2 Pt 1,1-4
Martedì 4 dicembre 2001
1 Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno
ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro
Dio e salvatore Gesù Cristo: 2 grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza
nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro. 3 La sua potenza divina ci ha fatto dono di ogni bene per quanto
riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati
con la sua gloria e potenza. 4 Con queste ci ha donato i beni grandissimi e
preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi
della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa
della concupiscenza.
Pietro si rivolge “a coloro che
hanno ricevuto in sorte con lui la stessa preziosa fede”: la traduzione
italiana, forzatamente libera rispetto al testo originalem ne rende tuttavia
l’idea, che è quella di ricordarci la nostra sorte comune, una condizione che
non può essere né vissuta né meritata né cercata né trovata ma solo
misteriosamente e inspiegabilmente ricevuta.
Inoltre quel termine “preziosa
fede” vuole sottolineare oltre alla nostra comune vicenda anche la sua
preziosità: il fatto profondo della nostra condizione di battezzati che precede
e trascende ogni specificazione legata a doni o compiti personali. Il battesimo
è dunque il tesoro prezioso che abbiamo in comune.
La preoccupazione di Pietro sembra
essere, oggi e anche nel seguito, che noi facciamo fiorire questo dono iniziale
che egli definisce al v.3 con due parole: “vita e pietà”. La seconda, “pietà”,
è questa “vita” stessa nelle sue potenzialità e nella sua fisionomia. Tale dono
ci ha trasmesso secondo il v.4, tutte le preziose e grandi prospettive e realtà
promesse! Si tratta di tutta la profezia veterotestamentaria che in Cristo si è
adempiuta.
Con un’espressione molto forte,
sempre al v.4, Pietro dice che per tutto questo siamo diventati “partecipi
della natura divina” essendo sfuggiti alla corruzione causata dalla cupidigia
mondana. Ancora sembra essere una memoria forte del dono battesimale, fonte
della vita nuova: siamo passati dalla morte alla vita, dalla stirpe di Adamo a
questa “natura” nuova di figli di Dio.
2 Pt 1,5-11
Mercoledì 5 dicembre
2001
5 Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la
virtù, alla virtù la conoscenza, 6 alla conoscenza la temperanza, alla
temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, 7 alla pietà l’amore fraterno,
all’amore fraterno la carità. 8 Se queste cose si trovano in abbondanza in voi,
non vi lasceranno oziosi né senza frutto per la conoscenza del Signore nostro
Gesù Cristo.
9 Chi invece non ha queste cose è cieco e miope, dimentico di essere
stato purificato dai suoi antichi peccati. 10 Quindi, fratelli, cercate di
render sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete
questo non inciamperete mai. 11 Così infatti vi sarà ampiamente aperto
l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo.
Come anticipavo ieri, Pietro è
preoccupato di sottolineare la necessità di curare, far fiorire e custodire il
dono ricevuto. Peraltro sembra di capire che la nostra cura in tal senso esige
che noi “amministriamo” con cura e sollecitudine quello che abbiamo ricevuto e
che è nostro compito svolgere e portare a pienezza. Così il verbo che in
italiano dice “aggiungere” sembra indicare la cura di dare, concedere,
accordare, e quindi porgere quello che ci è stato dato.
Questa cura viene ulteriormente
sottolineata dall’espressione “mettete ogni impegno”, un termine che porta in
sè due significati, la fretta (ricordate la fretta con la quale Maria si alza
per andare a visitare Elisabetta in Lc.1,39) e lo zelo (che pure è certamente
compreso nel gesto di Maria). Così dunque siamo confermati circa la
necessità di avere gran cura della nostra vita di fede (ricordiamo
l’espressione del ver.3 dove si diceva
di quel dono di ogni bene “per quanto riguarda la vita e la pietà”). Non
esamino le singole parole che dicono queste successive “aggiunte” perché mi
sembrano abbastanza chiare.
Piuttosto è degna di nota l’assicurazione
che il nostro zelo ci consentirà di essere attivi e fecondi nella conoscenza
del Signore (ver.8). Al contrario, chi non avrà tali cose, sarà al buio, cioè
entrerà in una condizione di oblio rispetto al dono ricevuto. Mi sembra molto
bello qui l’evidente richiamo a uno dei caposaldi della fede ebraico-cristiana,
cioè la memoria, il non-dimenticare. Tutte le cure prima indicate esprimono
quindi il nostro impegno a ricordare con crescente chiarezza e profondità il
senso della nostra vita salvata da Dio. Infatti la purificazione dagli “antichi
peccati” è la grazia del Battesimo. Mi sembra evidente che, come nella sua
prima lettera, anche qui Pietro si preoccupa della custodia e della crescita
della nostra vita battesimale.
Al ver.10 viene ripreso in forma
verbale il termine dello zelo che abbiamo visto al ver.5, il dono del Signore
viene chiamato “la vostra vocazione e la vostra elezione”, e veniamo assicurati
di nuovo che il nostro impegno non avrà inciampi.
Infine, al ver.11,viene ripreso in
forma passiva il verbo del ver.5, che può essere reso con quei verbi che
abbiamo indicato prima, e quindi dire che ci sarà “concesso” l’ingresso nel
Regno.
2 Pt 1,12-15
Giovedì 6 dicembre
2001
12 Perciò penso di rammentarvi sempre queste cose, benché le sappiate e
stiate saldi nella verità che possedete. 13 Io credo giusto, finché sono in
questa tenda del corpo, di tenervi desti con le mie esortazioni, 14 sapendo che
presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il
Signore nostro Gesù Cristo. 15 E procurerò che anche dopo la mia partenza voi
abbiate a ricordarvi di queste cose.
I quattro versetti del nostro brano
esprimono un atteggiamento molto determinato da parte di Pietro; ognuno di essi
infatti comincia con un verbo in prima persona singolare dove egli afferma e
riconferma la sua persuasione in ordine a due cose: la certezza che il suo
dovere sia rinnovare la memoria dei suoi fratelli intorno al mistero della
salvezza; e questo fare, sapendo che è ormai vicino per lui “l’abbandono della
tenda”, cioè la sua morte.
Ai vers.12.13.15. si cita la
memoria: “rammentarvi”(ver.12), “esortazioni”(alla lettera, ”memoria,
ricordo”)(ver.13),e infine ”abbiate a ricordarvi”(ver.15). Viene subito
chiarito, al ver.12, che ciò non è dovuto al fatto che essi non sappiano o non
siano convinti. In verità la “memoria” è un evento dello Spirito, è una
celebrazione, è un dono di Dio che conferma e fa crescere nella fede. Si tratta
di una “restituzione” e di una “riatualizzazione”, che ha un suo analogo anche
nelle nostre relazioni fraterne, dove la ripetuta comunicazione del nostro
affetto reciproco non è per comunicare qualcosa che non si sa, ma appunto per
rassicurare e per far crescere il legame positivo che ci unisce. Ma per la vita di fede bisogna dire ancora
di più: e cioè che la memoria di fatto ripropone e attualizza per intero
l’avvenimento salvifico: bisogna pensare dunque che il cuore della nostra
preghiera che è la memoria liturgica della Pasqua del Signore ogni volta
“accende” in noi, in comunione con il Cristo di Dio, la nostra morte e la
nostra risurrezione. L’unicità del Battesimo non è un fatto chiuso, ma l’avvio
di un’esistenza incessantemente visitata e segnata dall’evento pasquale. Di
“pasqua in pasqua” camminiamo ciascuno e tutti verso l’ultima pasqua che ci
introdurrà per sempre nella Casa e nella Gloria di nostro Padre. Ecco perché
Pietro ritiene giusto e doveroso da parte sua risvegliare incessantemente i
suoi fratelli con la memoria della loro salvezza.
L’ “abbandono della tenda” che egli
sa ormai imminente accentua la sua consapevolezza circa il suo dovere, e in tal
modo la fragilità e la brevità stessa della vita ne evidenzia il senso e lo
scopo, che è quello di trasmettere alla generazione che ci segue quello che
abbiamo ricevuto dalla generazione che ci precede. E’ interessante che al
ver.15 Pietro affermi che sarà suo impegno far sì che anche dopo la sua
“partenza dalla tenda” i suoi fratelli possano avere da lui quest’opera di
memoria; forse questa stessa lettera sarà la sua viva testimonianza che anche
dopo il suo ritorno al Padre continuerà ad accompagnare e a guidare le
generazioni cristiane, come anche noi oggi.
2 Pt 1,16-21 Venerdì 7 dicembre 2001
16 Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente
inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro
Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. 17
Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria
gli fu rivolta questa voce: <<Questi è il Figlio mio prediletto, nel
quale mi sono compiaciuto>>.
18 Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con
lui sul santo monte. 19 E così abbiamo conferma migliore della parola dei
profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla
in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi
nei vostri cuori. 20 Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va
soggetta a privata spiegazione, 21 poiché non da volontà umana fu recata mai
una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di
Dio.
La determinazione che ieri Pietro
manifestava circa il suo compito di annunciare senza sosta la salvezza del
Signore poggia (notate quel “infatti” del ver.16) sul suo personale cammino di
testimone della fede. Questo primo versetto ci conferma nella certezza che la
vita cristiana non è un discepolato “scolastico” e non è riducibile a un codice
morale o a un insieme di valori irrinunciabili, ma è anche tutto questo per il
suo carattere primario di “esperienza”. Così Pietro adotta quel termine, usato
solo qui in tutto il Nuovo Testamento, che la nostra versione rende con
“testimoni oculari”, e che probabilmente implica anche l’affermazione di
un’iniziazione nel mistero e non semplicemente il fatto di aver assistito a
quell’avvenimento della vita terrena di Gesù che la nostra tradizione ricorda
come il miracolo della Trasfigurazione e che potrete riprendere in Mt.17,1-13 e
nei paralleli di Marco e Luca. Il nostro brano riprende quell’avvenimento e lo
considera fonte di autenticazione del mistero cristiano in ordine alla “potenza
e alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo”. Anzi, come vedremo, tale evento
certifica l’autenticità di più fatti e situazioni.
Al ver.16 si dice dunque che la
parola dell’apostolo Pietro deve essere accolta perché non si appoggia su
“favole artificiosamente inventate”, ma è, come dicevamo, la fonte e la
garanzia della sua testimonianza.
Al ver.17 si afferma che Gesù
stesso, proprio attraverso la luminosità dell’avvenimento e soprattutto
attraverso la voce stessa di Dio, ha ricevuto “onore e gloria da Dio Padre”:
quindi anche Gesù non dice e opera per se stesso, ma è il Padre stesso che gli
rende testimonianza. Le parole del Padre che qui vengono ricordate non sono del
tutto simili a quelle riportate dai testi dei Vangeli sinottici, ma c’è qui la
ripetizione dell’aggettivo possessivo “mio”, che rende come più profonda e più
affettuosa la voce divina: ”Il Figlio mio, il Prediletto mio è questo, nel
quale mi sono compiaciuto”.
Il ver.18 conferma l’autenticità
della testimonianza apostolica ricordando due elementi storici di assoluto
rilievo : essi hanno udito questa voce “portata dal cielo” (così, alla lettera)
; e erano con Lui sul santo monte.
Al ver.19 si dice che per tutto ciò
anche le antiche profezie adesso sono per noi “più solide”, in quanto
quell’avvenimento sul monte santo le ha confermate; e nel seguito del versetto
si sottolinea quel meraviglioso duplice “miracolo” delle Scritture : da una
parte esse ci guidano nella notte verso il Cristo, la Stella del mattino;
dall’altra è appunto questa luce che è il Signore Gesù a illuminare e a
confermare, come qui, l’autenticità delle profezie antiche.
Non mi convince la traduzione del
ver.20, perché mi sembra che il testo non voglia dirci tanto che non è
autentica un’interpretazione soggettiva della Scrittura, quanto che le profezie
stesse non possono essere manifestazioni soggettive, ma, come conferma il
ver.21, vengono da Dio per l’azione dello Spirito. Per cui mi sembra che si
debba dire che “ogni profezia della Scrittura non avviene per interpretazione
soggettiva”(ver.20),in quanto “non per volontà umana è portata mai una
profezia”, ma è appunto avvenimento che viene da Dio. Il dire che i profeti
“parlarono da parte di Dio” mi pare voglia delicatamente collegare le parole
profetiche che vengono da Dio con la provenienza della voce che Pietro ha udito
sul monte santo, e quindi con l’autorevolezza che ora ha il suo annuncio :
tutto proviene dal Signore e come tale va accolto.
2 Pt 2,1-3 Lunedì 10 dicembre 2001
1 Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno
in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il
Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. 2 Molti
seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà
coperta di impropèri. 3 Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false;
ma la loro condanna è gia da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato.
Con molta linearità di significato
il ver.1 nomina gli pseudoprofeti nel popolo della prima alleanza in parallelo
agli pseudomaestri nella nuova comunità dei discepoli di Gesù. E’ sempre Lui
l’oggetto di queste cattive dottrine, prima con false profezie e ora con false
dottrine intorno alla sua persona e al suo insegnamento.
Tre volte il nostro brano usa il
termine “perdizione”: al ver.1 per due volte, la prima per qualificare le
eresie, che sono appunto “eresie di rovina”, e la seconda per dire che perciò
“conducono su se stessi una veloce rovina”; ritroviamo il termine al ver.3 dove
si dice che “non è addormentata”. Mi sembra interessante che si affermi che la
sanzione degli errori e degli inganni sta negli stessi inganni, e cioè che se
insegniamo cose sbagliate, come è detto la prima volta, siamo travolti dallo
stesso errore che abbiamo introdotto.
Mi pare che il nostro testo voglia
affermare due cose. Da una parte è inevitabile il danno, che colpirà non solo
le persone che saranno ingannate, ma la stessa “via della verità” e quindi la
fede e anche coloro che vi camminano rettamente, “sarà bestemmiata” (ver.2) ;
d’altra parte, però, sembra di cogliere una piena fiducia circa il carattere
indefettibile della vera dottrina (ver.3).
Il male di queste false
predicazioni non sta solo nell’errore che esse contengono e arrecano, ma anche
per l’intenzione negativa per la quale sono portate a chi le subisce, e cioè un
sentimento e una volontà di cupidigia possessiva nei confronti delle persone che
ne resteranno irretite.
2 Pt 2,4-10a
Martedì 11 dicembre 2001
4 Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li
precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio; 5
non risparmiò il mondo antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore
di giustizia, mentre faceva piombare il diluvio su un mondo di empi; 6 condannò
alla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo
un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. 7 Liberò invece il giusto
Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. 8 Quel giusto
infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si
tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie. 9 Il Signore
sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del
giudizio, 10a soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro
alla carne e disprezzano il Signore.
I discepoli del Signore devono
ricordare che Dio non li abbandona al male, ma che esercita un giudizio, o
meglio prepara un giudizio che fin d’ora s’impone a loro come ammonizione e
speranza. Per questo, nel nostro brano di oggi vengono citati tre esempi di
questo giudizio : gli angeli ribelli, gli empi al tempo di Noè, e la vicenda di
Lot nella punizione di Sodoma e Gomorra.
Di questi angeli che avevano
peccato si dice che Dio non li ha risparmiati, non ha lasciato senza
conseguenze il loro peccato, ma li ha “consegnati” all’inferno in attesa del
giudizio.
Nella prima lettera di Pietro, al
cap.3,18-21 , si parla degli empi puniti dal diluvio, come qui se ne parla al
ver.5, e là come qui sembra di cogliere un intenzionale collegamento tra gli
angeli ribelli e questi peccatori; infatti nel nostro testo la costruzione
grammaticale collega strettamente i vers.4 e 5. Dico questo, perché appunto in
Pt.3,19 si dice che il Cristo, nelle ore tra la sua morte e la sua risurrezione
è andato a predicare - e viene usato per Lui il verbo che nel nostro brano di
oggi si attribuisce a Noè dicendo che è “banditore” di giustizia - “agli
spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di
credere...”. Cito tutto questo per dire
che la punizione giustamente inflitta agli angeli ribelli e agli empi del
diluvio sembra “attendere” quell’ultima predicazione del Cristo. Troveremo
domani che è oltraggio da parte dei “falsi maestri” osare insultare questi
spiriti ribelli, che Dio punisce ma riserva solo al suo giudizio.
Traducendo alla lettera il ver.5 si
coglie che Noè è chiamato “ottavo” (mentre la nostra versione dice “con altri
sette”) cioè, come l’ottavo giorno detto nel Nuovo Testamento, egli è “il
Primo” della creazione post-diluviana, profezia del Cristo primogenito della
nuova creazione.
Anche Lot è figura del Cristo
“salvato”,. “liberato” dalla morte. Di lui si cita l’umile pazienza con la
quale sopportava di convivere con un mondo di male. Mi pare indicativo dell’atteggiamento
cristiano che da una parte non cede al male, ma dall’altra non giudica i
malvagi, perché il giudizio è solo di Dio.
2 Pt 2,10b-22
Mercoledì 12 dicembre
2001
10b Temerari, arroganti, non temono d’insultare gli esseri gloriosi
decaduti, 11 mentre gli angeli, a loro superiori per forza e potenza, non
portano contro di essi alcun giudizio offensivo davanti al Signore. 12 Ma
costoro, come animali irragionevoli nati per natura a essere presi e distrutti,
mentre bestemmiano quel che ignorano, saranno distrutti nella loro corruzione,
13 subendo il castigo come salario dell’iniquità. Essi stimano felicità il
piacere d’un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro
inganni mentre fan festa con voi; 14 han gli occhi pieni di disonesti desideri
e sono insaziabili di peccato, adescano le anime instabili, hanno il cuore
rotto alla cupidigia, figli di maledizione! 15 Abbandonata la retta via, si
sono smarriti seguendo la via di Balaàm di Bosòr, che amò un salario di
iniquità, 16 ma fu ripreso per la sua malvagità: un muto giumento, parlando con
voce umana, impedì la demenza del profeta.
17 Costoro sono come fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a
loro è riserbata l’oscurità delle tenebre. 18 Con discorsi gonfiati e vani
adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena
allontanati da quelli che vivono nell’errore. 19 Promettono loro libertà, ma
essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha
vinto. 20 Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della
conoscenza del Signore e salvatore Gesù Cristo, ne rimangono di nuovo
invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima.
21 Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia,
piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che
era stato loro dato. 22 Si è verificato
per essi il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è
tornata ad avvoltolarsi nel brago.
Mi sembra molto importante fare una
considerazione di carattere generale, come premessa: qui si parla di una
situazione grave, e, notate bene, del tutto interna alla comunità cristiana e
quindi all’esperienza della fede.
Tenere conto di questo è condizione perché queste parole siano feconde
per noi e per la comunità cristiana. E la smettiamo di notare le “colpe” degli altri!
Con una ripresa del brano precedente, ai versetti 10-13 si ricorda che
l’aspetto più evidente del nostro peccato è il farci accusatori degli altri. Non è solo un comportamento
cattivo; è anche stolto: “bestemmiano quelli che ignorano”, dice al versetto
12.
Vengono poi indicate due “capovolgimenti”.
La vicenda cristiana ci pone al “servizio” gli uni degli altri, ma, si dice ai
versetti 13-14, ci facciamo cupidi e ingannevoli possessori dei nostri
fratelli. Come discepoli dovremmo “servire “ la Parola e invece, come Balaam, ce ne serviamo per nostre avidità e
nostro guadagno (versetti 15-18).
Anche la creazione, che di per sé è
“muta” (v.16), si mostra più sapiente e più eloquente... e più umana (!!), di
noi che siamo come “animali irragionevoli” (v.12). Così schiavizziamo gli altri
alla stessa schiavitù alla quale soggiacciamo (versetto t 18-19).
Non è questione solo e tanto di
male e di bene. Si tratta di un
rinnegamento della vita e del dono del Battesimo. È un “tornare indietro” nella
via cattiva dalla quale il Signore ci aveva liberati. (versetti 20-22).
2 Pt 3,1-7
Giovedì 13 dicembre
2001
1 Questa, o carissimi, è già la seconda lettera che vi scrivo, e in tutte
e due cerco di ridestare con ammonimenti la vostra sana intelligenza, 2 perché
teniate a mente le parole già dette dai santi profeti, e il precetto del
Signore e salvatore, trasmessovi dagli apostoli. 3 Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi
giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie
passioni 4 e diranno: <<Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in
cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della
creazione>>. 5 Ma costoro
dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la
terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie
alla parola di Dio; 6 e che per queste stesse cause il mondo di allora,
sommerso dall’acqua, perì. 7 Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati
dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della
rovina degli empi.
Il nostro brano di oggi è molto
importante per quanto ci dice della Parola di Dio. Essa viene citata al
versetto 1 come “lettera”, come “epistola”, cioè come “parola scritta”,
Scrittura: con questo termine gli scritti del Nuovo Testamento indicano quasi
sempre le Scritture dell’Antico Testamento.
Di fatto noi abbiamo nelle Scritture, cioè in quel complesso di libri
che chiamiamo “Bibbia”, (è una parola greca che appunto significa “libri”),
anche tutta la Parola di Dio che la Tradizione ci ha comunicato come Nuovo
Testamento.
La parola che Pietro scrive ai suoi
fratelli, e più globalmente la Parola di Dio,
ha delle finalità essenziali che il nostro testo cita espressamente:
al versetto uno dice “ridestare con
ammonimenti” - alla lettera “far risorgere nella memoria” - “la vostra
sana intelligenza” - alla lettera “una
mente sincera”-. Dunque la memoria, il ricordare. Tale fine primario delle
Scritture è ribadito al versetto 2, dove quel “tener a mente” è letteralmente e
più esattamente “per ricordare”: è qui subito dice l’oggetto del ricordo, e
cioè le parole “dette prima” dei santi profeti, e quelle chiamate “il precetto
del Signore” dette dagli apostoli.
Dunque, grande primo scopo è il
ricordare. Secondo scopo, al versetto 3, è “il sapere” - come sapienza -
conoscenza generata, custodita e fatta crescere dal “ricordare”. Al versetto 5
viene citato l’opposto del “ricordare” e cioè il “dimenticare”; ma aggiunge
un’espressione, ”volontariamente”, che chiarisce benissimo che non ci troviamo
qui davanti a un problema psichico, ma che la dimenticanza è un peccato opposto
al “bene” del ricordare.
Che cosa dobbiamo ricordare? Dico
in sintesi: la potenza eterna e suprema della Parola di Dio. “Gli schernitori beffardi” dicono che contro
le affermazioni della Parola (circa il ritorno di Cristo e il giudizio finale)
tutto è rimasto uguale “come al principio della creazione” (versetto 4); con
questo dicono implicitamente che la creazione - cioè la “natura” o il “mondo”,
direbbero i filosofi che in ogni tempo sostengono l’eternità del mondo - è
superiore alla Parola, che così si ridurrebbe a un “fatto” interno e relativo
al “mondo”. Dunque noi dobbiamo ricordare che il mondo c’è e sussiste perché è
stato “creato dalla Parola”; che questa Parola già una volta l’ha distrutto nel
diluvio (versetto sei); è questa parola che ora “conserva” il mondo appunto in
vista di quel fine e di quel giudizio che la Parola annunzia. Tale “fine” è
Cristo stesso, Parola ultima e piena di Dio
2 Pt 3,8-13
Venerdì 14 dicembre
2001
8 Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al
Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. 9 Il
Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma
usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano
modo di pentirsi.
10 Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore
passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con
quanto c’è in essa sarà distrutta. 11 Poiché dunque tutte queste cose devono
dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e
nella pietà, 12 attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale
i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno!
13 E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra
nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia.
Il “non perdere di vista” del ver.8
è in realtà ancora il verbo “dimenticare”, quindi, “non dimenticatevi”: la
memoria costante della Parola di Dio ci consente di tenere salda la concezione
del tempo secondo la rivelazione ebraico-cristiana. Di fronte a Dio, un solo
istante può essere significativo e importante come mille anni, così come mille
anni possono non essere troppo lunghi, quando sono significativi di
quest’ultima ora della misericordia di Dio.
“Il Signore non ritarda” dice al
ver.9: non è per noi un’ipotesi o una tesi; in Cristo noi viviamo già
concretamente l’adempimento di tutte le antiche promesse; ma questa è la
caratteristica profonda del tempo di Cristo : l’intreccio tra compimento e
misericordia. Questo “apparente” ritardo dei tempi di Dio ha un nome preciso,
la “pazienza”: questa parola molto bella contiene il senso della magnanimità,
della benevolenza, perché esprime appunto la volontà del Signore di dilatare
questo ultimo tempo, in modo che, dice il nostro testo, “tutti abbiano modo di
pentirsi” ; la versione letterale sembra portata a pensare che di fatto tutti
si pentiranno : “tutti giungano alla conversione”; ma questo non significa una
“sicurezza mondana”: esprime semplicemente la bontà infinita del nostro
Salvatore.
Il ritardo dell’ultima ora nulla
toglie alla tensione che il tempo ormai ha assunto: in Cristo tutto si è
adempiuto; è dunque “urgente” che noi ci collochiamo nella nuova prospettiva
che la realtà ha assunto per la sua venuta tra noi, per non farci sorprendere
negativamente dalla conclusione definitiva di questo ultimo tempo. Così, mentre
da una parte ammiriamo la “pazienza” del Signore che dilata il tempo per la
nostra conversione, dall’altra siamo indotti noi stessi ad “affrettare” i
tempi, perché tutto sia finalmente assunto nella pace di Dio. Così mi pare vada
ricevuto il ver.10 : la fine non è la catastrofe ma la pienezza della
misericordia di Dio. Devono infatti finire questi vecchi elementi della creazione
soggiogata al male e alla morte, e, come crediamo e contempliamo nel nostro
Signore, tutto e tutti dobbiamo risorgere in Lui : questi sono i “nuovi cieli e
la terra nuova” che noi aspettiamo.
Il verbo “aspettare” viene unito,
al ver.12, al verbo “affrettare” che noi ben conosciamo in forma intransitiva
nel vangelo secondo Luca, quando esprime la fretta dei pastori che desiderano
vedere il Bambino che è nato, e la fretta che il Signore chiede a Zaccheo e che
Zaccheo mostra per accogliere Gesù nella sua casa. Dunque, in questo orizzonte
pieno sia di speranza sia di timore di Dio, si incontrano la benevolenza
paziente del Signore e la nostra fretta e il nostro affrettare i tempi della
fine, vivendo già questa “fine” “nella santità della condotta e nella pietà”.
2 Pt 3,14-18
Sabato 15 dicembre
2001
14 Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’essere
senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. 15 La magnanimità del
Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo
fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; 16 così
egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono
alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le
travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. 17 Voi dunque, carissimi, essendo stati
preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti
anche voi dall’errore degli empi; 18 ma crescete nella grazia e nella
conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e
nel giorno dell’eternità. Amen!
Al ver.14 manca nella versione
italiana, là dove dice “cercate d’essere senza macchia...” il verbo “trovare”,
che suona così: “cercate d’essere trovati...”, il che rafforza il fatto che non
si tratta solo di una nostra preoccupazione e situazione personale, ma è
interna alla ricerca che il Signore fa' di noi, pecora smarrita, perduta,
cercata e amata, e finalmente, nel sangue di Cristo, ritrovata.
La magnanimità del Signore, al
ver.15, è quella di cui Pietro ci ha diffusamente parlato ieri e che troveremo
domani nella seconda lettura domenicale, in Giacomo 5,7-10. Qui è molto bello
questo incontro che viene stabilito tra magnanimità e salvezza. Rifiutando le
critiche degli schernitori beffardi di cui ci ha detto al ver.3, questa
magnanima pazienza del Signore che vuole che tutti giungiamo alla conversione
noi la riteniamo elemento privilegiato della sua opera di salvezza per tutta
l’umanità. E’ interessante la “lettura” che Pietro dà delle lettere paoline,
nelle quali coglie l’elemento centrale del dono della salvezza (ver.15). Pietro
dice che i testi di Paolo contengono passaggi “difficili da comprendere”
(“difficilia intellectu” dice la versione latina). Ma, alla fine di questa
lettera, possiamo dire che anche Pietro non scherza...
Al ver.17 ci viene ribadita la
grazia che viene a noi dalle scritture apostoliche, come abbiamo visto in questa lettera : noi “pre-conosciamo”,
attraverso la Parola di Dio, quale sia il disegno di salvezza e la volontà del
Signore. Perciò come in 1,12 ci diceva che dunque in tal modo possiamo “stare
saldi nella verità”, qui, con un termine simile, ci conferma che possiamo in
tal modo “non venir meno nella vostra (nostra) fermezza”.
Con questo auspicio rassicurante si
conclude la lettera di Pietro. E noi concludiamo oggi la nostra Lectio continua
che riprenderà il 2 Gennaio.
Ringraziamo il Signore per questo cammino prezioso che ci ha regalato
fino ad oggi. Il nostro calendario prevede che da domani fino al 1 gennaio le
letture della messa siano quelle previste dal Lezionario. Oggi ricorre il quinto anniversario del
ritorno al Signore del nostro caro padre don Giuseppe Dossetti. A lui dobbiamo
l’intuizione e l’offerta di questo cammino quotidiano e continuo nella Parola
di Dio. Anche per questo il Signore lo ricompensi e lo riempia della sua
gloria. E benedica e protegga i suoi figli e le sue figlie che proseguono anche
per noi questa strada luminosa di fede e di preghiera.