Giovanni Tamborrino

il teatro nel sistema timbrico 
l’opera senza canto    


Le tecniche teatrali di Giovanni Tamborrino sono qui raccolte in un "quasi saggio". Buona lettura.

G: cantante-attore e poeta;

T:  drammaturgo-"compositore"

Attore 1: il tiranno

Attore 2: il cretino

Attrice: la svampita

Il narratore

4 danzatrici

Uomo

 

T. chiama G. per lavorare insieme su di un’opera. G. accetta a condizione che il testo sia in gran parte scritto da lui. Le condizioni poste da T., invece, sono che durante il periodo delle prove siano messe in pratica la tecniche teatrali che lui teorizza. Dopo essersi accordati, iniziano il lavoro incontrandosi nel laboratorio dove T. costruisce i suoi strumenti.

 

 

 

G.(Suonando due oggetti di metallo) Le senti, le senti queste campane stonate?

T. Sì, sì che le sento.

G. Dai dimmi che intervallo è…sei un musicista, no?

T. No, non sono un musicista…

G. Allora sei un drammaturgo-compositore, o un attore?… cosa sei?

T. Non lo so …

G. Come non lo sai? Non sei tu che scrivi ed interpreti opere di teatro musicale? Allora come ti definisci?

T. Non mi definisco.

G. Che significa, non mi definisco?

T. Non amo le definizioni, t’incatenano, anche tu faresti bene a non definirti…

G. Fa, mi, re… mi fa re …allora, me lo dici che intervallo è?

T. Ma è un intervallo intervallato da misure miste ed eccedenti!

G. Un accidenti! Non hai proprio orecchio, non senti che è un intervallo di terza minore discendente?

T. No, io sento solo le campane a morto... mamma mia che tristezza!

G. Sono come quelle campane che sento ogni giorno: la mia vecchia finestra non trattiene più le vibrazioni, ormai mi raggiungono in ogni angolo della casa, portandomi il loro triste messaggio...non mi riguardano gli spiriti che danno i loro segnali... si sono creati il loro labirinto..."io sono il tuo labirinto" (1), disse lui.

T. Lui chi?

G. Eravamo soli, il vecchietto ed io… sbatteva la custodia della sua dentiera… ritmi naturali non misurati…

T. Solo chi capisce il ritmo può misurare…

G. Le misure sono necessarie anche per far le bare…

T. Basta così… frena… cominciamo a lavorare seriamente.

G. D’accordo, iniziamo dalle tue teorie o dal mio testo?

T. Meglio che ti spieghi prima le linee guida della mia ricerca teatrale.

G. Va bene. Qual è il nodo centrale di tutto il tuo lavoro?

 

(T. avvia così un’introduzione al suo teatro)

T. Lo sviluppo di una sorta di teatro originario che io chiamo opera senza canto.

G. Vuoi dire un teatro che ritorna alle origini?

T. Più o meno.

G. Sai bene che questo non è più possibile.

T. E’ possibilissimo invece perché la natura non ha cambiato i suoi ritmi e i suoi timbri.

G. Tempo creato, natura, ritmi timbri…hmm.

T. Pian piano capirai cosa intendo dire, devi solo avere pazienza e seguirmi con attenzione in questo nostro viaggio nel teatrale..

L’opera senza canto nasce dalla fusione del teatro musicale con quello di prosa attraverso l’applicazione delle principali caratteristiche fondanti della musica (timbro e durate) al teatro di prosa; questo si ottiene sviluppando alcune tecniche, raccolte sotto la definizione di piano unico di percezione (2) (pudp), che permettono la compenetrazione dei due linguaggi nel rispetto della loro identità.

G. Qual è stato il tuo punto di riferimento per il teatro di prosa?

T. Anch’io (come tutti nel teatro di ricerca) ho tratto suggestioni da Artaud (3), ma in seguito mi sono interessato al lavoro di Carmelo Bene, soprattutto ai suoi tentativi d’avvicinamento dell'attore al teatro musicale; mentre, per quanto riguarda la musica…

G. Senti, con tutta la buona volontà, io non riesco proprio a resistere ad un concerto di musica contemporanea.

T. Per forza la musica del nostro tempo, ma direi non solo la musica, a causa di necessità interne al proprio linguaggio, ha - come tutti ormai sanno - problemi di comunicabilità.

G. Un attimo, per favore. Che significa a causa di necessità interne al proprio linguaggio…

T. Credo che i linguaggi artistici abbiano una propria volontà esattamente come la natura (4); si può dire che vanno avanti da soli, sono dinamici, imprevedibili, autoreferenziali.

G. Come sarebbe a dire che procedono da soli!…questa è una vera stupidità… se così fosse, l’artista non avrebbe motivo d’esistere…comunque cerca di farmi capire cosa intendi veramente…

T. L’artista ha due possibilità: o rifiuta questa cieca evoluzione, preferendo percorsi sicuri e stabili, già codificati; oppure accetta il processo evolutivo naturale, cercando di comprenderlo, assecondarlo, chiarirlo. Ora vorrei abbandonare quest’argomento, perché è complesso e lungo… e, credimi,…ci porterebbe veramente molto lontano.

Riprendo da dove mi hai interrotto.

G. Dai problemi di comunicabilità?

T. Si, ricordo le mie partecipazioni a concerti e spettacoli di musica contemporanea, sia come autore/interprete sia come spettatore, mi deprimevano moltissimo.

G. (riprendendo a suonare i due metalli) Le rappresentazioni senza un pubblico sono tristissime come queste tue stonatissime campane… comunque, sapevo che avevi smesso di frequentare l’ambiente musicale "colto" per questi motivi.

T. Quello che c’è di più bello per l’artista è poter coltivare la propria passione per la sperimentazione e nello stesso tempo crearsi un filo energetico comunicativo con il pubblico.

G. (canta accompagnandosi con i due oggetti sonori) Speranza di tutti…

T. Sono state queste necessità a spingermi ad avventurarmi in un doppio percorso di lavoro: il primo consiste nello sviluppo dei parametri musicali e teatrali; il secondo, invece, in una riflessione sulla possibilità di un’arte sperimentale, che potesse essere in qualche maniera compresa dalla gente.

G. (canta ancora) Di tutti speranza…(poi, smettendo di cantare). Capisco, "formi territori".

T. Il doppio percorso di lavoro suddetto fu applicato a Reputi di Medea, il primo lavoro della

trilogia delle opere senza canto (5). Hai capito qualcosa?….via partiamo, andiamo a farci consigliare dai greci, loro si che sapevano come fare un opera senza canto.

G. Ma dove andiamo?

T . In Grecia.

G. Sì, ma dove?

T. Andiamo a far conoscere il nostro lavoro ad Arios Kanikos

G. E chi è Arios Kanikos?

T. E’ un famoso regista greco, è a lui che chiederemo di fare la regia della nostra opera…

 

(Salpano da Metaponto con un traghetto poco affidabile, continuando anche durante il viaggio, le loro conversazioni teatrali)

G. Con questa zattera, però, non arriveremo mai…

T. "La mia navicella ora nuota lontano"... comunque non preoccuparti, c’è tempo…

G. Tu sei un artista?

T. Certo che sono un artista!...e tu… tu… sei un artista?

G. No, io non sono un artista, sono un "sacerdote dell’inutile" (6).

T. Sacerdote dell’inutile!...cioè artista!… (cantilena tenorile) ho! men ho! men (ride) …vieni qui compare celeste...

G. Sfotti, sfotti ...io...sono caro agli Dei.… "Ciò che è veramente meraviglioso non può essere utile", ecco…questo dicevano gli antichi filosofi Greci. Dovrai proprio farmi capire come fai a far resistere la gente alla rappresentazione delle tue opere.

T. Per esempio reinserendo nella composizione due fondamentali valori dell'arte, cancellati…

G. Dagli antichi?

T. No, dal moderno: la narratività e l'espressività.

G. Riprendi a raccontare storie?

T. Sì, ma non è il raccontare che tu conosci, è un narrare in maniera diversa, particolare… vedrai.

Le finalità comunicative, che mi ripromettevo di cercare non potevano prescindere dal reinserimento di queste due fondamentali ed ineliminabili componenti. Lavorando sull'espressività, ho visto che, con le tecniche che usavo, non solo mi era possibile sfuggire a quelle caratteristiche fastidiose tipicamente espressioniste, ma l'espressività appariva in una veste sempre nuova fra i due linguaggi.

G.Quali?

T. Fra il linguaggio teatrale e musicale si creava una vasta gamma di "azioni e reazioni emotive" imprevedibili (canoni emotivi), le quali si integravano ora rincorrendosi ora sovrapponendosi.

 

(T. colpisce con forza G. sulla guancia, quest’ultimo di rimando gli vibra un pugno, che però T. riesce a schivare)

G. Sei ammattito?

T. Scusa non volevo farti del male, volevo solo darti un esempio pratico dei canoni emotivi.

Gli atteggiamenti emotivi, sempre variabili, sono determinati anche dalla particolare tecnica vocale che ho chiamato recitato timbrico. Ne riparleremo.

Incoraggiato da questi risultati, ho poi lavorato sulla narratività, inserendo nell'opera le onomatopee e addirittura la tautologia.

G. (Ironicamente spaventato) No, la tautologia no!…

T. Vedi di smetterla…

G. No, no…no questa volta hai proprio esagerato… (si alza di scatto)

T. Ho lavorato, insomma, su cose che il pensiero forte del moderno non poteva accettare.

G. (calmandosi) Hai messo in pratica un tipo di scrittura post-moderna, quindi…

T. Non lo so. L'interpretazione del post-modern da parte di molti artisti, è di convenienza.

G. Parli di quelli che scrivono opere "pattumiera"?

T. Si, credo che il pensiero debole avanzato dalla nuova estetica filosofica(7) non vuole spingere all'abbandono della sperimentazione: non è un etichetta filosofica che può legittimare artisti…

G. Affaristi.

T. Introdurre di tutto nella propria opera (melodie popolari, generi musicali e teatrali diversi) può essere efficace, ma ci porta inevitabilmente fuori strada.

G. Perché?

T. Come ti spiegherò più volte, non volevo rinunciare all’evoluzione del linguaggio musicale e teatrale, giocando con la citazione, snaturando e rinnegando così quello che i Maestri hanno conquistato, spesso, con enorme sacrificio.

G. Solo sacrifici?

T. No anche tragedie. Per tutti ti cito quella di Franco Donatoni. E’ noto negli ambienti musicali che il maestro, nel bel mezzo di una crisi creativa, si sparò in testa.

G. Madonna!… Morì?

T. No, per fortuna, si salvò per miracolo.

G. Il citazionismo, allora, è un affare che puzza un po’ di morte?

T. La fusione al posto della citazione, ecco quello che mi ripromettevo di fare.

 

 

(Dimenticavo. Essendo G. di temperamento irrequieto, nel seguire il tumulto dei suoi pensieri, interrompe spesso sia se stesso sia T. in maniera repentina)

G. Provare di tutto, "nell’aria illimpidita, quando già sulla terra stilla della rugiada la consolazione". Ricordi? Allora, ricordi?... cuore ardente...so...

T. Che potresti diventare anche puzzolente... (ride, poi stanno zitti entrambi)

G. L’acqua putrida arriva alle ginocchia: è una sensazione in concomitanza all’ultima giornata di fresco pungente...facciamo i nostri esercizi?

T. Aspetta…pazienza …continuiamo con la teoria… inizieremo gli esercizi quando sarà il momento…

G. Pazienza? La pazienza è una fragile signorina che ha bisogno di tranquillità, di serenità per prosperare… per amare… Uthste potrebbe essere il titolo della nostra opera, ti piace?

T. Sì, è orecchiabile… e…che significa? ..

G. Uthste è il nome di Ulisse in Etrusco…ma… quanto ci costerebbe il nostro progetto?…

T. Poco. I costi alti vanno evitati: l’eccessivo condizionamento economico distrugge la sperimentazione e non permette la divulgazione dell’arte, generando così sempre più opere morte.

La povertà di questo teatro mi permette anche di evitare la condizione di attesa: autosufficienza è la parola chiave.

G. Quando smettiamo di attendere inizia veramente l’esperienza.

T. La realtà che passa attraverso l’immagine si contrappone alla vera realtà, che consiste nell’esperienza concreta, diretta.

G. Hai ragione, è vero. Anch’io sono convinto che…

T. …che siamo bombardati da un’informazione unilaterale ed esasperata: informazioni simultanee, che procedono inesorabilmente e rendono inattiva la persona, annullandone la soggettività.

G. Come la filosofia del Nichi…

T. In questa maniera il potente e abbietto essere può dominare indisturbato.

G. Servendosi dell’attesa?

T. L’attesa impigrisce. Il virtuale, la televisione, sono prodotti che favoriscono l’impigrimento. Il teatro - se costa poco - può essere fatto da tutti e può aiutare anche a combattere la pigrizia che i prodotti artistici costosi favoriscono.

G. Ho capito.Questo discorso però l’ho sentito in tante occasioni, molta gente parla come te…

T. L’opera senza canto può dare a tutti la possibilità di fare esperienza concreta del teatro. La tecnica del recitato e del canto timbrico (come ti spiegherò dettagliatamente dopo) è una tecnica che ognuno può adoperare con facilità e per suo tramite fare pratica di un teatro efficace ed espressivo…vedrai dopo com’è facile. Basta imitare con la voce qualche bottiglia di plastica o qualsiasi altro oggetto, che diventi subito un personaggio teatrale.

G. Dai, dammi subito qualche informazione in più sul recitato timbrico… non lasciarmi sulle spine.

T. (con reticenza) Il recitato timbrico è un indagine dell’aspetto fonetico del testo che, nascendo come esigenza evolutiva della vocalità, si presenta anche come efficace mezzo comunicativo: ossia una vocalità naturale che la gente riconosce come propria.

Ed è per questo motivo che ho dovuto sviluppare una materialità vocale che fosse fortemente evocativa, arcaica, archetipica.

La convergenza di due mondi opposti, quello della ricerca sperimentale – non facilmente accessibile - e quello comunicativo - che crea un’apertura dell’arte alla vita - mi è diventata, così, possibile.

G. Apertura dell’arte alla vita!…Si, sono d’accordo… sono mutante, astante, ma…astratto e distratto…

T. Che sei distratto l’ho notato, vuoi ascoltare o no?

G. Continuano a scaraventarli in acqua con ritmi forsennati…arriva lui, bianco, triste, smunto…esaurito nella soffocante tendopoli … ha paura …abbiamo tutti paura!

T. Ma lascia perdere il panico, (dice mentre continua scrivere), è mistico, misterioso...

G. Alture infinite... paure...uomini impietriti...

T. Inghiottiti dai flutti…

G. La paura non dà frutti…

T. E’ vero…

G. "Ci siamo impoveriti troppo ormai"… (rivolgendosi a T.) …sei tu che parli di tecnica come mezzo spirituale assoluto?

T. Quasi, i miei scritti sono essenzialmente centrati sulla tecnica. E’ la tecnica che assicura una possibilità evolutiva del nostro lavoro, permettendoci anche di trovare la forza di proporre manufatti artistici coraggiosi.

G. La tecnica, quindi, è un mezzo potente?

T. Certamente.

G. Io però ho sempre pensato alla tecnica come a qualcosa di "freddo"…

T. Non è per niente "fredda". Non pensare che coloro i quali sono impegnati in processi tecnici trascurano "l’anima"; al contrario sono proprio le spinte interiori che inducono gli artisti (quelli "veri") a trovare strategie tecniche. Sono le tecniche a dare "voce e suono" alla nostra ormai "incontentabile anima". Ed è sempre la tecnica - ovvero un lavoro serio sui linguaggi - che ci permetterà di uscire dal silenzio nel quale si è rifugiata "l’arte autentica", relegata in quel luogo dal mondo del consenso manipolato(8). Bisogna che gli artisti ritrovino la forza di osare, affinché possano riappropriarsi della propria libertà creativa.

G. Sei un allarmista!

T. Tutti noi - credo - abbiamo bisogno di un allarme, perché così come siamo, presi dalle nostre paure, un allarme disgraziato ci può sempre servire.

G. Perché allarme disgraziato, non dirmi che vuoi prendere un extracomunitario come quelli (indicando un gruppo di tunisini che chiacchieravano tra loro) con la qualifica di allarmatore e piazzarlo davanti alla porta di casa?

T. No… no …è meglio usare la tecnologia.

 

(G. avvicinandosi all’orecchio di T. farfuglia qualcosa che quest’ultimo non capisce e risponde a modo suo)

T. Ma cosa dici, solo un filologo medio come te può pensare una cosa del genere.

G. Un filologo. E chi è un filologo?…è uno specialista di fili, per caso? (ride)

Perché non lo consultiamo e ci facciamo consigliare quali siano i fili migliori, i più resistenti per legare la nostra inaffidabile imbarcazione?

T. La matassa è stata smatassata…

G. Non c’è più filo per noi…

T. Il gomitolo è teso.

G. (Intanto trascina con il piede destro sotto il sedile la borsa del passeggero che gli era seduto accanto)

T. Fermo, che fai?

G. E’ meglio arraffare qualcosa da portare agli Dei. Domani, al nostro arrivo, potremmo farci vedere così come siamo, senza vergognarci del nostro stato nervoso/ansioso ...con tutta la nostra intelligenza, che potrebbe darci una mano...ehi! ehi! Attenzione! (fingendo di gridare al comandante del traghetto) Evitiamo le isole, ogni isola significa soltanto un altro incubo... quanti girovaghi…

G. Dovresti pensare un po’ più alla vita…

T. Credi che non lo faccia?…Anch’io credo che la riflessione artistica non possa prescindere da questo importante proposito, per questo volevo mettere a punto un linguaggio teatrale come luogo di mediazione di un’esperienza efficace della vita, ci penso soprattutto da un punto di vista più generale; "vita è sempre, ad ogni livello, "creazione, innovazione, imprevedibilità"" (9).

A proposito, consentimi un chiarimento terminologico: utilizzerò le parole "natura" e "vita" come equivalenti. L'arte dovrebbe seguire un percorso parallelo alla natura, evitando di staccarsi da lei.

G. Come si traduce ciò in concreto?

T. Ad esempio, osservando la ritmica delle formiche…

G. Solo delle formiche?

T. (Notando la continua ironia di G.) Anche di insettini come te e di altri animali…

G. La vita è ritmo…balliamo?

T. Perché?

G. Mi và. (saltando su di una panchina di legno, danza come un ubriaco) Questo è un buon piano per danzare… virtù... alè... quantiglia! Gira e rigira, pelo e contro pelo, alza una gamba e poi un’altra, giù botte con la cintura di coccodrillo arzillo: era un vero spasso a quei tempi... vi era anche la valle: i sospiri dell’amore a vicenda… (prende T. per mano e lo costringe a danzare con lui, sotto lo sguardo divertito degli altri passeggeri).

Ma, ma… senza malizia, ognuno pensava a se stesso, uh! ah! che sesso... "primavera, danza, musica, in tutto c’è gara di esso".

T. I contorni del vino svanivano subito... e le forme erano sole nella nostra testa (ritornano a sedere senza fiato).

Dimmi, perché il silenzio è senza forma e non è come l’immaginazione? Chi può disturbare le nostre capacità di pescaggio nelle ossessioni?

G. Non ti rispondo perché tutto dipende dal referente...

T. Il mio nome è Mente...

G. (Rapidamente) Tu menti sul nostro bisogno di elementi… (osservando un’anziana signora che prende il sole in topless) ...seni secchi…al sole... abbandonati... la testa gira sempre su se stessa: è una grande imbrogliona… (poi rivolgendosi a T.) maneggi e rimaneggi quei fogli, ma….perché scrivi sempre? (arrabbiandosi) Vuoi annullare tutta questa cazzo di serietà!

T. (cantando) Nullità non ti voglio perrrrdeeeere qua, liiiibeeeertà, esperienza della nostra età. (serio) I leggii sono un, ossessione… comunque scrivo per passatempo e per evitare di produrre opere… la produttività è come un mostro a più teste.

G. Scilla…chi credi che potrà leggere i tuoi scritti?

T. Non lo so… per il momento quello che scrivo serve a noi, poi vedremo.

T. Tu che sei un attore professionista, sai dirmi almeno cosa dice Artaud nel suo manifesto "Il teatro e il suo doppio" (10)?

G. Che domande mi fai. Nel mondo del teatro, tutti sanno quello che Artaud ha detto. Che senso ha ripeterle ancora?

T. Sì, ma ti prego, dimmi almeno le cose fondamentali, quelle che interessano a noi per meglio illustrare il nostro percorso teatrale.

G. Ehm… mm.. -bisogna oltrepassare l’atto quotidiano -evitare la rappresentazione eeh.. -le persone vanno sostituite con delle creature teatrali…

T. Continua.

G. Bisogna pensare l’attore come teatro -il teatro deve essere luogo della distruzione dell’imitazione: evitare la dizione…

T. La parola viene prima delle parole

G. Mettere al bando la scrittura razionale e discorsiva, in modo che la parola, acquistando l’indecifrabilità del gesto, crei un simulacro fonico…

T. Gli attori non sanno più gridare, non sanno fare altro che parlare… bravo!

T. Forse anche Carmelo Bene ha cercato una sorta di teatro primario, inserendo nel suo lavoro alcune importanti innovazioni, che nascono dal suo avvicinamento al teatro e al canto lirico. Tuttavia, penso che gli sia preclusa l’effettiva compenetrazione con quest’ultimo.

G. Per quale motivo?

T. Il teatro musicale è fortemente specialistico e non è facile entrarci, a meno che non si conoscano a fondo i parametri musicali, per questo egli prende solo suggestioni dal teatro lirico

G. Cosa vuoi dire? …spiegati.

T. L’avvicinamento al teatro musicale gli ha permesso di creare un teatro personalissimo, tralasciando l’effettiva fusione dei due generi

G. Ed è a questo punto che intervieni tu, vero?

T. Con umiltà, s’intende...

Ho posto in relazione ai miei precedenti esperimenti sul teatro musicale (opera senza canto) alcune caratteristiche fondanti del teatro di prosa di Carmelo Bene nel tentativo di raggiungere la compenetrazione tra i due linguaggi.

Vuoi sapere quali tematiche della ricerca beniana mi hanno maggiormente interessato?

G. Avanti, ma non metterti ad elencare. Gli elenchi non li sopporto.

T. Che ignorante! Non sai che gli "elenchi" si possono anche recitare?

G. Chi dice questo?

T. Carmelo Bene.

G. Se l’ha detto lui, va proprio bene.

T. La scena dell'assenza -il cantare originario -le macchine del suono -la musica del caos -la musica come fondamento dell'arte teatrale -l'opera invertita -la gestualità assorbita dalla voce.

G. Finito l’elenco?… Che faccio, recito?

T. Comincio dalla scena dell’assenza: "La scena dell'assenza nel teatro di Bene è predisposta ad accogliere la voce e il suono come suoi naturali abitanti" (11). Quindi la voce e il suono-rumore si sostituiscono allo spettacolo.

G. Eccoti nel tuo territorio!

T. Yes… La "voce", diventando – quindi – protagonista, doveva essere assolutamente potenziata in tutte le sue possibilità.

G. Ed ecco che compare il recitato timbrico!…

T. …che è una "vocalità strumentale".

G. Cioè un "simulacro fonico"!

T. Multitimbrico! non monotimbrico come la voce (nobilissima) di Bene.

Il cantare originario (12), invece, rappresenta la spinta ulteriore per la nostra vocalità.

G. Sentiamo…

T. Rrrrourr! … Ssssouv… Abbab…tz …tztz…aaah!

G. E per te questo sarebbe la spinta ulteriore per il cantare originario?…A me sembra più la messa in moto di…

T. …una moto... Il canto è il risultato dell'intonazione di suoni puri ed è in continuo movimento intervallare; la recitazione, al contrario, non intona suoni puri e si muove pochissimo negli spazi intervallari.

Per amore di chiarezza possiamo affermare che la vocalità di Bene non è un cantare originario e neppure un canto (infatti non intona suoni puri), ma una nobile recitazione, perché come avviene nel recitato egli sfugge i fonemi (anche se a volte indugia su quest’ultimi per avere maggiore sonorità). E’ nobile perché deriva direttamente dalla nobiltà del canto lirico. Mentre la vocalità timbrica …

G. E’ cantare (e recitare) originario.

T. Sì, data l’estrazione di stranissime e ancestrali sonorità dagli oggetti. La voce perde i caratteri umani della vocalità ed è difficile capire da quale creatura giunga: se chiudi gli occhi e non conosci la fonte sonora, puoi confondere facilmente la voce umana -trasformata dagli oggetti - con il timbro di un animale, di uno strumento o di qualcos’altro.

G. La vocalità delle creature che Artaud desiderava, insomma…

T. Sporca, rumorale, piena di rimandi extraquotidiani.

G. Originaria.

T. Chiaro?

G. Chiaro.

T. Riguardo all’opera invertita (13).

G. Giacché dice?

T. No, scrive: "quasi sempre il teatro di Bene funziona come un’opera invertita, con stacchi musicali che non fanno da sottofondo ma che invece sfondano le parole e le trasformano in note, e, dall’altra, con battute recitate che - da qualunque testo provengano - si distendono fin dal principio almeno in versi e diventano alla fin fine per lo meno dei suoni. Ma si tratta di molto di più"…

G. Dice giacché?

T. "Giacchè, dicevo, quei versi e quei suoni non azzerano ma esaltano il senso".

Tuttavia, chiunque assistesse ad un’opera di Bene, si renderebbe ben presto conto che in realtà la sua voce, essendo in primo piano e quasi mai in fusione con la musica, non sfonda, né trasforma in note le parole, dando luogo ad una sorta di prospettiva fra la sua voce ed il suono celebrando, così, il trionfo dell’elemento vocale.

G. Beniano?

T. E di chi se no?

Per cui le teorie succitate non sono accettabili nel caso del teatro di Bene, mentre paiono disegnate per l’opera senza canto, ove la voce è sempre in fusione con il suono-rumore, anzi nasce da esso, come ho precedentemente spiegato. Ma passiamo ora all'esaltazione del senso.

G. Sì, dai… passiamo all’esaltazione dei sensi…

T. Non dei sensi, hai capito male, ma del senso.

G. Quale senso?

T. (ignorandolo) La politimbricità è un’alternanza immediata di colori (timbri) vocali: un testo non è mai monocolore. E’ risaputo, infatti, che un testo, poetico o letterario, nel suo scorrere ci richiama timbri o immagini sempre diverse; quindi la vocalità timbrica, nei suoi repentini cambiamenti, favorisce un rapporto unitario col testo, esaltandone maggiormente il senso.

G. Sì, del senso, del senso…

T. Al contrario, la vocalità monotimbrica, essendo in contrastro con la politimbricità naturale delle parole, soffoca il testo anziché esaltarlo.

G. Puoi farmi un esempio di politimbricità vocale?

T. Ascolta: (canta) "U", che timbro ha, scuro o chiaro?

G. Scuro.

T. … e la "I", è chiara o scura?

G. Chiara.

T. Vogliamo passare alle consonanti?

G. No, va bene così.

T. Adesso veniamo all’altro punto della scena dell’assenza, cioè quello che riguarda il suono/rumore.

G. Non dimenticare la tua provenienza…

T. Infatti, è proprio perché considero la mia provenienza dal mondo musicale, che il suono-rumore oggettistico diviene immediatamente – insieme alla vocalità timbrica - il protagonista dell’opera senza canto.

Gli oggetti del "visibile" diventano oggetti dell’"udibile", in continuo dialogo con la voce: "Bene in S.A.D.E. usa dapprima una banda militare, nelle opere successive inserisce l’amplificazione sonora". L’opera senza canto, insieme all’amplificazione, oggi ormai indispensabile, utilizza una macchinistica strumentale inserita sulla scena come installazione sonora; i suoni-rumori come sorta di suggeritori di vocalità.

G. Fantasioso!… I suoni/rumori come suggeritori di vocalità… come funziona?

T. Semplicemente ispirando all’attore timbri vocali sempre diversi che danno origine a "creature teatrali indefinite"; in "S.A.D.E.", nonostante la presenza della banda, Bene si serve di un caos musicale come "fondale della sregolatezza".

G. Avanti, accelera!… e tu che dici in proposito?

T. Dico che le simbologie caotiche non si possono più accettare perché la sintassi dei linguaggi contemporanei è già di per sé sregolata e caotica, e non credo che abbiano ulteriore bisogno di sregolatezza, ma soprattutto di chiarezza, particolarmente quando si vogliono porre in relazione due generi differenti. Vorrei, però, tralasciare ogni nota polemica.

G. Fai bene, non ti conviene entrare in polemica con Bene, ti sconfiggerebbe immediatamente.

T. Lascia stare, in seguito ti racconterò della mia urlata telefonica con lui.

G. Vai, raccontami, non resisto…

T. Pazienta… "…nella pratica d’attore, la musica non si raggiunge per niente al termine di un processo evolutivo, ma si deve accettare e accertare come un fondamento dell’arte teatrale (…) in altri termini, è da sempre e per sempre che il teatro è (in) musica" (14).

G. Accelera ancora…

T. Se si vuole adoperare la musica come "fondante" del teatro, i suoi ritmi e i suoi timbri vanno pensati come "drammaturgie".

G. E…la musica d’arte contemporanea è predisposta a questo?

T. E’ perfetta. Comunque, fino a quando si tratta di usare arie e canzonette, come fanno Bene, Ovadia ed altri (come cioè succede ormai in moltissimi spettacoli del tetro di prosa contemporaneo), la musica può essere trattata con superficialità. Ma quando ci rendiamo conto della sua potenza drammaturgica, allora bisogna applicarne i parametri con consapevolezza.

G. Ora rallenta…mi vuoi raccontare della telefonata o no?

T. No. E per concludere…

G. Giacc…

T. No, scrive: "La voce è medium tra il corpo dell’attore e lo sguardo dello spettatore, voce eidetica, che assume in sé, oltre ai significati e ai significanti, anche il più vasto repertorio della gestualità" (15).

T. Sei mancino?

G. No, non sono mancino.

T. Allora è meglio usare la mano destra: è più comodo.

G. Per fare cosa?

T. Per dirigere l’orchestra. Nell’opera senza canto, invece, la gestualità - oltre che dalla voce - è assorbita anche dall’oggetto dell'udibile. Essa è sempre consequenziale ad un’emissione sonora-rumorale: la mano tocca l’oggetto, l’oggetto suggerisce il suono/rumore, il viso e le labbra assumono varie posizioni, creando delle maschere. Ma di tutto questo parleremo ancora lungo il nostro viaggio.

G. … (guardando T. con insistenza)

T. Che c’è?

  1. Attendo…

T. Cosa?

G. La storiella telefonica.

T. … (silenzioso) Siamo arrivati…

G. Finalmente!…ma, come raggiungeremo il teatro di Kanikos?

T. Non lo so, aspettiamo, forse qualcuno viene a prenderci…ah! ecco, li c’è il furgoncino del teatro…lo vedi?

G. No…

T. Vedi c’è scritto "Teatro Kanikos".

G. Sì, ora l’ho visto …ah! è quello tutto colorato che si regge appena sulle ruote… sembra più il furgoncino di un circo equestre che di un teatro…

 

 

(Entrano nel furgoncino non ricevendo dall’autista nessuna attenzione. Dopo un’ora circa di viaggio arrivano in un posto isolato in aperta campagna, entrano in una specie di teatro e al centro di una grande sala osservano quattro ragazze seminude, che danzano silenziose intorno ad una testa di argilla infilata in un’asta da tamburo. Le ragazze ingoiano i loro sbuffi e trattengono persino il respiro per evitare di interrompere il silenzio assoluto che regna il quel luogo. Poco distante dalle ragazze sono seduti, immobili, due attori e un’attrice che assistono con lo sguardo fisso alla prova. Nessuno della compagnia presta attenzione ai due visitatori.

Dopo un po’ di tempo sono avvicinati da uno degli attori, che li spinge con violenza in un angusto e sporco angolo della sala, dicendo loro di non muoversi di lì per nessuna ragione. T. gli chiede di poter vedere il regista, ma l’attore gli risponde che nessuno sa dove sia. Dopo una intera giornata, senza che Kanikos si sia fatto vivo, guardando - ormai angosciati - lo spettacolo assurdamente ripetitivo delle quattro ragazze, T. riprende il suo racconto teorico.

 

T. L’opera senza canto è la fusione del teatro musicale con quello di prosa.

G. Questo l’hai già detto…

T. Uh! è vero, ma meglio che lo ripeta, non si sa mai con te… Questa fusione è possibile se si fanno interagire i parametri principali del linguaggio musicale con quelli del linguaggio teatrale…

G. Anche questo è stato detto…

T. Sì, ma taci. Tale interazione sviluppa un terzo parametro che li prevede entrambi. Quest’ultimo, raccogliendo due diversi linguaggi, si trova a doversi destreggiare nel tentativo di "accordare" le caratteristiche proprie dei singoli linguaggi con l’evidente astrattismo e l’instabilità ritmica/fraseologica che queste arti hanno raggiunto.

G. Mi pare di capire che, volendo creare dei lavori in cui più generi artistici si incontrano, l’unica possibilità per un "chiaro dialogo" è quella di farli confluire entrambi su di un unico piano.

T. Esatto, in caso contrario, si coglie solo una gran confusione.

G. (pestando i piedi a T.) Questo piano è proprio adatto per danzare…

T. Ahi!… smettila!…

G. humm!..ma quando arriva il regista?

T. Non so, aspettiamo… vedrai che arriverà…

 

(guardando e ascoltando l’attore e l’attrice che nel frattempo anno iniziato la prova. )

 

Attore 1- (con durezza) Qu tazio un!

 

Attrice (esasperata) Miti vano o al uncia.

 

Attore1 - De arte? (guardando G.)

Attrice - La si one… speri… mato,

 

Attore 1- E la nece …filo

 

Attrice (debolmente) Ener muni.

 

Attore 1 (balbettando) Blico… doppi… orso di avo…pri o perc eva parame

 

Attrice - Musi e tea?

 

Attore 1- (con occhi sbarrati) Il in… consi in …rifle su poibi.

 

G .Cosa dicono questi? non si capisce niente…

T. Sei tu che non capisci, stanno solo provando. Lo sai che quando si prova è facile, per chi assiste, perdere il filo del discorso…

 

 

Attrice – (Sottomessa) Di un aesperi teva …esse i alche

 

Attore1 – (sempre con fare violento cerca qualcosa in una cassa grigia) mani om da ente. ..percor voro sud fu applo

 

Attrice - Medea rim ope oper secano… (triste) andio pato aiamin …

 

Attore 1 - Ai gre o i duila …den li avia enema doan… mocao! (guardando G. sempre con più insistenza)

Attrice - Ove?

 

Attore 1- Adio in posur

 

Attrice (indietreggiando) Aco ma patuo un cia

 

Attore 1- Amno reiato tibe?

 

Attrice - Aeto eiato timrio voi emimo… aco ha natalui labor …aori ove oi anvi ere… (fugge via)

 

G. Mamma mia! Vedi come mi guarda quello...

T. Chi?

G. Quell’attore, forse diamo fastidio… comunque la storia di questo spettacolo non la capisco...

T. Non la capisci perché non è una storia. E’ l’incipit di tante storie!..

G. L’inci...

T. L’incipit pit pit. Dimmi, quante volte te l’ho spiegato? L’incipit è l’inizio di una parola, di una frase, ma anche l’inizio di tante storie. Nel 2000, bisogna per forza fare un teatro dell’incipit…un teatro composto da frammentini di storia e iniziare da loro ..

G. Da chi?

T. Dai greci; poi nel 2001 bisognerà attendere, non fare nulla: bisogna cioè far ripartire la storia - sempre che riparta, oggi le cose nascono e si dissolvono giorno dopo giorno - e nel 2002 si potrà fare uno spettacolo con un frammentino di storia… raccontare la storia di un solo anno di vita del nuovo millennio…

G. Un frammentino di storia?

T. Sì, con un frammentino di storia, si potrà fare un teatro di due attimi così: ta-pum finito!

G. Solo?

T. Si, ta-pum, basta, finito!…

G. Ma che dici! va, va (ride) ta-pum … teatro del 2002 … ta-pum… frammentini-ini-ini di storia (gioca col naso di T.). Nel 2003 ta-pum-ta…. nel 2004, ta-pum-ta-pum…hi hi hi …e…nel 2005

ta-pu-ta-pu-pa… ma va la..va la… con le tue stupide teorie…

T. Non ti ho sentito e proseguo. In passato il piano unico di percezione era naturale, spontaneo, mentre oggi è fortemente compromesso dalla rottura dei rapporti simmetrici. Nel rapporto univoco di generi non si può più parlare di musica e teatro o musica e danza, ma di un linguaggio unico, potenziato dalla fusione dei loro parametri.

Quando ad un gesto o ad un recitato con ritmo irregolare si applica un ritmo musicale regolare si lavora su due piani differenti: da una parte avremo un’attrazione per la musica, mentre dall’altra per il gesto o il recitato. Solo raramente si assisterà ad un potenziamento dei linguaggi.

G. La contemporaneità teatrale e musicale in quale direzione si è mossa?

T. Si è mossa in direzione dell’esasperazione dei contrasti, tenendo poco conto della chiarezza percettiva.

G. Questo è stato l’errore?

T. Credo di sì.

G. Questa esasperazione è servita almeno a qualcosa?

T. Beh, sì, ha dato nuove possibilità evolutive ai linguaggi; ora bisognerebbe conservare tali conquiste evitando di ritornare indietro ad esempio scrivendo ritmi prevedibili, melodie ed armonie sorpassate oppure trascurando la straordinaria evoluzione del timbro ...

 

G. Basta con questi racconti teorici …forza, facciamo qualche esercizio di recitazione sui miei testi…

T. Aspetta, aspetta, l’esperienza verrà, questo Uthste… è lì che aspetta la sua crocifissione; non è come quell’altro - quello di Dublino - che gira ogni ora da ogni parte sempre in luoghi diversi.

G. Ma sono pur sempre gli stessi... diversa è l’ora diverse sono le emozioni... (T. entra in depressione senza motivo e G. lo sfotte recitando e rumoreggiando con dei barattoli che trova a lato della loro puzzolente dimora) …pianti senza morti veritieri, or tornerai o pesantezza... "di te fai sacrificio" - in un opificio -

T. Ti prego non mi sfottere, non vedi che soffro? ah, maledetto rumore...smettila! …

G. Troppi sforzi... povero marito imbecille affaticato... (continuando a giocare, percuotendo un barattolo e cantando) …poi, se lei è triste, l’accopperà uli, uli, uli,uli àh ...l’accopperà...che marito stupendo che sarebbe...senza quelle orribili mutande che gli bloccano il …

T. Sempre mancanza di serietà, non vedi che sto costruendo...dammi tempo…

G. (Continuando a cantare) Costruisci, costruisci, isci isci, a, l’accopperà...

T. Con la speranza di convincerti sulla bontà della mia ricerca, ti racconterò dei miei incontri con eccellenti artisti e delle più significative esperienze, in campo teatrale e musicale, che hanno in qualche modo stimolato le mie ricerche. Questi racconti testimoniano, inoltre, che le teorie che vado illustrandoti non sono messe a caso, ma sono frutto di attività concrete, i cui esiti sono stati più volte messi al vaglio.

G . E chi ti contesta le tue amate teorie?

T. Anni fa, assistendo ai "Canti Marini" di Virgilio Sieni, eseguiti a Pisa nella versione con musiche di Bach, provai una forte difficoltà di percezione: seguivo a volte la musica, a volte la danza, ero insomma confuso; in questo lavoro i due piani erano nettamente distinti. Mi trovavo di fronte ad una musica fluida con ritmo lineare, contro un movimento danzato, spigoloso, ritmicamente imprevedibile, a velocità contrastante. Lo spettacolo risultava fastidioso. Ero sempre sul punto di andarmene.

G. Immagina che bello?

T. Che bello cosa?

G. Se te ne fossi andato… (cantando) meno tedio per me…

T. In quell’occasione mi venne in mente che lavorare su due linguaggi in piena antitesi è un errore. In seguito Sieni mi ha confessato la sua necessità di creare piani contrastanti, metodo a mio parere non necessario, perché l’imprevedibilità ritmica della sua danza si poneva a priori in maniera conflittuale con la musica.

G. Tornando a casa ti mettesti subito all’opera, vero?

T. Naturalmente. Avviai uno studio sulle possibilità relazionali tra musica e teatro che in seguito inviai a Sieni; in questo studio mostravo un possibile modo di affermare una relazione efficace fra le due parti mediante lo sviluppo di alcune tecniche raccolte nel piano unico di percezione.

Le difficoltà insite nell’opera su accennata si riproponevano in "Canti Marini 5"…

G. Lavoro che Sieni ha poi allestito sulla tua musica.

T. Esatto. Questa volta però egli doveva destreggiarsi non più con una musica fluida, ritmicamente stabile, come quella di Bach, ma con una percussiva, spigolosa, come la sua danza.

G. (fingendosi dispiaciuto) Povero artista! Non doveva essere certo facile combattere con due linguaggi molto simili…( fra sé)… incasinati…

T. Entrambi non facilmente inquadrabili dalla sensibilità di un pubblico poco avvezzo a questo genere di cose.

G. Immagino che il lavoro risultasse non poco ostico.

T. Infatti, ma solo all’inizio. Pian piano, però, Sieni - dopo varie mie insistenze- si convinse. Ben presto mi accorsi che egli cercava di creare una relazione – per niente facile - tra suoi gesti ritmici e la mia musica; a questo punto tutto cominciava a prendere forma.

G. E… come va a finire?

T. Quando, infine, il lavoro fu presentato a Lisbona, capii che aveva ormai lavorato totalmente nella direzione da me auspicata. In quell'occasione vidi che l’obiettivo piano unico di percezione era stato in gran parte raggiunto.

G. Con tua completa soddisfazione…

T. Sempre geloso dei miei successi vero?

G. Io geloso? Povero stupido…

T. Il 12 di febbraio 2000 Sieni rappresentava al teatro Kismet OperA di Bari i suoi "Canti Marini" su musiche di Bach (gli stessi eseguiti a Pisa): il cambiamento era evidente. L’obiettivo che da tempo perseguivo era stato pienamente raggiunto, poiché egli aveva messo in pratica quello che inizialmente più lo spaventava: danzare alla stessa velocità metronomica della musica.

G. Un rigido strisciare…

T. A Bari la conflittualità presente durante l’esecuzione di Pisa era scomparsa.

Anche in questa occasione, grazie al piano unico di percezione, si è potuto stabilire un "perfetto dialogo" tra due linguaggi molto diversi. La danza di Sieni ne è uscita rinforzata, tanto che il pubblico ha applaudito con convinzione e per lungo tempo. All’inizio della nostra collaborazione inviai al coreografo fiorentino degli appunti riguardanti l’opportunità di inserire nel lavoro che stavamo avviando anche il suono/rumore proveniente spontaneamente dal corpo del danzatore.

G. Figuriamoci se ti accontentavi…

T. Definii questa mia riflessione poliritmia del gesto sonoro. I miei appunti iniziavano con un libero adattamento di un pensiero di Artaud (cit.).

"Suoni, rumori preziosi che sprigionano come allo stato naturale, piogge, fruscii di vento, movimenti ritmici inarticolati di formiche ed altri insetti, di piante etc., la confusione dello spirito è inevitabile. I gesti dei danzatori hanno lo stesso carattere dei suoni-rumori; vi è una tale fusione che le proprietà della danza sono attribuibili a quelle della musica".

Scrissi a Sieni: "Il danzatore reprime la parte sonora - rumorale di sé; spesso è costretto ad ingoiare i propri sbuffi, sospiri, urli, si avverte una sensazione di soffocamento".

G. Come queste quattro ragazze greche, a volte ho la sensazione che stiano per scoppiare…

T. Per questo ritengo necessario…

G. (sottovoce)… strisciare sulle onde sottili…

T. …che il danzatore sprigioni liberamente la sua selvaggia intimità (elargisce una gomitata alle costole di G.)

G. Certo, certo…la selvaggia intimità…

T. In questo modo egli potrebbe creare una poliritmia rumorale/gestuale efficace e di grande forza espressiva; possiamo immaginare, inoltre, quello che succederebbe con l’inserimento della musica, pensata come ripresa e rimandi dei suoni e dei ritmi della danza.

 

(G. si prende la testa fra le mani e assume un atteggiamento da disperato)

T. Che ti succede?

G. Niente, penso…

T. Da solo? In privato?

G. Perché? Si pensa in compagnia?

T. (Urlando) Ti proibisco…

G. Eh… eh eh, caro uomo oscuro…proibisci, proibisci pure…

T. Il coreografo accettò subito la novità da me proposta; all’inizio sperimentò su di sé le possibilità espressive e tecniche, poi le trasferì ai suoi danzatori. Quando lo incontrai a Bari mi confidò che ormai nei suoi lavori introduceva spesso sia il piano unico di percezione che la poliritmia del gesto sonoro.

G . Che noia ..sei un pedant e un dentecadent

T. Dentecadent ?

A. Sì, proprio così.

G. Sono stanco e vado a fare la pipì...

T. Fermati… dove vai, non ti ricordi quello che ha detto l’attore?

G. (Cantando e disegnando delle immagini sul polveroso pavimento con la sua urina) Distruggiamo il linguaggio… dello scarafaggio… ma con le immagini del Caravaggio.

T. Ma smettila con queste stupide rime….

G. Sì…sì, sì.. distruggiamo il... (canta ancora ma con più poesia) … distese foreste immani... pro/fionde -Pro/fionde?… (guardando T.) Non è che fai parte dell’associazione dei fiondisti, dei tiratori di fionde?

T. Ma per favore ...

G. Distese foreste immani... in mani ....le mie mani leggere leggere... (infila la mano nella tasca di T e ruba qualcosa)...distese foreste immani…profonde… nelle alture dorate ma sfasciate da...dal... (G. non ricorda più il testo) …dal...dal...dal...

T. (gridando) Dadà...dadà...da...dadà... dal creativo odio della vita ...

G. (recitar-cantando alla maniera antica) Ottocento, post-ini, trenta precedono gli altri novecento …con i loro berretti ed abiti tutti colorati… avanzano gridando…. vogliamo cambiare le vostre vite… vogliamo piantare la radica artistica… colorare dentro la terra…tutto daccapo.

T. Che croce!

G. Zitto. Non sono i tuoi personaggi concettuali. Questa è l’arte che pensa.

G. Impressionanti nei loro cubi con gli occhi sbarrati …ta ta suonano con le trombette… gli altri suonano con tubi e macinini a rotelle.. fu fu fu tu rmmm rmm… mettendo in moto le macchine veloci: la velocità è il loro dolce sogno… mentre gli astra… amano i loro atti… solitari…

T. (cercando di interromperlo) Sono i tratti benefici della comunione...

G. Speri la mente for-mi, piantando la radica… soli … inni votivi e trans con occhi bellissimi… aggressivi… sono forti e investiti di ideo e di pratiche annunciate… provavano sui banchi le radiche colorate e gli inni al mento… e… le cul era turato.

T. Incredibile… madre mia... cosa succederà? ... Non è possibile pensare di dover ordinare i battiti d’arte di questo cretino che canta in maniera così strampalata...

Ora ti parlerò della "durata" nel piano unico di percezione. Secondo Gadamer (come per Hamann, Berenson, lo stesso Kant, da lui citati nel suo libro) (16) la percezione ha una propria significatività. Egli scrive: "…Là dove si tratta di un rappresentazione dotata di significato, per esempio nelle opere dell’arte figurativa, nella misura in cui non sia arte astratta, la connessione con un significato ha senza dubbio una funzione di guida per la lettura esercitata dalla visione. Solo quando "riconosciamo" ciò ch’è rappresentato possiamo "leggere" un quadro, anzi solo allora esso è realmente un quadro. Vedere significa articolare nei dettagli (…) Lo stesso accade per le arti della parola. Solo quando comprendiamo un testo - cioè, quando almeno conosciamo una lingua in cui è scritto – solo allora può essere per noi un’opera d’arte letteraria. Persino quando ascoltiamo la musica "pura", dobbiamo "capirla". E solo quando la comprendiamo, quando è per noi "chiara", essa è presente per noi come forma artistica…".

G. Considerando, quindi, che la "percezione coglie sempre un significato", quando ci troviamo in presenza di un oggetto artistico caotico, si crea una condizione di incertezza…

T. Vedi che cominci a capire? E’ come dice Gadamer un "tormento"del vedere e del sentire; noi ci sforziamo di chiarire quel significato, e solo quando ci saremo riusciti l’opera esisterà per noi, in caso contrario non entrerà, per così dire, nel nostro campo percettivo. Per "esistere", quindi, l’arte contemporanea necessita di chiarezza.

G. Il pudp potrebbe essere, dunque, un mezzo che consentirebbe di evitare il "tormento" dato dal rapporto caotico fra i generi?

T. Anche. Il pudp è un tentativo di creare unità e interindipendenza dei fenomeni artistici specie se posti in relazione con quelli naturali e con la nostra stessa vita. Man mano che fisici, filosofi ed altri ricercatori si inoltravano nei loro studi, davano al concetto di tempo e di durata sempre nuovi significati. Ancora oggi nelle varie definizioni (nel campo dell’arte, della fisica, della scienza, della filosofia e della teologia) assistiamo ad una sovrapposizione di questi due concetti e ciò crea non poca confusione per chi voglia applicarli in una qualsiasi disciplina.

G. Presuntuoso come sei avrai sicuramente dato al concetto di tempo una tua definizione, dico bene?

T. Ho scelto…

G. Eccoti…

T. Dovevo necessariamente interpretare a modo mio questo termine, non per presunzione come tu dici, ma per poter meglio illustrare il rapporto relazionale fra le arti e la vita, fra il teatro e la musica; nel tentativo di mostrare come la comunicazione non possa prescindere dalle necessità che il tempo ha nella nostra quotidiana esistenza:

 

Il tempo è la "successione" uniforme di un’infinità di istanti; la durata è la "misurazione" del tempo, finito ed infinito; con andamento indico le gradazioni del movimento (lentissimo/velocissimo) nel tempo.

L’andamento nel tempo è per noi un problema non trascurabile: è una questione tutta interna all’essere umano e riguarda i rapporti temporali che esistono fra il corpo e la mente, tra noi ed il mondo nel quale siamo immersi. Ti sarà sicuramente capitato di correre quando avevi paura e volevi dimenticare, viceversa di rallentare quando eri sereno e cercavi di ricordare.

G. Ora che ci penso, mi succede spesso.

T. Sono stati d’animo che si alternano continuamente in maniera confusa e ai quali raramente prestiamo attenzione.

G. (sorpreso) E’ vero!

T. Di queste cose voglio farti prendere coscienza. Assistiamo ad un tempo unico quando la mente e il corpo sono sincronizzati; quando, invece, le due parti hanno un andamento diverso, si creano delle segmentazioni temporali sfasate. Quasi sempre nella vita dell’uomo contemporaneo la mente corre - determinata da stati ansiosi - trascinandosi un corpo più lento. La scissione della mente dal corpo - a varie gradazioni - è presente anche nelle arti.

G. Davvero?

T. Dipende.

G. Da chi?

T. Dagli…

G. Esasperati?

T. Sì, dagli esasperati. Se un’opera non prevede "tempi unici" (ossia il piano unico di percezione), la gente avverte spontaneamente un "tempo doppio" e il contrasto che già vive in sé è rinforzato dall’opera alla quale sta assistendo. Il disagio è tale che il lavoro viene rifiutato e permette esclusivamente una forma di comunicazione negativa.

G. Forma di comunicazione? Sei un orgoglioso!... comunque conosco il rimedio... "io so cosa ci fa pro/fondi"...

T. Pro/fondi? Bene... bene, sei a favore dei fondi...e...dimmi...quali fondi, quelle delle bottiglie? Vero?...Sei un bacchiano...o un wagneriano...

G Lo so... lo so perché sei arrabbiato, vuoi l’espressivo?... Comunque ho capito… non è l’orgoglio, ma studi sull’ansia in generale...Li senti…Senti…

T. Cosa!

G. I tamburi scorreggianti

T. I tamburi scorreggianti! Ehi… ma … da dove? Arriva questa puzza… tamburi scorreggianti!… Sei tu lo sguaiato tamburo (gli molla uno schiaffo)

G. Hai percepito? (ride a crepapelle)

T. Forse possiamo affermare che i rapporti simmetrici legavano, in passato, le altre arti alla musica in una relazione di dipendenza, come le altre note alla tonica nel sistema tonale. Il piano unico di percezione lega le altre arti alla musica, mediante una relazione indipendente, così come nel sistema atonale, ove ogni singola nota è in una relazione indipendente con la tonica.

G. Meglio non affermarlo.

T. Perché?

G. Non saranno d’accordo.

T. Chi non sarà d’accordo?

G. L’alterità.

T. Non importa. Vorrei ricordarti che i parametri musicali, per la realizzazione del pudp sono le durate e il timbro, mentre gli altri (altezze ed intensità) sono integrati nei primi due.

 

G. Tonica? … tanica vorrai dire… tanica…ma questo regista famoso quando arriva? (non attende la risposta di T. e riprende a recitare il suo Uthste) … avvolge quaderni decorati… voler conservare....sembra una simbolica scrittura da interpretare... (interrompendosi di scatto, come al solito, si rivolge a T.) Vogliamo gridare alla natura del nostro tempo nascente pronto per espandersi, pronto a svolgere il proprio ugualissimo compito...

T. Sì, vai… (gridano insieme) il 2000!!!…

G. Zitto, zitto, vengono verso di noi…guarda che facce …falso allarme tornano indietro.

T.(Mostrando i suoi fogli) Posso?

G. (Avvilito) Accomodati.

T. L’indeterminatezza e l’imprevedibilità insite nella natura, oggi sono riproducibili grazie all’evoluzione della tecnica compositiva: "il disordine ritmico della vita è raccolto, così, nell’opera dell’artista".

G. Chi compone è in grado, quindi, di studiare quasi tutti i suoni, i rumori e la ritmica di quello che ci circonda?

T. Sì, è così. Sapevi che gli eventi naturali (e concreti) hanno un rapporto strettissimo con i parametri musicali (Timbro, Altezza, Intensità e Durate)?

G. Sì, lo sapevo, ma non m’interessava un approfondimento.

T. Vorresti approfondire con me…

G. Si potrebbe. Ma ti pregherei di alleggerire…

T. Cercherò.

G. Speriamo.

T. I ritmi della natura sono dotati di una varietà straordinaria, infatti, attraverso la loro osservazione, vari autori hanno composto le proprie partiture (17) . Ritengo sia una bell’esperienza per l’artista quella di riprodurre l’imprevedibilità temporale e arricchire quella sonora/rumorale: "ordinare" con i propri mezzi l’apparente disordine della natura (18).

G. "Ordinare la natura?"

T. Si fa per dire. + éé

G. Senti, perché non mi dai l’anticipo di quanto è stato anticipato dai profeti? …Cristo, Zarathustra, tutti vogliono noi uomini ammaccati ... ma come fanno? Si elevano, volteggiano, ritornano...

T. Ma di che parli ?

G. Eccole, (indicando le ragazze) al loro servizio senza armistizio... non possiamo scagliarci contro... viviamo tra loro... esistiamo, tutto qui...arriva, guarda…

T. Chi?

G. Quell’attore, ci guarda sempre male …

 

Attore 1 (si avvicina all’orecchio di G. e sussurra)

Mi evolvo…

G. (a T.) Si evolve.

T. Forse è "l’evoluzione creatrice della fotocopiatrice"...

G. Copiare, sempre copiare... perché copiare? Non è meglio l’errore?..

T. (all’attore1) Bisogna procedere da soli, essere degni dell’errore...

G. Imparare la fierezza dell’errore...

T. Costruire attraverso un percorso di errori!!...

 

Attore1 - "Questa è un’arte per artisti soltanto, noi… convalescenti, ne abbiamo veramente bisogno"…

G. Letto giallo e acidità nostra...

T. Amen!...

Peter Brook dice: "In questo momento del ventesimo secolo, a mio avviso, siamo di fronte a una grande sfida: riuscire a sostituire, nelle menti degli artisti e del pubblico, l’idea che l’opera è artificiale con l’idea che essa è naturale. Penso che questo sia importante, e anche possibile".

Ancora: "Vi era un rumore per esprimere la paura, altri per l’amore, per la felicità o per la rabbia; era un’opera monodica, atonale, ma è da lì che tutto iniziò" (19).

L’uomo produsse i primi rumori per intima necessità G. Da autodidatta…

T. Poi man mano che questa necessità divenne più sofisticata, il compito di produrre quei rumori fu affidato a degli "specialisti"

G. Poi chiamati artisti…

T. In seguito la necessità perdette sempre più potere per far posto ad esigenze più effimere, fino alla sua completa eliminazione, per essere infine sostituita dalla "produttività"…

G. Vigliacca amica dell’"artificialità"…

T. Distruttrice della "naturalità"…

G. (Recitando ad alta voce) Epìgrafo lui, il grigio, col pelo disegnato sul petto che non possiede mani, ma due ruote...stabilisce in Atene i tributi... urlando con gli imbuti dai gravi agli acuti...

T. Ma con chi c’è l’ hai?

G. Zitto, facciamo finta di niente… suoni e canti di sirene... (sognando) è bello l’avvicinamento a queste creature sotterranee... udibili donne che fremono delle proprie proibizioni.., tutti i sapori... sentimenti articolati dal "tremolare e il brillare di tutti gli specchi magici di Circe"... sentimenti raggiunti da un fine pratico… (sguardo minaccioso di T.). Scusa, d’ora in poi cercherò di controllarmi…

T. Lo spero. Credo che per "ritorno al naturale" (ed al necessario) si debba intendere solo un rapporto equilibrato tra la naturalità e l’artificialità…

G. Vorrei capire, se non ti dispiace, cosa intendi per naturalità.

T. Tutto quello che accade spontaneamente: la naturalità è imprevedibilità e l’artificialità è strutturazione e prevedibilità. Nell’arte, come nella vita, è necessario un rapporto più o meno equilibrato fra le due componenti. Per quanto mi riguarda, più che parlare di una "sostituzione" preferisco concentrarmi su di un ridimensionamento dell’artificiale. Le costruzioni artistiche, eccessivamente proiettate nell’astratto, hanno creato un’incredibile confusione, che ha condotto le arti in un vicolo cieco. Si confonde ormai tutto.

G. Tutto è arte.

T. Ma è anche – come dicono molti - "morte dell’arte". La partitura, ovvero l’artificio, se da un lato potenzia le caratteristiche squisitamente artistiche, dall’altro può distruggere la "necessità". Il guaio è che molti autori, per lungo tempo, si sono disinteressati del modo, spesso disastroso, in cui era percepito il prodotto concreto (l’opera) nato dall’artificio.

G. Di qui le lamentazioni degli artisti più accorti…

T. E di gran parte dell’estetica filosofica.

G. Riproposta di equilibrio…

T. Si spera.

G. Come se l’equilibrio fosse a portata di mano.

T. Bisogna sforzarsi.

G. Qual è la tua soluzione?

T. Non ho soluzioni. Diciamo che amo osservare, arricchire, estendere ed inserire nel mio teatro solo alcuni parametri naturali, soprattutto quelli ritmici e timbrici. La componente ritmica, però, essendo molto più ricca e complessa, va solo trascritta; quella timbrica, invece, seppur presenta infinite sfumature, si presta ad un maggior arricchimento ed abbellimento.

G. E’ questo il solo modo che conosci per far riapparire la necessità?

T. Per ora sì.

G. Sono d’accordo. Meglio rendere naturale/artificiale tutto quanto.. anche uscire con lei è un modo per diventare "uomo della conoscenza".

T. Ma quale conoscenza, è l’utilità che domina tutto!

G. (Chiama l’attore 2 e, compresa la sua idiozia, gli chiede) Dimmi, cosa te ne fai di tutto quel sapere?

 

Attore 2 Beh!…Beh!… io parto dal sapere e mi faccio un bel potere ...Beh! Beh… Beh!

T. Ed ora direi di ritornare al nostro argomento principale, meglio evitare di inoltrarsi in questioni spinose come quella appena lasciata.

G. Quale, quella del poterrrrr? (cantando come un baritono)

T. No, quella del rapporto naturale-artificiale, e vediamo come si può mettere in opera il piano unico di percezione.

G. Percepiam…perrrrr cepiaaaaamm… vuoi riascoltare il mio tamburo scorr…

T. Il piano unico di percezione necessita di una buona padronanza della propria arte, in caso contrario l’applicazione di queste tecniche creerebbe difficoltà ed inibizione.

G. Che dici, potrei farcela ad applicare le tue tecniche?

T. Dipende da quanta voglia hai di esercitarti.

L’instabilità fraseologica nel pudp sviluppa una tecnica quasi da film d’animazione (20).

G. Per mettere in pratica le tue tecniche dovrò sviluppare un ritmica non indifferente.

T. Sì, ma non preoccuparti, è molto più semplice di quello che credi (21).

G. Tristissima rampa ... l’oppresso non arriverà mai alla meta eterna... roccia errante... (con autorità) orta… misure attanagliate... nastri gri gra.. sfasata mostra… (gridando in direzione degli attori) vandali … irregolari!... mandrie al sole... non sapete che il moderno è sostituito?… (a T.) Io ti avevo avvisato di non fare l’intellettuale, ti avevo detto, sii un uomo, invece niente… non mi rispondi?

T. Che significa "sii un uomo?"

G. Significa solo che è bello essere rilassati... (indicando l’attrice che si avvicina loro come una sonnambula). Sai che la ragazza ha anche perso il fidanzato?...

T. Chi quello con la pipa?

G. "Questo non è una pipa", diceva Magritte ... (ride cambiando discorso) … cosa posso farti se il coro di fanciulle è stonato...io filtro cultura con la stonatura..

 

Attrice - …Voci svanite nell’aria...

G. (Guardandosi sorridendo) Tutto qui?…

T. E’ arrivato il momento di fare qualche esercizio.

G. Finalmente un po’ di azione …prego, prego, riperceeeeeepiaaamm.

T. Parleremo del tempo "finito" di un’opera (ad esempio di un’ora) e delle durate che lo suddividono in sezioni, periodi, segmenti metrici e ritmici. Gli esercizi sulle durate potranno essere applicati sia al nostro lavoro, che al "tempo" della vita di tutti i giorni.

G. Bello! Vai, accelera in fortissimo…

T. Gli esempi che seguiranno sono la rappresentazione grafica di un normale dialogo parlato, dei rumori provenienti dalla strada, di quello che ci circonda, insomma, del "naturale".

Prima, però, ti illustro una legenda, così capirai con maggiore facilità:

 

  1. S = sezione; durata varia ad esempio da 3' in poi;
  2. __________ 1',53" ________ = periodo; durata varia ad esempio da 20" fino a 1';

 

3. __________ = segmento metrico: durata varia ad esempio da 4" a10";

 

4.__ _____ _______ _ __ = segmento ritmico irregolare (durate varie brevi e lunghe inferiore il secondo);

 

5.------------- = segmento ritmico regolare (durate brevi : sempre uguali);

 

6................. = pause (brevi o lunghe, indicate dai secondi);

 

  1. , = pausa brevissima (o respiro);

 

8.^ = accento.

 

Le sezioni, i periodi, i segmenti, hanno durate relative e sono solo a scopo esplicativo.

G…hmmm…

T. Che ti succede?…Se ne hai voglia, in seguito potrai provare le segmentazioni a modo tuo, dando a questi esempi la durata in secondi che desideri. Quelle da me indicate servono solo – per così dire - ad avviare il discorso: attenzione, però, in tutto questo non vi è nulla di rigido.

G. Piano, piano…rallentiamo…è un po’ difficile per me.

T. Rallentiamo…rallentiamo. Guarda questi appunti.

Abbiamo l’instabilità fraseologica di primo livello e di secondo livello. L'instabilità di primo livello è quella in cui segmenti metrici e ritmici sono interrotti da pause più o meno lunghe; in quella di secondo livello, invece - più complessa - i segmenti sono interrotti da pause brevissime (respiri), apparendo più chiaramente instabili.

Man mano che le durate sono compresse, l’instabilità è più chiara, mentre con il loro allargarsi, l’instabilità tende a scomparire dal nostro campo percettivo.

 

Instabilità fraseologica di 1° livello

  1. - segmenti metrici irregolari formati da suono (indicato con una linea) e pause: 4"_____2"...6"_______3".......8"_________ecc.

 

b) - segmenti ritmici irregolari: 3"____2"-----2"..... 4"_______3"-------2"__1"....1"__2"------3"_____1"---ecc.

 

Instabilità fraseologica di 2° livello

 

  1. segmenti metrici irregolari interrotti da respiri 10"_________,_______,__________,____ecc.
  2. segmenti ritmici irregolari (interrotti dai respiri) ____ , --- ,__ , ___ , ----- , -- , ____ , _______ , ---- , _________ , - ,__ecc.
  3. segmenti ritmici irregolari interrotti dai respiri. Qui la complessità è maggiore a causa dell’accentuazione: quest’ultima, infatti, provoca ancora più instabilità ritmica ^__,_^^___ , --- __ , _^^^___ , -- , _^^__^_ , ------_^_____^_ , ^_ , ----- , -- ,_^__ ecc. (22)

 

Spesso nei miei lavori introduco un terzo livello di instabilità fraseologica che prevede le combinazioni dei vari punti dei due livelli.....Rimando?

Passiamo alla relazione fra teatro (indicato con la v: voce) e musica mediante l’applicazione dei livelli sopra descritti.

 

 

1° livello

esempio 1

Sovrapposizione di segmenti metrici irregolari (polimetria)

  1. v.4"__2"..5"___4"....6"____3"....9"___________
  1. m.4"......5"___2"..8"_____2"...5"___3"....6"___
  2. esempio 2

    sovrapposizione di segmenti ritmici irregolari (poliritmia)

  3. v.-_--_---_-__......___---__.....---__-___-----__--_
  1. m .---__--_---__-----____----_--__-__--___--__

 

esempio 3

sovrapposizione di segmenti metrici e ritmici irregolari

 

  1. v.4"__2"..5"___4"....6"__3"....9"_______6".........
  2. m.---__..--__---....___....___...___....______.....

 

 

2° livello

esempio 1

segmentazione metrica irregolare (interrotta da respiri)

 

  1. v.____,___,__,____,_______,_______________
  1. m.___,____,______,____,___,____,___,____,__
  2. esempio 2

    segmentazione ritmica irregolare (interrotta da respiri)

  3. v.--, _, ---, ____, ---, ---, ___, _, --, _, --, ---, _ ,--
  1. m.__, ---, ___, ....----, __....__, ---, __, --...___ , -

 

 

 

 

1° e 2° livello

 

esempio 1

  1. 1° liv.) v.__....__...___....____..........______....__

2° liv) m.___, __, __, __, ____, ____, ____, __

 

esempio 2

  1. 1° liv._---_ --... ---___ ..---_ ...---_ ---...__--..---__
  1. 2° liv.---, ___, __, ---, _, _, ---, _-, _,--, _,--, --, __

 

Potrei continuare ancora con altri esempi, ma credo che possa bastare.

G. Tu dici?

T. A questo punto – mentre io continuo a correggere i miei appunti - puoi sviluppare da te molte altre combinazioni.

Ora, quel che mi preme è mostrarti la relazione più efficace per il Piano unico di percezione

Gli esempi dove il pudp è affermato sono: il n. 1 e il n. 2 del primo livello; il n. 1 e il n. 2 del secondo livello; il n. 1 e il n. 2 del secondo e del primo livello insieme.

Se ad una delle due parti, però, si affida una velocità diversa, si creano subito due piani causando la perdita del pudp: esempio 3 (23)

Non solo si possono avere dei segmenti sfasati all’interno dei periodi, ma anche i periodi all’interno delle sezioni. Ad esempio, il periodo affidato alla "V" può iniziare e smettere ad libitum, così pure il periodo della "M".

In questo modo, nella sezione vi possono essere dei rapporti di relazione reattiva che non costringono l’attore ad una simultaneità rigida nella relazione con la musica, come avveniva (e avviene tutt’ora) nel teatro musicale.

Per avere una relazione efficace fra due linguaggi, pur conservando l’identità e l’instabilità fraseologica di entrambi, secondo il pudp è necessario che: 1) si dia alle due parti un andamento uguale; 2) la dinamica sia uguale; 3) la timbrica sia somigliante.

In un rapporto relazionale tra linguaggi l’instabilità fraseologica nel pudp è garanzia non solo di unità, ma anche di variabilità. Lo spettatore, non essendo più distratto dalla parte vocale o da quella strumentale, percepisce un linguaggio unico, esattamente com’era in passato, quando la simmetria era garanzia di compattezza.

 

 

Il Sincrono

Esempio 1

V. ______----_, ___...___-----___, ___--__----_____

f p f p f p

 

M. _______-----_ , ____....________-------____ , __

f p f p f p

Entrambe le parti sono in omoritmia; hanno lo stesso periodo, la stessa velocità dei segmenti ritmici, la stessa dinamica.

 

 

Sincrono sfasato

Esempio 2

V. ______-----_ ,____....._______-------____ ,

f p f p f p

 

M. ______-----_ ,___....._______-------_____ , _

f p f p f p

 

 

L’esempio 2 è la ripetizione dell’esempio 1, ma le due parti non sono più in perfetta simultaneità: la voce, infatti, pur eseguendo la stessa identica linea, entra "leggermente" in ritardo rispetto alla musica; è quindi consequenziale la sfasatura del periodo, dei segmenti e della dinamica. In questo caso, seppur le due parti comincino a dividersi, si avverte ancora una discreta unità: questo è un esempio di forte instabilità nell’unità. L’interesse percettivo che questo tipo di tecnica crea è notevole. Non a caso, nella relazione tra teatro e musica, il sincrono sfasato è una delle applicazioni che preferisco.

Tuttavia, se la voce ritarda ancor più la propria entrata, la sfasatura sarà tale che le due parti, essendo nettamente divise, perderanno il loro carattere di somiglianza. Se le due parti mantengono la stessa la velocità, anche se non le riconosceremo distintamente, data la sfasatura iniziale, avremo un pudp ancora buono. Quindi, anche in questo caso, come si può vedere, quello che conta è non creare contrasti d’andamento. (24)

 

 

G. Senti, io chiamerei quella specie d’attore e mi dichiarerei un turista.

T. Perché?

G. Per evitare problemi… dimmi, come si osserva un’opera d’arte in vacanza?

T. La fusione del vedere è semplice... ma difficile da spiegare.. è una variegata informazione ...

 

Attore2 (avvicinandosi a G.) Noi artisti diamo molto lavoro ai neuroscienziati…

G. (Arrabbiandosi) Artista sarai tu!

T. Lavoriamo.

G. Lavoriamo.

T. Troviamo tutto nell’(m)ente... ma torniamo al tema... in senso stretto... si può studiare senza niente di attivo, semplicemente giocando con le…

G. Con le…

T. Cellule. Chissà come si sono organizzate...nella citazione... l’oggetto fisico non è il substrato biologico dell’organizzazione....

G. Substrato biologico dell’organizzazione?… ma… come devo fartelo capire che in teatro la gente non vuole sentire parole difficili...

T. Non vorrai dirmi che il pubblico di oggi è più scemo di quello dei tempi di Shakespeare?

G. No, certo che no, solo che… il pubblico di oggi non ha più pazienza... Ma meglio chiudere questa parentesi...io comunque, non mi esercito su parole che non reciterò mai in pubblico...cosa che converrà fare anche a te: se mi permetti di darti un consiglio…

T. Mmm…

G. A che servono gli artisti?

T. A farci vivere meeeglio! …E’ da tempo che vorrei chiederti una cosa, posso?

G. Vai.

T. Insegni?

G. Non insegno, mi diverto, gioco con i detriti concettuali che, quelli come te, lasciano per strada. I loro e i tuoi concetti sono ottimi per le nostre invenzioni giocose.

T. Sembra un offesa…

G. Non lo è…

T. Credo che mi offenderò…

G. Speriamo… così stai zitto per un po’…

Sentendoti parlare ho come la sensazione che bisogna rifare tutto da capo… dall’"H" alla "Z"… disse l’imbianchino quando vide in quale stato si era ridotta la mia casa… "Come dall’"H" alla "Z""?, gli dissi, "vorrai dire dall’"A" alla "Z"". "No, no"… lui rispose, "proprio dall’"H" alla "Z"".

L’argomento che ora vorrei affrontare riguarda "il timbro" nel piano unico di percezione.

T. Tutto l’udibile che ci circonda possiede un timbro (un colore), e non solo gli strumenti musicali o la voce umana. Questo concetto nel teatro primario è esteso anche alla natura e ai vari suoni-rumori della vita.

G. Timbro, suono, rumore. Vuoi spiegarmi una buona volta la differenza?

T. Il concetto di timbro, così come è scritto nei manuali, indica la qualità del suono. Io, invece, uso questo concetto in maniera più estesa. Il suono puro è un suono perfettamente intonato, mentre quello impuro è un suono dall’intonazione indefinita; il rumore non è un suono, ma qualcosa di udibile con una minima vibrazione soffocata sul nascere. Ascolta: (batte il piede per terra e colpisce con la mano contro il muro) suona?

G. No.

T. Questo è il rumore! …Un udibile sordo… Ora, ogni suono o rumore possiede un particolare timbro e, siccome nell’opera senza canto, oltre al tempo, l’argomento fondamentale è tutto l’udibile, composto da suoni puri, suoni impuri e da rumori in sovrapposizione continua, ho preferito per necessità di chiarezza raccogliere le tre componenti sotto lo stesso concetto. Quindi, quando parliamo di timbro, devi intendere sia le varie combinazioni delle tre componenti, che la qualità derivante dal loro rapporto di fusione.

T. Perfetta la fusione visiva, no?…

G. Cosa centra ora la fusione visiva…

T. E’ semplice riconoscere un volto... è complessa invece la discriminazione ... ci vuole energia vera.

G. Ma… gli elementi più importanti per determinare la visione della notte quali sono?...

T. Bisogna fare attenzione a certe scene visive... e uditive…

G. Ai cicli osservati da un occhio sulla fronte...

T. Questa riduzione dell’immagine è molto difficile... G. Ora, però, parliamo di quello che c’interessa.

La signora aveva una lesione sul gluteo sinistro…

T. Gluteo sinistro. Ah! Ah! Ah! ( ride con gusto) Come sei diventato raffinato...

G. Non m’interrompere!... queste cose tu non le capisci… dicevo... la signora aveva una cicatrice sul gluteo sinistro, e quando camminava la copriva sempre con la mano, era un movimento bello... un calore... movimento molto elegante.. ma...

T. Purtroppo il "tempo malato" ci fornisce una sintesi tutta particolare della bellezza.

G. Questo qui è proprio irrecuperabile… sintesi della bellezza… Ma! Purtroppo (scimmiottando le parole di T.) il "tempo malato" ci fornisce una sintesi tutta particolare della bellezza

T. Nausicaa, la maliziosa, rideva dopo la misurazione invasiva…

La musica d’arte occidentale, da Schönberg ai nostri giorni, ha abbandonato quasi totalmente la melodia (e l’armonia) tradizionale in favore di una melodia di timbri. Questa scelta modifica tutto il modo di concepire l’arte dei suoni che si avvia verso un’emancipazione del parametro timbrico sviluppando con maggiore rapidità la musica strumentale.

G. E quella vocale?

T. L’evoluzione della vocalità è stata ed è più lenta. Assistiamo, per questo, ad opere ove la parte strumentale, timbricamente evoluta, offusca quella vocale, più antiquata e prevedibile.

G. Ora che mi ci fai pensare, anch’io, ormai da un bel po’, ho la sensazione che il canto sia attaccato posticcio alla partitura, faccio fatica, avverto una sensazione di fastidio. E’ una sorta di duello tra il mio linguaggio vocale e quello strumentale.

T. E chi vince?

G. Quello strumentale. Io non riesco proprio a star dietro agli strumenti.

T. Non sapevi che il linguaggio strumentale si evolve più velocemente di quello vocale?

G. Purtroppo per noi.

T. Per chi?

G. Per i cantanti/attori, no?

T. Se vuoi evitare la sensazione di fastidio, ed avere una base per lo sviluppo di una vocalità che aderisca all’evolutissima timbrica strumentale, dovrai applicare il recitato e il canto timbrico. In caso contrario, dovrai continuare a duellare, sia sul piano timbrico che sulla dinamica con la musica strumentale.

G. Riassumendo, si tratta di rivedere la concezione del teatro in generale (musicale e di prosa) e di formare interpreti (attori e cantanti) di questa forma di teatro.

T. Ti sembra esagerato?

G. Poco poco…

T. Quell’attore che ti guarda con insistenza forse è stato radiato dall’albo dei professionisti guardoni greci.

G. Perché?

T. Insidiava la madre...

G. Va bene, ma perché guarda me?

T. Forse perché gli ricordi qualcosa, chissà "un uomo perfetto sbrana quando ama", uau! Uau!…

G. (chiude gli occhi e cerca di accarezzare T. Quest’ultimo si allontana con fare sprezzante). E’ stata una brutta epoca: solo durante il sonno potevano accadere cose interessanti, solo in quei momenti la moglie riusciva, finalmente, a sentire le mani del marito sul proprio corpo...

T. (dispiaciuto) Povera Elena, non sapevi che certi esperimenti vanno visti nel sistema della memoria...

G. Evitando, però, di assaggiare quei frutti...

T. Anni fa, Luciano Berio - in occasione dell’esecuzione di Agostino il musicista nella sua villa di campagna - mi regalò una ingiallita partitura di Sequenza III, invitandomi a studiarla. Gli dissi che conoscevo bene il pezzo e che pensavo a quest’ultimo come ad un lavoro per voce femminile. Berio mi rispose che poteva essere eseguito anche da un voce maschile. Accettai volentieri tale proposta, immaginando già da allora la meravigliosa esperienza di studio che avrei fatto con lui. Mi dedicai per vari mesi con entusiasmo a Sequenza III, cercando e ricercando varie possibilità, puntando essenzialmente sulla teatralizzazione e limitandomi all’applicazione della mia "studiata" voce baritonale.

G. Ti sei messo pure a cantare allora…

T. Sì, ma senza grandi pretese. L’intento era ed è sempre stato quello "esplorativo".

Ritornando da Berio gli feci ascoltare Sequenza III ed egli mi rispose che avevo usato una voce troppo impostata e che bisognava lavorare, invece, su di una vocalità "concreta", su di una voce che esprimesse la quotidianità. Mi diede così alcuni suggerimenti che sperimentai ritornando a studiare il lavoro. Mi esercitavo su varie vocalità, imitando voci che esprimevano differenti stati d’animo e dopo alcuni mesi ritornai da Berio per fargli riascoltare la sua opera. Questa volta egli fu soddisfatto e m’invitò ad eseguire il lavoro in alcuni suoi concerti.

G. Hai, quindi, cantato in pubblico?

T. Infatti, ma ho smesso quasi subito. In seguito, riprendendo lo studio del pezzo, notai che, seppur avessi raggiunto una discreta varietà vocale, il lavoro risultava timbricamente povero. Fu in quel periodo che scoprii la possibilità di variare di molto la mia timbrica vocale attraverso l’imitazione degli oggetti sonori/rumorali.

G. (sarcastico) E vai col nuovo periodo…

T. Dovevo capitalizzare? Tenermi stetto stretto Berio? O andare avanti?

G. Scusami.

T. Lasciai la sequenza e presi un racconto di Kafka intitolato Giuseppina la cantante (che in seguito ho rimaneggiato varie volte) ed iniziai così lo studio della vocalità timbrica. Inizialmente lavorai sulle vocali, poi sulle consonanti. Infine applicai la particolare vocalità derivata da questi esperimenti al testo completo. Dopo essermi esercitato in questo lavoro, ritornai a Firenze con una valigia piena di oggetti e - mostrati gli esiti del mio studio a Berio - ebbi la conferma della ricchezza delle possibilità che avevo intravisto.

G. Ti diede la benedizione, e poi?

T. Ho imparato a camminare da solo, avviandomi con maggiore sicurezza nella ricerca che mi ha condotto all’opera senza canto.

Il recitato e il canto timbrico ci liberano dalle paure tecniche del canto e della recitazione tradizionale, offrendoci immediatamente una base sulla quale appoggiarci, per far emergere dal nostro inconscio tutta la necessità di espressione. Per questo il procedimento tecnico che ti propongo è "umano": l’imitazione sonora-rumorale degli oggetti è un espediente che serve per produrre dei geroglifici sonori-rumorali dell’umano, i quali si presentano in tutta la loro violenza o dolcezza e risultano imprevedibili nella loro libertà, non sottomessi cioè ad alcuna restrizione.

G. Quali sono le caratteristiche del canto timbrico?

T. Il canto timbrico è un normale canto che, invece di intonare suoni puri, "intona" rumori e suoni impuri che l’interprete ricava dagli oggetti.

G. E del recitato timbrico?

T. Il recitato timbrico è un normale recitato che, tuttavia, alterna la voce base dell’interprete ad altre voci ricavate dagli oggetti.

Il recitato timbrico e il canto timbrico, insomma, sono una sorta di voci preparate.

G. Come il pianoforte preparato di John Cage?

T. Più o meno.

G. So che per preparare un pianoforte bisogna inserire della roba tra le corde dello strumento: bulloncini, pezzi di gomma, viti, matite, pezzetti di plastica, di ferro e quant’altro. Dimmi… spiegami: tu con le tue tecniche vocali vuoi forse costringere il cantante-attore ad introdurre queste cose fra le proprie corde vocali?

T. Sei il solito fantasista. Mi piacerebbe proprio inserire questa roba tra le tue di corde vocali, così la smetteresti di dire stupidaggini.

G. (ironizzando) No, a me no, per favore!… Perché non prepariamo l’orribile voce di quel cretino di attore? (indicando l’attore 2)

G. (osservando le ragazze che danzano, guarda con insistenza una di loro. Poi - in tono estatico - recita prendendo la mano di T. e lo costringe a danzare con lui). Il volteggiare del quartetto delle sordomute... guarda com’è bella con il suo costume infilato tra le natiche ...

T. (Ammiccando)

G. Un contrasto fantastico: la rotondità perfetta e morbida dei suoi glu...glu... (deglutisce e guarda verso T. attendendo la reazione di quest’ultimo, che, invece, fa finta di niente) …culo, contrasta con la rapida e spigolosa espressione dei movimenti delle sue braccia...il nero dei piedi... le unghie dipinte di azzurro cielo...

T. (sfottendo) Le unghie dipinte di azzurro cielo! Ma questo qui è proprio in fase di surriscaldamento… (ridendo si fa il segno della croce)... spir nostri noristri...macabri morti souberti e succinti... (ironico) elementi grintosi in stiramento… (ride)

T. Ed eccoci al recitato timbrico. Il recitato timbrico è un processo di deformazione della parola i cui fonemi diventano timbri. In teatro siamo circondati da oggetti di legno, metallo, plastica, pietra, vetro, gomma, da sedie, tavoli, porte, pavimento, bicchieri, bottiglie, casse, tubi, ecc. Ogni oggetto può produrre?

G. Un rumore, un suono…

T. Indeterminato, oppure un suono determinato mediante soffio, percussione, strofinamento e scuotimento. Si possono identificare suoni o rumori dal grave all’acuto. Quale potrebbe essere l’obiettivo, secondo te?

G. La presa di coscienza delle possibilità sonore e rumorali degli oggetti di scena…

T. Questi, infatti, non vanno lasciati inerti, ma inseriti attivamente nel dramma, creando un maggior numero di relazioni, soprattutto con la voce.

Come tutti sanno, il nostro corpo è in grado di emettere suoni o rumori, che vanno dal grave all’acuto, dal timbro scuro al timbro chiaro allo stesso modo dell’oggetto, che da scuro può schiarirsi fino a diventare acuto. E’ quindi possibile creare relazioni tra la voce umana e gli oggetti, raggiungendo, mediante l’uso di fonemi, un’intonazione timbrica che si avvicina a quella dell’oggetto stesso, il quale ci suggerisce sia la vocalità che la vocale o consonante predominante.

G. Riguardo alla relazione fra il suono-rumore vocale e quell’oggettistico-strumentale, vorrei sapere quali sono gli oggetti più adatti alla voce maschile e quelli più adatti alla voce femminile.

T. Mi sembra ovvio. Per la voce maschile si possono scegliere oggetti dal timbro più scuro e per quella femminile oggetti dal timbro più chiaro.

G. Come s’inizia?

T. Si potrebbe procedere nel seguente modo:1) ricerca e classificazione di oggetti sonori-rumorali e scenici; 2) individuazione del timbro; 3) individuazione del suono e del rumore; 4) individuazione delle altezze; 5) individuazione della vocale o consonante dominante. Poi si procede all’applicazione della voce, imitando l’oggetto, servendosi della vocale o consonante individuata precedentemente.

G. L’imitazione dell’oggetto crea altre implicazioni?

T. Certamente. L’imitazione dell’oggetto determina anche la maschera facciale, derivata dalla costrizione dei muscoli del viso che, assumendo una determinata posizione, creano dei "tipi fissi" e dei "tipi mobili".

G. Attenzione! Attento…attento…

T.(spaventato), Che succede, ci sparano?

G. No, non sei chiaro…

T. Ma vaffa….

G. I tipi "fissi" durano per intere sezioni o per tutta l’opera?

T. Questo dipende dal testo e dall’impostazione interpretativa dell’attore/cantante; comunque dovrebbero durare più a lungo possibile, a differenza di quelli "mobili", che cambiano continuamente. Quest’ultimi, essendo determinati dalla segmentazione imprevedibile dei fonemi, creano una galleria indeterminata di personaggi e di creature fantastiche.

G. Quindi, quando cambio la voce, cambio anche la faccia, così…( esegue una serie di smorfie)

T. ( espressione schifata) Che orrore!

G. Quante faccie diverse si possono ottenere in un opera?

T. Tante quanto sono le voci.

G. E quante voci si possono ottenere in un op…

T. Tante quanto sono le faccie…

G. Che assurdità! Vai avanti,và…

T. Un’alternanza imprevedibile di voci e di tipi produce, come l’imprevedibilità temporale descritta nella sezione dedicata alle durate, automaticamente uno spiazzamento percettivo.

G. Cioè confusione…

T. Non confusione, ma ti ripeto, uno spiazzamento percettivo.

G. Scusa, visto che ami tanto la chiarezza, non sarebbe meglio evitare questi spiazzamenti?

T. L’imprevedibilità è necessaria perché è dinamica e genera sempre nuove cose.

G. Può anche essere dinamica, ma sono convinto che genera confusione.

T. Che io chiarisco, creando dei piani unici con altri parametri. Come ormai sai, la mia intenzione è di rendere comprensibili gli esiti delle scoperte, in modo da permettere sempre l’evoluzione dei linguaggi senza trascurare la loro fruibilità.

L’opera senza canto, infatti, procede sempre in direzione di un doppio percorso: da un lato la ricerca, dall’altro la chiarificazione tecnica delle scoperte che emergono.

Vediamo, ora, come mettere in atto l’improvvisazione di relazione "attiva".

L’attore (o il cantante) usa da sé gli oggetti, relazionando vocalmente con loro mediante sovrapposizione o successione, in estensione grave, media e acuta della voce(25).

Per quanto riguarda l’improvvisazione di relazione "reattiva" o canoni emotivi l’attore - individuando i suoni-rumori provenienti dagli strumenti o dagli oggetti usati da altri (attori, cantanti, musicisti ecc.) - reagisce sovrapponendosi o succedendo agli oggetti- strumenti…

G. In un rapporto simmetrico?

T. No! Sai che sei proprio duro? Non in un rapporto simmetrico ma a segmenti sfasati rispetto all’orchestra e ad altri artisti. Nell’opera lirica le parti vocali dei cantanti sono inserite mediante un rapporto simmetrico nel tessuto orchestrale. La relazione che avviene fra la parte del cantante e quella degli strumenti è di tipo intervallare (ovviamente anche ritmico, agonico, ecc.): il cantante coglie dall’orchestra l’intonazione delle note. Nel sistema timbrico, invece, l’attore prende la propria "intonazione" dai timbri (essenzialmente rumorali). Nell’attivazione intonativa, accade che il pensiero lavora sempre in combinazione attiva con la parte inferiore di noi… un sincronismo tra men…

G. E pen… (interrompendolo bruscamente). Ma questo cos’è… il piano unico di sensazione?

T. Ti concedo questo scherzetto.

G. Quanto dici è veramente importante: le funzioni che si recuperano… ma qua…che ci facciamo?... Speranzosi, cercando incerti la gioia, i suoni, i tempi... noi che osserviamo l’indistinto... pura leggerezza... denti finti smaglianti, un sorriso orribile: vende frutti con disinvoltura... i suoi mutandoni neri… le proprie prodezze e la pancia penzoloni s’incontrano e si annullano... alito malefico...

T. "Vuoi essere amato (rivolgendosi a G) ...si amano solo i sofferenti" ah! ah! ah! non lo sapevi?…

G. Il debole ma morbido volteggiare di esse…( G. è arrabbiato ed ha paura, mangia qualcosa che spruzza a ritmi singhiozzati)… metodo di lavoro variabile… ma smettiamola…

T. (a G.) Stai calmo…vieni, riprendiamo i nostri studi… voglio darti qualche esempio pratico della prima fase dell’improvvisazione di relazione attiva. Iniziamo prendendo coscienza dei rumori che possiamo ricavare dall’ambiente circostante e cominciamo il gioco delle relazioni. Vieni, percuotiamo sul pavimento alternando bacchette diverse (come battenti possiamo usare di tutto, forbici, coltelli, cucchiai di ferro o di legno, ecc.). Senti? Se usiamo una bacchetta di plastica dura, il rumore avrà un timbro chiaro e ci suggerirà la vocale "E"; se usiamo un’asta di ferro spesso avremo la "I"; la bacchetta da gran cassa ci darà una "U"; quella di gomma la "O"; percuotendo con la mano piatta avremo una "A", e così via.

Se percuotiamo in punti diversi dello stesso oggetto, non solo avremo delle diverse gradazioni del chiaro/scuro delle vocali e delle consonanti, ma anche diversità di altezze dei rumori; così anche accadrà se cambiamo le bacchette.

Adesso prova tu su una sedia, una porta o qualsiasi altro oggetto, cercando sempre dei fonemi (vocali e consonanti) chiari o scuri (G. è distratto e continua a recitare il suo Uthste).

G. (triste, sussurrando) Ma… dove trovano la forza di minare la testa bianca, rapata di un bambino... ardenti streghe con fuoco in bocca...

T. Mi ascolti?

G. Sì, sì. Dici di provare… no, non posso, ho paura di fare rumore.

T .Va bene, evitiamo i rumori… seguimi, ti spiego la seconda fase dell’esercizio. Mentre nella prima fase dell’esercizio i rumori ci suggerivano le gradazioni timbriche e le altezze dei fonemi, in questa fase, i rumori ci suggeriscono i caratteri vocali (embrioni di personaggi o creature). Prima procediamo esercitando la voce (senza testo), poi applichiamo il tuo testo, seguendo le tecniche di imitazione.

G. (fra sé) Parole asciutte, divise da lamine d’acciaio... la giacca strappata e le scarpe verniciate d’oro e d’argento, luccicano inutilmente...

 

(T. riesce a far fare l’esercizio a G. che prova distrattamente ed in maniera confusa)

T. Pian piano i rapporti rumori/fonemi devono essere chiari e parsimoniosi, altrimenti si crea un ammasso confuso di elementi. Vedi quanto bel da fare ha il tuo orecchio? Quando mai, voi attori mediocri, avete prestato tanta attenzione alla percezione uditiva…

G. Quando si recita non c’è tempo per certe cose.

T. Questo lo dici tu; pian piano capirai che al grande attore non sfugge nulla. Dopo aver sviluppato per bene questo tipo di esercitazione si può procedere con l’improvvisazione di relazione reattiva(26), cosa che qui non possiamo fare perché non abbiamo un’orchestra. Oddio, si potrebbe anche provare se uno di noi due producesse dei rumori e l’altro reagisse con la sua recitazione; ma faremmo un rumore infernale. E non so come la prenderebbero questi irascibili attori greci. Meglio se ti racconto una delle prime e più significative esperienze di improvvisazione di relazione reattiva, ovvero quella realizzata con Claudio Morganti.

Iniziammo le prove del III Riccardo III senza aver preso alcun accordo su quanto avremmo dovuto fare. Semplicemente gli dissi: "ascolta la musica e vai con il "tuo" Riccardo!". Diedi l’attacco al piccolo gruppo di metalli e l’attore mi confidò di sentirsi serrato in una griglia di suoni dalla quale non poteva sfuggire, e dopo un inizio di relativo spaesamento - da quel grande artista che egli è - capì che se voleva cavarsela doveva reagire in qualche maniera. Così, iniziò il suo dialogo reattivo con la musica. Dopo pochissime prove avvertii che plasmava con incredibile disinvoltura il suo personaggio adattandosi alle situazioni che la musica creava: Riccardo era diventato uno strumento parlante. Reagiva all’aggressione, alla dolcezza e ai sussurri, ai timbri, ai ritmi ed, infine, alle intensità della parte strumentale, sempre in maniera varia ed inattesa. Per lui, il trombone ed il corno erano dei personaggi senza parole. I suoni/rumori che questi strumenti emettevano, si trasformavano in pensieri nella mente di Riccardo; le percussioni metalliche erano le armature e le armi della battaglia. La sensazione che quest’esperienza ci diede fu di forte coinvolgimento: i canoni emotivi erano continui e non permettevano a nessuno di noi un attimo di allontanamento dalla tragedia in atto. Eravamo, insomma, all’interno di qualcosa dalla quale non si poteva sfuggire.

G. Miracolo dell’arte!

T. Ri-Amen!…

( G. guarda in direzione delle danzatrici sordomute fissando in particolar modo sempre una delle quattro ragazze)

G. (con trasporto) Si accompagnano senza veli delicatamente... ma, per me, il gran momento è di una brevità disarmante. (poi rivolgendosi a T., racconta una breve vicenda cui aveva assistito e che lo aveva commosso)

"Voglio una dooonna! datemi una donna" - diceva quel povero ragazzo vestito da vecchia signora – indossava un fazzoletto strappato in testa , una gonna sporca col fondo nero e fiori gialli, camminava con un registratore posto vicino all’orecchio sinistro... sul nastro vi era incisa sempre la stessa canzone, finiva e ricominciava, finiva e ricominciava, mentre al collo portava una vecchia pentola come un’antica collana, con la mano destra impugnava un cucchiaio di legno, e percuotendo la pentola scandiva il ritmo della sua richiesta: - "voglio una dooonna!...Voglio una doooonna!", gridava. Il nonno osservava e voleva stornare una lacrima, la più delicata, il tutto serrava la sua anima.

 

( a T.) E’ poetico vero?

T. No. E’ patetico. L’ho notato sai? Vuoi mettere i tuoi testi in primo piano. Sembra che tu stia in eterna competizione con me; sembra che questa sia una prova di forza tra noi due. Purtroppo, dovrai ancora attendere. Non puoi poetare senza comprendere dove andrai a collocare i tuoi testi. Ed ora scusami, dovrai "gustarti" i moduli e i percorsi del recitato timbrico. Guarda qui e leggi (gli mostra i suoi fogli)

 

 

Modulo 1

Voce base: ovvero la voce naturale dell’interprete

 

 

Modulo 2

Voce diversa: in questo percorso la vocalità scelta non deve essere in relazione con l’oggetto.

 

 

Modulo 3

Voce timbrica: l’interprete relaziona con gli oggetti, usando una timbrica omogenea e permanente nel corso dell’intera sezione.

 

 

Alternanza dei moduli:

 

Percorso 1

Alternanza della voce base che recita un testo, con la voce timbrica che è applicata solo alla singola vocale o consonante.

Es: voce timbrica 1"_; voce base 7"_________; v.t.1"_; V.b.15"________________ ecc.

 

Percorso 2

Voce base e timbrica: la voce timbrica non emette più solo una vocale o una consonante ma recita frammenti di testi; la voce base invece conserva, come nel percorso 1, un lungo periodo.

Es: voce base 5"____________; voce timbrica 2"___; v.b.10"________________;v.t.4"________;V.b.30"______________________;ecc.

Questo percorso conserva la vocalità base, ma anche la maschera facciale di base (ovvero il viso proprio dell’interprete), che sarà modificata brevemente, solo quando la voce relaziona con l’oggetto.

 

 

Percorso 3 Inverso del percorso 2 con la voce timbrica che si estende in segmentazioni più lunghe, mentre quella base comincia a restringersi.

Es:v.t.15"____________;v.b.3"_____;v.t.8"___________;v.b.2"___;v.b.10"______________ecc.

Sono possibili altre combinazioni, come si potrà notare dall’osservazione degli esempi tratti da Epos in Rock.

G. Fermati! ...Non ti ricordi che abbiamo un soggetto da rendere vivo (Uthste) che contiene le leggi dell’uomo, ... nella luce bisogna procedere dolcemente... la nostra natura potrà aiutarci ad inserirci in quella degli altri con discrezione...immagini di figure che reagiscono in maniera informe a scatti ( alludendo alle danzatrici ormai semidistrutte) …forse potrebbero girare nell’aria liberamente come insetti.

T. Questo potrebbe essere un bene per loro... un vento dietro la spalla... con il dolore come patrimonio semplice...

G. Ma... io... non cerco lei, ma la sua voce...

T . Lei non ha una voce…

G. Quelli (indicando gli attori che intanto avevano assunto un’atteggiamento più minaccioso), invece, cercano con attenzione il loro tanto massacrato intimo… dove la pericolosità aumenta sempre più ...(all’attore carceriere) "non dimenticare, o uomo, che la voluttà ti ha macerato"...

T. Puoi ormai slegarti dall’albero della nave...

T. Direi ora che possiamo provare ad applicare il recitato timbrico ad un testo.

G. Ecco il testo (con un rapido scatto G. offre un suo manoscritto).

T. (nascondendo le mani dietro la spalla) Non sperare che lo facciamo sui tuoi testi, prenderemo quelli di un vero poeta. Ecco, porto sempre con me una copia delle Operette Morali di Giacomo Leopardi. Prima, però, vorrei mostrarti l’applicazione di moduli e percorsi del recitato timbrico su questo stesso testo che ho usato per il concerto d’attore n.1 Epos in Rock. Tieni (porgendogli gli scritti ), leggi da solo, io mi sposto un attimo…

G. Dove vai?

T. (alzando il dito indice della mano destra, dice in tono sarcastico) Posso andare a gabinetto?

 

(G. Inizia la sua lettura sottovoce)

1 - Dialogo di Malambruno e Fanfarello

Malambruno: Spiriti d’abisso, Fanfarello, Ciriatto, Baconero, Astarotte, Alichino, e comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome di Belzebù, e vi comando per la virtù dell’arte mia, che può sgangherare la luna, e inchiodare il sole a mezzo il cielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe e piena potestà di usare tutte le forze dell’inferno il mio servigio...

 

Osservazioni:

Alla la parte di Malambruno ho applicato il Percorso 1.

Per ottenere la s ho utilizzato un tam tam, strofinato velocemente con una bacchettina di metallo, il timbro ricavato è chiaro.

Alla parte di Fanfarello ho applicato il Modulo 3, utilizzando tre blocchetti di metallo percossi in un secchio pieno d’acqua che permetteva una varietà delle altezze del suono; il timbro ottenuto anche in questo caso è chiaro. L’impostazione della maschera facciale è sulla "E".

Per tutte le altre entrate di Malambruno ho applicato il Modulo 2: sussurrato sforzato.

 

 

2 - Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie

-A-

Ruysch: Diamine! Chi ha insegnato la musica a questi morti, che cantano di mezza notte come galli? In verità che io sudo freddo, e per poco non sono più morto di loro. Io non mi pensava perché gli ho preservati dalla corruzione, che mi risuscitassero...

 

-B-

...Figliuoli, a che giuoco giochiamo? non vi ricordate di essere morti? Che è cotesto baccano? Forse vi siete insuperbiti per la visita dello Czar, e vi pensate di non essere più soggetti alle leggi di prima? ...

 

Osservazioni:

Alla parte di Ruysch, nella sezione -A-, ho applicato il modulo 1 (voce naturale dell’interprete) ed il Percorso 1 nel quale gli oggetti utilizzati sono una canna strofinata fra le mani, che produce una "A" con timbro aspro e altezza media, una cassa grave (legno, plastica, metallo), che produce una "U" dal timbro scuro e dall’altezza grave, ed un secchio di plastica (utilizzato come tamburo), che suggerisce una "O".

Nella sezione -B- utilizzo il Modulo 2 (voce diversa: nasale ed acuta) in combinazione con il percorso 2, e per ottenere una "I", dal timbro chiaro con altezza acuta, percuoto un tavolo con la mano.

 

 

3 - Cantico del gallo silvestre

-A-

Affermano alcuni maestri e scrittori ebrei, che tra il cielo e la terra, o vogliamo dire mezzo nell’uno e mezzo nell'altra, vive un certo gallo salvatico; il quale sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo...

-B-

... il quale, non senza fatica grande, né senza interrogare più d’un rabbino, cabalistica, teologo, giuriconsulto e filosofo ebreo, sono venuto a capo di intendere, e di ridurre in volgare come qui appresso si vede...

-C-

...Lo stile interrotto, e forse qualche volta gonfio, non mi dovrà essere imputato; essendo conforme a quello del testo originale: il quale testo corrisponde in questa parte all’uso delle lingue, e massime dei poeti, d’oriente...

 

-D-

...Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in su la terra, e partonsene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi la soma della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero...

 

 

Osservazioni:

-A- Modulo 3 (voce timbrica omogenea e permanente).

Oggetto: trombetta da bicicletta con suono smorzato sulla pancia attraverso cui si ottiene un timbro chiaro ad altezza medio-acuta; l’impostazione della maschera facciale è sulla "E".

 

-B- Modulo 3

Oggetto: pezzo di lamiera mosso in mezzo secchio d’acqua, ad altezza variabile; la voce è impostata, quasi recitativa.

 

-C- Modulo 1 e Percorso 1

Oggetto: sedia strofinata sul pavimento, imitazione di una "R".

 

-D- Modulo 3

Oggetto: porta di legno strofinata con bacchetta di gomma, che produce un timbro scuro ad altezza variabile; l’imitazione del rumore prodotto è simile ad un ululato e l’impostazione della maschera facciale è sulla "U".

 

 

4 - Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

Venditore: Più più assai.

Passeggere: Come quello di là?

Venditore: Più più, illustrissimo.

 

Passeggere: Ma come qual’altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi ultimi anni?

 

Venditore: Signor no, non mi piacerebbe.

 

Passeggere: Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?

 

Venditore: Saranno vent’anni, illustrissimo.

 

Passeggere: A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?

 

Venditore: Io? non saprei...

 

 

Osservazioni:

In questa sezione mi avvalgo completamente del Modulo 1 e Percorso 1.

Per il venditore Modulo 2 in falsetto e Percorso 1.

Gli oggetti utilizzati sono: un blocchetto di legno che suggerisce la "A" e un timbro chiaro con altezza media; un campanellino per la "I", dal timbro chiarissimo, acutissimo.

Per il passeggere, la vocalità è una voce baritonale (impostata): Modulo 2 e Percorso 1.

Gli oggetti sono: un campanaccio dal timbro chiarissimo ad altezza acuta che suggerisce una "E" ed una cassettina di legno, dal timbro poco scuro con altezza medio-grave, per la "O".

 

 

5 - Dialogo di un folletto e di uno gnomo

Folletto: Oh sei tu qua, figliuolo di Sabazio? Dove si va?

 

Gnomo: Mio padre m’ha spedito a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfanti degli uomini;...

 

Folletto: Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.

 

Gnomo: Che vuoi tu inferire?...

 

 

Osservazioni:

Folletto: Modulo 2 (Voce impostata, baritonale)

 

Gnomo: Modulo 3, l’oggetto utilizzato è una bottiglia di plastica accartocciata che, nella sua manipolazione, produce un timbro chiaro con altezza media; suggerisce una "E".

 

 

6 - Dialogo della moda e della morte

Moda: Madama Morte, madama morte.

 

Morte: Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami.

Moda: Madama Morte.

 

Morte: Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.

Moda: Come se io non fossi immortale.

Morte: Immortale?...

Osservazioni

 

Moda: Modulo 2, gli oggetti usati sono due fasce di legno percosse tra loro che producono un timbro acuto e nasale; l’impostazione della maschera è sulla "A".

 

Morte: Modulo 2, voce aspirata.

T. Spero che, dopo tutti questi esempi, il procedimento ti sia chiaro.

G. Abbastanza.

T. A questo punto possiamo prendere alcuni frammenti delle Operette ed esercitarci. (approfittando della distrazione momentanea degli attori, G. si avvicina alla ragazza che ormai ama e cerca di parlarle, ma questa continuando a muoversi sfinita, non capisce)

G. (dolcemente) Le stanze dello sconosciuto...le attraverseremo insieme... solo noi due... con fierezza... facendoci notare da loro..."hanno bisogno di calore, questi stanchi" …se tutto potesse entrare nelle acute sofferenze... sofferenze sprigionate al primo livello... gli uccelli ti appaiono feroci al loro posto?... Il loro cinguettare può essere terribile per te, lo so... ma... non preoccuparti non è la dimora di Scilla… voglio essere la tua natura…

 

Attrice "Si dovrebbe (rispose l’attrice che intanto si era avvicinata a G.) tenere in maggiore considerazione il pudore con cui la natura si è nascosta dietro enigmi e multicolori incertezze" (G. è preso da un immediata vertigine e perde l’equilibrio, T. raggiungendolo, lo sorregge)

T. Calma, aspetta, non muoverti... appoggiati a me (ritornano così al loro posto. Poi T., commosso, abbraccia G. e, dopo alcuni istanti di silenzio, riprende con discrezione a parlare, con la speranza di distrarre l’amico.) Ed ecco a te… Il canto… timbrico!

G. Ma come! Il canto nell’opera senza canto? Ma… non era stato eliminato dal tuo teatro?

T. Avevo abolito il canto melodico, non quello timbrico. Il canto timbrico è un canto che si allontana decisamente dall’idea di canto che ha sempre dominato la nostra cultura musicale.

G. Come ti immagini la qualità di questa voce?

T. "Sporca", indeterminata. Immagino una vocalità che evita la purezza del suono, l’intonazione degli intervalli; forse dovresti sapere che gli intervalli ed i suoni intonati ci portano immediatamente al già sentito, quindi ad immagini conosciute.

G. Può la voce "impostata" "intonare" canti timbrici?

T. No, la voce impostata è sostituita da quella "preparata". Il compositore Arnold Schönberg, per evitare intervalli perfettamente intonati, inventa il cosiddetto cantato/parlato: cioè lo Sprechgesang. Ma questo tipo di vocalità è comunque scritta in partitura e comprende intervalli, anche se impuri, che bisogna rispettare. Le note devono essere sfuggenti: devono, cioè, subito calare o crescere d’intonazione. Per far questo Schönberg applica la tecnica del glissato vocale (27). Il canto timbrico, invece, non è scritto, è "naturale" e nasce da necessità performative ed interiori dell’interprete; questo tipo di canto è l’unico possibile per un teatro primario.

 

(Mentre T. continua a parlare G. ritorna pian piano dalla ragazza)

G. Ti faceva paura con quegli scarponi neri… ...scoppi di testa vuota con cerchioni... la loro testa: gelatina infantile... schiaffi sul letto... ti voleva a tutti i costi... la macchinetta spinata volava nel cielo, adagiandosi lentamente fra i campi...

 

(T. riprende a scrivere i suoi appunti).

T. Il canto scritto ci porta alla memorizzazione e al consumo, mentre quello timbrico è un canto che non si pone più il problema della "orecchiabilità", preferisce non essere ricordato né ripetuto. E’ un canto inesistente, che nasce e muore ogni volta; esso si incastona liberamente in maniera imprevedibile nella partitura strumentale con giochi di rimandi e sovrapposizioni (28). La dinamica del rigetto del "canto scritto" consiste anche nel liberare le forze ed i flussi repressi del testo letterario e musicale. Nel vecchio teatro musicale la voce cancella il testo letterario, mentre il canto timbrico lo rinforza. Sai benissimo che chiunque può riprodurre un canto scritto, basta studiare una partitura; per la realizzazione del canto timbrico, invece, sono necessari artisti con una particolare creatività.

G. Come me…(sforzandosi di mascherare la sua tristezza)

T. Hmm…(smorfia)

(T. ormai stufo di quella assurda ed infinita situazione, cerca di raggiungere i due attori)

T. (All’attore 1) Scusa, puoi dirmi perché Kanikos non arriva? E cosa ci fa quella testa al centro della sala?

 

(L’attore non risponde e lo guarda con aria di minaccia, così T. indietreggia e, spaventato, ritorna da G.)

G. Allora?

T. Mi ha solo guardato senza rispondermi, sembrava una mummia vivente e mi ha spaventato a morte con quel suo sguardo assente. Vuoi sapere cosa penso?

G. Dimmi...

T. Penso che gli attori abbiano fatto sparire il regista e che, ponendo la sua testa al centro della sala, sperino di ricevere dal suo spirito molta più energia di quando era con loro…

G. …fino a questo punto sono capaci di arrivare gli attori?

T. Voi attori siete capaci anche di altro. Il canto timbrico è un’altra faccia dell’espressione drammaturgica. Nel rapporto con la musica, la reattività del cantante deve produrre canti imprevedibili, cangianti, fortemente emotivi, così come quella dell’attore produce una potenza drammaturgica maggiore. Il canto nel mio teatro è un evento che sfugge alla gabbia dell’interpretazione, lasciando venire fuori varie altre peculiarità nomadi della musica. Il cantante è come una calamita che attira a sé tutte le energie presenti nell’opera e le rimanda potenziate dalla propria espressività.

G. Il paragone con la calamita, rende bene l’idea, ma ritengo che sia un po’ eccessivo. Come può una persona attirare tutte le energie dell’opera e rimandarle potenziate…Boh! Ma, dimmi, non eri tu quello contrario al canto?

T. Non sono avverso al canto in generale, ma, come ti dicevo prima, sono avverso al canto melodico. E poi non mi piacciono le canzoni in teatro.

G. E con i cantanti come la mettiamo?

T. Ammiro quelli creativi che cavano da sé voci immateriali, misteriose…

G. Il canto timbrico ha qualche obbligo, qualche costrizione, o che so io?

T. Non ha obblighi neppure nei riguardi del tempo, esso sceglie il proprio tempo; non ha che l’istante.

G. Che razza di tecnica è?

T. E’ tecnica senza prodotto. Seppure i miei magmi timbrici conservino elementi melodici, su di loro non poseranno mai melodie.

G. Ma passeranno, almeno?

T. Cosa?

G. Le melodie, no?

T. Sì, passeranno, ma senza fermarsi. Il canto nell’opera senza canto è sciolto dalla sudditanza del testo musicale.

 

(Colpi di tosse catarrosa dal fondo della sala)

G. Ascolta, la voce dell’attore è roca, terrificante come un canto timbrico...

T. Figuriamoci che idea poteva farsi uno come te del canto timbrico.

G. Guarda la sua faccia illuminata dal lampeggiante giallo... e la sua gemebonda voce… la gola aperta... i furori notturni rumoreggiano come farfalle nella sua testa… sembra l’uccello del malaugurio, che gira e rigira…

T. La libertà sviluppa maggiormente l’espressività…

G. Accelera…

T. (ubbidisce) Ma la sfida più importante è quella della varietà dei canti; l’opera senza canto, ad ogni sua rappresentazione, avrà sempre canti diversi, diventando così "opera dinamica".

G. Più veloce, ti prego…

 

(T. accelera e il suo parlato diventa quasi incomprensibile)

G. Mormorio indistinto…riposo per me…

T. Non solo il canto e la recitazione si trasformano ad ogni esecuzione, ma anche la musica, che subisce comunque delle variazioni: le mie partiture, infatti, prevedono relazioni timbriche che gli strumentisti non potranno mai eseguire allo stesso modo.

La contemporaneità tende, attraverso il virtuale, a fissare tutto in maniera statica, mentre queste operazioni vanno in direzione opposta.

G. Calma, rallentiamo. Ho capito che la prevedibilità distrugge l’opera, e che il tema dominante del tuo lavoro è l’imprevedibilità organizzata.

T. No, no… aspetta, non devi trarre conclusioni affrettate… io non intendo organizzare un bel niente.

G. Quelli come loro cercano la fantasia nell’insensibile, oppressi dall’eccessiva speranza... la fantasia degli oggetti: una fantasia morta per loro… non sono in grado di procurarsi nemmeno un permesso per l’ignoto...

T. Non ci pensano neppure...

G. Pensano di trovare la loro festa servendosi del morto... di un morto che sorride da protagonista... in questo luogo tutto è invisibile...

T. Usano solo pareti bianche... stanze spaesate, aperte da tutte le parti ...

G. Guardano con i piedi callosi di un santo…

T. Una panoramica visione dipinta di bianco...

G. So benissimo quanto il canto liberi energie, tensioni. Voglio raccontarti una storia, che tanto tempo fa mi raccontò mio zio Fedele. Un ragazzo down abitava con il fratello sposato la cui giovane moglie morì. Dopo la morte della donna il ragazzo fu colto da un’incredibile tristezza; si chiuse in se stesso con ostinazione e non c’era verso di smuoverlo. Non mangiava più e se ne stava tutto il giorno accovacciato in un angolo della casa, lamentandosi e ripetendo sempre una stessa frase: "aah quella cognata mia di prima, aah quella cognata mia di prima". Dopo poco tempo il fratello si risposò e il down continuava a lamentarsi per la perdita della cognata. La nuova cognata, notando questa situazione, cercò di rimediare in tutti i modi. Ma dopo un po’ di tempo, mentre stava per rinunciare alla sua lotta, notò che tutte le volte che passava davanti al ragazzo quest’ultimo guardava - con occhi sbarrati - il suo prosperoso didietro. Lei, molto imbarazzata, inizialmente non capiva. Poi, un giorno, rimasti soli, lei chiamò il ragazzo, prese la sua mano e l’accompagnò sulle sue belle rotondità. Il ragazzo prima la palpò con enfasi, ma subito dopo si divincolò, posizionandosi di spalle al muro con le gambe e le braccia aperte, come se dietro di lui non ci fosse un muro ma una croce. La donna vedendo la scena e osservando l’incredibile gonfiore nella parte bassa del giovane, fu presa da un coacervo di emozioni e non riusciva a distogliere lo sguardo da quel punto così attraente. Si diceva che la natura avesse regalato a quel ragazzo un bell’organo…

T. (interrompendolo) A canna…

  1. A canna! Ma sei tutto scemo…

T. E quale canna, quella sottile degli acuti o quella enorme dei bassi?…

G. Dicevo… la natura gli aveva regalato un poderoso organo genitale. La donna a questo punto capì e, presa com’era dal desiderio, si avvicinò e posizionò il suo armonioso didietro sull’organo del ragazzo, iniziando così un focoso strofinamento. Il down cantava emettendo stranissimi e gioiosi fonemi vocali.

T. Come canti timbrici?

G. Spero che tu ora abbia capito quali sono i momenti migliori in cui il canto libera tensioni; ma riprendiamo il racconto. La giovane donna ebbe così la conferma di quello che aveva intuito, e cioè che i lamenti del ragazzo erano dovuti alla mancanza di momenti speciali come quelli che stavano vivendo: momenti che la "cognata di prima" gli regalava. Quando ebbero finito gli disse che si dispiaceva di non aver compreso subito quella sua necessità, e che non doveva più preoccuparsi, perché lei lo avrebbe accontentato sempre. (rivolgendosi a T.) Ti è piaciuta?

T. Si, è piccante e commovente allo stesso tempo…

G. Bada, questa storia è realmente accaduta, non come le tue che sono false, ovvero "artistiche".

T. Io non racconto storie, illustro solo teorie, e poi cosa c’entra questa tua storiella col canto?

G. C’è sempre stato un nesso tra canto e sesso… (ride con gusto). Prima, quando parlavi di vocalità "sporca", volevo farti una domanda. Si può dire che il canto timbrico sia come quello etnico?

T. Sì, è simile. Diciamo, però, che il canto timbrico rappresenta l’evoluzione di quello etnico; quest’ultimo, basandosi per lo più sulla voce naturale del cantante (Modulo1), risulta timbricamente più statico, mentre il nostro cambia sempre. Ogni nota pura del normale canto corrisponde ad un timbro diverso nel canto del nostro teatro. Insomma, ogni singolo fonema ha una relazione "intonativa" con un oggetto di diverso timbro e di diversa altezza (29). Pertanto non ti sarà difficile notare una differenza anche tra il canto ed il recitato timbrico. Considerando che in quest’ultimo vi sono delle necessità recitative, i rapporti fra i moduli e i percorsi risulteranno fondamentali; mentre gli stessi, non potranno essere applicati al canto timbrico, perché questo perderebbe la sua "cantabilità".

Infine, se ami le analogie, riguardo alla relazione "intonativa", puoi pensare ad una sorta di dodecafonia oggettuale, ove alle 12 note corrispondono 12 timbri derivati dagli oggetti. Che estensione vocale hai?

G. Quasi due ottave.

T. Avrai quindi quasi 24 timbri diversi.

G. Serviranno dunque 24 oggetti per la preparazione della voce?

T. Come vuoi. Altrove ti ho spiegato che un oggetto non possiede l’unicità di una nota, ma ha varie possibilità sia di altezza che di timbro, perciò con pochi oggetti puoi cogliere molte modulazioni vocali.

G. E le altre tecniche descritte nella sezione dedicata al recitato, sono applicabili anche al canto timbrico?

T. Certamente, non te l’ho gia detto?

(Intanto l’attore 1, posizionandosi al centro del cerchio delle danzatrici, si spoglia con gesti volgari sotto lo sguardo spaventatissimo delle ragazze. Poi assume una posizione canina e, digrignando i denti, abbaia in maniera sonorissima ed insopportabile; si muove a salti e azzanna le caviglie delle donne per costringerle ad una danza sempre più sfibrante.

G. (a T.) Guarda quel folle.

T. E’ assurdo, probabilmente dopo averle ridotte allo sfinimento, vuole violentarle una alla volta.

G. Macché, guarda, non ha nulla che gli pende.

T. Uh! E’ vero... (ridendo) è innocuo come un eunuco…ecco perché ti guardava con insistenza…

G. (smettendo bruscamente di ridere) Senti, dovresti proprio piantarla con queste allusioni.

T. Altro che allusioni…forse…se l’accontenti…

G. (urlando) Basta!…smettila!!…

T. Finalmente!

G. Finalmente cosa?…Ci portano da mangiare?

T. No, finalmente potrò parlarti del mio argomento preferito: (con enfasi) la liuteria oggettistica.

G. (piagnucoloso) Povero me!…non finisce proprio mai…

T. Nei lavori precedenti avevo dato alla parte dell’interprete una libertà d’articolazione del suo recitato che si sviluppava, però, sempre in stretta relazione con la musica. Questa libertà, oltre a considerare le necessità del piano unico di percezione, creava anche i canoni emotivi, di cui ti ho parlato precedentemente.

G. Gesù, aiutami…

T. Stai tranquillo, non ripeterò tutto quanto.

G. Bontà di Dio!

T. In seguito ho riflettuto sui risultati raggiunti inserendo, all’interno delle sezioni e dei periodi, nuove e più chiare indicazioni. Avevo dato, ad esempio, maggiore libertà alle articolazioni interne della partitura, all’andamento, alle dinamiche, al canto e al recitato timbrico. La libertà d’andamento suscitava maggiori accelerazioni e rallentamenti. Inoltre le segmentazioni metriche e ritmiche potevano iniziare e finire a piacere. Il canto e il recitato timbrico avevano, al loro interno, molte più sfumature e le dinamiche erano di molto variate: vi potevano essere dei crescendo o diminuendo più rapidi; infine vi poteva essere una ricca utilizzazione degli accenti e così via. Tutto era stato da me meglio definito, affinché il rapporto tra i due linguaggi risultasse chiarissimo.

G. Con l’inchino dico: signori, questo è lui (indicando l’attore sempre nudo e a quattro zampe), vuole, desidera, è sempre presente il tiranno, spia dal suo nascondiglio… ma gli mancano i pendenti…. E i suoi momenti importanti sono inesistenti… s’interessa alla sofferenza, ma a quella degli altri, non alla propria. Eccolo al vostro giudizio…

 

Attore1 (ad alta voce) La pulsazione scuote emozioni fuori tempo... materializzo semplicemente, non faccio altro... solo questo mi serve...

G. (gridando) Non abbiamo noi uomini scoperto ancora nulla… con le nostre cose inventate salviamo solo il salvatico.

T. Per quanto riguarda la strumentazione, tenendo conto delle necessità vocali della mia ricerca, affidai alla parte strumentale una componente rumorale maggiore.

G. Immagino che razza d’insopportabile musica vien fuori dai tuoi rumori!

T. Non è musica…

G. Meno male che lo dici tu stesso …e cos’è allora?

T. Drammaturgia dell’udibile… ed ora vorrei farti una proposta.

G. Sentiamo.

T. Lasciami finire!

G. Sei ormai fuori di testa… pensavo volessi propormi chissà che…

T. Fatto questo…

G. Cioè cosa?

T. Dopo aver affidato alla parte strumentale una componente rumorale maggiore, non senza una buona dose di coraggio, sostituii l’orchestra tradizionale con un’orchestra d’oggetti, evitando così un ammasso indiscriminato di strumenti ed usando spesso blocchi sonori omogenei. Continuavo ad utilizzare, comunque, strumenti tradizionali, fondendo il loro suono con i rumori degli oggetti, esercitandomi così nella pratica della fusione timbrica (30). Questa pratica compositiva non è altro che la versione "oggettistica" della musica spettrale.

G. Musica spettrale?

T. Non quella che pensi tu… "spettrale" da spettro armonico (31). Erano essenzialmente gli oggetti che determinavano l’aspetto formale del lavoro. La liuteria oggettistica permetteva anche ai musicisti di stare in scena in maniera drammaturgicamente efficace. Un’orchestra d’oggetti produce una sorta di musica originaria, muove dalla natura e a lei si accompagna. Sai, la natura non conosce l’armonia come scienza degli accordi: l’udibile della natura è un’armonia di timbri.

G. Ricordo benissimo i coltelli come bacchette da batterista dopo aver sgozzato agnelli… ero sempre a contatto col sangue… bevevo sangue caldo insieme agli spiriti dell’Ade… ferite ancora aperte… entravo di testa in quel forno ma, allora, non capivo i forni: erano passati vent’anni dai bastardi forni del mancato artista col baffetto… (cantando e marciando). Sì, sì…lo so…i mancati artisti sono pericolosi …sì, sì…lo so…i mancati artisti sono… pericolosi…so…i…man…cati…si… si peri…co…lo….si…si…si…iiiiii……mancati…so…no…si…si …si… peri …co …losi…

 

(urlando con angoscia) Basta! Basta!!…

 

(L’attore 1 si blocca e, sempre conservando la posizione canina, si gira verso i due gocciolante di sudore e, con la bocca piena di bava e di sangue, si avvicina a G., lo guarda con insistenza mentre pian piano l’espressione violenta del suo viso si trasforma in un’immagine di desiderio. Poi, voltandosi, attende la reazione di G. in silenzio come un docile essere indifeso)

T. Ecco come si dissolve la violenza degli uomini.

G. (Ignorando l’attore 1 ripete la stessa scena avvenuta sul traghetto)

….Virtù...alè...quantiglia!… Gira e rigira, pelo e contro pelo, alza una gamba e poi un altra, giù botte con la cintura di coccodrillo arzillo… i sospiri dell’amore a vicenda… ma…ma… senza malizia, ognuno pensava a se stesso, uh! ah! che sesso... "primavera, danza, musica, in tutto c’è gara di esso" (Il desideroso ogni tanto si volta per guardare quel che accade, poi, speranzoso riassume la posizione precedente)

G. Corpi nell’attesa di piaceri… materia che si riscalda…

 

( Alla parola materia T. scatta come una molla)

T. La materia è la fonte di tutto, suggerisce anche la scrittura musicale. Una scrittura timbrico/ritmica, come quella dell’opera senza canto, nasce da necessità materiche e raccoglie, per così dire, la naturalità insita nei corpi sonori/rumorali. Oltre ai timbri pongo attenzione alle gradazioni della risonanza di questi ultimi, così da corpi molto risonanti, come quelli di metallo, si giunge alla scarsa risonanza del legno, passando dal vetro, dalla pietra, dalla terracotta, dalla plastica, ecc. Naturalmente possiamo aumentare o diminuire la risonanza degli oggetti aggiungendo dei risuonatori ai corpi poco risonanti e ridimensionando quelli molto risonanti con tecniche di smorzamento manuali o meccaniche.

G. (fra sé) Smorzare sì, smorzare…smorzare questa voce…

T. Cerco, però, di non intervenire molto con queste tecniche, lasciando che i corpi sonori sprigionino liberamente le loro naturali potenzialità, le quali arricchiscono di nuove sonorità gli strumenti tradizionali che considero più poveri e prevedibili. Per avere un’ottima fusione timbrica, un oggetto di metallo deve essere posto in relazione omoritmica con uno strumento di metallo, ad esempio il vibrafono. L’altezza della nota di quest’ultimo deve essere vicinissima a quella dell’oggetto, in modo da fondere e rendere irriconoscibile il proprio suono, generando un nuovo timbro come risultante dei precedenti. Applico questo procedimento non solo al metallo, ma a tutti i corpi sonori, di qualsiasi materia essi siano; così il lavoro di composizione nell’opera senza canto, iniziando dalla materia, si realizza sempre in maniera suggestiva e dinamica. Sai che l’enorme risonanza del metallo genera accumuli di sonorità impure?

G. Non ne sono consapevole.

T. Se vuoi scrivere un’opera e lavorare con il metallo non è necessaria una grande orchestra.

G. Perché?

T. L’accumulo di sonorità che il metallo genera soddisfa qualsiasi necessità compositiva e drammaturgica, evitando semplicemente di smorzare il suono.

G. Dici che è possibile ascoltare quasi un’orchestra completa, pur lavorando con pochi esecutori?

T. Beh, proprio un’orchestra completa no!

Ad esempio in III RiccardoIII ho inserito un corno, un trombone e moltissimi oggetti di metallo, ed ho lasciato che tutto risuonasse in continuazione: le sonorità impure dei metalli percossi si fondevano sempre con quelle pure/impure dei due ottoni. Ti garantisco che sembravano un unico corpo risonante. Anche per questo motivo non avvertivo la necessità di scrivere tante note; tutto, infatti, fu composto con sole quattro note ed una ritmica non molto elaborata…

G. Un lavoro intero con sole quattro note… sei un mago!

T. Ma quale mago! Questo tipo di linguaggio sarebbe stato impossibile con il legno, dato che la sonorità di quest’ultimo si spegne subito (infatti nel Gordon Pym la scrittura è molto più carica di note e di ritmi). Le percussioni e la voce, con il sostegno dell’elettronica, danno vita a sonorità più adatte a creare un paesaggio timbrico aderente all’epoca, alle situazioni, alle sonorità dell’opera letteraria. L’aderenza sonora, insieme alle necessità descritte nel pudp, è un’altra prerogativa dell’opera senza canto. Affermando queste aderenze si può ottenere un’impressione precisa dell’opera letteraria.

G. Da quanto tempo ti girano queste cose nella testa?

T. Di ciò ero già consapevole durante la composizione dei precedenti lavori, quando usavo i blocchi sonori omogenei, tutti oggetti di metallo per la battaglia di Riccardo III, di legno per simboleggiare timbricamente la nave del Gordon Pym, oggetti di terracotta e pietre per la grecità in Reputi di Medea

 

Attore1 (si riveste, insoddisfatto e deluso riprendendo il suo atteggiamento violento) Sincrono leggero! (urlando) Movimento verso destra… trema… anfibio… trema… sono incazzatissimo…

G. (contento) Chissà come fa, visto che non né ha…

 

Attore 2 Che dici, ci sarà permesso filtrare l’aria dal buco informe scoppiettante in un’epoca non remota?… Non mi rispondi?… Che fai?…

 

Att.1 (gridando) Inchiodo le pedane e il mio cavallo di legno… possono servirmi ad alzarmi ed acquisire la visibilità annullata dall’incomprensione…

T. (a G.) Artista mancato col baffetto… egli aveva preso dal filosofo pagliaccio – così si definì alla fine, quando si crocifisse – al quale dava ragione: non ci si può fermare, diceva, si può essere violenti o nolenti…

 

Att1 …farsi del male, questa è la ragione che mi spinge verso direzioni inattese…

G. Dici che potremmo percuoterlo come una percussione in processione?

T. "Il vantaggio delle percussioni sta nel fatto che esse non sanno raccontare una storia", sostiene il compositore Edgar Varese (32). Devo purtroppo contraddire quest’affermazione del compositore francese, perché le percussioni sono gli strumenti più adatti a raccontare storie. Penso che l’affermazione di Varese sia stata determinata dal fatto che le percussioni sono refrattarie agli elementi melodici, ma, il compositore trascurava la forza evocativa del timbro di questi strumenti. Le frasi timbriche, più frammentarie, possono interrompere la consequenzialità tipica di una linea melodica, ma l’evocatività che ne emerge ci narra bellissime storie, fossero pure a frammenti. Ho cercato di comporre lavori il cui testo fosse tratto da storie ben note al pubblico (chi non conosce la tragedia di Medea o di Riccardo III, mi dicevo) che mi permettevano una sperimentazione vocale e strumentale. Potevo, ad esempio, adoperare l’imprevedibilità ritmica e timbrica; gli effetti enfatizzanti dati da sovrapposizioni di parole, suono, immagini, gesticolazioni, ecc. Questo uso del testo mi permetteva anche di passare da una dimensione realistica ad una fiabesca e di adoperare timbri amaforici.

G. Mi arrendo.

T. Va bene, va bene… i timbri amaforici sono quelli che anticipano gli avvenimenti: ci ricordano situazioni angosciose, mentre stiamo vivendo bei momenti ecc. Le storie note, infine, mi permettevano di rifuggire anche la logicità degli eventi, che diventava relativa così come la consequenzialità del racconto. Tutto questo senza correre il rischio dell’ incomprensibilità, tenendo per così dire il pubblico all’interno della vicenda e permettendo agli spettatori una libera applicazione delle informazioni agli eventi della storia stessa.

G. (dopo aver ascoltato i greci) Non riesco a capire se recitano o fanno sul serio.

T. Prendono tempo…

G. I giovani sperano… vogliono procedere, ma restano attoniti… hai capito?

T. Chi, io?

G. Sì, tu!

G. Continuiamo il nostro incostante laboratorio…

T. Sì, proseguiamo.

G. Cominciamo a caso?

T. A caso? …non credo che tu saresti in grado di iniziare a caso… all’artista senza un minimo di tecnica il caso non concede nulla.

G. Secondo te io non ho tecnica?

T. Non so, adesso vedremo. Durante un percorso improvvisativo si dimentica il peso della tecnica, prestando maggiore attenzione alle emozioni. Questa è una pratica che stanca molto e crea problemi di controllo.

G. Dici che conviene trattare i problemi tecnici a freddo, senza emotività?

T. Conviene. Si può agire improvvisando e prendendo appunti su quello che si scopre, in seguito, con calma - senza accendere fuochi - ci si può esercitare…

G. L’emotività è forte, aiuta la scoperta e mette in rilievo nuovi elementi. A me non piace lavorare a freddo, solo sui problemi tecnici, in questo modo perdo la creatività, "l’anima"…

T. Se l’anima ce l’hai non la perdi mai – anche se lavori a freddo.

T. Questi qui secondo me fanno un teatro…

G. (interrompendolo) …della crudeltà…

T. Sai che è veramente difficile capire se fanno sul serio oppure fingono?

G. Perché non glielo chiediamo?

T. Chiedi, chiedi pure.

G. (all’attore 2) Senti, scusa, fate sul serio o recitate?

 

(L’Attore 2 a tutta risposta ride in maniera convulsa, saltando e gettandosi per terra, come se invece di aver ricevuto una domanda fosse stato morso dalla tarantola).

G. Io sono contro la specializzazione e rifiuto le tecniche che portano ad essa.

T. Io invece avverso alla cultura… bisogna fuggire i nuovi metodi d’analisi, non permettere il facile intervento dei mezzi culturali.

G. Tutti siamo contro tutto e contro tutti, sai dirmi perché?

T. Forse perché sappiamo troppo…

G. (ironico) Ora capisco perché te la prendi tanto con la cultura… siete tutti cattivi… (accompagnandosi con un gesto effeminato) …e tu, e tu… sei cattivissimo e contraddittorio all’eccesso.

T. E’ vero, così però… sfuggo sempre.

G. A chi?

T. A tutti e a me stesso. La cultura opprime la creatività, creando problemi alla ricerca. Molta gente non riesce a fare arte a causa dei condizionamenti della cultura trasmessa nei luoghi del "sapere". Il proprio linguaggio deve formarsi senza alterazioni determinate da influenze "culturali".

G. Ma le gioie provenienti dalla cultura aiutano a far sorgere un teatro d’incantesimi…

T. Ripeto… i ricercatori degni di questo titolo devono rifiutare il più possibile le influenze culturali, bisogna che interroghino il proprio intimo; è da questo che inizia la ricerca.

G. Come disegni i suoni?

T. Conviene inventarsi i propri segni e lasciare la composizione sempre aperta.

G. Nella mia partitura d’attore raccolgo il "disordine naturale".

T. Si dovrebbe evitare di fissare tutto; si potrebbero avere difficoltà a scoprire nuove cose. Ultimamente mi diverto a comporre delle partiture direttamente sugli oggetti/strumenti. La partitura sulla pietra, sui piatti, sui tamburi mette in atto un processo semiotico a più direzioni: l’oggetto è contemporaneamente partitura/immagine/suono. Il processo è molto efficace perché costringe a pensare al segno nel suo utilizzo sonoro/temporale/visivo. Le partiture/oggetto sono un sostegno per la creatività: ready mades musical/visivi. Gli oggetti costituiscono anche una sorta di scenografia e sono pensati essenzialmente come sculture sonore, gli strumenti tradizionali impiegati nell’opera senza canto non sono mai in rilievo rispetto al resto: essi sono integrati secondo un’idea di fusione visiva. Le opere cubiste di Braque indicano bene quello che intendo (vedi ad esempio chitarra e fruttiera; violino e tavolozza (1909); violino e bicchiere (1910); Chitarra foglio di musica e bicchiere (1912); violino e pipa (1913) ecc.

G. Scrivendo le partiture direttamente sugli oggetti, essi non si possono né pubblicare e neppure fotocopiare, esatto?

T. Esatto.

G. Ora capisco perché prima parlavi dell’evoluzione creatrice della fotocopiatrice… hai paura che copino i tuoi "capolavori", vero?

T. L’artista si difende come può…

G. Io ho conosciuto grandi uomini che non osavano…

T. E’ vero, il dolore spaventa anche loro; spesso - troppo spesso - ho visto i loro volti color cenere…

G. I sogni sono sempre presenti, giusti, affabuloni o bulloni estatici che ci stringono la gola appiattita (si distrae ripensando alla ragazza sordomuta e fingendo con lei un dialogo) le tue trasparenti vesti… il polline t’insegue ovunque inestimabile…

T. Faccia di legno, coperta dal bianco fazzoletto…

G. "Sono solo maschere buffonesche ricamate con parole variopinte"… ignoto! (gridando in direzione degli attori) Fermati, lascia che t’informi, la tua attesa è la mia gioia… "di te fai sacrificio, ti tormenta la ricchezza – consegni te".

T. Concentrati! Vorrei continuare a parlarti dei miei segni.

G. Mi concentro, mi concentro…

T. Nel tentativo di impostare una partitura per attore pensavo ad un sistema di segni, ad un andamento ed ad un’inflessione della voce non rigidamente prefissati, che potessero in qualche modo permettere all’attore di sviluppare la sua interiorità senza eccessivo condizionamento da parte della musica, anche per evitare di distruggere la conflittualità e la reattività. Sono sempre più consapevole che l’interprete, nel teatro musicale, obbligato ad eseguire parti tecnicamente difficili, perda quell’espressione interiore che gli attori invece conservano.

G. La perdita dell’interiorità distrugge la magia del teatro. L’attore non si lascia ingabbiare facilmente in una partitura.

T. O in una griglia ritmica.

G. Poiché ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi respiri.

T. Per questi motivi le vocalità attoriali dell’opera senza canto non sono (almeno non completamente) scritte.

T. Come ti dicevo prima , l’opera senza canto non può prescindere dalla materia/oggetto da cui emergono suoni, rumori e forme senza una necessaria prescrittura.

G. Scrivi mai partiture prima di aver scelto la materia sonora-rumorale?

T. Qualche volta, ma considero lo scritto come un semplice appunto; non ho mai piegato, insomma, la materia alla volontà della scrittura.

G. Questo teatro ha una struttura, almeno?

T. No, non prevedo una struttura rigida, nel senso che mi rifiuto di predeterminarla. Essa si sviluppa spontaneamente ed è il risultato della relazione suono-testo-narrazione e dei rapporti percettivi.

Le partiture documentano un processo. E anche se vi sono delle sezioni scritte con una certa precisione, non è detto che debbano essere eseguite sempre allo stesso modo e che l’opera debba essere "eterna"; esse, infatti, servono da guida per successive trasformazioni: l’opera è pensata in divenire. Per quanto la partitura possa dare delle indicazioni relative alla dimensione ed alla qualità della materia, la timbrica del lavoro risulterà diversa ad ogni allestimento, essendo difficile che un oggetto "raccolto" abbia caratteristiche identiche rispetto ad un altro simile.

G. C’è bisogno di qualche esempio.

T. Basterà aprire qualcuna delle mie partiture per rendertene conto; in esse troverai un elenco di oggetti con indicazioni riguardanti il timbro, le altezze, le dimensioni, il simbolo grafico abbinato ed altre caratteristiche. Troverai anche didascalie che invitano l’interprete a scegliere liberamente i suoi materiali; egli non si troverà mai, nell’opera senza canto, nell’impossibilità di non poter allestire il lavoro, perché gli oggetti previsti in partitura sono diversi da quelli che egli riesce a trovare. Molte composizioni sono ineseguibili a causa della rigidità dei loro autori, i quali esigono che il corpo sonoro sia esattamente quello indicato da loro, altrimenti considerano falsificata la realizzazione della partitura.

G. Ognuno è libero di fare quello che vuole, non credi?

T. Certo, a causa dell’immortalità che sognano, sono anche liberi di non fare eseguire i proprio lavori.

G. Come sarebbe a dire "a causa dell’immortalità"?

T. Sono rigidi perché credono ancora alla "Chimera" dell’opera immortale.

G. Per questo ogni esecuzione deve rispettare fedelmente le loro indicazioni? Tu, però, dici che la ripetitività crea abitudine e prevedibilità e che l’opera, per questo, si consuma.

T. Sì, ma questo loro non lo sanno.

G. Questa tua strategia per evitare la consumabilità non sarà per caso un tuo modo di cercare l’immortalità?

T. Proprio per niente.

G. Perché?

T. Le mie composizioni non esistono come "opere". Ma, ripeto, esistono come qualcosa che documenta un processo sempre in divenire.

G. Anche la ritmica conserva ampi margini di libertà? T. Mi pare ovvio. Infatti ho messo in pratica una simbologia ritmica che, come ti indicherò a breve, è adatta allo scopo. Pertanto, semplifico enormemente la scrittura musicale affinché l’opera senza canto possa essere fatta da tutti e a vari livelli. Ti indicherò alcuni personali simboli segnici, ma ognuno potrebbe crearsi una scrittura personalizzata per indicare suoni, recitati, cantati o eventi naturali. Questi segni hanno un significato timbrico e ritmico nel contempo.

 

 

Il n.1, linea di continuità, può indicare il movimento continuo del vento, delle nuvole, lo scorrere dell’acqua, un’automobile che ci passa d’avanti, il ronzio di un moscone, un fonema o il timbro lungo di un oggetto...

I nn. 2 e 3, ribattuto-staccato e ribattuto-legato, possono essere la rappresentazione di qualcosa che ribatte velocemente e continuamente come la pioggia, un martello pneumatico, un motore a scoppio, un recitato, un timbro…

Il n.4, ribattuto a singhiozzo, è simile al n.2 ma presenta l’inserimento di singhiozzi non regolari come anche il n. 5. Quest’ultimo è ancora più instabile perché prevede gli accenti.

I nn. 6 e 7, ribattuto-alternato, rappresentano l’alternanza regolare di due o più eventi naturali, di voci, di timbri diversi…

I nn. 8, 9 e 10 indicano tutti i tremolii, alternati, singhiozzati…

G. Come quelli delle cicale.

T. Esatto, però le cicale danno anche degli accenti e singhiozzano il tremolo. Poi vi possono essere delle variazioni di andamento con accelerazioni o rallentamenti (nn. 12, 13, 14).

I nn.15, 16, 17, 18 e 19 possono rappresentare uno sciabordio di onde…

G. Brulicati come quelli degli animali, oppure possono indicare una voce che pronuncia velocemente dei fonemi…

T. I nn. 20, 21, 22 e 23 sono rappresentazioni di eventi in glissando.

G. Le rappresentazioni fondamentali sono dunque la continuità, il ribattuto, il tremolio, il brulichio, il glissando e quant’altro facilmente codificabili da chiunque.

T. Sì, con un po’ di attenzione, osservando gli eventi naturali, potrai notare che gli stessi si sovrappongono in maniera sempre varia, quindi anche la simbologia appena mostrata può integrarsi in tanti modi diversi. I simboli grafici descritti assumono un andamento e una durata determinati dagli eventi naturali o da quelli che l’autore e l’interprete decidono di applicare. Mentre, se vuoi indicare con precisione l’oggetto, l’evento naturale o la voce, devi aggiungere altri simboli ai segni sopra indicati. Sono cose abbastanza semplici anche per te, vero? Ed ora anch’io voglio raccontarti una storia.

G. E’ sporca?

T. No.

G. Allora non mi interessa.

T. Ascolta, ascolta…lascia stare per una volta le tue ossessioni.

G. Senti chi parla di ossessioni…

T. Ti racconterò la storia di un uomo (che chiamavano Agostino "il musicista") posseduto dalla mania di costruire oggetti sonori. Questo strano liutaio era considerato un "dolce folle" perché amava donare gli oggetti da lui costruiti ai bambini del suo paese per il loro compleanno. Agostino era zoppo dalla nascita, i suoi capelli erano folti e di un argento vivo, in complesso la sua figura era bella e fiera: era fantastico vederlo passare per le strade del paese mentre suonava i suoi piatti. Lo zoppicare dava un ritmo particolare al suo corpo che assumeva una simpatica instabilità da equilibrista: il piede claudicante era sempre in battere, il colpo dei piatti in levare, era insomma una sorta di sonorizzazione del suo zoppicare. Quando passava per le strade si creava subito un aria di festa e i bambini lo seguivano divertendosi moltissimo. Raccoglieva oggetti inutilizzati dalle discariche dei paesi vicini ed aveva allestito un laboratorio ricchissimo di cose inutili: egli era ben consapevole, infatti, che le cose inutili ben si accordano con il mondo dell’arte e non vanno affatto d’accordo con quel mondo esasperato ed eccessivo dell’utile. La fama della sua bravura nel ricavare bellissimi oggetti sonori da materiali di scarto si diffuse ovunque. Così un giorno, mentre egli era alle prese con il suo divertimento, si presentò presso il suo laboratorio un furbo commerciante, che gli propose di lavorare per lui, promettendogli un’ottima percentuale per ogni strumento venduto. Agostino, che viveva miseramente, dopo varie insistenze da parte di questo signore, seppur a malincuore, accettò. In seguito a questo accordo, però, cominciarono i suoi guai: provava e riprovava gli oggetti da mettere in commercio, ma questi non volevano saperne di suonare. Era evidente che la sua sensibilità non poteva accettare la mercificazione e che le sue creazioni erano l’oggettivazione della sua anima.

Così, con il passare del tempo Agostino diventava sempre più triste, stava male e girava per le strade indossando i suoi oggetti, da cui non riusciva più a separarsi, sebbene non emettessero più alcun suono. La sua era diventata un’ossessione: teneva addosso tutti gli oggetti, sperando che questi assorbissero da sé energia vitale, ma ormai la sua anima era stata resa arida dalla mercificazione: egli sperava inutilmente. La tristezza della perdita del suo piccolo mondo sonoro lo conduceva sempre più verso una chiusura totale, a non incontrare più i bambini, a non voler vedere la gente che aveva sempre amato. Agostino si lasciò andare fino alla completa sopraffazione.

Il peso degli oggetti gli erano di impedimento persino nello svolgimento delle normali funzioni quotidiane. Stava quasi per lasciarsi morire d’inedia.n bel giorno, anzi un brutto giorno, dalla gravina del suo paese (la gravina è una profonda fenditura di origine sismica ed erosiva), giunse un agghiacciante rumore non identificabile: non se ne comprendeva la fonte né la natura; era un rumore così forte da terrorizzare tutti gli abitanti del luogo.

Questo tremendo rumore si riudiva puntualmente ogni sera, divenendo oggetto di varie ricerche, ma l’invisibile essere, che aveva generato queste paure, non era identificabile.

Anche Agostino, che abitava proprio a ridosso della gravina, malgrado la sua tristezza e le sue ormai deboli forze, volle tentare di scoprire qualcosa. Uscì di casa e si inoltrò all’interno della maestosa fenditura, portando con sé gli oggetti che tante volte aveva cercato di far suonare senza alcun risultato, e ad un tratto, mentre si inoltrava negli anfratti della gravina, sentì l’agghiacciante rumore; istintivamente si mise a percuotere i suoi oggetti sonori e, quasi per magia, questi iniziarono a vibrare, emettendo suoni acuti e penetranti. Il rumore spaventoso cessò quasi immediatamente. Allora Agostino riprese a suonare con più enfasi, ma il rumore si fece risentire con tutta la sua potenza: era un’incredibile sfida tra suoni sottili, acutissimi, celestiali, ed un frastuono profondo, possente, cavernoso. Agostino, per lo spavento, pensò che la lotta non fosse fra lui e l’invisibile essere "ma tra il cielo e la terra", una lotta della natura con se stessa. Suonando sempre con più insistenza, comprese che questo essere mal sopportava i suoni, e ad un tratto il rumore cessò.

Egli, raggiante di gioia, tornò a casa, si tolse tutti gli oggetti di dosso e si addormentò dopo aver mangiato del pane e del formaggio per riprendere forza. Il giorno dopo chiamò a raccolta tutti i suoi bambini raccontando di aver scoperto come scacciare l’invisibile essere che impediva loro di addormentarsi in pace. Così chiese ad ognuno di recarsi con lui, quella sera, all’interno della gravina, dove ciascuno avrebbe suonato con il proprio oggetto sonoro e senza i genitori. Così fecero. La sera si incontrarono a casa di Agostino e tutti insieme si avviarono suonando verso lo spaventoso luogo. E come la sera precedente, quando Agostino era solo, l’invisibile essere iniziò ad emettere il suo orrendo rumore. Vi fu di nuovo una lotta senza pari tra i suoni ed il rumore, fino alla graduale scomparsa di quest’ultimo che, dopo quella sera, non si fece più udire.

I bambini, con la loro grande prova di coraggio, avevano così sconfitto il male.

Dopo questa brutta avventura, Agostino riprese a costruire i suoi strumenti, che adesso erano più sonori e più belli di quelli di prima. Quando Agostino morì si continuò a parlare di lui come dell’uomo che sconfisse il male con gli "oggetti inutili". E dopo tanto tempo -per non dimenticare il "dolce folle"- il suo paese venne chiamato il "paese dei suoni".

G. Con favole ed acini di poesie raramente si convince… anch’io… frequento le discariche, ma a differenza di Agostino che raccoglie oggetti, io raccolgo concetti per i miei testi…e poi, se non lo sai, i concetti creano anche delle possibilità di vita.

T. Raccogli concetti nelle discariche?… Capisco. Per questo i testi che scrivi fanno schifo… hummm concetti "colti" e concetti "rac/colti"… Carl Gustav, ho bisogno di aiuto!

"Una sera – lo ricordo ancora con precisione - ero seduto presso il camino, e avevo messo un calderone sul fuoco per riscaldare l’acqua per lavarmi. Quando l’acqua cominciò a bollire, la caldaia prese a cantare. Sembrava che fossero molte voci, o degli strumenti a corda, e risuonava un’intera orchestra. Pareva musica polifonica, che in realtà non posso soffrire, ma in quel momento mi appariva straordinariamente interessante. Era proprio come se ci fosse un’orchestra all’interno della torre e un’altra al di fuori. Ora dominava l’una ora l’altra, come se si rispondessero a vicenda. Sedevo e ascoltavo affascinato. Per più di un’ora ascoltai il concerto, questa melodia "naturale". Era una musica dolce, pur contenendo tutte le "disarmonie della natura". Era giusto che fosse così, perché la natura non è soltanto "armoniosa", ma è anche paurosamente contraddittoria e "caotica". La musica era uno scrosciare di suoni, che avevano le qualità dell’acqua e del vento, così singolari che è impossibile descriverli" (33).

G. Questa è la più bella descrizione che fino ad ora mi hai fatto sulla musica naturale.

T. Bella vero? Peccato che non sia mia. L’oggetto raccolto è più vicino alla materia pura, a quella non manipolata, al contrario dello strumento, che è un oggetto colto, manipolato dal gusto e dalla cultura, quindi consumabile. Quando si è parlato di arte povera …

G. (interrompendolo) Gli oggetti di scarto erano considerati "poveri" forse perché non costavano nulla?

T. L’artista non usa materiali ricchi o poveri, ma necessari. Io, però, sono sempre stato attratto dalla materia pura (oggetto raccolto) perché le imperfezioni che contiene sono ricchissime di "significanti che indicano significati". L’oggetto raccolto, infatti, ha una storia e reca le tracce di un vissuto umano. La loro raccolta era per Agostino un modo per avvicinarsi alla gente, per lui, l’oggetto era come una preziosa teca che racchiudeva i segreti delle persone.

Gli strumenti musicali, invece, nascono come oggetti artistici "finiti" e, avendo una precisa collocazione nel loro mondo (quello della musica), non si prestano a molte possibilità di significato: i rimandi non sono così ricchi come quelli dell’oggetto raccolto, che ricordandoci sempre la propria provenienza, rappresenta una sorta di "legatura" tra il quotidiano (la vita) e l’extra-quotidiano (l’arte).

Se tu guardi un violino o un pianoforte, infatti, pensi immediatamente al mondo sacrale della musica, mentre, se osservi un oggetto qualsiasi, lo rapporti alla vita. E’ un meraviglioso gioco di rimandi tra il mondo della musica con i suoi strumenti colti e quella della vita quotidiana con i suoi oggetti raccolti; nell’opera senza canto non vi è separazione tra i due mondi.

G. … (perplesso)

T. Aspetta… Il processo è il seguente: la materia (minerale) diventa foglio di acciaio scomparendo in esso (34); il foglio d’acciaio è trasformato in pentola e scompare in essa; anche la pentola scompare nella sua usabilità. La nostra attenzione passa così ai cibi. Infine, quando la pentola diventa vecchia, viene gettata e a questo punto il processo dell’oggetto d’uso si chiude. Raccogliendo la vecchia pentola avviene un passaggio dall’oggetto utile (di prima) all’oggetto inutile (di adesso).

Questo passaggio riapre il processo. Prendiamo la pentola-metallo e cerchiamo di far emergere da essa le possibilità timbriche, analizzandone anche le potenzialità drammaturgiche: insomma, vediamo quale storia è in grado di raccontare. In seguito procediamo con il suo inserimento in un lavoro teatrale. Ed ecco che la pentola, diventando opera, "espone un mondo", come dice Heidegger nel suo fondamentale saggio (cit). L’oggetto perde la nostra attenzione quando diventa timbro; il timbro scompare quando ci trasmette le emozioni; le emozioni scompaiono quando diventano pensiero. E’ un meraviglioso processo.

Anche per il versante timbrico, come per quello delle durate, partendo da parametri naturali, abbiamo raggiunto l’uomo, che è la sintesi della natura e dell’arte.

T. Fuggiamo!

G. Ma... non aspettiamo più il regista?

T. Ti ho già detto come la penso, non credo proprio che egli possa arrivare, ci conviene andar via prima che questi facciano sparire anche noi... muoviti… ti vuoi muovere!

 

(G. con lo sguardo fisso al centro della sala indugia e, per costringere T. a restare, gli chiede di spiegargli ancora il suo teatro)

T. Per riportare la percezione su di un piano unico - stabilendo così un "perfetto dialogo" tra noi e le cose - bisogna prendere coscienza del rapporto che intercorre tra i nostri ritmi e quelli del mondo che ci circonda. Lavorare il timbro e il tempo significa essere all’interno delle cose in maniera "attiva o reattiva".

G. Ma mai passiva…

T. Appunto. A proposito, sai che i suoni e i rumori rendono "udibile" il tempo così come il movimento lo rende "visibile"?

G. Te le inventi proprio tutte.

T. Noi viviamo all’interno di un ambiente timbrico/ritmico in cui dobbiamo udire per forza i simboli acustici che ci circondano, perché non siamo noi a stabilire quando ascoltare. L’orecchio, infatti, ascolta sempre, non può isolarsi come gli occhi (35). Tu che vivi in città avrai provato a sentire quante combinazioni timbriche ci sono!

G. Figurati, e chi ha il tempo per queste cose!

T. Non ti sei mai interessato al fatto che siamo ormai investiti da rumori di macchine in sovrapposizione al cinguettare degli uccelli, alle radio, alle "sparate" delle motociclette, al rumore della pioggia, dei temporali, dei martelli pneumatici. Non hai mai prestato attenzione a questo ammasso indiscriminato di timbri. Sonorità naturali che si fondono con quelle della tecnologia e della vita quotidiana. Hai mai pensato che ogni timbro ha un altezza, una intensità, una granulosità, una luminosità… un volume, delle gradazioni di vibrazioni?

G. No.

T. Hai mai provato a misurare il tempo e a renderti conto del ritmo e dell’andamento accelerato di questi eventi? No, vero? Ti sembra che capire queste cose non abbia senso? Ebbene, tutto questo non è affatto senza senso ma è l’espressione di ciò che l’abbietto essere ci ha scaricato addosso. E tutto ha un’influenza sulla nostra vita in maniera fortemente condizionante questo agglomerato fatto d’instabilità, di rumore di accelerazioni, tutto l’eccesso che ci assorbe e ci annulla. E tu non ti sei mai interessato di tutto questo!

G. Ma come! Ti ho sentito parlare in maniera molto positiva dell’instabile e del rumore…

T. Non proprio positiva, ma naturalmente il potenziamento ha reso "feroce" la sonorità e la "dolce" instabilità degli eventi naturali che, così, perdono le loro bellissime caratteristiche. Noi ci troviamo a non essere più in grado di distinguere altri suoni e rumori … come il canto puro di un uccello, perché tutto è ormai, come ti dicevo prima, in sovrapposizione.

"Il confine fra "città" e "natura" è stato cancellato: la città degli uomini, un tempo nicchia del mondo extraumano, si estende all’intera natura terrestre e ne usurpa il posto. Tra naturale e artificiale non esiste più diffrenza e al tempo stesso la totalità degli artefatti, le opere dell’uomo che influiscono su di lui e mediante lui, genera una propria "natura", cioè una necessità con cui la libertà umana deve confrontarsi in senso completamente nuovo"(36).

G. E’ grave!

T. Certo che è grave…

G. Cosa dovremmo fare secondo te?

T. Non so. E’ tutto molto complesso. Quello che si potrebbe fare - per cosi dire, in piccolo - è cercare almeno di prendere coscienza di queste cose. Poi, potremmo imparare a separare gli elementi naturali dalla sporcizia, che la nostra confusa epoca aggrega a questi ultimi, e fare chiarezza sempre con lo scopo di creare degli scarti efficaci.

G. Si potrebbe indurre la gente a frequentare i "luoghi puri"?

T. Questo è un ottimo suggerimento.

G. Se vado in chiesa, vado in chiesa; se vado al teatro o al cinema, vado al teatro o al cinema; se vado in discoteca…

T. Vado in discoteca…

G. Se vado in campagna, ascolto i timbri della natura e nient’altro; se vado in una casa d’appuntamento…

T. Un attimo! Un attimo…quello non è un luogo puro… Se mettiamo il corpo in una condizione di scomodità e di disagio, questo si stanca e arrivano subito dei dolorini, tanto che si vorrebbe immediatamente cambiare posizione. La stessa cosa vale per il nostro spirito.

Trattandosi del corpo, ce ne accorgiamo con facilità; quando invece si tratta della nostra interiorità il più delle volte non ne siamo consapevoli, se non quando stiamo male. Solo chi si trova in uno stato di ipersensibilità se ne accorge subito, fuggendo dal luogo del disagio.

G. Fermati! Non allontanarti ulteriormente dal tuo settore…

T. Io voglio solo collegare la sfera dell’arte e quella della vita servendomi dei due parametri che ormai conosci bene e non ho alcuna intenzione di fare lo psicologo. Ti prego di lasciarmi la libertà di dire quello che penso, anche se in maniera semplicistica… non son forse degno dell’errore?

G. Sei degno, sei degno…

T. No, non vado oltre, mi fermo, hai ragione tu.

G. Allora?…

T. Allora cosa!

G. M’insegni come percepire le pulsazioni ritmiche e timbriche?

T. Perché no?… Potremmo iniziare un’analisi.

G. Come si procede a questa analisi?

T. Calma…osservati…

G. Mi osservo…

T. Senti nulla?

G. No, nulla, anzi …sì, sì, sento…

T. Cosa?

G. Sento dei rumori intestinali…

T. Hai fame?

G. Direi, è tanto tempo che non mettiamo niente nello stomaco, per fortuna ho con me qualcosa da mangiare.

T. Ascoltiamo la natura? Qui siamo in campagna, proviamo a prestare orecchio… (entrambi cercano di ascoltare qualcosa con attenzione, ma non odono nulla. In quel luogo regna sempre un silenzio assoluto)

G. Nulla, non si sente proprio nulla… non il canto di un uccello, di una cicala. Non si vede una formica, una mosca…nulla di nulla,…non c’è ombra di vita. Cosa ascoltiamo la mia pancia?

T. La tua pancia? Perché no… (la pancia di G. rumoreggia più volte) …cos’è un suono o un rumore?

G. Un rumore…

T. Perché?

G. Perché non ha quasi vibrazioni…

T. Vedo che hai ben compreso la differenza tra il suono e il rumore… e… quale durata hanno i rumori della tua pancia?

G. Aspettiamo che riprenda a rumoreggiare, poi misureremo…

T. Ecco, si fa risentire…

G. No, no è un falso allarme…aspettiam…

T. Rieccola, conta, conta…

G. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette…

T. Come sono questi rumori, ritmici o metrici?

G. Lunghi_______e brevi_---______ metrici, e ritmici____----(muovendosi come una marionetta) ritmici e metrici, metrici e ritmici…lunghi e brevi…metrici e ritmici…in maniera molto, ma molto instabile.

T. Bene, basta così, adesso puoi mangiare…placa pure il tuo rumorale!

Sia l’arte che la tecnologia potenziano l’elemento naturale. La tecnologia però, come sappiamo, è selvaggia, è una forza incontrollabile, fonde e incrementa tutto, esasperando. Non a caso il potenziamento della ritmica e dell’andamento, ad opera sua, ci ha creato dei disequilibri gravissimi. "A Henri Bergson fu chiesto un giorno come faremmo ad accorgerci d’un improvviso raddoppiamento di velocità di tutti gli eventi dell’universo. "E’ semplice", rispose, "lo capiremmo da un considerevole impoverimento della nostra esperienza"(…)"(37). L’arte, al contrario, raccogliendo l’essenza del rapporto natura-tecnologia, arricchisce, alleggerisce, abbellisce e potrebbe riportare la sensibilità alla naturalezza. E - come ti dicevo prima - considerata la capacità dei musicisti di padroneggiare il tempo, dovrebbero porsi questo come primo obiettivo. Possono farcela, possono promuovere l’educazione della gente a quei parametri su cui noi stiamo riflettendo.

G. In che modo?

T. Isolando i ritmi instabili naturali da quelli potenziati. Si potrebbe avviare un’esercitazione con l’aiuto di un metronomo. E’ un’esercitazione che i musicisti fanno normalmente durante i loro studi musicali perché imparano a controllare il tempo. Questo controllo permette loro di correggere efficacemente anche i ritmi interni e, quindi, l’andamento della loro vita.

G. Vuoi forse dire che dovremmo portare un metronomo sempre in tasca, quando usciamo di casa, quando andiamo a fare la spesa, quando andiamo al lavoro, quando pranziamo, quando facciamo l’amore…

T. Non sarebbe male…scherzo. Comunque, sei mai stato in palestra?

G. Qualche volta.

T. Hai visto come esercitano il corpo sul ritmo metronomico standard, meccanico… tun tun tun …

G. Aerobica, spinning?

T. Si potrebbero avviare dei corsi di correzione ritmica mediante esercizi su varie gradazioni di velocità…

G.(rapidamente) Tu faresti fare gli esercizi sul controllo del tempo/andamento all’intera società…

T. Sì, mi piacerebbe…oltre che con i miei allievi in conservatorio ho già provato con i bambini nelle scuole e devo dire che funziona …vuoi provare?

G. Va bene, proviamo…

 

(T. prende il piccolo metronomo elettronico che porta sempre con se come un rosario e regola il battere al minimo)

T. Tac tac tac …ora parla e muoviti seguendo la pulsazione del metronomo...vai…(G. parla lentissimo tirando ogni parola come un elastico)

G. soooonoooo sooooloooooo aaaaaal ceeennnnntrooooo eeeeeveeeeentaaaalmeeeeenteeee

Uuuuuuuna maaaaaniiinaaaa dii siiiiignoriiiina è aaaasssssente nnnnoooonn siiii prrrreseeentaaaa aaaal miiiiooo giuuuudizio. E’ assurdo e snervante nel contempo. Tu vorresti costringere la gente a rallentare tutte le proprie funzioni in questo modo?

T. No no, ti innervosisci perché non ci sei abituato, basta esercitarsi un po’ e ci si abitua. Vuoi provare ancora?

G. Ma questa volta veloce.

T. Va bene. Ecco, mettiamo la pulsazione a 160…avanti prova (G. prova e non riesce a parlare alla velocità prevista dal metronomo)

G. Non ci riesco! Senti… io non ti seguirò mai … ora mi hai proprio stufato…

T. Tranquillo…tu non devi parlare così, questi sono solo esempi dimostrativi…

G. Ho capito, ma non credo che la gente abbia voglia e tempo per esercitare la temporalità.

T. Peggio per la gente allora…

G. Ma essendo regolari, i battiti del metronomo non costringono alla regolarità quell’instabilità naturale che possiede ognuno di noi?

T. Devi usare il metronomo solo per indicare la velocità d’inizio, poi devi spegnerlo, proprio per evitare di far diventare le persone delle marionette o dei militari.

G. Come accade nel "tempo della produttività".

T. Queste esercitazioni possono essere la nostra salvezza. Noi siamo diventati strumenti automatici: una macchina che, non appena la metti in moto, parte con il suo assimilato e programmato ritmo, ritmo che non riusciamo più a controllare. Il nostro andamento è sempre più rapido e non si riesce più, neanche di poco, a modificarlo; è difficile far riabituare la nostra sensibilità e il nostro corpo ad un andamento affine alla nostra natura. "Ho imparato questo dal mio maestro: chi si serve di macchine, usa dei meccanismi e il suo spirito si meccanizza. Chi ha lo spirito meccanizzato, non possiede più la purezza dell’innocenza e perde la pace dell’anima. Non ignoro i pregi di questa macchina, ma avrei vergogna a servirmene"(38). Il far nulla ha un ritmo più lento e più legato, la vita attiva, invece, ha un ritmo più veloce e più staccato.

Il ritmo del fare e quello del non fare entrano in conflitto creando molti momenti di disagio. Il ritmo del fare, essendo il più potente, spinge sempre a intraprendere delle attività e crea uno stato di malessere quando non si fa nulla. Per questo il tempo libero è ormai vissuto come crisi. Crisi determinata, appunto, dal conflitto dei due ritmi: ritmi ciclotimici…

G. Cioè?

T. Alternanza incontrollata dell’andamento e quindi dell’emotività. A questo punto spero che ti sarai persuaso che non racconto stupidaggini. Prova a pensarci seriamente. Il silenzio tombale che c’è in questo posto mi suggerisce un altro tipo di esercizi. L’altra faccia della medaglia riguarda l’andamento dell’interiorità, del silenzio, della coscienza, delle mie intenzioni e delle mie possibilità…

G. Ora che fai, diventi un metafisico?

T. Forse è meglio lasciar perdere, potresti confonderti. Prima di parlare di queste cose è meglio approfondire quello che ti spiegavo prima: se non si padroneggia il tempo "concreto" non si può passare ad un tempo "spirituale".

Dunque, io vedo il teatro primario come luogo di libertà e di svolgimento delle esperienze, di controllo delle forze distruttive, delle tirannie della contemporaneità. Ed è in questo luogo…

G. In quale?

T. E’ nel luogo dell’arte che possiamo cercare di fare esperienze equilibrate dei parametri che accompagnano la nostra esistenza. Ti ricordi l’agosto del 1998, quando partecipasti all’opera/evento Ismene?

G. Certo che mi ricordo. In quell’occasione avevo un obiettivo: volevo tagliare i fili del senso. Il mio esperimento consisteva nel creare un evento che poteva condurre la gente in uno stato di non verbalizzazione di non mente(39).

Quando assistiamo ad un’opera, ascoltiamo, osserviamo e subito verbalizziamo, cioè vogliamo capire le parole e conoscere la vicenda. Raramente ci interessa vivere l’evento semplicemente sentendo. Il mio intento, quindi, andava molto al di là della semplice rappresentazione. Volevo, almeno per una serata, riportare l’arte teatrale ad una vera funzione sociale, che potesse stabilire un rapporto comunicativo non verbalizzante: un sentire comune.

G. Quindi, se la gente prende parte attivamente all’evento, non ha tempo di verbalizzare. Ora capisco perché avevi dato a tutti alcuni oggetti da suonare dicendo che si sarebbero divertiti. Era un tranello: volevi usarli come cavie per i tuoi esperimenti!

T. Cavie …che esagerazione!

G. So benissimo che quando si è impegnati in qualcosa di accattivante come un’attività creativa, il rapporto con il tempo diventa così serrato che non permette al pensiero di intromettersi. Questa è la maniera di raggiungere la condizione di non mente.

T. Infatti, nessuno di quelli ai quali avevo chiesto delle informazioni "razionali" riguardanti lo spettacolo seppe rispondermi. Alcuni mi dissero che, avendo partecipato suonando, non erano riusciti a seguire l’opera, pur sentendosi all’interno dell’evento; avevano perso la cognizione del tempo e dello spazio. Altri mi dissero che avevano avuto la mente bloccata, e per questo provarono un senso di angoscia. I razionalisti convinti non vollero suonare e mi confidarono di essere stati infastiditi dal fatto di non aver compreso nulla; un altro gruppo ancora si sforzava di suonare e di capire nello stesso tempo, ma si innervosì perché non fu capace né di divertirsi né di capire. Ti ricordi di esserti divertito? Alla fine dello spettacolo mi dicesti di esserti divertito un mondo, eppure la pièce era drammatica.

G. Eri riuscito nel tuo intento?

T. In parte funziona sempre con quelle persone che hanno un minimo di bagaglio concettuale e con quelli pronti a lasciarsi andare. Così avvenne quella sera.

G. E’ tutto maledettamente difficile.

T. Già. Anche la nostra mente, ora più che mai, è diventata una macchina veloce e, quando vogliamo bloccarla, ci sentiamo persi.

G. Dalle tue parole mi pare di capire che la sensazione di vuoto non dovrebbe spaventare, perché è fondamentale per il nostro benessere.

T. Esatto. L’opera/evento era solo un pretesto. Infatti, in quell’esecuzione io la distruggevo man mano che andavamo avanti. La annullavo con il caos sonoro/vocale/strumentale che il pubblico emetteva: non era una musica piacevole da sentire e nemmeno uno spettacolo chiaro nelle sue parti. Era caotico, ma, visti gli obiettivi, era un rischio che dovevo correre. Ero al centro dello spazio, come una sorta di ponte comunicativo tra la scena e il pubblico. Quest’ultimo, non conosceva né il testo né la storia che si stava raccontando: ero io che davo gli attacchi seguendo i significati del testo. Così mettevo in pratica quello che ti ho spiegato a proposito dell’improvvisazione di relazione reattiva. La reattività si realizzava tra me e i musicisti, l’attrice e la danzatrice. E il pubblico rispondeva semplicemente alla mie indicazioni.

G. Va bene… ma perché non mettiamo ogni cosa al loro posto allora?

T. Catturare tutto è un assurdità!…Estrapolare dalla natura e portare in uno zoo… Tutto è stato fatto. Hanno registrato suoni/rumori della natura e della vita quotidiana e le hanno portate così com’erano nelle sale da concerto, nei teatri…

G. Specie di zoo per suoni…

T. Sì, senza alcuna necessità…

G. Tutto si trova meglio nel posto in cui sta… e invece…

T. Hanno fatto combinazioni di sonorità …

G. Naturali e artificiali … Questi ascolti, che nooia!

T. E’ vero, l’ascolto della cosiddetta "musica concreta" è stata noiosissima …

G. Ma è servita almeno a qualcosa?

T. Sì, come gli orinatoi esposti e le scatolette di carne è servita alle idee.

G. La natura, insomma, va lasciata al suo posto, va vista e ascoltata lì…

T. L’operazione giusta è di osservarla, di esserne consapevoli…

G . Ed eventualmente…

T. …di far intervenire l’arte e creare altri linguaggi, dalle sue possibilità, senza imitare …

G. In maniera tale che ci ricordino la loro provenienza…

T. Questi linguaggi possono essere goduti, possono diventare artistici… possono arricchire e abbellire il grigiore…

G. Giusto! L’uomo ha bisogno di abbellimenti e di fantasia…

T. Zitto, questa è un’eresia…

G. Era un’eresia… oggi non più, si stanno tutti avvedendo…

T. Speriamo che ci sia sempre… più fantastico e meno sapere

G. Oppure usare il sapere per abbellire…

T. O per rincretinire…Tutto è stato fatto in favore delle idee e della verità…

G. E’ ora che si cominci ad andare d’accordo con le cose belle.

T. Le idee da sole, senza la bellezza che le sostenga, producono…

G. …mostri.

T. Basta guardare le nostre città.

G. Che grigiore spaventoso!

T. Di qui la depressione.

G. Il sapere può essere utile, ma non ha nulla di bello. E il tragico?

T. Questo è un altro discorso.

G. Non fa niente…

T. Il tragico è introdotto dall’imprevedibile, che è dramma.

G. Quindi, essendo in compagnia dell’imprevedibile siamo sempre nel dramma?

T. Sì, il dramma è naturale.

G. Tragicità: impossibile sfuggirti! …Mi dedico… mi inserisco come un usciere nel prisma, divorando l’espressività… …

T. Reinserimento dalle fondamenta.

G. …Alieni minano enti. …

T. Ho visto… cose orrende…

G. Ero solo…e mi ha pacamente…riempito di espedienti… siamo spiati e cancellati…

T. Mettono in campo finalità con l’intento di riaffermare valori … miti che camminano come cani, movimenti monotoni e soavi … ombre lineari irrisi …lungi da vaste proporzioni…

T. …azioni e vitalità… la pista dei canti…

G. …narra ivi… gravi e recisi reti…il vaiolo dei questurini… reazioni celate in località senza porte…

T. …igiene è un detto ridicolo…imprendibili avi restano risucchiati dalle genti…

G. …anime … aure … fori nel marmo e non potei intersecare… le tare… ma di mola resti, mondana ed intera …

T. …asti nel maoismo puro … come opere a patti…

G. E tu, non trovasti cordoni snaturati e affaticati dai pentimenti?

T. No, io generai deboli merci … finché soffrii…

G. …risma di teli, nel nuovo est …

T. No, non vale sperare il dono degli spietati …

G. E’ solo un fiaccoso boia che osa… può leggi…

T. …polare rettile… egli è, e rode api…

G. …ed è avviato … chissà, forse, me la riporta in vita… gli dicevo: "Sire, non può proprio attendere?"…

T. Omesso ed esile avevo la vocazione per le funzioni vere … tanti compiti estesi…esempi mortali … è un affare da poco, mi dicevano…

G. Le arie che purificano i cilindri…e lo stupido che provò fasti un po’ morali …

T. Pistolettando semplicemente un empio …efficaci fumogeni …no, non era in sé dicevano …

G. I corpi misteriosi erano tinti: irrisi…menati ovunque…

T. Ingrati.

G. Non si può sfuggire alla natura. Una notte, tempo fa, mi svegliai e sentii la pioggia. Si verificò un fatto stranissimo: il mio battito cardiaco si sincronizzava con quello della pioggia. Prima l’andamento era lento, poi accelerava. Il tutto durò alcuni minuti, poi mi riaddormentai.

T. Attento! Così rischi di confermare le mie teorie.

G Pensi che sia possibile stare all’interno delle cose senza farsi condizionare eccessivamente della durate?

T. E’ possibile, ma bisogna fare molta attenzione. Questo parametro, infatti, è il più potente ed è quello crea più problemi alla percezione.

G. La percezione!… Non la percezione, ma la procreazione… il mio è, sì, un problema di durata… ma della durata di certi particolari momenti. Ebbene, in quei momenti essa è breve… anzi brevissima.

T. Ci vuole massima variabilità di articolazione ritmica per procreare... e anche una linearità dinamica pian…piano con dolcezza… viceversa, il contrasto dinamico... (T. si interrompe cercando le parole giuste) … chiarisco.... approfondisco… Vorrei farti notare che il contrasto dinamico favorisce la brevità nei rapporti.

G .Vuoi dire che se io urlo e lei sussurra in pianissimo scatta la brevità?

T. Cerco di spiegarmi meglio: come ti dicevo prima, dicono che l’estetica contemporanea non abbia tenuto più conto del bello o del brutto ma solo - o essenzialmente - della "verità".

G. Io, però, i problemi di brevità li ho quando sono in compagnia di "bellezze", non quando conosco la verità. Anzi, quando la conosco, tutto diventa lentissimo, non percepisco più un bel niente.

T. Il linguaggio artistico è perfettamente aderente alla temporalità della vita di oggi.

G. Vuoi dire, quindi, che l’arte contemporanea è "vera" perché rispecchia perfettamente la società in cui viviamo?

T. Esatto. "L’empirismo imperante" bada solo alla "macchina/uomo" e alle sue macchine. Il difetto di molta arte contemporanea è rintracciabile nella mancanza di equilibrio: per cercare sempre la novità ha abusato dell’arte del contrasto. La scrittura, musicale e teatrale, frutto del pensiero"veloce", crea una separazione con i dati sensibili correndo in avanti. Dato questo allontanamento, la comunicazione del messaggio diventa più difficile. La parola, i suoni scritti in una partitura, considerata la velocità di articolazione ritmico/timbrica interna di essi, deve fare i conti con la lentezza della percezione. Quindi, la partitura scritta, per essere effettivamente efficace, deve essere sottoposta ad una verifica in concreto; deve, cioè, tenere conto dei ritmi "umani" della percezione.

Se vuole, il compositore può aiutare a riportare la comunicazione su di un unico piano, utilizzando il suo "mezzo", in qualità di specialista del "tempo/durata".

T. Non mi stancherò mai di ripeterti che se non s’impara ad avere un buon rapporto con le durate, in tutte le occasioni della vita, è veramente un guaio…

G. Il tuo è un bel programma, ma non abbiamo concluso il ragionamento sui miei problemi di "durata" e…comunque, mi hai quasi convinto. Facciamo insieme qualche esercizio…

T. No, sono sicuro che quando verrà il momento ti ricorderai di quanto ti ho detto.

G. Va bene, vorrà dire che mi eserciterò da solo.

 

(mentre T. va avanti con i suoi ragionamenti, G. continua ad esercitarsi nel suo famoso atto, muovendosi in maniera lasciva, slabbrando, accarezzando, dapprima velocemente poi lentamente, dando, insomma, un ritmo e una dinamica ai movimenti che, di solito si compiono quando si fa l’amore).

T. Ma mi stai ascoltando?

G. Sì… sì …ma tu cosa vorresti fare?

T. Non te l’ho già detto? Mah! … inizialmente volevo evitare di mortificare sia il pensiero che la sensibilità…

G. Ed ora?

T. Da quando discuto con te non so più nulla. Comunque, la comunicazione non è altro che un "accordo" tra i due. Da questo accordo non si può sfuggire. Il linguaggio astratto è snello, cresce, si spinge in avanti con grande velocità. Il compositore e il drammaturgo dovrebbero, da un lato, tenere a freno l’impeto del loro astratto linguaggio e, dall’altro, evitare di sprofondare in una concreta semplicità, tutta gratuita, con l’intento di compiacere il pubblico. Bisogna cercare di comunicare, non di compiacere. Nessuno di questi artisti potrà sfuggire alla necessità di cui parliamo, con le strategie di scrittura.

G. (gridando e bloccando le infinite prove dei greci) Venite, venite tutti! Vi presenterò Artiere, il nuovo profeta…Ma cosa credi di scoprire? Io so che gli artisti tengono conto di tutto quello che hai detto.

T. Ah, sì,…prova ad ascoltare un po’ di musica "d’arte contemporanea", e prova anche ad andare in giro a vedere qualche spettacolo del cosiddetto "teatro di ricerca": vedrai, vedrai e sentirai.

 

(ad un tratto, guardando il centro della sala, G. nota che la ragazza da lui tanto desiderata, lo guarda e gli fa cenno di avvicinarsi. Gli attori, nel frattempo, si sono allontanati. Egli si avvicina, abbraccia la giovane e comincia ad accarezzarla sotto lo sguardo attonito delle sue amiche. Mentre l’accarezza le sussurra dolcemente delle parole; che non sono dirette a lei, ma che riecheggiano il suo desiderio di sconfiggere la paura di non riuscire a trattenere la sua precocità)

G. Ritmo d’insieme…due caratteri opposti… prevaricazione di un’immagine…escludendo l’altra cessa il ritmo nel tempo…l’una diventa l’altra creando staticità… simmetria…. prodotto della mente… il mio essere è nascosto dai ritmi…l’inutilità del loro tradimento…angoscioso ed immane… piano… unico irrealizzabile…ma…la mia testa risponde immediatamente al richiamo della natura …straniata…

 

(mentre G. e la ragazza fanno l’amore, l’attrice, avvicinandosi e recitando con dolcezza, tocca con le proprie labbra l’orecchio di G.)

Attrice. Calando tutti insieme la testa nell’acqua…

G. (infastidito) Evaporata…

 

Attrice (trattenendo il lobo dell’orecchio di G. fra le sue labbra) A turni teniamo caldo il nostro bimbo nel bisogno del suo pianto, che ricorda lo stridore della nostra anima.

G.(cercando di mandarla via) Potresti andare dove ognuno ha deciso di stare nel proprio tempo… e saltare la polvere… aggrappandoti in alto… nell’aria…

T. (cercando di strappare l’amico dalle braccia della ragazza) Vieni via, se ti scoprono ti fanno secco…(allontanandosi) Come è andata?

G. Cosa?

T. L’avvinghiata… sei riuscito ad applicare il pudp?

G. Non so, non me ne sono accorto…

 

(cominciano pian piano ad allontanarsi. Attraversando un corridoio, scorgono una particolarissima stanza occupata da un signore che somiglia vagamene alla testa di argilla posta al centro della sala prova. T. si ferma ad osservare con curiosità, poi si guardano senza dire nulla)

G. Ci guardiamo in faccia in questo corridoio? Continuiamo o vogliamo andare?

T. Aspetta, guarda quella stanza con parvenza di eleganza… vedi, le sei serie di quadrettini di legno rosso poggiati sul tappeto?

G. E la fascia arancione?

T. Abbellimento benedetto…

G. Chi è quello seduto sul bordo della poltrona rossa? Vedi, ci guarda con il muso felino sotto le braccia conserte e la gamba stesa verso di noi come un fucile…

T. Non sa cosa vogliamo…

G. (rivolgendosi all’uomo) Salve, il maestro Kanikos?

G. Sa, sss (balbettando dall’emozione) siiamo

prenotati…

U. Vengo da un’altra città, questo è ambiente estraneo per me.

G. Non ci crediamo, è tutta una copertura…

T. Di carta.

G . (all’uomo) Trova la nostra prenotazione!

U. Ho cercato varie volte.

G. C’è la lista?

U. No.

T. Allora glielo chiedo un’altra volta… Lei è il maestro Kanikos? Circa un anno fa le ho telefonato. Si ricorda?

G. Silenzio!… ascoltate …tacchi rumorosi.

T. Camminata in due quarti senz’accenti…

G. (all’uomo) E’ un po’ fissato.

T. Zitti zitti….nascondiamoci.

G. Dove?

T. Nella cassa di legno profumata.

G. Siamo in rete, strategia dileguata… tutto dipende dai segni esterni… fontana maligna…

T. E i tori mostri?

G. Arrivano, arrivano, non preoccuparti…

T. Scatti di canaglie al vento…

G. Qui vi sono due buchi vuoti…

T. Bisognerà chiuderli… (vede uno zaino sotto la scrivania)… forse è lo zaino della ragazza.

G. (rovistando nel contenitore) Questa è la sua foto con gli occhiali appesi alla camicia e il petto squarciato dalla fatica.

U. Insomma cosa volete da me?

T. Parlarti del teatro del tempo creato.

U. Io non sono adatto per questo…

G. Non importa… ascolta, noi non vogliamo le forme date dalla cultura, vogliamo applicare la nostra forma agli oggetti della natura e della vita…

U. E ‘ un sistema di convenzioni?

T. I sistemi sono ripetitivi, quindi si consumano. Il nostro non vuole essere un sistema. Ma Lei cosa ci fa qui?

G. Noi siamo senza trapano mitraglia.

T. Ma Lei cosa ci fa qui?

U. Perdere in rallentamento e allarmarsi per nulla… io sono qui, sempre nel presente… nel… presente puro e guardo per niente… aspetto, ogni tanto si presenta un uomo nero con un sorriso sempre stampato sulle labbra.

G. (a T.) Chissà cosa vuole farci intendere…

T. Arriva sempre accompagnato da personaggi famosi…

G. Facce tirate…molte volte avevo detto di acchiappare il tritone …

U. Sapete, questi, sono famosi meno meno …

G. Perché leggono almanacchini?

U. E’ il furore della passione…

G. No della money…

T. Mi fanno schifo…

G. Cosa?

T. Le informative distruttive … tutto è orecchiabile, per questo si consuma…

G. Lui vuole evitare sempre il prevedibile.

U. Perché?

T. Perché la prevedibilità anticipa e mette in funzione la mente. Così, quello che arriva dalla scena è già ripetizione, e la ripetizione produce stanchezza. Ciò che è prevedibile si consuma rapidamente. "Odradek, non va dimenticato, è immortale, e la sua immortalità è associata al fatto di non avere scopi, e dunque alla consumabiltà. Giacché tutto si consuma nel tendere allo scopo che gli è proprio, diventando inutile quando lo scopo sia raggiunto"(40).

I significati sono resi imprevedibili così da perdere valore per la mente, e farli funzionare come detonatori esplosivi per var riemergere energie assopite.

G. Questo lo dici tu?

T. No, condivido.

G. E chi lo dice?

T. Artaud e tanti altri…

G. (indicando con la gamba tesa U. e assumendo così la stessa posizione dell’uomo) Perché non dici a questo signore come elimini il mondano dal teatro primario?

T. Non il mondano, ma il sociale mondano.

U. Il sociale mondano?

T. Sì. Viscida tirannia creata dai poteri forti, per poter meglio prosperare indisturbati. Figlio diretto di questo sociale è il divertimento: sorta di anestetico che blocca le facoltà critiche ed intuitive favorendo, così, quell’atteggiamento di apatia ed incapacità di prendere decisioni, di fare delle scelte. Questa condizione è stata abbastanza semplice da conseguire, dato che la gente si lascia incantare facilmente da tutto ciò che vede e che sente.

G. Come elimini, dunque, tutto ciò.

T. Con il sociale fantastico.

U. Questo mi fa piacere.

G. E blocca?

T. Cosa?

G. I blocchi di prima?

T. Distrugge anche qualcos’altro.

G. Ad esempio?

T. La dialettica e l’utile.

U. Si potrebbe evitare tale distruzione?

T. Purtroppo no.

G. Sei privo di sensibilità.

T. Devo, perché entrambe richiedono un linguaggio lineare e razionale.

G. Distruggi nient’altro?

T. Se mi ci fai pensare scopriro dell’altro.

U. (urlando) Facciano il piacere!

T. Il teatro del tempo creato promuove l’arte teatrale a relazione sociale.

U. (urlando più forte) Facciano il piacere!! (stanno zitti per un po’)

G. Spiegagli anche come organizzi il tuo teatro.

T. Io non intendo organizzare, non intendo dare forma ai linguaggi indeterminati, ma renderli chiari, conoscerli, lavorare con essi e inserirli in un sistema dinamico, che si autodistrugge e si ricrea. Insomma in una sorta di non sistema, dove i linguaggi possono muoversi liberamente relazionando tra di loro senza costrizioni. Immagino il mondo come un’opera artistica che non deve costringere i suoi occupanti ad accettare un regime fatto di gerarchie.

G. Allora l’opera senza canto è metafora della vita?

T. Potrebbe.

U. E la forma?

T. La trovi dove la cerchi.

U. E la melodia?

T. Pure.

U. E l’armonia?

T. Anche. Ognuno può applicare la forma che crede alla propria arte o alla propria vita. I rigidi, come gli attori di Kanikos - o dovrei dire i Suoi attori? (rivolgendosi ad U., che non risponde) - hanno bisogno della forma come gerarchia. Hanno messo la testa del regista al centro della scena perché non riescono proprio a gestire la propria libertà creativa e, se non hanno qualcuno che li guidi, hanno impressione di sprofondare nel caos.

G. Io non credo, però, che sia colpa loro. Penso, invece, che siano stati abituati ad essere così.

T. La totale libertà offerta dal caos è terribile e nel contempo sviluppa il processo delle idee: è uno strumento di accesso alle idee.

G. (simultaneamente ad un cattivo odore si diffonde nella stanza un dolcissimo suono di arpa) Senti? E’ un’arpa… (tappandosi il naso) però puzza. Il suono dell’arpa arpeggiata, forse le corde di budello si sono appuzzite.

T. L’arpeggiatore libera le particelle sonore puzzolenti…

U. Lo strumento porta mediazione trascendente…

G. O forma onnipotente…

T. Osserva, c’è anche un compasso.

G. Empatia con l’alchimia.

T. Vapore colorato distillato?…È duro sperimentare il nulla caotico.

G. Io non ci ho mai provato. Che dici, ci provo? (reggendosi ad una staffa attaccata al muro)

T. Sembra che tu debba sprofondare nel vuoto…Vai, provaci, è solo un viaggio dentro di sé, è come andare alla giostra…Ci vai sulle montagne russe?

G. Sì, ed ho paura…

T. Comunque, bisogna provarci, resistere in sua virtù…

G. (aggrappandosi alla staffa con più enfasi) La testa ci spinge verso tante cose. (ad U.) Per una mente allenata come la Sua è un ottimo ambiente nel quale andare a pescare…

T. (a G.) E’ tanto pericoloso quanto ricchissimo provaci…noi non possiamo far nulla, né a favore né contro il caos: perché noi siamo "caos".

G. (a T.) Anche questo è risaputo. Sei un maestro dell’ovvio.

U. Quello che per me è importante non è la conoscenza degli elementi del caso ma la spontaneità, l’imprevedibilità degli eventi che accadono nel tempo.

 

T. Sono d’accordo. Prima ci avevi detto di essere sempre nel presente, cosa intendevi?

U. Niente pensieri sul tempo…

 

(odono dei rumori provenienti dell’esterno)

G. Cosa sono questi rumori.

T. Niente, è solo Tempo udito.

G. Comunicagli quella teoria confusa, sui tre presenti.

T. Ho suddiviso i nostri tre presenti in questo modo: presente impuro (o naturale), presente astratto e presente puro. Il presente impuro - occupato dal pensiero naturale - è un’attività concreta ma caotica della mente che non è coinvolta direttamente, non riflette, non segue una scansione temporale ordinata, ma casuale. Il pensiero naturale è come un qualsiasi altro organo del nostro corpo, è sempre in movimento ed è imprevedibile, come tutte le cose della natura. Nel presente vi è anche un’alternanza casuale del presente del passato e del futuro.

Noi viviamo per la maggior parte del tempo in questo presente; mentre per essere nelle altre sezioni bisogna imporsi il tempo di entrata e di uscita.

G. Non capivo nulla allora e non capisco niente adesso…esercitazioni infinite…

T. E’ difficile imporsi di uscire dal presente impuro, ma ritengo sia necessaria l’esercitazione in questa direzione. Questa sezione, poi, si divide in due ambiti: il primo riguarda il fare concreto e casuale della mente, il secondo l’attività casuale e meccanica del corpo. La mente continua così il suo confuso lavorio mentre le mani e i piedi agiscono. (cercando di collegare il discorso al suo teatro) Ovviamente in questo modo è raro che vi sia il piano unico.

U. Cos’è il piano unico?

G. E’ una storia lunga da raccontare…

T. Mi sembra chiaro che in questa sezione abbiamo sempre rapporti temporali diversi tra la mente e il corpo: divisione in due piani, che cerco di evitare nel teatro primario. Anche il presente astratto è un’attività concreta della mente, ma non più casuale. In questa sezione il pensiero naturale è raccolto ed ordinato nel tempo; e il rapporto con il passato e il futuro è determinato dalla nostra capacità di razionalizzazione e di separazione.

G. Ma com’è il rapporto mente corpo in questa sezione? Vi è un tempo unico vero?

T. Sembra di sì. E’ difficile che la mente rifletta mentre le altre parti del corpo hanno tempi diversi. Tuttavia si possono avere delle leggere sfasature. Infine, nel presente puro vi è una mancanza di attività della mente. Noi osserviamo semplicemente il confuso lavorio dei pensieri, siamo in grado di riconoscerli e, se noi non interveniamo, essi ci tranquillizzano e, così, possiamo condurre mente e corpo su di un unico piano. (a G.) Che fai, perché ti muovi sempre?

G. Do delle risposte al mio pensiero.

T. Gesticolando come un matto?

G. I tre presenti…cerco di capire in quale delle tre sezioni sono adesso…

T. Secondo me sei nella prima…quella della confusione…

G. Forse io ci sono adesso, ma tu, tu ci sei da sempre nel presente confuso!…

T. Confuso, ma naturale… anche il presente puro è naturale…celestiale…quelli che amano essere nella seconda sezione passano molto tempo cercando di dare forma agli oggetti concettuali che girano velocemente nella loro testa. Gli altri preferiscono la prima sezione, lasciano girare tutto liberamente, evitando semplicemente questa fatica.

G. E ti sembra poco!…Il pensiero non si lascia facilmente imbrigliare, lo puoi fare con la forza, ma appena lo molli riparte a modo suo. Questo, noi sostenitori della prima sezione, lo sappiamo molto bene. Ci chiamano irrazionali: ma altro che irrazionali! Noi la mente la usiamo eccome!…Ma a modo nostro …noi odiamo perdere tempo per cercare di dar forma ai pensieri, lo facciamo solo quando ne abbiamo veramente bisogno. Anche i più ferrei razionalisti possono ben poco contro loro variabile natura…

 

(Ad U.) In un angolo della sala prove, vi era una scala rossa con due tubi sporgenti ad altezza d’uomo. Sembravano due braccia tese pronte ad accoglierci, e in cima c’era una testa-tamburo con una croce disegnata sulla pelle gocciolante. Più giù sporgevano, come meandri, fior di falò dorati, due dischi di bronzo che ornavano le braccia. Piccole fasce di metallo erano posizionate nella parte posteriore come un peplo che non aveva ordito. Al centro, e ai piedi, altri tamburi segnati. Dall’alto scendeva un grande campanone che sprofondava in arie enormi, segnalandoci l’assoluta potenza del tempo: aveva la forma di un enorme pene eretto posto verticalmente in atto di penetrare la terra. Ai due lati della scala-totem vi erano due "guerrieri del suono", esseri mitologici che con fierezza erano di guardia al totem. Piatti senza un vero corpo, avevano sei piccole zampe e nei loro nasi passava un respiro torbido. Quello di sinistra aveva un elmo-campana una maschera e dei campanellini come collana, due tamburi come due seni, più giù, un tamburo di legno a fessura: vagina orizzontale, infine un piatto e tubofono per far sparire il veto dal sud. Anche il guerriero di destra aveva un elmo-campana, una maschera retinata, campanacci-collana, due seni inversi ed un altro strano oggetto che non riuscivo ad identificare, una lamiera, anche questa con strani geroglifici che il guerriero indossava come un gonnellino, infine due piccoli tamburi trascinati dalle zampette inferiori.

Tracotanti ci spiavano…

Dietro la scala totem era posta una grande croce che aveva una vela legata tuonante come mantello.

T. (a G. sorpreso e preoccupato) Ma… dove hai visto tutto questo! Io non l’ho notato.

G. Eri sempre assorto sui tuoi fogli, io osservavo… ed ho visto la scala a lato della grande sala.

T. (fra sé) Ho la strana sensazione che G. stia descrivendo l’insatallazione che ho disegnato in partitura": la scala/totem, i guerrieri del suono, mi sembra tutto perfetto per l’installazione sonora di Uthste.

G. (mentre ascolta il borbottio di T.) Altro che installazione sonora, i due guerrieri erano veri e spaventosi!

T. Vorrei proprio tornare indietro e vedere la scena che tu hai visto; ho la strana sensazione che qualcuno abbia letto nella mia testa e riprodotto i miei pensieri. Quello che mi hai descritto somiglia al disegno dell’installazione sonora del nostro lavoro. Guarda la mia partitura, guarda…

G. E’ vero, tutto è molto somigliante…

T. Capisci perché devo tornare, è incredibile! Com’è possibile che io ritrovi qui, in un luogo così assurdo, una cosa sorta dalle mie idee?

U. Forse perché crediamo di inventare delle cose…

G. (trattenendo T.) No, non è proprio il caso di tornare indietro…allora vuoi concludere il tuo teorico racconto?

T. (titubante) L’artificiosità delle mie operazioni artistiche sono tese alla conservazione e alla valorizzazione della naturalità.

G. Questo si è capito da un bel po’…

T. Le tecniche e le teorie dell’opera senza canto non le adopero per piegare il linguaggio naturale al mio volere, ma solo per necessità di un orientamento nel caos. Quei procedimenti tecnici interni a loro stessi sono artificiali. I miei, invece, sono nati dalla naturalità.

G. E vai!

T. Sono procedimenti che incontrano il naturale, affermandolo senza schiacciarlo. Non sono invasivi, quindi non appaiono come regole. (G. attacca all’improvviso una recitazione che riprende il tema della scala-totem, interrompendo i discorsi di T. e di U.)

G. Una vela del tuono legata su di una vecchia croce, bastava sfiorarla con un dito per avere un effetto di ciò che non c’èra …. eravamo in compagnia di qualcosa di profondo.

T. (a G.) Che dici, torniamo?

G. La scala è posta vicino a una grande apertura. Se riusciamo a salire, possiamo passare dall’altro lato e riacquistare così la nostra libertà.

T. Sì, ma io homolta paura dei guerrieri.

G. Poi c’è un altro problema: gli oggetti sonori attaccati suonano al minimo tremolio della scala. Come potremo salire? Ci scoprirebbero immediatamente.

T. Non vorrei rischiare tanto. Evitiamo di salire, mi basta confrontare i miei disegni…

G. Va bene, andiamo.

 

(ritornano indietro e notano che dei guerrieri e della scala non vi era nemmeno l’ombra)

G. Ma come, erano proprio lì, vedi, sotto quella grande apertura.

T. Dove? Io non vedo un bel niente.

 

(T. comincia a pensare che G., avendo visto i disegni della sua installazione, abbia impostato la storiella per burlarsi di lui) Hai visto i miei disegni? Dimmi la verità…

G. No, non ho visto un bel niente. (sforzandosi per trattenere la sua risata)

T. Allora? Quando hai visto i miei appunti?

 

(G., ormai ridendo a crepapelle, non risponde, e i due ritornano nella stanza dell’uomo)

U. Penso che il vostro sia un teatro primario appesantito sul farsi …

G. e T. (all’unisono) Addio! (e scappano)

U. Fuggite, fuggite pure, tanto vi acchiapperete da soli…

 

(nentre vanno via si ritrovano immersi in una moltitudine di gente, che impedisce loro di uscire dalla struttura. Cercano di andare avanti ma subito vengono risucchiati indietro; nel contempo dal mare spuntano animali mitologici elettronici orrendi: il grande evento atteso è questo. Molti sono ubriachi o drogati e desiderano ingigantire nella loro testa quegli eroi marini che devono cantare per ben cinque volte. T. pensava che "la metafisica non è morta, ma che vive ancora ed è stata trasformata in mostruosità tecnologiche". Riescono a farsi spazio fra la gente ed escono dalla struttura)

T. Andiamo… non ci serve nessuno: Kanikos, altri maestri santoni… nessuno…nessuno…

G. Le leggende arcaiche?

T. No, non ci servono...

G. E la storia?

T. "Delicati calzari porta la consolatrice"... non ci serve neppure la storia…il vuoto, non si può insegnare né trasmettere, bisogna cercarselo da soli… procedere da soli...la nostra vita è un collage di leggende, miti, metafore, simboli ... forse nel più piccolo spazio che è quel vuoto - dove non incontriamo quel collage - potremo incontrare noi stessi...

 

(fuori vi era un buio pesto. Camminando e inciampando, G. e T. vanno avanti con tanta angoscia. Ad un certo punto, ascoltano dei gran botti, dei fuochi d’artificio molto belli e rumorosissimi come non ne hanno mai visti né uditi prima. T., fortemente angosciato, non riesce ad apprezzarli perché si trova nel bel mezzo di una crisi di panico e al posto delle immagini dei fuochi gli sembra di vedere i suoi simboli grafici che descrivono ritmi e rumori. Si allontanano pian piano. Arrivano e ripartono macchine, taxi, autobus: fiumi di gente attendono in fila per prendere un qualsiasi mezzo per andar via. Anche G. e T. attendono molto tempo con la speranza di trovare un mezzo di trasporto che li conduca lontano da questo luogo, ma nulla da fare. Ad un tratto vedono arrivare l’uomo della stanza, il quale svela loro la sua identità)

K. Sono Kanikos.

G. Kanikos?

T. Perché non c’è l’hai detto prima?

K. Venite, il pubblico vi aspetta.

 

(G. e T. esausti si guardano senza rispondere mentre Kanikos conduce entrambi nuovamente nella struttura e li invita a rimettersi al posto di prima)

K. (a G . e T.) Non rimanete così, come due esseri privi di vita, fate attenzione… non dovete perdere la splendida interpretazione che avete mostrato durante le prove.

G. Le prove!

 

(Kanikos, infatti, conosce quello di cui sono capaci, avendo spieato dalla sua stanze tutte le loro peripezie. Egli non è mai presente né alle prove né ai laboratori. Al suo posto mette la testa di terracotta. E non interviene mai: "lasciar accadere", questa è la sua dottrina; il suo teatro nasce dall’osservazione, dall’accadimento. Intanto T. e G. osservano ed attendono inebetiti, attoniti, senza capire… gruppi di persone gli si avvicinano, discutendo e descrivendo la loro immagine come se non fosse reale ma dipinta sulla parete di un vecchio teatro)

 

 

NOTE

1 Le frasi poste fra le virgolette all’interno dei testi poetici di G. e qualche volta degli attori, sono di F. Nietzsche, tratte dai Ditirambi di Dioniso, da Nietzche contra Wagner, dai Frammenti Postumi ecc. Ed. italiana condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montanari, Oscar Saggi Mondadori 1983.

2 Il termine "piano unico" fu utilizzato dal naturalista francese Etienne Geoffroy-Saint-Hilaire (1772-1844) che diceva: "la natura ha formato gli esseri viventi su un piano unico, ma ne ha variato in mille modi tutte le parti accessorie" (citato in La Vergata 1979, p.243).

3 Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Ed. Einaudi, 1994.

4 Vedi la filosofia di Schopenhauer sul "volontarismo".

5 Vedi Le Opere senza Canto di Giovanni Tamborrino, drammaturgie e ricerche alla confluenza dei teatri, a cura di Gerardo Guccini, presentazione di Mario Baroni, Clueb, Bologna, 1998. Si vedano anche gli atti del convegno organizzato dal "Festival della Terra delle Gravine" a cura di Gerardo Guccini pubblicati dalla rivista Konsequenz Napoli (1998).

6 Per quanto riguarda il rapporto utile/inutile si veda, per esempio, di Henry Bergson Il riso (Fabbri Editori, 1999), saggio sul significato del comico (da pag.124). Sul tema dell’inutile Vedi anche Zuang-Zi, Ed. Adelphi, 1992, pp.44-48.

7 Vedi di Gianni Vattimo La fine della Modernità, Garzanti, 1998.

8 Questo argomento è affrontato in maniera molto ben articolata da Vattimo a pag. 64 dell’op.cit.

9 H.Bergson, L'evoluzione creatrice, Edizione speciale Utet.

10 A. Artaud, opera citata.

11 Piergiorgio Giacchè, Carmelo Bene, antropologia di una macchina attoriale, Ed. Bompiani, 1999.

12 Giacché, pag. 130, op. cit

13 Giacché, pag. 126, op.cit.

14 Giacché, pag.127, op. cit.

15 Giacché, pag.134, op. cit.

16 H.G.Gadamer, Verità e Metodo, Ed. Mondolibri S.p.A., Milano 2000. pp.119-121.

17 Un esempio calzante di quello che affermo può essere dato dall’ascolto di Oiseaux Exotique del compositore francese Oliver Messiaen, i cui studi sul linguaggio musicale , derivati dall’osservazione degli uccelli, hanno esercitato una profonda influenza sull’avanguardia musicale.

18 Platone considera ritmo quello regolare non quello irregolare, quindi nega il ritmo agli animali (alla natura) perché è disordinato, inarticolato, imprevedibile.

19 Peter Brook, Il punto in movimento, Ubulibri, Milano, 1995, pag. 155.

20 Va detto però che nel cinema questa tecnica è molto più semplice da realizzare, poiché prevede la registrazione a frammenti del sonoro, seguita dal montaggio degli stessi.

21 La continua collaborazione con l’attore/regista Claudio Morganti e quella con il coreografo/danzatore Virgilio Sieni mi ha permesso di realizzare concretamente le mie teorie riguardanti il rapporto fra il teatro, la danza e la musica. Mi preme dire che, se la mia esperienza di ricerca ha avuto degli esiti positivi, lo devo soprattutto a questi due eccellenti artisti e, naturalmente, al Tamborrino ensemble.

22 La segmentazione metrica/ritmica interrotta da brevi respiri è una caratteristica fondante della ritmica del compositore F.Donatoni.

23 Questi sono gli esempi d’imprevedibilità e d’instabilità fraseologica della natura dei nostri ritmi naturali, del nostro parlato: noi non parliamo, non ci muoviamo mai in maniera simmetrica prevedibile. Se così fosse saremmo degli automi. Provate a dare delle durate uguali come queste al vostro parlato e capirete subito: ____3"........3"____3"......3" ma direi che niente di ciò che è naturale o umano ha ritmica e durate sempre uguale.

24 Esempi d’applicazione del piano unico di percezione si possono trovare nella trilogia d’opere senza canto Reputi di Medea, III Riccardo III e Gordon Pym ma soprattutto in Epos in Rock. Per l’applicazione del pudp alla danza si rimanda a Canti Marini 5, musica di G. Tamborrino e coreografia di Virgilio Sieni. In questo lavoro la versione più efficace è stata quella rappresentata a Lisbona nel settembre del 1998.

25 Esempi di relazione attiva (solo ritmica, non timbrica) sono riscontrabili in Tempeste di Claudio Morganti e nella trilogia di opere senza canto.

26 Esempi di relazione reattive si possono riscontrare nella trilogia di opere senza canto descritte nel volume citato, e in Epos in Rock.

27 Questa forma di vocalità appare per la prima volta in Pierrot Lunaire di Schönberg.

28 Esempi di canto senza la partitura è possibile trovarli in Reputi di Medea nella sezione "arte pu se hosa", nella quale l’attrice intona una melodia improvvisata comunque presente nella parte strumentale.

Questo esperimento è stato tentato anche in Mondo –ex, studio per piccola orchestra e voce femminile in cui la voce femminile seguie un canovaccio musicale di costruzione intervallare. Qui la partitura non viene osservata totalmente, ma solo a tratti liberi.

29 Si veda l’esempio della parte vocale trascritta da Enrico Girardi a pag. 73 del volume sull’opera senza canto.

30 Vedi la poetica della fusione timbrica nell’Opera senza canto, cit pp.146 149.

31 Vedi il capitolo dedicato alla "musica spettrale" in, Musica, Potere, Scrittura di H. Dufourt, Ed. Ricordi/Lim, 1997.

32 E.Varese, Il suono organizzato, Ricordi Unicopli, 1985, pag. 107.

33 C.G.Jung, da Ricordi, sogni, riflessioni, Mondatori, 1986, pagg. 259 e 260.

34 Vedi M. Heidegger L’origine dell’opera d’arte (1936), in sentieri interrotti (1950) tr. it. di Pietro Chiodi, Firenze, La Nuova Italia, pag. 196.

35 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Milano, 1995.

36 Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, ed. il Melangolo, Genova, 1998.

37 Schafer, op. cit., pag 115.

38 Zhuang-tzu, op. cit., pag 107.

39 Osho, Cos’è la meditazione, Mondadori, Milano, 1998.

40 G. Moretti, Un clown sul divano, Bergamo, 1998, pag. 16.

 

 

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