Ravenna, 10 febbraio 1999 ore 21.00

A forma di chiodo
Le scritture cuneiformi
di Gian Pietro Basello

Introduzione geografica
Innanzitutto devo chiedervi di prepararvi ad affrontare un lungo viaggio immaginario: come ogni viaggio, non viaggeremo solo nello spazio ma anche nel tempo e, in questo caso, a ritroso del tempo. Dobbiamo abbandonare Ravenna (Italia, nell’Europa dell’Euro) per raggiungere la Mesopotamia, la terra tra i due fiumi –Eufrate ad ovest e Tigri a est- di scolastica memoria, oggi in Iraq (Asia), dove il sole sorge due ore prima rispetto a noi. Quella che fu la terra dei Sumeri, dei Babilonesi e degli Assiri, ci è abbastanza familiare grazie alle cronache dei giornali. I tanti siti archeologici giacciono abbandonati: difficile visitarli (il turismo sarebbe una grande risorsa per l’Iraq), le missioni archeologiche sono sospese e il grande museo di Baghdad (che per la antichità orientali ha poco da invidiare al Louvre o al British Museum) è chiuso con i pezzi imballati per precauzione. Ma in questa conferenza dobbiamo proprio abbandonare il presente. L’avventura della scrittura cuneiforme inizia infatti circa 3000 anni a.C., 5000 anni fa e si protrae per più di 3 millenni… e noi, oggi, ci prepariamo a festeggiare l’anno 2000 della nostra era!

La decifrazione
Ma, stranamente, il nostro punto di partenza è ancora un po’ più a est e un po’ più recente: VI sec. a.C. Siamo a Persepoli, oggi in Iran, la capitale dell’impero persiano, città di rappresentanza del grande re, il re dei re, l’achemenide: Dario. Nel XVII sec. della nostra era, più precisamente nel 1621, il nobile pellegrino romano Pietro della Valle, visitata la Terra Santa, prolunga il suo percorso e arriva proprio a Persepoli. Qui, passeggiando per le rovine, raccogliendo qualche mattone o guardando i muri imponenti, trova degli strani segni e, da uomo di cultura qual è, ne spedisce copia ad un amico fiorentino. Era il disegno di 5 segni cuneiformi. E’ il primo passo di un cammino incerto che porterà il mondo occidentale a scrivere una nuova storia, che comincia molto tempo prima di Roma e Atene. Ma se non era ancora chiaro a quali scoperte o civiltà avrebbe portato questo percorso, era invece sicura la direzione: l’oriente.

A questo punto devo fare una piccola premessa: in questa conferenza parliamo di scrittura cuneiforme. Scrittura: questo ci porterà a toccare molte lingue, peraltro completamente diverse fra loro. Stessa scrittura, lingue diverse come oggi possiamo scrivere inglese, francese, tedesco praticamente con gli stessi caratteri ma non possiamo scrivere, ad esempio, in arabo o cinese. Le lingue sono poi raggruppate in famiglie: le più famose sono quella indoeuropea (sanscrito, persiano, greco, latino e quindi italiano…) e quella semitica (babilonese, ebraico, arabo). Ma questa sera ci imbatteremo anche in lingue prive di parentela, ad esempio il sumero o l’elamico. Questo discorso delle famiglie linguistiche può sembrare un po’ astratto: in realtà, studiando concretamente queste varie lingue, ci si rende conto che le somiglianze sono davvero tante sia lessicalmente che grammaticalmente. Cuneiforme: una scrittura in cui ogni segno è ottenuto combinando, incrociando, moltiplicando all’infinito con estrema fantasia un unico piccolo mattoncino costitutivo a forma di cuneo, triangolo, che vi mostro subito perché protagonista della serata. E allora devo dirvi che alla fine ne sono saltate fuori diverse scritture, seppur tutte costituite da tanti piccoli cunei, ognuna con la sua storia. La parola "cuneiforme" deriva da Plinio che parla di segni che terminano con un cuneo. Finita la premessa.

Proprio grazie a Dario, comincia la decifrazione delle varie scritture cuneiformi: a Bisotun, un passo fra le montagne sulla grande via da Babilonia per Ecbatana (la capitale dei Medi), Dario fece incidere una grande iscrizione in cui narrava le sue gesta e la sua fulminante ascesa al trono. Al centro vi era la raffigurazione del re che sottometteva i ribelli: insomma, era una specie di grande cartellone pubblicitario. Dario fece incidere l’iscrizione a più riprese in tre lingue: l’elamico, l’antico persiano (la sua lingua materna) e il babilonese. Una specie di stele di Rosetta, anche se qui tutte e tre le lingue erano sconosciute. Già a prima vista, si capisce che sono scritte in tre differenti… oggi diremmo font, cioè tipi di carattere, cuneiformi. Sia la scrittura elamica che quella antico persiana erano sviluppi di quella babilonese, anche se parliamo di sviluppi molto drastici, specie nel caso dell’antico persiano: dal grande insieme di segni cuneiformi l’antico persiano ne utilizzava "solo" 41, per di più semplificati… era una scrittura praticamente alfabetica. Il senso di "praticamente" ve lo spiegherà con dovizia di particolari il professor Panaino in una delle prossime conferenze. Fatto sta che l’antico persiano fu la prima lingua ad essere decifrata, all’inizio del XIX secolo, grazie al tedesco Grotefend (un semplice professore di latino al ginnasio) e all’inglese Rawlinson: era una lingua indoeuropea, imparentata quindi con il greco e il latino, e usava un piccolo cuneo diagonale per separare le parole (un bell’aiuto, vi assicuro!). Poi fu decifrato a grandi linee l’elamico (la lingua di cui mi occupo in particolare) e infine il babilonese, nel 1857, quando nelle stanze tappezzate della Royal Asiatic Society (Londra) avvenne una strana competizione: quattro studiosi, fra cui il già citato Rawlinson e il geniale reverendo E. Hincks, furono chiamati a tradurre una iscrizione appena rinvenuta indipendentemente l’uno dall’altro. Quando i giudici constatarono che le traduzioni erano convergenti, fu emesso il verdetto: il babilonese era decifrato! In realtà la strada da percorrere era ancora tanta.

Abbiamo detto che il cuneiforme elamico e quello antico persiano derivavano da quello babilonese, la lingua cuneiforme per eccellenza. Ma anche i babilonesi avevano copiato la scrittura di qualcun altro: l’avevano presa a prestito dai Sumeri. Allora val la pena ritornare in Mesopotamia (precisamente nella parte meridionale) e andare davvero indietro nel tempo per vedere insieme cosa combinarono questi Sumeri.

La rivoluzione urbana
Nel IV millennio a.C. una serie di particolari condizioni ambientali favorevoli portarono all’occupazione e allo sfruttamento della pianura mesopotamica: se cerchiamo di disegnare un quadro unitario a partire dai dati archeologici di questo periodo, sembra proprio di assistere ad una improvvisa ondata di popolazioni che scendono a valle dagli altipiani circostanti, ad un formarsi di piccoli agglomerati urbani che crescono velocemente, ad una crescita demografica che permette ad alcuni di dedicarsi a tempio pieno ai lavori di supporto dell’attività agricola (il vasaio, il fabbricante di attrezzi…), questo porta al miglioramento della tecnologia che ancora comporta un aumento della produzione agricola che asseconda così la crescita demografica che stimola la messa a cultura di nuovi campi che... Allora si rende necessario un centro direzionale, che trova naturale punto di coagulo attorno al tempio: nascono nuove classi sociali a servizio del centro stesso, classi non legate direttamente alla coltivazione ma pagate in natura per il loro servizio come funzionari e controllori. In realtà, nel vissuto storico questo processo fu graduale, lento, e le sue cause non facilmente schematizzabili e consequenziali. Un’ulteriore spinta all’organizzazione venne poi dalla gestione del patrimonio idrico, dalla regolamentazione dell’uso dell’acqua e dalla manutenzione degli innumerevoli canali.

I contrassegni
E’ chiaro che la necessità di registrare quantitavi di semente, animali da pascolo, paghe in natura era impellente. Venne perfezionato allora –e qui entriamo nel vivo- un sistema in uso già da varie migliaia d’anni (8000 a.C.): quello dei contrassegni d’argilla.

Come funzionava? Si tratta di piccoli manufatti di argilla (larghi 1.5 cm circa) variamente modellati in forme geometriche o naturalistiche (coni, sfere, dischi, cilindri, recipienti, animali…). Ogni forma aveva un significato particolare: ad esempio un cono simboleggiava una piccola misura di grano, una sfera stava per una grande misura di grano e un cilindro per un animale. In questo momento si contava ancora concretamente (non 1, 2 e 3 ma 1, 1+1, 1+1+1), non potendo concepire i numeri come entità indipendenti da ciò che veniva contato (grano, animali). Verso il 3300 a.C. furono inventate le "buste": attorno ai contrassegni veniva modellata una sfera d’argilla cava (5-10 cm di diametro) che li inglobava. Ogni busta riguardava una particolare transazione. Alcune buste recavano impresse sulla superficie esterna dei segni che corrispondevano alla forma e al numero dei contrassegni contenuti all’interno. A un certo punto la presenza dei contrassegni all’interno delle buste divenne superflua: le buste furono appiattite e divennero tavolette d’argilla, mentre i simboli dei contrassegni impressi su di esse sostituivano i contrassegni tridimensionali. Così, nell’Uruk dei Sumeri e in Susa degli Elamiti era nato più o meno contemporaneamente il supporto principe della scrittura cuneiforme: la tavoletta d’argilla.

La tavoletta
Spendiamo due parole su queste tavolette. Innanzitutto potevano essere di diverse forme: generalmente erano quadrate o rettangolari, ma anche ovali o circolari, cioè buste sferiche appiattite. La sezione in genere è piano-convessa cioè un lato (la base) è piatta mentre la parte superiore era convessa. Si cominciava a incidere la parte convessa poi si girava la tavoletta longitudinalmente (non come le pagine di un libro) e si incideva il retro piatto. Spesso si finiva per scrivere anche sui bordi e sui fianchi. Non sappiamo bene come si tenesse la tavoletta durante la scrittura: a volte troviamo tavolette con impronte digitali (pensate, di uomini vissuti tanto tempo fa!). Anche le dimensioni sono variabili: da piccole tavolette per appunti di 1.5 cm di lato a tavolette amministrative di 36 x 33 cm (Ebla in Siria). L’altezza media di ciascun segno è di circa 5 mm ma non sono affatto rare tavolette con segni microscopici, alti meno di 2 mm! Per molto tempo ogni riga scritta era incorniciata da una casella, come si vede ancora nel codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.). Una volta incise, le tavolette venivano fatte essiccare al sole. Se invece si voleva mantenere tenera la tavoletta per poter riprendere l’incisione più tardi, la si avvolgeva in un telo bagnato, come si vede in alcuni esemplari che ne hanno l’impronta. [Diari astronomici… graffiati]

Ovviamente la tavoletta non era l’unico supporto scrittorio: le iscrizioni dei re erano incise su pietra tenera o dura, si pensa che venissero utilizzate anche tavolette di legno o avorio ricoperte di cera, vi sono iscrizioni su vasi, oggetti di metallo…

Sembra che le tavolette fossero riposte in scansie di legno in verticale, come risulta dagli scavi di Ebla (2400-2200) in Siria; ceste di vimini erano poi usate per trasportare più tavolette all’interno degli archivi.

Perché la tavoletta? Sicuramente perché, come il papiro in Egitto, così in Mesopotamia l’argilla era facilmente reperibile. Impastando l’argilla con un po’ d’acqua si poteva preparare facilmente una tavoletta (presso gli archivi vi era probabilmente un operaio addetto). La praticità della carta di oggi, che possiamo scrivere, stampare, piegare o rilegare, è niente in confronto alla durata delle tavolette cuneiformi che si sono conservate facilmente per 5000 anni! Ma torniamo alle buste appiattite.

Nascita ed evoluzione della scrittura
Questa non era ancora vera e propria scrittura, poiché non era in grado di fissare una frase complessa. Tuttavia, un po’ dispiace pensare che uno strumento così importante per la vita umana, che permette la comunicazione fra persone distanti e fissa le proprie parole perché altri possano giovarsene o trarne piacere o esperienza, nasca per scopi economici. In realtà, credo che questo accada proprio perché i testi sacri e i miti erano troppo importanti per essere affidati ad una impersonale tavoletta: in questo periodo la trasmissione orale era prediletta per il contatto umano che creava fra ascoltatore e uditore. La cultura orale era un valore positivo, come emerge anche dalla Bibbia che, pur essendo testo scritto, poteva rivivere solo nella proclamazione ad alta voce nell’assemblea. Anche nel Corano, una variante del testo derivata secondo la tradizione orale direttamente da un discepolo di Maometto ha più valore di un testimone scritto. E quanti problemi testuali sono nati nella Bibbia da quando è stata trascritta!

Comunque, già verso il 3000 a.C., nella terra dei Sumeri, sempre nel grande agglomerato urbano della città di Uruk, troviamo tavolette d’argilla ricoperte di una grande varietà di segni (1200!). In questa prima fase, i caratteri grafici sono molto figurativi –si parla di pittogrammi- cioè si ha una corrispondenza diretta tra la cosa rappresentata e il segno che la rappresenta (ad esempio il segno KUA per "pesce"). Altri caratteri però o non hanno alcuna somiglianza con l’oggetto indicato (ad esempio il segno UDU per "pecora") o sono talmente stilizzati che una eventuale somiglianza non si riscontra più.

L’esigenza di scrivere testi sempre più complessi portava al perfezionamento del sistema. Non potendo aumentare sempre più il numero dei segni (quale poi la forma corrispondente a concetti astratti?), gli scribi cercarono di estendere il significato dei segni già esistenti. Lo fecero in due modi che daranno origine a due caratteristiche tipiche della scrittura cuneiforme.

Il primo modo è il passaggio dal pittogramma all’ideogramma. Ad esempio il segno raffigurante la testa con una specie di tratteggio sulla bocca indica appunto il termine sumero per bocca, ka. In seguito assume anche il significato di "parlare", in sumero du11. Stesso segno, lettura diversa secondo il contesto.

L’altro modo predilige l’elemento fonetico a scapito di quello figurativo. Un esempio chiarirà tutto: il segno ti raffigura una freccia e significa appunto "freccia". Sempre in sumero, ti significava anche "vita". Allora il segno ti può valere anche per "vita" in determinati contesti. Questo passaggio è importantissimo: slegando il suono (valore fonetico) dalla raffigurazione, si renderà possibile la scrittura di termini più complessi mettendo in sequenza più segni che non indicano più ciò che raffigurano ma solo la sequenza di suoni (questo anche grazie alla natura monosillabica di molti termini sumeri). Ora iniziamo a parlare di sillabogrammi, cioè segni che indicano sillabe e non più l’oggetto che raffiguravano. Le sillabe (ad esempio ka, ti o ir, el o bad, dug) diventano l’elemento costitutivo della scrittura cuneiforme che è proprio una scrittura sillabica.

Prima ho detto raffiguravano, perché man mano che il disegno figurativo perde il legame con il significato, i segni vanno inevitabilmente verso una stilizzazione. In particolare si eliminano le linee curve, visto che lo stilo incideva più facilmente linee rette. I disegni vengono ridotti quindi ad un insieme di cunei. In un primo tempo questa stilizzazione complica ulteriormente i segni, ma poi porterà ad una notevole semplificazione specie in periodo neo-assiro.

Se un segno ha più letture o una lettura con più significati, può esser facile fare confusione, anche se forse questa complicazione dà più fastidio a noi moderni che agli antichi Sumeri: comunque i Sumeri facevano precedere certi termini da particolari segni (detti determinativi) che non venivano letti ma precisavano la categoria cui appartiene il termine che segue. Ad esempio, il segno AN che rappresenta una stella e significa "cielo", può essere letto anche dingir e allora significa "dio". Inoltre veniva sempre posto prima del nome di un dio. Il segno giš che significa "legno" da solo, precede anche tutti gli oggetti fatti in legno, ad esempio il segno ti con significato di "freccia" (e non di "vita"). Un uso simile c’è anche in geroglifico.

Un altro modo per scrivere nuovi concetti è combinare assieme due segni già noti in uno nuovo con un significato correlato (in questo modo si aumenta comunque il numero dei segni). L’esempio classico è il segno NINDA "cibo" che posto accanto al segno KA "bocca" significa "mangiare" .

Perfezionamento (dal sumero al babilonese)
Infine, verso la metà del III millennio, una nuova etnia si affaccia sulla pianura mesopotamica: gli accadi invaderanno il Sumer e sfrutteranno la scrittura sumerica per scrivere la loro lingua. Gli accadi parlano l’accadico, che è una lingua semitica, della stessa famiglia dell’ebraico e dell’arabo oggi, e che non aveva nulla a che vedere con il sumero. Il passaggio della scrittura sumera ad una nuova lingua così diversa, sviluppa ulteriormente il valore dei segni in senso sillabico e fonetico.

Alcuni segni conservarono comunque il valore di logogrammi, cioè continuavano ad indicare da soli una parola intera (l’oggetto raffigurato in origine): non venivano però letti con il termine sumero ma con il corrispondente termine accadico. Ad esempio il termine sumero per "dio", dingir, viene letto ora ilum cioè "dio" in accadico (parente di elohim ebraico e allah arabo).

Più tardi –siamo ormai nel secondo millennio- arriverà il babilonese vero e proprio (finalmente ci siamo arrivati), mentre le zone settentrionali vedranno la diffusione della lingua assira. Accadico, babilonese e assiro, benché corrispondano a tre entità politiche diverse, sono da considerare come dialetti di un'unica lingua: a volte si parla genericamente di accadico o di babilonese, altre volte si precisa assiro-babilonese. Da questo momento (inizio del II millennio) il sumero diventa sempre più una lingua colta e raffinata, la lingua degli antichi testi, che lo scriba babilonese deve studiare accuratamente, ma è sempre meno una lingua parlata.

Nel frattempo avviene un fenomeno curioso: i segni vengono ruotati di 90° verso sinistra, come si può facilmente dedurre dalle iscrizioni sulle statue (le tavolette di per sé potevano essere girate in tutti i sensi) o risalendo al verso dei segni pittografici. Contemporaneamente si dispongono orizzontalmente le righe (prima erano verticali, come vedremo nella stele di Hammurabi).

Nei primi secoli del primo millennio, la preponderante egemonia assira porterà decisamente alla ribalta proprio l’assiro. I caratteri di questo periodo, detti neo-assiri, sono molto diversi da quelli antico-babilonesi da cui pur derivano. Come si vede, è avvenuta una netta semplificazione, graduale nel tempo che ha portato ad una riduzione del numero dei segni effettivamente usati (già nel 2000 a.C. erano 500). Ora i tipi di cunei usati per comporre qualsiasi segno sono solo 5: il cuneo orizzontale, il diagonale da alto sinistra a basso destra, l’angolo di 90° posto a 45°, quello verticale e il cuneo da basso sinistra a alto destra.

Diffusione…
Il cuneiforme babilonese diventò rapidamente la lingua internazionale e diplomatica del vicino Oriente. Famoso è l’archivio di Tell el-Amarna, l’effimera capitale di Akhenaton (1353-1335), che ci ha restituito in pieno Egitto un fornito archivio di corrispondenza diplomatica in cuneiforme babilonese che ci dà un ampio spaccato di storia del XIV sec. a.C.

Hurriti [Mesopotamia NW dal II millennio, né indoeuropeo né semitico], ittiti ed urartei [IX-VI sec. in Armenia con caratteri neo-assiri] lo adottarono invece per scrivere la loro lingua (ed erano tutte lingue non semitiche!) così com’era. Invece il cuneiforme elamico, una delle tre scritture dell’iscrizione di Dario a Bisotun, si era distaccato dall’antico babilonese e aveva progressivamente ridotto il numero dei segni utilizzati (meno di 150). Qui vediamo un’iscrizione del 650 ca. di Atta-Hamiti-Inšušinak (Louvre). A Ugarit, un centro sulla costa siriana affacciato sul mar Mediterraneo, verso il XIV sec. a.C. viene inventata una scrittura alfabetica (30 segni) o, meglio, consonantica (visto che le vocali non erano scritte come in egiziano, fenicio ed ebraico) che di cuneiforme aveva solo l’aspetto (tavoletta con testo rituale). In un certo senso possiamo accostarlo al posteriore cuneiforme antico-persiano, che rimane comunque legato ai segni cuneiformi originari ed è meno "alfabetico". L’avventura dell’ugaritico termina bruscamente nel 1200 a.C. quando i popoli del Mare (un gruppo di popoli in parte indoeuropei di provenienza egeo-anatolica) distrussero la città.

Come si spiega la fortuna di una scrittura così complicata? Ma era davvero complicata, anche per un babilonese? Sì, lo era come ci ricordano anche molti proverbi mesopotamici dai quali emerge che lo studio dello scriba è difficile e pesante. Comunque, rispetto ad una scrittura alfabetica (di cui comunque è in un certo senso il progenitore) il cuneiforme sillabico è più stringato, visto che un termine era scritto con meno segni.

Lo stilo
Prima abbiam parlato del supporto scrittorio. Ora parliamo del mezzo usato per incidere. Infatti le due cose sono strettamente legate fra loro e, nel nostro caso, in stretta relazione anche con i segni della scrittura. Quando lo studente moderno si esercita a tracciare segni cuneiformi su un foglio di carta, perde molto più tempo del suo vecchio collega babilonese che utilizzava uno stilo che, con una semplice pressione, già realizzava, ad esempio, il triangolino che forma la testa di ogni singolo cuneo.

Nei rilievi neo-assiri (VIII-VII sec. a.C.) vi sono diverse raffigurazioni in cui due scribi prendono nota di quantitativi di bottino (o contano nemici morti): il primo regge una tavoletta, il secondo tiene in mano un rotolo di cuoio o papiro che ricade in avanti. Forse il secondo scriba scriveva in aramaico: l’aramaico, lingua semitica, sfrutta una scrittura alfabetica consonantica adatta ad essere scritta con con inchiostro su papiro. Era innaturale e scomodo scrivere in aramaico su tavoletta (benché siano stati fatti tentativi) o in cuneiforme su papiro. L’aramaico avrebbe sostituito presto il babilonese in campo diplomatico e internazionale (dalla seconda metà del I millennio a.C. con i Persiani). [Prime iscrizioni in aramaico nel 850 a.C. Tell Halaf… poi Zincirli VIII sec.]

Sono state fatte molte ipotesi riguardo lo stilo: innanzitutto sembra che nessun esemplare sia giunto fino a noi in quanto era ottenuto tagliando e incidendo una canna, un materiale molto deperibile. Vi mostro alcune elaborazioni fatte da vari studiosi. Provando materialmente a incidere l’argilla (io ho usato una varietà locale che è molto meno fine di quella mesopotamica) ci si rende conto che si possono ottenere risultati simili in modi diversi, a seconda della sezione dello stilo, a seconda di come sia tagliato, a seconda della pressione e dell’angolo di incisione. L’idea più semplice è quella di uno stilo a sezione triangolare. Inciso il triangolo premendo perpendicolarmente, si inclina lo stilo e con uno spigolo dei tre alla base del triangolo si incide la linea retta. Tuttavia, con questo sistema si ottengono segni simili solo in parte a quelli originali.

Il codice di Hammurabi
Ed ora proviamo ad affrontare insieme un testo cuneiforme. Vi propongo il testo della prima legge del Codice di Hammurabi, inciso in babilonese su una stele esposta nel museo del Louvre. La stele è in diorite, una roccia particolarmente dura da incidere. Non sappiamo esattamente quali strumenti siano stati usati dai lapicidi. Avevano una copia del codice su tavoletta (ne sono state ritrovate diverse) e dovevano ricopiarla sulla stele. La stele è alta ben 2.25 m. Nella lunetta è raffigurato il re babilonese Hammurabi (1792-1750) in atteggiamento di saluto di fronte al dio sole Šamaš in trono. Il dio, che era il garante del diritto, porge al sovrano le insegne del potere: lo scettro e l’anello.

Al di sotto e sul retro si dispone in colonne orizzontali (vedete che qui la scrittura non è stata ancora ruotata, benché la copia che vi ho dato la ruoti per comodità nostra… ma abituatevi a tenerla nell’altro senso) il testo del codice, con ogni verso incasellato come nei documenti più antichi. Non è il primo della storia (ve n’è almeno un altro sempre in Mesopotamia, il codice di Lipit-Ištar di Isin 1934-1924) e deve essere inserito in un contesto religioso oltre che giuridico, come dimostra la soprastante raffigurazione oltre che l’ambiente in cui era conservata (il tempio del dio sole a Sippar) e il prologo e l’epilogo di carattere celebrativo-religioso. Personalmente mi dispiace leggere in molti libri di autorevoli studiosi che questo codice non aveva un reale valore giuridico: perché scriverlo allora, perché suddividere la casistica in ben 282 leggi puntigliosissime? Benché pochi sapevano leggere, aveva un grande valore sapere che le leggi erano scritte in forma durevole e non opinabile. Nel XII sec. a.C. questa stele era ancora nel tempio di Sippar, quando gli invasori elamiti (Šutruk-Nahhunte 1170-1155) la portarono nella loro capitale Susa, dove è stata effettivamente ritrovata.

ubbir: preterito D
iddi: preterito G
uktin: perfetto D
mubbiru: participio D (muparrisu)
iddak: presente N
iparras (pres.), iprus (pret.), iptaras (perf.), parisu (part.), purus (imperat.), parasu (inf.), parsum (agg. verb.), paris (stativo) "tagliare, dividere"
awilum: uomo libero (economicamente indipendente)
muškenum: addetto al palazzo (economicamente dipendente)
wardum: schiavo

Inno sumero all’arte della scrittura
L 'arte delta scrittura è la madre degli oratori, il padre dei maestri;
l'arte della scrittura è appassionante, non ti sazia mai;
l'arte della scrittura è difficile da imparare,
ma colui che l'ha appresa avrà il mondo in mano.
Cura l'arte della scrittura, ed essa a arricchirà;
sii diligente nell'arte della scrittura, ed essa ti riempirà di ricchezza e abbondanza.
non essere negligente nei confronti dell'arte scrittoria, non trascurarla, l'arte scrittoria è "sede di ricchezza", il segreto del dio Ammanki [=Enki],
lavora senza soste ed essa ti rivelerà i suoi segreti,
se la trascuri si faranno commenti malevoli nei tuoi confronti,
l'arte scrittoria costituisce un buon destino, ricchezza ed abbondanza;
da quando eri un fanciullo essa è stata per te causa di dolore,
da quando sei cresciuto –
L'arte scrittoria è il nesso di tutto -
Lavora duramente su di essa
[ed essa ti -] la sua bella prosperità,
ad avere una conoscenza superiore della lingua sumerica,
ad apprendere -, ad imparare l’Eme-sal [= "la lingua fine"],
a scrivere una stele, a disegnare [i confini di] un campo, a determinare bilanci -
- il palazzo -
Lo scriba possa essere suo [= dell'arte scrittoria] servitore,
egli chiama il canestro da lavoro della corvée...

Scribi, scuole, archivi
L’invenzione della scrittura secondo i Sumeri: Enmerkar e il signore di Aratta (scopi diplomatici).
Pochi sapevano leggere, scuola = casa della tavoletta, difficoltà degli studi (proverbi)…

Liste lessicali, dizionari sumero-accadici.
Serie (antico-babilonese)
tu
ta
ti
tu-ta-ti
nu
na…

Lista di letture scritte foneticamente di un medesimo segno sumero
i
ne-e
za-al
di-gi
per NI (i2, ne, zal, digi…)

termini sumeri accompagnati da traduzione in accadico
Ebla: ideogramma, traduzione in eblaita (semitico), resa fonetica (III millennio)
inim-erim2 = ba-a-ri2-tum = en-na-ma-en-ru12
parola cattiva (maledizione)

Iscrizioni - Diapositive
u2 at-da-ha-mi-
ti din-su-
iš-na-ak ša2-ak
hu-ut-ra-an-te-
ip-ti-ha
asšu-šu-
un ha-ni-ih a-ak
pu-hu-ur
asšu-[šu-]
un-ra ir-ha-[ni-]
ih…

Io (sono) …, figlio di… Susa ho amato e i figli di Susa ho amato…