Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  Lontano dal Mondo
autrice: Lalla Usai
e-mail: lallausai@tiscalinet.it
data di edizione: 28 aprile 2002
argomento della storia: RC, ovviamente! Per leggere le altre storie scritte da lalla, cerca nell'indice delle fanfiction
riassunto breve: Una donna alla ricerca di solitudine trova....
lettura vietata ai minori di anni: 18
note:  Questa storia mi e' stata ispirata da Lynn. (Lalla)

 

LONTANO DAL MONDO

 

Un’isola. Il mare.

 

Strano, per quel che la riguardava, il mare l’aveva sempre detestato, fin da bambina. Bagnati la testa, mettiti il cappellino, non entrare in acqua, hai appena mangiato…E il sole, quel sole che “fa tanto bene alle ossa”, diceva sua madre, invece a lei sapeva solo di noia e di bruciature che poi bisognava ungere con quelle pomate puzzolenti, altrimenti erano dolori, notti in bianco, la pelle che diventava rossa come una fragola e veniva via a strati, come la buccia delle cipolle…

 

L’acqua. Quella le metteva paura. Non stava mai ferma, ed era come se volesse inghiottirti, sommergerti dietro un niente che sapeva di sale e bruciava gli occhi. Non aveva mai imparato a nuotare perché non se l’era mai sentita, neanche da grande, di vincere le sue paure ed era pure per quello che al mare si annoiava. Si morse le labbra e si domandò come avesse potuto scegliere consapevolmente, una come lei, di trascorrere un mese tutta sola, lontana dal mondo, in un isolotto lontano alcune miglia dalla costa in cui l’unica traccia di una passata presenza umana era il faro che, nei prossimi trenta giorni, sarebbe stato la sua casa.

 

Solo il suo cane le sarebbe mancato. Non i figli adolescenti, che rientravano a casa solamente per mangiare, dormire, e non raccontavano niente di sé. Noi i colleghi dell’ufficio, né, men che meno, le idiozie che passava la TV. Il marito? Tante volte, si era domandata se non stesse con lui per forza d’inerzia. Sarebbe mancata, a tutti quanti? Ci sperava, quando, contrariamente alle sue previsioni, aveva saputo di essere stata scelta. Un esperimento scientifico. Trenta giorni tutta sola, niente radio, niente televisione, niente notizie, buone o cattive, a proposito di come il mondo girava. Tanto, avrebbe continuato a girare anche senza di lei, si era detta, mentre stipava nella valigia qualche vestito e qualche libro. Unico obbligo, redigere giorno per giorno il diario della sua solitudine. Un diario dove avrebbe scritto poche parole, ne era sicura. Sensazioni brevi, come versi di poesie ermetiche. Se la sarebbe goduta, come no, la compagnia di se stessa.

 

La brezza che soffiava era fresca, ristoratrice. Passeggiando lungo la battigia, L. si disse che non avrebbe mai trovato il mare della sua infanzia e dell’estate bello come lo trovava allora che era metà ottobre, quando i genitori la obbligavano a quella noiosa vita da spiaggia e quando, da grande, ci tornava perché era lì che andavano le amiche, sempre speranzose d’accalappiare un fidanzato, ed era lì che doveva andare, con i bambini, perché il sole fortifica le ossa e l’aria iodata aiuta a crescere sani, lo diceva sempre la pediatra. Ma l’isola, la solitudine, i gabbiani, il cielo notturno illuminato da miriadi di stelle erano tutt’un’altra cosa.

 

Qui sto bene. Si disse da sé sola. Tranquilla, serena, lontana dal rumore del mondo. Sono cattiva, forse. Un mostro di egoismo. Sono scappata come una vigliacca, mi sono nascosta a chi mi vuole bene e non può fare a meno di me…Due figli, di diciotto e sedici anni. Un uomo che, tra fidanzamento e matrimonio, era con lei da oltre ventidue. Non è giusto, fuggire da chissà che cosa, io la chiamo noia, ma quante me la invidierebbero questa mia noia tranquilla…Le donne musulmane, intabarrate nei loro lunghi mantelli. O, semplicemente, quelle sposate con mariti violenti, che le picchiavano e le umiliavano. Ripensò a sua cugina e a tutti i problemi che le aveva causato il figlio tossicodipendente. Lei aveva un buon lavoro, una bella famiglia serena. Che cosa era andata a cercare, nell’isola deserta? Se stessa?

 

Non le avevano consentito di portare con sé la radio. Niente notizie. Niente musica. Niente di niente, solo qualche libro, oltre alle provviste di cibo e agli effetti personali, il minimo indispensabile. Posso portare un binocolo con me? Quello glielo avevano consentito, e si divertiva a puntarlo sulla linea dell’orizzonte, per spiare le nuvole e il volo degli uccelli.

 

Non volle credere ai suoi occhi, da principio. Le avevano garantito che non c’era nessuno, sull’isola, e lui era lì, seduto sulla battigia, con la brezza della sera a spettinargli i capelli e i piedi nell’acqua. Portava addosso soltanto un paio di pantaloni larghi di cotone kaki arrotolati fin sotto le ginocchia e aveva nelle striature dei capelli e nel colore della pelle, la stessa sfumatura di miele. Un uomo giovane e forte, spuntato da chissà dove, si ritrovò a pensare. Chissà chi era.Ebbe paura, e si rammaricò che la porta non chiudesse a chiave. Non si sentiva più al sicuro, adesso che aveva scoperto di non essere sola.

 

Si sorprese a spiarlo, nascosta, con il suo binocolo, e una volta si meravigliò perché era come se lui le avesse sorriso. Barba lunga, una gran zazzera di capelli quasi biondi che gli arrivavano alle spalle. Occhi chiari, immaginava, ma di quale colore ?Azzurri. O magari verdi. Un gran bel ragazzo, visto da una certa distanza, ma era sicura che non sarebbe rimasta delusa neanche guardandolo da vicino. Alto, forte. Già, forte sul serio, non semplicemente palestrato come i bulletti che si vedevano in giro e che occhieggiavano dalle pagine dei giornali. Un uomo vero. L. sospirò, stringendosi nel cardigan di cotone.

 

Non sono più sola, aveva scritto nel suo diario. Sull’isola c’è uno sconosciuto, e io ho paura…O forse era qualcuno mandato appositamente lì per studiare le sue reazioni a un’intrusione improvvisa e inaspettata in un mondo tranquillo,in una solitudine dove non avrebbe corso alcun pericolo. Se avesse trovato il coraggio di parlargli, forse i suoi dubbi e le sue paure sarebbero stati fugati. Quanto mancava al rientro al suo mondo e alle sue certezze? Venti giorni esatti. Tanti. Troppi. Lui, dove stava? In qualche altro rudere, in una vecchia barca lasciata in secca? L. Ripensò a un film visto in televisione, l’ anno prima:”Ore dieci, calma piatta”. Due coniugi giovani, belli e ricchi in crociera solitaria sul loro veliero, soccorrono un naufrago. Un ragazzo carino, gentile, apparentemente innocuo. Invece…

 

I film sono finzione, la vita è qualcosa di molto diverso. E non necessariamente di spiacevole, pensò L. lasciando la relativa sicurezza del faro per uscire all’aperto.

 

-Chi sei?

Gli si era rivolta in inglese. L’uomo, visto da vicino, aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un nordico:lunghi capelli quasi biondi, occhi tra il verde e l’azzurro, bellissimi. Occhi che, aprendosi al mondo, hanno visto sicuramente il mare, per prima cosa.

-Uly.

E rise. Una risatina un po’ sciocca, che gli disegnò due ventagli di rughe sottili agli angoli degli occhi e gli scoprì i denti, piccoli e bianchissimi.

-E che ci fai, qui?

-Quello che ci fai tu. Fuggo.

 

Non rise, questa volta. Era grosso e forte, pensò L., proprio come le era sembrato guardandolo da lontano. Grosso e forte, ma ben proporzionato, tanto da muoversi con grazia e agilità, malgrado la stazza da lottatore. Il viso aveva tratti delicati, quasi infantili, induriti solo un poco dalla barba incolta: naso dritto,non troppo grande, labbra tenere, fossette sulle guance e sul mento. Doveva essere stato un bambino bellissimo. Quanto tempo prima? Era giovane. Non un ragazzino, ma giovane sì, più di lei. Chissà da dove veniva. E chi era. Malgrado lo vedesse per la prima volta, L. notò in lui qualcosa di familiare, come se avesse visto altre volte la sua faccia, ascoltato altre volte la sua voce grave. Una voce molto bella, come tutto il resto.

 

-Non ti annoi, tutta sola?

-E tu, non ti annoi?

-Perché rispondi a una mia domanda con un’altra domanda?

L. gli sorrise, anche se gli occhi le restarono seri. Dormiva sotto le stelle, le aveva detto, e si lavava con l’acqua del mare. Quando si scatenò il temporale, lo invitò ad accomodarsi dentro quella che sarebbe stata la sua casa, per qualche giorno ancora. Malgrado non avesse del tutto vinto la paura che lo sconosciuto le incuteva. Malgrado non avesse mai creduto che non avesse un rifugio da qualche parte, una tenda, una barca in secca, la torre medioevale d’avvistamento mezza diroccata…

 

Aveva un bel corpo, la pelle chiara sotto l’abbronzatura intensa. Doveva sapere di sale, si ritrovò a pensare la donna, e un lungo brivido l’attraversò tutta quanta. Sei inglese, americano? Kangaroo. Aussie. Ah. Uly è il tuo vero nome? Un’altra risatina. Probabilmente no, ma non le disse nulla, si limitò a sorseggiare il tè caldo che L. gli aveva preparato e a leccare il cucchiaino: quando i suoi figli lo facevano, lei li rimproverava sempre. Non sta bene, diceva. Ma, naturalmente, non osò dire nulla a quel giovane selvaggio.

 

-Sei qui…perché ami il mare?

-Io odio il mare. Forse è perché non ho mai imparato a nuotare.

-Potrei insegnarti.

-L’acqua è fredda e non ho il costume.

-L’acqua non è fredda e il costume non ce l’ho neppure io.

L.ridacchiò per mascherare l’imbarazzo. L’aveva spiato sguazzare nudo nell’acqua, con il suo binocolo, ma non gli disse nulla. L’aveva trovato molto bello, e desiderato, nonostante neppure lo conoscesse. Era australiano, le aveva detto, e si era presentato con quel nomignolo ridicolo che sicuramente non doveva essere il suo vero nome. Uly. Ulisse, forse? O poteva aver a che fare con uno sciamano aborigeno? Non era da lì che aveva detto di venire, dalla terra dei canguri e degli ultimi selvaggi?

 

La guardava, con quei suoi occhi teneri e incantevoli che non aveva ancora capito se fossero azzurri o verdi.

-Se vuoi lavarti via la salsedine di dosso, ho una scorta d’acqua sufficiente…Non ti dà fastidio, il sale sulla pelle? Io lo odio.

-No, non più di tanto. Grazie, comunque.

Aveva acqua dolce a sufficienza e s’era portata appresso il suo bagno schiuma preferito, dall’aroma dolce e penetrante di rose e di violette, certo non indicato alla pelle di un uomo, e glielo disse, quando venne fuori dal bagno con un asciugamano legato intorno ai fianchi. Ho usato solo l’acqua, non mi andava di odorare di rose, di violette e di gelsomini come un finocchio, anche se ci siamo solo io e te, in questo posto fuori dal mondo.

 

L. gli andò abbastanza vicino da poter sentire il rumore del suo respiro, l’odore salmastro della sua pelle. Abbastanza vicino da non riuscire a resistere alla tentazione di passargli le dita tra i lunghi, splendidi capelli che, impregnati d’acqua, sembravano più lisci e più scuri di quanto non fossero in realtà. Con la punta delle dita gli accarezzò la guancia, le labbra, la gola…Era un invito, quello. Un invito sfacciato a fare quel che in circostanze normali non avrebbe fatto mai, con uno sconosciuto, con uno che veniva dall’altra parte del mondo e si portava appresso un nomignolo ridicolo.

 

Aveva delle belle labbra, soffici e calde. Aveva una pelle che sapeva davvero di sale. Di sale e di uomo, giovane forte selvaggio e affamato…Un animale bellissimo, con la criniera che stillava una pioggia di goccioline sul collo e che odorava di sudore e di salsedine. L. gli cinse le grosse spalle con il braccio sinistro. La vita con l’altro. E con la mano che non era impegnata a giocare coi lunghi capelli umidi, liberò il suo corpo gagliardo dall’asciugamano.

 

Quattro anni dopo

 

Cri le aveva telefonato, come al solito. Era la sera del 7 marzo, e voleva proporle qualcosa di divertente da fare insieme, per la festa della donna. Le solite idiozie, la solita noia da consumarsi in una pizzeria e poi in un locale zeppo di donne isteriche, pensò L. scotendo la testa, ma ci sarebbe cascata anche quella volta. Cri, divorziata e senza figli, aveva, a quaranta passati, il cervello di una quindicenne. Lei, in vita sua, follia ne aveva fatta una soltanto, mentre Cri sembrava ne avesse bisogno come dell’aria che respirava: spese pazze, amanti di cui poteva essere la madre. Avesse avuto un marito, dei figli grandi, un po’ meno soldi di quelli che aveva, forse…

-Dai, vieni anche tu…Semel in anno licet insanire (una volta all’anno è lecito ammattire N.d.A.)

Una volta all’anno. L’avrebbero trascinata, lei e quelle matte delle sue amiche a vedere quattro buzzurri depilati e unti che si spogliavano, come l’anno prima? No, stavolta si va ad ammirare un uomo come non ce ne sono più. Solo al cinema, purtroppo.

 

Un campo di grano. Una grossa mano che accarezza le spighe. Un pettirosso che saltella sui rami di un cespuglio. Il primo piano dei suoi occhi verde azzurri, assorti e malinconici. Uly. Maximus. Russell Crowe.

 

FINE

Lalla,06/04/02

(Da un’idea di Lynn)

 

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