Dal Corriere della Sera

LA FATICA DI CRESCERE


di VITTORINO ANDREOLI

Almeno oggi, nella Giornata dedicata alla follia, non dite che la
fanciullezza è un’età felice, la beata età del gioco. I dati della
Organizzazione mondiale della sanità nella loro crudezza dicono che la "follia" si lega alla vita, fin dalla nascita. E di conseguenza che una felicità di "natura", che poi si perde, è una pura illusione. Viene in mente Sigmund Freud che aveva parlato della nascita come trauma. E oggi non riusciamo nemmeno ad assicurare che dentro l’utero ci sia tranquillità, almeno dai cinque mesi e mezzo quando il feto è in grado di percepire i suoni acuti e dunque il battito del cuore materno con le sue variazioni ansiose e forse le voci rabbiose del mondo esterno.
Un bambino su cinque (20%) soffre di anomalie della mente, un adolescente su cinque (20%) è un disturbato psichico e la previsione dell’Oms è che questi valori entro il 2020 raddoppino. In maniera specifica: sette ragazzi su cento, prima di raggiungere i diciotto anni, hanno sofferto di un episodio grave di depressione a cui si legano molti suicidi.
La presenza della fatica di vivere già ai primi passi nel mondo è il
risultato degli studi sulla crescita e della scoperta di un bambino nuovo rispetto a quello dei tempi delle nostre nonne. Si pensava che, fino allo sviluppo del linguaggio verbale, il bambino fosse un vegetale da controllare con un metro e una bilancia per seguirne sviluppo in altezza e in peso, mentre oggi sappiamo che hanno bisogni psicologici fin dal primo momento di
vita. Bisogni ricchi e complessi quanto nelle età successive, anche se espressi con linguaggi e maschere differenti. E se ci sono dei bisogni è possibile soddisfarli ma anche frustrarli. Una frustrazione che si fa dolore e il dolore può assumere le maschere della follia.
Se un bambino al terzo mese di vita e ancor più all’ottavo non sorride più, rallenta l’esplorazione dello spazio riducendo i movimenti, rifiuta il cibo, tende a dormire a lungo, bisogna considerare che si possa trattare di segni
di una depressione e persino di una stanchezza di vivere che sconfina con la voglia, inconsapevole certo, di scomparire.
Il pianto che abitualmente è interpretato come fame, forse come "male al pancino ", insomma come espressione di un bisogno del corpo, potrebbe invece esser un pianto di disperazione per un dolore causato da una simbiosi
materna o paterna interrotta, un dolore che ha il sapore del lutto. Il
pianto va coniugato al plurale e va studiato con maggiore attenzione, come una stele di Rosetta del mondo bambino.
Non si pensi che la precocità di disturbi della mente sia segno dell’imperio della biologia e quindi di una fatalità meccanica. Oggi sappiamo che la follia dipende da tre fattori: biologia, esperienze e ambiente social e. Nessuno di questi fattori singolarmente è in grado di determinare la follia.
Anche nel bambino l’esperienza è ricca e varia e forse in questa luce vanno interpretati i segni cerebrali del sogno fin dalla prima infanzia. La follia dell’adolescenza e dell’età adulta ha forse una storia che si può radicare nell’infanzia. Una possibilità per ciascuno, sia pure con rischio differente, una possibilità che accompagna la nostra normalità e che talora
la sostituisce per un attimo, talvolta per sempre.
Viene voglia di nostalgia per tempi di minor sapere quando l’ignoranza nascondeva persino la sofferenza. Credevamo un tempo che il bambino fosse per definizione felice e invece soffriva, ora sappiamo che può persino "impazzire", ma possiamo aiutarlo a vivere felice.

Vittorino Andreoli

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=ANDR

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