Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  La Strada Giusta - prima parte (leggi la seconda parte)
autrice: AleNash
e-mail: alessandradonnini@yahoo.it
data di edizione: 22 dicembre 2002
argomento della storia: Giulia incontra un attore famoso
riassunto breve: Un incontro fortuito in un albergo...
lettura vietata ai minori di anni: 

 

La Strada Giusta

(Prima Parte)

Era buio, ormai camminavo da ore, ma non mi volevo fermare, era come se una forza mi spingesse ad andare avanti… davanti a me… solo alberi alti e nient’altro. Poi all’improvviso la sagoma di un uomo davanti a me, nel buio più nero. Non riuscivo a riconoscere la persona a cui appartenesse, per quanto mi sforzassi di abituare gli occhi al buio, ma ne vedevo perfettamente i contorni: prestante e dall’aria sicura. Non mi spaventava sebbene fossi sola, al buio… come ogni notte. Avrei potuto sentire i suoi capelli se li avessi toccati, soffici e un po’ mossi. Sentivo il suo respiro quando si avvicinava a me e le sue labbra si schiudevano sulle mie in un bacio, fino a quando io aprivo gli occhi per guardare nei suoi e… ’ancora quel sogno’. Era ormai da tempo che mi tormentava, io lì con questa persona che non riuscivo mai a sapere chi fosse, ma pur non sapendolo in quel sogno ero felice e per non so quale certezza sentivo, sapevo che l’uomo del mio sogno non era Stefano.

Da un po’ di tempo stava accadendo qualcosa ai miei sentimenti nei suoi confronti. Eravamo insieme da nemmeno un anno, sette mesi per l’esattezza e come ogni volta, puntualmente come per tutte quelle precedenti, con l’inquietante ripetersi di un ciclo, io sentivo di dover uscire da quella storia. Era un continuo scontrarsi di sentimenti dentro di me; “ tu non sei ancora fatta per i legami” parole sagge quelle della mia migliore amica, che con fredda lucidità cercava di dare un significato a quel mio continuo desiderio di rivoluzionare tutto nella mia vita. Eccomi lì, finalmente avevo trovato un equilibrio: tanti amici con cui divertirsi, confrontarsi, litigare, fare pace e volersi più bene di prima, la laurea dopo anni di sacrifici, e poi Stefano, il mio migliore amico e il mio ragazzo. Così, all’improvviso, in un giorno dei tanti in cui precipitandomi di fretta all’università ero immersa nei miei pensieri, i soliti, di voler andar lontano, il più possibile ‘quando ho finito , me ne vado da qui, mene volo in Australia,… sì, in Australia, il più lontano possibile…e non lascerò tracce dietro di me!’ Così…lui apparve, o meglio gli andai a sbattere contro. Come al risvegliarsi di un sogno mi riportò con i piedi per terra spostando quel desiderio di andarmene in un angolo recondito del mio cervello da dove però sarebbe tornato, come ogni volta, prepotentemente a fare sentire la sua voce. Mi ricordo le parole di Stefano al nostro primo incontro - scontro come se le avesse pronunciate ieri. Io da una parte ero presa da me stessa e non avevo nemmeno visto o immaginato che dietro la porta d’entrata ci potesse essere qualcuno, con il risultato di sbattergliela in faccia quasi rovinosamente.

“Mi dispiace, scusa, sono mortificata, non ti avevo vista!”

“ Difficile da credere, con quei begli occhi…ma non credere di potertela cavare con le scuse, ci ho quasi rimesso il naso!”

Tutto mi sarei aspettato tranne che in una situazione simile qualcuno potesse ridere o fare battutte ed ero rimasta colpita dalla schiettezza e simpatia dimostrata anche in una circostanza imbarazzante come quella; da lì le cose si erano evolute nel più naturale dei modi. Eravamo diventati amici e poi c’eravamo innamorati uno dell’altra. Più volte, nel corso dei primi mesi Stefano aveva ripetuto “benedetto il giorno che ci siamo scontrati” e io ero felice, tanto.

Poi, a poco a poco una sensazione che conoscevo bene aveva incominciato a farsi sentire: la paura di essere legati, la paura di aver scelto la strada sbagliata e il desiderio di ascoltare una voce che da lontano mi ricordava che avevo un conto in sospeso con me stessa. Anni passati tra lo studio e il lavoro per poter mettere da parte, giorno per giorno, quanto bastava per il grande viaggio della mia vita. Da sempre lo sognavo e da sempre sentivo che dovevo farlo. E ogni cosa attorno a me aveva cominciato a diventare secondaria, anche Stefano. Odiavo me stessa perché non riuscivo a capire cosa volessi e nel mio più cieco egoismo odiavo Stefano, così buono, comprensivo e paziente nei miei confronti, lui, che non mi dava mai una vera ragione che giustificasse il mio allontanamento. Ero solo io. Cercavo delle risposte, ma non sapevo dove trovarle. Ma quanto poteva convenire rischiare di perdere un equilibrio raggiunto per cercare oltre, nuove sfide, nuove strade, rischiando magari di restare soli? La vita in fondo non era un film con il mio destino preconfezionato da un regista. Anche questi erano pensieri che mi attraversavano la mente nei momenti di maggiore razionalità. Ed era stato proprio in uno di questi momenti che avevo deciso di non rifiutare la proposta di Stefano di partire insieme per festeggiare insieme la laurea. Destinazione: Germania del Nord. Luoghi che avevo già visto, posti che avevo già amato. Non so se lui percepiva qualcosa dai miei atteggiamenti a volte troppo lunatici per non essere notati, o dal mio non cercarlo come prima fisicamente o emotivamente. So solo che ero lì, e avrei vissuto quell’avventura accettando qualunque cosa mi avesse lasciato.

“Che c’è, piccolina?” Stefano mi stava guardando sorridendo con sguardo interrogativo.

“Cosa?”

“Sei incantata a vedere la vetrina da dieci minuti, hai visto qualcosa che ti piace?”

“No…io, ero soprappensiero, scusami, mi ero incantata”

“Ti va un gelato? Dai che mi fai sentire come parli bene il tedesco!”

“Qui in Germania quasi tutte le gelaterie sono gestite da italiani…” risposi sorridendo.

“Ok, allora se vuoi ordiniamo una birra…”

“ Spiritoso, alle nove del mattino la birra te la bevi tu!”

“Dai, comprami un gelato al cioccolato!”

“Se ti comporti bene…”

Giocare a fare il bambino era una cosa che Stefano adorava perché sapeva che lo trovavo irresistibile.

Dopo aver camminato per ore ed ore, esplorando ogni minima curiosità e percorrendo quasi tutte le strade, tornammo in albergo; era quasi ora di cena e avevamo pensato di mangiare lì perché eravamo troppo stanchi per uscire di nuovo. Nell’atrio c’era un gran movimento, a dire la verità l’atmosfera era di grande, ma controllata agitazione. Inservienti che andavano e venivano, strani personaggi, tutti vestiti di blu parlavano alla radio comunicando con l’esterno. ‘Gente importante’ pensai ‘chissà che succede…’

“Come mai tutta questa agitazione?” Chiesi alla reception. La mia curiosità nonché sfacciataggine certe volte era davvero incontrollabile.

“Stiamo aspettando un ospite di riguardo e hanno chiesto di fornire uomini della sicurezza.”

“E di chi si tratta?” Proprio non volevo demordere.

“Mi dispiace, ma non possiamo violare la privacy dei nostri clienti è contro il regolamento.”

“Capisco, mi scusi, ero solo curiosa”.

“Dai, andiamo di sopra” Stefano mi richiamò all’ordine.

“Non ti va di vedere chi arriva? Potremmo sederci sui divanetti dell’atrio e aspettare? Magari è una celebrità tedesca, potrai dire di averla vista!”

“Sì, l’ispettore Derrick…”

“A parte che l’ispettore Derrick è morto, ma va bè…”

“ Sinceramente ho solo fame…”

“D’accordo, ti seguo”

Ero stanca anch’io a dir la verità e volevo solo mangiare e andare a letto presto per svegliarmi poi al mattino e godermi interamente un’altra giornata.

Quando fummo entrambi pronti per scendere uscii dalla stanza e sul corridoio vidi un paio di ragazzi, piuttosto corpulenti, pensai, ‘ ah sì, li ho già visti nell’atrio prima di salire in camera” poi vidi un altro ragazzo, un uomo in verità, che ero sicura di avere già visto…che strano, mi pareva di conoscerlo, il viso era famigliare, ma pensai subito all’assurdità della cosa: ‘Chi potevo conoscere lì, in Germania in un posto dove ero stata poi solo una volta?’ Il personaggio in questione guardò verso di me con fare casuale, mentre parlava con quelle che ormai avevo dedotto essere due guardie del corpo visto l’abito che avevano uguale nonché la prestanza fisica; io mi voltai verso la porta aspettando Stefano, una buona scusa per cercare di non far capire che mi ero fermata a fissarlo per capire chi fosse. Stefano finalmente arrivò, “scusa, Giulia, ti faccio sempre aspettare…” mi disse baciandomi sulla guancia e prendendomi per mano. “Non importa” dissi guadandolo di sfuggita e accennando un sorriso distratto. ‘Ma dov’è che l’ho visto quello, uffa?’ non riuscivo a smettere di pensarci.

Arrivammo nella sala del ristorante, non c’era molta gente, la sala era prevalentemente rossa: o questa era la prima impressione date le lunghissime tende di velluto rosso alle finestre che dal soffitto scendevano come il sipario in un grande teatro. L’atmosfera era calda e accogliente e mi sentivo bene. Io e Stefano sedemmo al nostro tavolo che si trovava più o meno in una posizione centrale, il cameriere si avvicinò subito per chiederci cosa volessimo bere, feci da interprete perché Stefano non sapeva il tedesco e mi divertivo a guardare Stefano che, pur non capendo una sola parola, dava segno di sincera partecipazione al mio dialogo con il cameriere. La cena era buona, abbastanza “Europea” considerando le preferenze culinarie dei tedeschi. Ad un tratto vidi Stefano cambiare espressione, da seria e tranquilla sembrò aver visto un fantasma. Aveva portato in avanti la testa e socchiuso leggermente gli occhi come per aguzzare la vista. Era a dir poco ridicolo. Lo guardai di sottecchi mentre mangiavo.

“Ma che hai?”

Lui mi guardò e sorrise, non capii e gli sorrisi anch’io

“Sì…?”

“Giulia, se ti dico chi è entrato in questo momento…”

Feci per voltarmi…

“No, no, no !”- Disse piano - “non ti girare adesso!”

“Ma chi è?” Ero curiosa oltre ogni limite, tra il divertito e il capriccioso. Pensavo mi stesse prendendo in giro come spesso amava fare.

“Non sono sicuro, ma mi sa che c’è Russell Crowe…”

L’istinto di girarmi era ora diventato quasi violento e oppormi a quella violenza troppo doloroso, allo stesso tempo ero però impietrita, senza contare che , conoscendo quanto gusto Stefano provasse a prendermi in giro sull’argomento, non volevo dargli la soddisfazione di esserci cascata subito con tutte le scarpe.

Lo guardai negli occhi fissa, aspettando una sua reazione, qualunque cosa.

“Ecco, ora si sta sedendo, sì, sì, è proprio lui…è con un altro tizio”

“Stefano, non mi sto divertendo”

“Giulia, vuoi sederti qui? Così lo vedi… se vuoi voltarti cerca di non farti vedere.”

Come certe volte le donne sanno farsi venire in mente la cosa giusta al momento giusto ha dell’incredibile. ‘La borsetta’…avevo la borsetta appesa allo schienale della sedia e mi sarei dovuta per forza voltare per prendere qualunque cosa mi fosse servito. Fu quello che feci, con più naturalezza possibile mi voltai, presi la borsetta e con altrettanta naturalezza sollevai lo sguardo sperando, nei pochi istanti che avrei avuto, di non dovermi guardare troppo intorno nella sala. Non ce ne fu bisogno, il tavolo in questione era dritto sulla traiettoria del mio sguardo… Stava ancora battendo il mio cuore? Credo che in quel momento smisi di respirare per un istante. Non credevo a quello che avevo davanti agli occhi: Russell …lì, davanti a me, seduto nello stesso ristorante in cui ero seduta io, come avrei sempre voluto vederlo: la barba corta, ordinata, i capelli né troppo lunghi, né troppo corti, con qualche ricciolo qua e là che gli incorniciavano un viso che per me era misteriosamente perfetto in tutte le sue imperfezioni. Aveva una giacca nera e una camicia blu chiaro. Era bellissimo. Lui era là e io al mio tavolo, cosa potevo fare? Nei due, tre secondi in cui lo guardai cercando di far credere che fosse di sfuggita, stava parlando con il tizio che avevo visto poco prima nel corridoio della nostra stanza e che da tanto cercavo di inserire in un qualche contesto. Vederlo con Russell mi portò a fare un rapido collegamento mentale. ‘ma non è l’amico senza il quale Russell non muoveva un passo?’ Pensai. Mi voltai di nuovo verso Stefano che ora mi sorrideva con aria teneramente divertita. La mia espressione tranquilla e rilassata di mezz’ora prima era completamente sparita. “È lui, no?” disse senza smettere di prendermi un po’ in giro. “ Bè, non ti offendere, ma tutte quelle ore in cui mi hai fatto sorbire i suoi film, mi saranno servite a qualcosa, almeno a riconoscerlo!” disse strizzandomi l’occhio. “Allora, che vuoi fare?

“Che vuoi dire?

“Come ‘che voglio dire’? Lo volevi tanto conoscere e ora che ce l’hai lì vuoi buttare via quest’opportunità?”

“Io non vado da nessuna parte e poi è lì che mangia e se si avvicina qualcuno magari per giunta si scoccia.”

Ci fu un attimo di silenzio e Stefano avvicinò il viso verso di me dicendomi con aria provocatoria:

“Vuoi aspettare che torni in camera per andargli a bussare?” Sentii un brivido di eccitazione all’idea di quell’assurdità, ma risposi… “ Non mi fai ridere”

“Mi vedi ridere?” Disse calmo e appoggiandosi nuovamente allo schienale della sedia.

In quell’istante mi ricordai tutte le volte in cui guardando un suo film mi ero chiesta come sarebbe stato vederlo e parlargli anche solo per fargli i complimenti per le emozioni che mi aveva regalato. Quante volte avrei voluto farlo? Mille pensieri in pochi secondi, ‘il sogno, la realtà, quello che ho, quello che vorrei’ stavo impazzendo cercando di dominare quel flusso irrefrenabile. Possibile che tutto si traducesse nel trovare il coraggio o meno di alzarmi e andare da lui? Ripensai alla prima volta in cui mi ero innamorata, era accaduto tanti anni prima e io avevo trovato il coraggio di fare il primo passo e andare da un perfetto sconosciuto, che mi aveva colpito ormai da settimane, per conoscerlo. Era sempre la stessa porta, dal sogno alla realtà, ma solo varcando quella soglia sarei riuscita a scoprire che cosa sarebbe cambiato nella mia vita, che cosa avrei avuto di più o di meno. Solo percorrendo quei pochi metri che separavano il mio tavolo dal suo. Volevo rimanere nel mio mondo di sogno e immaginazioni o renderli reali?

Stefano mi distolse da quei pensieri.

“Ok, ho capito, vado io!”

“Dove, dov’è che vai, tu?”

“Senti, vado lì e gli dico che la mia ragazza sogna dai secoli dei secoli di conoscerlo e di farsi quattro chiacchiere con lui e bla bla bla , magari si impietosisce , non ci vorrà poi molto?”

“Sì, e tu gli dici tutto questo in che lingua?”

“Un po’ in inglese … un po’ a gesti… non è che parla anche francese o spagnolo, per caso?”

“No, solo inglese”, dissi sorridendogli con ironia.

Stavo quasi per essere convinta dalle sue parole; Stefano si ricompose, guardò verso il tavolo di nostro interesse come un soldato che prende la mira.

“ Guardano di qua”

“Cosa guardano?”

Continuando a parlare con me , con le mani intrecciate davanti alla bocca e i gomiti puntati sul tavolo Stefano disse:

“L’amico guarda te e dice qualcosa al ‘Gladiatore’…adesso magari è lui che ti ha puntato, così viene qui lui e mi risparmia la fatica!”

“Forse ha notato che li abbiamo riconosciuti e a Russell non sempre piace essere riconosciuto”, dissi tutte quelle parole a raffica, stavo diventando nervosa e non seguivo più quello che stavo dicendo.

“Dai, io vado”

Non feci in tempo a trattenerlo perché si era già alzato e io, con la testa abbassata e lo sguardo verso il piatto, non osavo immaginare in che cosa si sarebbe potuta trasformare quella serata. Mi voltai lentamente verso il loro tavolo e vidi Stefano avvicinarsi con aria un po’ intimidita. ‘Sta facendo tutto questo per me?’ Avevo un vortice dentro di me, Russell e Stefano, il sogno e la realtà a confronto, ma cosa volevo? Chi volevo?

Lo vidi gesticolare molto, sentivo poco quello che stava dicendo, o cercando di dire, i gesti appunto, lo stavano aiutando a trovare probabilmente le parole in una lingua che conosceva poco. Ogni tanto indicava dalla mia parte. L’amico di Russell guardò verso di me, mi aspettavo che Russell reagisse in modo brusco, non so il perché, non avevo mai dato molto peso ai giornali scandalistici che lo ritraevano spesso come una persona rissosa, senza particolari doti da gentleman, ma le voci le avevo sentite, e sebbene io ,tra i film visti e il mio buon senso, avevo imparato a dare peso solo al “mio” Russell, non potevo credere del tutto che quanto si dicesse fosse solo frutto di fantagiornalismo. Mi ricordai le parole di mia zia dopo aver visto “A Beautiful Mind” “ Bellissimo film, quel Russell Crowe è un genio, come attore parliamoci chiaro, perché per il resto è un losco individuo”. Forse era più facile pensare che le voci fossero vere…non avrei avuto spiacevoli sorprese. Invece dovetti ricredermi. Russell guardava Stefano passandosi la mano sulla barba, non aveva l’aria scocciata ma attenta e interessata, con quegli occhi dalle mille espressioni…immaginavo che stesse sforzandosi di capire quella situazione a dir poco assurda, ma in fondo anche umana. Guardò verso di me fino a quando disse una cosa che capii perché pronunciata con un tono della voce più alto.

“ All right, bring her here”

‘Quella ‘her’ ero io?’…che dovevo fare ora?

Stefano si volto verso di me con l’aria soddisfatta di chi ha compiuto la sua missione e con un rapido gesto della mano mi fece segno di avvicinarmi. Io cercai di raccogliere in me tutte le energie che, non tantissime volte, ma poche efficacissime, mi avevano fatto sentire la persona più forte del mondo. Un vortice di pensieri nuovamente nella mia testa…’Oddio, adesso mi parlerà e io non capirò una sola parola…lo so farò una figuraccia…respira Giulia, respira e …smetti di parlare con te stessa!’

Mi alzai e mi diressi verso il tavolo di Russell e dell’amico. Stefano mi passò un braccio intorno alla vita e quel gesto mi diede maggior sicurezza.

Per non so quale miracolo, improvvisamente l’inglese che avevo studiato per anni tornò in mio possesso.

Russell si alzò e mi porse la mano per stringere la mia.

“Ciao, io sono Russell Crowe”

Mi veniva quasi da ridere per il modo in cui l’aveva detto, come se mi si presentasse un perfetto sconosciuto, c’era un sorriso sul suo viso …

“…e io sono Giulia!”

“Piacere, lui è Mark” fece un cenno con la testa alla sua destra.

Ecco chi era, per la miseria! Mark! Per forza mi pareva di conoscerlo, lo avevo visto con Russell!’

“Ci siamo già visti”, disse lui con un sorriso.

“Dove?” chiese curioso Russell

“Sì, dove?” aggiunse Stefano

“Nel corridoio di sopra”

“Io ho visto solo camerieri e guardie del corpo…di’ un po’, vedi belle ragazze e non mi chiami?”

“Sai com’è, non possiamo mica dividerci anche le donne!”

A vederli sembravano due ragazzi come tanti, intenti a dare spettacolo come spesso avevo visto fare tanti altri di fronte ad una ragazza appena conosciuta.

Ritornando serio Russell disse, indicando me e Stefano con il dito.

“Volete sedervi con noi o avete altri programmi?”

Non credevo alle mie orecchie, guardai Stefano con sguardo molto eloquente: “ci ha chiesto se…”

“Sì, ho capito…”disse a bassa voce sorridendo un po’ imbarazzato. Russell ci guardava sempre sorridente e in attesa di una risposta.

“Dai, non farti pregare” disse Mark dando una pacca sulla spalla a Stefano.

Spostarono le sedie per farci posto. Io ero seduta tra Stefano e Russell: ancora una volta tra realtà e sogno.

“Allora, bevete qualcosa?”

Avevo lo stomaco chiuso, non avevo bisogno di niente, sentivo di avere già tutto.

“Almeno tu…una birretta?” disse rivolgendosi a Stefano che accettò.

“Allora che cosa fai di bello, Giulia?

Quando Russell pronunciò il mio nome sentii il cuore sobbalzarmi dentro: mai in tutta la mia vita avrei pensato che avrei sentito la sua voce pronunciare proprio quel nome, il mio. Avevo paura di reggere il suo sguardo, quegli occhi verde - azzurro così disarmanti nella loro sincerità e schiettezza, ma lo guardai lo stesso, fingendomi sicura.

“ Ho appena finito l’università”, in realtà sono qui a festeggiare con lui la nostra laurea”

“Congratulazioni! E poi che farai?”

Non avevo parlato spesso di quello che ormai da anni era diventato un mio chiodo fisso, preferivo non parlare troppo dei miei progetti con altri per paura che si potessero tramutare in bolle di sapone. Ma a chiedermelo era il mio principale idolo, il mio solo idolo; io lo adoravo, ammiravo tutto ciò che per me rappresentava: tenacia, determinazione, passione, trasgressione; questo mi trasmetteva ogni volta che lo avevo visto in un film e , cosa di cui avevo una piacevole paura, mi stava trasmettendo le stesse sensazioni anche in quel preciso istante.

“Vorrei tradurre copioni cinematografici, perché adoro il cinema! Un giorno vorrei vedere il mio nome scorrere tra i titoli di coda alla voce ‘dialoghi italiani’ ”. Avevo discosto lo sguardo pronunciando quell’ultima frase guardando verso uno schermo immaginario che avevo tracciato nell’aria con la mano.

“Ops, lo so, sono un po’ ridicola…”

“No, continua, è affascinante” Russell aveva ripreso a passarsi lentamente la mano sulla barba e immaginai che quella mano fosse la mia; non credevo ai miei pensieri: ero lì, da pochi minuti, con l’uomo che da anni speravo di sognare ogni notte e ci stavo conversando amabilmente! Mi stava guardando in silenzio aspettando che continuassi a parlare e io ad aspettare che fosse lui a chiedermi qualcosa. Quel silenzio era in parte imbarazzante, in parte divertente fino a che fui io a romperlo.

“Prima io e Stefano ci stavamo chiedendo chi potesse essere ‘l’ospite di riguardo che stesse arrivando’, ma non ci hanno voluto dire niente, se avessi saputo che eri tu…”

“Come come? Com’è che mi hanno chiamato?”

“’Ospite di riguardo?, sì…perché”

“Hai sentito, Mark? Siamo ‘ospiti di riguardo’

“Seee, se pensi che in certi locali quasi non ci vogliono più fare entrare!”

“Questo perché tu bevi come un maiale e poi ti devo salvare il culo dalle tue cazzate” disse Russell a Mark con evidente ironia e scoppiarono a ridere; sul linguaggio non proprio signorile anche Stefano era ferrato e si unì al coro. Veniva da ridere anche a me e guardando Russell pensai ‘È proprio così che me l’ero sempre immaginato’ E sentii la tensione incominciare a sciogliersi. Continuavo a guardare Russell, e lui si accorse di questo, ma il mio sguardo non era più quello iniziale, timido e timoroso, volevo entrargli dentro, negli occhi, nell’anima, nella sua testa, lasciare il segno. Prese il bicchiere di birra senza smettere di guardarmi e incominciò a bere qualche sorso. Le sue labbra appoggiate al bicchiere mi fecero venire in mente solo una cosa…’Giulia, ma a cosa stai pensando? Con Stefano seduto accanto a te?’ Mai avevo pensato a qualcun altro stando con lui, Russell aveva sempre fatto parte della sfera dell’ideale, pensai che lui non contasse. Ora, però, avevo oltrepassato quella soglia e sogno e realtà si stavano fondendo in una nuova realtà, una di fronte all’altra, lì per me. Avevo sempre sognato di trovarmi in quella situazione, io e Russell seduti ad un tavolo solo a parlare…ora ero lì e Russell stava risvegliando in me qualcosa che non avrei mai pensato facesse parte di me.

È incredibile come a volte si abbia l’impressione di essere sentite anche senza aver detto una parola. Pensavo che questo guardarsi negli occhi fosse una cosa che solo io avevo notato, ma a quanto pare, non doveva essere stato così. Mentre Stefano parlava con Mark sentii la sua mano scivolare sulla mia e portarla sul tavolo, così, in bella vista, ‘quale subdolo modo di mostrare a chi appartengo!’ pensai…ma perché stavo reagendo così? Era Stefano, il mio ragazzo, avrei dovuto essere contenta dell’orgoglio che mostrava nell’avermi accanto, invece io amavo il modo in cui mi stava guardando Russell e amavo il modo in cui io stavo guardando lui. Anche Russell notò quel gesto…e come sarebbe potuto essere diversamente? Non era certo un idiota! Ed era molto più grande di Stefano. Certi gesti potevano solo farlo sorridere. Guardò le nostre mani unite, tamburellando delicatamente e con una calma quasi sensuale, le dita sul bicchiere, guardò dentro ai miei occhi mandandomi una scarica di elettricità che mi attraversò da parte a parte; con lo stesso sguardo intenso e attento socchiuse ad un tratto leggermente un occhio e quasi accennò un sorriso, come per dirmi qualcosa. Scostai la mano da quella di Stefano con la scusa di bere l’acqua che nel frattempo mi ero fatta portare, ma una volta posato il bicchiere non gli ripresi la mano.

Mark e Stefano probabilmente si erano piaciuti; chiacchieravano e chiacchieravano tra loro, tra gli sforzi di Stefano di farsi capire, e quelli di Mark di attenuare il suo forte accento per non rendergli la vita troppo difficile. Stefano, comunque, dopo la seconda birra era già abbastanza sciolto. A dir la verità non lo riconoscevo, ‘ma l’ho mai visto così?’

Quindi uno di questi giorni tradurrai anche uno dei miei film?”

Russell era tornato al discorso iniziale e riportò me alla realtà.

“Cosa? Ah, sì ..bè, quello sarebbe il massimo a cui aspirare per un’appassionata di cinema come me…nonché dei tuoi film.”

“Come avete tradotto in italiano ‘Gladiator’?

Sorrisi, già prevedendo la sua reazione alla mia risposta:

“Il Gladiatore”

“Tutto qui? Ma allora è facile! Basta aggiungere una vocale alla fine della parola inglese per avere la parola italiana…e “A Beautiful Mind” ?”

“Quello lo abbiamo lasciato così”, risposi stando al gioco.

“Ah, il traduttore forse non aveva voglia di lavorare…”

“Eh sì, può darsi…”

Ridemmo entrambi e io incominciavo a sentirmi davvero a mio agio con lui.

Ad un tratto Mark ci interruppe alzandosi in piedi insieme a Stefano, io li guardai preoccupata, non volevo andarmene, volevo restare ancora un po’ lì con Russell, magari per sempre…iniziai ad agitarmi, facendo di tutto per non darlo a vedere. Russell li guardò con sguardo altrettanto interrogativo. Si era fatto tardi, o meglio, il ristorante aveva smesso di servire e i camerieri si erano spostati in un’altra sala per occuparsi del servizio al pub. In altri casi la sala sarebbe stata fatta sgombrare, ma pensai che stessero facendo un’eccezione perché c’era Russell Crowe, “l’ospite di riguardo”.

“State, state! “- disse Mark che in quel momento adorai- “ io e Stefano andiamo a prenderci un’altra birra di là al bar, volete qualcosa?”

“Per me niente, grazie!” rispondemmo con una sola voce e scambiandoci subito dopo uno sguardo e un sorriso un po’ complice. Non vidi Stefano guardarmi come per dire di seguirlo e forse io più di tanto quello sguardo non lo cercai.

Fui distolta da quel pensiero quando sentii una voce vicina all’orecchio. Russell si era leggermente piegato verso di me portando il viso molto vicino al mio, vedendolo alla distanza di un bacio da me , con un gesto misto fra timore e attrazione, per uno strano paradosso, mi ritrassi per ritrovare il mio spazio.

“Mi sa che è un po’ geloso, il tuo ragazzo” disse dando voce allo sguardo di poco prima alla vista della mano di Stefano intenta a stringere la mia davanti a lui.

“Non ne ha motivo!” risposi pronta, ‘Che bugiarda spudorata che sei!’ la mia mente non mi mentiva mai. Russell ritornò ad appoggiarsi alla sedia stendendo le gambe sotto il tavolo cercando di trovare una posizione più rilassata e continuava a guardarmi con quegli occhi…quegli occhi che mi fecero dimenticare dov’ero e chi fossi. In un lampo mi sentii catapultata in una stanza buia, faceva freddo, c’era pochissima luce, un uomo davanti a me che mi guardava, io a lui ‘Ero molto diversa allora?’ e lui ‘Sorridevi di più’ poi un bacio pieno di calore, lui con la barba che pungeva leggermente sulle labbra facendo salire ancor di più l’eccitazione per quel gesto, la mano su quel viso…Lucilla e Massimo - Io e Massimo…

“Sì!”, risposi ad una domanda non sentita.

“Sì, cosa?” Russell mi guardava con un sorriso interrogativo “ ti ho chiesto per quanto tempo starai qui?”

“Ah, scusa, non avevo capito”

“Parlo troppo veloce?”

“No, figurati…ero…con la testa altrove”

Russell rise come se mi avesse appena letto dentro.

“Comunque domani sera partiamo”

“Allora magari ci rivediamo”. Il suo sguardo era sincero. Non mi sarei mai aspettata che dicesse quelle parole, ma non volevo prenderlo troppo sul serio, ‘ci vediamo’ è una frase che spesso si dice senza darle il suo effettivo valore.

Si stava facendo tardi e sebbene sarei voluta rimanere tutta la notte a parlare con lui e a lasciarmi accarezzare dal suo sguardo sicuro e maturo, la persona giudiziosa che era in me decise di riportarmi con i piedi per terra.

“Forse è meglio che vada a recuperare Stefano.” ‘Ma perché devo essere sempre così ragionevole!’

“Sì, hai ragione, si è fatto tardi”. Russell si alzò in piedi e io dopo di lui; con un gesto che mi lasciò piacevolmente sorpresa, dato quello che ogni tanto avevo letto di sfuggita su qualche giornale di poco conto sulle sue maniere non esattamente signorili, Russell mi fece strada passandomi la mano delicatamente sulla schiena, mi sentivo così importante per quella piccola cosa, era un uomo che mi stava trasmettendo, con il grande carisma che scaturiva da ogni suo gesto, un’enorme senso di protezione.

Trovammo Stefano e Mark al bancone del bar, visibilmente ubriachi. Stefano mi guardò, uno sguardo che non conoscevo, che non avevo mai visto prima rivolto a me. Era ubriaco, si vedeva, ma gli occhi esprimevano quasi disprezzo e mi guardava con aria arrogante come per dire “Eccola, finalmente!” Di certo Mark sapeva reggere l’alcol molto meglio di lui.

“Questa signorina vuole andare a dormire!” Disse Russell con voce profonda, come richiamare i due all’ordine.

Arrivati sul pianerottolo delle nostre stanze c’erano le solite due guardie del corpo davanti a quella che dedussi essere la sua stanza. Le guardai e Russell notò quel gesto.

“Loro non mancano mai, mi seguono anche in bagno…e pensa che le pagano per farlo!” Sorrise di nuovo e risposi al sorriso.

“Mi ha fatto piacere conoscerti, Giulia, in bocca al lupo per la tua carriera” , poi rivolgendosi a lui per accennare un saluto”…Stefano, buona notte, allora…”

Strinse la mano ad entrambi e mi rivolse uno sguardo, l’ultimo, lo sapevo. Era finita, tra tutti gli alberghi della terra Russell Crowe, cercato per anni, aveva la stanza a due passi dalla mia e io non ci sarei potuta entrare! Una forza ribelle si stava scatenando dentro di me. Chi ero in quel momento, che cosa desideravo veramente? ‘Voglio che tu mi prenda e mi faccia provare il piacere che non ho forse nemmeno immaginato possa esistere! Ecco cosa voglio!’ Scacciai quel pensiero come se non ci fosse mai stato ed entrai in camera con Stefano chiudendo la porta alle mie spalle.

Ero stanca, e tutta la tensione trattenuta fino a quel momento incominciò a sciogliersi a trasformarsi in tristezza e malinconia. Portai la mano alla cervicale per sciogliere la tensione, chiusi gli occhi e rividi Russell davanti a me , ma prima che mi potessi avvicinare a lui lo squillo del cellulare di Stefano mi riportò nella mia stanza.

“Ciao mamma! Come mai a quest’ora?…Sì avevo lasciato il cellulare in camera, siamo tornati adesso, c’è qualcosa che non va?”

La suocera’ pensai, non la sopportavo per il semplice fatto che non mi sentivo sopportata da lei, così protettiva e invasiva nella mia vita solo perché entrata in quella di suo figlio. ‘Ma poi che intenzioni hai, lavorerai qui in Italia o all’estero? Stefano vorrebbe andare all’estero, ma se poi anche tu decidi di andare via siete lontani e come fate a vedervi?’ e io ad ascoltare mille e mille volte quei discorsi, cercando di fare buon viso a cattivo gioco. La sua carriera era importante, la mia solo se non lo avesse fatto soffrire.

“Davvero, quando? Non ci credo, sono al settimo cielo, ma sei sicura?”

Ero incuriosita da quella telefonata, ma allo stesso tempo troppo stanca per cercare di indovinare.

A telefonata conclusa Stefano era davvero fuori di sé dalla gioia, con un sorriso che non lasciava spazio a dubbi.

“Belle notizie?

“Altroché, hai presente il curriculum che ti avevo detto di aver mandato per uno stage di traduzione a Madrid?”

“Sì…” sospettavo quello che stava per dirmi e non so se avevo voglia di sentirlo.

“Mamma dice che mi hanno preso, ti rendi conto? C’erano tre posti e hanno scelto me! …Un anno a Madrid, ci pensi?”

Eccome se ci stavo pensando , e già mi vedevo, lì ad aspettarlo a casa per dare prova alla ‘cara suocera’ che non sarei andata a cercarmi una vita indipendente da lui…mi odiavo per gli sforzi che facevo cercando di piacerle. Quanto ero importante per me stessa?

Finsi. “È meraviglioso, e quando dovresti partire?”

“Dicono da Settembre, non vedo l’ora di partire…ma che hai?”

Non riuscivo affatto a nascondere le mie emozioni per quanto ci provassi, non ci ero mai riuscita; mi voltai dandogli le spalle e lui notò la mia brusca reazione.

“Non sei contenta?”

Mi veniva da piangere, ma non lo feci e trasformai le lacrime in rabbia isterica.

“E noi due?”

“Noi due cosa?”

Capii l’antifona e con un gesto delle mani lasciai cadere la conversazione. “Lascia perdere.”

“Se intendi dire che la distanza sarà un problema la Spagna non è dall’altra parte del mondo, ci potremo vedere, telefonare, scrivere, non è impossibile!”

“Per chi? Eh? Per te che sei lì a fare quello che ti piace, o per me che sono qui ad aspettarti?” Ero furiosa, capricciosa ed egoista, ma non mi importava.

“Vuoi che non vada?” disse con l’intento di farmi sentire in colpa.

“No”, dissi tra le lacrime, “ non voglio proprio niente!” Di nuovo mille pensieri mi si avventarono contro; pensai a Russell, ai suoi occhi e alla sensazione che avevo provato guardandoli e sentendomi guardata, come se mezz’ora con uno sconosciuto mi avessero fatta sentire più me stessa di sette mesi con la persona che amavo; pensai a Stefano, io …loro due…mi stava crollando il mondo addosso e non avevo più il controllo di nulla, volevo andarmene, il più lontano possibile, di nuovo. Cercai un appiglio, qualcosa in cui credere, ricordai le volte in cui mi aveva detto “ benedetto il giorno in cui ci siamo scontrati”, come un fiume in piena quelle parole mi ritornavano prepotentemente alla memoria. Dovevo calmarmi, reagire, avevo solo me stessa su cui contare. E mentre sentivo un parte di me morire, una nuova , più forte me stessa rinasceva, ritornava in me come se l’avessi repressa per tanto tempo.

Vidi Stefano avvicinarsi verso di me, ma io non ero pronta ad accoglierlo.

“Facciamo la pace, dai…” disse guardandomi con uno sguardo che mesi prima mi avrebbe fatto impazzire. Mi accarezzò il viso, fece per baciarmi, ma quando sentii la suo mano scivolarmi sotto la camicetta e sfiorarmi la pelle mi irrigidii al suo contatto e lo allontanai da me.

“Immaginati che io sia Russell!” C’era un ghigno stupido e provocatorio stampato sul suo volto. Lo guardai come se avessi voluto pugnalarlo con lo sguardo; se c’era una cosa che non sopportavo era di essere presa in giro, non su quel fronte, e di certo non in quelle circostanze.

“Avanti, gli hai parlato tutta la sera, credi che gli sarebbe servito più tempo per decidersi se portarti a letto oppure no?” Il suo tono si era alzato all’improvviso e nel pronunciare quelle parole aveva preso la mia borsetta per poi lanciarla con violenza contro il muro. Io rimasi lì, spaventata, ma lucida e fredda, stava trasformando il tutto in una patetica scena di gelosia o stava sfogando quello che a lungo si era tenuto dentro?

“Tu non sei normale…e sei anche ubriaco!” E mi allontanai senza ancora credere a quello che stavo vivendo.

“Sono attori, bella, svegliati! Bravi a trasformarsi in quello che vuoi per mestiere! Figurati se poi trovano una che gli sbava dietro!”

Capii che quella soglia da sogno a realtà non l’avevo varcata solo io. Avvicinarsi a Russell per conoscerlo poteva essere partito come un bel gioco, Stefano non poteva però prevedere che , io, la sua ragazza, sarei stata guardata da un altro uomo, per giunta ‘quell’uomo’, in modo che sapevo Stefano aveva notato . Perché ora Russell Crowe non era solo il mio idolo visto dietro a uno schermo, quello di cui avevo studiato ogni più piccola espressione col ferma - immagine o che potevo far vivere solo andando al cinema o ascoltando la sua musica; era diventato qualcosa di più, anche se solo per pochi istanti, un possibile rivale, perché Stefano sapeva che io lo avevo sempre voluto.

Quella notte, come la precedente, io e Stefano dormimmo fianco a fianco, ma non ci sfiorammo neppure. Piansi a lungo in silenzio, le lacrime che mi solcavano il viso come tagli che bruciavano. Ripensai alle volte in cui alla finestra avevo guardato le stelle facendomi mille domande, senza trovare risposte. Guardavo il soffitto e davanti a me scorsero tante immagini: i mesi insieme, io prima di conoscere Stefano, io mentre stringevo per la prima volta la mano a Russell, mai in tutta la vita avrei pensato che sarebbe potuto accadere. Pensai a lui sdraiato nel suo letto, ovviamente ignaro di qualunque cosa fosse accaduta tra me e Stefano una volta chiusa la porta della nostra stanza. Pensai a lui addormentato, al suo petto che si alzava e abbassava ad ogni respiro e seguendone l’immaginario ritmo, mi addormentai tra quei pensieri. Quella notte feci lo stesso sogno: di nuovo ero in mezzo a tanti alberi alti, di fronte a me la sagoma dello stesso uomo di sempre, cercavo di vederlo meglio, ma era buio e non ci riuscii (Fine Prima Parte)

1. Ho riportato le parole esatte della mia vera zia. (NDA)

2. “Va bene, falla venire qui”


(vai alla seconda parte)

 

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