Col 1,1-8 Giovedì 11 ottobre 2001
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello
Timòteo, 2 ai santi e fedeli fratelli in Cristo dimoranti in Colossi grazia a
voi e pace da Dio, Padre nostro!
3 Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4 per le notizie ricevute della vostra
fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, 5 in vista
della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito
l'annunzio dalla parola di verità del vangelo 6 che è giunto a voi, come pure
in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui
avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7 che avete appresa
da Epafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele
ministro di Cristo, 8 e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.
Affidiamo l'inizio del nostro cammino nella lettera ai Colossesi
all'intercessione del Beato Papa Giovanni di cui oggi festeggiamo la memoria
liturgica che la Chiesa ha fissato nel giorno in cui Giovanni Xlll ha
pronunciato quel discorso di inizio del Concilio che ha dato al Concilio stesso
un inaspettato e straordinario orientamento di speranza e di fortezza
spirituale. Oggi è anche l'anniversario delle "torri americane": un
mese fa un Islam preda di un'eresia di violenza demoniaca scatenava la furia
dei poveri contro una specie di tempio dei paesi ricchi, dando il drammatico
inizio, con il sacrificio di migliaia di innocenti, a un percorso di follia e
di morte che sta trovando in un'inutile guerra la prosecuzione sterile degli
errori del "golfo" e dei "balcani". Dunque, è proprio per
questo che noi cerchiamo e chiediamo alla Parola dell'Apostolo ai Colossesi
quella speranza nuova che non è rifugio intimistico per tenersi staccati dal
dramma della storia, ma dono supremo alla storia da parte di Dio in Gesù
Cristo.
I vers.5-6 sono il cuore del
nostro brano e la fonte appunto di questa speranza. La "parola di (o
"della") verità del Vangelo" è questa fonte. Tutto per noi è
incominciato quando ne abbiamo udito l'annuncio. E questa esperienza della parola
in noi è parallela, è sintomo, di quanto questa parola operi nel mondo intero
fruttificando e crescendo. Anche in noi fruttifica e cresce! Dunque, noi siamo
certi della direzione positiva della storia perché sperimentiamo in noi la
stessa potenza che la parola esercita nel mondo intero.
Questo è il motivo e l'oggetto
della preghiera incessante di Paolo e di Timoteo per i Colossesi: si dice ai
vers.3-4 che questa loro preghiera di ringraziamento è per la fede dei
Colossesi in Cristo Gesù che Paolo ha "ascoltato"(così alla lettera,
come per dire che questo ascolto della loro fede è il frutto dell'ascolto che i
Colossesi hanno fatto della Parola di verità del Vangelo di cui dicevamo
prima); questa preghiera di ringraziamento è anche per la carità che i
Colossesi nutrono verso tutti i santi, cioè verso tutti i fratelli (è il
"miracolo" dell'amore fraterno che unisce i discepoli del Signore);
l'orizzonte in cui tutto questo viene vissuto è la speranza: di essa si dice
che , alla lettera , "è riposta per voi nei cieli", e peraltro essi
l'hanno già conosciuta a motivo della predicazione evangelica; così dunque la
speranza è l'elemento di unione tra il cielo e la terra, perché è la
consapevolezza che l'annuncio della Parola è la comunicazione a noi della
stessa realtà dei cieli.
Tale annuncio proviene
dall'umile ed essenziale ministero apostolico. Paolo non è stato diretto
annunziatore ai Colossesi, ma li sente ugualmente suoi e per loro appunto
ringrazia Dio incessantemente (ver.3), perché unica è l'opera apostolica:
questo Epafra (vers.7-8), compagno di Paolo nel ministero ha annunciato la
Parola (ver.5),e ha sviluppato l'annuncio nell'insegnamento: tale è il
significato di questo verbo al ver.7. Lo stesso Epafra ha manifestato a Paolo
il frutto di amore spirituale presente nei Colossesi, e per loro e per tutto
questo Paolo ringrazia Dio: l'opera apostolica dunque va dal primo annuncio a
questa lode al Signore per le sue meraviglie.
Col 1,9-12 Venerdì 12 ottobre 2001
9 Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di
pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua
volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, 10 perché possiate
comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando
frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; 11
rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter
essere forti e pazienti in tutto; 12 ringraziando con gioia il Padre che ci ha
messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
Penso che il significato del ver.9 sia più denso e si riferisca a
quanto affermava Paolo al ver.4; anche allora dicevamo che non si tratta
semplicemente di "notizie ricevute circa la vostra fede", ma
dell'avere "ascoltato la vostra fede" : una fede eloquente che in se
stessa "parla " e quindi si comunica. Così adesso il verbo viene
ripreso - "abbiamo ascoltato" - e quindi si collega in modo forte a
quanto già affermato: come prima, avendo "ascoltato" la loro fede,
Paolo incessantemente pregava per ringraziare Dio, ora con uguale perseveranza
lo prega, ma adesso non tanto e solo per ringraziare, ma per domandare: è
l'altro volto della preghiera ed è la struttura tipica della preghiera ebraica,
cioè, dopo aver ringraziato Dio per la sua opera, lo si prega di intervenire
ancora per proteggere, o per soccorrere, o per mutare la situazione attuale.
In questa preghiera l'Apostolo
domanda per i Colossesi che possano "portare a pienezza la conoscenza
della volontà (di Dio) in ogni sapienza e intelligenza spirituale".
Compare qui già una preoccupazione di Paolo circa l'integrità e la rettitudine
del loro pensiero e quindi della loro prassi. Infatti al ver.10 parla di comportamento,
e lo fa con un termine quasi sempre presente e che indica un
"camminare" e che dunque attribuisce alla vita del credente un
carattere dinamico di movimento verso Dio; è a Lui che deve piacere il nostro
modo di camminare nella vita. Tale cammino positivo porta i suoi frutti: e qui
viene ripresa con molta genialità un'espressione già presente nel testo di ieri
e che purtroppo non viene evidenziata dalla versione italiana - "portando
frutto e crescendo" - , e sono gli stessi verbi usati ieri per dire che il
Vangelo "porta frutto e cresce" in tutto il mondo; e aggiungeva che
esso portava frutto e cresceva "anche in voi". Dunque, come al ver.6
era il Vangelo a portare frutto e a crescere, ora sono i Colossesi stessi che,
riempiti di tale Vangelo, devono, nella preghiera dell'Apostolo, portare frutto
e crescere; e precisa che devono portare frutto "in ogni opera buona"
e crescere "nella conoscenza di Dio": i contenuti della fede e la
prassi sono strettamente legati l'uno all'altro.
Il ver.11 ci ricorda quale sia
la potenza nuova che Gesù Cristo ha proclamato, ha celebrato in se stesso e ci
ha donato : non come dice la nostra traduzione "essere forti e pazienti in
tutto", ma essere rafforzati "secondo la potenza della sua gloria in
ogni pazienza e magnanimità"; non è un qualsiasi essere forti e pazienti,
ma è l'accogliere e celebrare in modo crescente questa nuova potenza che viene
dal Signore e che consiste appunto in quella "pazienza e magnanimità"
che ha avuto nel suo sacrificio d'amore il suo culmine e la sua pienezza.
L'espressione "con
gioia" appartiene ancora al ver.11 e il verbo ringraziare è, alla lettera,
"ringraziando": in tal modo il ver.12 è strettamente connesso al
versetto precedente, come peraltro è unito a quello successivo. E' bello quindi
sottolineare che l'invocazione dell'Apostolo è rivolta al Signore "con
gioia": non solo quando ringraziamo, ma anche quando domandiamo, la nostra
preghiera è fatta con gioia; tanto più che al ver.12 si ritorna con grande
forza a una preghiera di ringraziamento che sarà svolta per tutti i vers.13-20.
In questo versetto si ringrazia Dio perché "ci ha fatto idonei" -
cioè veramente ci ha "trasformati" - perché potessimo partecipare
alla "sorte" dei santi; sorte veniva chiamata quella porzione di
terra che veniva assegnata a sorte ad ogni tribù nella terra promessa e che
diventava la "loro eredità". Qui i "santi" sono o i figli
della Prima Alleanza o semplicemente gli altri cristiani.
Col 1,13-14 Sabato 13 ottobre 2001
13 È lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
14 per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.
In due soli versetti il nostro brano sintetizza e ricorda l'opera di
Dio per noi, la nostra storia della salvezza. Riflettiamo oggi su questi due
termini, opera e storia, per chiedere al Signore di essere rafforzati nel dato
essenziale della fede. Il nostro rapporto con Dio non avviene tanto per il
nostro confronto con una teoria filosofica o con un codice morale, quanto prima
di tutto per questa sua azione potente, per questo "fatto" che si è
verificato e si verifica nella nostra esistenza, per cui Egli ci libera da una
situazione negativa e ci "trasferisce" in una condizione nuova di
redenzione e di libertà nella verità.
Ci troviamo dunque nella
memoria forte della Pasqua. Il "punto di partenza" è
"negativo"; siamo prigionieri di un "male" dal quale non
possiamo scioglierci con le nostre forze. Bisogna aver chiaro che già per
questo "inizio" la fede ebraico-cristiana si pone all'opposto delle
concezioni dominanti del pensiero umano, che se mai concepiscono un
"inizio" integro, che poi per diversi motivi si degrada o può
degradarsi. Questo "male" è meglio descriverlo secondo due sue
fisionomie; la prima è quella detta, e cioè che la sua potenza negativa è
superiore a ogni nostra forza e quindi a ogni speranza di liberarci; la
seconda, che è intimamente connessa alla prima, è che la nostra persona si
rivela debole perché "da sola"; per la nostra fede e la nostra
sapienza la persona non è né autonoma né autosufficiente.
Qui dunque si compie l'opera
liberatrice-salvatrice di Dio che il nostro testo sintetizza in due verbi:
"ci ha liberati....ci ha trasferiti". Il primo dice "da
quale" male siamo stati strappati; il secondo "in quale" bene
siamo stati posti. Dunque il nostro rapporto con Dio è una "storia",
è la storia di questo "passaggio" che Egli ci fa compiere dal male al
bene; tale male e tale bene, nel loro pieno manifestarsi sono la morte e la
vita , che qui vengono descritte nella loro "potenza": la potenza
della tenebra e il regno del suo Figlio diletto. Quest'ultimo termine
"diletto" è espresso, alla lettera, con "Figlio del suo
amore".
L'avvenimento è dato come già
avvenuto, non come un'ipotesi o magari una certezza per il futuro. L'istinto
"religioso" dell'uomo colloca il premio "alla fine", e
dunque al termine di un itinerario consegnato all'incertezza e alla precarietà degli
eventi; la nostra fede proclama l'opera di salvezza di Dio come già compiuta, e
noi quindi come già "trasferiti" nel regno del Figlio. Questa è la
realtà e la potenza del Santo Battesimo. La vita dei "santi", cioè
dei cristiani, come intende il Nuovo Testamento quando usa questa parola, è e
può essere così proprio perché il "trasferimento" è già avvenuto. Non
si tratta dunque di ricevere un premio alla fine della vita, ma di custodire e
di far fiorire il dono della vita eterna (che non è solo una vita che non
finisce mai perché è al di là della morte, ma è semplicemente la bella vita di
Dio) in questa strada dell'esistenza terrena lungo la quale camminiamo verso la
casa di nostro Padre. Allora non ci siamo ancora arrivati!?! Per fede, come
vita "nuova" in noi, come potenza di bene, è già data; quest'ultima
ora della storia è perché, liberandoci da ogni residuo di male e di morte,
consentiamo al Signore di portare a compimento la sua opera buona in noi e per
noi.
A conferma di tutto questo, il
ver.14 afferma che per mezzo di questo "figlio dell'amore" noi
"abbiamo" la redenzione e la remissione dei peccati. L'espressione è
molto bella perché in quell' "abbiamo" viene detto certamente che
tale potenza di riscatto e di rinnovamento è collocata al principio della
nostra vita nuova, e che d'altra parte l' "abbiamo" come perenne
offerta e dono di Dio perché in ogni istante, anche oggi, possiamo essere da
Lui salvati e perdonati. Il che significa che la "salvezza" non è
solo un atto iniziale con il quale Dio ci ha liberati dal male e dalla morte,
ma è il tessuto profondo della nostra relazione con Lui, ed è il compito,
l'obbedienza che ci è chiesta come sapienza e prassi per tutta la nostra vita.
La Carità è la consegna a noi - "và e anche tu fa lo stesso" viene
detto al termine della parabola del Samaritano in Lc.10 - dell'azione e della
potenza che di Dio abbiamo conosciuto e che da Dio abbiamo ricevuto.
Col 1,15-18a Lunedì 15 ottobre 2001
15 Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
16 poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17 Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
18 Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
Tutto ciò che è detto in questi versetti è troppo grande per essere
commentato da me e in così breve spazio. Per un piccolo aiuto alla preghiera
mia e tua faccio alcune sottolineature.
Al ver.15 il termine
"ikona", immagine, in relazione all'attributo "invisibile".
Il Cristo è dunque la "visibilità" dell'invisibile Dio: ogni
"rappresentazione" di Dio diversa - più grande o più solenne o più
gloriosa - della persona di Gesù è di fatto più distante dalla verità di Dio, e
questo vale non solo per la sua fisionomia personale ma anche e soprattutto per
la fisionomia della sua personalità, del suo carattere, delle sue reazioni di
dolore e di gioia, per il suo pianto e la sua mitezza... Che Egli sia
l'immagine del Dio invisibile dice insieme l'Amore e la Speranza connesse alla
fede in Gesù Cristo: Amore perché dunque veniamo a sapere che l'uomo e la donna
sono a "immagine di Dio" che in tal modo si è a loro
"donato"; Speranza, perché anche la creatura umana più povera e
ferita porta in sè l'immagine del Creatore.
Ancora, al ver.15, la parola
"primogenito", che è la versione letterale di quello che in italiano
è espresso con "generato prima", in relazione alla parola creatura; è
molto forte che la creazione sia , a motivo di Gesù, intrecciata con la
creazione, e che dunque ogni creatura sia posta in una relazione figliale con
il Creatore.
Il ver.16 è tutto dedicato alla
creazione e alla relazione tra ogni creatura e Gesù Cristo. Con tre
preposizioni di straordinario rilievo Paolo dice che tutto il creato, anche in
quelle dimensioni supreme che sono del tutto al di sopra dell'esistenza umana e
tendono a dominarla (Troni, Dominazioni....), è stato fatto "in" Lui,
dice all'inizio di questo lungo versetto, e, alla fine, "per mezzo"
di Lui e "in vista" di Lui. Ogni creatura dunque trova in Gesù il
segreto della sua più profonda realtà, la sua vera origine e il senso della sua
esistenza.
Col 1,18b-20 Martedì 16 ottobre 2001
18b il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose.
19 Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza
20 e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
Vorrei ritornare per un istante al brano di ieri per notare con voi che
in questa grande "descrizione" di Dio e dell'universo è assente ogni
discorso sul peccato, e questo mi è sembrato sempre più importante perché
quando, come oggi, sia pure con molta discrezione e parlandone già nella via
della risoluzione, si parla di esso, tutto è come già avvolto e compreso nel
disegno positivo della relazione tra Dio , la creazione e la storia. Cristo non
è il rimedio per un "incidente di percorso" , il peccato appunto, ma
è, come anche oggi viene ribadito, "il principio", nel quale tutto è
stato creato, come ascoltavamo ieri, e tutto è salvato, come riceviamo oggi. In
tal senso tutto il tempo e tutta la realtà dalla creazione fino a Cristo
appaiono come "profezia" di questa nuova creazione che ha nella
"chiesa", qui nominata per la prima volta nella lettera, il suo
"luogo"; essa cioè si presenta come lo spazio e il tempo in cui l'opera
di Dio perfettamente si compie - "in lui ogni pienezza" dice al
ver.19 - , e la chiama "corpo" di cui il Signore è il capo
(ver.18).Questo peccato viene allora citato solo implicitamente per dire ed
esaltare la grande opera che il Padre compie per mezzo del Figlio: riconciliare
e rappacificare (ver.20).
Gesù è il grande protagonista di quest'opera del Padre. Come è stato il
"primogenito" di ogni creatura (ver.15), ora Egli viene detto
"primogenito" di coloro che risuscitano dai morti. Noi penseremmo che
la creazione e la storia sarebbero state migliori se non ci fosse stato il
peccato; invece mi sembra che le nuove creature rispetto a quelle dell'antica
economia siano come una risurrezione dai morti; e questo perché il Cristo, che
è il principio della vecchia creazione, è il principio della nuova, generata e
sorretta dal suo sacrificio d'amore: la nuova creazione in questo è
infinitamente superiore all'antica, perché è generata e sussiste per l'amore di
Dio pienamente svelato e dato nel sangue di Cristo.
Oggi veniamo a sapere ancora una volta la grande novità di vita
avvenuta nella storia con la Pasqua di Gesù! I vv. sono in parallelo con quelli
di ieri (15-18a) rispetto ai quali costituiscono una sorta di seconda
"strofa" del bellissimo canto su Gesù Cristo. Ieri si parlava della prima
creazione del quale Egli era "primogenito" di ogni creatura. Oggi è
il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, poiché con la sua Pasqua ha
dato inizio alla seconda creazione, definitiva, splendida, rinnovata,
esultante, che riguarda ancora "tutti" gli uomini.
Ieri il verbo dominante era "creare" oggi si parla di
"riconciliare; ancora due "sinonimi": la prima creazione era, ed
è ferita, incompleta, soggiogata dalla guerra e dalla divisioni a motivo del
peccato e della morte. Solo il sacrificio d'amore di Gesù, il suo sangue
versato può liberarla e rinnovarla, regalarle la pace duratura e autentica. Noi
rendiamo grazie a Dio che ci ha dato suo Figlio e celebriamo nella Messa di
ogni giorno la vittoria della vita sulla morte; abbiamo bisogno di essere ogni
giorno riconcigliati e perdonati perché ancora portiamo con noi tutte le
fatiche e le debolezze dell'uomo.
La pienezza (v.19) della vita, della verità, dell'essere non la
troviamo in noi o nell'umanità ma in Gesù nel quale Dio ha voluto che risiedesse
per sempre e in modo totale! Solo "attraverso di Lui e per Lui" tutte
le cose e le persone ricevono vita e significato.
Molto importante per questi giorni segnati dalla guerra e dai tentativi
goffi e inutili di portare pace con la violenza, è per noi il v.20 dove ci
viene rivelata la metodologia Divina di FARE LA PACE: "con il sangue della
sua croce". Solo se si passa attraverso il sacrificio d'amore pieno e
incondizionato, si può sperare di ottenere efficacemente, secondo Dio, la PACE
vera, quella della Pasqua. Ricordate che Gesù risorto visita secondo il vangelo
di Giovanni i suoi discepoli chiusi per la paura dei giudei, dicendo "pace
a voi!". Forse non ci verrà chiesto di versare il nostro sangue, però è
indubbio che per essere facitori di pace dobbiamo celebrare la messa cioè il
suo sacrificio, unico e definitivo, associarci e unirci al sangue che lui per
noi ha versato una volta per tutte.
Col 1,21-23 Mercoledì 17 ottobre 2001
21 E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente
intenta alle opere cattive che facevate, 22 ora egli vi ha riconciliati per
mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili
al suo cospetto: 23 purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi
lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato,
il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo,
sono diventato ministro.
Qui casca l'asino : cioè io! perché bisognerebbe conoscere veramente le
lingue della Bibbia per "resistere" alle scorciatoie che il
traduttore italiano ama imbroccare talvolta, per evitare qualche problema ma in
verità...provocandone altri. Chiedo scusa in anticipo.
Il brano di oggi vuole evidentemente sottolineare il contrasto tra la
nostra precedente situazione e la nostra nuova vita, e lo fa in due modi:
secondo la categoria del tempo, dicendo "..un tempo.. ora..", e
secondo la categoria di uno spazio simbolico - e questa descrizione domina il
nostro testo, per dire dove eravamo e dove siamo adesso.
Dunque, eravamo stranieri (ver.21), e la parola dice una collocazione
totalmente diversa, sottolineata qui dall'affermazione circa "la
mente", che, alla lettera, era non solo intenta (questa parola non c'è nel
testo), ma più radicalmente era "nelle opere cattive", e non solo
quelle "che facevate", ma per dire che la nostra mente era
sostanzialmente immersa in un universo negativo. Tale situazione la rendeva,
dice ancora, "nemica". Dunque alla lettera il testo direbbe :"E
voi un tempo estranei e nemici con la mente nelle opere cattive".
Ora, dice, il Signore "vi ha trasferiti nel corpo della sua carne
mediante la morte". Questo trasferimento Gli consente di presentarvi, di
porvi, al suo cospetto santi e immacolati : le parole ricordano il meraviglioso
testo nuziale di Efesini 5,27 dove appunto si dice che questa è la condizione e
la comunione nuziale nella quale noi ora viviamo. Il nostro compito, il nostro
dovere, è di "rimanere" in tale condizione; alla lettera direbbe :
"Se rimanete nella fede fondati e fermi" e, con un altro verbo ancora
di movimento, "non vi spostiate dalla speranza del Vangelo che avete
ascoltato".
Dunque : la predicazione evangelica di Paolo (ver.23) ha operato il
miracolo del nostro trasferimento da una condizione di inimicizia a una nuova
realtà nuziale della nostra vita con il Signore. Ci è chiesto di rimanere in
tale nuova vita. Come vedete, è opera di Dio e non nostra. Come già ieri
dicevamo, la nostra antica condizione di peccatori viene citata solo in
funzione di proclamare lo splendore dell'opera del Signore : dopo averne
parlato per la creazione (vers.15-17), e in generale per la sua opera di
salvezza (vers.18-20) oggi ci ha ricordato quale sia la nostra personale
esperienza di questa signoria assolutamente buona del Signore della nostra
vita.
Col 1,24-27 Giovedì 18 ottobre 2001
24 Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo
nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo
che è la Chiesa. 25 Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami
da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, 26 cioè il mistero nascosto
da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, 27 ai quali Dio
volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani,
cioè Cristo in voi, speranza della gloria.
Al ver.24 Paolo afferma, letteralmente : "Gioisco nei patimenti
per voi" Non si tratta di masochismo e neppure di un "fioretto"
per il bene dei Colossesi, ma del legame tra la salvezza dei cuori e dei popoli
e il sacrificio d'amore di Gesù; così già abbiamo incontrato al ver.20 dove la
nuova pace nei cieli e sulla terra era annunciata come frutto del "sangue
della sua croce". Ora l'Apostolo ci dice che tale fecondo sacrificio è in
qualche modo affidato alle generazioni cristiane, che trasmetteranno il Vangelo
non come una ideologia o una normativa, ma appunto come la vita nuova mediante
il sacrificio d'amore. Tale mi sembra
sia il significato dell'espressione "completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo": non che Gesù non abbia patito fino
all'estremo, fino alla pienezza del suo sacrificio d'amore; ma tale sacrificio
del Signore viene celebrato in ogni generazione cristiana e in ogni discepolo
di Gesù come fonte e segreto di ogni comunicazione del Vangelo attraverso una
comunione nella quale si dà la vita, ci si ama come Lui ci ha amati. Così Paolo
porta a pienezza, nella sua persona, la celebrazione della passione del Signore
a favore del suo corpo che é la Chiesa.
Nei vers.25-27 l'Apostolo descrive la particolarità della sua missione,
la predicazione alle Genti, ai pagani. Questo compito non è semplicemente un
aspetto molto importante della missione della Chiesa, ma viene qualificato da
Paolo come "il mistero"; e il mistero, nascosto per secoli e ora svelato
attraverso la sua stessa missione, è appunto la chiamata dei Gentili alla
stessa salvezza prevista e preparata nel popolo della Prima Alleanza. Le ultime
parole del brano di oggi si possono forse considerare quasi una definizione di
questo mistero :"Il Cristo in voi, la speranza della gloria". Vi
consiglio vivamente l'ascolto di tre testi fondamentali : Ef.2,13-22, dove si
descrive l'opera di pace che Cristo ha compiuto abbattendo il muro di
separazione tra Israele e le genti e facendo dei due un popolo solo; Ef.3,3-6,
dove con altre parole viene celebrata questa opera fondamentale di Dio; e
Rom.16,25-27, dove nelle parole conclusive della Lettera viene proclamato con
grande forza il mistero della salvezza universale.
Col 1,28-29 Venerdì 19 ottobre 2001
28 È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con
ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. 29 Per questo mi
affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.
Dice al ver.28 : "E' Lui infatti che noi annunziamo..."; si
tratta di una precisazione molto importante. L'annuncio del Vangelo è annuncio
di Gesù Cristo; non viene annunciato un libro o quello che vi è scritto, ma in
tutto questo viene annunciato il Signore, la sua persona; tanto più che l'
"annuncio" non è solo una trasmissione di notizie, ma la reale
"consegna" di Colui che viene annunciato. L'annuncio del Vangelo,
dunque, quando è veramente tale, è un avvenimento potente e coinvolgente che ci
dona non solo una conoscenza del Signore ma la sua potente presenza in noi.
Ripetendo per ben quattro volte la parola "ogni", Paolo ci
dice la cura, l'impegno e lo scopo delicato e profondo dell'opera evangelizzatrice
: alla lettera dice "ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni
sapienza per presentare ogni uomo perfetto in Cristo". Dice la cura
scrupolosa per consegnare ogni contenuto del messaggio cristiano, dice anche
come ogni via della fede sia particolare e esiga un procedimento proprio per
ogni persona.
L'uso del termine "sapienza" fa pensare a un'elaborazione del
puro dato conoscitivo in direzione di un'esperienza spirituale diretta e
concreta. Il termine "perfetto" non deve essere pensato secondo una
tradizione culturale che ci è più istintiva e deriva dalla nostra più profonda
tradizione di pensiero, ma che non appartiene propriamente al pensiero
ebraico-cristiano, come se "perfetto" volesse dire senza difetti.
Perfetto qui va pensato in direzione ancora del Cristo stesso, e quindi il suo
significato si avvicina al termine stesso di "cristiano", cioè
"di Cristo"; qui l'espressione è confermata e rafforzata
dall'aggiunta "in Cristo". La nostra perfezione coincide con la
nostra piena comunione con Lui.
Il ver.29 descrive l'opera apostolica come una lotta impegnativa, che
racchiude in sé sia la fatica di un lavoro di enorme impegno, sia
l'affrontamento dei pericoli e dei timori di una "lotta". Ma la
seconda parte del versetto dice che tutto ciò non è consegnato alle nostre
limitatissime forze, ma è l'orizzonte nel quale si manifesta e opera la potenza
stessa del Signore, potenza che opera direttamente e efficacemente nella
persona e nell'azione di chi vuole e deve annunciare il Vangelo.
Col 2,1-7
Sabato 20 ottobre 2001
1 Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi,
per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di
persona, 2 perché i loro cuori vengano consolati e così, strettamente congiunti
nell'amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e
giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo,
3 nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. 4 Dico
questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti, 5 perché, anche se
sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la
vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.
6 Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, 7 ben
radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato,
abbondando nell'azione di grazie.
La lotta aveva chiuso il cap.1 e la
lotta apre il secondo. Non viene qui indicato un “nemico” con il quale essa
viene combattuta, ma ci viene indicato il suo scopo, espresso con tre parole :
La consolazione, l’amore e la conoscenza del mistero di Dio (ver.2).
L’accenno fatto in 1,7 viene ora
confermato : questa chiesa non è nata direttamente dalla predicazione di Paolo,
ma anche se “non hanno visto la mia faccia nella carne”(così, alla lettera, al
ver.1), sono ugualmente cari all’Apostolo che per loro sostiene questa lotta.
La traduzione del ver.2 è molto
libera rispetto al testo. Non ci sono i due verbi “congiunti” e “acquistino”,
ma solo uno, molto forte, per esprimere una grande saldezza e unità di pensiero
e di atteggiamento. Alla lettera si potrebbe dire “affinché siano consolati (in
senso forte, esortati, convinti) i loro cuori, rafforzati (questo è quel verbo
forte che significa compattezza e determinazione) nell’amore e verso tutta la
ricchezza della pienezza del pensiero per una conoscenza del mistero di Dio,
Cristo, nel quale sono tutti i tesori della sapienza e della scienza”. Il
versetto è contorto e ridondante ma serve molto bene a dare l’idea di questa
totale unità nella persona del Signore di ogni sapere.
Il ver.4 contiene un fugace accenno
alla difficoltà proveniente da altre interpretazioni contro le quali Paolo
lotta. Esse però non vengono descritte se non come aggiunte e deviazioni
rispetto alla unità e alla semplicità che caratterizza il mistero cristiano, la
sua perfetta sintesi appunto nella persona, nell’opera e nell’insegnamento di
Gesù Cristo. In tale unità e coerenza
bisogna camminare.
Col
2,8-15
Lunedì 22 ottobre 2001
8 Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri
ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo
Cristo.
9 È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità,
10 e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di
ogni Principato e di ogni Potestà. 11 In lui voi siete stati anche circoncisi,
di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione
del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. 12 Con lui
infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati
insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai
morti. 13 Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri
peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i
peccati, 14 annullando il documento scritto del nostro debito, le cui
condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla
croce; 15 avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto
pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo.
Il testo di sabato diceva:
“Camminate nel Signore Gesù”. Oggi Paolo ci spiega in cosa consista camminare
in Gesù, quale sia la natura e la sostanza della nostra comunione con lui.
Notate quante volte si ripete l’espressione “in Lui” “con Lui” come nella messa
quando si dice “per Cristo con Cristo e in Cristo...”. Fa impressione vedere
che i verbi siano al passato: la nostra morte con lui, la nostra sepoltura ma
anche la nostra resurrezione in lui, è già avvenuta, nel battesimo!
“Con lui Dio ha dato vita anche a
voi”. Possiamo guardare a Gesù con un occhio, un affetto una gratitudine
rinnovata, piena di speranza.
E’ proprio un testo ricchissimo,
sul mistero di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso attraverso il
battesimo. Ci siamo fermati soprattutto sul v. 14, che dice che Cristo sulla
croce ha “cancellato il documento scritto le cui condizioni ci erano
sfavorevoli”. Manca nella traduzione italiana una parola che spiega perché
questo documento ci era sfavorevole: “per i precetti”. Cioè la Legge, con i
suoi comandamenti, mostra le nostre trasgressioni e quindi è causa di un
giudizio sfavorevole nei nostri confronti: da questo Gesù Cristo con la sua
croce ci ha liberati.
Anche nel vangelo di oggi (Mc
3,1ss.) Gesù mette in guardia da una certa interpretazione della Legge
(l’osservanza del sabato) che rischia di impedire il vero bene dell’uomo: forse
sono questi i “vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana” a cui fa cenno al
v. 8 oggi l’apostolo.
Col 2,16-23 Martedì 23 ottobre 2001
16 Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o
riguardo a feste, a noviluni e a sabati: 17 tutte cose queste che sono ombra
delle future; ma la realtà invece è Cristo! 18 Nessuno v'impedisca di
conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella
venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano
orgoglio nella sua mente carnale, 19 senza essere stretto invece al capo, dal
quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e
legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.
20 Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché
lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali 21 «Non
prendere, non gustare, non toccare»? 22 Tutte cose destinate a scomparire con
l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! 23 Queste cose hanno
una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e
austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la
carne.
Il v.16 inizia con la parola "dunque": come in altri punti,
S.Paolo nel ragionamento si ferma un attimo per trarre un paio di conclusioni
dopo le affermazioni capitali dei v. di ieri "12 Con lui infatti siete
stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme
risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
"
1° conclusione (v.16-19): ci sono dei fatti nella vita religiosa
dell'ebreo e del cristiano che sono secondari, marginali, non essenziali (cibo,
bevanda, feste, noviluni, sabati), sono solo ombra della realtà che deve
venire, anzi che è già venuta: CRISTO. Le pratiche religiose, cultuali hanno
valore nella misura in cui ci accompagnano, ci portano verso quello che esse
significano, anticipano: CRISTO!
Ma la "realtà" di Cristo è una realtà complessa: è il capo
(la parte più importante, quella che comanda, che guida) di un "corpo".
All'interno di questa realtà complessa capo-corpo S.Paolo oggi ci dice che
l'essenziale è il rapporto, il legame che li unisce: v.19 "essendo stretti
al capo" (attaccati, afferrati, aggrappati) "tutto il corpo CRESCE
secondo il volere (la "crescita" direbbe lett. l greco, la dinamica,
l'energia) di Dio. Capo e corpo, Cristo e la Chiesa, Cristo e tutti noi, sono
in un legame di vita, di crescita, di sviluppo, continuo.
2° conclusione (20-22) i precetti, i dogmi (v.14 =le condizioni, a noi
sfavorevoli, inchiodate sul legno della croce) non devono prendere il
sopravvento. Esse ci condannano! Il nostro rapporto con il Signore non deve
assolutamente tornare e essere come quello dell'antica alleanza, una pratica di
precetti, un osservanza stretta, sterile dei comandamenti. Questi precetti, che
sono certamente di origine divina, in mano agli uomini si "consumano con
l'uso" (v.22), diventano sempre più precetti di uomini e non divini.
Ricorderete il quando Gesù viene interrogato dai farisei sul fatto che i suoi
discepoli non si lavano le mani... I precetti per quei farisei sono diventati
più importanti di tutto, soffocando le cose essenziali: la misericordia, la
giustizia e la fedeltà (Mt 23,23).
C'è un rischio grave, molto comune e noto a tutti, e cioè il ridurre il
nostro rapporto con il Signore ad un sistema di osservanze (messa, lodi,
vespri, rosario, ecc...) dimenticando che esse sono l'occasione che ci è
regalata per incontraci con Lui, con la persona di Gesù, il nostro CAPO, dal
quale riceviamo sostentamento e vita.
Col 3,1-4 Mercoledì 24 ottobre 2001
1 Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si
trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2 pensate alle cose di lassù, non a
quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta
con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche
voi sarete manifestati con lui nella gloria.
I pensieri di questi giorni si raccolgo e si derivano tutti dalla
NOTIZIA dataci da Paolo nel capitolo precedente: L'avvenimento della Pasqua di
Gesù ha un'applicazione concreta nella vita di ciascuno di noi, a partire dal
battesimo. Applicazioni e conseguenza anche etiche, regole di comportamento che
non derivano quindi dal "sentire comune", dalla tradizione,
"dagli uomini" ma appunto dalla Pasqua di Cristo (cfr. testo di ieri:
cibo, bevanda, feste, noviluni, sabati, precetti quali non prendere, non gustare,
non toccare; o quello di domani). Già notavamo che Paolo ripete la parola
"dunque"; è proprio questo il ragionamento, la modalità tipica del
"cristiano": La Pasqua di Gesù... Il battesimo... DUNQUE... E' molto
importante ricordarci sempre che la fonte della nostra sapienza sono quei due
avvenimenti capitali!
Nel testo di oggi questo è particolarmente evidente: dal momento che
Cristo è assiso alla destra di Dio ("lassù") e dal momento che siamo
stati battezzati ("siete risorti con Cristo") allora dobbiamo cercare
le cose di lassù! Il nostro legame con la Pasqua di Cristo ci proietta
continuamente verso di Lui dove ora si trova! Uno potrebbe notare molto
giustamente che questo è impossibile; come facciamo a pensare sempre alle cose
di lassù quando siamo presi da tante cose "della terra", da mille
preoccupazioni, dal lavoro, dai figli, ecc.? Viene in mente Pietro che se da un
lato, ispirato dal Padre riconosce Gesù come Cristo, Figlio del Dio vivente, ma
dall'altro subito dopo protesta ammonendo Gesù di non andare a Gerusalemme per
subire la passione. Gesù gli dice "lungi da me Satana perchè non pensi
secondo Dio ma secondo gli uomini". In Pt confessore ispirato ma anche
uomo, siamo tutti noi!
Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi di cosa mangiare, di
come vestirsi: "cercate PRIMA il regno di Dio, e tutte queste cose vi
saranno date in aggiunta". E' importante quella parola PRIMA. Se da un
lato non possiamo pensare sempre alle cose di lassù, però possiamo guardare per
un momento, magari all'inizio della nostra giornata, al Signore, dando al
nostro cuore l'orientamento principale... poi la giornata ci assorbirà ogni
forza. E' una grande grazia poter "anticipare" quello che vivremo una
volta che saremo accanto a Lui per sempre: ci è data la possibilità di pensare
alle cose di lassù, di cercare non le cose della terra ma quelle del cielo!
La nostra vita è per ora nascosta con Cristo in Dio. Cioè ancora non è
la pienezza; Mt 6 ci ricorda che l'incontro con il Signore avviene nel
nascondimento della nostra camera, con la preghiera. E questo non per un gusto
del segreto e del mistero ma proprio perché solo quando si manifesterà Cristo,
NOSTRA VITA, anche noi scopriremo la nostra gloria. "Fin d'ora siamo Figli
di Dio ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato. Sappiamo però che quando
egli sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli
è." (1Gv 3,2).
Col 3,5-11 Giovedì 25 ottobre 2001
5 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra:
fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia
insaziabile che è idolatria, 6 cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro
che disobbediscono. 7 Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita
era immersa in questi vizi. 8 Ora invece deponete anche voi tutte queste cose:
ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9 Non
mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con
le sue azioni 10 e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena
conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11 Qui non c'è più Greco o Giudeo,
circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è
tutto in tutti.
Ieri ci invitava a guardare alle cose di lassù e non a quelle sulla
terra. Il nostro legame con la terra e quindi con il peccato è fortissimo, sono
le membra stesse del nostro corpo (in italiano "parte di voi").
Queste le dobbiamo uccidere, mortificare!
Prendo un commento di Crisostomo dal libro BIBLIA "Lettera ai
Colossesi" a cura di G. Sgarbi:
"v. 5. "Fate morire". Ma che dici? Non hai detto che
«siete stati sepolti», che «siete stati sepolti con lui» (cf. 2,12), che «siete
stati circoncisi» (cf. 2,11), che «ci siamo spogliati del corpo dei peccati
della carne» (cf. ivi)? Dunque, come puoi ancora. dire: "Fate
morire"? Non scherzare! Parli come se queste cose fossero in noi. Non è
una contraddizione. Come non si contraddirebbe uno che, dopo aver pulito una
statua sporca, anzi, dopo averla rifusa e riportata al suo primitivo splendore,
dicesse che la ruggine è stata tolta ed è sparita, ma consigliasse anche di
impegnarsi a togliere la ruggine. Consiglia, infatti, di togliere non la
ruggine che egli ha eliminato, ma quella che apparirà in seguito. Così
l'apostolo non parla della morte precedente, ne delle precedenti fornicazioni,
ma di quelle che sorgeranno in seguito. Le vostre membra che sono sulla terra.
Ma ecco, - dicono gli eretici - Paolo avversa la creazione. Prima infatti ha
detto: Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra
(3,2), poi dice: "Fate morire le vostre membra che sono sulla terra".
Ma qui l'espressione "sulla terra" significa il peccato, non
l'avversione alla creazione. In questo modo, infatti, chiama peccati quelle
cose che sono «sulla terra»: sia perché sono commesse da un pensiero terreno e
«sulla terra», sia per mostrare che i peccatori appartengono alla terra.
Concupiscenza cattiva. Ecco, Paolo in modo generico ha detto tutto. Tutto è
infatti «concupiscenza cattiva»: invidia, ira, tristezza."
Mi è stato molto utile leggere la lettera ai Romani 7,20ss "...ma
vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e che mi rende schiavo della
legge del peccato che è nelle mie membra. O miserabile uomo che sono! Chi mi
libererà da questo corpo di morte? 25 Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù
Cristo, nostro Signore. Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio, ma
con la carne la legge del peccato".
La grazia del battesimo è la possibilità di spogliarsi dell'uomo
vecchio con le sue azioni e di rivestire quello nuovo. E come l'opera di
mortificazione, di purificazione è continua, mai conclusa così anche l'opera di
"rinnovamento". Questa secondo il v.10 avviene mediante la conoscenza
della verità, cioè di Cristo; "guardando le cose di lassù". Ma ancora
più stupefacente è il fatto che veniamo rinnovati "a immagine di colui che
ci ha creato". Se prima eravamo in balia delle nostre membra ora
camminiamo portando l'"immagine di Dio", rinnovati incessantemente
dall'azione dello Spirito in noi.
"Qui", letteralmente "dove", cioè in questa opera
di rinnovamento a immagine del creatore, le differenze tra le persone non sono
più causa di divisione, ma "Cristo è tutto in tutti". Ognuno vede nel
fratello il Cristo, la propria vita!
Col 3,12-15 Venerdì 26 ottobre 2001
12 Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti
di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13
sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di
che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così
fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo
di perfezione. 15 E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa
siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
v. 12 "rivestitevi": questo verbo l'abbiamo appena incontrato
"Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete
rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del
suo Creatore". Si tratta di un abito nuovo perché si "rinnova"
continuamente e più lo usi più è bello! Anche oggi Paolo ci esorta ricordandoci
la nostra condizione più profonda e importante: "come eletti di Dio, santi
e amati". E' proprio perché siamo stati eletti, santificati, amati da Dio
che ora ci possiamo rivestire di "viscere di misericordia".
"viscere di misericordia" nella bibbia indica la parte più
intima della persona, più interna, dove hanno sede i sentimenti... è curioso
che stia parlando di un abito: "rivestitevi di viscere di
misericordia". L'abito bianco del nostro battesimo, è nascosto agli occhi
del mondo ("la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio"),
riguarda noi e il nostro rapporto con il Signore.
La bellezza, la positività della nostra vita è quindi un regalo che il
Signore ci fa e che noi non dobbiamo che riconsegnare a lui attraverso il
prossimo con il quale viviamo: "bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza...
sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di
che lamentarsi nei riguardi degli altri". Il dono ricevuto ci
"obbliga" a vivere come amati di Dio, santi e diletti",
"Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi".
Il verbo "perdonare" (v.13) e il verbo "essere
riconoscenti" (v. 15) in greco hanno la stessa radice: "grazia";
li potremmo tradurre "il Signore vi faccia grazia" e "rendete
grazie" (è il verbo da cui deriva la parola eucaristia). E' un termine
molto caro a Paolo in questa lettera:
1,3 Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro
Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi
1,12 ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di
partecipare alla sorte dei santi nella luce.
3, 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel
nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
Col 3,16-17 Sabato 27 ottobre 2001
16 La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e
ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi,
inni e cantici spirituali. 17 E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto
si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio
Padre.
Come sentiamo dal vangelo di oggi di Mc (4,10-20), la nostra vita è
conquistata dal seminatore Gesù, che sparge senza riserve la sua semente su di
noi, in qualunque modo (sassosi, spinosi, fertili, ecc.) noi ci presentiamo:
"la parola di Cristo abiti in voi abbondantemente". L'antico libro
del Dt 6,7 diceva "La mediterai quando stai seduto e quando ti alzi,
quando ti corichi e quando vai per strada".
"ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza e
intelligenza": siamo tutti coinvolti! Quello che al cap.1,28 ("É lui
infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza,
per rendere ciascuno perfetto in Cristo") sembrava solo del ministero
dell'apostolo ora caratterizza tutti i battezzati.
Dobbiamo ammaestrarci a vicenda ma soprattutto ammaestrare "noi
stessi": la vulgata dice "verbum Christi habitet in vobis abundanter
in omni sapientia docentes et commonentes VOSMET ISPOS psalmis hymnis canticis
spiritalibus in gratia cantantes in cordibus vestris Deo."
Dicendo "con canti inni e cantici spirituali" ci fa capire
che questi sono proprio "parola di Cristo". Quando cantiamo i salmi
cantiamo le SUE parole, e se accordiamo la mente con il cuore, se non ci
distraiamo ma pronunciamo con il cuore ciò che leggiamo allora la nostra
preghiera non è più nostra ma di Gesù e della Chiesa in noi.
Ma l'unitarietà della preghiera "in Cristo" si dilata anche a
tutto quello che facciamo "quotidianamente": "17 E tutto quello
che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù,
rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre".
E' un testo evidentemente straordinario difficile da commentare con le
nostre parole. Penso non sia perciò stato un gran danno l'enorme ritardo con
cui vi ho scritto il nostro commentino. Scusate. Lunedì cercheremo di essere
più puntuali.
Col 3,18-4,1 Lunedì 29 ottobre 2001
18 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.
19 Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse. 20 Voi, figli,
obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. 21 Voi, padri, non
esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino. 22 Voi, servi, siate
docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi
vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore
del Signore. 23 Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e
non per gli uomini, 24 sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore
l'eredità. Servite a Cristo Signore. 25 Chi commette ingiustizia infatti subirà
le conseguenze del torto commesso, e non v'è parzialità per nessuno.
1 Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo
che anche voi avete un padrone in cielo.
Ricordiamo il v.17 "tutto quello che fate in parole ed opere,
tutto si compia nel nome del Signore Gesù". I versetti di oggi sviluppano
quel v.17 nelle dinamiche dei rapporti interpersonali tra mogli e mariti, figli
e padri, servi e padroni. Tra queste tre coppie c'è sempre uno più piccolo, più
debole e uno più forte, più grande. Paolo ci ricorda che queste relazioni, che
hanno naturalmente un equilibrio fragile, sono esposte al giudizio del Signore:
"25 Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto
commesso".
Occorre "sapere" che il Signore non solo c'è e ci giudicherà
per quello che facciamo nei confronti dei piccoli, ma anche che è il vero
riferimento, il vero termine, il vero scopo del nostro agire: "qualunque
cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini".
Cfr. in questo senso i testi precedenti sul primato assoluto di Cristo. Se
teniamo presente Lui nel nostro cuore, umilmente, ecco che ogni rapporto con il
nostro prossimo, grande o piccolo che sia, riceverà luce e respiro. Provate a
rileggere il testo di oggi e sottolineare tutti i rimandi al Signore:
"come si conviene nel Signore", "ciò è gradito al Signore",
"nel timore del Signore", "fatela di cuore come per il
Signore", "riceverete dal Signore l'eredità" e l'espressione che
le riassume tutte, valida non solo per i servi ma per tutti: "Servite a
Cristo Signore".
Mi viene in mente un paragrafetto della nostra regola (Nota integrante
- S.Francesco): "L'Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono
portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva,
personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per
conformità d'amore al Crocifisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni
creatura, per poi riceverle trasfigurate nella lode pura dell'Altissimo Signore,
lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai
popoli non cristiani".
Col 4,2-6 Martedì 30 ottobre 2001
2 Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. 3
Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e
possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: 4
che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.
5 Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni
occasione. 6 Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per
sapere come rispondere a ciascuno.
La preghiera (v.2-4). E' un tema importante nella lettera ai colossesi.
Fa da cornice al testo di ieri infatti Paolo ne aveva parlato al v.16 "La
parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con
ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici
spirituali" e ne riparla oggi. Il nostro comportamento, i nostri rapporti
con gli altri, specialmente quelli delicati (moglie-marito, figli-padri,
servi-padroni, cfr. ieri!) trovano la loro giusta collocazione, il loro giusto
equilibrio se immersi, sostenuti, custoditi dalla preghiera.
Più in generale la preghiera plasma, vivifica, rinnova il nostro
rapporto con il Signore, con Cristo.
Col 1,3 "Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del
Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, 4 per le notizie
ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti
i santi".
Col 1,9 "non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che
abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza
spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per
piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella
conoscenza di Dio".
E quale preghiera? Paolo oggi dice: "Perseverate nella preghiera e
vegliate in essa, rendendo grazie (lett. nell'eucaristia")". Quindi
la messa che è la continua celebrazione del nostro rendimento di grazie perché
non siamo più da soli, ma abbiamo Gesù con noi.
E' importante anche l'invito di Paolo affinché i Colossesi preghino per
"lui e i suoi" che annunziano il vangelo! Il compito che Dio gli ha
affidato è grave, importante e sa bene che da soli non possono nulla. Sono i
grandi capi, gli apostoli eppure hanno bisogno della preghiera degli sparuti
Colossesi! E' bellissimo.
Dice letteralmente "pregate anche per noi, perché Dio ci apra la
porta della PAROLA": certo la parola della predicazione ma forse qualcosa
in più. "La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente" (v.16).
Ognuno di noi ha il compito e la responsabilità di aprire il dono che ha
ricevuto, Cristo in noi, e diffonderlo a tutti.
v.5-6. Dopo aver insistito tanto sulla preghiera come mezzo per
manifestare il mistero di Cristo, ora Paolo ci cala nella storia e ci dice come
fare con "quelli di fuori" cioè quelli che, vicini a noi, non
conoscono ancora Gesù oppure lo hanno dimenticato: "con quelli di fuori
camminate con sapienza, il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con
sale, per sapere come rispondere a ciascuno." Dobbiamo tradurre tra i
nostri amici la sapienza che abbiamo ricevuto, camminando con loro, condendo
con il sale del Signore ogni cosa che facciamo, avendo una parola importante
per ciascuno!
Col 4,7-9 Mercoledì 31 ottobre 2001
7 Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e
ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, 8 che io mando a voi,
perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori.
9 Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri.
Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.
Siamo al penultimo testo dei Colossesi. Ci fermeremo due giorni per i
santi e i defunti e sabato leggeremo i saluti finali. E' lo stile della
"lettera" che impone un inizio con l'esplicitazione di mittente e
destinatario e un finale con saluti e raccomandazioni. Il fatto stesso che
questa lettera sia stata scritta ci fa capire come fosse, e come è, importante,
la circolazione di notizie, di persone, di lettere appunto per le comunità
cristiane dei primi secoli. Ricordiamo che la fede in Gesù a Colossi l'ha
portata Epafra: Col 1,6-7 "... così anche fra voi dal giorno in cui avete
ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 7 che avete appresa da
Épafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele
ministro di Cristo, 8 e ci ha pure manifestato il vostro amore nello
Spirito". I gruppetti sparsi e sparuti di cristiani formavano piccole
comunità che si sostenevano attraverso i ministri del Vangelo, come Paolo, che
giravano e portavano conforto e notizie da arte delle altre chiese. E si
tenevano "collegati".
E' importante che ci fossero sia le lettere, testi scritti, che
rimanevano, che potevano essere rimeditati, passati ad altre persone o ad altre
chiese sia le persone, qui Tichico e Onesimo, che portavano la testimonianza
diretta che potevano spiegare a voce il pensiero dell'apostolo, che davano la
loro vita in questi viaggi. Dopo i testi bellissimi dei cap. precedenti su
Cristo e sul nostro rapporto con lui, potevamo sentire il rischio di una fede
per il nostro cuore, solitaria, individuale, invece i testi sulla preghiera e
ancor più quello di oggi e di sabato ci consegnano un comunità fatta di persone
concrete con nome e cognome, che vivono sulla loro pelle, insieme, le verità
bellissime della vita cristiana.
Di Tichico si dice che era fratello, diacono e conservo, tre
caratteristiche importantissime del discepolo di Gesù. Ma ancora più incisivi
sono gli aggettivi che Paolo usa per lui, che lo avvicinano ancora di più al
Signore: fratello "amato" (Gesù viene detto dal Padre "questo è
il Figlio mio diletto..." nel battesimo e sul monte Tabor); diacono
"fedele" (nell'Apocalisse Gesù è chiamato il servo fedele); schiavo
nel Signore (Fil 2 Gesù svuota se stesso e si trova nella condizione di
schiavo).
E cosa deve fare Tichico? Deve confortare, consolare. Il verbo usato è
lo stesso che si usa per dire dello Spirito Santo "paraclito",
consolatore. E' il grande mediatore-annunciatore diretto della lettera!
Pensiamo che Paolo, che al momento della redazione dello scritto era
probabilmente a Roma in catene, forse aveva altro a cui pensare, anche in
ordine al suo rapporto con Cristo. E invece si spende per il gruppino dei
Colossesi e invia loro il suoi servo fedele!
Col 4,10-18 Sabato 3 novembre 2001
10 Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di
Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli
buona accoglienza - 11 e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla
circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi
sono stati di consolazione. 12 Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è
dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché
siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. 13 Gli rendo
testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di
Geràpoli. 14 Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.
15 Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna
nella sua casa. 16 E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che
venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata
ai Laodicesi. 17 Dite ad Archippo: «Considera il ministero che hai ricevuto nel
Signore e vedi di compierlo bene».
18 Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie
catene. La grazia sia con voi.
1) E' il passo conclusivo della lettera ai Colossesi. Paolo porta i
saluti di alcuni fratelli (10-14) e manda a salutare i fratelli (15-17). Alla
fine pone lui stesso il suo saluto e fa un'ultima richiesta, di ricordarsi
delle sue catene (18). La lettera termina con un augurio di benedizione (la grazia
sia con voi).
2) La lettera si conclude con un tono e un linguaggio molto personali e
familiari. In fondo, in questa lettera, Paolo non si è riferito a situazioni
contingenti di vita personale o comunitaria, ma ha proposto un'ampia catechesi
sulla vita del cristiano, morto e risorto con Cristo, chiamato a pensare alle
cose di lassù e a vivere con Cristo una vita nascosta e autentica. Alla fine
della lettera, invece, Paolo si riferisce a persone concrete, conosciute per
nome, ad esperienze di vita personale e comunitaria, a fatti accaduti a lui e
ai suoi amici e collaboratori. La Parola, infatti, entra nelle vicende della
vita di tutti i giorni e va a toccare non solo i rapporti generali
(moglie-marito, figli-padri, schiavi-padroni) ma anche quegli specifici aspetti
miei e tuoi, quelle persone citate per nome, quei fatti realmente accaduti.
3) Nella prima parte del testo (10-14) Paolo porta ai Colossesi i
saluti di Aristarco, Marco, Gesù, Epafra, Luca e Dema. E' bello accorgersi del
fatto che Paolo non saluta direttamente e in prima persona i Colossesi, ma
quasi si nasconde dietro i suoi amici e collaboratori, presentandosi così
indirettamente come un fratello tra i fratelli, come un umile strumento di
saluto tra i suoi e i Colossesi. Peraltro, di ognuna delle persone citate che
vogliono salutare i Colossesi Paolo dice qualcosa di caratteristico e di
prezioso. I primi tre, Aristarco, Marco e Gesù sono cristiani di origine
giudaica e hanno collaborato con Paolo nella diffusione, nella testimonianza
del regno di Dio, e lo hanno aiutato di persona. Epafra, già citato più volte
nel corso della lettera come figura di collegamento tra Paolo e i Colossesi,
"ha lottato nelle preghiere". La preghiera cristiana, infatti, non è
un'irenica fuga o evasione dalla realtà, dai problemi, dalle difficoltà e dal
quotidiano, ma è lotta, combattimento, scontro con il male, dentro e fuori di
noi. La preghiera, come per la vedova e il pubblicano (cf. Lc 18,1ss.), è un
grido continuo, che non dà tregua né a se stessi né a Dio. La preghiera non è
comoda o facile (beate te che hai tempo per pregare, fortunato te che hai la
fede!) ma un combattimento senza sosta contro noi stessi, contro il nostro io.
La preghiera e la vita di Epafra lo portano ad un rapporto con i Colossesi e
con gli altri cristiani delle comunità vicine (Laodicea e Gerapoli) molto
discreto ed estremamente casto: egli non prega per se stesso, ma per i suoi
fratelli, "perché siano perfetti e pienamente convinti della volontà di
Dio". Inoltre Epafra sta male, "ha una grande pena" per i suoi
fratelli, contribuisce, con la sua partecipazione affettuosa e dolorosa, al
progresso dei suoi fratelli di fede.
4) Il caso di Archippo (17) è probabilmente quello di un incaricato di
Paolo o di altri, per esempio degli anziani della comunità di Colossi, il quale
non si comporta adeguatamente rispetto al ministero (lett.: diaconia) che ha
ricevuto. E' bello e importante che i ministri, in queste prime comunità
cristiane di cui ci parla il Nuovo Testamento, non siano dei mostri isolati ma
dei fratelli controllati, corretti, aiutati e sostenuti dai loro fratelli.
5) Il saluto è di mia mano: vostro Giuseppe.