Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  “Segretarie” - prima parte (leggi la seconda parte qui)
autrice: Isabella Franzolini - per leggere le altre storie scritte da Isabella, consulta l'elenco delle fanfiction
e-mail: ifranzolini@yahoo.com
data di edizione: 27 aprile 2003
argomento della storia: Vita in ufficio
riassunto breve: Tre colleghe d’ufficio in una grazie società d’ingegneria vivono la loro quotidianità tra scartoffie e vite private differenti; per una di loro il lavoro riserverà una… strana sorpresa.
lettura vietata ai minori di anni: 18
note:  Bentrovate! Ecco il mio uovo di Pasqua per tutte voi. La caratteristica secondo me interessante di questa novella è che i personaggi sono tutti frutto della mia fantasia, ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. A parte, naturalmente il protagonista, che ricorda volutamente una persona che noi tutte conosciamo bene… Buona lettura e buona Pasqua! Isa

Segretarie

Capitolo I

La cupa luce azzurrina dell’inverno avvolgeva gli uffici al 14 piano della palazzina a Union Square. San Francisco era ancora immersa in una leggera foschia, la sirena non aveva però ancora suonato. Alle cinque del mattino la città cominciava appena a svegliarsi. L’aria sapeva di buono, nonostante l’inquinamento, il Golden Gate si ergeva con maestosa prepotenza sui sui pilastri di ferro dipinti di rosso, i gabbiani urlavano sul porto. 

Deirdre, la faccia schiacciata nel cuscino, aprì un occhio. Cercò di guardare attraverso un ciuffo di capelli biondi fuori dalla finestra. Aveva chiuso male le pesanti tende blu la sera prima e un pezzo di città faceva capolino cercando di svegliarla col suo fascino. Niente da fare, non si sarebbe schiodata dal letto per tutto l’oro del mondo. Si girò dall’altra parte, facendo di tutto per ignorare la mattina che sopraggiungeva prepotente a destarla.

Charlize, detta Hollywood, stava inseguendo Cameron nel corridoio.

- Cameron, piantala di correre in giro per tutta la casa! Scendi a fare colazione, sei già in ritardo, poi vai in bagno: papà ti accompagna a scuola!
- Non ho voglia di andarci oggi!
- Cameron, per l’amor di dio!! Non farmi perdere la pazienza di lunedì! Roger, ti prego, digli qualcosa…

Roger, diede un’occhiata distratta a suo figlio di sette anni.

- Cameron, da’ retta a tua madre.

In realtà non alzò neppure lo sguardo dal giornale nel quale il suo naso stava effettuando da una decina di minuti una concentratissima apnea.

Lou Anne diede una lunga, liscia carezza alla sua gatta. Semiramide. Come le era venuto in mente di chiamarla in quel modo… La fondatrice di Babilonia. Una splendida cincillà, ovvero una persiana col pelo bianco e la radice scura e due occhioni di smeraldo. La gatta stirò la testa verso l’alto e chiuse gli occhi, restituendo la sensazione di approvare in pieno quel gesto. Scese dal letto, ronfando si strofinò intorno alle sue caviglie e prese la strada verso la cucina, voltandosi indietro come per chiamarla. Lou Anne la seguì, buttandosi sulle spalle la vestaglia.

Deirdre uscì dal portone seminando diversi oggetti che tracimavano dalla sua borsetta, salutò distrattamente il portinaio e salì trafelata sulla sua auto. “Numi dell’olimpo… riuscirei ad essere in ritardo anche per la fine del mondo!”. Mentre metteva in moto Lou Anne la chiamò.

- Dove sei?
- Dove vuoi che sia… sono ancora a casa naturalmente. Ma sono in auto, sto mettendo in moto.
- Fantastico… soltanto un quarto d’ora di ritardo… Vuoi che chiami io Charlize?
- Sarà meglio.

L’auto si fermò davanti al portone dell’elegante palazzo dove viveva Hollywood. Lou Anne scrutò la sua espressione incarognita.

- Preparati, Deirdre… E’ lunedì e siamo in ritardo… E dalla tonalità di grigio del suo volto dev’essersi anche incacchiata con Cameron o con suo marito.
- Continuiamo così… chi più ne ha, più ne metta…

Lou Anne saltò fuori dalla macchina e ribaltò il sedile per salire dietro. Hollywood salì, facendo fede al suo soprannome. Una stupenda massa di capelli rossi (naturali, soltanto un po’ incoraggiati con dell’hennè), un trucco perfetto, una dose forse troppo abbondante di profumo francese, una linea impeccabile sottolineata da una bella tuta di crespo di lana nera sulla quale indossava una giacca a sette ottavi e un cappotto, il tutto in nero. Manicure accuratissima, soltanto due anelli oltre alla fede nuziale, ma dal peso e dal costo che soltanto un marito dirigente di un’azienda di brokeraggio poteva permettersi. Deirdre non aveva ancora inserito la marcia che Charlize iniziò a lamentarsi.

- Vorrei sapere perché dobbiamo continuare a prenderci in giro con questa farsa delle sette e mezza. Tanto varrebbe dire che ci vediamo alle otto, così non sono costretta a beccarmi mezz’ora di freddo e nelle giornate di nebbia a rovinarmi 20 dollari di messa in piega.
- Scusa, Charlize, - fece Deirdre – ma non ho sentito la sveglia.
- Facciamo che come al solito non aveva voglia di alzarsi… - precisò Lou Anne. Sottolineò la cosa facendo dardeggiare i suoi chiari occhi verdi, immensi nel viso scarno, incorniciato dai capelli scuri dal taglio non meglio definito, che li faceva sembrare un casco di spinaci.
- Ok, la settimana prossima una di voi due prende la macchina e organizza il giro. Niente critiche costruttive, niente lamentele, va bene, Vostri Onori?!

Charlize continuò a borbottare come una pentola di fagioli, Deirdre continuò ad ignorarla facendo finta di prestare attenzione alla guida e Lou Anne cercò tra un rimbrotto e l’altro di raccontare l’entusiasmante seminario di yoga a cui aveva partecipato quel fine settimana; dopo una ventina di minuti si trovarono di fronte al portone della Union Carlyle, Lou Anne e Charlize scesero in fretta mentre Deirdre entrava nel silo adiacente al palazzo per parcheggiare l’auto. Si ritrovarono al quattordicesimo piano, ufficio clienti. Entrarono nel bagno.

- Didi, cominci oggi anche tu? Nuovo cliente?
- Già… - rispose estraendo una bustina con quattro cosucce per il suo semplice trucco – Pensa, australiani.
- Ma dai… - commentò Hollywood, incipriandosi inutilmente il naso.
- Già incontrati? – chiese ancora Lou Anne, masticando parole e lo spazzolino da denti.
- Ma non te li lavi a casa? – domandò Deirdre.
- Sì, ma meglio dargli una ripassatina.
- Fanatica… - commentò ancora Hollywood, abbondando con la dose di mascara.
- Dove fanno l’impianto?
- Zona industriale di Sydney, un chimico. – Deirdre si diede una spazzolata ai capelli che ricaddero lisci e artisticamente spettinati sugli occhi.
- Chi paga il caffè? Vado a posare la borsa. – Hollywood uscì come un tifone, lasciando dietro di sé una scia intensa di profumo.

Deirdre guardò la porta del bagno con una certa perplessità.

- Non ti sembra esagerato che si curi ancora così dopo tanti anni di matrimonio e un figlio? Ormai l’ha accalappiato, dico io.
- Questo è il tuo errore. Sei una di quelle donne vecchia maniera che pensano che, una volta sposatasi, una debba attaccare al chiodo pennello e cipria e ridursi come una casalinga del Nebraska… Non pensi che a suo marito faccia piacere vederla così?
- Sì, - fece Deirdre – ma fa molto piacere anche a tutto il commerciale e soprattutto agli uffici tecnici.
- Fatti loro. L’importante è che siano contenti loro due… Anzi loro tre. Andiamo… se la facciamo aspettare anche alla macchina del caffè diventerà insopportabile stasera.

La disposizione delle scrivanie delle tre giovani donne risultava piuttosto privilegiata per le loro chiacchiere e perdite di tempo. Erano una di fianco all’altra e gli uffici dei loro clienti correvano lungo i due corridoi perimetrali. I clienti di Deirdre erano stati creati nel mezzo, tre box, uno un po’ più grande per il manager, il secondo per il commerciale e il terzo con due scrivanie per i due ingegneri. Deirdre camminò lungo gli uffici dei suoi clienti, guardando dentro di essi ed osservando i nomi attaccati alle pareti esterne, di fianco alle porte.

“Cochran… Billy Dean. David Cullen…. Fletcher Morris… e il capo, Stewart Cowan. Bah. Speriamo bene.”

Tornò alla scrivania. Alla sua sinistra Lou Anne, mentre sorseggiava il caffè, faceva una catenella con le graffette.

- Hai visto che lavoro? Si vede che c’è tanto da fare, non sanno più dove metterli… speriamo che i nostri non si lamentino – disse Charlize, strappando due foglietti dal calendario da tavolo e gettando un’occhiata sensuale a Clooney che occhieggiava da quello al muro dietro al suo tavolo.
- Se devono lamentarsi che lo facciano domani… Oggi non sono proprio in vena di sentire storie. Ho un’emicrania… - Deirdre, scura in volto, si ritoccava la french manicure con la scolorina. A poco a poco, uno dopo l’altro, i clienti di Charlize e Lou Anne arrivarono e salutarono solari e spiritosi le loro segretarie, chiedendo del loro fine settimana e facendo un resoconto delle proprie gite a Santa Monica o a Phoenix.

Robinson, il principale delle tre giovani percorse il corridoio fino a giungere di fronte alla scrivania di Deirdre, sorprendendola mentre brontolava su un ritocco malriuscito di scolorina sull’anulare destro.

- Doyle, lasci la manicure a momenti più idonei. Questi sono i suoi clienti della Cook Chemicals. Signori, Deirdre Doyle vi seguirà per qualsiasi cosa. Se ci dovessero essere difficoltà non esitate comunque a rivolgervi a me o all’ing. Wilkins, il nostro manager che seguirà il vostro progetto.

Deirdre regalò un piccolo sorriso ai suoi quattro clienti, si alzò pensando una serie di parolacce perché si era acciaccata un’unghia appena ritoccata e li condusse ai loro uffici. Trovò Cochran e Cullen, i due ingegneri, piuttosto spiritosi, molto giovani e disponibili a spiegarle come poter archiviare i disegni che presentavano un curioso metodo di numerazione, Morris un po’ untuoso ma tutto sommato tranquillo e tutto preso dal suo lavoro e… Cowan. Bel tipo. Tarda, molto tarda trentina, capello biondo scuro un po’ lunghetto, gli occhi due fessure verde blu, un fisico da buttafuori più che da ingegnere. Bellissimo naso, bocca troppo dolce, il viso parzialmente celato dalla barba. Il meglio venne quando aprì bocca. A parte una bella fila di denti bianchi, una voce baritonale da far evaporare il sangue.

- Allora signorina Doyle, le dispiace venire nel mio ufficio?
- Certamente, ing. Cowan. Desidera un caffè?
- No lasci perdere. Eventualmente dopo un piccolo briefing, verrò insieme a lei alla macchinetta del caffè.

Deirdre si sedette alla scrivania, con blocco e penna in mano, dalla parte opposta a quella del suo capo. Lui cominciò a sparpagliare le carte sul tavolo restando in piedi in silenzio. Riusciva a sentire l’aria che usciva dal suo naso, e il buon profumo misto a quello di sigaretta arrivò delicato fino a lei. Lo osservò ancora. Non aveva la fede al dito. Curioso. Aveva l’aria di uno accasato, nonostante quell’aria un po’ triste e selvaggia. Forse era fidanzato con qualche broker della City… Negli ultimi anni le donne in borsa erano diventate sempre più numerose e sempre più agguerrite degli uomini. O magari, nonostante quel giorno indossasse un abito di buon taglio grigio antracite con una camicia azzurra ed una bella cravatta grigia argento a disegni jacquard era fidanzato con un’artista alternativa di quelle che organizzavano gallerie con sculture fatti con gli scarti degli elettrodomestici o con quello che trovavano dai robivecchi. Alla fine si sedette, tirandosi su i calzoni per non stropicciarli e sistemandosi i lembi della giacca per lo stesso motivo.

- Dunque, posso chiamarla Deirdre?
- O soltanto Doyle, come preferisce.
- Mh. Curioso. Mai avuta una segretaria che si non facesse chiamare per nome. Allora signorina Doyle…
- No, Doyle, soltanto il cognome. Come preferisce, faccia lei – tagliò corto Deirdre, sottolineando la scarsa importanza dell’argomento con un gesto della mano.
- Credo proprio che la chiamerò Deirdre. Lo trovo un nome bellissimo. E’ di origine irlandese lei?
- Mia madre era irlandese, mio nonno paterno gallese.
- Capisco. Vorrei che controllasse la mia posta elettronica, che rispondesse dove possibile, che mettesse in ordine il mio archivio oltre a quello comune del progetto, che organizzasse i miei viaggi, le riunioni e che mi desse una mano a trovar casa. Siamo tutti in albergo per ora.
- Ho giusto portato l’elenco delle agenzie immobiliari a cui ci appoggiamo. Suggerisco Smith & Smith, hanno gli appartamenti più belli in centro e, compatibilmente con la zona nemmeno tanto cari. Se si può trovare un affitto non caro a San Francisco…
- A Sydney non scherzano, mi creda. Direi di dedicare la prima settimana alla ricerca dell’appartamento.
- Benissimo. Ho carta bianca per prendere gli appuntamenti per visitare le case oppure ha altro da fare ingegnere?
- La prego mi chiami Stewart. Oppure Cowan, soltanto il cognome. E mi dia del tu. Sbaglio o siamo coscritti?

Deirdre arrossì violentemente.

- Non saprei… Ho trentasei anni e lei?
- Ne compio 39 ad aprile.
- Toro… - mormorò Deirdre.
- Come dice?
- Niente, niente. Benissimo, se il nostro briefing è terminato andrei a fare le prime telefonate. – fece per alzarsi.
- Le va un caffè quando ha finito? Diciamo tra una mezz’ora.
- Benissimo, Cowan. Faccia capolino fuori dalla porta.

Quando fu sulla porta un monosillabo sospensivo la sorprese.

- Ah… E… il segno è ariete, non toro.

Deirdre andò a sedersi alla sua scrivania avendo sul volto ancora mille colori. Hollywood la prese in giro.

- Però… T’è andata bene stavolta…! – malignò.
- Beh… devo dire che i tuoi arabi sono senz’altro meno attraenti del mio capo!
- Non dite una parola... – s’intromise Lou Anne – Da quando lavoro coi giapponesi ho smessi di essere una donna serena.
- Da un angolo all’altro del mondo… Mi è sempre piaciuto questo lavoro! – Deirdre si attaccò al telefono.

Quaranta minuti dopo, il suo team, preannunciato dal profumo da uomo e di sigaretta del suo capo la invitò a bere il primo di tanti caffè della giornata.

- … e Billy Dean ha litigato per due ore con quella sbroccata di una segretaria! E tutto per una donna nuda!
- Sii serio, David… Effettivamente sembrava uno di quei calendari che si trovano dai gommisti!

Stewart e Morris Fletcher risero rauchi. Essendo la zona della macchinetta del caffè l’unica zona fumatori del piano, Stewart non si fece sfuggire l’occasione.

- Dica, Deirdre… Ma in questa palazzina si può soltanto fumare alle macchinette del caffè?
- Teoricamente sì, visto che hanno le porte a vetri e uno si può intossicare senza far patire al resto dell’ufficio questa scocciatura del fumo passivo. Qualcuno però va anche a fumare sulle scale di sicurezza.
- Fuma tanto lei?
- Purtroppo sì, - rispose Deirdre tirando una vorace boccata dalla sigaretta – questa storia del divieto di fumo negli uffici non mi ha scoraggiato. Ma casa mia sembra una fumeria d’oppio.
- Più canne e meno tabacco, eh Deirdre?? – scherzò Billy Dean.

Deirdre ridacchiò.

- Ridi pure… Mai fumata una canna in vita mia.

David scoppiò a ridere fragorosamente.

- Raccontalo a un altro!
- Giuro!

Stewart indossò il suo miglior sorriso sornione.

- A noi può dirlo Deirdre… in fondo una canna ce la siamo fatta tutti.

Deirdre abbassò lo sguardo. 

- Una. Una sola. Due anni fa. Stetti così male che me lo ricordo ancora. Non ne ho fumate mai più.
- Allora era fumo o cioccolato. Non erba di quella buona… - fece Fletcher con aria da intenditore.
- Allora ragazzi, cena stasera? – chiese David.
- Tua moglie quando arriva? – fece Billy Dean.
- Non prima di un mese o due.
- Bella idea. Andiamo al Pier 39? Conosco un posto carino dove fanno il pesce buono – suggerì Fletcher.
- Aggiudicato. Usciamo alle sei e mezza? – propose Stewart.
- Andiamoci con la cremagliera. Deirdre, vieni anche tu? – chiese Billy Dean.

Deirdre sorrise.

- Con la cremagliera ci arrivi alle nove di sera quando chiudono… Col tram è meglio. 
- Poi vedremo… Allora vieni?

Deirdre, inspiegabilmente guardò il suo capo. Trovò il suo sguardo che la scrutava tra le ciglia, ancora con quella selvaggia tristezza che aveva notato prima nel suo ufficio, stemperato adesso da un sorriso appena accennato.

- Il posto a cui avete pensato voi è “Billy” per caso?
- Proprio quello! – disse Fletcher.
- Vi raggiungo lì. Sono in macchina e devo riaccompagnare le mie due colleghe. La mattina veniamo insieme in ufficio.
- Magari possono tornare per conto loro… - la voce di Stewart non ammetteva repliche.
- Gliene parlerò senz’altro. Grazie per l’invito.

Stewart battè forte le mani e uscì con passo deciso dalla stanzetta della macchinetta del caffè.

- Al lavoro, signori. Vediamo di cominciare.

Capitolo II

La cena si svolse in un clima disteso. Billy Dean e David erano un vero spasso e riuscivano a trascinare la compagnia in un susseguirsi di risate e battute irresistibili. Persino Fletcher risultò simpatico, riuscendo a lasciarsi dietro le spalle un po’ di quella viscida serietà che lo contraddistingueva. Stewart era misurato ma allegro, unico punto in comune con l’uomo che Deirdre aveva visto in ufficio, quel fondo di tristezza negli occhi. Dopo cena Billy Dean e David ebbero la malsana idea di andare a ballare.

- Voi siete pazzi… - mormorò Deirdre.
- Dai, Deirdre, quattro salti son quello che ci vuole per digerire!

I due ingegneri riuscirono a trascinare tutti in quella folle idea e si recarono in un dance pub vicino ai pier. Prima sedettero a bere ancora qualcosa, poi Billy Dean e David si scatenarono nelle danze coinvolgendo qualche ragazza e in seguito Deirdre. Ad un tratto la musica si fece lenta e i due continuarono a scherzare.

- Ehi, ehi… momento critico. Stewart, vieni a ballare con la tua segretaria?

Deirdre arrossì violentemente, ringraziando la parziale oscurità che celò il suo stato d’animo manifestatosi sul viso.

- Ragazzi… - disse a disagio – lasciate perdere, non mi sembra il caso!

Stewart si alzò, si avvicinò a passi lenti ma decisi e si chinò accanto all’orecchio di lei.

- Non so se si usa ancora dirlo ma… mi concede questo ballo, signorina?

Sulle sue labbra si disegnò un sorriso da pirata e Deirdre non riuscendo a proferire parola, si trovò in men che non si dica avvolta nell’abbraccio galante e forte del suo capo. Così vicina, riusciva a sentire più chiaramente il profumo che aveva, e percepiva il suo respiro contro il petto. Fu un momento molto intenso, immersa nei suoi pensieri e nelle braccia di quell’uomo bello e triste Deirdre percepiva un lieve imbarazzo, suo e da parte di lui. Verso la fine del brano le parlò ancora nell’orecchio, la voce roca e morbida come un panno di velluto.

- Questa canzone mi è sempre piaciuta molto, grazie di aver accettato di ballare con me.
- Si figuri, Cowan, è stato un piacere.
- Non credo… - sorrise lui sornione – sei imbarazzata quanto me.

Ma cos’aveva, un apparecchio endoscopico nascosto da qualche parte? Come faceva a percepire così chiaramente il suo stato d’animo? Non riuscì ad evitare un sorriso.

- Effettivamente… hai ragione… Se posso darti del tu, visto che lo hai appena fatto anche tu.
- Nessun problema.

Il brano terminò del tutto e tornarono a sedere. La compagnia rimase nel locale ancora per una mezz’ora, poi si accomiatarono e andarono a dormire.

Hollywood sbuffò vistosamente.

- Non li sopporto più questi musulmani… Ogni giorno ne hanno una. Si negano al telefono durante l’ora della preghiera, la scelta di un asilo per i loro figli è un parto prematuro. Voglio ritirarmi in clausura!! – strinse i pugni e strizzò gli occhi.
- Coraggio, Hollywood… Vuoi un po’ dei miei gialli? Sempre precisi, sempre ipercritici nei nostri confronti… Secondo me fanno ancora i tronfi dai tempi di Pearl Harbour. E sì che l’hanno persa la guerra. – Lou Anne bucò un mucchietto di fogli e li infilò in un raccoglitore.

Deirdre continuò a fissare lo schermo del computer, poi il suo sguardo passò sul manoscritto infilato nell’essenziale leggio al lato, una molletta sopra un cavetto d’acciaio infilato in una specie di blocchetto fermacarte di plastica pieno di sabbia.

- Mi accontento di molto meno… Si capisse qualcosa di quello che scrive…
- Davvero Deirdre… se questi sono i tuoi problemi… taci!!

Il solito vocione di Cowan tuonò dal suo ufficio.

- Doooyle!!!!!!!!!

Deirdre alzò gli occhi al cielo.

- Arrivo!!

Entrò svelta nell’ufficio del suo capo. “Casual Friday” (1)… Cowan quella mattina indossava un paio di pantaloni abbastanza sportivi e una camicia, mentre la giacca giaceva buttata a casaccio su una delle sedie di fronte alla sua scrivania. Non sapeva se il suo capo le piaceva più vestito di tutto punto o sportivo. Che poi per lei, sportivo voleva dire jeans e maglietta, non certo quella specie di casual fintamente trascurato. Il problema era che le piaceva e basta. Ed era pervasa dalla curiosa sensazione che il sentimento fosse ricambiato. Il lavoro aveva subito quasi dall’inizio, una tremenda impennata e tante erano state le serate in cui aveva dovuto fermarsi fino a tardi a finire. Qualche volta Stewart le dettava qualche lunga lettera e lei la scriveva direttamente a computer. Lui restava seduto di fronte a lei e si sporgeva ogni tanto per dare un’occhiata allo schermo e vedere se quel che aveva dettato aveva senso, qualche altra volta si alzava e gironzolava intorno alla sua scrivania, giocherellando con un piccolo mondo di gommapiuma, un antistress danneggiato dalla troppa usura. Occasionalmente le si era avvicinato dietro la sedia e sottovoce, col suo tono opaco e profondo, le aveva chiesto se era stanca e senza aspettare una risposta, le aveva massaggiato le spalle che aveva trovato legnose. Deirdre si era sentita imbarazzata, ma il tocco delle sue mani l’aveva pervasa di una sensazione calda e sensuale che aveva faticato a scacciare fin nel suo letto a casa sua. Il suo sguardo, che si era perso nel vuoto di quei ricordi, tornò al presente, posandosi sulla giacca stropicciata sulla sedia. Stewart finì di parlare al vivavoce, facendole cenno con la mano di non andarsene. Deirdre prese la giacca, la scosse un po’ poi prese l’omino sull’appendiabiti e la appese. Stewart la guardava, un orecchio al vivavoce, due dita sulle labbra mentre ascoltava la voce che usciva dall’apparecchio, naturale proseguimento di quel vizio ossessivo che aveva di accarezzarsi la barba. Le fece con gli occhi un cenno di ringraziamento, poi chiuse la comunicazione.

1) Letteralmente “venerdì sportivo”. Si riferisce al fatto che negli uffici americani (tendenzialmente quelli delle aziende private) al venerdì è concesso un abbigliamento informale.


- Allora. Prendi questo documento e tutti gli allegati, bada che è una tonnellata di carta, e fammene per favore tre copie. Una la invii al Project Director a Sydney…
- Raugherty..?
- Esatto, una la mandi a Wilkins e una al vostro Project Director. Immediatamente. Tutto chiaro?
- Sissignore. – Deirdre si voltò per andare a completare l’incarico appena affidatole.
- Ehi Doyle…
- Che c’è?
- Grazie per la giacca.

Deirdre sorrise e uscì.

Stewart si presentò alla macchinetta del caffè, locale nel quale c’era anche la fotocopiatrice. Trovò Deirdre che impilava carta, il lavoro ancora incompleto. Fece scrocchiare il collo, inclinando la testa prima a destra poi a sinistra. Alzò un piede, lo girò per far stiracchiare la caviglia, ripetè lo stesso movimento con l’altro. Non lo sentì subito, l’apertura della porta a vetri fu coperta dal rumore della fotocopiatrice. Deirdre si accorse di lui quando la macchinetta del caffè cominciò a preparale la bevanda.

- Ma non può fartele il centro stampa? Così tante copie… - chiese Stewart, accendendosi immediatamente una sigaretta.
- Non subito. E se come ho capito ti servono… per ieri, bisogna che le faccia io. Tanto dovrei perdere tempo a controllarle, in centro stampa riescono sempre a combinare qualche casino.
- Hai mandato il fax a Raugherty?
- Quello sull’ampiamento delle fondazioni? Sì, già fatto.
- Bene. Hai anche telefonato a Wilkins per quelle valvole?
- Sì, ha detto che ti aspetta nel suo ufficio alle due e mezza.
- Perfetto. Hai programmi per il pranzo?

Deirdre lo guardò come se non avesse capito la domanda.

- Pensavo di andare a mangiare un’insalata da Jimmy’s. Ti va di accompagnarmi?
- Vado sempre a mangiare con le mie colleghe, lo sai.
- E tu disdici…

Si guardarono negli occhi. Stewart era sicuro che potesse sentire i suoi pensieri. E se così fosse stato avrebbe dovuto vergognarsi… Al solito il tono dolce di Stewart era abbastanza risoluto da non ammettere repliche.

- Come vuoi. 
- Usciamo alle 12,30, va bene?
- D’accordo.

Stewart versò l’acqua nel bicchiere di Deirdre.

- Allora… alla tua. – Alzò il suo bicchiere già colmo.
- A casa mia si dice che… l’acqua fa ruggine.
- Preferisco non bere durante il giorno – replicò Stewart.
- Facevo per dire… Credo che sia una buona idea. – Alzò il bicchiere verso Stewart – Alla nostra.

Bevvero, poi posati i bicchieri, iniziarono a mangiare in silenzio. Dopo un po’ Stewart lo ruppe.

- Perché non mi racconti un po’ di te? Vivi sola? Cosa fai nel tempo libero?

Deirdre si strangolò con l’aceto. Bevve un altro sorso, poi iniziò a parlare.

- Sì.
- “Sì” cosa?
- Vivo sola. Ma mi piacerebbe prendere un gatto. Lou Anne ne ha una bellissima, gliela invidio molto. E’ bella come quelle delle pubblicità.
- Ti piacciono i gatti?
- Mi piacciono gli animali. Il gatto è il più semplice da tenere.
- A Sydney vivo in una villa. Ho due cani, a cui sono molto affezionato. Quando non ci sono ci pensa la governante.
- Non può… farlo nessun altro?
- No. Roan è una vecchia maori, fedelissima. Lavora presso di me da dieci anni. Un vecchio scapolo come me ha bisogno di un sostegno di tanto in tanto.

Deidre sorrise.

- Tu non sei vecchio…!
- Forse no… O forse sì, dipende dalle giornate.

In quel mentre fece il suo ingresso nel ristorante-tavola calda un indiano con un fascio di rose. Iniziò a dare il tormento a tutti gli avventori e quando si avvicinò al loro tavolo, Deirdre cercò di scacciarlo in malo modo.

- No aspetta… - fece Stewart. Scelse una rosa dal mazzo, l’unica bianca, diede un paio di dollari all’indiano e preso il fiore lo porse a Deirdre. – Ecco. Grazie per avermi accompagnato.

Deirdre gli sorrise imbarazzata.

- Grazie a te. Scusa ma io questi ambulanti non li sopporto. Sono così insistenti…
- Deirdre senti… - Stewart abbassò lo sguardo e cominciò a tormentare il tovagliolo – Domani è il mio compleanno. Riunisco qualche amico a casa mia e mi farebbe piacere se ci fossi anche tu.

Deirdre bevve un altro sorso d’acqua. 

- … Trentanove?
- Trentanove.
- Uhm. – sorrise. – Sta bene. A che ora?
- Alle sette.
- Ve bene, ci sarò.

Capitolo III

Il pomeriggio successivo, mise una fretta del diavolo alle sue due compagne di viaggio. 

- Insomma, si può sapere che hai? – chiese Hollywood leggermente infastidita.
- Cowan mi ha invitato a casa sua, dà una piccola festa per il suo compleanno. Devo prendergli qualcosa, poi devo tornare a casa, prepararmi e andare. Muoviti!!

Lou Anne, la guardò con sguardo ironico.

- Non è che per caso… vuole farla a te, la festa?
- Lou Anne, non dire stupidaggini. – replicò decisa Deirdre. Anche se tutto sommato non le sarebbe affatto dispiaciuto.
- Andiamo, andiamo… Santo cielo, Deirdre, quando TU hai fretta diventi insopportabile… - fece Hollywood dandosi una sistemata fintamente distratta alla massa di capelli rossi.

Quella sera Deirdre fu puntualissima. Suonò il campanello e dopo aver preso l’ascensore fino al quarto piano, si avventurò nell’unica porta aperta. Stewart le si fece subito incontro, fendendo la piccola folla che si accalcava nel suo appartamento.

- Doyle! Eccoti qua, finalmente. Sei bellissima, sai?

Deirdre aveva scelto come al solito una misés molto sobria, tailleur pantalone nero e un sottogiacca di maglina nera col collo alto. Appena un po’ più truccata del solito, accettò che il suo capo la salutasse sfiorandole le guance con le labbra. Poi gli porse un pacchetto lungo e piatto.

- Questo è per te.
- Grazie… non dovevi, comunque. Posso aprirlo adesso?
- Come vuoi…

Stewart aprì il pacchetto con una certa fretta, come un bambino che si alza nella notte per buttare un occhiata sotto l’albero di natale e sincerarsi che babbo natale sia passato. Tirò fuori dalla busta una cravatta jacquard, simile a quelle che indossava di solito, ma in una bella tinta rosso scuro. Guardò Deirdre negli occhi.

- Ho pensato che, visto che ti piaceva il genere, potevi osare un po’ di più coi colori.
- E’ bellissima, Deirdre, grazie. Anzi. A questo proposito, avrei bisogno anche di te questo sabato.
- Per cosa?
- Te ne parlo, dopo… Ora vieni a berti un bicchiere di champagne!

Si buttarono nel vortice della festa, si divertirono, parlarono, fecero persino qualche gioco di società. All’una, quando tutti se ne furono andati, Stewart accompagnò Deirdre alla porta.

- Di cosa avevi bisogno per questo sabato? Cioè domani… - diede un’occhiata all’orologio. – Cioè… oggi.
- A momenti dimenticavo. Ho un cocktail dopodomani, in casa di una persona di una certa importanza. Devo comprarmi un vestito, quelli dell’ufficio non vanno bene. Vorrei che mi portassi in qualche negozio dove… sì, insomma si possano comprare dei capi un po’ belli. Hai tempo?

Deirdre abbassò lo sguardo.

- Potrei darti gli indirizzi di due o tre negozi. 
- Ho bisogno di un parere.
- Non ho mai avuto quest’impressione notando come ti vesti in ufficio.
- E’ un’occasione troppo importante, voglio che qualcuno mi faccia da supporto.
- E sia. Ci troviamo a Union Square domani alle dieci. Cioè oggi, oggi alle dieci.
- Davanti alla Union Carlyle, ok. Buonanotte Deirdre. E grazie. Grazie davvero di essere venuta.

Si scambiarono un lungo sguardo. Tutto il desiderio del mondo viaggiò tra i loro occhi, poi lui le passò un braccio delicato intorno alla vita e le sfiorò dolcemente la guancia con le labbra. Un lieve sorriso, poi chiuse la porta. Deirdre rimase come un’allocca sullo zerbino di fronte alla porta, chiedendosi cos’altro avrebbe potuto aspettarsi e si diede della sciocca per questo. Poi girò sui tacchi e tornò a casa.

Il giorno dopo, entrambi puntualissimi si trovarono al posto stabilito.

- Buongiorno. Hai un bell’aspetto… Ma come fai? Sei riuscita a dormire bene?
- Con tutto l’alcol che mi hai fatto ingurgitare, mi sarei stupita del contrario… - risposte istintivamente Deirdre. 

Stewart la guardò leggermente divertito e lei arrossì violentemente, capendo di aver dato una risposta un po’ troppo confidenziale.

- Scusami, non volevo mancarti di rispetto, mi dispiace moltissimo.
- Ma figurati.
- Volevo dire che ieri sera ho esagerato un po’ e generalmente poi c’è ben poco che riesca a tenermi sveglia.
- Non preoccuparti. Allora? Dove si va?
- Perdona la mia indiscrezione, Cowan, ma… tu quanto vuoi spendere?
- Non preoccuparti. Il mio margine di spesa è pressoché illimitato!
- Oh beh. Ma allora, America o non America, c’è un solo posto dove si può comprare un vestito da uomo come si deve!
- E cioè?
- Da Giorgio Armani, capo!!
- Dov’è?
- Post Street, non lontano da qui.
- Allora andiamo…

Appena entrati nella boutique, una vendeuse mielosa si fece loro incontro.

- Buongiorno, signori, posso esservi d’aiuto?
- Sì… - Deirdre precedette Stewart. – Il mio principale avrebbe bisogno di un abito per un cocktail.
- Cercava qualcosa di classico, signore?
- Sì… ho solamente una richiesta. Niente di marrone o blu. Preferisco il grigio, o il nero.
- Il nero è davvero troppo elegante per un cocktail, signore, meglio il grigio. Ma si accomodi, le mostriamo subito la nostra nuova collezione.

Deirdre li seguì. Mio Dio… sembra la scena di Pretty Woman a Rodeo Drive… pensò.

In un salottino dove Deirdre si era sprofondata in un divanetto, Stewart stava in piedi, in mezzo alla stanza, circondato da tre commesse, che peraltro se lo mangiavano con gli occhi, a provare un abito dopo l’altro. Rivolse uno sguardo interrogativo a Deirdre. Lei storse la bocca, il panciotto faceva troppo Corleone. L’altro abito era una tonalità di grigio troppo chiara, a lei non piacque. Finalmente Stewart si voltò, allargò le braccia e le chiese:

- Allora? Che te ne pare?

Deirdre lo guardò. La trama della stoffa era così fine che era difficile indovinarla a meno che non ci si fosse avvicinati a distanza di fascia protetta. Il grigio antracite gli donava eccezionalmente e il taglio straordinario del vestito faceva sì che questo gli cadesse perfettamente, senza il minimo cenno di una grinza. Aveva una camicia bianca con dei disegni piccolissimi grigio chiari a rilievo e una di quelle cravatte jacquard che tanto piacevano a entrambi. Indossava anche delle scarpe allacciate molto eleganti, insomma Deirdre pensò che sembrasse un modello.

- Questo va bene!

Stewart si rivolse alle commesse.

- Potete farmi le riparazioni entro le sei di stasera?
- Naturalmente, signore. Se vuole glielo facciamo consegnare a casa.
- Non ha importanza, grazie. Ripasserò stasera a ritirarlo.

Quando la commessa alla cassa gli disse il prezzo dell’abito, arraffandogli con guizzo rapace la carta di credito che lui le porgeva, Stewart rivolse un sorriso piratesco e leggermente imbarazzato a Deirdre.

- Ecco andate in fumo le mie ferie per i prossimi tre anni…

Deirdre si agitò e sottovoce gli rispose:

- Stewart!! Mi avevi detto…
- Tranquilla, scherzo. Armani eh? Brava Doyle, buona idea.

Passeggiarono in lungo e largo, percorsero tutta Lombard Street, così tortuosa e fiorita e si fermarono a Ghirardelli Square a farsi una cioccolata. 

- Questa città è bellissima…
- Beh sì… non ci si sta male. E’ solo che c’è un clima infame. 
- Deirdre… Volevo ringraziarti. Per essere così disponibile e gentile. 
- Figurati… Non capita tutti i giorni di accompagnare qualcuno da Armani. Spero che… sì, insomma, tutti quei soldi… Mi auguro veramente non fossero troppi.

Stewart troncò il discorso con un gesto della mano.

- L’abito è bellissimo, sono sicuro che riuscirò ad accalappiare qualche ricca vedova!!

Deirdre rise in modo striminzito. Eh già, come al solito si era fatta delle illusioni. Ma che si aspettava? Lui era proprio come l’Edward Lewis di Pretty Woman: bello e ricco. Cosa mai poteva pretendere? Farsi aiutare a scegliere un vestito e un massaggio alle spalle durante le ore d’ufficio non lasciavano intendere proprio nulla. Avrebbe fatto meglio a toglierselo dalla testa. Beh. Ci avrebbe pensato da domani.

- E non solo quelle. Andiamo? Manca poco alle sei. Ti va di tentare la cremagliera al volo?
- Ma scusa. C’è il capolinea qui sotto…
- Era una scusa per vederti appeso fuori…

Risero entrambi e scesero verso la parte bassa della piazza a comprarsi i biglietti.

I giorni lavorativi si susseguirono in un crescendo sempre più intenso di lavoro, sempre più numerose diventavano le serate dedicate agli straordinari. Erano passati quattro mesi da quando il gruppo della Cook aveva iniziato la collaborazione con la Union Carlyle, seguito da Deirdre. Quella mattina il team era occupato col gruppo suo omologo della Union Carlyle in un Engineering Project Review Meeting, dalla sala riunioni ogni tanto qualche voce superava le altre anche se l’atmosfera sembrava mantenersi decisamente amichevole. Deirdre, scura in volto si alzò di scatto e andò a prendersi un caffè da sola. Hollywood e Lou Anne si guardarono perplesse.

- Cosa pensi che abbia? – chiese Charlize a Lou Anne, che sicuramente aveva una maggior capacità di leggere nel cuore delle persone.
- Non saprei proprio… E’ sicuramente stanca, sta facendo tanto di quello straordinario… Io però un’idea ce l’avrei.
- Sarebbe? – incalzò Charlize, curiosissima.
- Per me s’è imbarcata per il capo.
- Ma chi, Cowan?!
- Sì… Mi raccomando, Charlize… TACI, chiaro?
- Sarò una tomba…

Deirdre tornò alla scrivania col caffè in mano. Si sedette e sentì una fitta allo stomaco mentre cercava di capire nell’oceanico macello di carta che aveva davanti, cosa doveva essere archiviato, cosa scritto e cosa organizzato. Lou Anne si fece avanti.

- Deirdre… tutto bene?

La guardò assente, come se non la riconoscesse. Dopo poco si scosse.

- Sì, sì… 
- Sembri arrabbiata, c’è qualcosa che non va?
- No… no. Sono soltanto molto stanca.

Charlize si alzò, dopo che uno dei suoi arabi l’ebbe chiamata al telefono. Lou Anne, lestissima, si avvicinò a Deirdre.

- Dai dimmi… c’è qualcosa che posso fare per te? Sono secoli che non ti vedo con quella piva.

Deirdre la guardò, incerta se parlarle o meno. Poi decise che doveva sfogarsi con qualcuno, non avrebbe retto ancora molto.

- Tu pensi… sarebbe un problema secondo te se… 
- Ti piace lui? – Lou Anne andò dritta al punto.

Deirdre abbassò lo sguardo.

- Sì.
- E lui lo sa?
- No!! – si scandalizzò Deirdre.
- E non pensi di dirglielo?
- Ma non ci penso nemmeno!!
- Pensi che se ne sia accorto? – incalzò Lou Anne
- Non lo so, e spero di no. Non mi sembra il caso.
- Però ci stai male…

Deirdre la guardò.

- Se sapessi… se sapessi come mi si capovolge lo stomaco quando lo guardo. Faccio fatica a sostenere il suo sguardo… E per fortuna non si parla spesso di dettare lettere o cose del genere, soltanto qualche briefing per organizzare la settimana, se ci sono impegni particolari. 
- Cerca di capire quello che vuoi, Deirdre. O glielo dici o cerchi di dominarti e… di non fartelo piacere più. Ma non puoi patire così… E poi rischi di fare qualche sciocchezza sul lavoro.
- Dirglielo?! Tu sei suonata.
- Allora lascia perdere. Scusa, eventualmente prenditi un paio di giorni di ferie, attaccali al fine settimana e vattene a Mammoth Lake. C’è ancora neve no?
- Sì…
- Fatti una bella sciata…
- Forse è meglio che prenda le ferie, hai ragione. Oggi pomeriggio glielo dico.
- Brava.

Terminata la riunione, l’ora di pranzo, ormai prossima, il team si avviò verso il ristorante aziendale. In coda attendendo il proprio turno, le tre ragazze li avevano anticipati, mentre i clienti di Charlize e Lou Anne erano davanti a loro. Le tre segretarie ridacchiavano e si raccontavano i fatti loro, mentre Billy Dean e David cercavano disperatamente di intromettersi nei loro discorsi. Una volta riempiti i vassoi, Lou Anne, Charlize e Deirdre si andarono a sedere nell’angolo più lontano del ristorante, nel tentativo di mantenere un minimo di “libertà” dai loro capi almeno durante il pasto. Il team Cook, così affiatato e soddisfatto della sua assistente le seguì come un ombra, anzi come quattro. Il tavolo da otto fu così quasi completamente riempito. Deirdre, che aveva scelto il posto contro la parete, quasi a cercare protezione, si vide arrivare Stewart che le chiese di poter occupare il posto di fronte al suo. Come volevasi dimostrare…

- Tutto bene in riunione? – chiese Deirdre senza alzare gli occhi dal suo pasticcio di patate.
- Siamo… anzi, siete un po’ in ritardo con la consegna di certi lavori.
- Niente di grave spero.
- Niente a cui non si possa porre rimedio.

Lou Anne nel frattempo li osservava. Lei era imbarazzata, a disagio e si impegnava con tutte le forze per sembrare indifferente ma non sgarbata. Lui in compenso la guardava come se fosse sul punto di abbracciarla; la studiava con quello sguardo intenso, profondo, la coccolava parlandole con quella splendida voce baritonale, a suo parere cercava addirittura di attirare la sua attenzione passandosi la mano tra i capelli biondo miele scuro. Pazzesco… Poteva essere? Lou Anne non aveva mai visto una cosa del genere. Non che fosse sconveniente ma… Beh, in fondo a lei piaceva lui, lui sembrava… contraccambiare, che male ci sarebbe stato se fosse nata una storia. Decise che il consiglio delle ferie era una sciocchezza e che quel pomeriggio avrebbe detto a Deirdre che si era sbagliata e che doveva studiare meglio le reazioni di Stewart, invece di scappare. Non fece nemmeno in tempo a finire di comporre il pensiero che…

- Stewart, io sono molto stanca. Ti dispiacerebbe se prendessi due giorni e mi facessi un weekend lungo?
- Quando vuoi andartene?
- Questa settimana.
- A dire il vero avevo in mente di organizzare una cena per il primo terzo del progetto questo venerdì. Volevo invitare tutti e anche te. Non riesci proprio a rimandare alla settimana prossima?

Sembrava vagamente dispiaciuto. Deirdre si azzardò ad alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi. Si sentì svuotare. Ogni tua richiesta è un ordine per me… bevo le tue parole come fossero un nettare... pensò.

- Come vuoi.
- No, aspetta… - la voce di Stewart si abbassò di tono e di volume – Se non ce la fai proprio, prenditi le ferie. Ho bisogno che tu sia in forma, il lavoro non farà che aumentare.

Deirdre non sapeva più che fare.

- Fammici pensare, ok?
- Sappi che… mi piacerebbe molto che tu venissi.

Deirdre non seppe frenare un brivido lungo la schiena.

- Ti spiacerebbe se ne parlassimo più tardi?
- Certamente – rispose lui, gelido.

Alle otto di sera, Charlize e Lou Anne avevano già lasciato l’ufficio da un pezzo, Deirdre ancora si attardava sulle carte. Stewart la chiamò in ufficio.

- Chiudi la porta.

Deirdre ubbidì.

- Hai deciso cosa fare?
- Se la mia presenza è richiesta ed è indispensabile, rimanderò le mie ferie alla settimana prossima.
- Avevi intenzione di andare da qualche parte?
- A Mammoth Lake, a sciare.
- Bello… e che altro si può fare lassù?
- Prendere il sole, passeggiare, fare un po’ di shopping. C’è un inn bellissimo, dove vado tutti gli anni. E’ molto tranquillo e carino.
- Non credere che non abbia notato quanto sei stanca. Reputo che.. sia meglio che tu parta. La cena può essere rimandata.
- Credi sia il caso?

Il sorriso pirata fece nuovamente la sua comparsa su quelle labbra dolci, seminascoste dalla barba.

- Mi mancherebbe l’ospite più importante.

Deirdre lo guardò. Era molto tentata di parlare apertamente con quell’uomo, con cui aveva condiviso parecchie sere in ufficio negli ultimi quattro mesi. Le mancava quando non c’era e durante le serate di straordinario cercava sempre di andarsene dopo di lui. Poi però pensò che non sarebbe stato serio e che in fondo non aveva il coraggio di farlo. Preferì soprassedere.

- Parto mercoledì sera, torno lunedì mattina.
- Ok. Fai buon viaggio. E mi raccomando. Riposati.
- Grazie.

Deirdre uscì e tornò a sedersi alla scrivania, alla quale era ancora incollata quando, tre quarti d’ora dopo lui la salutò prima di uscire.
(segue)


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