ANNI 70... LA MIA INFANZIA

Di ROSALBA SGROIA

Tempo fa  scrivevo del difficile mestiere dei genitori e dell’importanza di rendere autonomi i propri figli per responsabilizzarli. Analizzavo quindi la vita frenetica e spersonalizzante a cui li sottoponiamo e così  ho richiamato alla mente i tempi in cui ero bambina, ai pomeriggi della mia infanzia, trascorsi a fantasticare e a disegnare ghirigori su fogli bianchi…

Premetto che non ho intenzione di esaltare retoricamente la mia generazione, considerandola migliore rispetto a quella dei nostri ragazzi; voglio semplicemente dire che è diversa. Quando si confrontano due realtà, due modi di vivere, due storie, non ce n’è  mai una  migliore dell’altra in assoluto. Entrambe presentano degli aspetti che risultano positivi o negativi a seconda del punto di vista. Ad ogni modo, la memoria ci aiuta a far sì che ciò che aveva funzionato prima non vada disperso…

Forse la mia infanzia degli anni ‘70 non aveva la fortuna (?) di godere degli svaghi di oggi, della possibilità di conoscere mondi nuovi attraverso le moderne tecnologie, ma se ci pensiamo…si viveva bene anche prima!

 Il tempo scuola era minimo, solo quattro ore e la giornata si riempiva di ore serene, passate a studiare  e a inventare giochi, da sola o in compagnia di altri amici. Televisione poca: “la TV dei ragazzi”, il film del lunedì, “ Eroi di cartone”, “Oggi le comiche”, “Canzonissima”.

Non avevo la stanza piena di giocattoli; ricordo che avrei voluto il “Dolce forno”, ma non l’ho mai ricevuto perché mia madre mi aveva assicurato che mi avrebbe fatto usare quello a gas, quando avrei avuto l’età giusta. Non mi misi a battere  i piedi a terra e non urlai per ottenerlo, ma aspettavo con ansia il giorno in cui avrei potuto cucinare una torta vera in un forno vero.

Mi capitava, a volte, di stare a casa senza i genitori per qualche ora, quando lavoravano; già, stare da sola non mi preoccupava, anzi, mi piaceva perché  apriva le porte della mia fantasia. Giocavo per ore con delle scatole di cartone, quelle che mio padre  riceveva regolarmente dalle case editrici per cui lavorava, piene di libri scolastici; costruivo delle torri, le dipingevo, realizzavo delle casette e tutto ciò che mi veniva in mente.Non disdegnavo, però, il gioco di gruppo, perché mi permetteva di esprimermi e di confrontarmi con altri bambini come me. Giocavo  per strada e ci  rimanevo per un bel pezzo. Andavo a scuola o a casa degli amici da sola e non ero l’unica. Frosinone non era una grande città, ma neanche un piccolo paese; per spostarmi da un posto all’altro usavo le gambe o la bicicletta nei tratti pianeggianti. Se mi capitava qualche inconveniente, qualche incidente con la “due ruote” sapevo cavarmela da sola, riuscendo a superare il trauma delle cadute e delle ginocchia perennemente sbucciate.

Non mi lamentavo se ero stata redarguita dall’insegnante, nemmeno se avevo tanti compiti da fare. La scuola, per me, oltre ad essere un piacere, era un luogo importante e indispensabile e il rispetto per la maestra, come per qualsiasi altra persona adulta, era naturale.

I litigi  tra i compagni di classe o di gioco c’erano, come oggi, ma erano questioni nostre e non di dominio di mamma o di papà. I miei genitori, in qualsiasi occasione, si limitavano a raccomandarmi di essere prudente, ma non pretendevano di conoscere ogni mio passo, di gestire i miei rapporti d’amicizia.Erano genitori più indifferenti e meno attenti? No, era una questione di fiducia. Avevano il senso della misura e sapevano che per rendere sicuri e felici i propri figli non occorreva cedere per ogni cosa, avallare ogni sfizio e bizzarria.

Insomma, respiravo aria di libertà, sì, ma mi sentivo responsabile di ciò che mi poteva accadere e quindi misuravo le mie azioni, contenevo naturalmente la mia esuberanza.

Ricordando la mia infanzia, però, non credo di esporre solo una mia esperienza. Infatti nelle discussioni con i miei coetanei mi ritrovo a condividere con loro gran parte di quei ricordi; osserviamo la realtà che vivono i nostri figli e la confrontiamo con quella che abbiamo vissuto alla loro età. Le cose cambiano, si sa, e il cambiamento va saputo accettare; tuttavia, resta in me il senso delle piccole cose,  dell’attesa, dell’importanza di fermare un po’ questo bizzarro e roboante mondo.

Rosalba Sgroia


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