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  1. Il periodo padovano (1592-1610)

I diciotto anni che Galileo trascorse nella Repubblica Veneta furono, come egli stesso ebbe modo di dire nella lettera a Fortunato Liceto del 23 giugno 1640, i più belli della sua vita. A Padova egli trovò l’ambiente ideale per i suoi studi, certo pesava enormemente su di lui l’impegno di assistere la famiglia, il carteggio galileiano è ricco a tale proposito di notazioni sulle necessità quotidiane, ad esempio impegni di pagamento delle doti delle sorelle o di assistenza economica per il fratello Michelangiolo, e soprattutto di richieste alle autorità lagunari di aumento dello stipendio corrisposto. Per far fronte alle proprie esigenze e agli impegni familiari Galileo si vide costretto a impartire lezioni private, pratica questa che sottraeva ulteriore tempo alle ricerche che andava conducendo.

A Padova Galileo si unì di fatto, non quindi con un regolare matrimonio, alla veneziana Marina Gamba che gli darà tre figli (Virginia, Livia e Vincenzio) e solo nel 1610, al ritorno dello scienziato in Toscana, i due si separeranno.

Per quanto concerne i suoi interessi scientifici del 1597 è il Trattato della sferica ovvero Cosmografia sul sistema tolemaico. In esso Galileo non critica il geocentrismo, sebbene privatamente egli non nascondeva il suo interesse per il copernicanesimo, come attesta, ad esempio, le lettera del 4 agosto1597 a Giovanni Keplero (Gli studiosi sono propensi a non ritenere convinta l’adesione di Galileo al copernicanesimo espressa nella citata lettera a Keplero, si tratterebbe in realtà di un riferimento d’occasione spiegabile con la volontà dello scienziato toscano di non sfigurare davanti a colui il quale era ritenuto la massima autorità scientifica del tempo).

con la quale egli ringraziava il maggiore astronomo dell’epoca per la copia pervenutagli del Mysterium cosmographicum:

"Quod in Copernici sententiam multis abhinc annis venerim, ac ex tali positione multorum etiam naturalium effectuum causae sint a me adinventae, quae dubio procul per communem hypothesim inexplicabiles sunt" (in Dal carteggio e dai documenti cit. p.8-29; cfr. anche la risposta di Keplero del 13 ottobre, Ivi, p. 29-30).

Il primo accenno pubblico di Galileo sul sistema copernicano è invece del 1604 in una serie di tre conferenze sulla stella nova comparsa in quell’anno, la comparsa della nova confutava la teoria aristotelico-tolemaica dell’immutabilità dei cieli.

 

All’attività padovana di insegnante sia pubblico che privato Galileo unì quella di instancabile costruttore di diversi strumenti scientifici, egli aveva annesso alla sua abitazione una piccola officina e stipendiava, non senza sacrificio, un operaio che lo coadiuvava. Nel 1597 costruì un "regolo calcolatore" e nel 1606 pubblicò un opuscolo su Le operazioni del compasso geometrico; egli diffonderà tale invenzione, i cui scopi erano principalmente militari, nelle principali corti europee. Negli stessi anni Galileo scatenò una forte polemica con Baldassare Capra, il quale aveva rivendicato la paternità del compasso geometrico, arrivando a denunciare il rivale davanti le autorità dello Studio Padovano ottenendone la condanna:

"Mi risolvei fare stampare in Padova alcune copie delle operazioni di detto mio strumento, sotto questo titolo: Le Operazioni del Compasso Geometrico e Militare di Galileo Galilei etc., per tagliare la strada a quelli che volessero attribuirsi le fatiche mie. Ma tale provvedimento non mi è bastato; poiché nuovamente Baldessar Capra milanese, trasportando dalla toscana nella latina lingua il libro mio (…) lo stampa nella medesima città, e con parole ingiurosissime asserisce, essere io stato impudente usurpatore di questa opera: la quale esso Capra procura il persuadere esser parto delle sue fatiche, e sé esser vero e legittimo effettore (…) Onde, essendo, io Galileo Galilei sopradetto, vero, legittimo e solo inventore, sì che altri non ne ha parte alcune, dello strumento e di tutte le sue operazioni già da me pubblicate,come io pienamente potrò fare alle SS.V.I.me ed Ecc.e constare, e però sendone io tanto falsamente quanto temerariamente e impudentemente dichiarato usurpatore dal sopra detto Capra, anzi essendo egli che con la medesima temerarietà cerca di usurparsi l’opera e l’onore mio: ricorro alle SS.V.I. ed Ecc., acciò che, conosciuta che sia da loro questa verità, provegghino con la loro autorità alla redintegrazione dell’onor mio, prendendo di questo usurpatore e calunniatore quel castigo che alla somma lor prudenza parrà esser condegno delle opere di quello" (Lettera di Galileo ai Riformatori dello Studio di Padova, 9 aprile 1607 in op.cit., p. 49-50).

Lo scienziato toscano si applicò anche allo studio dei magneti e dei fenomeni termici (inventò un apparecchio per la misurazione della temperatura). La scoperta ovviamente più importante riguardò l’utilizzo in campo astronomico del cannocchiale. Galileo aveva avuto notizia dell’invenzione da parte di occhialai olandesi di lenti che, opportunamente combinate, erano in grado di avvicinare gli oggetti e nel 1609 aveva iniziato a costruire i primi esemplari che migliorò nel tempo. A dispetto delle affermazioni dello stesso Galileo egli non possedeva i principi teorici, di ottica geometrica, che spiegavano il funzionamento del cannocchiale, questi devono essere attibuiti a Keplero che li espose nell’opera Diottrica (1611). E’ opportuno qui ricordare che Giovanni Battista Della Porta aveva presentato nella sua opera Magia Naturalis (1589) una rappresentazione grafica del cannocchiale senza però arrivare alla sua costruzione.

La presentazione ufficiale alla Repubblica di Venezia di tale strumento Galileo la fece il 25 agosto 1609, il giorno precedente egli aveva indirizzato al Doge Leonardo Donato una lettera in cui prospettave le applicazioni in campo militare e civile della propria invenzione; altri esemplari ne fece dono ai maggiori sovrani europei e ciò contribuì ad accrescere la sua fama unitamente all’opera nella quale dava conto delle mirabili scoperte astronomiche effettuate con l’ausilio di tale strumento: il Sidereus Nuncius (1610). Tra l’estate del 1609 e i primi mesi del 1610 Galileo portò avanti freneticamente le sue osservazioni celesti e il 12 marzo dava alle stampe i risultati delle sue ricerche. Le scoperte fondamentali riguardarono la morfologia della superficie lunare, un corpo che si rivelava simile alla terra ("e in effetto si vede apertissimamente, la luna non essere altramente di superficie uguale, liscia e tersa, come da gran moltitudine di gente viene creduto esser lei e li altri corpi celesti, ma all’incontro esser aspra e ineguale, e in somma dimonstrarsi tale, che altro da sano discorso concluder non si può, se non che quella è ripiena di eminenze e di cavità, simili, ma assai maggiori, ai monti e alle valli che nella terrestra superficie sono sparse" - Lettera di Galileo a Antonio de’ Medici, 7 gennaio 1610 in op.cit., p. 69), la Via Lattea ("una congerie di minutissime stelle") e soprattutto le quattro lune di Giove che, in onore della casata toscana, chiamerà "pianeti medicei" ("Ma quello che eccede tutte le maraviglie, ho ritrovati quattro pianeti di nuovo, e osservati li loro movimenti proprii e particolari, differenti fra di loro e da tutti li altri movimenti dell’altre stelle" - Lettera di Galileo Belisario Vinta, 30 gennaio 1610 in op.cit., p. 73). Tali scoperte, unitamente a quella successiva delle fasi di Venere, fenomeno anticipato teoricamente da Copernico ma non osservabile ad occhio nudo, rappresenteranno degli indizi molto importanti, sia pure in via solamente analogica, della validità della teoria copernicana.

Le scoperte di Galileo suscitarono accanto a notevoli manifestazioni di ammirazione, importantissima quella di Keplero nella Narratio de observatis a se quattruor Jovis satellibus erronibus (1611), anche molte critiche. Alcuni studiosi non ritennero valide le osservazioni astronomiche come ad esempio Cesare Cremonini, cattedratico dell’Università di Padova, e Antonio Magini, professore a Bologna. Quest’ultimo ebbe modo più tardi di ricredersi, così come padre Clavius del Collegio Romano, una delle Istituzioni scientifiche più autorevoli del tempo (svilupperò questo punto nella parte 3).

L’attività più fruttuosa del periodo padovano riguardò però il campo della meccanica anche se Galileo non pubblicò alcuno scritto sull’argomento, ci restano numerose epistole a testimoniare l’evoluzione del suo percorso scientifico. Nella lettera a Paolo Sarpi del 16 ottobre 1604 è contenuta ad esempio la prima formulazione, notoriamente errata, della legge della caduta dei gravi che afferma che la velocità dei corpi in caduta aumenta in rapporto al quadrato dello spazio:

"Gli spazii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei tempi, et per conseguenzagli spazii passati in tempi uguali esser come i numeri impari ab unitate" - in op.cit., p. 22).

Solo più tardi, e in maniera compiuta nei famosi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) egli scoprirà che l’aumento della velocità è proporzionale al tempo ("Motum aequabiliter, seu uniformiter, accelleratum dico illum, qui, a quiete recedens, temporibus aequalibus aequalia celeritatis momenta sibi superadidit") e che tutti i corpi, a prescindere dal loro peso, hanno la stessa costante di proporzionalità.

Altro importante principio che Galileo sistemò è quello della velocità virtuale fondamentale per la ricerca delle condizioni di equilibrio delle macchine. Sulla vexata quaestio del principio di inerzia avrò modo di ritornare in un altro contributo.

Per quanto riguarda la matematica Galileo fu sempre interessato alla matematica applicata sulla scia, come ho già ricordato, di Tartaglia.

 

(3 Il ritorno a Firenze, il primo procedimento giudiziario e il "Saggiatore")

(1. Il periodo giovanile)