Garden S.r.l. - Computer Hardware supplier

Vernacolo, non dialetto !

 

Prima di iniziare a parlare della lingua della mia città, Livorno, è necessario che faccia due premesse, una breve di ordine linguistico, l’altra un po’ più ampia di carattere storico. Per quanto riguarda la prima precisazione, devo dire che a proposito del livornese si parla sempre ed insistentemente di vernacolo e non di dialetto, come del resto succede per tutte le città toscane.

Anche autorevoli studiosi, come Clemente Merlo ("Saggi linguistici", Pisa, Istituto di Glottologia), fanno uso di tale termine, mentre parlano di dialetti per es. emiliani, romagnoli, liguri ecc. La parola "vernacolo", dal latino "verna" (servo nato in casa) e poi "vernaculus" (domestico) pare quindi circoscrivere un idioma entro confini ancora più ristretti rispetto a quelli dei dialetti, anche se poi sappiamo benissimo che alla lingua di Firenze le vicende storiche hanno destinato ben altra funzione.

Il fenomeno linguistico più appariscente delle parlate toscane è la cosiddetta "gorgia" (particolare intonazione o inflessione di voce o di pronuncia), cioè l’aspirazione delle consonanti occlusive intervocaliche P, T, K. Questo fenomeno, che è per lo più attribuito al mantenimento di un’abitudine orale degli Etruschi, anche se non tutti sono d’accordo con tale tesi (per es. G. Rohlfs) perché pare risalente a non oltre il Cinquecento, scompare a mano a mano che si procede verso la Toscana occidentale. Pisa e Livorno infatti non aspirano, omettono addirittura la consonante occlusiva intervocalica, ma limitatamente al suono K, mentre le altre vengono pronunciate regolarmente; se mai la pronuncia caratteristica di certe consonanti assume aspetti diversi, ma di questo parlerò in seguito.

L’altra precisazione è di ordine storico. Livorno come città è stata fondata nel 1606 per volontà di Francesco I de’ Medici e inaugurata da Ferdinando I, suo successore. Precedentemente altro non era che un misero villaggio che viveva di agricoltura e, in secondo luogo, di pesca, circondato da paludi malsane, frutto delle variazioni del corso dell’Arno. Agli inizi del ‘400contava circa 500 abitanti e solo verso la metà del secolo troviamo menzione di in maestro di grammatica.

Possesso prima dei Pisani, poi dei Genovesi, infine dei Fiorentini, furono questi ultimi che provvidero alla costruzione di un porto che doveva sostituire l’ormai interrato Porto Pisano. Le condizioni ambientali rimasero comunque estremamente precarie, tanto che ripetutamente furono emanate leggi che promettevano protezione a ladri, assassini, truffatori ecc. che volessero stabilirsi a Livorno. Nonostante tali provvedimenti, neppure i Medici, almeno fino al momento della costruzione della città (progettata dal Buontalenti), incominciarono concretamente a migliorare le condizioni di vita, tanto che alla fine del ‘500 gli abitanti erano ancora meno di 500.

Nel 1591, Ferdinando I, dichiarando Livorno "porto franco" e concedendo notevoli privilegi, riusciva a richiamare nella Terra di Livorno un numero consistente di forestieri che potevano esercitare liberamente i loro traffici, nonché i loro riti e le loro religioni. Si fece così più consistente la presenza di comunità ebree, corse, greche, turche, portoghesi ecc. che divennero ancora più significative con la vera e propria istituzione del porto franco nel 1675.

Da allora la città ebbe uno straordinario sviluppo, grazie soprattutto alle attività mercantili e portuali e contemporaneamente sorgevano nuovi quartieri per ospitare la sempre crescente popolazione; basti pensare che nel 1861, Firenze contava 95.604 abitanti e Livorno 94.794.

A partire dal 1° gennaio 1868 però entrò in vigore l’abolizione del porto franco per cui la città, modellata, almeno nella parte centrale, sulle necessità del commercio e del deposito delle merci legate alle attività portuali, dovette provvedere a stabilire con l’entroterra maggiori collegamenti.

Tali mutamenti portarono di nuovo ad un decremento della popolazione, non più attirata dalla vasta possibilità di trovare lavoro, tanto che raggiunse i 100.000 abitanti solo nel 1903. Le attività produttive si spostarono ovviamente verso altri settori, quali la cantieristica, l’industria del vetro, la metallurgia ed altre numerose piccole e medie imprese, ma la città subì comunque una lacerazione di tipo sociale, soprattutto nei quartieri, come la Venezia, prima strutturati in funzione delle attività portuali, che ora avvertivano il disagio di una decadenza sociale e di una grave incertezza economica, tanto che, alla fine del secolo, non mancarono tumulti e disordini. Infatti fu proprio nella Venezia che si verificarono i rivolgimenti sociali più significativi, in quanto le famiglie più socialmente elevate si trasferirono in altri punti della città, mentre nel quartiere si concentrarono strati di popolazione economicamente e socialmente inferiori. E’ qui dunque che la tradizione linguistica vernacolare si è mantenuta più a lungo nelle sue caratteristiche principali. Le tensioni sociali crebbero ulteriormente quando si andarono delineando sempre più nettamente da una parte gruppi sociali di emarginati e dall’altra una nuova classe di imprenditori dediti alle nuove forme di industrializzazione di cui parlavo prima.

Contemporaneamente decadde anche l’aspetto culturale, che aveva visto in Livorno un centro di notevole importanza, sia per il richiamo turistico balneare, sia per le attività cartografica, editoriale, teatrale.

 

Questo preambolo piuttosto ampio serve a capire meglio le caratteristiche e l’evolversi del vernacolo livornese. Infatti, se da una parte assistiamo ad un notevole afflusso di gruppi stranieri, dai quali sono stati attinti prestiti linguistici, di cui porterò alcuni esempi, dall’altra, il fatto che Livorno sia una città recente e che per le sue attività commerciali, e per la mancanza di vie di comunicazione con l’entroterra, rimanga in fin dei conti piuttosto isolata rispetto al contesto regionale, ci fa comprendere come, almeno fino all’avvento dei mass-media e (non dimentichiamolo) alla scuola dell’obbligo, il linguaggio abbia mantenuto certe caratteristiche tuttora riscontrabili nelle persone più anziane (soprattutto le donne, meno a contatto con realtà diverse da quella domestica o, tutt’al più, di rione).

 

LA LETTERATURA VERNACOLA LIVORNESE

 

Purtroppo non esistono documenti scritti del vernacolo livornese fino al XVIII secolo, e si tratta di qualche canzonetta giocosa o satirica, per lo più riferita a fatti di cronaca popolare; pochissimi i poeti (G.B. Fagiuoli, N. Falcini, un Anonimo) che hanno lasciato composizioni di una certa consistenza e non tutte attendibili: il Fagiuoli per es., che era fiorentino, ha lasciato un’operetta in ottave databile al 1732, in cui parla dei contadini delle vicine campagne di Livorno che festeggiano la guarigione di Don Carlo Infante di Spagna, ma la parlata di questi contadini è più propriamente scritta in vernacolo rusticano fiorentino, perché vi si ritrovano forme linguistiche mai appartenute al vernacolo livornese. Anche sul Falcini vi sono delle riserve di autenticità, riguardo a 62 sestine sull’assalto dei "Veneziani" (quelli del quartiere livornese della Venezia) contro gli Ebrei accusati di aver comprato i marmi di alcune chiese soppresse. Sono invece sicuramente attribuibili a questo autore 55 ottave intitolate "La Molte D’Ulufelne Ossia la Britulica Liberata", datate 1805, che è la parodia di un noto libro scritturale, Judith, anche se più che con intenzioni antireligiose, il Falcini si deve essere adeguato all’uso, assai diffuso al suo tempo, di beffare gli Ebrei.

Numerosi sono anche gli Almanacchi, pubblicati tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, ed è proprio in questa epoca che cominciano a comparire composizioni in vernacolo ebraico, ancora incentrate sull’accanito antisemitismo del "Veneziani". Il gergo ebraico-livornese è detto "bagito" o "bagitto" forse da "vagito" perché la cadenza del linguaggio degli Ebrei livornesi era un po’ cantilenante, strascicato e ricorda il cantilenare dei bambini (un’altra teoria fa derivare la parola dallo spagnolo bajo = basso, umile, in quanto linguaggio dei più umili).

Alla metà del secolo scorso compare un poeta di un certo pregio, G. Fiori, un insegnante, sul quale forse si può ricostruire, meglio che sugli altri, il vernacolo livornese, ma che anche i dialettologi più recenti non prendono in gran considerazione, forse per il falso presupposto che il vernacolo livornese sia in tutto e per tutto uguale a quello pisano; idea questa completamente sbagliata, anche se è vero che è quello con cui ha più punti in comune, rispetto al resto dei vernacoli toscani.

Presso gli studiosi dei vernacoli italiani è più apprezzato Carlo di Bartolommeo Toccafondi che scrisse un romanzo in lingua per la maggior parte, ma riportando nel linguaggio della "Venezia" i discorsi dei personaggi popolani.

Dopo il Fiori la poesia vernacola subì un arresto fino al 1880 circa, quando cominciarono a ricomparire opuscoli, dove spesso l’arguzia si sostituisce del tutto all’arte. Solo nel 1887 venne pubblicata, di una certa importanza, "‘Na firza di sonetti" di Dino Targioni Tozzetti con lo pseudonimo di "Cangillo", assai noto nell’ambito cittadino per la sua capacità di ritrarre bozzetti sui costumi della plebe livornese, oltre che per la capacità di riprodurre il frasario del nostro vernacolo.

Tra i più recenti autori voglio citare solo Cocchi Oliviero detto Mede Baffoni che scrisse tra l’altro "La cacciuccata delle celie", un poema in versi, parodia di "La cena delle beffe", e Beppe Orlandi, autore di molte commedie tuttora apprezzate.

Ho elencato sinora le opere di tradizione scritta, ma non è disprezzabile neanche la tradizione orale, che purtroppo si è cominciata a raccogliere solo a partire dallo scorso secolo; si tratta di canzoni, canti fanciulleschi e stornelli di disprezzo, scherno, sdegno, ironia, minacce, amore, politica.

 

LA FONETICA E LA GRAMMATICA

 

E veniamo alle caratteristiche concrete del vernacolo livornese, come esso era parlato nella "Venezia" dello scorso secolo. Per quanto riguarda la fonetica, il glottologo Francesco Papanti sottolinea queste caratteristiche:

- elisione delle vocali in principio di parola (‘nvece, ‘tumobile al posto di automobile, ‘sciogamano al posto di asciugamano), e della c e ch intervocaliche (musi’a per musica, cari’o per carico)

- scambio della r con l e viceversa (der per del, polco per porco, grolia per gloria), assimilazione della r nella v (selvivvi per servirvi, sentivvi per sentirvi) o nella s (sentissi per sentirsi) o nella m (menammi per menarmi) o nella l (sentilli per sentirli) o nella c (vedecci per vederci)

- scambio della q in v (vando per quando, vello per quello) davanti a vocale ma non quando segue una vocale accentata (quer per quel seguito da altro vocabolo, quarcuno per qualcuno)

- scambio della sch in st (fistiare per fischiare, stiavo per schiavo, stiacciare per schiacciare, mastio per maschio)

- apocope dell’ultima sillaba dell’infinito (mori’ per morire, fini’ per finire), sostituzione dell’articolo il con er o con ir

- sostituzione della i con la e in fine di parola al singolare (er cassieri per il cassiere, er pompieri per il pompiere).

 

Comunque la caratteristica speciale del "Veneziano" è lo scambio della s in l che, specie davanti alla t e alla f, assume un suono particolare (tipo lst, lsf)che viene comunemente detto "lisca" perchè corrisponde, in modo un po’ esagerato, alla pronuncia della s in questo vocabolo.

Altre caratteristiche sono:

- gli arcaismi (enno per sono, ene per è, ire per andare)

- i troncamenti per sincope (eramo per eravamo, andorno o andonno per andarono) o per aferesi (‘un per non, rivare per arrivare, tavia per tuttavia)

- le metatesi (drento per dentro, stranutire per starnutire, tronitore per tornitore, strapolto per trasporto, treciolo per cetriolo, grillanda per ghirlanda)

- l’uso della desinenza -ano della terza persona dell’ind. pres. per tutte e tre le coniugazioni (dicano, cuciano)

-l’uso della i al posto della a nella terza persona plurale del congiuntivo presente nei verbi della seconda coniugazione (tenghino per tengano, dichino per dicano)

- l’uso della desinenza -i invece di -a nella prima persona del congiuntivo presente (vadi per vada, venghi per venga, facci per faccia)

  • la desinenza in -ano invece di -ero in verbi della seconda coniugazione (presano per presero, ebbano per ebbero, feciano per fecero)

- la desinenza in -ommo invece di -ammo alla prima persona plur. del pass. remoto della prima coniugazione (andommo per andammo, parlommo per parlammo)

- l’uso della protesi in alcune parole (decco per ecco, ascendere per scendere, granocchio per ranocchio)

- lo scambio della g o della gh in d (diaccio per ghiaccio, diacere per giacere) lo scambio della q in g (guasi per quasi, gostare per costare, sagrificio per sacrificio)

- l’aggiunta della sillaba ar- di fronte a parole inizianti per r (arri’ordati per ricordati, arraccatta per raccatta, arrammendato per rammendato)

- la geminazione della b in alcune parole (robba per roba, subbito per subito)

- la geminazione della l in alcune parole (balligia per valigia)

- la geminazione della r in alcune parole (dirrei per direi)

- l’introduzione della b dopo la m intervocalica in alcune parole (cambera per camera, stomba’o per stomaco, camberieri per cameriere)

- lo scambio della v in g in alcune parole (nugole per nuvole)

- lo scambio della e in a in nomi che hanno il singolare in -e e il plurale in -i (dota per dote, tossa per tosse);

- la geminazione delle consonanti finali con aggiunta di vocale, così che la parola acquista una sillaba in più, spesso con spostamento dell’accento tonico autobùsse, rumme, cògnacche)

- l’uso di far seguire la preposizione "in" da "sul" o da "del" (in der giardino, in sur tavolo).

- la trasformazione del dittongo uo in o (bono per buono, pezzola per pezzuola, tono per tuono)

- l’aggiunta di -le alla forma verbale può (‘un pole = non può, si pole = si può)

- l’uso molto frequente di parere (io pai, tu pai, egli pare, noi paiamo, voi parete, essi paiano), costruito anche personalmente, al posto di sembrare (mi pai furbo = mi sembri furbo)

- l’uso delle forme pronominali ne ne o gnene per gliene o glielo (ne ne di’o = glielo dico, dinnene = diglielo, dagnene = daglielo)

- l’uso di "anche" per "ancora" (‘un sono anche pronto)

- l’uso della forma pronominale ni per gli (ni dissi = gli dissi)

- la pronuncia della s aspra invece che dolce (inzolito per insolito, inzicuro per insicuro), così che scompare praticamente la differenza con la z aspra

- la pronuncia di ci ho, ci hai, ci ha ecc. (dove il ci è pleonastico) è cià, ciài, ciò ecc., anche se la grafia è quella di due parole separate e distinte

- l’uso dell’aggettivo "bello" al posto dell’avverbio ben (bello caldo, bella pasciuta)

Questo modo di parlare veniva considerato tra i più triviali d’Italia, ed è effettivamente anche oggi, nonostante le modificazioni sostanziali, un linguaggio piuttosto rozzo, anche per la maniera cantilenante e strascicata di pronunciare di cui parlavamo prima; ha però anche degli aspetti positivi, il primo tra i quali è la schiettezza, il modo di andare direttamente allo scopo senza giri di parole. Ne sono testimonianza i proverbi, piuttosto numerosi e spesso di contenuto sconcio, e i detti, nei quali ritroviamo ricorrente anche l’ironia, che è una prerogativa della gente livornese.

Si tratta insomma di una lingua essenziale, usata da gente abituata a lavorare con fatica (la vita di mare è dura!) e a non perdere troppo tempo in chiacchiere, anche se, come dice un noto proverbio "A un livornese ni ci vole cento lire per fallo ‘ncomincià e mille per fallo smette’"). Infatti il lessico del vernacolo è piuttosto ristretto, ma ha il vantaggio di usare moltissimo la metafora e il doppio senso così che, come afferma Francesco Polese, studioso della letteratura vernacola, i Livornesi quando parlano "alieni da sdolcinature sentimentali, anzi senza freno alla bocca, screanzati, furbescamente goffi, ritraggono il linguaggio e le mosse della folla primitiva." Se questo è vero per la tradizione scritta, tanto più lo è per quella orale, dove cadono anche le ultime remore, cadendo la necessità di essere in qualche modo più precisi, più raffinati, più "ad effetto".

Oggi il vernacolo è abbastanza profondamente modificato, soprattutto è quasi del tutto scomparso l’uso di scambiare la r e la l (la r oggi rimane r, se mai è la l che diventa r, specialmente di fronte ad una consonante) ed anche la lisca è ormai un ricordo del tempo che fu. Sono rimaste invece come caratteristiche più radicate, l’uso di abolire la c e la ch intervocaliche, i casi di assimilazione, i troncamenti finali dei verbi all’infinito e della vocale finale dei possessivi ed altre deformazioni (semafero per semaforo, telefano per telefono) che non costituiscono però regole fisse, almeno a quanto mi consta, soprattutto nei quartieri di recente formazione dove si è verificato, dal dopoguerra ad oggi, un amalgama di gruppi sociali eterogenei.

 

PRESTITI LINGUISTICI

 

Per quanto riguarda i prestiti, erano un tempo in uso molte parole di varia derivazione, naturalmente storpiate per adattarle alla pronuncia più naturale del livornese. Ecco alcuni esempi: dall’inglese (gli Inglesi ebbero molti contatti con Livorno per motivi commerciali) abbiamo "gis" (da just) che significava "ammodo" (una ragazzina propio gis), "miccimènne" (da midshipman) che significava "guardiamarina", "spronchette" (una specie di falda inglese), "brecche" (da black) che indicava una sostanza bituminosa, nera, che veniva data ai bastimanti, tròse (da trouser = pantaloni) che indicava un abito troppo largo; ponce (da punch), che però non è composto di acqua, rum e scorza di limone, bensì da caffè corretto con rum o altri liquori che, secondo la qualità e la quantità della correzione prende anche il nome di bomba o torpedine o ponce a vela.

Numerosi termini passarono nel linguaggio popolare quando, finita la seconda guerra mondiale, il comando militare alleato del Mediterraneo si trasferì da Napoli a Livorno. Dato il prolungato "soggiorno" degli americani in città (non dimentichiamo che nelle immediate vicinanze esiste tuttora una base americana), molti di queste espressioni e vocaboli rimasero in uso per diversi anni. Ne cito alcuni: "lesco" (da let’s go) = vattene, sparisci; "pòlice" o "pòllice" (da police) = poliziotto; "smòchinge" = fumare; "emme pi" (iniziali di Militar Police); "comò" (da come on) = avvicinati; "carabuse" o "calabusce" (da calaboose) = prigione; "sciuìngamme" (da chewing gum); "essere groggi" (da groggy) = malfermo; "crubbe" (da club); "fuballe" (da foot ball); "mecce" (da match); "gippe" (da gip); "ghenga" (da gang); "gonaitte" (da good night); "nocautte" (da knock out); "trucche po" (da truck police) = camion, autobus; "ammelire" = lire americane; "sciuscià" (da shoe shine) = lustrascarpe; "trenci"(da trench) = cappotto; "biffe" (da beef) = carne in scatola; "cascé" (da cachet) = analgesico; "gudde" (da good).

Derivano dal siciliano "togo" (da tocu) e "smafero" (da smafarari=millantarsi, dire spropositi) che significavano "stupendo, meraviglioso" (togo si usa tuttora) anche se con sfumature diverse;

- dal francese (ricordiamo l’occupazione di Napoleone) "sciabarà" (da char-a-banc) che significa "carrozza", "tremò" (da trumeau = specchio), gagarone (da gagà) che significa "elegantone", "bastrè", forse deformazione di bistrot che signifi ca "bordello, luogo dove si fa confusione";

- dal veneziano "baùtta" che significa "buono a nulla" (da bauta = mascherina);

- dal turco "bailàme" che significa "confusione" (da bayram, nome di feste popolari);

- dal tedesco nìchisse (da nicht) che significa "no, niente" e trinchesvàin per indicare persona che beve molto;

- dalla lingua araba o ebraica "gadollo" che significa "ben pasciuto", "prechesce" che significa "abito lungo", "taìcche" (forse un mezzo di locomozione, per es. una carrozza), "sciagattare" che credo derivi dall’ebraico "macellare la carne" e che significa "ridurre male, rovinare";

- dallo spagnolo "tomare" (da tomar = comprare).

 

LATINISMI

 

Abbastanza numerosi erano anche i latinismi, soprattutto nelle campagne vicine.

A parte il verbo ire, con l’uso anche del participio passato "ito", mi sembra significativa l’espressione "sortire de’ pupilli" che significa "diventare grande, adulto" con chiaro riferimento alla parola latina "pupilla" = bambola, così che nell’insieme significa "uscire dall’età dei giochi" o il nome di un’erba commestibile chiamata "sprargine" che si può ricollegare a "supra arginem" perché appunto si raccoglie lungo gli argini; "is est" da (id est) che significa "cioè"; "prus urtra" = plus ultra; "ècchisse" = ex; volente o nolente (da volo e nolo); "conquìbusse" (da cum quibus, formula del linguaggio burocratico) che significa "conclusione"; "rèbusse" (da rebus) che significa "situazione ingarbugliata"; "busìllisse" (dall’errata divisione delle parole latine in die busillis) che significa "situazione difficile, intricata", a crai (da cras = domani) che significa "a debito". Ricordo anche un’espressione detta da chi doveva, in tempi di miseria, mettere di frequente mano al portafoglio: "Tantum ergo sacramento, scusami borsellin se ti tormento" (il "Tantum ergo" è un canto liturgico). Altre espressioni tipiche della campagna sono (o erano, io comunque le conosco per averle sentite da persone anziane) "miracoloso" nel senso di "affettuoso, complimentoso", detto specialmente dei cani, e "piastrina" nel senso di "bambina che vuol mettere bocca quando non deve, anche un po’ civettuola, che si vuol mettere in mostra" e penso che si possa riconnettere con "impiastro", termine anche questo usato per indicare persona fastidiosa.

In città ricordo ancora "acciòmo", deformazione di "hecce homo", "glebano" nel senso di "zoticone" (da gleba = zolla, da cui deriva anche l’aggettivo "zollone" = rozzo, ignorante, duro di comprendonio), "licit" (da licet) = vaso da notte o gabinetto, "ìdemme con patate" (da idem).

 

 

STORPIATURE E IPERCORRETTISMI

 

Molte storpiature non seguono una regola fissa. Cito qui alcuni esempi, solo una minima parte rispetto alla realtà:

bafore = vapore

capumilla = camomilla

catafere = cadavere

pillore = pillole

pulenda = polenta

furchetta = furchetta

scudella = scodella

vibbriote’a = biblioteca

propio = proprio

formi’ole = formiche

conigliolo = coniglio ( non è rara la forma culignolo)

lapisse = lapsus

Un cenno a parte meritano le storpiature di termini medici, o in genere scientifici, che sono (o almeno erano) quelli più lontani dal linguaggio quotidiano:

vene vanitose = vene varicose

lucciola allo stoma’o = ulcera allo stomaco

dolori artistici = dolori artritici

epistola = fistola

acidi undici = acidi urici

vagina pe’oris = angina pectoris

pe’orite o pre’orite = pleurite

cotone idrofobo = cotone idrofilo

incefalite liturgi’a = encefalite letargica

cammello leonte = camaleonte

proboscide = periostide

Consapevole di commettere molti errori, il popolano livornese qualche volta mostrava la volontà di correggersi, naturalmente storpiando anche parole che di solito pronunciava bene, basandosi sulle regole dell’analogia o per assonanza con termini o suoni noti:

sedica = sedia

Orfeco = Orfeo

gladicoli = gladioli

Vang Gong = Vang Gog

frustato = frustrato

pultroppo = purtroppo

violinata = violentata

ciprica = cipria

astemico = astemio

bacule = baule

biricoscia = brioshe

bugica = bugia

GLOSSARIO

 

Premetto che il segno tipografico dell’apostrofo corrisponde nel corpo di una parola alla omissione della c o della ch, a fine parola ad apocope, a inizio di parola ad elisione. Un segno di asterisco posto prima della parola significa che essa non compare sul dizionario della lingua italiana, oppure vi compare con significati diversi. E’ probabile anche che alcuni termini abbiano un uso più ampio di quello che io non creda, ma li ho inseriti ugualmente quando il dizionario segnalava trattarsi di termine raro o dialettale. E’ indubbio inoltre che molti termini siano usati in varie parti della Toscana, ma credo che lo scopo di questa ricerca non sia solo quello di definire con estrema esattezza la "livornesità" della lingua, anche perché onestamente non ne sarei in grado, alla luce delle mie conoscenze, quanto di illustrare lessico e modi di dire usati, molti nel passato e molti altri tuttora, nella mia città.

 

Il tempo

*bòzzo = pozzanghera

*patàna = mancanza assoluta di vento

*sferratoia = tramontana

*lorfio = brutto tempo. Il termine si usa anche per indicare persona di cui fidarsi poco

*straccatura = intervallo tra due perturbazioni

*seccura = aria asciutta

mota = fango

*stecchito = freddo (di solito preceduto da "ghiaccio"). Il termine si usa comunque per tutto ciò che è freddo

 

La casa, i cibi, il vestiario, gli animali

*tornare a... o tornare in... = trasferirsi a... o in..., cambiare casa

incignare = rinnovare un oggetto di abbigliamento, incominciare ad usare un oggetto (incignare un fiasco di vino)

*càntera = cassetto

canteràno = cassettone

*tomìto = rigonfio che fa la roba sotto gli abiti

*gavòcciolo = rigonfio che fa la roba sotto gli abiti, enfiagione per colpo subito

*conigliolo = coniglio

*ragnolo = ragno

*formi’ola = formica

*ciuci = gatto

*stoino = giacchetta

*strinto = stretto (detto di abiti)

*pìmperi = indumento intimo femminile fatto di stoffa di cotone, simile al top, ma lungo fino al ginocchio

laveggio = pentola

cannella = rubinetto

*boccia = varichina

* acquetta = varichina

*abbollore = bollente

*ciottolo = strumento da cucina, stoviglia

*pungia = triangolo di stoffa da legare intorno alla testa contro l’emicrania

*ciuffalo = stoffa arrotolata da mettere in capo per equilibrare i pesi (per es. le brocche d’acqua)

*dirazzolare = togliere le ragnatele

*scepre = siepe

faccende = lavori domestici

*cimbraccolo = abito conciato male, spiegazzato, rovinato

*stoppinare = chiudere accuratamente una porta, una finestra

ciarpa = sciarpa

*scimmia = sbornia

*pannina = pezza di stoffa (negozio di pannine)

rannata = mistura di acqua e cenere usata per fare il bucato

*mallegato = sanguinaccio

midolla = mollica di pane (pane midollone = malcotto)

ganghero = gancio

*arrinfrizzellato = detto di rammendo mal fatto

trabiccolo = arnese di legno a stecche curve per agganciarvi lo scaldino prima di infilarlo sotto le coperte (detto anche prete). Usato per indicare oggetto ingombrante o inutile

sito = fetore di chiuso o di stantio, puzzo

sciapito = insipido

*sciocco = poco salato

sette = strappo in un vestito

*rafanaio = gran disordine di oggetti. Usato anche per indicare vegetazione intricata

sgombero = trasloco

*sgombero = persona grassa

gromoso = oggetto o persona sporco

*canfìno = petrolio

*rézzola = oggetto sottile come quello che divide una foglia di cipolla da un’altra

caloroso = cibo che può provocare infiammazione

*firza = filo per imbastitura (da cui anche infirzare = imbastire)

*tona’one = indumento pesante

*logo = gabinetto

*posato = raffermo (detto del pane)

*intostito = indurito (detto della stoffa)

*caicciolo = quantità irrisoria (detto per lo più dei cibi)

*cinciagnolo = brandello di carne o ritaglio di carne (per es. gli scarti che si comprano per nutrire gli animali domestici)

*in gamme = di marca

*catrozzolo = pezzo tagliato grossolanamente (per es. di pane)

*rindiangolito = risecchito (detto di cibo o di persona, per. es. per il freddo)

*sganasciato, *sgainato, sgangherato = oggetto rovinato, che casca a pezzi

 

La persona: il fisico, il comportamento

ghigna = faccia, faccia di bronzo, faccia corrucciata

*togo = bello

*glebano = rozzo (da gleba = zolla)

*mottetto = moina

*scanchiglia = rachitico

*aggeggio = bambino molto vivace

arnese = persona poco raccomandabile

*acquaio = stomaco senza fondo

*cacini = persona piena di sé

impiastro = persona noiosa

*gavitello = persona fisicamente forte, ma indolente e sfaticata

*botri’òne = mangione, grasso

*annescare = perdere tempo

becero = confusionario, ignorante

limare = chiedere insistentemente qualcosa

berciare = parlare sguaiatamente, a voce troppo alta, urlare (bercio = urlo)

*limìo = struggimento

*smangano = urlo di dolore o di paura

*chiorbone o *chioccolo = duro di comprendonio

*bagioge = guance belle piene

*gadollo = ben pasciuto

*totterare = brontolare in continuazione per motivi anche futili

*tottero = brontolone

*inviare a.. = incominciare a ..

*gargherozzolo = gola

*rindiangolito = risecchito

*palléti’o = tremito alle mani

*ceppi’one = dalla testa grossa

*ciaccione = ficcanaso, curioso

*gavinoso = interessante, bello di aspetto

*gargana = voce dal timbro molto alto

*mastangone = persona grande e grossa

*trabelloni = (avv.) traballando

sgangherato = persona mal messa

*in gamme = persona in gamba

*sciugnato = elegante, ripulito

*ciamponi = (avv.) incespicando

bischero = sciocco

bischerata = sciocchezza

*arrapato = invogliato

*mugliare = rimuginare

scarcagnato = vestito male, poveramente

*lorfio = tipo di cui fidarsi poco, brutto

*intrampolare = inciampare, incespicare

*gagatessa = femminile di gagà

ciabattone = disordinato

*scarruffato = spettinato

*appannato = bene in carne

*lesto = pronto di fare qualcosa

tronfiare = sbuffare

*scocciare di = smettere di

*lerfie = labbra (detto in senso dispregiativo)

interito = irrigidito

*sciorinato = detto di persona che si apre la camicia o la veste per prendere aria

*sciorinare = parlare in continuazione

gromoso = sudicio

ganascia = mascella

*ciu’o = avaro, ma detto bonariamente, specialmente ai bambini che non vogliono dare qualcosa di quello che hanno

*nottolone = spilungone

*pollaccione = ingenuo

*penerone = che non conclude nulla

*arrazzato = rosso dalla rabbia

*cauterio = persona noiosa, brontolona

*torsolo o baccalà = buono a niente

pulendone (=polentone) = persona pigra e lenta

impappinato = che si confonde nel parlare

*sbirice’o = mezzo cieco

*ganzo = persona in gamba, furba

*gobboni = (avv.) stando chinato

*pitta = capelli lunghi sul collo

*pizzuga = cretino

*spaghite = paura

*rincarcato = si dice di persona che pare abbia ricevuto un colpo e abbia o la testa infossata sul collo o le gambe corte

*gravaccione = persona grassa e impacciata nei movimenti

*gherla o *ghirla = persona impicciona, birbante, malandrino

*arrampinita = rapinosa, velenosa

*moccolone = moccioso, ragazzo che si atteggia a persona adulta

*impaccioso = curioso, ficcanaso

*sbotrare = sbottare

*smammolarsi = assumere atteggiamenti sdolcinati

posato = serio moralmente

stintignare = indugiare, essere incerto

*aissarsi = alzarsi

*sminciare = guardare di sottecchi

*arronzare = tirare qualcosa a qualcuno invece di porgere, darsi da fare, essere sempre in movimento

*svagellare = non essere in sé, parlare a vanvera

abbrivio = accellerazione, rincorsa

*sgranare, *digrumare, sbafare = mangiare

*sbiluciare = dare un’occhiata, vedere con la coda dell’occhio

*ammoscarsi = sospettare

ruzzare = giocare, scherzare

*sgarganarsi = bere fino alla fine da un bicchiere, da un fiasco ecc.

*sciacquignare = giocare con le mani nell’acqua, bagnarsi con acqua di mare

*pottaiona = donna che si vuol mettere in mostra vestendosi elegantemente, magari senza gusto, o adornandosi eccessivamente di gioielli

*scònsolo = sconsolato, abbattuto moralmente

*sbozzolato = bambino già grandicello, autonomo

*scavolare = far passare per buona una cosa detta non vera

*scarru’olare = scovare

 

La vita sociale, la violenza, il lavoro, l’amore, la salute

*fottere = imbrogliare

labbrata = ceffone

*incardanato = innamorato

*zizzole = guai

*noccolata o nocchino = colpo dato con le nocche sulla testa

*scitte = spia, poco di buono

*abbriccare = fermare una persona per parlarle, arraffare

*incastrare = rientrare, detto del tempo o di spese per mancanza di soldi (non mi ci è incastrato)

*ruscolare = guadagnare qualcosa di imprevisto

buscare = guadagnare

buggerio = gran quantità di persone o cose

*puciaio = luogo molto frequentato, affollato

*intripparsi = rimanere coinvolto

*strinato = che ha vissuto una brutta esperienza (rimanere strinato)

*sburianata = sfuriata, litigata

*puntata, *gollettone, *lecciata, *storcione, bordata = botta, colpo dato con le mani

*frontino = botta in fronte

golino = colpo alla gola col pollice e l’indice

*aggaire = stentare economicamente

*sgropponarsi = durare fatica

*spillaccherare = riferire qualcosa di qualcuno

*lorda = fame da miseria

*strippare = ammazzare

*sobbollito = eruzione cutanea dovuta al caldo eccessivo

*frignolo, *bollicino = pustola

*stracollone = storta al piede

*pìsola = conto salata da pagare

*appalto = negozio dove si vendono, oltre ai generi di monopolio, anche generi alimentari o casalinghi

*pe = boccata di fumo

*canaio = confusione, situazione intricata

infreddatura = raffreddore

*armanaccare o ammanaccare = lavorare con le mani intorno a qualcosa senza una precisa competenza

*pula = carabinieri

*telare = scappare

*lupino = callo dolorante alle dita dei piedi

*patta o pattone = caduta, colpo

*lacciaia = accalappiacani

*cimbellare = richiamare, destare attenzione (cimbello = uccello da richiamo)

*mandragolare = imbrogliare

*carmìna = analgesico

*smusarsi = cadere e farsi male, picchiarsi

*bolleggiume = atmosfera poco serena che preannuncia lite

*barège = affollamento

*comparire = si dice di un lavoro che viene bene senza portar via molto tempo (oggi mi ha comparito)

*inciurmato, *inciuciato = innamorato, preso da grande ammirazione

*bertabèllo = guaio

*accileccare = convincere, attirare

*baccagliare = discutere animatamente

*meleggiare = imbrogliare, prendere in giro

ungere = far regali o adulare qualcuno per averne un favore

*biribissolo = piedistallo che indica il senso di percorrenza (preso dal linguaggio nautico)

bailame (=bailamme) = confusione

*bucchietta = brutta figura

appiccicare, *rivogare, appioppare = rifilare qualcosa a qualcuno per forza o per imbrogliarlo

beccare, grattare, *catubare, *sarpare = rubare

*bubbo = pidocchio

 

INTERCALARI E FORMULE INTRODUTTIVE

Prima di elencare alcuni modi di dire, volevo accennare all’intercalare più ricorrente che è déh (pronunciato con la e chiusa, mi raccomando), seguito, in ordine di frequenza, da guà, boia deh, dih. Non mancano le bestemmie, tra cui le famose "maremme" (maremma cane, maremma boia), ricordo, presumo, di brutti periodi di emigrazione per motivi di lavoro in questa subregione dove la vita non era certamente facile.

Molte sono anche le formule introduttive (e tanto..., e se tanto..., e se tu voi...(e se tu vuoi), un di’o mi’a...(non dico mica), e sa’ ‘osa...(e sai cosa), uimmèi, immèi, immène (tutte espressioni di sgomento), e..., o...., ora..giù (=è mai possibile?). Volevo segnalare anche séh! o sehì! con il valore di "macché, ma figurati" e che con valore di "certamente, come no?"

 

MODI DI DIRE

 

andà al molo, prende’ il molo = far venire i nervi

ti brilla i ba’i? = sei matto, hai i nervi?

fa’ pataracchio = mettersi d’accordo

mi pai quello ‘e me la fece sull’uscio e poi la rivoleva = hai delle pretese assurde

e regali i fi’i = certo che è così, cosa credevi?

va’ a spigà = levati di torno

deh, cocco! = bada a quel che dici o fai!

sfilà dai picchi = colpire ripetutamente a botte

bevi, Ugo! = vai, non ci pensare!

fa’ una ribotta = fare una scampagnata

m’è preso un acciccì con l’ovo o m’è preso un accidenti o m’è preso un coccolone = mi son preso paura

tutti ritti ar Centrale! = detto a chi pretende un riconoscimento che non gli è dovuto (il Centrale era un cinema)

fa’ effetto o fa’ ibò = provare schifo, ribrezzo

o lui lì chi l’ha sciorto? = lui chi l’ha mandato, chi ce l’ha voluto?

ha’ voglia di be’ ova, tanto ‘un ti rimetti = parla pure, tanto non ti ascolto

ave’ ir metrito = essere scontento di tutto, brontolare di tutto

cosa aspetti, la banda? = cosa aspetti a fare o a dire una cosa?

esse’ ‘na musarola = essere un tipo poco raccomandabile

esse’ cari’ato = darsi importanza

esse’ di fori ‘ome e terrazzi = essere fuori di testa

chionzo chionzo = abbattuto

esse’ a spasso = non avere lavoro

avé ir convurso o prende’ ir convurso = piangere irrefrenabilmente

attaccà ir ciottolo a uno = sparlare di una persona contribuendo a creargli cattiva fama

e se tanto dice tanto = se le previsioni sono giuste

pai una bodda = sei grassa da far schifo (la bodda è il rospo che notoriamente, in atteggiamento di difesa, si gonfia)

mi pare d’avecci vesto mondo e quell’artro = sto prorio bene, sono in un momento particolarmente felice

a cosa si gio’a, ar gio’o de’ bussolotti? = che intenzioni hai ? mi prendi in giro?

avé le ruzze = aver voglia di giocare, non applicarsi seriamente ad una cosa

se ‘un è zuppa è pan bagnato = si dice di due situazioni che, messe a confronto, non variano di molto

e tanto li trovi dietro l’uscio! = si dice per i soldi che richiedono lavoro e fatica

e tanto lo regalano! = si dice di oggetto costoso

e ni dissi bello mio! = lo trattai male

andà ner pian delle penne o andà ner saccone = andare a letto

son teste e lische! = non c’è niente da ottenere

mi venne ir sobbollito = ebbi una reazione violenta di paura

guardassi nelle palle dell’occhi = guardarsi fissi per non barare

fa’ le feste = salutarsi con affetto

diavolo, per piacere! = diamine, certamente!

arrivà alle puppe der ciu’o = arrivare alla conclusione

un tirillò legato ar filo = un regalo da poco

secco come un uscio accosto = magro rifinito

rimanecci di ‘acio pe’orino = rimanerci male

ferma ir tordo! = aspetta un momento (prima di trarre conclusioni)

e ci ‘onci! = come sei noioso, pignolo, insistente!

ci hai piu arti’oli te d’Upimme = hai un sacco di pretese oppure sei polemico

lavativo a ghia e canapicchioli = persona fastidiosa

se ‘un hai artri moccoli, vai a letto ar buio = detto di persona che accampa pretesti, che insiste su una posizione

fa’ un pianto e un tanto = rassegnarsi definitivamente

e si ‘iama Pio Po = persona dal nome lungo e difficile

e ci vai di ‘artina = sei poco delicato, sei pieno di pretese

ma fa’ la burletta? = ma vuoi scherzare?!

‘un mi fa pro = non mi procura il piacere dovuto (per es. mangiare troppo alla svelta senza gustare)

dille in ghigna = parlare francamente

venì le bolle = avere paura o una forte preoccupazione

botte da orbi = colpi sferrati alla cieca

ciccia accapponata = pelle di gallina

ir tempo fa culaia = il tempo volge al brutto

roba da torta = cose inaudite

sentirai ‘e zizzole! = sentirai che dolori (anche in senso metaforico)

‘un disse pe = non disse una parola

e ti dici pio = quanto sei chiacchierone!

zitto e buci! = stai zitto, non dire una parola

camminà sull’ova = camminare cautamente, con attenzione

sbubbolà dar freddo = sentire freddo intenso

sbudellà dar cardo = sentire caldo intenso

nisba! o nicchisse! = niente da fare! Non c’è nulla!

da’ ir giro = fare la corte

cosa ci ‘ombina? = cosa c’entra?

mi rinformi’olisci ir cervello = mi riempi la testa di chiacchiere

a ghigna dura = con determinazione

‘un esse’ pe’ la vale = non essere come dovrebbe, come di solito è (detto anche della salute, per es. oggi ‘un sono tanto per la vale)

‘un lo movi nemmeno ‘on le binde = non lo muovi nemmeno con un macchinario (la binda serve a sollevare verticalmente i pesi)

tarabaràlla = poco male, più o meno

po’ po’ = rafforzativo (per es. s’è comprato una po’ po’ di macchina!)

‘un la fa’ tanto palloccolosa = non tirare il discorso tanto per le lunghe

sur bene di mi’ ma’ = guiramento sul bene della madre

perde’ ir quarto = perdita sicura

avé li stoma’ucci = sentire nausea, storcere la bocca con disgusto

sentissi strugge’ di... = non vedere l’ora di...

fa’’na figura ‘acina = fare brutta figura

storcio di ‘ollo = ceffone

le gambe mi fanno ghinè = le gambe non mi reggono, mi si piegano

fa’ un branco di salamelecchi = essere complimentoso, ma con una certa falsità

e ìssati! = e basta (cioè ti puoi anche alzare e andartene, tanto non c’è altro)

mosca! = silenzio, non ne parlare con nessuno

fa’ le nozze co’ fi’i secchi = pretendere di fare qualcosa di grandioso con scarsi mezzi

in du’ balletti = alla svelta

e tanto sono allevato a strame! = sono più furbo di quanto non si creda

è ‘na gattina sorda = una persona di cui fidarsi poco perché si comporta diversamente da ciò che pensa

faccio uno spicinìo = faccio una strage

vestito alla gagarona = elegante come un gagà

esse’ pari e patta = tornare da capo

pidocchio rivestito = persona di scarso valore, anche se arricchita

‘un trova ir basto ‘e n’entri = persona che non è mai contenta

andà in via e ‘un fa’ uno = non concludere niente

è un lavorone = è un problema

e ci ‘orre ‘na cea! o e ci ‘orre un ba’o = c’è una bella differenza!

n’ho detto steccolo! o n’ho detto roccia! = gli ho detto tante cose, anche in malo modo (steccolo è usato anche in altre espressioni; vuol dire "poco", ma in senso ironico significa "tanto")

a bu’o = a malapena, all’ultimo momento

giuppelzù = suppergiù

esse’ der dio dei = parlare in modo rozzo, volgare

esse’ tutto dico mico oppure parlà di ‘icco = parlare in modo ricercato (magari senza riuscirci)

esse’ alle ballodole = essere stanco, sfinito, non poterne più, stare per morire

‘un esse’ bono a cavà un ragnolo da un bu’o = non essere buono a niente

è lo stesso che di’ ar muro = parlare con una persona che non vuole intendere

appellappùnto = per l’appunto

taglià lo stoino = dire male di qualcuno

sta’ a stecchetto = vivere in ristrettezze economiche

è qui che mi ‘ascò ir ciu’o! = è qui che ti volevo!

schiaccià un moccolo = bestemmiare

e tanto te lo cicchi! = non crederai che sia una persona facile o credulona

e tanto c’era un bimbo da puppa! = c’era tanta gente

a diatti = è gia’ tanto se..., a malapena

‘un agguanti nemmeno ir semolino = sei permaloso, oppure vai subito a riferire una cosa che ti è stata detta

fa’ ammiccino = fare a meno di tutto, spendere il minimo possibile

ni si ‘onta le staminarie = magro, gli si contano le costole

quando voglio morì mangio un ombrello aperto = quando voglio morire lo faccio per qualcosa di più serio

sciòla! = levati di torno, vattene!

e tanto l’ha strozzato la balia! = detto di uno che muore in età assai avanzata

ber tomo! = bel tipo! (detto in senso ironico)

staccià ‘na ‘osa = risolvere un problema

‘na ‘osa da tre palle un sordo = cosa di poco valore

un biribissàio di... = un mucchio di...

fa’ da gobbi pe’ ‘un pagà gabella = cercare di farla franca

capità a pallino = capitare al momento giusto

rimané alle panche = restare senza soldi

fermà ‘na ragazza = chiederle di poterla frequentare

levà ir vin da’ fiaschi = risolvere una faccenda

te le levo io le ruzze dalla testa = far mettere la testa a partito

e tanto è morvidina! = detto di persona testarda

ci moio sopra = mi piace molto

tutto d’un picchio = all’improvviso

e ti sei detto bambagina! = hai detto cose gravi, hai parlato troppo

scussa scussa = misera

avé le lerfie ciondoloni = avere il viso corrucciato

da’ i numeri = parlare a sproposito, non sapere quel che si dice

succede ‘asamicciola = succede qualcosa di grosso (per es. un litigio)

fa’ la chea = fare la cresta sulla spesa

fa’ razza per conto suo = starsene per conto proprio

e ti ci viene le ragnatele in bocca ! o ti ci puzza di rinchiuso in bocca ! = parli troppo

fa’ l’occhi a pesce morto = fare il cascamorto

sta’ coccoloni = stare accucciato

avé la faccia a bordocchino = avere la faccia schiacciata come un bulldog

da’ tronate = fare allusioni per criticare qualcuno

starei lustro! = mi metterei in una brutta situazione

la sai lunga la ‘amicia di Meo! = vuoi fare il furbo

fa’ quarcosa alla scappa e fuggi = fare qualcosa alla svelta

andà a porta inferi = morire

se’ duro ‘ome le pine verdi = sei caparbio, non vuoi capire

esse’ abboccato = mangiare di tutto

esse’ lergnino o stucco = di gusti difficili nel mangiare

esse’ bello pinzo = ben pasciuto

da’ barta = ribaltare

campà quanto un pappagallo = vivere a lungo

mollà baracca e burattini = andarsene

fa’ a puntate = picchiarsi

a ca’aceci o a cavalluccio = a cavalcioni sulle spalle di un altro

sortì da’ gangheri = sbottare, arrabbiarsi

batte’ ‘na ghignata = fare brutta figura umiliandosi di fronte a una persona

sgobbà come un ciu’o = lavorare duramente

è un pelo ‘e... = è tanto tempo che ...

esse’ nelle peste = essere in una situazione difficile

quanto è vero Cristo = giuro, prometto

l’hai in tasca! = sei rimasto ingannato, hai perso un’occasione, ti senti male

di nidio = tanto per dire (per es. ce l’ho di nidio la paura!)

avecci le grinze nello stoma’o = avere una gran fame

buttassi di spronge = buttarsi di colpo

fa venì l’antua = fa venire la noia

‘un agguantassi ritto o avecci le gambe di ri’otta = essere così stanco o debole da non reggersi in piedi

è lo stesso ‘e cercà un cecio ‘n mare = equivale a "cercare un ago in un pagliaio"

girà come ‘na trottola = andare in vari luoghi per sbrigare una serie di faccende o per cercare qualcosa che non si trova facilmente

facci la tara = considera che quello che è stato detto potrebbe essere esagerato

buzzo verde = maligno

combinà un arrosto = combinare un pasticcio

fa’ la ‘iesta = fidanzarsi (detto dell’uomo)

voi anche un sordo di resto? = non sei ancora contento? ti pare di avere ragione?

bada all’unto! = capirai, bada alla bella posizione sociale!

fa’ ‘na bella ‘iappa = fare un bell’affare (in senso ironico)

un perde’ palata = non lasciarsi sfuggire occasione, non lasciarsi sfuggire parola

la pigli ariosa! = si dice di uno che usa giri di parole o che invece di andare direttamente in un luogo allunga senza ragione il percorso

tirà l’anima co’ denti = sopravvivere a stento o stare male

mette’ a mano = usare una cosa nuova, iniziare a fare qualcosa

‘un venì fori co’ lumicini da notte = non inventare novità

fa’ piglià ‘na purpetta = far prendere un’arrabbiatura

bada alla tu’ pillacchera! = bada ai fatti tuoi

piantà un chiodo = fare un debito

tappà un bu’o = pagare un debito

fa’ l’occhi alle puce = essere bravo e preciso in un lavoro manuale

di morto, ma di morto oppure di mortone = molto, ma molto

ci fa capolino nel mondo! = detto di persona al centro dell’attenzione o curiosa

esse’ sempre in tirella = essere persona ancora piacente nonostante l’età

tirà avanti la baracca = mantenere la famiglia

ir tempo è mezzo e mezzo = il tempo è variabile

avecci quarcosa ner buzzo = rimuginare qualcosa

ghiozzo di bu’a = sciocco, ingenuo

e di ‘e razza! = eccome!

ir gallo della ‘ecca = rubacuori

l’acqua fa le fune = piove a dirotto

Dio bene! = ah, dimenticavo!

e comone! = certo, come no!

è sempre sette tuo! = vuoi sempre avere ragione tu

è acqua da occhi! = è una parola! ti sembra cosa da poco?

da’ ir cencio = pulire i pavimenti

mézzo di strizzo = bagnato fradicio

e se tanto si frigge coll’acqua! = cosa credi, siamo gente in gamba!

è dura pare un coiattolo = è così dura che sembra un pezzo di cuoio (detto soprattutto della carne)

borda! = esclamazione che vuol dire "forza, dai, colpisci ancora!" e simili

allunga’ li stinchi = mettersi a letto

tira’ li stinchi = morire

orell’anno = l’anno scorso

come si fa? come l’anti’i = come si fa? come facevano gli antichi, cioè ci si arrangia

secco ‘ome ‘na lisca di baccalà = magro

‘un capisci un cappio = non capisci nulla

chissà che pescio è! = chissà che tipo è!

e io ‘i sono, ir bimbo di ‘ecchina? = e io non conto nulla?

prende’ a crai o a craine = comprare a credito

vestito alla dighe doghe = elegante

e l’hai fatta la tua! = ti sei sistemato per le feste!

mette’ ir muso = fare il broncio

fa’ la bocca a quarcosa = contare di realizzare qualcosa

fa’ matanza = fare violenza oppure dare fondo a qualcosa, eliminare

li ‘onosco i mi’ polli! = so bene di che pasta è fatta una persona!

era meglio se mi sognavo ghiande! = era meglio se non ne facevo di niente

e tanto ci ho scritto sali e tabacchi! = non crederai che sia scema fino a questo punto!

annusà quarcosa = avere sentore di qualcosa, accorgersi di qualcosa

e però! = è proprio per questo!

‘un c’è da pensà né a madonne né a santi = non c’è tempo da perdere

di ‘osa sa? = che senso ha?

ritunfete! = ci risiamo!

cercà tigna = cercare di attaccare briga

all’artra po’o... = manca poco che....

ci ha ‘na bocca pare un forno regio = ci ha una bocca enorme (per mangiare)

esse’ sempre in pettine e in granata = litigare in continuazione

e ti sei allentato ! = non sei stato per niente generoso

e di’o fatti le lastre! = sei proprio scemo!

pare fatto di bandone = fatto di stoffa rigida come una lamiera

fa un freddo ‘e leva ir pelo = fa molto freddo

addio, Pinco! = detto da una persona stufa di ascoltare opinioni contrarie alle sue oppure indica cosa andata a finire male

andà a fassi benedì da’ Gre’i = allude alla chiesa ortodossa della comunità greca presente a Livorno. Ci andavano le persone sfortunate

di ber novo = nuovamente, per la seconda volta

un po’inino = un pochettino

tacco tacco = a piedi

sordo ‘ome ‘na panca = sordo come una campana

un forbicìo di vorte = un sacco di volte

con la fame ‘e mi rimpasto... = con la fame che ho...

e nanna... = e dai... e ridillo...

‘un fa’ ride’ le telline = le telline sono piccoli molluschi, quindi significa "non ti mettere in ridicolo"

bubbo cine = cinema di infima categoria

è ir su’ bello = è il suo lato positivo

pigliassi in punta di furchetta = trattarsi con rispetto o anche con le molle

da’ baia = dare spago

da’ la baia = prendere in giro

e come mette’ la gravatta ar maiale = detto di persona trasandata che indossa un particolare di abbigliamento elegante oppure di persona che fa qualcosa che non le è abituale, specie se raffinata

un fottìo di = un sacco di

e ci dice ! o quella? = cosa c’entra?

mi pai un povero all’uscio oppure mi pai un viaggio d’acqua = mi sembri piuttosto abbattuto

fai onco a’ ba’i = fai schifo anche ai vermi

l’ha ingollata! = ha ingoiato il rospo

chiuso! = basta!

‘un so più dove andà a sbatte’ la testa = non so quale soluzione prendere

bria’o come ‘na tegola = ubriaco fradicio

all’urtimo tuffo = all’ultimo momento

sta’ ritto ‘o fili = essere sfinito

fa’ i vaini! = cosa importa?

‘un c’e baregia = non c’è anima viva

tremà come ‘na verga = tremare come una foglia

a bono = per davvero

comesse = per esempio

e te ne dai un etto! = quanta importanza ti dai!

ti sei sciupato! = ti sei rovinato (ironico per indicare persona avara)

troppo unto! = troppo lusso!

farci un crocione = non pensarci più

fare franella = amoreggiare oppure perdere tempo (nelle frasi negative)

fare un trabagài = fare un imbroglio, un raggiro

‘un ce n’è pane secco! = non c’è niente da regalare, da sprecare

asciugalo! = si dice di persona che fa una cosa con l’aria di compiere un lavoro arduo o pesante

asciugati! = si dice di persona che dice una cosa banale con l’aria di dire una cosa importante

‘un c’è una refola = non c’è alito di vento

alla grazia! = forma di saluto (quant’era che non ti vedevo!)

alla grazia di... = seguito dal nome di un personaggio illustre, equivale a "chi ti credi di essere? parli da competente come..."

fa’ un giropesca = prendere la via meno diretta

e sei dell’aviazione! = detto con ironia a chi non prende al volo le cose

sono un cencio = non ne posso più dalla stanchezza

sta’ su’ pruni = essere impaziente

mettini un po’ di sale sulla ‘oda = fermalo, se ti riesce

esse’ all’urtime reate = essere in fin di vita

 

PROVERBI

Chi sta per affoga’ s’agguanterebbe a’ rasoi

Pancia piena ‘un crede ar digiuno

Nulla fa bono all’occhi

Chi maneggia brumeggia

Bolli, bolli, poi la pentola va di fora

Regalà è morto e prestà è moribondo

Chi ‘un piange ‘un ha puppa

Senza lilleri ‘un si lallera

Tutto fa, disse vello ‘e pisciò in Arno

E’ meglio ave’ paura ‘e toccànne

Pancia ritta ‘un porta ‘appello

Ir tempo passa, e Berta ‘un si marita

Fidati era un bon omo, ma un ti fidà era anche meglio

Chi si ‘ontenta gode, disse vello ‘e batteva ir culo sulli scogli

Chi fa der bene a’ ciu’i ‘un riceve artro ‘e pedate

A pagà e a morì semo sempre a tempo

Cor tempo e con la paglia si matura le sorbe e la ‘anaglia

Allo sfritto sentirai ir puzzo

E discorsi ‘un fanno farina

I discorsi li porta via ir vento, le bicigrette i Livornesi

Le leggi di Toscana durano una settimana, e quelle di Livorno appena un giorno

Se vo’ fa’ come ti pare, vai a Livorno

Se voi le novità di questo porto, o piove o tira vento o sona a morto

‘R miele passa, la luna resta

Alli zoppi, pedate nelli stinchi

Se i pentimenti fossero ‘amicie, artro ‘e Kotia!

‘R pane dell’artri ha sette croste, che ‘un si riva mai alla midolla

Nulla è un po’ po’ino

Quando sei senza denti, riva ‘r pane

Se la mi’ nonna avea le rote, era ‘n carretto

E conti tornano, i vaini no

L’olio de’ gomiti pulisce ar meglio

Fritta, è bona anche ‘na ciabatta

Pe’ forza ‘un si fa nemmen l’aceto

Bona notte, Gesù, che l’olio è caro

Bria’i e bimbi fori di ‘asa

La bodda ‘un vede artro ‘e su’ boddicchi

Un po’ per uno in collo a mamma

‘Un fa’ come Natalino, che pe’ ‘un anda’ sordato si cavò un occhio

I discorsi ‘un hanno né babbo né mamma

Meglio un morto ‘n casa che un pisano all’uscio

Arrosto ‘e ‘un tocca, lascia ‘e bruci

La pe’ora pe’ fa’ beee, perse ir boccone

Cencio dice male di Straccio

Voglia di lavorà sartami addosso e fammi lavorà meno ‘e posso

Ir corvo disse ar merlo : ’ome siei nero!

 

CONCLUSIONI

 

Consapevole di essere ben lontana dall’aver esaurito l’argomento, vorrei concludere questo lavoro affermando che, se si osservano attentamente i modi di dire di ogni dialetto, non possiamo non convenire che essi sono gli unici per esprimere in modo diretto stati d’animo e sentimenti. Io ho tralasciato quelli in cui compaiono nomi e cognomi di personaggi che, evidentemente, hanno avuto una loro storia all’interno della città; magari si tratta di personaggi famosi nell’ambito cittadino, o ricchi, verso i quali si è riversata l’ironia o l’invidia della gente, ma spesso si tratta di povera gente, di venditori ambulanti, di figurine caratteristiche che hanno lasciato memoria di sé per qualche aspetto del carattere o per qualche episodio di cui sono stati protagonisti. Anche questi aspetti fanno storia e rivelano lo spirito, l’acume, l’attenzione della gente. Sono, secondo me, aspetti da salvare e fanno parte della nostra cultura individuale perché, accetto casi rari, almeno qui a Livorno, sono le cose che ciascuno di noi ha sentito nella lingua che ha ascoltato fin dall’infanzia. Il livornese in particolare è assai legato al suono della propria lingua e ne sente nostalgia quando è lontano o quando lo stile di vita porta ad usare l’italiano standard. Lo dimostra il successo che il teatro moderno in vernacolo riscuote. Quindi non mi sento di negare l’importanza di continuare una tradizione, tanto più che qui da noi il vernacolo è ancora largamente usato, anche se i giovani non conoscono molte delle espressioni usate appena qualche decennio fa. Ma anche nell’ambito scolastico, quando si tratta di esaminare questa lingua, tutti lo fanno volentieri, probabilmente perché ritrovano qualcosa di sé o dei loro familiari che, almeno in parte, è andato perduto.

© Copyrigth 1989 Daniela Lenzi