VERITA' E CONVENZIONE
Il dibattito sul valore conoscitivo delle scienze



Ernst MACH
Dal positivismo al convenzionalismo: Il monismo della realtà
da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 514 e p. 604)

Il pensiero di Ernst Mach (1830-1916, vedi BIOGRAFIE Vita e opere di Mach, Poincaré e Duhem) rappresenta un positivismo teso ai suoi limiti estremi, che finisce per diventare una critica radicale al positivismo stesso.
Mach intende dimostrare l'infondatezza della pretesa positivistica di ammettere solo quelle conoscenze che sono saldamente fondate sui dati dell'esperienza.
A suo parere, invece, l'elemento qualificante della cono-scenza è opera del soggetto, e la scienza non è altro che l'ordinamento convenzionale, compiuto con fini utilitaristici, dei dati dell'esperienza, i quali, di per se stessi, nulla impongono oggettivamente al soggetto conoscente.
Mach rifiutò sempre di elaborare un compiuto sistema filosofico e non volle definirsi filosofo - anche se le sue concezioni ebbero poi influenza grandissima sul pensiero del Novecento - preferendo far scaturire le proprie considerazioni da precise analisi su alcune discipline scientifiche.
Tre furono i settori della ricerca Ottocentesca che più degli altri influenzarono Mach: la fisica, la fisiologia delle sensazioni, la biologia evoluzionista.
E attraverso il confronto serrato con queste discipline che si vennero formando le convinzioni teoriche del nostro autore.
Il pensiero di Mach rappresenta un positivismo teso ai suoi limiti estremi, che finisce per diventare una critica radicale al positivismo stesso.
Mach intende dimostrare l'infondatezza della pretesa positivistica di ammettere solo quelle conoscenze che sono saldamente fondate solo sui dati dell'esperienza.
A suo parere, invece, l'elemento qualificante della conoscenza è opera del soggetto, e la scienza non è altro che l'ordinamento convenzionale, compiuto con fini utilitaristici, dei dati dell'esperienza, i quali, di per se stessi, nulla impongono oggettivamente al soggetto conoscente.

Il monismo della realtà
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.604)

La concezione machiana di scienza ha quale obiettivo principale il raggiungimento di una unificazione tra fisica e psicologia.
Secondo Mach questo risultato si può conseguire adottando un punto di vista filosofico monistico che respinga le tradizionali distinzioni tra soggetto e oggetto, tra mente e corpo, tra apparenza e realtà, le quali inevitabilmente finirebbero per aprire un solco tra fisica e psicologia. Occorre ammettere che la realtà non è in sé né fisica né psichica, né materiale né mentale; essa è così come ci appare, un insieme di sensazioni.
Tuttavia Mach, poiché il termine "sensazione" è storicamente carico di una interpretazione soggettivistica, secondo cui le sensazioni sono sensazioni di un soggetto, preferisce usare il termine - a suo parere neutrale, di "elementi".
La realtà, quindi, è definibile come un insieme indifferenziato di elementi, e i concetti di "io" e di "corpo", di "interno" e di "esterno", indispensabili per un primo orientamento - dovranno essere costruiti a partire da quell'unica realtà.
In questo modo le coppie concettuali sopra indicate saranno a loro volta ricostruite sulla base di una realtà di tipo monistico e anche la fisica (scienza del corpo) e la psicologia (scienza dell'Io) potranno essere intese come punti di vista parziali secondo i quali indagare quell'unica realtà che è costituita dall'insieme degli elementi. Nessun limite invalicabile, nessuna frattura verrà a distinguere le due scienze.


IL CONVENZIONALISMO DI Jules-Henri POINCARE'
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 518)

Poincaré non elaborò alcuna compiuta filosofia; si limitò anzi ad analisi specifiche, sia pure di grande respiro teorico, su problemi posti da sviluppi scientifici particolari, ottenendo risultati che egli non volle utilizzare per costruire una nozione globale di "scienza" e di "metodo scientifico".
Se questo fu indubbiamente un limite della sua opera (poiché il suo rifiuto di discutere a fondo questioni filosofiche generali consentì un uso strumentale delle sue idee da parte delle filosofie più disparate) rappresentò però anche un aspetto di grande forza, in quanto le sue indagini dettagliate consentirono alla filosofia di penetrare nelle pieghe della scienza, di metterne a nudo dall'interno le procedure nascoste. Questa compenetrazione tra interessi filosofici e ricerca scientifica fu alla base del grande fascino che esercitarono gli scritti di Poincaré.
La scelta di non proporsi il compito di enunciare teorie generali sulla natura, come aveva fatto Mach, fu dettata a Poincaré soprattutto da una convinzione teorica: è impossibile svolgere un discorso generale sul metodo della scienza, perché la scienza si presenta profondamente differenziata al suo interno. Il metodo dell'aritmetica è ben diverso da quello della geometria , e quest'ultimo si differenzia nettamente da quello della fisica.


PIERRE DUHEM
EPISTEMOLOGIA E STORIA DELLA SCIENZA
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 521, pp. 604-605 e pp.607-608)

Nato a Parigi nel 1861.
Considerato uno dei fondatori della moderna chimica-fisica, riflettendo negli ultimi anni dell'Ottocento sul significato culturale di questa disciplina, mise a punto una critica della concezione positivistica della scienza che ha conservato una grande vitalità, fornendo temi di discussione a tutta la filosofia della scienza novecentesca.(p.521)

Il metodo ipotetico deduttivo
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., pp. 604-605)

Duhem fu il grande difensore del primato della teoria sull'osservazione.
La sua opera filosofica mirò a combattere la visione, propria del positivismo, che privilegiava l'esperienza come fonte di conoscenza ed elevava il metodo induttivo (partire dai fatti per giungere le teorie) supremo metodo scientifico.
Duhem sostenne, al contrario, che le teorie si costruiscono senza tener conto dell'espe-rienza, ponendo del tutto liberamente in via ipotetica dei principi che sono formule simboliche le quali pos4 sono essere prive di un significato fisico. Sola preoccupazione del teorico deve essere quella di evitare contraddizioni di ordine logico. Solamente quando la teoria è stata sviluppata si può passare a confrontarla con l'esperienza. Questo confronto, tuttavia, non potrà mai investire tutta la teoria che, lo abbiamo detto, può partire da principi che non significano nulla fisicamente.
Il controllo empirico, infatti, potrà riguardare solo alcune parti della teoria, alcuni teoremi, dedotti dai principi. Questi ultimi possono essere sottoposti a verifica dopo esser stati opportunamente tradotti in un linguaggio fisico, attraverso la definizione delle procedure di misura che consentono di dare un significato empirico (misurabile) ad alcuni dei simboli impiegati. L'esperienza non viene perciò prima della teoria, ma dopo; non interviene all'inizio della teorizzazione, ma alla fine, come controllo di alcune conseguenze delle ipotesi di partenza.
Secondo questa visione ipotetico-deduttiva del metodo scientifico i principi teorici, non essendo suscettibili di interpretazione fisica diretta, non possono essere in tesi come proposizioni che hanno a che fare con la verità. Essi non vogliono descriverci il mondo, intendono solo fungere da principi di organizzazione dell 'esperienza, strumenti per ordinare in un corpo unitario quei teoremi che sono sottoponibili al vaglio sperimentale. I principi vogliono "salvare i fenomeni", come sottolinea Duhem riprendendo l'antica formula dell'astronomia matematica che era tornata in auge al tempo della rivoluzione copernicana; non vogliono dirci come è fatto il mondo, dunque non possono essere né veri né falsi, ma soltanto utili o inutili, precisi o approssimati, comodi o scomodi, semplici o complicati, belli o brutti.


IL VALORE IPOTETICO DELLA SCIENZA da La teoria fisica
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 607-608)

PREMESSA
Il carattere ipotetico-deduttivo del metodo scientifico, lo statuto convenzionale delle teorie, la difesa della scienza dallo scetticismo, l'importanza dello studio della storia della scienza sono i grandi temi proposti da Duhem al dibattito sul valore della scienza che si accende a cavallo di Ottocento e Novecento sia negli ambienti filosofici europei sia all'interno delle scienze stesse Nel brano che abbiamo scelto, tratto da La teoria fisica, del 1906, il tema centrale è quello del valore ipotetico delle teorie scientifiche. I principi teorici non possono essere intesi - afferma il pensatore francese - come proposizioni che hanno a che fare con una qualche verità oggettiva; la loro natura è piuttosto di tipo convenzionale (vedi Ipotesi ).

TESTO
Una teoria fisica non è una spiegazione (1). E' un sistema di proposizioni matematiche, dedotte da un piccolo numero di principi, che hanno come scopo quello di rappresentare il più semplicemente, il più completamente e il più esattamente possibile, un insieme di leggi sperimentali.
Per precisare un poco questa definizione, caratterizziamo le quattro operazioni successive per mezzo delle quali si forma una teoria fisica.
1. Tra le proprietà fisiche che ci proponiamo di rappresentare, noi scegliamo quelle che consideriamo come proprietà >I>semplici e le altre proprietà saranno pensate come loro raggruppamenti o combinazioni (2). Facciamo corrispondere alle proprietà semplici, per mezzo di metodi di misura appropriati, altrettanti simboli matematici, numeri, grandezze; questi simboli matematici non hanno con le proprietà che rappresentano alcuna relazione di natura; essi hanno con esse solo la relazione che ha il segno con la cosa significata. Per mezzo dei metodi di misura, si può far corrispondere ad ogni stato di una pro-prietà fisica un valore del simbolo rappresentativo, e vale anche l'inverso (3).
2. Noi colleghiamo tra di loro i differenti tipi di grandezze così introdotte per mezzo di un piccolo numero di proposizioni che serviranno come principi per le nostre deduzioni; questi principi possono essere chiamati ipotesi nel senso etimologico della parola (4), perché esse sono veramente i fondamenti sui quali si costruirà la teoria, ma non pretendono in alcun modo di enunciare delle relazioni vere tra le proprietà reali dei corpi. Queste ipotesi possono dunque essere formulate in modo arbitrario (5). La contraddizione logica, sia tra i termini di una stessa ipotesi, sia tra diverse ipotesi di una stessa teoria, è la sola barriera assolutamente insuperabile davanti alla quale si arresta questa arbitrarietà.
3. I diversi principi o ipotesi di una teoria sono combinati insieme secondo le regole dell'analisi matematica. Le esigenze della logica algebrica sono le sole che il teorico è tenuto a soddisfare nel corso di questo sviluppo. Le grandezze su cui portano i suoi calcoli non pretendono di essere delle realtà fisiche, i principi che egli invoca nelle sue deduzioni non si presentano per nulla come l'enunciazione di relazioni vere tra queste realtà; importa dunque poco che le operazioni che egli esegue corrispondano o meno a delle trasformazioni fisiche reali o anche pensabili. Che i suoi sillogismi siano conclusivi e i suoi calcoli esatti, è tutto quello che si ha il diritto di chiedergli. 4. Le diverse conseguenze che si sono in questo modo derivate dalle ipotesi possono tradursi in altrettanti giudizi che portano sulle proprietà fisiche dei corpi. I metodi adatti a definire e a misurare queste proprietà fisiche sono come il dizionario, come la chiave che permette di fare questa traduzione. Si confrontano questi giudizi con le leggi sperimentali che la teoria si propone di rappresentare; se essi concordano con queste leggi, al grado di approssimazione che comportano le procedure di misura impiegate, la teoria ha raggiunto il suo scopo, essa è dichiarata buona; altrimenti è cattiva, deve essere modificata o rigettata.
Così una teoria vera non è una teoria che dà una spiegazione conforme ala realtà delle apparenze fisiche; è una teoria che rappresenta in modo soddisfacente un insieme di leggi sperimentali. Una teoria falsa non è un tentativo di spiegazione fondato su delle supposizioni contrarie alla realtà; è un insieme di proposizioni che non concordano con le leggi sperimentali. L'accordo con l'esperienza è per una teoria fisica l'unico criterio di verità.
(da P. Duhem, La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura, Il Mulino, Bologna 1978.)

NOTE:
1) Duhem impiega il termine "spiegare" come sinonimo di "spogliare la realtà dalle apparenze che l'avviluppano come dei veli al fine di vedere questa realtà nuda facca a faccia", e lo oppone a "rappresentare".

2) La distinzione tra proprietà semplici e complesse, come viene proposta qui da Duhem, non ha nulla a che vedere con quanto accade in natura, è il frutto di una scelta convenzionale, di una definizione che non si preoccupa di quel che possa essere semplice o complesso oggettivamente.

3) Per esempio alla proprietà di un corpo di esser più o meno caldo si può associare il simbolo T (temperatura) per mezzo di un termometro, la lettura del quale consente di far corrispondere a ogni stato della proprietà I un numero. In questo modo la relazione che si instaura tra la proprietà di cui si vuoi parlare e il suo simbolo non ha nulla di "naturale", è una pura definizione fondata sull'impiego di uno strumento di misura. L'idea portata avanti da Duhem di definire i concetti fisici facendo riferimento alle operazioni di misura per mezzo delle quali i concetti stessi assumono valori numerici avrà grandi sviluppi nel nostro secolo nella concezione filosofica della scienza detta "operazionismo".

4) Duhem intende qui riferirsi al contesto nel quale il termine 'ipotesi" è stato originariamente posto in relazione alle teorie fisiche, cioè nella "astronomia matematica" (distinta dalla "astronomia fisica"): qui le ipotesi da cui partivano gli astronomi per i loro calcoli erano concepite come rappresentazioni di comodo, strumenti di calcolo che non avevano la pretesa di rappresentare la vera natura dell'universo.

5) La natura arbitraria, convenzionale, dei principi teorici fu un argomento che Duhem impiegò abbondantemente nel suo libro più "scandaloso": Salvare i fenomeni. Qui Duhem, ripercorrendo la storia dell'astronomia, sostenne la tesi che, nel grande scontro tra Galileo, fautore del copernicanesimo, e la Chiesa cattolica, la logica stava dalla parte di quest'ultima, perché l'idea della mobilità della Terra, principio fondamentale della teoria di Copernico, non poteva essere intesa come una affermazione sulla vera natura del sistema solare, ma solo come un artificio calcolistico particolarmente comodo che non ha alcuna pretesa di verità.


2^ Sez. La riflessione epistemologica
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