Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: La Rivincita - prima parte (leggi la seconda parte)
autrice: Cassandra
e-mail: zambon.luisa@virgilio.it
data di edizione: 12 marzo 2003
argomento della storia: Russell Crowe, l'attore
riassunto breve: In crisi dopo un periodo di fallimenti privati e professionali, l'attore Russell Crowe e' disperato...
lettura vietata ai minori di anni: 

 

La rivincita

 

Albeggiava. Un'alba serena, dai colori teneri e limpidi. Il cielo roseo splendeva sull'oceano placido e silenzioso, azzurro misto di verde, spumoso a riva di onde candide e tranquille nel loro moto incessante. Silenzio, rotto qua e là da qualche gabbiano.

La grande casa bianca, distesa su un promontorio in riva al mare, era ancora immersa nel sonno. I suoi occupanti stavano ancora dormendo. Non così l'uomo semisdraiato su una poltrona nella veranda, gli occhi socchiusi rivolti all'orizzonte lontano.

Li chiuse quando il primo timido e tiepido raggio di sole gli accarezzò il volto e un cenno di sorriso gli increspò le labbra. Si lasciò andare alla piacevole sensazione, ma fu un attimo. Di colpo la sua espressione cambiò, come se un pensiero fino ad allora represso si facesse strada con prepotenza nella sua mente.

Il suo aspetto trasandato tradiva una notte insonne, l'ennesima notte senza il sollievo di un sonno ristoratore. La barba, di un bel color di miele, era ispida, incolta; i capelli, che un tempo gli incorniciavano il bel volto maschio, cadevano sparsi e opachi sullo schienale della poltrona. Gli occhi, di cui le donne ammiravano il blu profondo e penetrante, erano spenti, stanchi, affaticati, gonfi di lacrime soffocate ("un uomo non deve piangere…"). La bocca, piccola ma sensuale ("col sapore di mille donne sulle labbra…") , era imbronciata e triste anch'essa, muta e silenziosa, contratta in una smorfia di disgusto.

Sul pavimento, bottiglie vuote di birra e innumerevoli cicche di sigarette lasciavano indovinare come avesse passato quelle ore.

Da quanto tempo durava? Quando era cominciato?

Il suo sguardo si perse nel vuoto e preferì non saperlo.

"Russ, RUSS,… ah, sei qui".

"Sono qui", rispose laconico alla donna che lo aveva chiamato con una certa apprensione nella voce.

"Ti sei alzato presto…. Oppure ….Russ, non hai chiuso occhio nemmeno stanotte?".

Fece la domanda, ma guardandosi in giro si dette da sola la risposta.

"Russ - gli si avvicinò con cautela e dolcemente risoluta - non puoi continuare così. Sono settimane ormai che non dormi".

"Cosa dovrei fare, eh? - le rispose quasi sgarbato - Vuoi che prenda qualche sonnifero che mi faccia rincoglionire?"

Abituata a tali scatti di ira, la donna non si scompose. Si chinò, in ginocchio di fianco alla poltrona, gli sorrise e gli sfiorò la fronte con un lieve bacio: "Certo che no, ma non ci sono solo sonniferi. Esistono rimedi naturali …".

"… rimedi naturali - ripeté lui con sarcasmo - rimedi per cosa?", si alzò a sedere di scatto e si mise le mani fra i capelli, in un gesto così disperato che le fece salire le lacrime agli occhi. Ma non poteva piangere, non doveva piangere dinanzi a lui.

"Meg - la chiamò con un filo di voce - perdonami. Lo sai che non voglio ferirti, ma non riesco a dominarmi. Perdonami. Ma perché ti ostini a perdere il tuo tempo con me? Perché? Io non ti merito …", concluse quasi con un singhiozzo. E si sdraiò di nuovo, spossato da una gran fatica. Fatica di vivere, fatica ad orientarsi in una vita che non sentiva più sua, di cui gli sfuggiva il senso e lo scopo.

Meg stava per rispongergli, quando si accorse che finalmente si era addormentato e le sembrò giusto lasciarlo riposare: che avesse il tempo di riprendersi, di non pensare per qualche ora almeno. Poi, al risveglio, tutto sarebbe ricominciato: le domande, le analisi, le mancate risposte, l'ansia di chi non capisce cosa sta vivendo e perché, e quando ritornerà la voglia di vivere per qualcosa per cui valga la pena di affrontare ogni giorno le battaglie della vita.

Gli sfiorò il viso con una carezza e rientrò nella grande casa a dare le disposizioni per la giornata. Finalmente si accomodò per il breakfast, i giornali erano già arrivati e si mise a sfogliare le notizie del giorno. La solita irrisolta crisi mediorientale, i postumi difficili della guerra contro Saddam, le borse "impaurite", e via dicendo. Non si soffermò su queste se non per i titoli; preferì andare alle pagine della cultura e degli spettacoli, lì almeno si parlava del bello e del dilettevole. La sua attenzione fu attirata da un trafiletto, poco più di venti righe, ma il titolo era sufficientemente velenoso "La meteora Russell Crowe: eclissi di una stella".

Avrebbe voluto lasciar perdere, ma non potè fare a meno di leggere: "Si dice che l'attore neozelandese, distrutto da alcool e droga, si sia rifugiato in una clinica svizzera per disintossicarsi. Non è la prima volta che Hollywood deve fare i conti con le intemperanze dei suoi divi più illustri, ma certamente l'ex gladiatore ha sempre fatto ben poco per attirarsi la simpatia dei tutori dello star-system. Risse, donne, parolacce e sbornie hanno offuscato il suo talento (ma era vero talento o non piuttosto le sue amicizie con Sharon Stone, Tom Cruise e Nicole Kidman gli hanno aperto la via del successo?). Non è forse questa la spiegazione del totale fallimento del suo ultimo film The Cinderella man, le cui riprese sono state bruscamente interrotte per l'indisposizione del sig. Crowe ? Forse è ora che le sue fans nel mondo si rassegnino e si trovino un altro macho da sognare".

L'articolo continuava accennando al presunto abbandono dei suoi compagni del gruppo musicale, i TOFOG, stanchi dei suoi modi arroganti e boriosi. Dulcis in fundo, la sua compagna Danielle, non più prossima sposa, l'aveva scaricato dopo l'ennesima scappatella con un'attricetta porno.

Dapprima fu l'indignazione per quel cumulo osceno di menzogne, di cattiverie fondate sull'astio e l'invidia. Poi fu presa dal dolore e dalla preoccupazione che Russell potesse leggere quell'articolo, informarsi sul giornalista e scatenare un putiferio, così i suoi detrattori avrebbero avuto ragione ancora una volta.

Doveva assolutamente evitare che lui leggesse quel giornale. Fece sparire il quotidiano nel sacco della nettezza e si recò nella veranda. Lui non c'era. Un inserviente la informò che aveva preso l'auto e se ne era andato in città.

Delusa e indecisa sul da farsi (seguirlo o lasciarlo libero?), preferì rimanere ad aspettarlo. Si avviò verso la riva del mare. Il sole era sorto in tutta la sua luce, ma la sabbia era ancora umida e fresca, la brezza marina accompagnava i suoi passi pigri e pensierosi. Passeggiava, e la sua mente spaziò nei ricordi del loro incontro, sul set di "Rapimento e riscatto" . Era stata subito attrazione, scossa elettrica, passione incontenibile, per entrambi. Giornali e rotocalchi non li lasciavano in pace, ed erano costretti a fare follie per stare da soli, lontano dall'invadenza della notorietà e dello scandalo. Chissà, si diceva, forse anche questo rumore intorno a loro era stata una delle cause della fine del loro amore, ma non poteva essere l'unica.

Ma ora non aveva voglia di indagare troppo, ora c'era una necessità ben più urgente: Russell, nonostante lui non lo ammettesse, aveva bisogno di lei in quel momento, e lei era disposta a dargli tutto il suo appoggio, tutta la sua pazienza, tutto il suo amore (?), tutto, pur di aiutarlo a ritornare quel che era pochi mesi prima.

 

Pochi mesi prima… sì, ricordava tutto di quel colloquio burrascoso e imprevedibile, l'ultimo, avuto con Danielle.

Seduto sullo sgabello di fronte al bancone del pub, l'immagine scolorita riflessa nello specchio, ebbe come un flash.

La grande festa del loro fidanzamento si era finalmente conclusa, anche gli ultimi invitati se ne erano andati. Stanchi ma felici, un po' sovreccitati per gli avvenimenti degli ultimi giorni (dichiarazioni ai giornali, l'annuncio dell'imminente matrimonio, ecc..), adesso potevano stare qualche tempo in pace per pensare ai preparativi per le nozze. Tra l'altro, anche le riprese di "The far side of the world" erano terminate e le agenzie stavano pensando al lancio pubblicitario del film. Di lì a poco avrebbe iniziato a lavorare per "The Cinderella man", (una parte che lo aveva subito entusiasmato prima ancora di aver letto per intero il copione), ma rimaneva comunque lo spazio per loro due.

La stanza era incredibilmente disordinata, bottiglie e cicche dappertutto, ma non ci facevano caso, tanta era la stanchezza. Abbandonati sull'enorme divano bianco posto nel mezzo della sala, stavano silenziosi, mano nella mano. Entrambi guardavano il mare immenso che si stendeva davanti ai loro occhi, come un quadro naif incastonato nell'ampia vetrata che dava sulla veranda, in prossimità della spiaggia.

"Ogni volta è un'emozione", disse l'uomo quasi parlando a se stesso.

"Cosa dici?", chiese vaga la donna.

"Il mare. Quando guardo il mio mare, l'oceano australiano, mi sento i brividi addosso, mi emoziono, mi sento appagato".

"Dopo giorni come questi, l'unica cosa che mi appaga è un bel bagno seguito da una giornata di sonno", replicò Danielle, come a voler troncare una conversazione di cui non aveva voglia. Fece per alzarsi.

"Aspetta", la pregò Russell, "guarda, … guarda ora, è l'alba. In nessuna parte del mondo ci sono albe così belle", concluse estasiato di fronte allo spettacolo della natura che ogni mattina celebra la sua rinascita.

"Oh, Russ, che sciocchezze! Non sarà la prima volta che vedi sorgere il sole".

"No, ma ogni volta è diverso. E poi - le si avvicinò con l'intenzione di abbracciarla - oggi è più diverso del solito", finì con un sorriso, cercando la complicità della donna per un bacio.

"Ti prego, Russ, sono stanca morta. Non mi interessano né il mare né l'alba, ora. Lasciami andare", lo respinse infastidita.

Deciso a non arrendersi al suo rifiuto, l'attirò più vicina a sé e le sussurrò: "Sei proprio sicura di non voler cedere alle brame del tuo …. futuro marito?"

Finalmente lo guardò, perplessa.

"Russ, stai bene? Cos'è questa tenerezza? Fare l'amore adesso non sarà certo diverso da prima".

"Io credo di sì. Ora abbiamo un legame in più, un patto, un impegno reciproco".

"E da quando dai importanza ai patti e agli impegni? E cosa cambia nel nostro modo di fare sesso?", domandò lievemente ironica.

Lui ci restò male, quell'ironia gli parve inopportuna e fu lui stavolta a guardarla sorpreso. I begli occhi blu si rabbuiarono e si strinsero nello sforzo di comprendere il significato di quelle parole.

"Danielle, che intendi dire?"

"Russell - gli si rivolse impaziente come a un bambino capriccioso che non vuol capire una cosa tanto ovvia - tu hai avuto tante donne, anche quando stavamo già insieme, puoi negarlo? E io ogni volta ti ho perdonato e forse non hai mai saputo quanto mi facevi soffrire. Non ti sei mai chiesto cosa provavo nell'apprendere dai giornali, dai pettegoli di Hollywood, da TUTTI, le tue avventure galanti in giro per il mondo. Il gladiatore, il nuovo Marlon Brando, il divo australiano più amato fa strage di cuori femminili". Aveva parlato via via con più foga e si fermò per riprendere fiato.

"Hai ragione, non posso negare niente del mio passato e ho anche il coraggio di non rinnegarlo, perché ho sempre saputo quel che facevo. Ma ora, ora Danielle, è diverso, ora è cambiato tutto, IO sono cambiato. Ora io amo te, ti amo, capisci? Non sei una scappatella, sei il mio impegno per il futuro. Non è forse vero che ti ho voluta accanto per condividere con te non solo i miei successi, ma la mia vita, quella vera, quella privata? E tutte le donne che mi attribuiscono … sai bene che i giornali sparlano volentieri per vendere più copie. Anche tu sei un personaggio pubblico: è il prezzo da pagare alla notorietà. E anche se le scappatelle ci sono state, è chiaro che non voglio quel tipo di donna, io voglio te".

Le parole gli erano uscite rapide e decise; era assolutamente convinto di quel che aveva detto e si aspettò di vedere sul volto della donna un cenno di assenso, un riscontro alla sua "difesa" appassionata.

Ma negli occhi di lei non lesse corrispondenza al suo sentire; gli parve, anzi, di averla irritata ancor di più. Intanto, quasi per allontanarsi da lui, si alzò.

"Senti, Russ, riprendiamo la discussione un'altra volta, quando saremo più lucidi e riposati, oppure un altro giorno, quando gli eccessi di queste settimane saranno smaltiti", concluse sbrigativa ma sforzandosi di essere gentile; non voleva ferirlo né innervosirlo, il suo più ardente desiderio era andare a dormire, anche senza bagno. Gli si accostò, si chinò con le labbra sulla fronte per dargli un bacio.

"No."

"No?"

"Non puoi andartene così. Devo capire", riprese lui in tono risoluto e più distaccato, guardingo, diffidente addirittura, mentre un sottile ma crescente disagio gli si insinuava nel cuore e nella mente.

"Russ, ma cosa c'è da capire …!? - piagnucolò lei - te l'ho già detto, sono stanca, non sono in grado di ragionare".

"La stanchezza non c'entra - la voce di lui era grave e profonda - tu non mi credi. Anzi, non credi IN me".

Si era alzato dal divano; passeggiando nervosamente davanti alla vetrata con le mani in tasca, ogni tanto volgeva lo sguardo al mare, quasi a sperare in un testimone di quei momenti che, lo sentiva, sarebbero stati importanti.

Danielle si rese conto che faceva sul serio.

"E va bene. Cosa vuoi sapere?". Si sedette di nuovo, abbracciò un cuscino e si rassegnò alla discussione.

Senza voltarsi, le chiese scandendo bene le parole: "Perché ti sei innamorata di me?"

"Russ, che razza di domanda è?"

"Rispondimi, per favore", il tono era gentile, ma sentì una stretta in fondo al cuore.

"Sai che non è facile razionalizzare un sentimento come l'amore… Ti amo perché… perché sei forte e tenero come Maximus, aggressivo e dolce come Bud, genialoide come Nash. Hai le qualità di ognuno di loro", concluse con un sorriso (lui infatti ora la stava guardando, come a soppesare le sue parole), confidando di convincerlo velocemente.

Lui, invece, non rimase persuaso da quella risposta, che gli pareva costruita e forzata. Si accorse anzi che gli aveva fatto male, ma non lo dette a vedere. La guardò a lungo, in silenzio, pensieroso, finché commentò: "Questi non sono io. Io sono Russell e credevo di essere io la persona, non il personaggio, che ti ha fatto innamorare …". La voce era bassa e roca, il ritmo delle parole era lento, parole che ora gli uscivano a fatica, ad incontrare una realtà ben diversa da come l'aveva vista fino ad ora.

Danielle notò lo sforzo del suo uomo, ne rimase colpita, ma non riusciva a capire il senso di quel turbamento.

"Russell, ma certo che sei tu, tu che in ogni personaggio metti qualcosa di te stesso. Non è questo ciò che fa l'attore? Non è questo il gioco bello ed intrigante, affascinante, divertente, dell'attore? Chi recita presta un po' di sé al suo personaggio e questi, a sua volta, gli regala qualcosa, lo arricchisce".

"Senti, non siamo qui a fare della psicologia spicciola sul mestiere dell'attore e sulla sua capacità di liberarsi poi dai personaggi che interpreta! Ti ho chiesto un'altra cosa, per me fondamentale, ora più che mai. Rispondi a QUESTA domanda: sei sicura di essere innamorata di ME, di Russell Crowe?", ora il tono era perentorio, e aveva alzato la voce, quasi spazientito.

"Non ti capisco, francamente non so che ti succede così, all'improvviso. Mi addolora questo tuo indagare, mi stupisce. Sono mesi che stiamo sempre insieme: abbiamo viaggiato, ci siamo visti sul set, abbiamo annunciato il nostro imminente matrimonio … Non sei tu, forse, a non essere sicuro di sposarmi? Da cosa nasce il tuo sospetto? Perché non ho apprezzato la tua alba? Perché ora non ho voglia di fare l'amore? Spiega anche a me, per favore!"

Danielle adesso, in piedi di fronte a lui, lo guardava con aria di sfida.

Una vampata di calore percorse il corpo dell'uomo, sentiva montare la rabbia, ma si trattenne, deciso ad affrontare con lucidità quella discussione che si stava rivelando sempre più complicata. Si impose di essere pacato.

"Avrei voluto sentirti rispondere che mi ami perché, anche se è passato qualche anno, ritrovi in me il ragazzo, o l'uomo se preferisci, che conoscevi quando non ero nessuno, quando non ero famoso. Vorrei sentirmi dire che per gli altri sono un bravo attore, sì, ma per te, per la MIA donna, io sono il TUO uomo, non il divo celebre e decorato dall'Oscar!"

"Cosa vorresti intendere? Che sto con te perché mi fa comodo? E' questo che pensi di me? Quindi io sarei rimasta ad aspettarti solo perché voglio portarti in giro come un trofeo da esibire al mondo?"

"Io non ho mai pensato niente del genere e mi stupisce che TU lo dica di te stessa!"

"Un momento, Russ! La discussione così non ci porterà a nulla. Ragioniamo con calma".

"Non chiedo di meglio!" L'espressione era dura, quasi cattiva, gli occhi brillavano di dolore rabbioso, tutta la sua persona diceva di un indicibile e inaspettato travaglio interiore.

Danielle ne fu impaurita. Tanto più si sforzava di calmarlo e spiegarsi, quanto più le uscivano parole sbagliate. Abbandonato l'atteggiamento di sfida di poc'anzi, lo prese dolcemente per le mani e lo fece sedere. Lui si lasciò fare, ma non smise di guardarla con fare indagatorio.

"Russell caro, non puoi dubitare del mio amore per te. Bene, hai ricordato il nostro passato insieme, quando avevamo i nostri sogni giovanili da realizzare. Quanto a lungo ne abbiamo parlato! E ora, dopo una parentesi di separazione, eccoci di nuovo accanto, adulti e appagati, almeno in parte. Stiamo per sposarci, e il sogno sarà completamente realizzato… non è così?", chiese infine con trepidazione, fissandolo tenera e ansiosa negli occhi.

 

Ancora oggi ricordava perfettamente l'espressione di Danielle; chiedeva un'altra possibilità, un appello. Vi si leggeva il rincrescimento (a prima vista sincero) per quello che aveva detto con una certa improntitudine, forse davvero condizionata dalla stanchezza … Ma poteva essere altrimenti, il momento della verità più profonda.

Bevve con rabbia un altro whisky e continuò a vedere nello specchio le immagini di quella sera.

 

Era incerto ora, non sapeva cosa dire. Sospirando si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto dormire, ritornare indietro, non insistere con l'alba e con le brame da promesso sposo, non avere mai cominciato quella tremenda discussione. Sentiva che Danielle stava aspettando le sue parole, che nemmeno si muoveva per non disturbarlo. Perché si sforzava di capirlo ADESSO che lo aveva visto inquieto? Perché lo addolciva ORA, mentre poco prima gli rinfacciava di non saper tenere gli impegni? Perché solo pochi minuti prima non si fidava di lui e ora gli ricordava gli anni della loro gioventù?

Sospirò di nuovo e si decise a rompere quel silenzio carico di attesa. Mentre parlava non la guardava, fissava il mare cercando di trovare in un punto lontano da loro un'argomentazione forse non risolutiva, ma che lasciava intravedere una possibilità:

"Io credo, Danielle, che dobbiamo prenderci una pausa di riflessione, per capire meglio di noi stessi, per valutare se il passo che abbiamo programmato nasce dalle stesse motivazioni. Forse tutto questo agitarsi dei mass-media intorno a noi ha stordito te più di me, e non riesci a comprendere in fondo te stessa nei miei confronti. Io per te voglio essere IO, non un fantasma delle mie interpretazioni. Prima probabilmente ho esagerato e ti ho ferita, ma devo essere sicuro che mi vuoi per me stesso".

Ci fu ancora silenzio. La donna lo guardava stupefatta e impietrita. Ma quando riuscì a realizzare il senso di quel che aveva sentito, la sua reazione fu rabbiosa e incontrollata, sull'orlo della crisi isterica:

"Vuoi dare a me lo stesso benservito che hai dato a Meg Ryan? Credi che io sia così ingenua da crederci? Qual è la verità VERA, eh, mio caro Russell Crowe? Mi hai imbambolato con un anello da 200.000 dollari ma intanto hai già un'altra lupacchiotta fra le grinfie? Credi proprio che a te tutto sia concesso e perdonato perché sei una star? Non ti sei accorto che non hai vinto l'Oscar per la seconda volta perché ti hanno voluto punire? La mia presenza accanto a te forse può farti accettare meglio, non ci hai pensato? Pausa di riflessione, valutare, i mass-media …. Balle! Tu mi vuoi scaricare, semplicemente. Ma siccome non hai il coraggio, come tutti gli uomini del resto, di dirlo apertamente, inventi la storia del mare, dell'alba e degli amplessi romantici da marito e moglie!!"

Era una vera e propria raffica che lo assalì, un temporale di cattiverie ed equivoci. L'uomo si sentì letteralmente travolgere, gli sembrò di andare in caduta libera verso una realtà buia e tetra, un tunnel senza fine. La voce gli rimase strozzata in gola e guardava il viso sconvolto della SUA donna vedendovi qualcosa che lo spaventò, quel "vizio" tanto diffuso nel genere umano che odiava più di ogni altro: l'ipocrisia!

Fra le tante cose che aveva sentito, lo addolorò profondamente il riferimento a Meg. Era il suo punto debole: dopo la fine della loro storia, infatti, si era reso conto di averle fatto male, molto male. Purtroppo non l'aveva capita, allora, e gli era rimasto il rimorso e il rimpianto di non poter rimediare. Oltre tutto, Meg gli era rimasta amica e ogni tanto si sentivano. E durante quei colloqui lui era sempre molto tenero e disponibile verso di lei.

Assorbito in qualche modo il colpo, si alzò lentamente, avanzò di qualche passo verso Danielle fissandola con quegli occhi che sapevano parlare più della bocca; stringeva i pugni per scaricare la tensione eccessiva ed evitare di metterle le mani addosso. Alto e imponente sopra di lei, seppe tuttavia esprimersi misurando parola per parola, in apparenza calmo e controllato. La voce era poco più di un sussurro:

"Esci immediatamente da questa casa e dalla mia vita! Non hai capito niente di me. Non t'importa niente di ME. Non voglio il tuo "sacrificio" per rendermi "accettabile" agli occhi degli ipocriti benpensanti. Vai pure da loro, ti ci troverai a meraviglia!"

Le voltò le spalle e senza darle il tempo di replicare si recò nella veranda. Si buttò sulla poltrona, con gli occhi velati di lacrime fissò lo sguardo al mare. La creatura d'acqua sembrava quasi partecipe del suo stato d'animo: in pochi minuti le onde si agitarono in uno spasimo che faceva eco al suo dolore impotente.

Rimase così per un tempo incalcolabile, del cui trascorrere si accorse solo quando il sole stava per tramontare.

 

Anche ora, vedendosi riflesso allo specchio dietro il bancone bar, non avrebbe saputo dire da quante ore si trovava lì.

Con un immenso sforzo decise di tornarsene a casa. In auto gli apparve il volto dolce e rassicurante di Meg: probabilmente stava in pensiero per lui, ma sapeva che non gli avrebbe chiesto niente e lo avrebbe accolto con un sorriso. L'immagine gli scaldò il cuore e, giunto a casa, si sentiva piuttosto tranquillo.

La trovò davanti al computer. Prima di farsi vedere, si soffermò a guardarla. I capelli biondi di media lunghezza le davano l'aria di eterna ragazzina; magra e sottile, slanciata, era adorabile per gli occhi grandi e chiari, luminosi, svegli e vivi, intelligenti; la bocca, piccola e ben disegnata, sembrava imbronciata, ma quando sorrideva, tutto il volto irradiava una luce spontanea, sincera, fresca.

In quel momento era assorta; ogni tanto si illuminava come davanti ad una meraviglia e gli occhi le brillavano più che mai.

Si fece avanti senza far rumore e quando lo vide, ebbe un sussulto, ma lui si accorse che si sentiva sollevata.

"Russell, sei tu … mi hai quasi spaventata!"

"Mi sono fermato a guardarti …", le disse con un cenno di sorriso. Non vide il lieve rossore sul volto di lei. "Cosa stai guardando con tanto interesse?"

"Sto navigando, in Internet - aggiunse quando lui fece un'aria stupita -. Ci sono un sacco di cose interessanti".

"Ah sì? Per esempio? Lo sai che non mi piace quell'arnese. Pieno di roba, ma sei solo davanti .. a chi? Non guardi in faccia nessuno, e nessuno guarda te".

"Sì, può esser vero, ma tu sei troppo prevenuto. Basta usarlo con criterio e non farci condizionare troppo".

"E che stai vedendo adesso?"

"Guarda tu stesso, avvicinati", rispose con aria misteriosa, e gli fece posto accanto a lei.

Russell si mise davanti allo schermo. Dapprima con diffidenza e poi con stupore, vide decine e decine di immagini. Le SUE immagini, era LUI: tratte dai suoi films, dalle riviste, della sua vita privata. E parole, un fiume di parole su di lui: l'uomo, l'attore, il cantante, il rissoso, il play-boy, e tante, tante, tantissime altre.

"La gente non ha proprio niente di meglio da fare che spiare nella vita degli altri?", chiese con rabbia, parlando più a se stesso che a Meg.

"La gente ti ama, Russ", gli si rivolse lei con un tono che esprimeva tutto il suo affetto preoccupato per lui.

"Mi ama? E che ne sa di me? Quello che ne dicono i giornali, i pettegolezzi, le chiacchiere insulse!"

"No, almeno non solo. Molte donne, per esempio, ti vedono come il loro ideale di uomo, come l'incarnazione dei loro intimi desideri, dei loro sogni più inconfessabili, come ….". Non la lasciò finire:

"Non hanno i LORO uomini, queste donne? Sono frustrate nella loro vita? Che c'entro io? E poi, queste donne così pronte a sognare di un altro uomo, non vedono ME, vedono Maximus, Bud, Hando, John, Jack! Non capisci? Anche loro non amano ME, amano i miei dannati personaggi!!"

Lui stesso rimase sconvolto da quel che aveva appena detto: gli tornarono subito alla mente le parole di Danielle.

Meg non sapeva cosa dire, si sentiva in colpa per avergli fatto vedere quel sito che a lei era sembrato così bello e interessante. Chi lo teneva in rete lo faceva per diletto, per sognare, senza chiedere niente in cambio; e le sembrava che avrebbe potuto aiutare Russell a ritrovare la fiducia in se stesso, nella vita e nella professione.

Quel mestiere di attore che per lui era sempre stato il suo modo naturale di esprimersi, ora Russell lo viveva come una maledizione, come un incubo che lo aveva reso immobile e inespressivo di fronte alla macchina da presa.

Dopo l'addio a Danielle e il successo mondiale di "The far side of the world" (simile a "Il gladiatore"), il set cinematografico lo angosciava, lo bloccava, lo impauriva. Ron Howard, che lo aveva chiamato per "The Cinderella man", convinto di ripetere la fama di "ABM", era rimasto colpito dal cambiamento radicale di Crowe: insicuro, impacciato, arrivava spesso in ritardo, non sapeva le battute né riusciva ad improvvisare, cosa che invece in passato gli era naturalissima. L'ultima volta che si presentò sul set, durante una scena sul ring, dovette intervenire aiutato da due comparse: stava letteralmente massacrando di pugni il suo sfortunato avversario.

Da allora, nessun regista lo aveva più cercato.

La donna si alzò, gli prese il viso fra le mani, lo appoggiò al seno con fare materno e lo accarezzò, proprio come un bambino. Anche lui l'abbracciò, si aggrappò a lei come a un'ancora di salvezza e finalmente ebbe il coraggio di sfogare nel pianto tutto il suo dolore, l'orgoglio, il tormento di mesi, l'affanno che lo soffocava. Lei accolse in silenzio quel virile pianto liberatorio e gli fu grata per averla fatta partecipe di una tale confidenza.

Le braccia forti e maschie di Russell intorno ai suoi fianchi la fecero fremere: ebbe sulla pelle il ricordo di ben altri abbracci. Ne fu turbata, ma non si mosse, mentre una calda ondata di piacere le attraversava il corpo. Non era il momento di tali fantasie, lo sapeva bene, ma non poteva impedirsi di riandare indietro nel tempo, quando lui era suo.

L'uomo si staccò da lei. Gli occhi bassi, pareva vergognarsi per essersi lasciato andare, ma nello stesso tempo aveva bisogno di parlare, di dire tutto quello che gli si agitava dentro.

"Io non so più chi sono - iniziò con un filo di voce - Non so cosa pensare. Mi sento strano, smarrito, … sfiduciato, deluso".

Meg avrebbe voluto replicare subito, ma capiva che doveva lasciarlo parlare.

"Ho amato il mio lavoro e oggi mi sembra un incubo. I personaggi che ho interpretato mi schiacciano, vivono al posto mio. E se avessi sbagliato tutto? Se avessi recitato sempre? Perché altrimenti la gente mi confonderebbe con loro?"

Alzò gli occhi verso Meg, con la muta richiesta di dargli, se possibile, una risposta. Lei aveva gli occhi lucidi, non sopportava di vederlo soffrire così e dentro di sé provava un rancore profondo verso la donna che, secondo lei, era stata determinante per la crisi di Russell. Tuttavia, tenne nascosto questo sentimento negativo, e gli parlò con tutta la dolcezza di cui era capace (soprattutto con lui):

"Ti sbagli, Russ. Non hai sbagliato niente. Il tuo è un talento naturale, che pochi attori possiedono in modo così … così evidente, semplice. Tu stesso hai affermato più di una volta che noi attori facciamo qualcosa di importante per gli altri: incarniamo storie, spesso verosimili, di cui la gente ha bisogno per sognare, per evadere dalla realtà almeno per due ore, per riflettere, … per tanti altri motivi".

"Allora - commentò sarcastico - o siamo assistenti sociali o dei grandi imbroglioni che vendono illusioni, e ci facciamo su dei bei milioni di dollari, oltre tutto!"

"Prima non la pensavi così".

"Sbagliavo!"

"E se stessi sbagliando adesso …?"

Russell si alzò di scatto, fece due o tre passi avanti e indietro, nervoso, un leone in gabbia. Poi si fermò in mezzo alla stanza. Il suo sguardo si posò sul computer.

"Prima mi hai fatto vedere le mie foto su un sito. Chi sono quelle foto, eh? Non sono IO, sono LORO, e chi le vede, e chi le prepara, vede LORO, non ME!"

"Non prendertela con il sito, cerca piuttosto di capire PERCHE' ce l'hai tanto con te stesso. Non lo vedi? Sei tu il bersaglio di te stesso! E' te che vuoi punire, … ma perché? Di che cosa?"

Sconsolato e confuso, le andò vicino e la fissò in uno strano modo, come se solo ora si rendesse conto che da alcuni mesi (quanti?) Meg stava nella sua casa come un angelo custode, presente ma discreta, vigile ma rispettosa della sua libertà. Non riusciva a ricordare come mai era capitata lì.

"Meg, come sei arrivata qui? Ti ho chiamata io? Perdonami, non lo ricordo …"

La bocca della donna, deliziosamente imbronciata, si aprì in un indulgente sorriso che le fece brillare gli occhi. Lui la trovò meravigliosa.

"No, non mi hai cercata tu. Mi ha chiamata tuo fratello, preoccupato per te. Mi ha chiesto se ero libera e …. eccomi qui!"

"Ma tu hai degli impegni, hai un figlio, … lo stai trascurando per colpa mia …."

"Non ti preoccupare, è al campeggio con la scuola per qualche mese. Il resto … può aspettare", concluse sbrigativa, e gli sorrise di nuovo.

Russell le si avvicinò di più, le accarezzò una guancia: la sentì calda e morbida. Avrebbe voluto baciarla, ma non lo fece, forse non era il caso.

Meg provò un leggero capogiro, emozionata come una ragazza al suo primo appuntamento, ma si sforzò, ancora una volta, di non darlo a vedere; forse non era il caso …, non ancora.

Non riusciva a staccare gli occhi da quelli di lei, grandi, azzurri, limpidi e sereni come il cielo australiano che in quei giorni contemplava spesso, a cercare oblio e riposo dai suoi pensieri. Si sentì rassicurato: nello sguardo di Meg si sentiva amato per se stesso, accettato senza contestazioni, apprezzato per quello che era. Lei, lo intuiva bene (il passato insieme a lei non era stato cancellato), non vedeva in lui il divo, l’interprete, ma l’uomo, la persona spogliata del personaggio.

In un impeto di riconoscenza l’abbracciò stretta stretta, con gli occhi chiusi ad assaporare meglio quel caldo contatto umano che forse avrebbe cominciato a sciogliere il gelo interiore che lo aveva accompagnato per tanti, troppi giorni.

E quando sentì che lei rispondeva al suo slancio, tutto il suo essere fu attraversato da un turbamento nuovo e antico, e anche lui riconobbe nelle braccia e nel corpo della donna che gli si donava, il sapore di un amore finito troppo presto, incompiuto.

Ne fu sollevato e impaurito: non voleva sbagliare ancora, non con Meg.

La allontanò dolcemente da sé: “Si è fatto molto tardi. Meglio andare a riposare”.

“…sì, …. Dormirai stanotte?”, gli chiese ansiosamente.

“Sì, credo di sì ….. almeno ci provo…”; le sorrise di nuovo mentre si avviava verso la porta, senza smettere di guardarla.

Nella sua stanza, seduta sul letto con le mani in mano, Meg rifletteva. Suo malgrado, una tenue speranza si faceva strada nel suo cuore, ma non voleva cedere troppo a quelle sensazioni, non per il momento.

Il mattino seguente Meg cercò subito di Russell. Non lo trovò nella veranda. Chiese di lui, ma nessuno lo aveva visto. Cominciava a preoccuparsi, quando si sentì chiamare :

“Meg, sono qui. Buon giorno”.

“… buon giorno…”, rispose sorpresa e lo osservò attentamente. La barba rasata di fresco, curata nei contorni del viso; i capelli lunghi e ondulati brillavano al sole mattutino; la camicia bianca e fresca di bucato, appena aperta sull’ampio petto nudo; i jeans finalmente puliti, disegnavano la sua figura atletica anche se robusta, ne risaltavano la prestanza fisica dell'uomo nel pieno del suo vigore. Sembrava un altro, o meglio, il Russell che lei conosceva e amava (? ) (o aveva amato tanto tempo prima?). Ma era l'espressione del viso ad attrarla: improvvisamente sereno dopo tanti giorni cupi, lo sguardo aperto e fiducioso dopo tanta avvilente tristezza. E il suo sorriso: intrigante e affascinante più che mai, da farle venire le lacrime agli occhi. Non avrebbe smesso di contemplarlo, e nello stesso tempo temeva fosse una visione destinata a scomparire.

Russell, invece, si era avvicinato a lei e le aveva sfiorato la guancia, tenero e dolce come un bambino che vuol farsi perdonare un capriccio.

Meg si scosse dai suoi pensieri: "Ti trovo bene, questa mattina".

"E' vero. Sto bene come, …. come se fossi rinato. Credo sia anche merito tuo…"

"Se lo è, tu hai però…. collaborato."

"Che programmi hai per oggi?"

"Niente di particolare. A dir la verità non ci ho ancora pensato. E tu?"

"Ti va di stare insieme? Pensavo di prendere la jeep e andare, così, in giro, senza una meta precisa. In città …. No - si rabbuiò improvvisamente - non ho voglia di vedere gente. Andiamo lungo il mare… vuoi?"

"Va bene, ci sto."

Si fecero servire la colazione in veranda. L'alba era sorta da un pezzo. I colori del mare e del cielo erano luminosi e vivaci, ispiravano ottimismo e buon umore. Ad un certo punto entrambi si erano voltati verso il sole, stringendo gli occhi per la troppa luce. Meg si accorse della sintonia dei gesti e volle pensare ad un auspicio, ad un segno positivo inviato dal destino, un segno buono per loro due… Si mise inavvertitamente la mano sul cuore e chiuse del tutto gli occhi, quasi ad esprimere un desiderio.

Poco dopo erano in auto, finestrini aperti per sentire il vento sulla faccia, la musica dei Tofog … "Russ, era da tempo che non ascoltavi questa musica", gli disse piacevolmente sorpresa.

Lui si limitò a sorridere e come risposta alzò il volume del CD.

Viaggiarono per circa un'ora. Si fermarono in una insenatura nascosta dalla vegetazione, sconosciuta ai più. Non c'era proprio nessuno. Era quello che lui voleva.

Scesero e si incamminarono lentamente verso la spiaggia, fino a toccare l'acqua, fresca e spumeggiante.

Per un po' non parlarono. Poi lui invitò Meg a sedersi e furono di fronte al grande oceano. Il sole non era troppo caldo e soffiava una leggera e piacevole brezza marina.

"Ti stai annoiando?", le chiese con gentilezza.

"No, affatto. Mi piace essere qui, di fronte al mare infinito, ascoltarne la voce, osservare le onde. E' come sentirne il respiro vitale, il tutto da cui nasce la vita … E' una sensazione inebriante." Aveva parlato come rapita dalle sue sensazioni e portata altrove.

"Sai, quando cercavo di … di dire a Danielle - si fermò un attimo, pensando se era giusto parlare di lei, ma ormai il discorso era avviato - sì, insomma, ogni volta che cercavo di farla partecipe delle mie emozioni, lei si allontanava da me, come se le sembrassero sciocchezze", concluse con un velo di tristezza nella voce.

Meg lo ascoltava attenta, senza intervenire.

"E ora, quando ti ho sentita descrivere quello che anch'io provo di fronte al mare, mi sono ricordato di quell'ultimo incontro con lei. Ma mi fa meno male…". Continuava a guardare il mare, con gli occhi offuscati di malinconia.

Riprese a parlare, ne sentiva l'urgenza dopo mesi e mesi di ostinato e cupo silenzio, un silenzio che lo teneva oppresso, schiacciato dal ricordo di un'alba che aveva segnato la fine …. di un amore? Di un'illusione? E chi si era più illuso tra lui e Danielle? Chi aveva veramente amato l'altro?

Raccontò tutto. Alla fine era riuscito a liberarsi il cuore, l'anima e la mente.

Parlò per ore e ore, ripercorse come in un flash-back tutte le ansie, i dubbi, le paure, i sogni perduti, gli insuccessi, l'isolamento in cui si era lasciato andare, in cui si era voluto rinchiudere per difendersi dal dolore, dal panico di aver fallito la sua vita.

Meg lo ascoltò fino in fondo, ora commossa ora indignata verso quella donna che non le era mai piaciuta (era gelosia?), ma cercando di non far trapelare ciò che le parole di lui le suscitavano nell'intimo. Si arrese all'evidenza e ammise a se stessa, solo a se stessa, di essere ancora profondamente e irrimediabilmente innamorata di lui. Ora che ne conosceva la fragilità, lo amava ancora di più e lo stimava per il coraggio di mostrarsi nella sua debolezza.

"L'ultima cosa che mi ha fatto molto male è aver trovato nel posacenere l'anello di fidanzamento che le avevo regalato …". Così interruppe la sua lunga "confessione".

Stettero in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Infine Meg si decise a parlare:

"Stai meglio?"

"Devo ammetterlo, sì, mi sento leggero, libero di respirare…e … sono di nuovo Russell Crowe, interprete famoso di personaggi memorabili!", finì la frase simulando ostentata vanità.

Risero entrambi alla battuta spiritosa.

Tuttavia quelle ultime parole rimasero nell'aria come una scia, pronunciate forse per caso oppure dettate dall'inconscio. L'uomo ne fu vagamente infastidito, ma per il momento non le volle soppesare.

"Meg! E' quasi l'una! Andiamo a mangiare qualcosa?"

"Dove?"

"Lo vedrai".

Si alzò di scatto, la prese per mano quasi sollevandola e correndo come due ragazzini furono alla jeep.

Il ristorante era poco distante dall'insenatura. Vista sul mare, pochi clienti e discreti, discreto pure il personale, che conosceva benissimo l'attore e riconobbe la donna, ma senza darlo a vedere, rispettoso e riservato della loro presenza.

Il pranzo era squisito, i cibi semplici e prelibati, il vino frizzante: un'atmosfera leggera e serena, una complicità rinnovata fra loro, che fece trascorrere il tempo in fretta, sebbene si fossero attardati fin quasi al tramonto.

Sulla via del ritorno, Meg fu vinta dal sonno: il vino, il cibo e le emozioni di quella giornata inaspettatamente gioiosa l'avevano stremata; aveva bisogno di una pausa senza pensieri. Russell, invece, si sentiva pieno di energia, vivo e cosciente come non era da tempo. Mentre guidava, si scopriva ogni tanto a spiare il volto addormentato della donna che aveva accanto. Provava per lei tenerezza, affetto, riconoscenza, profonda amicizia. Però, si accorse, il corpo di lei abbandonato languidamente sul sedile, e la testa che a ogni scossa dell'auto si avvicinava alla sua spalla, lo attraevano e lo emozionavano. Una volta erano stati amanti, chissà quanto consapevoli, forse lei più di lui, perché le donne, si diceva, danno sempre più degli uomini. Non è sempre vero, si scoprì a pensare, non tutte le donne sono come Meg.

Approfittando di una scossa più forte, Russ fece passare il suo braccio intorno alla testa di lei e se la tenne stretta al petto. Diminuì la velocità, per prolungare il piacere del contatto e ogni tanto le sfiorava i capelli e la fronte con un bacio. Voleva proteggerla come lei aveva protetto e curato lui in quei lunghi mesi di oblio da se stesso.

 

Quando arrivarono a casa, il sole era tramontato e sulla superficie del mare cominciavano a brillare le prime stelle. Affascinato dalle tremule luci lontane, Russell si attardava sull'auto, ormai ferma. Meg aprì gli occhi. Ebbe bisogno di una manciata di secondi per riaversi pienamente, e in quegli istanti troppo brevi eppure così intensi, si lasciava cullare dal ritmo del respiro dell'uomo sul cui petto stava beatamente appoggiata. Anche questo non abbiamo saputo vivere, allora: la lentezza rassicurante del tempo; il suo pensiero era stato più veloce della sua capacità di organizzarlo e si staccò con gesto repentino da lui.

"Siamo arrivati… ma è così tardi?", realizzò completamente che la giornata era trascorsa, troppo breve, troppo veloce.

"Già", le rispose lui di rimando, anch'egli dispiaciuto della fine di quel giorno.

Scesero insieme, improvvisamente a disagio, imbarazzati, timorosi di guardarsi negli occhi, ma con il prepotente desiderio di farlo.

"Vado a rinfrescarmi - disse lei in fretta, ad evitare ulteriori discorsi - ci vediamo dopo, magari …"

"D'accordo, anch'io ho bisogno di una doccia. A dopo".

In qualche modo si erano dati appuntamento.

Parlare con Meg gli aveva fatto bene. Si sentiva addosso, però, la spossatezza tipica della convalescenza. Comunque un passo era stato fatto e vedeva più chiaro in se stesso: Danielle era stato il suo fallimento, ne aveva sofferto, forse ne soffriva ancora, ma con meno asprezza. Al volto di Danielle si sovrapponeva quello di Meg.

Sdraiato sul letto ad occhi chiusi, con le mani incrociate dietro la testa, desiderò rivederla, parlare ancora con lei.

La trovò davanti al computer e, come la sera prima, si fermò ad osservarla prima di rivelare la sua presenza, ma stavolta lei lo precedette:

“Ti ho sentito arrivare…”.

L’imbarazzo di prima sembrava svanito.

“Anche stasera stai navigando? E qual è la meta?”

“Promettimi prima di non arrabbiarti.”

“Lo giuro!”, rispose lui alzando la mano destra sul cuore.

Stava per aprire bocca ad esprimere il suo dissenso, ma ancora lei lo anticipò:

“Ho trovato un sito italiano, su di te, tutto dedicato a te. Guarda!”

“Mi sembra simile all’altro”, rispose strascicato e infastidito, ma cercò di reprimere il suo disappunto.

“No, guarda meglio. Ci sono le foto, i files video e audio, gli articoli su di te, è vero. Ma qui a sinistra …Cosa leggi?”

“Chat, links, me..ss..a non capisco l’italiano..”
“Messaggeria, e …? Leggi…”

“Uff…. fanfiction. Cioè? Perché dovrebbe interessarmi questa roba?”, disse stavolta decisamente contrariato.

“Hai giurato di non arrabbiarti!”

Si tolse gli occhiali e lo guardò fissa negli occhi, con l’entusiasmo di chi ha fatto una scoperta importante.

"Russ, per favore, ascolta. Questo sito è stato creato da donne normali, con una vita normale, molte sono sposate e hanno figli, lavorano, studiano, ce ne sono di tutte le età. Si ritrovano quotidianamente per TE, parlano di TE, sognano di TE, scrivono di TE e su di TE! Lo capisci che vuol dire? Passano parte del loro tempo anche con te e per te. Tu le hai ispirate a scrivere racconti e poesie, a dipingere tuoi ritratti. Le fai sognare, ti seguono nella carriera, ma anche nella vita privata. Tu dai volto ai loro ideali, ai loro desideri più intimi. Non amano di meno i loro uomini o la loro famiglia, ma quando dedicano tempo a se stesse, è te che cercano. Non ti sembra straordinario? E non è vero che vedono solo i tuoi personaggi,… certo ti hanno conosciuto tramite le tue interpretazioni, ma non si sono fermate a quel che leggono dalle riviste. Dovresti leggere come sono rimaste deluse dal mancato Oscar per ABM! e quanto hanno gioito per i successi del Gladiatore! Pensaci, Russ, queste donne ti amano per quello che sei, non per quello che appari! Anche le loro opere possono aiutarti a ritrovare te stesso, …"

Aveva accompagnato il suo ragionamento accorato con una tale passione che l'uomo rimase per un po’ interdetto, incapace di orientarsi in quel profluvio di parole, pensieroso e accigliato. Dentro di sé faceva ancora resistenza, combattuto tra la voglia di lasciarsi andare e la diffidenza verso quello che Meg aveva descritto con tanta vivace determinazione. Era chiaro che voleva convincerlo, ma la corazza di cinismo che aveva indossato per difendersi lo teneva ancora prigioniero.

La donna fece tesoro dell'incertezza che leggeva negli occhi di lui per aggiungere:
"Russell, non puoi continuare a rifiutare di vivere la tua vita, la vita che TU hai deciso e voluto. Non si sconfigge la vita, va avanti nostro malgrado, e tu non sei il tipo, non lo sei MAI stato, che subisce gli eventi senza lottare . Accogli la forza che ti offrono queste donne. Non sai chi sono, loro però conoscono te e credono in te. In un certo senso, hai un obbligo verso di loro, se non altro per ricompensarle. Non farle dubitare di perdere il loro tempo per qualcuno che non lo merita".

"Da quanto tempo hai scoperto questo sito? Forse da quando hai cominciato a nascondermi i giornali che sparlavano di me?"

La domanda così diretta la lasciò senza fiato per un attimo, e lui riprese:

"Perché lo hai fatto? Pensavi che non avrei retto a quelle menzogne? Che mi sarei disperato ancora di più?"

Era visibilmente arrabbiato, ma di una rabbia indolente, quasi passiva.

Meg non voleva stare al suo gioco e cercò di minimizzare:

"Leggere quella roba era perfettamente inutile, non dannoso. Non è di quegli articoli che hai bisogno".

"E di che cosa ho bisogno, secondo te?"

Il tono della domanda era sarcastico, indisponente e fece reagire la donna. Si alzò all'improvviso e lo aggredì:

"Adesso basta! Smettila di piangerti addosso! Tu hai bisogno di te stesso … Un proverbio cinese dice il mondo può andare avanti senza di te, ma tu non puoi andare avanti senza te stesso, … quindi …"

"Perché fai tutto questo, Meg?", non la lasciò finire.

" E tu perché fai queste domande nei momenti difficili?"

"Rispondi, ti prego".

Si sedette di nuovo, si rimise gli occhiali e dal cassetto della scrivania trasse un pacco di fogli rilegati in un fascicolo piuttosto voluminoso. Glielo porse:
"Leggi questi e lo saprai".

Lui lo prese per niente convinto e stava per replicare, ma la donna fermò subito quel tentativo:

"E' la traduzione in inglese di tutte le fanfiction del sito italiano. Quando le avrai lette, risponderò alla tua domanda".

"Mi tratti come uno scolaretto …", cercò di replicare, inaspettatamente divertito della situazione che Meg era riuscita a sdrammatizzare.

"Te lo meriti, e anche di peggio ..", gli disse di rimando, sollevata per la tensione ormai svanita. Tra loro era ritornata una certa familiarità cameratesca che aveva caratterizzato quella lunga giornata.

"Ho capito, … buona notte!"

"Buona lettura".

Rimasta sola, raggiunse la sua stanza a passi lenti, assorta. Cadde sul letto, si sentiva esausta, sfibrata. Nell'ultima ora Russell aveva messo a dura prova la sua pazienza e ad un certo punto aveva seriamente temuto l'inutilità dei suoi sforzi. Eppure era riuscita a "farlo cedere". Scivolò nel sonno così, con un lieve sorriso di compiacimento sulle labbra.

Si risvegliò quasi alle otto. Il primo pensiero fu per Russell: il desiderio di vederlo per capire la sua reazione era forte, ma nello stesso tempo la temeva. Non sapeva proprio capire se la lettura di quei testi lo avrebbe scosso o inasprito ancor di più.

Non tardò molto a scoprirlo. Un discreto bussare alla porta e lui entrò. Aveva gli occhi arrossati, la faccia stanca per la notte insonne, l'espressione indefinita. Le si strinse il cuore, ma non ebbe il tempo di aprir bocca che l'uomo le si sedette accanto:

"Sono rimasto sveglio tutta la notte - il tono della voce era basso, quasi un sussurro, e tradiva una certa emozione - e le ho lette tutte, dalla prima all'ultima pagina".

La guardava come a cercare assenso per quello sforzo. Lo lasciò continuare:

"Sono straordinarie! Da quelle della serie Massimo l'immortale alle altre, alle poesie

….. sono diverse, sono toccanti, mi hanno emozionato, mi hanno fatto sorridere, …. Mi hanno fatto riflettere…", abbassò gli occhi, si sentiva in colpa per averle liquidate qualche giorno prima, quasi fossero carta straccia.

"Avevi ragione, Meg. Quelle donne mi amano e io … sono in debito con loro…"

La donna si sentì sollevata, ce l'aveva fatta, la sua caparbietà aveva avuto ragione della resistenza coriacea di lui, un lui che pian piano ricominciava a vedere le cose accogliendo un'altra prospettiva, un lui che le stava di fronte, ancora incredulo per la ricchezza di sentimenti trovata nelle pagine di donne sconosciute, lontane, che si accontentavano di poter sognare e fantasticare su di lui.

"Meg, che devo fare? Anzi - la scrutò sornione - io ho fatto il mio compito, ora tu rispondi alla mia domanda …. Perché fai tutto questo per me?"

"Perché … ti voglio bene, lo sai".

"Dopo quello che ti ho fatto?"

"E' passato ormai, altrimenti non sarei qui, ti pare?"

Gli sembrava che non avesse detto tutto, la sentiva reticente, ma non sapeva se insistere o meno.

"Meg, non so se ti rendi conto del debito che ho con te. Per mesi, e non so nemmeno quanti, hai trascurato la tua vita per me, il tuo lavoro, tuo figlio, il … tuo fidanzato,…."
"Non c'è nessun fidanzato. Ti sono amica, lo sai, e gli amici si aiutano. Tu avresti fatto lo stesso per me".

Non era ancora convinto. Ricordava l'improvviso imbarazzo fra loro della sera prima, il piacere di averla appoggiata al suo petto nella jeep. Ma anche lui non sapeva interpretare bene quei segni. Se lei, saggiamente, era prudente nello svelare appieno i suoi reali sentimenti, lui pure sarebbe stato cauto. Si erano scottati una volta, non era il caso di ripetere.

"Va bene, cara amica. Che facciamo adesso?"

"Una telefonata". La guardò interrogativo, mentre lei pareva gongolare per la sua sorpresa.

"Telefoniamo a Ron".

"A Ron? Ron … quel Ron?"

"Certo, Ron Howard".

"Non capisco. Spiegati, per favore. Che dobbiamo dire a Ron?"

"Ti sta aspettando … sul set", disse lentamente, per farsi intendere bene, perché lui avesse il tempo di comprendere il senso delle parole. "E' il momento di lavorare, non puoi lasciare le cose a metà".

Stava per replicare, ma la donna non gliene dette il tempo e lo costrinse ad ascoltare :

"Sono d'accordo con Ron da mesi. Lui aveva saputo che ero qui con te. Ci siamo sentiti regolarmente, voleva essere informato sui tuoi … progressi. Non ha mai perso la fiducia in te e ha convinto il produttore e il distributore del film ad aspettarti. Il set è ancora lì. Manchi solo tu".

Gli aveva parlato con dolcezza, ma con decisione, a far capire che non erano ammesse repliche, che ormai Russell poteva farcela. L'espressione del volto dell'uomo cambiava via via che Meg spiegava la situazione: dallo stupore all'incredulità, dallo smarrimento alla consapevolezza, del tutto inaspettata, che i suoi migliori amici non lo avevano mai perso di vista in questo periodo, alla profonda e commossa gratitudine per il loro sostegno incondizionato, donato senza che lui nemmeno se ne accorgesse.

Rimase qualche minuto ancora silenzioso, incapace di dire una parola, mentre non riusciva a staccare gli occhi dal bel volto radioso di quella donna che gli rivelava un affetto - o era amore? Se lo chiese in un lampo e una fitta al cuore lo stordì - straordinario. Mai come in quei giorni orrendi era stato solo, eppure mai si era sentito amato come in quel momento. In un istante comprese come doveva essere stato insopportabile, forse crudele, certo egoista, perché vedeva solo il suo dolore e si lasciava andare compiaciuto alla deriva.

Ora sentiva acuto il senso di colpa, non poteva più aspettare: c'erano troppe persone che non poteva, che non voleva più deludere; Meg per prima, Ron, e sicuramente le donne del sito italiano che gli avevano dedicato un po' di se stesse.

Quando finalmente concluse i suoi turbinosi pensieri, la voce gli uscì incerta, umile:

"Va bene, ho capito. Quando si parte? Perché tu… verrai con me, vero?".

“Mi piacerebbe, ma, come hai detto, ho trascurato alcune faccende che ora devo riprendere in mano. Ti seguirò lo stesso, staremo in contatto, c’è il telefono, c’è… il computer. Sarò comunque con te, a sorvegliarti…”.

Voleva essere spiritosa e rassicurante, ma a stento tratteneva le lacrime. Quel distacco, che prima o poi sapeva sarebbe avvenuto, era più doloroso di quanto immaginasse. Era felice per lui, non desiderava altro che vederlo di nuovo in pace con se stesso, ma non poteva impedirsi di provare un senso di vuoto. In quei giorni aveva vissuto in funzione di lui, dimenticando se stessa. Le giornate erano trascorse con sofferenza, ma piene del pensiero di lui e per lui. Era stato giusto? Si aspettava qualcosa dalla sua dedizione?

Lo guardava, lo aveva di fronte e ormai erano lontani, di nuovo separati.

fine prima parte

(segue)


leggi la seconda parte

 

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