Tre formule per l'invarianza

Abbiamo già visto che nella riunione di Milano del 7 settembre 1952 compare un sottotitolo con la parola invarianza tra virgolette. Questa forma grafica sarebbe ingiustificata se non si volesse dare un significato particolare al testo, come si trattasse di una citazione, un riferimento a questioni conosciute. In effetti il termine invariante è utilizzato in molte discipline scientifiche anche se in accezioni un po' diverse.

Una definizione possibile è: "Proprietà di sistema chimico-fisico in equilibrio che si ha quando non è possibile far variare alcuno dei parametri che lo caratterizzano senza alterare tale equilibrio".

In senso stretto Bordiga, nel testo citato, usa il termine in questa prima accezione: non è possibile variare una parte che compone il tutto senza che l'intera costruzione crolli. Questo vale anche nel tempo, perciò il marxismo è invariante dato che nasce da fattori che sono sempre gli stessi finché esisterà la società divisa in classi (invarianza storica).

Un'altra definizione, più strutturata, è la seguente: "Proprietà di una legge, sistema, corpo, figura, di restare immutati sebbene varino degli stessi valori le grandezze in essi contenute. Proprietà essenziale sia per la formulazione delle leggi razionali (in matematica) sia per la formulazione delle leggi naturali (in fisica), che sarebbero altrimenti del tutto improponibili".

In questa seconda definizione, che comprende la precedente, abbiamo la descrizione di un importante elemento della topologia, la possibilità cioè di utilizzare lo stesso approccio matematico al variare della forma, variare che così, entro limiti dati e conosciuti, si rivela soltanto apparente dal punto di vista della teoria.

Marx affronta il problema in una sorta di analisi topologica sociale quando, nell'introduzione a Per la critica dell'economia politica parla delle categorie sociali invarianti, come il possesso, che rimane tale attraverso le varie forme di produzione, anche se trapassa in proprietà la quale, a sua volta, trapassa in proprietà capitalistica.

Le categorie semplici, dice Marx, "sono espressione di rapporti in cui può essersi realizzato il concreto non sviluppato, senza aver ancora posto il rapporto o la relazione più complessa che è espressa mentalmente nella categoria più concreta; mentre il concreto più sviluppato conserva quella stessa categoria come un rapporto subordinato".

Un mezzo universale di scambio è esistito prima che comparisse il denaro vero e proprio, lingotti di metallo, pelli di animale, animali in carne ed ossa (pecus, bestiame minuto, diventa pecunia), sale ecc. Ma il denaro propriamente detto percorre la sua parabola storica prendendo le forme di capitale mercantile, capitale industriale, profitto, salario, capitale azionario, capitale finanziario, infine segno di valore astratto registrato nelle memorie dei computer che registrano e compensano le transazioni senza che si muova denaro reale.

Una categoria semplice può esistere ben prima della sua forma sviluppata, ma essa è completamente rivelata soltanto quando si presenta come invariante all'interno di detta forma sviluppata, nel contesto sociale più complesso, più maturo. Per questo noi oggi diciamo che il marxismo si svela con maggiore potenza nella critica del capitalismo ultramaturo, proprio mentre il coro borghese e opportunista lo dà per morto.

La matematica scopre nella seconda metà del secolo scorso le proprietà invarianti delle figure geometriche sottoposte a determinate classi di trasformazioni (moti rigidi, compressioni, distensioni ecc.). Tali proprietà sono così strettamente connesse alla forma delle figure prese in esame che, sorprendentemente, esse persistono anche quando le figure sono assoggettate a deformazioni del tutto arbitrarie.

Senza saperlo, l'umanità aveva scoperto molti secoli prima, empiricamente, il concetto di invariante. I grandi maestri del Rinascimento che studiavano la prospettiva, cercando le leggi che governavano la trasposizione del mondo tridimensionale sulla tela bidimensinale senza perdere il senso della forma originaria, facevano un'operazione matematica con mezzi empirici. Quando Leonardo o Dürer studiarono la prospettiva cercando di proiettare l'immagine reale sulla tela, si accorsero subito che, se il centro di proiezione era il loro occhio, la struttura del dipinto, gli angoli e le misure delle cose si alteravano in proporzione della posizione relativa delle cose stesse tra loro e con l'occhio osservante. Nonostante queste variazioni, anche notevoli, non si perdeva la struttura geometrica dell'originale. Dovettero passare alcuni secoli perché si scoprisse che esistevano "proprietà geometriche invarianti rispetto alla proiezione o ai gruppi di trasformazione", ma soprattutto si dovette passare attraverso la rivoluzione borghese che, dando vita alla Scuola Politecnica di Parigi, gettò le basi per un salto scientifico.

Bordiga registra lucidamente questo percorso nella citata riunione di Milano sottolineando che la sovrastruttura ideologica e scientifica "non si forma dal quotidiano affluire di grani di sapere, ma appare nello squarcio di un violento scontro, e guida la classe che esprime, in una forma sostanzialmente monolitica e stabile (...) la successiva rivoluzione storica".

D'altra parte, trasportando il concetto di "invarianza" nel campo sociale, oltre a demolire il dualismo implicito nella precedente separazione tra campi diversi, il marxismo introduce una dinamica che rifiuta la trasformazione del risultato acquisito in "rivelazione, mito, idealismo": l'invarianza intesa dinamicamente è la scienza di un mondo in movimento e, in ambito scientifico, ogni variazione deve poter essere descritta formalmente a partire dai dati conosciuti, altrimenti tutta la costruzione cade.

Il marxismo rimane perciò invariante anche se variano coerentemente "le grandezze in esso contenute" come affermato nella seconda definizione di dizionario citata. Detto in altri termini, l'invarianza non è garantita dalla sola conservazione della dottrina, che diventerebbe religione, ma dalla elaborazione del suo contenuto in un corpo teorico che si perfeziona al limite fino alla prossima rivoluzione. Ciò non significa che occorre correggere la teoria secondo i capricci della contingenza, operazione che stravolgerebbe la teoria stessa, ma che occorre conservare il suo contenuto in uno spostamento al gradino superiore.

Il concetto della necessità di conservazione dell'invariante e nello stesso tempo di elaborazione verso una migliore disposizione degli strumenti teorici, Bordiga lo esprime chiamando i militanti rivoluzionari ad un lavoro teorico che non è affatto di routine ideologica sulle bibbie marxiste, come amano ripetere gli avversari, ma vero lavoro pratico, che si basa su di una struttura organizzativa, sulla stampa, sul contatto con la classe operaia, su frequenti riunioni di lavoro che permettono l'osmosi fra centro e periferia e viceversa, sul mantenimento di una fede anticapitalistica riverberata soprattutto dalla stampa.

Per Bordiga non ha senso l'obiezione secondo cui il lavoro su testi "invarianti" si riduce ad un circolo vizioso di ripetizione. Nessun testo è perfetto, irrevocabile e immodificabile. Non si modifica il testo, naturalmente, ma i materiali in esso contenuti, come quelli contenuti in tutti i testi, materiali che "sono in continua elaborazione e destinati a pervenire ad una forma sempre migliore e più completa (...) E' solo nello sviluppo in questa direzione del lavoro (...) che noi attendiamo il dilatarsi quantitativo delle nostre file e delle spontanee adesioni (...) che ne faranno un giorno una forza sociale più grande".

Il concetto di invarianza come fin qui descritto spiega perfettamente la posizione di Bordiga, altrimenti incomprensibile, come succede alla maggior parte dei suoi frettolosi lettori. Non c'è affatto contraddizione fra l'affermata monoliticità della teoria e la sua elaborazione in forme più articolate. Non c'è contraddizione fra l'invito a ripetere e l'invito a lavorare per portare la teoria ad un livello superiore di compiutezza.

C'è una terza possibile definizione di "invariante". Ogni procedimento scientifico porta l'uomo, nel suo sforzo di comprendere il mondo che lo circonda, a non limitarsi ad osservarlo per ottenere i dati che gli servono al fine di controllarlo e prevederne il comportamento. Tra l'osservazione e la prevedibilità occorre introdurre il calcolo, qualsiasi tipo di calcolo. L'osservazione sulla realtà fisica offre soltanto un cumulo di dati, ma l'osservazione sui dati offre la possibilità di intravvedere delle strutture ordinate. Quando una struttura è individuata, è possibile sostituire una complicata sequenza di eventi con una formula abbreviata, il cui contenuto informativo sia identico o molto approssimato alla realtà.

Se la formula è ripetibile in tutte le occasioni sulla stessa classe di fenomeni e ci permette di prevedere gli eventi anche in condizioni nuove, abbiamo individuato una legge. Questo procedimento, che la scienza borghese riteneva applicabile solo a fenomeni "newtoniani" e non a fenomeni complessi quali la dinamica dei fluidi, l'economia e la dinamica sociale, da un paio di decenni viene invece applicato ai fenomeni sempre più complessi. Questo fatto è di importanza enorme nella dimostrazione che di fronte al marxismo la borghesia è costretta a capitolare.

Ecco una terza definizione che mettiamo direttamente in relazione con la già citata nota di Bordiga scritta mezzo secolo prima: "La parola invariante descrive un processo comune a tutte le scienze matematiche e più in generale fisiche e naturali. In questa nozione è racchiusa a priori l'idea di matematizzare la realtà, ovvero di trasformare problemi qualitativi in problemi quantitativi e quindi costruire formalismi astratti e il calcolo su di essi".

La nota di Bordiga agli Elementi dell'economia marxista del 1929 (vedi primo capitolo) serve per spiegare al lettore quanto sia importante indagare i fenomeni qualitativi in modo da trarne informazioni per un calcolo quantitativo, l'unico che ci permette di fare scienza. Tutta la società umana, a partire dall'economia, è riducibile a dati quantitativi e ciò ci permette sia di comprenderne la realtà, sia di prevederne il percorso, quindi di stabilire la transitorietà del modo di produzione attuale, capitalistico.