Rassegna Stampa 09/2001
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Che cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun
rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco
sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano
per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli
giapponesi della Seconda Guerra Mondiale. Non li ho mai considerati Pietri
Micca che per bloccar l'arrivo delle truppe nemiche danno fuoco alle polveri e
saltano in aria con la cittadella, a Torino. Non li ho mai considerati
soldati. E tantomeno li considero martiri o eroi, come berciando e sputando
saliva il signor Arafat me li definì nel 1972. (Ossia quando lo intervistai
ad Amman, luogo dove i suoi marescialli addestravano anche i terroristi della
Baader-Meinhof). Li considero vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la
gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte
propria e altrui. Una morte che invece del Premio Oscar o della poltrona
ministeriale o dello scudetto gli procurerà (credono) ammirazione. E, nel
caso di quelli che pregano Allah, un posto nel Paradiso di cui parla il
Corano: il Paradiso dove gli eroi si scopano le Urì. Scommetto che sono
vanesi anche fisicamente. Ho sotto gli occhi la fotografia dei due kamikaze di
cui parlo nel mio «Insciallah»: il romanzo che incomincia con la distruzione
della base americana (oltre quattrocento morti) e della base francese (oltre
trecentocinquanta morti) a Beirut. Se l'erano fatta scattare prima d'andar a
morire, quella fotografia, e prima d'andar a morire erano stati dal barbiere.
Guarda che bel taglio di capelli. Che baffi impomatati, che barbetta leccata,
che basette civettuole...
Eh! Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, tra me e lui
non corre buon sangue. Non mi ha mai perdonato né le roventi differenze di
opinione che avemmo durante quell'incontro né il giudizio che su di lui
espressi nel mio libro «Intervista con la storia». Quanto a me, non gli ho
mai perdonato nulla. Incluso il fatto che un giornalista italiano
imprudentemente presentatosi a lui come «mio amico», si sia ritrovato con
una rivoltella puntata contro il cuore. Ergo, non ci frequentiamo più.
Peccato. Perché se lo incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi
udienza, glielo urlerei sul muso chi sono i martiri e gli eroi. Gli urlerei:
illustre Signor Arafat, i martiri sono i passeggeri dei quattro aerei
dirottati e trasformati in bombe umane. Tra di loro la bambina di quattro anni
che si è disintegrata dentro la seconda torre. Illustre Signor Arafat, i
martiri sono gli impiegati che lavoravano nelle due torri e al Pentagono.
Illustre Signor Arafat, i martiri sono i pompieri morti per tentar di
salvarli. E lo sa chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo che doveva
buttarsi sulla Casa Bianca e che invece si è schiantato in un bosco della
Pennsylvania perché loro si son ribellati! Per loro sì che ci vorrebbe il
Paradiso, illustre Signor Arafat. Il guaio è che ora fa Lei il capo di Stato
ad perpetuum. Fa il monarca. Rende visita al Papa, afferma che il terrorismo
non le piace, manda le condoglianze a Bush. E nella sua camaleontica abilità
di smentirsi, sarebbe capace di rispondermi che ho ragione. Ma cambiamo
discorso. Io sono molto ammalata, si sa, e a parlare con gli Arafat mi viene
la febbre.
Preferisco parlare dell'invulnerabilità che tanti, in Europa, attribuivano
all'America. Invulnerabilità? Ma come invulnerabilità?!? Più una società
è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un paese è
libero, non governato da un regime poliziesco, più subisce o rischia i
dirottamenti o i massacri che sono avvenuti per tanti anni in Italia in
Germania e in altre regioni d'Europa. E che ora avvengono, ingigantiti, in
America. Non per nulla i paesi non democratici, governati da un regime
poliziesco, hanno sempre ospitato e finanziato e aiutano i terroristi.
L'Unione Sovietica, i paesi satelliti dell'Unione Sovietica e la Cina
Popolare, ad esempio. La Libia di Gheddafi, l'Iraq, l'Iran, la Siria, il
Libano arafattiano, lo stesso Egitto, la stessa Arabia Saudita di cui Usama
Bin Laden è suddito, lo stesso Pakistan, ovviamente l'Afghanistan, e tutte le
regioni musulmane dell'Africa. Negli aeroporti e sugli aerei di quei paesi io
mi sono sempre sentita sicura. Serena come un neonato che dorme. L'unica cosa
che temevo era essere arrestata perché scrivevo male dei terroristi. Negli
aeroporti e sugli aerei europei, invece, mi sono sempre sentita nervosetta.
Negli aeroporti e sugli aerei americani, addirittura nervosa. E a New York,
due volte nervosa. (A Washington, no. Devo ammetterlo. L'aereo sul Pentagono
non me lo aspettavo davvero). A mio giudizio, insomma, non è mai stato un
problema di «se»: è sempre stato un problema di «quando». Perché credi
che martedì mattina il mio subconscio abbia avvertito quella inquietudine,
quella sensazione di pericolo? Perché credi che contrariamente alle mie
abitudini abbia acceso il televisore? Perché credi che fra le tre domande che
mi ponevo mentre la prima torre bruciava e l'audio non funzionava, ci fosse
quella sull'attentato? E perché credi che appena apparso il secondo aereo
abbia capito? Poiché l'America è il Paese più forte del mondo, il più
ricco, il più potente, il più moderno, ci sono cascati quasi tutti in quel
tranello. Gli americani stessi, a volte. Ma la vulnerabilità dell'America
nasce proprio dalla sua forza, dalla sua ricchezza, dalla sua potenza, dalla
sua modernità. La solita storia del cane che si mangia la coda.
Nasce anche dalla sua essenza multi-etnica, dalla sua liberalità, dal suo
rispetto per i cittadini e per gli ospiti. Esempio: circa ventiquattro milioni
di americani sono arabi-musulmani. E quando un Mustafà o un Muhammed viene
diciamo dall'Afghanistan per visitare lo zio, nessuno gli proibisce di
frequentare una scuola di pilotaggio per imparare a guidare un 757. Nessuno
gli proibisce d'iscriversi a un'Università (cosa che spero cambi) per
studiare chimica e biologia: le due scienze necessarie a scatenare una guerra
batteriologica. Nessuno. Neppure se il governo teme che quel figlio di Allah
dirotti il 757 oppure butti una fiala di batteri nel deposito dell'acqua e
scateni una strage. (Dico «se» perché stavolta il governo non ne sapeva un
bel niente e la figuraccia fatta dalla Cia e dall'Fbi va al di là d'ogni
limite. Se fossi il presidente degli Stati Uniti io li caccerei tutti a pedate
nei posteriori per cretineria). E detto ciò torniamo al ragionamento
iniziale. Quali sono i simboli della forza, della ricchezza, della potenza,
della modernità americane? Non certo il jazz e il rock and roll, il
chewing-gum e l'hamburger, Broadway ed Hollywood. Sono i suoi grattacieli. Il
suo Pentagono. La sua scienza. La sua tecnologia. Quei grattacieli
impressionanti, così alti, così belli che ad alzar gli occhi quasi
dimentichi le piramidi e i divini palazzi del nostro passato. Quegli aerei
giganteschi, esagerati, che ormai usano come un tempo usavano i velieri e i
camion perché tutto qui si muove con gli aerei. Tutto. La posta, il pesce
fresco, noi stessi (E non dimenticare che la guerra aerea l'hanno inventata
loro. O almeno sviluppata fino all'isteria). Quel Pentagono terrificante,
quella fortezza che fa paura solo a guardarla. Quella scienza onnipresente,
onnipossente. Quella tecnologia raggelante che in pochissimi anni ha stravolto
la nostra esistenza quotidiana, la nostra millenaria maniera di comunicare,
mangiare, vivere. E dove li ha colpiti, il reverendo Usama Bin Laden? Sui
grattacieli, sul Pentagono. Come? Con gli aerei, con la scienza, con la
tecnologia. By the way: sai cosa mi impressiona di più in questo tristo
ultramiliardario, questo mancato play-boy che anziché corteggiare le
principesse bionde e folleggiare nei night-club (come faceva a Beirut quando
aveva vent’anni) si diverte ad ammazzar la gente in nome di Maometto e di
Allah? Il fatto che il suo sterminato patrimonio derivi anche dai guadagni
d'una Corporation specializzata nel demolire, e che egli stesso sia un esperto
demolitore. La demolizione è una specialità americana.
Quando ci siamo incontrati t'ho visto quasi stupefatto dall'eroica efficienza
e dall'ammirevole unità con cui gli americani hanno affrontato
quest'Apocalisse. Eh, sì. Nonostante i difetti che le vengono continuamente
rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell’Europa e in
particolare dell’Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che
ha grosse cose da insegnarci. E a proposito dell'eroica efficienza lasciami
cantare un peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi
italiani dovremmo ringraziare in ginocchio. Perché ha un cognome italiano, è
un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura dinanzi al mondo intero. E’
un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani. Te lo dice una che non
è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da se stessa. E' un
sindaco degno d'un altro grandissimo sindaco col cognome italiano, Fiorello La
Guardia, e tanti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui.
Presentarsi a capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli: «Sor
Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?». Lui non delega i suoi doveri al
prossimo, no. Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide
tra l'incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. (C'è nessuno che
mi ascolta nelle tre città di Stendhal, insomma a Napoli e a Firenze e a
Roma?). Essendo corso subito, e subito entrato nel secondo grattacielo, ha
rischiato di trasformarsi in cenere con gli altri. S'è salvato per un pelo e
per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi la città. Una
città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella
sola Manhattan. Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover'uomo. Il
cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta
d’essere sano: lavora lo stesso. Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando
seduta! Lui, invece... Sembrava un generale che partecipa di persona alla
battaglia. Un soldato che si lancia all'attacco con la baionetta. «Forza,
gente, forzaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiii!» Ma poteva farlo perché
quella gente era, è, come lui. Gente senza boria e senza pigrizia, avrebbe
detto mio padre, e con le palle. Quanto all'ammirevole capacità di unirsi,
alla compattezza quasi marziale con cui gli americani rispondono alle
disgrazie e al nemico, bè: devo ammettere che lì per lì ha stupito anche
me. Sapevo, sì, che era esplosa al tempo di Pearl Harbor, cioè quando il
popolo s'era stretto intorno a Roosevelt e Roosevelt era entrato in guerra
contro la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini e il Giappone di Hirohito.
L'avevo annusata, sì, dopo l'assassinio di Kennedy. Ma a questo era seguita
la guerra in Vietnam, la lacerante divisione causata dalla guerra in Vietnam,
e in un certo senso ciò mi aveva ricordato la loro Guerra Civile d'un secolo
e mezzo fa. Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico
abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God
save America, Dio salvi l'America», quando gli ho visto cancellare tutte le
divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton
(persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare
«Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente». Lo
stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie
Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state
reiterate da Lieberman, l'ex candidato democratico alla vice-presidenza.
(Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). E lo stesso
quando il Congresso ha votato all'unanimità d'accettare la guerra, punire i
responsabili. Ah, se l'Italia imparasse questa lezione! È un Paese così
diviso, l'Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie
tribali! Si odiano anche all'interno dei partiti, in Italia. Non riescono a
stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo,
perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri
interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla
propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i
dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente
convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o
la Torre di Pisa, l'opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo
darebbe la colpa all'opposizione. I capoccia del governo e i capoccia
dell'opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò
lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza
gli americani.
Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel
che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le
operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche
superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere,
tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono:
«I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi
d'essere esausto, non d'essere sconfitto». Tutti. Giovani, giovanissimi,
vecchi, di mezz'età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola... L'avete visti o
no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine
americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa!
Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l'ha
organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le
organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli
disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono
tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli non obbediscono
neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la
Patria... In inglese la parola Patria non c'è. Per dire Patria bisogna
accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre.
Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese.
Però il sostantivo Patriotism c'è. L'aggettivo Patriotic c'è. E a parte la
Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell'America. Ah!
Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e
sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno
glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai
italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so
immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere
rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho
sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da
una sinistra arrogante e devota all'Unione Sovietica, le bandiere tricolori le
hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano
fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli
che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la
cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore.
Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra
Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle
Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli
stadi, quando c'è una partita internazionale di calcio. Unica occasione,
peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia.
Eh! C'è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria
viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene
sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che
scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle
creature massacrate dai figli di Allah. Oppure per raccogliere quel caffè
macinato.
Non sto parlando, ovvio, alle iene che se la godono a veder le
immagini delle macerie e ridacchiano bene-agli-americani-gli-sta-bene. Sto
parlando alle persone che pur non essendo stupide o cattive, si cullano ancora
nella prudenza e nel dubbio. E a loro dico: sveglia, gente, sveglia!
Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire
razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza,
è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una
Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come
siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una
guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione,
forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad.
Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio,
forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla
scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del
nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare,
del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci… Non
capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se
non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male
siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più
intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello
distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra
morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo! Non vi rendete conto che
gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini
perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il
chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e
cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché
guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti,
perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate
quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v'importa neanche di
questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di
lasciarmi ammazzare perché lo sono.
Da vent'anni lo dico, da vent'anni. Con una certa mitezza, non con questa
passione, vent'anni fa su questa roba scrissi un articolo di fondo per il «Corriere».
Era l'articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i
credi, d'una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le
intolleranze, d'una laica senza tabù. Ma era anche l'articolo di una persona
indignata con chi non sentiva il puzzo di una Guerra Santa a venire, e ai
figli di Allah gliene perdonava un po' troppe. Feci un ragionamento che
suonava press'appoco così, vent'anni fa. «Che senso ha rispettare chi non
rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando
loro disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra, e v'informo che
Dante Alighieri mi piace più di Omar Khayan». Apriti cielo. Mi crocifissero.
«Razzista, razzista!». Eh, furono gli stessi progressisti (a quel tempo si
chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto quell'insulto me lo presi
anche quando i sovietici invasero l'Afghanistan. Li ricordi quei barbuti con
la sottana e il turbante che prima di sparare il mortaio, anzi a ciascun colpo
di mortaio, berciavano le lodi del Signore? «Allah akbar! Allah akbar!». Io
li ricordo bene. E a veder accoppiare la parola Dio al colpo di mortaio, mi
venivano i brividi. Mi pareva d'essere nel Medioevo, e dicevo: «I sovietici
sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra
proteggono anche noi. E li ringrazio». Riapriti cielo. «Razzista, razzista!».
Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità
che i figli di Allah commettevano sui militari fatti prigionieri. (Gli
segavano le braccia e le gambe, rammenti? Un vizietto a cui s'erano già
abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei). Non volevano che lo
dicessi, no. E pur di fare i progressisti applaudivano gli americani che
rincretiniti dalla paura dell’Unione Sovietica riempivan di armi l'eroico-popolo-afghano.
Addestravano i barbuti, e coi barbuti un barbutissimo Usama Bin Laden.
Via-i-russi-dall'Afghanistaaaan! I-russi- devono-andarsene-dall'Afghanistaaaan!
Bè, i russi se ne sono andati dall'Afghanistan: contenti? E dall'Afghanistan
i barbuti del barbutissimo Usama Bin Laden sono arrivati a New York con gli
sbarbati siriani egiziani iracheni libanesi palestinesi sauditi che
componevano la banda dei diciannove kamikaze identificati: contenti? Peggio:
ora qui si discute sul prossimo attacco che ci colpirà con le armi chimiche,
biologiche, radioattive, nucleari. Si dice che la nuova strage è inevitabile
perché l’Iraq gli fornisce il materiale. Si parla di vaccinazioni, di
maschere a gas, di peste. Ci si chiede quando avverrà... Contenti?
Alcuni non sono né contenti né scontenti. Se ne fregano e basta. Tanto
l'America è lontana, tra l'Europa e l'America c'è un oceano... Eh, no, cari
miei. No. C'è un filo d'acqua. Perché quando è in ballo il destino
dell'Occidente, la sopravvivenza della nostra civiltà, New York siamo noi.
L'America siamo noi. Noi italiani, noi francesi, noi inglesi, noi tedeschi,
noi austriaci, noi ungheresi, noi slovacchi, noi polacchi, noi scandinavi, noi
belgi, noi spagnoli, noi greci, noi portoghesi. Se crolla l'America, crolla
l'Europa. Crolla l'Occidente, crolliamo noi. E non solo in senso finanziario
cioè nel senso che, mi pare, vi preoccupa di più. (Una volta, ero giovane e
ingenua, dissi ad Arthur Miller: «Gli americani misurano tutto coi soldi, non
pensano che ai soldi». E Arthur Miller mi rispose: «Voi no?»). In tutti i
sensi crolliamo, caro mio. E al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin,
al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il
latte di cammella. Neanche questo capite, neanche questo volete capire?!?
Blair lo ha capito. È venuto qui e ha portato anzi rinnovato a Bush la
solidarietà degli inglesi. Non una solidarietà espressa con le chiacchiere e
i piagnistei: una solidarietà basata sulla caccia ai terroristi e
sull’alleanza militare. Chirac, no. Come sai la scorsa settimana era qui in
visita ufficiale.
Una visita prevista da tempo, non una visita ad hoc. Ha visto le macerie delle
due torri, ha saputo che i morti sono un numero incalcolabile anzi
inconfessabile, ma non s'è sbilanciato. Durante l'intervista alla Cnn ben
quattro volte la ma amica Cristiana Amanpour gli ha chiesto in qual modo e in
qual misura intendesse schierarsi contro questa Jihad, e per quattro volte
Chirac ha evitato una risposta. È sgusciato via come un'anguilla. Veniva
voglia di gridargli: «Monsieur le President! Ricorda lo sbarco in Normandia?
Lo sa quanti americani sono crepati in Normandia per cacciare i nazisti anche
dalla Francia?». Escluso Blair, del resto, neanche fra gli altri europei vedo
Riccardi Cuor di Leone. E tantomeno ne vedo in Italia dove il governo non ha
individuato quindi arrestato alcun complice o sospetto complice di Usama Bin
Laden. Perdio, signor cavaliere, perdio! Malgrado la paura della guerra, in
ogni paese d'Europa è stato individuato e arrestato qualche complice di Usama
Bin Laden. In Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna... Ma in Italia
dove le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che
inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria
la Cupola di San Pietro, nessuno. Zero. Nulla. Nessuno. Mi spieghi, signor
cavaliere: son così incapaci i Suoi poliziotti e carabinieri? Son così
coglioni i Suoi servizi segreti? Son così scemi i Suoi funzionari? E son
tutti stinchi di santo, tutti estranei a ciò che è successo e succede, i
figli di Allah che ospitiamo? Oppure a fare le indagini giuste, a individuare
e arrestare chi finoggi non avete individuato e arrestato, Lei teme di subire
il solito ricatto razzista-razzista? Io, vede, no.
Cristo! Io non nego a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha paura
della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla
guerra, l’ho scritto mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo. Ma
nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi
in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o
mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si
sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti.
Masochisti, sì, masochisti. Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò
che tu chiami Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me
dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come
se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché
dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è
Aristotele, c'è Fidia, perdio. C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la
sua scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua grandezza, le sue
leggi, il suo concetto della Legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la
sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i
suoi ponti, le sue strade. C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce,
che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto
dell'amore e della giustizia. C'è anche una Chiesa che mi ha dato
l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul
rogo, d'accordo. Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto
a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato
Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un
gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la nostra
civiltà c'è il Rinascimento. C'è Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è
Raffaello, c’è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a
Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non
sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita. Guai
se fischi una canzonetta o mugoli il coro del Nabucco. E infine c'è la
Scienza, perdio. Una scienza che ha capito parecchie malattie e le cura. Io
sono ancora viva, per ora, grazie alla nostra scienza: non quella di Maometto.
Una scienza che ha inventato macchine meravigliose. Il treno, l'automobile,
l'aereo, le astronavi con cui siamo andati sulla Luna e su Marte e presto
andremo chissàddove. Una scienza che ha cambiato la faccia di questo pianeta
con l'elettricità, la radio, il telefono, la televisione, e a proposito: è
vero che i santoni della sinistra non vogliono dire ciò che ho appena
detto?!? Dio, che bischeri! Non cambieranno mai. Ed ora ecco la fatale
domanda: dietro all’altra cultura che c’è?
Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi
suoi meriti di studioso. (I Commentari su Aristotele eccetera), Arafat ci
trova anche i numeri e la matematica. Di nuovo berciandomi addosso, di nuovo
coprendomi di saliva, nel 1972 mi disse che la sua cultura era superiore alla
mia, molto superiore alla mia, perché i suoi nonni avevano inventato i numeri
e la matematica. Ma Arafat ha la memoria corta. Per questo cambia idea e si
smentisce ogni cinque minuti. I suoi nonni non hanno inventato i numeri e la
matematica. Hanno inventato la grafia dei numeri che anche noi infedeli
adopriamo, e la matematica è stata concepita quasi contemporaneamente da
tutte le antiche civiltà. In Mesopotamia, in Grecia, in India, in Cina, in
Egitto, tra i Maya... I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno
lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento
anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la
Bibbia e gli ebrei con la Torah. E ora vediamo quali sono i pregi che
distinguono questo Corano. Davvero pregi? Dacché i figli di Allah hanno
semidistrutto New York, gli esperti dell'Islam non fanno che cantarmi le lodi
di Maometto: spiegarmi che il Corano predica la pace e la fratellanza e la
giustizia. (Del resto lo dice anche Bush, povero Bush. E va da sé che Bush
deve tenersi buoni i ventiquattro milioni di americani-musulmani, convincerli
a spifferare quel che sanno sugli eventuali parenti o amici o conoscenti
devoti a Usama Bin Laden). Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente?
Come la mettiamo con la faccenda del chador anzi del velo che copre il volto
delle musulmane, sicché per dare una sbirciata al prossimo quelle infelici
devon guardare attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi? Come
la mettiamo con la poligamia e col principio che le donne debbano contare meno
dei cammelli, che non debbano andare a scuola, non debbano andare dal dottore,
non debbano farsi fotografare eccetera? Come la mettiamo col veto degli
alcolici e la pena di morte per chi li beve? Anche questo sta nel Corano. E
non mi sembra mica tanto giusto, tanto fraterno, tanto pacifico.
Ecco dunque la mia risposta alla tua domanda sul Contrasto-delle-Due-Culture.
Al mondo c'è posto per tutti, dico io. A casa propria tutti fanno quel che
gli pare. E se in alcuni paesi le donne sono così stupide da accettare il
chador anzi il velo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta
all'altezza degli occhi, peggio per loro. Se son così scimunite da accettar
di non andare a scuola, non andar dal dottore, non farsi fotografare eccetera,
peggio per loro. Se son così minchione da sposare uno stronzo che vuole
quattro mogli, peggio per loro. Se i loro uomini sono così grulli da non bere
la birra e il vino, idem. Non sarò io a impedirglielo. Ci mancherebbe altro.
Sono stata educata nel concetto di libertà, io, e la mia mamma diceva: «Il
mondo è bello perché è vario». Ma se pretendono d'imporre le stesse cose a
me, a casa mia... Lo pretendono. Usama Bin Laden afferma che l'intero pianeta
Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all'Islam, che con le
buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacra e
continuerà a massacrarci. E questo non può piacerci, no. Deve metterci
addosso una gran voglia di rovesciar le carte, ammazzare lui. Però la cosa
non si risolve, non si esaurisce, con la morte di Usama Bin Laden. Perché gli
Usama Bin Laden sono decine di migliaia, ormai, e non stanno soltanto in
Afghanistan o negli altri paesi arabi. Stanno dappertutto, e i più agguerriti
stanno proprio in Occidente. Nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle
nostre università, nei gangli della tecnologia. Quella tecnologia che
qualsiasi ottuso può maneggiare. La Crociata è in atto da tempo. E funziona
come un orologio svizzero, sostenuta da una fede e da una perfidia
paragonabile soltanto alla fede e alla perfidia di Torquemada quando gestiva
l'Inquisizione. Infatti trattare con loro è impossibile. Ragionarci,
impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E
chi crede il contrario è un illuso.
***
Te lo dice una che quel tipo di fanatismo lo ha conosciuto abbastanza bene in
Iran, in Pakistan, in Bangladesh, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Libia, in
Giordania, in Libano, e a casa sua. Cioè in Italia. Lo ha conosciuto, ed
anche attraverso episodi triviali, anzi grotteschi, ne ha avuto raggelanti
conferme. Io non dimentico mai quel che mi accadde all'ambasciata iraniana di
Roma quando chiesi il visto per recarmi a Teheran, per intervistare Khomeini,
e mi presentai con le unghie smaltate di rosso. Per loro, segno di
immoralità. Mi trattarono come una prostituta da bruciare sul rogo. Mi
ingiunsero di levarlo immediatamente quel rosso. E se non gli avessi detto
anzi urlato che cosa gradivo levare, anzi tagliare a loro... Non dimentico
nemmeno quel che mi accadde a Qom, la città santa di Khomeini, dove in quanto
donna venni respinta da tutti gli alberghi. Per intervistare Khomeini dovevo
mettermi il chador, per mettermi il chador dovevo togliermi i blue jeans, per
togliermi i blue jeans dovevo appartarmi, e naturalmente avrei potuto
effettuare l'operazione nell'automobile con la quale ero giunta da Teheran. Ma
l'interprete me lo impedì. Lei-è-pazza, lei-è-pazza,
a-fare-una-cosa-simile-a-Qom-si-finisce-fucilati. Preferì portarmi all'ex
Palazzo Reale dove un custode pietoso ci ospitò, ci prestò l'ex Sala del
Trono. Infatti io mi sentivo come la Madonna che per dare alla luce il Bambin
Gesù si rifugia insieme a Giuseppe nella stalla scaldata dall'asino e dal
bue. Ma a un uomo e a una donna non sposati fra loro il Corano vieta di
appartarsi dietro una porta chiusa, ahimé, e d'un tratto la porta si aprì.
Il mullah addetto al Controllo della Moralità irruppe strillando
vergogna-vergogna, peccato-peccato, e v'era solo un modo per non finire
fucilati: sposarsi. Firmare l'atto di matrimonio a scadenza (quattro mesi) che
il mullah ci sventolava sulla faccia. Il guaio è che l'interprete aveva una
moglie spagnola, una certa Consuelo per nulla disposta ad accettare la
poligamia, e io non volevo sposare nessuno. Tantomeno un iraniano con la
moglie spagnola e nient'affatto disposta ad accettare la poligamia. Nel
medesimo tempo non volevo finir fucilata ossia perdere l'intervista con
Khomeini. In tal dilemma mi dibattevo e...
Ridi, ne son certa. Ti sembrano barzellette. Bè, allora il seguito di questo
episodio non te lo racconto. Per farti piangere ti racconto quello dei dodici
giovanotti impuri che finita la guerra del Bangladesh vidi giustiziare a Dacca.
Li giustiziarono sul campo dello stadio di Dacca, a colpi di baionetta nel
torace o nel ventre, e alla presenza di ventimila fedeli che dalle tribune
applaudivano in nome di Dio. Tuonavano «Allah akbar, Allah akbar». Lo so, lo
so: nel Colosseo gli antichi romani, quegli antichi romani di cui la mia
cultura va fiera, si divertivano a veder morire i cristiani dati in pasto ai
leoni. Lo so, lo so: in tutti i paesi d'Europa i cristiani, quei cristiani ai
quali malgrado il mio ateismo riconosco il contributo che hanno dato alla
Storia del Pensiero, si divertivano a veder bruciare gli eretici. Però è
trascorso parecchio tempo, siamo diventati un pochino più civili, e anche i
figli di Allah dovrebbero aver compreso che certe cose non si fanno. Dopo i
dodici giovanotti impuri ammazzarono un bambino che per salvare il fratello
condannato a morte s'era buttato sui giustizieri. A lui schiacciarono la testa
con gli scarponi da militare. E se non ci credi, bè: rileggi la mia cronaca o
la cronaca dei giornalisti francesi e tedeschi che inorriditi quanto me erano
lì con me. Meglio: guardati le fotografie che uno di essi scattò. Comunque
il punto che mi preme sottolineare non è questo. È che, concluso lo scempio,
i ventimila fedeli (molte donne) lasciarono le tribune e scesero nel campo.
Non in maniera scomposta, cialtrona, no. In maniera ordinata, solenne.
Lentamente composero un corteo e, sempre in nome di Dio, passarono sopra i
cadaveri. Sempre tuonando Allah-akbar, Allah-akbar. Li distrussero come le due
Torri di New York. Li ridussero a un tappeto sanguinolento di ossa
spiaccicate.
Oh, potrei continuare all'infinito. Dirti cose mai dette, cose da farti
rizzare i capelli in testa. Su quel rimbambito di Khomeini, ad esempio, che
dopo l'intervista tenne un comizio a Qom per dichiarare che io lo accusavo di
tagliare i seni alle donne. Da tale comizio ricavò un video che per mesi
venne trasmesso alla televisione di Teheran sicché, quando l'anno successivo
tornai a Teheran, venni arrestata appena scesa dall'aereo. E la vidi brutta,
sai, proprio brutta. Era il periodo degli ostaggi americani... potrei parlarti
di quel Mujib Rahman che, sempre a Dacca, aveva ordinato ai suoi guerriglieri
di eliminarmi in quanto europea pericolosa, e meno male che a rischio della
propria vita un colonnello inglese mi salvò. O di quel palestinese di nome
Habash che per venti minuti mi fece tenere un mitragliatore puntato alla
testa. Dio, che gente! I soli coi quali abbia avuto un rapporto civile restano
il povero Alì Bhutto cioè il primo ministro del Pakistan, morto impiccato
perché troppo amico dell’Occidente, e il bravissimo re di Giordania: re
Hussein. Ma quei due erano musulmani quanto io son cattolica. Comunque voglio
darti la conclusione del mio ragionamento. Una conclusione che non piacerà a
molti, visto che difendere la propria cultura, in Italia, sta diventando
peccato mortale. E visto che intimiditi dall’impropria parola «razzista»,
tutti tacciono come conigli.
il mio commento qui
All'interno: Orgoglio della superiorità "Forza di interposizione" in Israele Articoli siti |
BERLINO (CNN) -- Silvio Berlusconi ha esaltato la "superiorità" della "civiltà occidentale" su quella dei Paesi musulmani e ha affermato che l'Occidente è destinato a continuare ad "occidentalizzare e a conquistare i popoli".
In alcuni commenti al margine dell'incontro a sorpresa avuto mercoledì mattina a Berlino con il presidente russo Vladimir Putin - dei quali riferisce l'agenzia Ansa - il presidente del Consiglio ha ribadito l'intenzione dell'Italia di schierarsi al fianco degli alleati americani, aggiungendo commenti di un tono che potrebbero suscitare critiche da parte di alcuni Paesi islamici.
Nei giorni scorsi il presidente americano George Bush si era scusato di aver inavvertitamente usato il termine "crociata" per parlare della "guerra al terrorismo" dopo gli attentati dell'11 settembre.
Gli occidentali - ha detto Berlusconi criticando il movimento antiglobalizzazione - devono essere "consapevoli della superiorità della nostra civiltà", in quanto la civiltà occidentale ha garantito "un benessere largo" ai popoli che l'hanno praticata e ha garantito "il rispetto dei diritti umani, di quelli religiosi - che non c'è nei Paesi islamici - il rispetto dei diritti politici".
La realtà dei Paesi musulmani è in questo senso molto variegata. In particolare per quanto riguarda i diritti religiosi ci sono Paesi come l'Arabia saudita che non ammette culti diversi sul suo territorio, o come l'Egitto dove abita una minoranza di alcuni milioni di cristiani copti, una delle più antiche comunità cristiane del mondo.
Il presidente del Consiglio ha anche aggiunto che la civiltà occidentale ha garantito e garantisce "tolleranza" e riconosce "il valore della diversità". E' stata ed è "un grande crogiolo" di culture, storia, tradizioni, libertà e democrazia: "Sono valori che fanno della nostra civiltà un fatto di cui dobbiamo andare orgogliosi".
"La libertà dei singoli, dei popoli" non è - secondo Berlusconi - "patrimonio di altre civiltà come quella islamica" ed occorre pertanto essere consapevoli di "questa supremazia e di questa superiorità".
A suo avviso l'Occidente è destinato a continuare ad "occidentalizzare e conquistare i popoli: lo ha fatto con il mondo comunista e lo ha fatto con una parte del mondo islamico", anche se c'è "un'altra parte ferma a 1.400 anni fa".
Berlusconi ha parlato con i giornalisti dopo una prima colazione di lavoro con Putin, nell'ambito della serie di incontri volti a coordinare la risposta internazionale agli attentati terroristici contro gli Stati Uniti. Successivamente era in programma un incontro con il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder.
Quanto alle prossime mosse degli Stati Uniti, il presidente del Consiglio italiano ha ribadito l'intenzione dell'Italia: "L'Italia - ha detto - starà insieme agli alleati, secondo quanto decideremo insieme". La risposta agli attacchi è "un dovere, una necessità e un diritto", ma la risposta deve essere "un attacco ponderato e chirurgicamente mirato".
Contemporaneamente il capo del governo italiano ha ripetuto la necessità che si arrivi a risolvere il conflitto israelo-palestinese, e si è detto in questo contesto favorevole a una "forza di interposizione". E' necessario arrivare a un accordo - ha detto - "magari anche con l'interposizione di una forza di pace tra i due contentendenti".
Israele è sempre stato contrario all'inserimento di forze di pace internazionali nell'equazione politico-militare in Medio oriente. I palestinesi hanno ripetutamente chiesto la presenza di osservatori internazionali sul terreno, non necessariamente quella di una "forza di interposizione".
Mercoledì 26 Settembre 2001, 6:13
È ancora burrasca per Freedomland (Milano: FDL.MI - notizie) , società da un anno protagonista di vicende giudiziarie e finanziarie per la condotta del suo fondatore ed ex presidente, Virgilio Degiovanni, attualmente indagato per avere, pare, "truccato" i numeri relativi all'attività della società al momento della quotazione in Borsa, per ottenere un collocamento a condizioni particolarmente favorevoli.
La società, dopo il forzato abbandono di Degiovanni e il sequestro delle sue azioni da parte dell'Autorità giudiziaria, ha vissuto un periodo di profondi mutamenti al vertice, che hanno portato all'alternarsi di un paio di presidenti e di vari consiglieri di amministrazione.
Ma i problemi per Freedomland non sono finiti. Il Siti, una sorta di associazione dei consumatori per investitori truffati, ha fatto causa a Freedomland perché vuole vederci chiaro sulla conduzione della società, sia durante il collocamento sia nel periodo successivo. Il Siti ha ottenuto che l'udienza per il risarcimento dei danni venga tenuta presso il Tribunale di Milano (Milano: ADMI.MI - notizie) a inizio 2002.
E non è tutto. Il nuovo presidente, Fabrizio Gardi, ha esordito qualche giorno fa con un'affermazione poco felice, che non ha giovato né alla sua immagine, né sicuramente a quella di Freedomland, anche se esplicita quello che molti pensano ma nessuno dice. Gardi ha infatti detto che una società come Freedomland, con il 65% del capitale sequestrato, non dovrebbe nemmeno essere scambiata in Borsa, e sotto questo punto di vista è un esempio forse unico nel mondo occidentale; ma andrebbe ritirata dal mercato.
Lunedì 24 Settembre 2001, 0:04
"Freedomland (Milano: FDL.MI - notizie) . Un'esperienza sul valore conseguente a uno start up Ipo", così si intitola il libro scritto dall'ex presidente della società di Internet TV Luigi Guatri (dimessosi la scorsa settimana poco prima della presentazione del libro) in collaborazione con Mauro Bini.
Il testo è, in buona parte, la cronaca quotidiana dell'insuccesso della società e di riflesso del titolo quotato al Nuovo Mercato; la storia è segnata da accordi falliti, strategie errate, sopravvalutazione del business, errori che hanno fatto precipitare il valore dell'azienda fondata da Virgilio Degiovanni dai 3 mila miliardi della Ipo agli attuali 110 miliardi.
Guatri, ex rettore della Bocconi, era stato nominato presidente lo scorso novembre su indicazione dell'assemblea dei soci ed aveva sostituito il dimissionario Virgilio Degiovanni, dopo che il fondatore di Freedomland era stato iscritto sul registro degli indagati della Procura di Milano (Milano: ADMI.MI - notizie) per falso in bilancio e aggiotaggio.
Nel libro, oltre alla narrazione degli errori strategici e delle mancate intese con partner importanti, vi è una lunga ed impietosa critica ai procedimenti che hanno portato alla valutazione della società in sede di quotazione e offerta pubblica. Secondo l'autore, infatti, Freedomland è un caso emblematico della situazione di molte netcompany quotate sul Nuovo Mercato, prive di una storia che supporti le proiezioni effettuate su ricavi e business complessivo.
Venerdì 21 Settembre 2001, 6:09
Freedomland (Milano: FDL.MI - notizie) ieri è stata la protagonista del Nuovo Mercato: dopo una giornata convulsa, durante la quale è stato spinto dal denaro, il titolo ha chiuso le contrattazioni diurne a quota 9,87 euro, in rialzo di ben il 20,5%, prestazione che, pur essendo già di per sé un risultato eccezionale, se confrontata con il -4,64% dell'indice Numtel fa ancora più sensazione.
Il motivo della spinta al rialzo di Freedomland è stato l'abbandono del presidente Luigi Guatri, e l'attesa per il nuovo numero uno della società, che dovrebbe essere Fabrizio Gardi, ex consigliere della Bpm. Il motivo dell'abbandono sarebbe il desiderio di Guatri di parlare liberamente di Freedomland, utilizzandone la storia come materiale per un libro recentemente pubblicato.
Ma i recenti dati di bilancio parlano chiaro. La società fondata da Virgilio Degiovanni da gennaio a giugno ha registrato ricavi per poco più di 4 miliardi di lire, con perdite per 120 miliardi.
Giovedì 20 Settembre 2001, 18:48
MILANO (Reuters) - L'assemblea di Freedomland ha approvato a maggioranza la
lista dei membri del consiglio di amministrazione presentata dal custode
giudiziario Edoardo Ricci.
Nuovo presidente è Fabrizio Gardi, che va a sostituire il dimissionario Luigi
Guatri, in carica dallo scorso ottobre.
Gli altri consiglieri, tutti nuovi, sono Willy Burkhardt, Rolando Brambilla,
Paolo Ventafridda, Salvatore D'Amora, Marco Lelio Menesini e Roberto Nardini.
Il precedente Cda, che aveva presentato le dimissioni a luglio, era composto da
Guatri, Marco Vitale, Claudio Carlone, l'amministratore delegato Aldo Iacono,
Giampio Bracchi, Enrico Valdani e Alberto Rittatore Vonwiller.
L'assemblea deve ancora votare la lista dei membri del collegio sindacale.
Giovedì 20 Settembre 2001, 18:05
Milano (Milano: ADMI.MI - notizie) , 20 set. (Adnkronos) - La Freedomland ha un nuovo Consiglio di amministrazione. L'assemblea ordinaria della societa', riunitasi oggi in un hotel alla periferia sud di Milano, ha nominato sette nuovi consiglieri su proposta dell'avvocato Edoardo Ricci, custode giudiziale del 65% circa della societa', quota gia' nelle mani di Virgilio Degiovanni. Si tratta del docente all'Universita' Bocconi Frabrizio Gardi (presidente), gia' consigliere della Banca Popolare di Milano, di Willy Burkhardt, ingegnere, del commercialista Rolando Brambilla, dell'imprenditore varesino Paolo Ventafridda, di Marco Lelio Menesini, ingegnere, di Roberto Nardini, ingegnere ed ex amministratore delegato di una societa' del gruppo Gpp. Il settimo consigliere, Salvatore D'Amora, oltre ad essere commercialista e' anche liquidatore.
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