La rivalutazione del passato

  - Si può dire che la collana “Processi celebri teramani” abbia, tra l’altro, il fine di di una rivalutazione del passato ?
 - Sì. Ma, a condizione che si tenga conto che questa rivalutazione deve essere considerata alla luce dell’insegnamento del post-moderno, cioè non come “anacronistico storicismo”, ma come recupero di citazioni stilistiche rivisitate in chiave moderna.
 - Questo recupero comporta anche, come nel post-moderno, un atteggiamento di riflessione e di critica nei confronti dei concetti di progresso e di evoluzione continua ?
 - Certamente. Si parte da una messa in discussione, diciamo da una sfiducia, della convinzione che possa aversi concretamente qualcosa di nuovo nel campo dell’antropologia e dell’arte e si tende a recuperare il senso di continuità e della memoria storica. La tradizione viene considerata come un patrimonio culturale da recuperare, anche sul piano umano e linguistico e la rivisitazione del passato avviene mediante una serie di citazioni o di stilemi da ricomporre secondo nuovi schemi linguistici.
 - Perché la scelta è caduta sui processi di Corte d’Assise e, in generale, sul crimine e sul delitto, in definitiva sul male ?
 - Perché è la tendenza dell’uomo verso il male, più che quella verso il bene, che meglio fa cogliere la decadenza del concetto del progresso ad ogni costo ed aiuta ad evitare che un atteggiamento anticonformistico si trasformi in un nuovo conformismo.
 - Non è pericoloso il concetto che l’uomo riveli se stesso più nel fare il male che nel fare il bene ?
 - La mia intenzione, nell’ideare questa collana, era quella di sfuggire alla tentazione baudelariana di rappresentare un bene che può scaturire anche dal male o restarvi annidato dentro fino a quando non lo si lasci emergere. Nei libri della mia collana il male resta male, il delitto resta delitto. Sempre, in ogni condizione ed in ogni situazione. Le attenuanti, quando e se ci sono, le attribuisce la giustizia degli uomini,  con le sentenze, o il lettore, con la sua generosità, che può assolvere quando la sentenza ha condannato e condannare quando la sentenza ha assolto. Ma il male resta male. Perché è, sempre e comunque, male morale.
 - Eppure l’impressione è che sia del tutto assente dalla narrazione ogni presa di posizione morale da parte dell’autore, che non interviene mai con un giudizio di valore, anche di fronte al delitto più efferato e al comportamento più scellerato. E’ come se si trovasse di fronte ad una completa anomia morale, un’assenza di regole morali.
 - Ed è così. Ma non si tratta di una anomia di tipo durkheimiano, cioè un’assenza di norme. Al contrario, ci si affida all’insieme di norme morali del lettore, il quale diventa così, oltre che “autore invisibile”, un “legislatore morale invisibile”, il cui impianto normativo può essere in contrasto con quello della giustizia ufficiale. Anch’esso può irrogare sanzioni, contrastanti con quelle sancite dalla giustizia ufficiale dei tribunali.