LA DISCARICA DEI SOGNI 

IL NUOVO NAZIONALISMO: L’ITALIA AVVIATA A DIVENTARE LAGER DELLA CLASSE LAVORATRICE

Di GIUSEPPE IANNOZZI

 

Questa è la storia storica de la discarica dei sogni: l’Italia sotto quello che è ormai un governo dichiaratamente di stampo nazionalistico non sta esitando a conculcare i diritti elementari di noi, che ostinatamente continuiamo a dichiararci italiani. Ricordo una vecchia canzone di Luca Carboni che un po’ di tempo fa recitava pressappoco così: “siamo ancora troppo italiani…”, purtroppo è questa la verità più vera e attuale del momento storico che stiamo attraversando, e non dubito affatto che il prossimo futuro sarà ben peggiore. Dopo questo incipit che potrebbe sembrare astratto a molti, vediamo di specificare le ragioni concrete per cui credo fermamente che il nazionalismo stia buttando nel cesso le nostre più umili e legittime aspirazioni per una società migliore; consideriamo l’articolo 18 che il nostro governo vorrebbe emendare a tutto vantaggio del capitalismo e quindi di Confindustria: si sono spese molte parole, spesse volte inutili a riguardo, e si è detto che l’articolo 18 è una conquista (e un diritto) che i nostri figli devono poter avere, ma la Destra littoria ha detto che così non è e che l’unico modo per creare nuovi posti di lavoro è di diventare elastici. Ma l’elasticità che il governo propone è perfettamente (e crudelmente) inquadrabile come schiavismo: se oggi i diritti dei lavoratori sono soggetti a continue prevaricazioni e annullamenti da parte dei datori di lavoro, domani con l’emendamento dell’articolo 18 non sarà più possibile parlare di classe lavoratrice bensì solo di schiavi schiavizzati in lager atti a produrre, pagati male e soggetti a licenziamenti secondo l’umore dell’imprenditore, che potrà dire questo ‘schiavo mi è antipatico quindi lo butto in mezzo a una strada, mentre quest’altro che mi fa un po’ da paggetto magari lo lascio ancora un po’ al mio servizio’. Insomma il datore di lavoro avrà facoltà di licenziare e assumere facendo riferimento al suo capriccio. Questa mi sembra essere la realtà, una realtà che non tarderà a mostrarsi in tutta la sua virulenza.

Oggi gli ambienti governativi così come le strade sono invase da un malcontento generale: è come se gli italiani fossero divisi in guelfi e ghibellini, c’è chi propugna l’idea a mantenere intatto l’articolo 18 così com’è e c’è invece chi si adopera in tutti i modi a stralciarlo. Indipendentemente dal fatto che i vincitori di questa faida alla fine siano (o saranno!) o i guelfi o i ghibellini, non è difficile rendersi conto che il mondo del lavoro di domani non sarà più tale, ma sarà invece un vero e proprio lager autorizzato da quelle puttane di regime che ben conosciamo. Attualmente imperversa la battaglia fra governo Berlusconi e Sindacati (e Sinistra), e domani le cose saranno sicuramente diverse, poi che vinca la Destra o la Sinistra poco importa, infatti, pur ipotizzando, che il governo attuale sia costretto a far marcia indietro, ormai l’idea che l’art. 18 dev’essere flessibile (o elastico) sarà comunque diventata propaganda accettata dai più; gli imprenditori non si faranno scrupolo alcuno a mettere su una strada gli schiavi che non gli stanno a genio, proporranno salari sempre più bassi e continueranno a dare addosso a una virtuale classe lavoratrice che come tale non potrà più essere inquadrata a meno che non la si intenda come classe schiavizzata. Insomma, quello che voglio evidenziare è che ormai le puttane littorie di regime hanno fatto la loro propaganda e questa si insinuerà (in realtà si è già diffusa come una malattia) nelle coscienze imprenditoriali al pari di una fede, una fede che in poco o nulla differisce dal nazionalismo che abbiamo conosciuto come cancro di una società che ha condannato milioni di uomini innocenti ai campi di sterminio. Domani chi vorrà lavorare dovrà essere in grado di dimostrare di essere un “fottuto ariano del cazzo” e chi non potrà dirsi ariano verrà adoperato e sfruttato per produrre saponette e provarle sulla propria pelle. Se oggi molti lavori umili (e mal retribuiti) vengono svolti dalla classe lavoratrice degli extracomunitari perché gli italiani di mettersi a pulire i loro cessi non ne hanno alcuna intenzione, domani la manodopera straniera sarà presa con la forza dagli imprenditori, e a questa sarà detto di produrre saponette a suon di frustate, e non contenti di ciò le saponette verranno usate sugli schiavi per vedere giusto l’effetto che fa una doccia fredda (infatti magari qualcuno nella sua arrogante prepotenza sarà dell’opinione che a forza di lavare e lavare, la pelle potrà schiarirsi un poco – beh, non che qualche cazzone oggi non creda in una simile brutalità). Domani immagino che a comandare saranno quegli ariani che oggi si definiscono democratici nazionalisti, insomma quattro galline (o polli, se preferite) che nasconderanno le loro canizie sotto bionde parrucche. Non è un futuro bello quello che si prospetta all’orizzonte, e la verità detta senza mezzi termini è che il futuro ipotizzato lo stiamo già vivendo passivamente.

Che oggi si marci in strada contro il governo Berlusconi, che si annuncino scioperi generali, a chi sta al potere non gliene può importare di meno: purtroppo l’attuale Sinistra non è compatta e quindi non può essere forte e in grado di mettere i bastoni fra le ruote ai nuovi fascisti; e non dimentichiamoci che se oggi è il nostro tempo presente storico la colpa è di una Sinistra che a suo tempo non ha saputo fronteggiare compattamente l’ascesa del governo Berlusconi. La Sinistra ha preferito prendersi per i capelli (e per i riportini atti a nascondere le loro teste d’uovo), è stata divisa da guerre ideologiche interne e ha così lasciato la strada libera all’ascesa del nazionalismo, questo tutto per dimostrare che siamo veramente ancora troppo italiani, davvero troppo italiani. Qualche frangia sta tentando indarno di abbattere una realtà che si è ormai già prepotentemente consolidata, ma l’onesto lavoro di pochi non può servire a rimediare al danno che ieri è stato perpetrato. Recentemente il nostro beneamato Presidente della nostra sedicente Repubblica ha avuto il coraggio di asserire che l’Italia deve disegnarsi secondo il modello lavorativo americano e ovviamente gli industriali non hanno potuto fare a meno di applaudire e squadernare cachinni a trentadue denti.

Gli Italiani, ricchi e poveri, da sempre storicamente parlando, sono stati affascinati dall’America: l’America è sempre stato il sogno dell’Italia, ma l’America è un paese mostruoso, il cuore della barbarie, eppure ancor oggi troppi si ostinano a tenere gli occhi chiusi su questa verità. L’America, gli Stati Uniti, con tanto di Bibbia alla mano non fanno altro che propugnare l’arianesimo e il governo Bush lo sa benissimo e lascia che i gruppi nazionalistici continuino a propagandare le loro bestialità attraverso la radio, la televisione, internet; intanto i poveri continuano a crescere nel paese e sono oggetto di continue discriminazioni e sono considerati un problema da abbattere. L’America è per pochi con troppo potere e troppi capitali, tutti gli altri sono povere pedine sacrificabili per il bene della società. Ma che società può mai essere quella che si fa forte dello schiavismo? Una società bassamente vile, arrogante, filonazionalistica; e non è mica poco. Oggi l’America detta legge sul mondo e l’Europa (Italia compresa) vuole diventare a tutti i costi una seconda America con il suo Bronx personale e con moderni campi di sterminio autorizzati. In America non passa giorno che i ghetti sono soggetti a faide interne, faide tanto violente che persino la polizia rifiuta recisamente di sedare perché questa bene sa che entrare in un ghetto significherebbe farsi scuoiare. In America i poveri sono in lotta fra di loro e quello che Berlusconi vuole per l’Italia è far si che anche da noi ci si ammazzi come mosche (non che questo incivile barbaro spargimento di sangue non sia già in atto da anni), ma quello che il governo si è riproposto, evidentemente, è che i poveri di oggi domani siano ancora più poveri, tanto poveri da essere pronti a tutto, persino ad appoggiare un regime fascista. Chi ha un po’ di sale in zucca non può non rendersi conto di questo mostruoso piano in atto a danno della nostra società. Il delitto Biagi, gravissimo, è purtroppo il sintomo di una malattia cancerogena che l’Italia già da tempo covava in seno; si è detto che Biagi è stato assassinato perché faceva gli interessi di Confindustria, potrebbe essere vero come no, fatto sta che le Brigate Rosse hanno operato con la solita barbarie che da sempre, storicamente, le ha caratterizzate. Andare in giro ad ammazzare personaggi scomodi o ritenuti tali non è la soluzione, è piuttosto l’esempio reale di una società inevitabilmente avviata a scannarsi con le proprie mani e oggi come oggi se c’è una cosa di cui davvero non abbiamo bisogno è dimostrare che noi italiani siamo solo capaci di scannarci come animali. E’ purtroppo un sintomo che si è manifestato malattia: combattere uno stato di cose negative non può essere assolutamente giustificato con la violenza, perché questa giustifica soltanto se stessa e nessuna causa civile. Quello che ci si aspetta dagli italiani volenterosi è di combattere ma a faccia scoperta, tutti uniti: se si deve manifestare contro, che si manifesti ma come una unica grande falange che dica di no alle ingiustizie, una falange che deve contenere senza discriminazione alcuna la Sinistra storica, quella moderata e quella un po’ ambigua che dice di sé d’esser di Centro. Sin tanto che si combatterà disuniti non si otterranno risultati ma solo fedi estremistiche che il Governo utilizzerà contro chi vuol cambiare lo stato attuale delle cose.

Leggiamo alcuni stralci da Il Manifesto: “Era nel mirino. Lo sapevano i servizi, lo sapevano i ministri, lo sapevano i colleghi. Ma quando è stato ammazzato Marco Biagi era solo, senza scorta nè controlli. Scajola sotto accusa. Maroni attacca: "Avevo chiesto che gli fosse ridata la scorta". Il ministro degli interni incolpa i prefetti e minimizza: "Il terrorismo non si combatte con le scorte". Ma la sua poltrona traballa. "Siamo le Brigate Rosse". Una telefonata a un quotidiano rivendica l'attentato e annuncia l'arrivo di un comunicato. I killer erano due, forse sono stati filmati da alcune telecamere lungo il percorso. Gli inquirenti: "La pistola è la stessa che ha sparato nel '99 a Massimo Dantona". Le indagini puntano sulla continuità tra i due delitti… La Cgil conferma e rilancia. La manifestazione di Roma di dopodomani si farà e sarà grandissima, anche se dopo l'assassinio di Marco Biagi assume inevitabilmente un carattere diverso: "contro il terrorismo, per la democrazia e i diritti". Mentre si svolgevano ieri in tante città manifestazioni spontanee contro l'uccisione del consulente del ministero del lavoro, da ogni struttura della Cgil continuavano ad arrivare segnali di una partecipazione eccezionale per la manifestazione di sabato. L'afflusso sarà perfino più massiccio di quello che era stato previsto. L'effetto paura o da "unità nazionale" non c'è stato neppure sui vertici nazionali di Cgil, Cisl, Uil… Tutti se l'aspettavano e puntualmente la telefonata è arrivata. Alle 16,29 una voce maschile priva di particolari accenti ha chiamato il centralino bolognese del Resto del Carlino. "Siamo le Br, rivendichiamo l'attentato a Marco Biagi, seguirà un comunicato. Partito comunista combattente, Brigate Rosse". Non ci sono, per il momento, comunicati scritti. Si attende l'immancabile e verbosa risoluzione strategica: se davvero sono loro, non mancheranno di farla ritrovare. Intanto, però, la firma è quella, Br-Pcc, la stessa di tre anni fa: la stessa degli assassini che freddarono a Roma, il 20 maggio 1999, Massimo D'Antona, consulente dell'allora ministro Bassolino e professore di diritto del lavoro come il povero Biagi. Gli inquirenti non si sbilanciano ma hanno tutta l'aria di ritenere attendibile la rivendicazione (a differenza delle altre due arrivate in serata). E così le indagini corrono tra Bologna, teatro dell'attentato di martedì sera, e Roma, dove il pool antiterrorismo della procura è ancora fermo al palo nell'inchiesta sull'omicidio D'Antona. Anche la procura di Milano, che pure indaga su fatti di terrorismo, sta collaborando all'inchiesta… Non è stata confermata, invece, la notizia che a sparare a Biagi potrebbe essere stato addirittura lo stesso commando che agì in via Salaria nel `99. Si era diffusa a Bologna in ambienti vicini all'inchiesta, nella capitale però nessun magistrato ha avallato questa ipotesi. Tra l'altro, gli assassini di D'Antona non si sa chi fossero: nel gruppo di fuoco si ipotizzò la presenza di Giorgio Panizzari, ex Br ora in carcere per rapina; poi venne fuori un testimone che indicò Rita Casillo, di Iniziativa comunista, ma il riconoscimento è fallito ad ottobre; sul registro degli indagati ci sono infine Norberto e Sabrina Natali, entrambi di Ic, ma sulla loro partecipazione all'agguato la procura non sembra disporre di indizi sufficienti. Biagi è stato ucciso poco prima delle 20 vicino al portone di casa, in via Valdonica… Per la verità, come denunciato in passato dai sindacati di ps, alla Digos di Bologna manca perfino il responsabile della sezione antiterrorismo: il posto è vacante dall'estate del 2000, solo quindici giorni fa è stato aggregato un funzionario proveniente da Bolzano… Ma a chiedere contro a Scajola della mancata protezione per Biagi non è solo l'opposizione, da Violante a Bordon, da Pecoraro Scanio a Armando Cossutta. Il ministro del Welfare Roberto Maroni, ad esempio, ai giornalisti parla chiaro: "Sì, è vero, avevo chiesto il ripristino della scorta per Marco Biagi. Ci sono i documenti, è inutile negarlo". Una conferma che sembra un implicito atto d'accusa nei confronti del Viminale. E in effetti lo è. Infatti nella riunione del consiglio dei ministri Maroni aveva chiesto direttamente a Scajola perché, nonostante le ripetute sollecitazioni, Biagi fosse senza scorta. Colpa delle autorità bolognesi? No, sosteneva il ministro del Welfare, e comunque non solo. Per sentirsi rispondere, dal titolare del Viminale, che la decisione era stata presa dal precedente governo. E sia, ma perché il nuovo governo, chiede ancora Maroni, non si è mosso? E Scajola ripete: non si può scortare tutti, per sconfiggere il terrorismo servono indagini approfondite… Nel nome di Marco Biagi, Silvio Berlusconi invita i sindacati e gli industriali a tornare alla trattativa. "In onore di Marco Biagi, uomo del dialogo e della mediazione - informa lo stesso premier in una conferenza stampa lampo, al termine del consiglio dei ministri - il governo ha ritenuto di di rivolgere alle parti sociali l'invito formale a riprendere immediatamente il dialogo, ferme le posizioni rispettive, ma al tavolo del negoziato"… Le critiche di Ciampi, Berlusconi se le sente ripetere anche nella riunione del governo. Dai ministri centristi, in particolare da Rocco Buttiglione. "Una cosa - dice il ministro per le Politiche comunitarie - sono gli assassini, un'altra gli irresponsabili che parlando di fascismo fanno il loro gioco, e un'altra ancora, molto diversa, i sindacalisti che ci criticano, ma in modo democratico". Buttiglione chiede una riapertura del dialogo, e dunque, prima di tutto, un abbassamento dei toni anche da parte del governo e della maggioranza. Il premier concorda: "Diamo noi l'esempio. Offriamo il ritorno alla trattativa"…” (brani tratti dall’edizione on line de Il Manifesto del 21/03/2002, AA.VV.)

Ormai il delitto Biagi è stato consumato e già il governo ha dato addosso ai sindacati e all’opposizione: non si può fare il gioco del governo che ci vuole gli uni contro gli altri.

Alla Fiera del Libro francese il governo italiano si è ritirato dopo la manifestazione che ha visto protagonisti alcuni italiani e francesi; una manifestazione contro cosa o chi? Contro l’Italia presumibilmente. Tuttavia gli editori italiani non si sono ritirati. Strano! Il governo si ritira ma non gli editori, in pratica l’Italia ha guardato ai suoi interessi con una diplomazia inflazionistica: pur perdendo la faccia essa ha continuato a mostrarsi in pubblico per proporre la sua cultura, la cultura dei grandi editori che di certo non potevano rinunciare a salvaguardare i loro propri interessi. Che il governo italiano si sia ritirato poco importa al mercato del libro, anzi è probabile che la cosa gli abbia fatto solo piacere. Adesso qualcuno potrebbe pensare che l’editoria italiana, almeno quella, non è di regime, è un’editoria libera: niente di più sbagliato! L’editoria, tranne in alcuni rari casi, è uno strumento in mano al governo, lo è sempre stata sin dalla notte dei tempi e così sarà anche in futuro. Se gli editori italiani hanno continuato a mostrare la loro bella faccia in Francia è perché non solo avevano interessi economici da salvaguardare, ma soprattutto è stata una mossa per dichiarare che il governo si è si ritirato solo virtualmente. E la manifestazione contro noi italiani con questo giochetto da quattro soldi è stata inquadrata come una buffonata, l’esaltazione di pochi esaltati che non avevano nulla di meglio da fare se non rompere le scatole per il puro gusto di apparire. Presto l’incidente, se di incidente si può parlare, verrà dimenticato e la  Francia e l’Italia dei governi torneranno a stringersi la mano ridendoci sopra. Anche questo è purtroppo sintomo evidente che siamo italiani, troppo italiani.

La nostra è una società ormai diventata una discarica dei sogni: è evidente quando i palinsesti delle televisioni di stato e private continuano a proporre programmi del tipo Carramba che sorpresa!, Saranno famosi, Stranamore, Sanremo… i nostri sogni sono stati volgarmente tradotti in prodotti di consumo velleitari che durano giusto il tempo di una moda passeggera, una moda che più a luci rosse di così non è possibile immaginare. I sentimenti sono stati brutalizzati e ricondotti a pura merce in svendita: l’italiano medio trova giustificazione alle sue frustrazioni sociali solo attraverso la commercializzazione di se stesso nell’etere dell’informazione virtuale. Inutile negare che la televisione per mezzo di programmi apparentemente innocenti avvinghia le coscienze degli italiani alle idee nazionalistiche; i programmi televisivi propongono un mondo (o meglio una società e una civiltà) imperfetto ma perfettibile e la perfezione è conseguibile attraverso la massiccia partecipazione alla vita virtuale che il tubo catodico imprigiona nella sua prigione di idee tutte votate ad un apparente buonismo. La povera massaia che viene invitata a una trasmissione come Carramba che sorpresa! e che si ritrova davanti la Raffaella nazionale che le mette davanti il figlio creduto perduto non può fare a meno di credere che lo Stato è buono perché lei, una semplice massaia, è sotto i riflettori della televisione di Stato e sotto gli occhi di milioni di italiani pronti a svendere le loro facili lagrime per la commozione di quel figlio ritrovato. Quindi se una povera massaia è oggetto di tante attenzioni da parte della televisione che ha investito tanti soldi per ridarle il figlio creduto perduto, l’Italia non può essere poi tanto cattiva: le lagrime della massaia commuovono il pubblico e il pubblico risponde con lacrime ancor più copiose di quelle della povera massaia. E’ un gioco sporco e il governo ci marcia alla grande. E’ chiaro che programmi come quello della Carrà o di Castagna aiutano il governo a restare in piedi, perché lo scopo precipuo di questi programmi è addormentare le coscienze di quanti un minuto prima erano in piazza a manifestare il loro malcontento. Ma la colpa, alla fin dei conti, non è neanche dei palinsesti televisivi, piuttosto se colpa c’è,  questa tutta è da attribuirsi agli italiani che ancora non hanno imparato a ragionare con la loro testa. Chi è causa del suo male pianga il suo male, è proprio il caso di dirlo ad alta voce. Non sarà possibile un futuro fin tanto che simili atteggiamenti saranno all’ordine del giorno: noi italiani, indipendentemente dalla nostra presunta fede politica, siamo i principali responsabili del nazionalismo imperante. Per un programma del cazzo siamo pronti a farci schiavi.

GIUSEPPE IANNOZZI


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