Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Sola - seconda parte (leggi la prima parte)
autrice: Isabella Franzolini
e-mail: ifranzolini@yahoo.com
data di edizione: 02/03/2003
argomento della storia: Russell Crowe, l'attore
riassunto breve: Sophie, distrutta a causa una storia d'amore finita male, incontra il suo attore preferito
lettura vietata ai minori di anni: 18

DISCLAIMER: Ancora una volta, e forse questa volta in particolare, nell’improbabile ipotesi che il signor Crowe venisse a conoscenza di quanto scritto più sotto, desidero sottolineare che queste sono storie di fantasia, ispirate da quel fantastico dono di Madre Natura che è Russell Crowe. Questa volta in particolare, specificavo più sopra, perché il personaggio del quale qui si narra è… un po’ meno Crowe del solito a mio parere. M’è presa così, l’ho lavorato un po’ di più ed è saltato fuori un Russell Crowe come mi piacerebbe che fosse, decisamente più distaccato dall’immagine che ci siamo fatte grazie ai tabloid. Chiunque ravvisi invece un barlume di somiglianza con la sottoscritta nel personaggio femminile, è ufficialmente minacciata di… tenerselo per sé! Spero che la storia vi piaccia, per commenti buoni e cattivi sapete dove trovarmi. Ah! Un’ultima cosa importante: se avete il cuore fragile e la lacrima facile… vi consiglio di non leggere. G’day, mates!

Isabella

 

Sola

(seconda parte)

Era curioso. Si sentiva sicuro di fianco a lei, che aggrediva la strada con rabbia riuscendo, nonostante tutto, a non preoccuparlo. La sua libertà, indipendenza, durezza e disperazione lo affascinavano eccezionalmente; voleva catturarla, sanarla, renderla felice e non lasciarla andare mai più. Il mare scorreva velocemente alla loro destra, la piatta campagna australiana, interrotta decine di chilometri più all’interno da colline, alla loro sinistra, mentre si dirigevano verso nord. Dopo un paio di centinaia di chilometri, raggiunsero una zona dove la spiaggia era più grande che mai e infinita si stendeva verso nord e sud a perdita d’occhio. Russell con la mano le indicò di fermarsi, cosa che lei fece subito. Scesero e si tolsero i caschi.

 

- Andiamo verso il mare, vieni. - disse lui.

 

Si sedettero sulla sabbia bollente, Sophie si aprì il giubbotto e slacciò il fazzoletto dal collo per rilegarlo intorno al polso. Lo guardò e gli chiese:

 

- Allora? Cosa vuoi?

- Hai la moto anche a casa?

- No.

- Guidi… bene. Ti piace correre.

- C’è poco da correre quando ciò da cui scappi è il tuo passato… o qualcuno che ti sta seduto dietro al sedere.

- Non… ti lasci andare mai?

- E come potrei? Corro troppi rischi.

- Non riesci… non riesci proprio più a fidarti di qualcuno? Non riesci a fidarti di… me?

 

Così dicendo, si avvicinò a lei, regalandole ancora quel sorriso sornione che gli illuminava anche gli occhi. Sophie si irrigidì. Si strinse le ginocchia tra le braccia e guardò la sabbia davanti ai suoi piedi.

 

- Se sapessi… se tu sapessi che paura ho. Troppo dolore, troppa rabbia, troppo odio. Non riesco… non riesco a… liberarmi di tutto questo, la paura tiene tutte queste emozioni come ingabbiate dentro di me.

 

Russell le accarezzò la testa.

 

- Sophie… prima o poi dovrai fidarti di qualcuno altro. Perché non provi a farlo con me?

- Cosa ti fa pensare di essere particolarmente indicato a quel ruolo?

- Perché… non lo so perché, credo sia istinto. Ho idea che tu ed io potremmo andare molto d’accordo.

- Istinto… Non credo, ho un pessimo carattere.

- Già… - sorrise Russell - Una… “gran stronza”, giusto?

- L’hai anche provato sulla tua pelle…

- Io… so che c’è dell’altro là sotto… Ed è… buono, sa di buono, ne sono sicuro.

- Posso… farti una domanda un po’… un po’ cruda?

- Come se fossi stata delicata come un petalo di rosa, finora… spara.

- Tu… tu vai sempre a scopare in giro così o… beh, ti prendi certe libertà perché tu… con tua moglie….

- L’ho amata molto. Fino… fino a non molto tempo fa. Poi non so… qualcosa si è incrinato. Non so spiegarmi cosa. A dire il vero… le tentazioni non mancano. Forse il nostro rapporto è diventato… datato. Non siamo più ragazzini e… sai si cambia. Sono cambiate le… circostanze, insomma, c’è un po’ di indifferenza. E se mi accorgo delle altre… donne, io… credo che non sia un buon segno.

 

Sophie gli sorrise appena.

 

- Che cosa… femminile.

- Cosa?

- Tutto. Tutta questa descrizione del tuo… modo di vedere il rapporto con tua moglie. Il “vedere” le altre donne perché non ti senti più innamorato come prima. E’ molto femminile.

- Invece il tuo modo di difenderti è molto maschile. Tante cose… tutto… il modo di parlare, di vestirti, di fumare… la moto! Sei un uomo travestito da donna, di’ la verità…

 

Sophie sorrise, abbassando lo sguardo, poi alzandolo nuovamente sull’orizzonte segnato dal mare, le guance appena arrossate.

 

- Mi sembrava, almeno da quel punto di vista, di aver fugato ogni dubbio…

 

Russell la guardò sornione.

 

- Penso invece che se qui qualcuno si è tolto dei dubbi su chi è maschio o femmina… quella sei tu…

 

Sophie, gli diede una pacca sul braccio, sorridendo.

 

- Porco…

- Cosa ti piace fare? Oltre a guidare la moto, provocare e insultare gli attori e… sì, insomma, come ti piace passare il tuo tempo libero?

- Non lo so… Io non ho tempo libero, ho… la mia vita. Nient’altro. E’ tutta uguale, niente hobby, pochissimi amici. Oh beh… sì, a dire il vero… mi piaceva tanto un attore.

 

Russell sorrise.

 

- Ah sì? Chi?

- Tom Cruise… però da quando si è messo con la Cruz mi è venuto in antipatia… - gli rispose, restituendogli il sorriso.

- Hai il costume sotto? Ti va di fare il bagno?

- Nell’oceano…? Dev’essere surgelato…

- Mate! Hai sentito che caldo fa?!(4)

- Sì, ma… così grande, così aperto… sarà freddissimo…

 

Russell si alzò di scatto, si liberò dei jeans e della maglietta, e corse verso la riva; ancora qualche falcata e poi si tuffò nell’acqua. Sophie lo guardò. Sembrava felice e sincero. Si tolse lentamente i vestiti e raggiunse la riva finché l’acqua non le circondò le caviglie; fredda e spumosa.

 

- Russ! E’ gelata!!

- Vieni, dai!!!

 

Sophie entrò nell’acqua fredda, abbracciandosi per proteggere il corpo dalla temperatura molto fresca. Russell la raggiunse, massiccio e protettivo e sorridente.

 

- Ehi, piccola! - l’abbracciò con sincero affetto. - Stai bene?

- S-… sì…

- No, invece: tremi come una foglia!! Vieni, ti scaldo un po’… - Russell la strofinò energicamente.

- Meglio?

- Molto meglio…

- Ok… - le passò una gamba dietro una caviglia, facendole mancare il terreno sotto i piedi, Sophie finì sott’acqua.

 

Quando riemerse sputò l’acqua in giro e si passò le mani tra i capelli.

 

- Traditore…

- Sai… dall’altra parte di quest’oceano ci sono gli arcipelaghi più belli del mondo.

- Nuotiamo un po’, si muore di freddo… - disse Sophie, cominciando a battere i denti.

 

Fecero qualche bracciata, poi si fermarono, ognuno esplorando il proprio “angolo” di oceano con poche bracciate sott’acqua. Lei, emerse e si allargò in un sorriso solare.

 

- Oddio, Russell!! E’ bellissimo!! Freddissimo, ma splendido!!!

- Dove fate il bagno in quel paese assurdo a forma di stivale, nel bollitore del the?!

- Australiani! Puah! Far passare “l’oceano degli oceani” come qualcosa di normale… è soltanto da voi!!

 

Fece ancora qualche bracciata.

 

- Sophie! Ehi, Sophie!! Sai... fermati!!!!

- Che c’è?

- Sai andare in barca a vela?

- Un pochino.

- Che vuol dire, ci sai andare o no?

- Ci sono andata tanti anni fa… qualcosa so fare…

- Andiamo Sophie! Non si può essere incinta solo un po’!!

- Ok, se mi dici “Cazza il wang o lasca il fiocco” so che non mi stai insultando… ti va bene??

- Non rispondermi con quel tono, sai , tu…. straniera!!

 

La raggiunse e la spinse neppure tanto dolcemente sott’acqua. Sotto il pelo dell’oceano, Sophie si aggrappò ad una gamba di Russell e cercò disperatamente di fargli perdere l’equilibrio, invano. La mole massiccia e la fisicità di quell’uomo non glielo permisero. Mezza affogata riemerse dall’acqua.

 

- Tu… tu hai un ranch qui vicino, vero?

- Non proprio - rispose lui, passandosi le mani sul viso bagnato - Sono a più di cinquecento chilometri da qui.

- Con la moto si fanno in un momento. Mi piacerebbe vederlo, mi ci porteresti?

- Volentieri. Usciamo. Così ci possiamo asciugare un po’.

 

Tornarono a sedersi sui loro vestiti asciutti, la sabbia bollente di sole.

 

- E’… sicuro il tuo ranch? Voglio dire… lei può tornare da un momento all’altro?

- E’ fuori discussione. Lei è a Sydney in questo periodo, non ha tempo di venire a Coffs Harbour. Ci saranno i miei e mio fratello. Oltre che qualcuno altro che sta sempre lì a badare alle bestie.

- Dev’essere incantevole.

- Oh, ti piacerà. Ti fermi a cena?

- Io non credo sia una buona idea…

- E perché mai no?

- Mah, non so…

- Telefono a casa per far aggiungere un posto.

- Sono le undici del mattino!

- Meglio preparli…

 

Si allontanò e tentò di fare tre cose insieme, telefonare, infilarsi i pantaloni, infilarsi la camicia. Il risultato era imbarazzante, un omone che perdeva sovente l’equilibrio mentre smadonnava perché il cellulare gli scivolava anziché restare ben incastrato tra la guancia e la spalla. Sophie si sentiva intenerita, ma sempre pervasa da un fastidioso senso di paura ed inadeguatezza. Quella cosa poteva piacerle ma… non poteva essere. Non avrebbe mai funzionato, lui era sposato, un personaggio pubblico, lei una superfortunata che aveva finalmente visto luccicare la luce della sua buona stella. Non sarebbe durato e lo sapeva benissimo. Quando si volse verso di lei, sorrideva, le guance biscottate, i capelli bagnati che si riavviava continuamente, facendolo sembrare tremendamente avvenente.

 

- E’ tutto ok, andiamo.

 

Sophie si vestì e insieme si avviarono verso la moto. Il viaggio non fu breve, ma il tragitto fu coperto con la moto in un tempo ragionevole. Quando la moto si addentrò lungo la strada sterrata che man mano rivelava la bellezza del ranch, Sophie rimase stupefatta. All’arrivo sullo slargo antistante l’ingresso, sulla soglia vide una donna di mezza età, la madre dedusse. Li salutò con molto trasporto.

 

- Eccovi finalmente!

 

Sophie fermò la moto, mentre Russell scendeva e si toglieva il casco. La madre si sorprese non poco.

 

- Oddio, ma sei tu…?! E’ lei che guida?!

 

Russell consegnò anche a sua madre uno dei suoi sorrisi sornioni.

 

- Te l’ho detto che era una originale…

 

Sophie mise il cavalletto e si tolse il casco. I capelli biondi scompigliati le cascarono davanti alla faccia e cercò di ravviarseli come meglio potè. Si avvicinò alla donna allungando la mano.

 

- E’ un piacere conoscerla, signora, e… mi scusi per l’intrusione, spero davvero di non arrecare alcun disturbo.

 

Jocelyne, la madre, le sorrise.

 

- Il piacere è tutto mio… Questa è… una cosa un po’ insolita, Russell mi ha accennato al modo in cui vi siete conosciuti…

 

Sophie arrossì violentemente “Mi auguro che nell’accenno non fosse compresa la parentesi della toilette…” pensò.

 

- Già… Davvero bizzarro, non trova?

- Vieni dentro, fa un caldo terribile oggi…

- Ci siamo rinfrescati…

- Ah sì? - chiese Jocelyne, entrando in casa.

- Sa, la moto… nonostante le tute la velocità tiene freschi. E’ il casco che ti ammazza. Poi abbiamo fatto il bagno.

- Fantastico! Ti è piaciuto l’oceano?

- Un po’ freddo… sa, noi in Italia siamo abituati a fare il bagno nel bollitore del the… - guardò maliziosamente Russell.

 

Dopo un pranzo leggero si ritrovarono a parlare sulla veranda, Russell una birra gelata in una mano e una sigaretta nell’altra, gli altri, parenti e amici con un bel sorriso sulle labbra.

 

- Fa impressione questo caldo… - iniziò Sophie.

- Non mi dirai che non fa caldo così da voi… - replicò Terry, il fratello di Russell.

- Oh anche di più forse… ma molto più umido e soprattutto… non in questa stagione.

- Giusto! Voi avete… il Bianco natale… che temperatura fa lassù adesso? - chiese Russell.

- Sono partita da casa con 3 gradi sotto zero… A Roma faceva già più caldo.

- Sai, ma’… lei vive in montagna.

- Dev’essere bellissimo… come si chiamano le vostre montagne?

- Alpi. La zona dove sto io è poco distante da un gruppo che si chiama Dolomiti. Diventano rosa al tramonto… è molto pittoresco lo scenario, in effetti.

- Nevicava quando sei partita? - chiese Jocelyne

- No… ma la temperatura e il cielo promettevano bene. Riabituarsi sarà un bel pasticcio!

 

Alzandosi, Russell le si avvicinò e con quella sua voce profonda e sensuale le chiese:

 

- Bevi una cosa, amore?

 

Sophie arrossì per la seconda volta in un lasso di tempo che reputò troppo breve. Alzò lo sguardo intimidito e rispose.

 

- Vino. Rosso. Se ce l’hai.

- Certo che ce l’ho.

 

Fece per allontanarsi, poi tornò sui suoi passi.

 

- Sei sicura di non volere una birra? Fa un caldo…

 

Sophie gli sorrise.

 

- Sono sicura.

 

Russell tornò con qualche bicchiere e una bottiglia di rosso appena aperta. Ne versò un po’ in un bicchiere che porse a Sophie, lei lo prese in mano dopo essersi accesa una sigaretta.

 

- Oh benedetta ragazza! Anche tu con quel vizio? - fece Jocelyne alzando gli occhi al cielo.

- Sì, signora… Dovrò trovare un modo per smettere uno di questi giorni.

- Con Russell ho perso le speranze… sembra ne faccia un motivo di vanto!

- Mamma… ti prego.

 

Il modo dolce e cauto di Russell, non lasciava comunque ammettere repliche. Sua madre cambiò subito discorso.

 

- Quanto ti fermi qui?

- Abbastanza per venirci a trovare ancora - Russell anticipò la risposta di Sophie - Non è vero?

- Tre settimane probabilmente.

- Ma adesso andiamo a vedere i cavalli, vieni Sophie?

 

Russell trascinò via la ragazza senza aspettare una replica da nessuno. Jocelyne guardò Alex, il marito, uno sguardo che diceva tutto.

 

- Pensi anche tu quello che penso io?

- Eh sì donna… credo proprio di sì.

- Prevedo guai… Lei ha telefonato.

- Cercava di lui?

- Dice che dopo il suo rientro, lei lo era andata a prendere in aeroporto, lui non si è fatto più vivo.

- Grossi, guai.

 

 

Capitolo IV

 

- Vieni! Vieni più vicino. - fece Russell con un sorriso.

- So che sono bestie mansuete ma… sono così grandi. Mi mettono un po’ di timore.

- Non aver paura, vieni. Vieni qui.

 

Russell la spinse vicino ad uno dei cavalli, un baio con un’aria dolce. Si fece vicino, lei sentì il suo profumo di salsedine e quello dei vestiti. Alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri, due fessure per ripararsi dalla luce, la guardavano con immensa tenerezza. La prese in braccio con la stessa facilità con cui avrebbe sollevato un quotidiano e l’aiutò a salire sul cavallo.

 

- Oddio! No, mettimi giù!! Russell ti prego, fammi scendere, ho paura!

- Non c’è nulla di cui aver paura… stai tranquilla, sennò agiti anche il cavallo.

 

Prese le redini in mano e fece schioccare la lingua tre o quattro volte, molto rapidamente. Il cavallo mosse dei cauti passi.

 

- Numi dell’olimpo… come si sta alti…

- Ti piace? - chiese Russell.

 

Sophie accarezzava la testa del cavallo.

 

- E’ bellissimo…

- Non potevi non provare.

 

Nel frattempo, a casa, lo scambio di perplessità tra mamma e papà Crowe continuava.

 

- Ma tu glielo hai detto di Danielle? - chiese Alex.

- Certo! - rispose Jocelyne.

- Cos’ha risposto?

- Niente di particolare. Ha detto che l’avrebbe richiamata.

 

Jocelyne fece una pausa. Guardò suo marito con occhi curiosi.

 

- Ti piace?

- Chi, quella ragazza?

- Sì…

 

Suo marito guardò l’orizzonte. Intravide suo figlio con la ragazza, lui con le briglie in mano lei, un equilibrio precario sul dorso del cavallo, che ridevano, come se non avessero un solo problema al mondo.

 

- E’ carina.

- Non dico esteticamente.

- Lo so che intendi, Jocelyne… Sì, mi piace. E’ educata, semplice, non invadente. Però… vivace al punto giusto.

- Esattamente quello che penso anch’io.

- E allora?

- Niente… - sospirò Jocelyne - Niente.

- Jocelyne, è sposato, che diamine. Se deve fare le cose che le faccia bene almeno per una volta nella vita.

- Non avrebbe dovuto sposarsi e lo sai meglio di me.

- Non sono d’accordo. L’amava quando si sono sposati.

- Le cose cambiano.

- Tra noi non lo sono.

- Noi siamo diversi. E fortunati. Quel mio ragazzo… non trova pace.

- Beh… staremo a vedere che succede. Ma per favore, Jocelyne, non metterci il carico. Se deve fare delle scelte non asfissiarlo. E’ un uomo, maturo o meno che sia, e deve arrangiarsi da solo.

- Come se avesse mai seguito uno dei miei consigli…

- Lascialo fare.

 

Sophie si sentì tutt’un tratto stremata dalla paura.

 

- Russell ti prego, fammi scendere da qui… non mi sento sicura.

- Vieni, fai girare la gamba sopra il dorso… cooosì! Vieni, ti prendo in braccio.

 

Di nuovo, per scendere da cavallo, il suo corpo si strusciò addosso a quello di lui. Ora lui era più accaldato di prima, l’odore della birra e delle sigarette si sentiva anche standogli soltanto molto vicino. Non riusciva ad associare questo Russell con quello della toilette dell’aereo, così come non riusciva a trovare la se stessa dell’aereo, tutto sembrava così… piacevolmente diverso. Lui così vicino, la guardò ancora con quella tenera dolcezza della quale lei pensava non fosse capace, si avvicinò ancora di più e le baciò le labbra, tenendola stretta per la vita in modo che aderisse perfettamente a tutto il suo corpo. Serrava e socchiudeva appena le labbra, toccando quelle di lei con tanti piccoli dolcissimi baci. La bocca di lei era morbida e sapeva di vino, anche lei aveva un lieve odore di salsedine. Si staccò da lei e la guardò con un sorriso.

 

- Bisogna che impari… - bisbigliò.

- A far che? - chiese lei.

- A cavalcare. I miei amici sanno tutti andare a cavallo. E… la mia donna deve saper andare a cavallo.

 

Ancora quel potente disagio s’impossessò di lei prepotentemente. Si allontanò da lui, in modo leggermente brusco.

 

- C’è tempo, non credi? - replicò, con finta indifferenza.

- Può darsi. Ma non vorrei aspettare troppo. Torniamo in veranda?

- Volentieri. Mi è venuta sete.

 

Quella sera, la cena scorse via piacevolissima e calda. La compagnia era fantastica, Sophie riuscì a dimenticare, sebbene per poco tempo, il suo dolore, la sua rabbia il suo odio. Russell era un uomo straordinario, bizzarro, ma sempre con la situazione in pugno, un vero e proprio lupo alfa. I suoi genitori e suo fratello erano persone amabilissime, le persone che aiutavano al ranch gentili e disponibili. Ad un tratto squillò il telefono. Jocelyne guardò prima suo marito, poi Russell.

 

- Credo sia meglio che tu vada a rispondere, tesoro.

 

Russell si alzò e prese il ricevitore nell’altra stanza. Quando sua madre lo raggiunse, cinque minuti dopo, il tono della voce di suo figlio non lasciava spazio a dubbi: stava litigando con sua moglie. Qualche imprecazione, poi Russell chiuse la comunicazione. Sua madre lo guardò.

 

- Che succede?

- Niente.

- Posso chiederti una cosa?

- No.

- Cosa provi per questa ragazza?

 

Russell la guardò, gli occhi chiari così trasparenti da poterci leggere dentro. Non aveva bisogno di una risposta.

 

- Se ti piace, - continuò - allora fa’ quello che devi. Ma fallo bene.

 

Suo figlio, la guardò, come in cerca di aiuto.

 

- No, non mi piace. Credo… di esserne innamorato.

- Fallo bene. - ripetè sua madre.

- Ho preparato la stanza degli ospiti - continuò.

- Non servirà. Dormirà con me nel trailer.

- Sicuro che a lei vada bene?

- Torniamo dagli altri, ma’… ti va?

 

La serata volse al termine di lì a poco e Sophie lo guardò con aria interrogativa.

 

- Devo tornare… speriamo bene, ho bevuto un po’ troppo.

- Ti fermerai a dormire qui.

- Non credo sia il caso. Ci sono i tuoi, non vorrei disturbare.

- Nessun disturbo, dormirai con me nel trailer.

 

Sophie ammutolì.

 

- Quale trailer?

- Quello che non ho smantellato da quando hanno fatto i lavori di ampliamento e ristrutturazione della casa. Vieni?

 

Sophie lo seguì docilmente. Entrarono in una roulotte, che sembrava una di quelle degli artisti del circo. Dentro era bella, spaziosa ma invasa da una miriade di oggetti che la ingombravano irrimediabilmente. Contro una delle pareti un inequivocabile letto matrimoniale. Lui si tolse la camicia “plaid” che portava aperta su di una t-shirt bianca. Si avvicinò e portò le labbra vicinissime al suo orecchio.

 

- Sentirai la meraviglia del silenzio di questo posto, interrotto soltanto dal rumore delle cicale che smettono verso mezzanotte…

 

Sophie si sentì gelare. Alzò lo sguardo verso di lui, la luna piena la cui luce inondava il trailer, che gli illuminava appena gli occhi chiari. Avrebbe desiderato vivere il resto della sua vita in quella roulotte, ma aveva parzialmente sentito la telefonata. Sua moglie doveva essere infuriata e lui aveva detto cose orribili in modo orribile. Ora però era lì con lei…

 

- Russell… - mormorò Sophie.

- Ehi... - rispose lui.

- Tienimi stretta…

 

Russell l’abbracciò. La baciò sul collo, cosa che le diede dei brividi impareggiabili. Si staccò da lei, si tolse la t-shirt e Sophie guardò il suo torace largo e protettivo. La spinse dolcemente verso il letto, e cominciò a spogliarla. Sophie lo aiutava, cercando anche di slacciargli i jeans. Furono nudi in un secondo, Russell si fermò un momento a guardarla negli occhi. Il sangue di Sophie divenne di vetro, e il secondo successivo iniziò a bollire. I baci di Russell si fecero sempre più languidi per poi diventare quelli famelici dell’amante appassionato. La pelle di lui profumava di salsedine e di sole, quando lei gli dischiuse i misteri della sua femminilità trovò un uomo dolcemente irruento, generoso e attento. Gli rimase aggrappata con tutta se stessa, nella speranza che fosse per sempre, in un inevitabile doloroso confronto col suo passato. Non c’era paragone… la dolcezza di quell’uomo, alla pari del suo vigore e della sua mascolinità non concedevano ai suoi ricordi il benché minimo margine di salvezza. Riteneva di aver conosciuto degli uomini che pur dall’alto della loro stronzaggine erano stati degli ottimi, lei credeva, insuperabili amanti. Ma quest’uomo li batteva tutti. Il movimento cadenzato dei suoi fianchi, quando non affondava la bocca nel collo di lei, era di tanto in tanto interrotto da qualche gemito lieve, secco; lui ogni tanto chiudeva gli occhi e la stringeva progressivamente mentre sentiva le sue mani aggrappate alla sua schiena, le sue unghie che gli grattavano la pelle. Gli piaceva che le sue mani scendessero nell’incavo della sua schiena fino alle natiche, incitando il suo movimento, gli piaceva il suo profumo, gli piaceva il modo in cui quella donna era coinvolta in quell’amplesso. In quella toilette era stato un’idiota, non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare quanto sarebbe stato dolce e travolgente fare l’amore con lei. Dopo che lei si fu abbandonata a prendere tutto quello che il piacere poteva donarle, gli accarezzò i capelli, e lo guardò, invitandolo dolcemente a fare altrettanto. Lui ammutolì e aumentando lievemente il ritmo si lasciò andare dopo poco, gemendo sottovoce vicino al suo orecchio. Rimase immobile, la bocca vicino al collo di lei, sudato e stanco, la fronte appoggiata al cuscino. Ansimava leggermente, lei poteva sentire il suo petto che la pressava e l’alleggeriva ritmicamente seguendo il respiro affannato che gradualmente tornava alla normalità.

 

- Ti peso…? - mormorò Russell dopo un po’.

- Per niente.

- Sophie… - sussurrò ancora.

- Che c’è?

- Dove sei stata tutti questi anni?

 

Sophie gli lasciò un lieve bacio sulla guancia.

 

- Shhh… - fece piano - Non dire nulla… fammi sentire il silenzio della notte interrotto dal canto delle cicale… e dal tuo respiro.

 

Rimasero abbracciati ancora un poco, poi lui uscì da lei e si sdraiò sulla schiena. Lei, sofferente da qualche anno di mal di schiena, si girò su un fianco, guardando il suo profilo contro la penombra. Persino il naso era bello, non ci aveva mai fatto caso. Lui allungò una mano sul davanzale della finestra dietro il letto, prese due sigarette, le accese entrambe poi ne passò una a Sophie. Si mise un portacenere sul diaframma, poi piegò un braccio sotto il capo per sorreggerselo.

 

- Questo trailer è un ottimo rifugio. E’ l’unico vero posto dove posso stare per conto mio. Pensa! Dopo tanti anni di lavoro, dopo tanti… bei cachet milionari, eccomi qui, a trovare la mia intimità in una roulotte! - rise di gusto in modo un po’ scemo.

- Comprati una casa dove non portare nessuno….

- Non è questo il punto. E’ che… questo posto è mio ed è qui a Nana Glen. Anche se nel ranch un’ala è mia… non so. Qui posso segregarmi come Dio comanda.

- Allora goditi i cachet milionari… e l’intimità del tuo trailer!

- Non sarà mai più lo stesso… - si voltò a guardarla. - Ora che ci sono stato con te.

 

Rimasero un po’ in silenzio. Lui, fumatore più accanito, spense la sigaretta tutta consumata quasi subito, lei, la sigaretta tra le dita, aveva la mano appoggiata al suo ventre.

 

- Una volta devi portarmi nelle tue montagne… - riprese lui - sono curioso, non sono mai stato da quelle parti.

 

Sophie non rispose.

 

- Che c’è, - chiese lui ancora - non mi ci vuoi portare?

 

Sophie continuò a non rispondere. Lui si voltò e la vide addormentata, il respiro delicato e regolare. Le prese la sigaretta dalle dita e la spense, poi mise via il portacenere e la baciò sulla fronte.

 

- Buonanotte anche a te.

 

La guardò nella penombra, i capelli scarmigliati, il corpo che aveva dialogato col suo fino ad una mezz’ora prima, abbandonato all’abbraccio del sonno. Si sentiva bene, ancora un volta al sicuro, come se nulla di brutto sarebbe potuto accadergli se lei avesse accettato di essere sua. Le guardò ancora il viso.

 

- Ti amo, Sophie - mormorò.

 

Chiuse gli occhi e si abbandonò anch’egli al sonno.

 

Capitolo V

 

 

La luce del sole filtrò da dietro le veneziane della finestra dietro il letto. Sophie aprì gli occhi. Nonostante la posizione il letto le aveva ammazzato la schiena. Fece la gobba come i gatti, poi si stiracchiò cercando di rigenerare la spina dorsale. Si liberò dolcemente dell’abbraccio di Russell e si mise a sedere sul letto. Si guardò attorno. Una roulotte. Dove c’era un casino inenarrabile. Scatoloni con dentro chissà mai cosa, libri e copioni in giro su un tavolino, una cassetta di lattine di birra, qualche lattina vuota in giro, delle foto attaccate al muro con dello scotch. E poi, un paio di camicie stropicciate buttate su di una sedia incastrata a forza sotto il tavolino, un portacenere pieno all’inverosimile, un altro sulla sporgenza della finestra dietro il letto. Attraverso i vetri si vedeva a malapena. C’era un piccolo frigorifero, Sophie si alzò lo raggiunse e l’aprì. Altre lattine di birra, una bottiglia di latte scaduto sei mesi prima. Una mela. Gesù, sembrava la casa di uno scapolo. Era questo che Russell voleva essere? Non si spiegava quel rifugio, quello stereotipo. Quando aveva sposato Danielle, l’amava. Cosa si era incrinato, cosa era andato perduto, cosa gli faceva preferire stare in una roulotte sudicia e incasinata? Lei sapeva bene che le coppie si sfasciano per colpa di due persone e non per una soltanto. Cosa aveva fatto o non fatto lei che a lui non era andato bene, come e cosa era cambiato in lui così tanto da farlo fuggire da quella donna amata in gioventù e alla quale tutto sommato era rimasto legato per tutta la vita, seppur tra una avventura e l’altra? Forse era diventato un uomo. Forse l’avvicinarsi così rapido della soglia dei quarant’anni lo spaventava, forse cercava qualcosa che sentiva, sapeva che lei non poteva dargli. Chissà che voleva. Tranquillità? Sicurezza? Dei figli? O la libertà di poter continuare a fare i comodi suoi come e quando meglio gli pareva? Aveva la sensazione che non sarebbe mai riuscita a saperlo. Ecco che nuovamente si sentiva a disagio, ancora una volta, dopo aver fatto l’amore con un uomo aveva quella spiacevole sensazione di aver tradito il suo antico compagno, quello che così profondamente l’aveva ferita. Non apparteneva a quella realtà, il suo posto era in un monolocale ammobiliato dall’altra parte del mondo, unici compagni di “viaggio”, del viaggio della sua vita erano la tristezza, la rabbia, l’odio. Non aveva tempo per l’amore, non aveva tempo per rischiare di trovarlo. Soprattutto non aveva il coraggio e il tempo di rischiare di perderlo. Doveva tornare alla sua realtà e presto, altrimenti si sarebbe fatta coinvolgere e sarebbe stato molto più difficile tornare indietro. “Smetti di prenderti in giro, Sophie… Non sarà mai tuo, non può, non potrà mai essere tuo. Sveglia, e torna a far crescere quel livore che tanto brava sei stata a coltivare”. Tornò verso il letto, si mise qualcosa addosso, poi si sedette sulla sponda e guardò Russell che continuava a dormire, il respiro leggero e regolare, il viso disteso. Il lenzuolo lo copriva a malapena dall’inguine in giù. Era “gibboso” anche nel relax del sonno, le spalle arrotondate dai muscoli che le fasciavano, i bicipiti e gli avambracci torniti, questi coperti da una non troppo pronunciata peluria. L’addome non era piatto e a “tartaruga” ma era tonico e tutto il busto risultava massiccio e ben costruito. Sorrise tra sé, quando alzò il lenzuolo per guardare tutto il resto che c’era sotto. Aveva anche delle belle gambe. Robuste, muscolose quanto bastava. E il resto… beh, a riposo, ma… Madre Natura o mamma Jocelyne, lo aveva bene ben dotato. Lo ricoprì, si sentì leggermente in colpa a osservarlo così morbosamente mentre dormiva. Tornò verso il viso, parzialmente coperto dalla barba. Non le erano mai piaciuti particolarmente gli uomini con la barba. In alcuni trovava molto sexy il pizzetto, ma quasi mai la barba intera. Russell stava meglio con la barba che rasato. Che curiosa eccezione. I capelli arruffati gli cadevano ovunque, i riflessi color miele gli addolcivano il volto che poteva diventare duro e impenetrabile. Il naso perfetto, quasi troppo delicato per un uomo e le labbra, quelle sicuramente troppo delicate per un uomo, appena socchiuse, Sophie avrebbe potuto adorare ogni millimetro cubo di quell’uomo, con ogni sua singola cellula. Ma non poteva, non voleva. Russell aprì gli occhi, li strizzò, li sbattè investiti da un raggio di sole.

 

- Ehi… - mormorò - Già sveglia?

- Il tuo materasso mi ha demolito la schiena. E poi devo partire.

 

Russell si strofinò la faccia. Si stirò come un gatto poi si tirò su puntandosi sui gomiti.

 

- Di già… che ore sono?

- Non so. Dev’essere presto comunque. Il sole non è sorto da molto.

- Perché scappi? Aspetta…

 

Sophie si alzò rapidamente, troppo denso e consistente il timore di non riuscire più ad andar via da quel posto.

 

- Magari… ci sentiamo, ok?

- Tanto so dove trovarti. Ricordatelo.

- Sì. Lo so.

 

Sophie finì di vestirsi di corsa, poi uscì dal trailer, risalì sulla moto e partì a gran velocità. Durante tutto il tragitto non fece che pensare ancora a quello che le era venuto alla mente mentre era nel trailer. In più giunse ad una conclusione. Non avrebbe mai dovuto entrare nella vita di quell’uomo, non avrebbe mai dovuto permettergli di entrare nella sua. Era votata a qualcos’altro, doveva pagare un prezzo non ancora completato. Quando giunse a metà pomeriggio al suo albergo si sentì meglio, più al sicuro. Scese dalla moto, le diede una lunga occhiata. Un Ducati. Bella, lucente, una moto italiana. Non avrebbe potuto desiderare di meglio. Salì in camera, posò lo zaino, si spogliò lasciando i vestiti in giro dappertutto. Poi si sedette al tavolino, estrasse un foglio di carta da lettera e scrisse qualcosa. Poi entrò nel bagno e cominciò a far scorrere l’acqua nella vasca.

 

Russell s’infilò i pantaloni poi cercò la maglietta. Sotto di essa trovò la bandana di Sophie. La prese tra le mani e sorrise quando se la premette contro il naso, annusando a fondo il profumo del quale era impregnata. Era lo stesso che era sul collo di Sophie, sul suo decolté, sul suo seno. Raccattò la camicia e uscì rapidamente dal trailer. Prese un’altra auto (il pick up era rimasto a Sydney, avrebbe dovuto trovare un modo per andarlo a riprendere) e percorse la strada verso Sydney a gran velocità. Dall’auto chiamò sua madre.

 

- Ehi ma’…

- Russell! Che c’è?

- Sto andando da Sophie, sono uscito verso ora di pranzo e... beh, insomma volevo avvisarti.

- Hai fatto bene… stavo per venire a chiedervi se volevate la colazione o il pranzo… Ma Sophie è già andata via?

- Sì, sì… aveva da fare.

- Tutto bene figliolo?

- Sì ma’… senti io…

- Cosa?

- Io vorrei sposarla.

- Non devi fare qualcos’altro prima?

- Sì, ma poi voglio sposarla.

- Non ti ho mai visto così, Russell.

- Lo so, ma’.

 

Jocelyne sorrise al telefono.

 

- Fa’ quel che devi, figliolo. Che Dio ti benedica.

 

Russell riattaccò. Quando giunse a Sydney era tardo pomeriggio. Per fortuna… era giusto in orario, poco prima che i negozi chiudessero. Entrò nella prima profumeria che trovò e suscitò la solita sorpresa quando si appropinquò al bancone e venne avvicinato da una commessa.

 

- Buonasera… Signor Crowe, posso aiutarla?

 

Russel tirò fuori la bandana.

 

- Sì. Saprebbe dirmi che profumo è questo?

 

La commessa annusò il fazzoletto.

 

- Certo signore. E’ un profumo di Chanel, si chiama Coco Mademoiselle.

- Ne vorrei una bottiglia per favore.

- Da 50 ml, spray va bene? Eau de parfum?

- Perfetto.

 

Russell pagò poi usci rapidamente dal negozio. Raggiunse il DeVere più in fretta che potè, rallentato dal traffico dell’ora di punta. Quando arrivò all’albergo, era in preda ad una smania irrefrenabile, non vedeva l’ora di parlare con Sophie e dirle tutto quello che provava per lei, tutto quello che era riuscita in quattro giorni a risvegliare in lui, che non voleva più trascorrere un solo minuto della sua vita senza di lei. Di fronte all’albergo fu sorpreso di trovare numerose macchine della polizia, i lampeggianti che gettavano riflessi drammatici sulla facciata fino ai primi due piani. Chiuse la macchina e un po’ stranito si avviò verso la reception.

 

- Sophie Scotti. Può per favore dirle che sono qua?

 

La receptionist lo guardò un po’ stravolta. Ci impiegò qualche minuto a realizzare chi aveva davanti e cosa avrebbe dovuto rispondergli.

 

- Mi… dispiace, Signor Crowe… - la ragazza si commosse, Russell notò che gli occhi le divennero lucidi.

- Cosa c’è?

 

Una voce dal fondo della hall lo chiamò.

 

- Signor Crowe? Russell Crowe?

 

Un agente di polizia gli si fece incontro.

 

- Che c’è, che cazzo c’è?? Che succede??

- Venga con me, per favore.

 

Russell, più incredulo che arrabbiato si fece condurre al settimo piano dov’era la stanza di Sophie. Un drappello di persone, per lo più agenti, si trovava di fronte alla porta aperta di una stanza. Un uomo in borghese si fece incontro ai due.

 

- Grazie, Grant, può andare. Signor Crowe, lei conosceva una certa Sophie Scotti?

- Sì, certo la conosco! Si può sapere che cazzo s-… ‘Conoscevo’?

- La prego, mi segua.

 

Il tenente di polizia lo condusse nella stanza. Nel piccolo ingresso si fermò e gli porse un foglio di carta da lettera in un sacchetto di plastica.

 

- La… signorina Scotti si è tolta la vita due ore fa. Questa è indirizzata a lei.

 

Russell sbiancò. Sentì una tremenda botta di nausea salirgli dallo stomaco, le gambe gli divennero molli. Con un filo di voce, chiese:

 

- Cos’è successo… cosa ha fatto?

- Si è tagliata le vene con una lametta da barba.

 

Russell deglutì, gli occhi iniziarono a diventargli umidi.

 

- Dov’è? Vorrei vederla.

- Signore io non credo che…

- Voglio vederla!! - urlò.

 

Il tenente serrò la mascella.

 

- Va bene. Ma tenga presente che… non è uno dei set su cui lavora lei. Non sono mai belle scene.

 

Russell deglutì ancora, mentre diventava sempre più pallido. Entrò nel bagno dove un coroner stava facendo delle foto e un altro poliziotto stava rilevando delle prove. Gli sembrò di percorrere un corridoio lungo chilometri, i suoni gli giungevano da lontano mentre la folla di agenti si apriva per farlo passare. La scena gli si dischiuse lentamente davanti agli occhi. Sophie, bianca e molle, giaceva nella vasca. Il sangue era colato copioso lungo le pareti esterne della vasca e anche nell’acqua che la riempiva. Aveva gli occhi aperti, quasi stupiti di fronte alla morte che finalmente veniva a prenderla, la bocca socchiusa ma un’espressione distesa, come se avesse smesso di soffrire. Russell si chinò sulla vasca. Aveva il viso asciutto, due piccole striature sulle gote, le lacrime che aveva versato e che erano divenute piccole tracce salate e opache, i capelli umidi ancora appiccicati alle tempie. Russell si sentì morire. Gli occhi gli si velarono di lacrime che non riuscì più a trattenere e che versò senza ritegno. I pugni gli si chiusero, chiuse gli occhi, poi li riaprì. Allungò una mano verso il suo viso. Scostò una ciocca di capelli umidi e la portò dietro l’orecchio, appoggiò lievemente il dorso delle dita sulla sua gota. Era già fredda. Iniziò piano a dire “no”, a scuotere la testa, a chiedere “perché l’hai fatto? Dio, perché gliel’hai fatto fare?” e il volume della sua voce crebbe fino a diventare un grido. Singhiozzò come un bambino accovacciato accanto alla vasca e il tenente venne a portarlo via. Pensò anche lui che era strano vedere un uomo di quella stazza, con quell’immagine di supereroe che si era costruito tramite i personaggi che aveva interpretato, buttar fuori tutta la sua disperazione in quel modo. Lo aiutò a sedersi su uno dei due letti nella stanza e lo lasciò momentaneamente da solo. Russell, gli occhi gonfi e ancora pieni di lacrime, lesse la lettera:

 

“Russell,

niente potrà mai eguagliare la gioia che mi ha dato incontrarti. Sei un uomo meraviglioso e non c’è altro da aggiungere. Ma io non posso… darti quello che ti aspetti da me, ormai è stato tutto corrotto dall’odio, dalla rabbia e dalla disperazione e io non riesco a trovare la forza di vincere la paura che provo nei confronti della felicità che potresti darmi, sicuramente nei confronti del rischio di perderla. Odio troppo un altro uomo per riuscire a trovare la capacità di amarne un altro. Non voglio soffrire più così, mai più.

Sophie

 

P.S.: Ho ragione di credere che gli uomini siano tutti uguali. Ma ho altresì ragione di credere che… tu abbia ragione. Tu non sei come tutti gli altri. Tu sei come nessun altro.”

 

Russell chinò il capo sulla lettera. Se la portò alla fronte, le lacrime bagnarono la busta di plastica. Tirò fuori dalla tasca del giubbotto leggero la bandana e la scatoletta con dentro il profumo. Strinse la bandana come se dovesse stritolarla, e sentì allo stesso modo stringerglisi il cuore. Se avesse avuto quell’uomo davanti in quel momento era certo che avrebbe potuto ammazzarlo.

 

Il tenente lo avvicinò.

 

- Amici di vecchia data?

- L’avevo conosciuta in aereo quattro giorni fa.

- Avevate litigato?

- No…

- Nessuno screzio, niente che potesse portarla a compiere un gesto tanto grave?

- No.

- Dov’era lei due ore fa?

- In macchina. Stavo venendo da lei, dalla mia tenuta. Volevo dirle… dirle…

- Cosa?

- Di non partire. Volevo che restasse sempre qui. Con me.

- E’ arrivata presto. Faceva i 220 sull’autostrada, ha persino seminato una pattuglia. In realtà è per questo che siamo venuti qui. In prima battuta, certo. Poi quando abbiamo chiesto di lei e lei non ha risposto… abbiamo chiesto alla direzione dell’albergo, che l’aveva vista rientrare un’ora prima, di aprirci la porta.

- Che succederà ora?

- Credo che una volta parzialmente ricomposta, la salma sarà rimpatriata.

- Posso prendere qualcuna delle sue cose?

- Io non ho sentito…

- Grazie, tenente. Ah, senta…

- Dica.

- E’ necessario farla rientrare in Italia?

- Se ha dei parenti in vita laggiù, sì.

- Le dispiacerebbe se mi occupassi io di questa cosa?

- Non posso proprio, mi dispiace.

 

Russell si strinse le mani nelle mani, le spalle gli divennero piccole.

 

- Per favore…

 

Il tenente lo guardò, ancora una volta stupito nel vedere la metamorfosi di quell’uomo.

 

- Ok… abbiamo trovato dei recapiti telefonici tra le sue cose. Faccia quello che deve fare. Dopo i rilevamenti del caso, anche se credo un’inchiesta non sia necessaria, il corpo sarà portato all’obitorio del distretto. Darò disposizioni perché lei possa… occuparsene dopo.

- Grazie.

 

 

Capitolo VI

 

Poco distante dalla sua roulotte, c’era un grande albero, che gettava una fresca ombra tutt’intorno. Non era molto abituato a sentire quello che diceva un prete cattolico. In verità non ci stava facendo molto caso. Le uniche persone presenti erano i suoi genitori e suoi fratello. Sua madre, più sbigottita che addolorata, lo guardava con grande apprensione. Quando la terra più scura ebbe lasciato una traccia rettangolare sul terreno sotto l’albero, i suoi parenti e il prete si allontanarono. Russell si accosciò e tirò fuori da una tasca la bandana e la scatola del profumo e li appoggiò sulla terra.

 

- Spero solo… ma non credo… che tu stia meglio là dove sei.

 

Si alzò e s’incamminò verso il suo trailer, vi entrò.

 

Suo padre restò a guardare sulla soglia di casa, Jocelyne era al suo fianco.

 

- Dio, Alex, non l’ho mai visto così…

 

Alex fece una strana smorfia.

 

- E’ un uomo molto forte, si riprenderà.

- Come diavolo avrà fatto a… a… innamorarsi in quel modo…

 

Alex la guardò un po’ sorpreso.

 

- Donna..! Evidentemente la ragazza era speciale. Davvero.

 

Russell nel trailer potè sfogare ancora tutte le lacrime che aveva da versare. Appoggiò una mano sul suo casco, nero, lucido. Guardò i suoi occhiali da sole, i vestiti che aveva preso dalla stanza d’albergo e che aveva messo sopra i suoi sulla sedia. Non aveva rifatto il letto da quando Sophie aveva dormito con lui. Non sapeva se essere più arrabbiato o più svuotato, quella storia lo aveva fatto a pezzi. Sei giorni prima era su di un aereo con lei. Non ci poteva credere. Si sdraiò sul letto disfatto, la faccia rivolta verso il suo cuscino, si accovacciò in posizione fetale. La federa mandava ancora il suo profumo. Chiuse gli occhi mentre le lacrime bagnavano il suo cuscino. Lentamente si addormentò. Sognò di lei, sulla spiaggia, sul cavallo, in moto, a cena, nel trailer.

 

Sette giorni più tardi percorreva con una macchina a noleggio una strada che portava dritto verso le montagne. Era una giornata splendida, il cielo di un azzurro intenso contrastava le cime delle montagne spolverate di neve. La valle si stringeva sempre di più, e l’autostrada diventava leggermente più tortuosa man mano che si procedeva verso nord. Riconobbe l’uscita e infilò la rampa. Chiese al casellante dove trovare l’indirizzo che aveva segnato su di un foglietto. Percorse ancora poche centinaia di metri e giunse ad una casa vecchia ma completamente ristrutturata, di fianco alla piazza della chiesa. Entrò nell’appartamento con le chiavi. Il mobilio era nuovo, semplice chiaro, un poster con la sua immagine vestito da antico romano sulla sinistra, sotto il vetro c’era anche una sua foto con uno scarabocchio che somigliava solo lontanamente ad un suo autografo. Il computer sul mobile basso sotto la finestra era acceso, lo screen saver proponeva soltanto immagini sue. Chiuse la porta e si accorse che dietro c’era appeso un calendario con la sua faccia. Trovò un portacenere colmo di cicche di sigarette, notò il telo sul divano stropicciato come se ci fosse stato seduto qualcuno fino a due minuti prima. Entrò nella camera da letto sulla destra, il letto era disfatto proprio come il suo nel trailer, sembrava che Sophie dovesse rientrare in quella casa da un momento all’altro. Tornando nel soggiorno, notò una bottiglia di vino aperta sul mobile e una di whiskey sul tavolo, di fianco un bicchiere usato. Entrò nel bagno e aprì la finestra. Da lì si godeva del panorama più incantevole, la piazza della chiesa, che sembrava un presepe e il corollario delle montagne innevate dietro. L’aria sapeva di pulito. Chiuse gli occhi e lasciò che l’immagine gli rimanesse così impressa e per sempre nella memoria.

 

Sei mesi dopo, Jocelyne vide un familiare polverone alzarsi dalla strada sterrata che portava al ranch.

 

- Alex! E’ arrivato Russell!

 

Aprì la porta.

 

- Ehi! Tutto bene?

 

Russell scese dal pick up e salutò da lontano sua madre. Jocelyne lo vide avviarsi verso l’albero sotto il quale giaceva Sophie. Lo vide mettere un mazzo di fiori sulla terra che ormai era stata coperta dal prato, una piccola pietra tombale, con soltanto il suo nome, segnava il punto dov’era sepolta e accanto ad essa la bandana, ormai scolorita e il pacchetto del profumo, dal cartoncino quasi completamente marcito. Vide che si accovacciava e mormorava qualcosa, poteva dedurlo dal fatto che scuoteva il capo come se stesse parlando con qualcuno. Poi Russell si alzò e a grandi passi si avviò verso la casa, incontro a sua madre, salutandola con un sorriso amaro.

FINE

[4] Amica


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