crisi dei fondamenti ed epistemologia contemporanea


"LA SCIENZA E LA FILOSOFIA"


SCHEMA
(Da De Bartolomeo-Magni,Percorsi di filosofia contemporanea, cit., p. 71)

La crisi del meccanicismo

è determinata

da

La teoria del campo elettromagnetico

 

La relatività einsteiniana

 

 

 

La teoria dei quanti

 

Il principio di indeterminazione


LA SCIENZA

è considerata

LA FORMA

FONDAMENTALE DELLA

CONOSCENZA

 

ha solo

UN VALORE

STRUMENTALE

 

 

È

CONOSCENZA DI FATTI

Ma

NON RISPONDE ALLE DOMANDE DI SENSO

 

È

SOLO PENSIERO CALCOLANTE

non è

PENSIERO MEDITANTE

da

 

per

 

per

 

per

Positivismo

E

Neopositivismo

 

 

Bergson

e

Croce

 

 

 

 

 

 

Husserl

 

Heidegger

 

 

 

VERIFICABILITA’

Implica IL METODO INDUTTIVO

 

afferma che LA VERITA’ DI UN ENUNCIATO si basa su LA VERIFICA EMPIRICA

 

 

 

FALSIFICABILITA’

Implica IL METODO DEDUTTIVO

 

 

Afferma che LA SCIENTIFICITA’ DI UN’IPOTESI e data dalla POSSIBILITA’ DELLA SUA CONFUTAZIONE




La scienza e la filosofia
Da De Bartolomeo-Magni,Percorsi di filosofia contemporanea, cit., pp.89-92

L’idea del primato della scienza
La scienza (e la tecnica, ad essa strettamente legata) si afferma come uno dei principi ispiratori e una delle idee portanti della cultura dell’Ottocento, I suoi progressi toccano praticamente ogni campo: si estendono cioè dalle scienze fisico-matematiche alla biologia (che diviene anzi un settore di punta, grazie alla teoria darwiniana dell’evoluzione), alla psicologia e alla sociologia (che si affermano come due nuove scienze), alla storia ed all’economia.
Si apre un periodo di rapporti conflittuali e problematici tra scienza e filosofia che diventa uno dei motivi centrali della riflessione filosofica. Sembra che filosofia e scienza non possano che essere alternative in una situazione in cui prevalentemente è la filosofia a soffrire e a risentire dell"’imperialismo" della scienza, che le toglie progressivamente spazi, che tende a relegarla sempre più ai margini del sapere.
E il Positivismo nell’800 ad affermare il primato della scienza sulle altre manifestazioni dello spirito umano e in particolar modo sulla filosofia. Esso sostiene, a partire da
Saint-Simon e Comte, da un lato che anche le altre forme e discipline dovrebbero ispirarsi a criteri di razionalità e scientificità, essere cioè condotte a uno stato positivo nel quale siano rimossi e liquidati tutti i residui metafisici e irrazionali delle precedenti civiltà; dall’altro, che l’intera società dovrebbe essere riordinata mediante interventi di ingegneria sociale ispirati a princÌpi di razionalità scientifica ed a tecniche intelligenti di progettazione: intervento e regolazione dei processi economico-sociali, volti a stabilire una nuova fase di sviluppo ordinato e pacifico dell’umana convivenza. L’intero sistema della cultura viene così ridisegnato da alcuni pensatori, come Comte e Spencer.
Comte fonda questo sistema su una nuova enciclopedia delle scienze, descritta in base agli oggetti studiati da ciascuna, al loro grado di generalità e complessità ed al momento in cui ciascuna è passata - o sta per passare - allo stadio "positivo": quello della scientificità piena. Con la fisica sociale si completa questo nuovo edificio in cui la filosofia non appare come sapere autonomo a se stante, ma come filosofia della scienza, sintesi dei risultati generali della scienza. Alla metafisica si sostituisce una "filosofia della storia dello spirito attraverso la scienza", di cui la legge dei tre stadi è il risultato più alto e sistematico, Spencer si avvale del concetto di evoluzione - tratto dalla biologia - e lo trasforma in un modello interpretativo della realtà, di quella inanimata come di quella animata, e delle stesse forme della cultura umana, oltre che in un criterio direttivo per ciascuna scienza. La scienza non fa e non può fare altro che "sistemare le nostre esperienze, ma non è minimamente in grado di estendere i limiti delle nostre esperienze". Perciò il rapporto che lega l’ordine dei fenomeni con l’ordine dell’essere ci sfugge, la forma incondizionata dell’essere ci è imperscrutabile. Questo è l’ambito della "Realtà Ignota". Ma non è la filosofia che la può conoscere, perché
lo spazio del mistero è di competenza della religione. Così la filosofia non ha un suo campo autonomo. Fondamentale, nel clima culturale dell’Ottocento, per i cambiamenti radicali che produrrà nella concezione della natura e dell’uomo, è l’influsso che la teoria dell’evoluzione di
Charles Darwin - contenuta nella celebre opera L’origine delle specie - ha avuto sugli orientamenti culturali e ideali, sullo stesso "clima intellettuale" del secolo e che è stato talvolta paragonato a quello avuto - fra ‘500 e ‘600 - dalla rivoluzione copernicana. La teoria si basa su tre princìpi fondamentali: la lotta per l’esistenza, la selezione naturale (che determina la "sopravvivenza dei più adatti") e la trasmissione ereditaria delle variazioni più favorevoli. In un altro scritto, L’origine dell’uomo, vengono descritti alcuni aspetti essenziali dell’evoluzione della specie umana e, soprattutto, indicata la possibile evoluzione dell’uomo da altre specie inferiori, in particolare dalle scimmie.
Malgrado l’interesse eminentemente scientifico dell’elaborazione darwiniana, essa ha avuto un4mpatto fortissimo sul piano etico-religioso, perché è sembrata mettere in discussione, ancora una volta dopo Copernico, l’idea dell’uomo come creatura collocata da Dio al centro della creazione. Quindi è diventata una specie di "bandiera" ideologica intorno alla quale è stata condotta una polemica senza esclusione di colpi fra i suoi nemici e i suoi sostenitori.
Anche sul piano politico-sociale l’influenza del darwinismo sarà fortissima, se si pensa all’avvento, verso la fine dell’Ottocento, del cosiddetto Socialdarwinismo, cioè della tesi (solo arbitrariamente collegabile allo scienziato inglese) che il principio della "sopravvivenza del più adatto" giustifica il dominio dei più forti sui più deboli, quindi la politica espansionistica delle potenze coloniali o il dominio di una classe sociale sulle altre, ritenute "inferiori" e perciò destinate a obbedire.

La reazione critica al primato conoscitivo della scienza
All’apologia positivista della scienza si sostituisce, dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, un orientamento di segno opposto, nel quale alla scienza viene avanzata una critica di fondo, relativa alla sua stessa funzione cognitiva, cioè alla sua costituzione come forma privilegiata di conoscenza della realtà, che verrà messa apertamente in discussione. Tali sono le critiche formulate da indirizzi di pensiero che sottolineano il valore meramente strumentale (economico) della conoscenza scientifica, contrapponendo a questa una forma diversa, ritenuta superiore, di conoscenza, quale è quella filosofica.
Sono soprattutto le filosofie idealistiche e spiritualistiche a indicare nella filosofia la forma più adeguata di comprensione della realtà.
Cosi
Croce attribuisce alla scienza non un valore conoscitivo, ma una mera funzione "economica": i suoi concetti sono considerati degli pseudo-concetti, cioè svalutati e ridotti a rappresentazioni inadeguate della realtà, schemi di classificazione dei fatti dell’esperienza, semplici mezzi per l’agire umano nel mondo.
Altrettanto svalutativo è il giudizio di
Gentile, che considera la scienza come forma di conoscenza astratta e dogmatica, perché basata sulla convinzione che la natura sia indipendente dal pensiero, quindi incapace di cogliere l’infinita creatività del pensiero. Per Gentile è conoscenza autentica solo quella che riconduce la realtà al pensiero che la pensa, cioè identifica ciò che è "altro" con l’attualità del pensiero.
Più articolata e problematica è la critica di
Bergson. Essa si rivolge allo scientismo positivistico (più che alla scienza in quanto tale con la quale dialoga e si confronta), che viene accusato di essere portatore di una visione unilaterale della conoscenza. Per il filosofo, infatti, la scienza non è l’unica forma valida di conoscenza umana. Essa, invece, è portatrice di un sapere analitico, che gira intorno alle cose senza coglierle dall’interno. Si avvale dell’intelletto, come facoltà tipica dell’homo faber, dell’uomo capace di fabbricare strumenti artificiali, schemi d’azione mediante i quali si "ritagliano" dal flusso perenne dell’esperienza aspetti ritenuti indispensabili per la sopravvivenza, che vengono poi utilizzati come quadri di riferimento e strumenti per l’azione.
La critica di Bergson riguarda soprattutto il primato che è stato attribuito al modello cognitivo dell’intelletto scientifico, che ha portato a considerare il mondo come mera esteriorità. La stessa psiche umana è stata trattata scientificamente, descritta dalla psicologia come esteriorità, ridotta quasi a cosa fra cose. Anche il tempo della coscienza è stato rovesciato, posto come al di fuori di se stesso, descritto come tempo spazializzato, frammentato in istanti, omogeneo e, come tale, "misurato". In tal modo si è perso di vista l’aspetto di fondo della coscienza: l’essere cioè, essa, soprattutto interiorità ed il tempo della coscienza una durata reale, tempo disomogeneo, fluido, qualitativamente sempre nuovo, irreversibile, tempo vissuto e non semplicemente "spazjalizzato". All’intelletto scientifico, quindi, Bergson ha contrapposto l’intuizione filosofica, cioè la capacità di cogliere dall’interno sia la coscienza che le cose stesse, in un’adesione simpatetica a ciò che esse hanno di autentico, il fatto di esprimere uno slancio vitale, un’evoluzione creatrice che ne costituisce l’essenza e ne determina i processi profondi.
Anche il Neokantismo e lo Storicismo tedesco hanno presentato la caratteristica di non contestare, in sé, il valore della conoscenza scientifica, come forma di spiegazione dei processi della realtà capace di produrre risultati decisivi per il progresso umano. Essi hanno soprattutto sottolineato come esistano non soltanto uno ma almeno due modelli conoscitivi delle scienze: quello delle scienze della natura (che invece il Positivismo aveva, in larga misura, identificato come il modello de "la scienza" in quanto tale) e quello dalle scienze dello spirito. Così le scienze della natura sono state considerate come nomotetiche (cioè volte a considerare unicamente le leggi generali di svolgimento degli eventi) e le seconde come idiografiche (cioè individualizzanti, o volte a considerare degli eventi nella loro singolarità).

Scienza unificata e immagine scientifica del mondo
Il Circolo di Vienna, animato da Schlick, Carnap, Neurath e altri, presenta dichiaratamente il proprio programma come alternativa all’irrazionalismo ed allo scetticismo filosofico. Si propone la ricostruzione teorica di una base razionale dell’esperienza che destituisca di fondamento ogni metafisica, mediante protocolli linguistici riferiti a dati di fatto, cui ricondurre il significato di ogni proposizione. L’unico parametro ammissibile di conferma della verità scientifica, affermano gli esponenti del Circolo di Vienna, è la realtà sensibile, che però va anch’essa definita in modo rigoroso e perfettamente determinato, per evitare che ci si riferisca non alla realtà sensibile, bensì alla sua idea metafisica.
L’ideale di fondo cui gli esponenti del Circolo di Vienna si ispirano è quello di una scienza unificata, fondata su basi logico-linguistiche irrefutabili. Si punta - ad esempio col disegno di una Enciclopedia delle scienze unificate - a superare definitivamente la scissione fra scienze della natura e scienze umane e storico-sociali, anche se il modello cui tutte dovrebbero ridursi è quello delle scienze matematico-naturalistiche. In tal senso, il linguaggio delle altre scienze dovrebbe essere ridotto (cioè tradotto) in quello delle prime e questo, a sua volta, dovrebbe essere trattato senza alcun riferimento alla soggettività del ricercatore, descritto mediante proposizioni protocollari da cui quel riferimento fosse definitivamente espunto.
Gli epistemologi viennesi - nell’intraprendere la loro attività - guardano soprattutto alla prima opera fondamentale di
Wittgenstein, il Tractatus logico-philosophicus, opera di un autore che non farà mai parte del Circolo di Vienna, pur essendone il principale ispiratore. Egli espone una tesi sulla natura del linguaggio secondo cui gli unici criteri per determinare il senso delle proposizioni sono, da un lato la corrispondenza tra l’enunciato delle proposizioni e i fatti, dall’altro la coerenza logica delle relazioni tra proposizioni. Le proposizioni dotate di senso, quindi, sono quelle verificate da una base empirica - o dalla sua negazione - oppure le proposizioni astratte, tautologiche, della logica e della matematica.
Anche Wittgenstein considera come modello esemplare di linguaggio (cioè di linguaggio dotato di senso) quello delle scienze della natura. Tutto quello che, pur essendo espresso in termini di proposizioni del linguaggio, non rientra in questi due criteri, non è falso né arbitrario, ma semplicemente insensato. Tali - cioè prive di senso - sono quindi le proposizioni della metafisica, che asseriscono giudizi di verità su eventi e stati di cose non comprovabili dall’esperienza sensibile. Ai problemi di cui la filosofia si è occupata - e che pure sono "vitali" per l’uomo - è possibile dedicarsi solo abbandonando la pretesa di fornirne una conoscenza adeguata, che è possibile unicamente con un linguaggio scientifico. Di nuovo per la filosofia uno spazio autonomo di conoscenza non c’è. Ora la sua funzione sembra quella, comunque rilevante dal punto di vista del Neopositivismo, di controllo critico della validità degli enunciati. La filosofia non è una forma di conoscenza ma solo un’attività che serve a chiarire il significato delle proposizioni.
Il Tractatus si conclude con un dubbio radicale: se il reale si riduce ai fenomeni accertabili dalle scienze della natura, e il mondo è una congerie di stati di fatto, ricoperti da una "pellicola" di linguaggio che conferisce ad essi la possibilità di essere detti, allora tutti gli interrogativi che consideriamo più vitali, sul senso dell’esistenza umana, sul bene e il male, Dio, ecc., sono oltre i limiti del significato. "Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere": così finisce il Tractatus logicus-philosophicus.
Collocandosi in un contesto teorico diverso - riconducibile al Pragmatismo e allo Strumentalismo -
John Dewey, pur riproponendo la scienza come forma e modello razionale di conoscenza, ne evidenzia il carattere problematico e la necessità di ripensarne collocazione e funzione. Innanzitutto recuperandone la continuità con la conoscenza comune e con l'operare tecnico-produttivo dell'uomo. Considerandola, inoltre, come aspetto specifico dell'interazione fra individuo e ambiente, nell'ambito di una realtà che è essa stessa esperienza di vita problematica, basata sull'incertezza e sul rischio, sulla causalità e la contingenza e non certo sulla razionalità descritta dall'Hegelismo o dal Positivismo. La scienza costituisce così un mezzo indispensabile per garantire un controllo razionale del mondo, ma nel contesto di una vicenda umana che è sempre in gioco, sempre da costituirsi in un rapporto attivo col mondo.

La scienza e il problema del senso dell’esistenza
Di un’ancora più accentuata problematicità della riflessione sulla scienza e sulla sua funzione nella vita dell’uomo sono espressione non pochi indirizzi teorici del ‘900, nei quali, pur riconoscendo il ruolo che la scienza svolge nella società contemporanea, viene contestata ad essa non solo a pretesa di costituirsi come forma più elevata di conoscenza della realtà, ma anche l’incapacità di garantire una risposta alla domanda di significato che l’uomo da sempre si pone e alla quale la scienza non è in grado di fornire risposte. È alla filosofia, non alla scienza che bisogna rivolgersi perché trovi risposta o, almeno, venga affrontata la domanda di senso.
Anticipatore ditale tendenza è stato
Nietzsche, il quale ha mosso allo scientismo positivista, più ancora che alla scienza, la critica di essere espressione di un intellettualismo esasperato, che tende a smorzare e mortificare le istanze vitali degli individui. Per Nietzsche la presunzione di verità che ha ispirato la cultura del Positivismo ha nascosto motivazioni ben più pressanti, cioè la necessità di rassicurazione di cui ha bisogno la natura umana, e che sembra garantita dalla credenza di un ordine stabile del mondo. Il sogno socratico di una conoscenza universale, disinteressata, che si è trasmesso all’intera cultura occidentale e si è trasformato nella fede nella capacità teoretica della scienza, capace di abbracciare e comprendere ogni classe di fenomeni, èuna pura illusione, una "sublime illusione metafisica". Lidea che esista un ordine universale e assoluto dei fenomeni è fittizia. Ma la finzione è necessaria (scrive ne La gaia scienza) perché necessario alla vita è non perdersi nel "flusso assoluto delle cose", prospettarsi quindi "un mondo immaginario contrario, in contraddizione col flusso assoluto". [...] La verità ultima del flusso delle cose non tollera l’assimilazione: i nostri organi (per la vita) sono organizzati sull’errore". In effetti, la critica di Nietzsche, più che contro la ragione e la scienza, sembra muoversi contro la loro assolutizzazione di tipo metafisico, contro "il fanatismo con cui tutto il pensiero greco si getta sulla razionalità", contro "il bisogno di fare della ragione un tiranno, come fece Socrate" (scrive ne Il crepuscolo degli idoli). Contro la razionalità della scienza e della metafisica, la filosofia di Nietzsche si costituisce come un "sì alla vita".
Un atteggiamento di critica analogo a quello nietzschiano si afferma largamente nel ‘900. A partire dalla critica serrata che
Husserl muove alla scienza ne La crisi delle scienze europee. Egli si rivolge contro il naturalismo positivistico, "la superstizione dei dati di fatto" di cui è stato portatore, "la naturalizzazione della coscienza" che ha contribuito a produrre. Anche questa è una metafisica, è assunzione acritica di dati, che vengono accolti senza sottoporli al vaglio della coscienza e della sua intenzionalità, come invece la Fenomenologia (che per Husserl è "antimetafisica") intende fare. In effetti, è contro l’assolutizzazione del modello di razionalità galileiano, contro l’idea di una matematizzazione del mondo, che egli si rivolge. "Le me-re scienze difatti creano meri uomini di fatto". Nulla hanno da dire "su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà". E questa è la ragione della "crisi dell’esistenza europea", delle sue degenerazioni autoritarie (incarnate dal Nazismo), della perdita del senso dell’uomo e della sua libertà. In effetti, conclude Husserl, la causa del fallimento non sta nell’essenza del razionalismo, "ma soltanto nella sua manifestazione esteriore, nel suo decadere a ‘naturalismo’ e a ‘obiettivismo"’. Egli quindi fa appello ad "un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo
Anche
Heidegger critica radicalmente il modello "classico" di razionalità e, come Nietzsche, rinvia a Platone ed alla sua visione delle idee (che ha portato all’identificazione dell’essere con l’ente, riducendo l’essere a mera "presenza"), che ha portato, in effetti, all"’oblio dell’essere". Il modello platonico è stato alla base non solo della metafisica occidentale, ma della stessa razionalità tecnico-scientifica che ha affermato ormai pienamente il suo dominio a livello planetario e che si fonda essenzialmente sul pensiero calcolante, cioè sul calcolo pianificato che è alla base dell’immagine tecnico-scientifica del mondo. Inquietante non è tanto il dominio della tecnica, quanto il fatto che "l’uomo non sia affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo". Non si tratta di rinunciare ai prodotti della tecnica e della scienza (e come sarebbe possibile?) ma di considerarli "come qualcosa che non è nulla di assoluto, ma che dipende esso stesso da qualcosa di più alto". In altri termini, nel "gioco decisivo" che si apre oggi sull’avvenire stesso dell’uomo, si tratta di gettare in campo "un pensiero meditante contro il pensiero calcolante".





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