citate per nome, quei fatti realmente accaduti.

3) Nella prima parte del testo (10-14) Paolo porta ai Colossesi i saluti di Aristarco, Marco, Gesù, Epafra, Luca e Dema. E' bello accorgersi del fatto che Paolo non saluta direttamente e in prima persona i Colossesi, ma quasi si nasconde dietro i suoi amici e collaboratori, presentandosi così indirettamente come un fratello tra i fratelli, come un umile strumento di saluto tra i suoi e i Colossesi. Peraltro, di ognuna delle persone citate che vogliono salutare i Colossesi Paolo dice qualcosa di caratteristico e di prezioso. I primi tre, Aristarco, Marco e Gesù sono cristiani di origine giudaica e hanno collaborato con Paolo nella diffusione, nella testimonianza del regno di Dio, e lo hanno aiutato di persona. Epafra, già citato più volte nel corso della lettera come figura di collegamento tra Paolo e i Colossesi, "ha lottato nelle preghiere". La preghiera cristiana, infatti, non è un'irenica fuga o evasione dalla realtà, dai problemi, dalle difficoltà e dal quotidiano, ma è lotta, combattimento, scontro con il male, dentro e fuori di noi. La preghiera, come per la vedova e il pubblicano (cf. Lc 18,1ss.), è un grido continuo, che non dà tregua né a se stessi né a Dio. La preghiera non è comoda o facile (beate te che hai tempo per pregare, fortunato te che hai la fede!) ma un combattimento senza sosta contro noi stessi, contro il nostro io. La preghiera e la vita di Epafra lo portano ad un rapporto con i Colossesi e con gli altri cristiani delle comunità vicine (Laodicea e Gerapoli) molto discreto ed estremamente casto: egli non prega per se stesso, ma per i suoi fratelli, "perché siano perfetti e pienamente convinti della volontà di Dio". Inoltre Epafra sta male, "ha una grande pena" per i suoi fratelli, contribuisce, con la sua partecipazione affettuosa e dolorosa, al progresso dei suoi fratelli di fede.

4) Il caso di Archippo (17) è probabilmente quello di un incaricato di Paolo o di altri, per esempio degli anziani della comunità di Colossi, il quale non si comporta adeguatamente rispetto al ministero (lett.: diaconia) che ha ricevuto. E' bello e importante che i ministri, in queste prime comunità cristiane di cui ci parla il Nuovo Testamento, non siano dei mostri isolati ma dei fratelli controllati, corretti, aiutati e sostenuti dai loro fratelli.

5) Il saluto è di mia mano: vostro Giuseppe.