Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Un Anno Vissuto Pericolosamente (parte prima) - leggi la seconda parte - leggi la terza parte
autore: Isabella Franzolini
e-mail: ifranzolini@yahoo.com
data di edizione: 05/01/2003
argomento della storia: Russell Crowe, attore australiano sposato infelicemente
riassunto breve: Izzy, alla ricerca di una vita piu' felice, conosce fortuitamente un attore famoso...
lettura vietata ai minori di anni: 18

 

Capitolo I

 

- Io ho paura...

- Non ti preoccupare, farai benissimo.

- No, cioè… non è che abbia paura ma… cielo, quel posto è così lontano. Capisco di avere per le mani un’occasione imperdibile, ma… ah, Cristo, chi me l’avrà fatto fare… e poi ho già vissuto un’esperienza del genere, ed è stata un disastro.

- Quella era una cosa diversa, e non era una tua scelta.

- Nessuno mi aveva obbligato.

- Non avevi scelta.

- E’ una stronzata.

- E’ la verità.

 

Guardai Anna. Era la mia migliore amica. La migliore, quella che mi diceva tutto quello che pensava, che mi piacesse o no. E ora era lì, davanti a me, coi suoi occhi color del muschio autunnale, e i fluenti capelli color ala del corvo. Era piccola, formosa, simpatica, la conoscevo da più di quindici anni. La trovavo bellissima. Una volta l’avevo persino baciata sulla bocca. Ma tutto era finito lì, una ragazzata, se di ragazzata si può parlare a 23 anni.

 

Era febbraio. Avevo trascorso un natale infame, un capodanno squallido e prima di questi una vacanza estiva entusiasmante dal punto di vista geografico, catastrofica per tutto il resto. La mia vita era finita (almeno secondo il mio metro di misura), una storia d’amore conclusasi molto malamente alle spalle e due lavori persi in un anno. Un bel record.

 

Così avevo cercato un posto altrove. Il fallimento della mia storia amorosa aveva avuto luogo in Germania, dove lo scriteriato che per quattro anni non avevo capito, aveva trovato un lavoro e, apparentemente, anche un’altra fidanzata.

Ma volevo provare anch’io, insomma, non volevo più restare in quella città dov’ero nata, vissuta e che tanto mi aveva dato e tolto.

Insomma per farla breve: tramite i canali più bizzarri, cerco lavoro, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova Zelanda. E bang! Eccola lì, l’occasione che cercavo. Una azienda di media grandezza, di import-export di prodotti italiani, ha bisogno di una “consulente linguistica”, che supporti anche l’ufficio commerciale. A Sidney. Io scrivo. E mi rispondono. E telefono. E mi sento dire: “ Venga, a nostre spese, naturalmente, e da quest’incontro vedremo di capire se lei è la persona fatta per noi.”. “Me lo auguro”. Ci fu una pausa dall’altro capo del filo. Nel frattempo, tiravo furiosamente da quella sigaretta amara, come sempre quando ero al telefono, e la signorina, con un forte accento, difficile da comprendere, continua: “Sa… a dire il vero la sua è l’unica candidatura che abbiamo ricevuto. Non ci speravamo più.”. Non so perché ma sento in un lampo che mi elettrizza il cuoio capelluto, che posso farcela, che la probabilità di agguantare quel posto non è poi tanto remota. “Ci vediamo tra quattro giorni”.

 

- Allora? Come va la valigia?

- Come vuoi che vada… sono nel marasma globale. Oltretutto per starci nemmeno una settimana devo portarmi una valigia modello “Indie”… ci metti dentro due maglioni e si riempie.

- Ma nooooo!! Cosa stai combinando?

- Perché?

- E’ la fine dell’estate laggiù! Farà ancora caldo… un maglioncino per il transito da qua e per là… roba estiva!

- Ma io non ho roba estiva per un colloquio di lavoro.

- Ci potresti pure andare col grembiule da cucina. Tanto non te l’hanno detto? Non l’hanno trovata un’altra suonata disposta ad andare laggiù.

- Sei molto incoraggiante.

- Dai. Disfa la valigia e rifalla. Poi vienimi a trovare, che ne dici?

- Tu non ti schiodi mai da casa tua, eh?

- Eh, ma cosa vuoi… Lele torna tardi, io ho sempre un miliardo di cose da fare, e non è mai finita, pensa che esco dall’ufficio alle…

 

Eccola lì, che propinava ancora una volta il suo programma di vita quotidiana. Era vero, aveva delle giornate molto intense. Era però altrettanto vero, sacripante, che da casa sua non si schiodava mai. Mi toccava di sciropparmi non so quanti chilometri in macchina per andarla a trovare. D’altra parte la sua compagnia era insostituibile e una volta ogni mesetto bisognava incontrarsi.

 

Quella sera, dopo essere andata al cinema da sola, me ne passeggiavo in centro, un passo lento dopo l’altro, come l’andamento di una pendola. L’aria era fredda, ma non abbastanza da costringermi a chiudere il piumino. Erano anni che non faceva più tanto freddo, in quella mia città, che in compenso rimaneva brutta, sporca e spietata. Il fumo della sigaretta si mescolava alla condensa del fiato, le persone che mi passavano accanto erano come gocce di pioggia, rapide e indifferenti, il film mi era piaciuto. Era una storia d’amore. Ecco. Non riesco a pensare ad una storia d’amore senza commuovermi per quell’aborto di mia storia finita male. Bah. Farò finta di avere un occhio che mi lacrima per il freddo. Tirai su col naso, mi sbaffai il mascara e mi avviai verso il parcheggio.

 

 

- Pronto!!

- Ciao…!

- Ueh! Come stai?

- Non male… e voi?

- Ma scusa… che ora sono lì?

- Nemmeno tanto tardi… è l’una di notte.

- Non sei fuori di sabato sera?

- No… sai ho preferito restare a casa a farmi la manicure francese…

- Non essere scema… allora com’è?

- Incantevole, Anna…. è un posto bellissimo.

 

Mi dilungai a descriverle quella città, immensa e nuova, il lavoro interessante, il clima simpatico e disteso dell’ufficio, il fatto di non essermi ancora abituata a leggere aprile sul calendario e dover cominciare a mettermi un cappottino più pesante per la sera. Erano passati due mesi. La mia vita sociale, effettivamente non era molto intensa. I vicini erano cordiali, ma “formula familiare”, i colleghi d’ufficio giovani ma non molto predisposti alle interazioni personali. Così passavo ancora il weekend a mangiare pizza e patatine e a guardare vecchi film presi a noleggio. Non era un gran che. Ma ero libera di dare alla mia vita il ritmo che ritenevo ad essa più consono e questo, in un ambito di numerosi e importanti cambiamenti come quello, era più che sufficiente.

Finché un giorno accadde quello che non mi sarei mai aspettata e che avrebbe cambiato radicalmente la mia vita. A 37 anni.

 

- Izzy, domenica un nostro amico organizza un barbecue. Ci vieni?

 

Oliver era un bel tipo. Scapolo, simpatico, atletico. Insomma era perfetto. Mi aveva invitato altre volte fuori, sempre in compagnia di altre persone e io l’avevo molto apprezzato. Credevo di potermi aspettare qualcosa di più, ma non era successo. Erano settimane che passavo il weekend da sola, potevo anche permettermi una botta di vita. Così accettai.

 

- Volentieri, grazie Oliver. Devo portare qualcosa?

- Portare qualcosa? No.

- In Italia si usa così. Uno ti invita e tu porti un omaggio o qualcosa che può servire per completare il pasto, un dolce, una bottiglia di vino…

- Ah. Da noi no.

- Ah beh…

- Però ripensandoci… hai ancora qualche bottiglia di vino italiano?

- Puoi scommetterci! Mi sono arrivate le due casse che avevo ordinato prima di partire.

- Potresti portarne tre o quattro? Il padrone di casa ama bere e in genere invita molta gente…

- Ok. Ho giusto il rosso che va bene per la carne alla brace.

- Allora a casa mia, sabato verso l’ora di pranzo.

- Ma non avevi detto domenica?

- Sì, ma la casa di Russ è Nana Glen, circa 30 km all’interno della costa, vicino a Coffs Harbour. Sono sette ore da qui. Dobbiamo viaggiare sabato pomeriggio.

 

Non nascondo una certa perplessità. Sette ore? Ma varrà la pena di spararsi sette ore di macchina per andare a casa di uno che neanche conosco, e portargli oltretutto 3 delle mie 24 pregiatissime bottiglie di vino trentino? Oliver deve leggermelo in faccia, perché mi dice:

 

- Non ti preoccupare. Vedrai che ti divertirai. Russ è un tipo forte. Ah! Ti andrebbe di preparare un dolcetto? Quella ciambella di cioccolato con la crema di vaniglia era fantastica…

- Messaggio ricevuto. Non è che dopo dovrò anche lavare i piatti?

- Eh?

- Lascia stare…

 

Pensavo che avrei trovato altra gente da Oliver, invece saliamo sulla sua vecchia Volvo e cominciamo il nostro viaggio. Mi sembra ben predisposto, in vena di chiacchierare, oggi lo vedo anche più carino del solito. Chissà se sarà quello giusto. Santo cielo, come corro. Magari è gay. Bah…

 

- Non pensi di parlarmi un po’ di queste persone che andiamo a trovare? Abitano lassù a Coffs Harbour o è una casa di villeggiatura?

 

Oliver mi guarda, sorride. Poi ridacchia. Ha l’aria di uno che vuole nascondermi qualcosa.

 

- Non è una casa, Izzy. E’ un ranch. Ed è una “casa” nel senso che il proprietario, pur passandoci molto meno del tempo che vorrebbe, non la usa solo per la villeggiatura….

- Vuoi spiegarti meglio?

- Uhm… no. Credo che mi godrò la tua sorpresa quando arriveremo!

- Ma arriveremo domani!

- No, baby, arriviamo stasera. E Russ ci ospita.

- Ah beh. Con un ranch. Meno male che ho tre bottiglie di vino e una ciambella dolce per sdebitarmi. Cos’è un milionario?

- Una specie.

 

Sbarro gli occhi.

 

- Mi prendi in giro.

- No.

- E’ sposato?

- Sì.

- Ah. Ecco dov’era la fregatura.

- Ma non va molto bene.

- Stai scherzando.

- Per niente.

- Come fai a conoscerlo così bene?

- Giochiamo a cricket insieme, qualche volta.

- Giochiamo a crick-….”Giochiamo a cricket insieme, qualche volta”?? Ma ti senti Oliver? Anch’io sono andata alle udienze del Papa due volte nella mia vita ma certamente non posso dire di conoscerlo bene!

- Siamo anche amici di infanzia, e conosco la sua famiglia. Una grande famiglia.

 

Mi accendo una sigaretta. Mi viene un dubbio. No, non può essere. No… No. Oliver protesta.

 

- Non puoi proprio aspettare??

- Tu fermati a una stazione di servizio, così fumo senza darti fastidio!

- Sei insopportabile a volte…

 

Sono le otto. Lasciamo la strada principale per inoltrarci lungo una sterrata in una proprietà. La si intravede da lontano perché è tutta illuminata. Sembra composta da due ali, c’è anche una specie di tendone sul lato destro. E’ decisamente grandissima. Bella. Bianca. Sul lato opposto si intuiscono i recinti dei cavalli. Quando arriviamo sul piazzale coperto da un prato stentato di fronte all’ingresso, Oliver viene ad aprirmi la portiera e poi comincia a scaricare le mie bottiglie e il dolce e le sue bottiglie. In quel mentre ci raggiunge dal terreno antistante i recinti un uomo a cavallo, il padrone di casa presumo. Ma guarda che personaggio tipico, mi dico. Cappello di cuoio, long john, stivali… Numi.

Oliver comincia a guardarmi e a godersi il mio stupore sfogandosi in una risatina chioccia.

 

- Izzy, questo è….

- …. Russell.

 

E di cognome fa Crowe. Quello scemo di Oliver conosce un attore e me lo presenta come se fosse il suo compagno di freccette!

 

- Ehi! Come va?

- … b-benissimo…

- Viaggio lungo dalla città, eh?

 

Oliver s’intromette: - Già! La mia amica qui può considerarsi a ragione anche un’amica tua… fuma come una ciminiera.

 

Russ scende da cavallo, si toglie il cappello. Ha i capelli un po’ lunghi, appiccicati dal sudore, la barbetta di qualche giorno anch’essa madida. Puzza di cavallo. Eppure non vorrei essere altrove per nulla al mondo. Emana un fascino animale e lo sa. Si passa una mano tra i capelli, noto quando me la porge (che stile!) per stringere la mia che ha i calli di chi tiene le redini senza i guanti. Dopodiché, estrae le sigarette dalla tasca della camicia e me ne offre una:

 

- Allora, vogliamo farci una bella cicca insieme, tu e io, mentre Oliver finisce il facchinaggio?

- Grazie… Oliver!! La crema. Va conservata in un luogo freddo.

 

Oliver mi guarda e ridacchia. - Tipo un frigorifero?

- Avete portato una crema?

- Sì… ho fatto un dolcetto e la crema per accompagnarlo.

 

Lui sorride più buono, meno strafottente.

 

- Non avresti dovuto, ma grazie, sei stata gentilissima. Vieni, ti porto in cucina dove ti farò vedere dove metteremo la crema del tuo dolce.

- Ha portato anche il vino, amico! Dell’ottimo italiano!

 

Russ prende in mano una delle mie bottiglie e legge il nome non senza difficoltà di pronuncia.

 

- Oliver mi ha parlato di te. Come ti trovi Quaggiù?* Ti manca l’Italia?

- Non proprio… sto ancora scoprendo l’Australia.

- Non prenderla sul serio, - fa Oliver - passa la maggior parte delle domeniche a casa con pizza e DVD noleggiati…

- Vorrei vedere te in Italia… - lo rimprovera Russ.

(* N.d.A.: Un modo un po’ personale di tradurre il vocabolo “Downunder” utilizzato dalle persone di lingua inglese per indicare l’Australia)

Dopo aver percorso il lunghissimo corridoio, che portava alla gigantesca cucina, dopo aver riposto la crema nel gigantesco frigo e appoggiato la ciambella sul gigantesco tavolo, Russ ci offre da bere nel suo gigantesco salotto. Di lì a poco, una vocetta stridula e sgradevole ci saluta dalla zona notte.

 

- Che piacere!! Siete arrivati finalmente! Allora possiamo cenare?

 

Eh già. In tutto quel bailamme di emozioni mi ero dimenticata che non avevamo mangiato e i padroni di casa erano stati così cortesi da aspettarci.

 

Mi esibisco in una carbonara (pecorino e guanciale a parte) in quanto Danielle, la moglie di Russell, non aveva preparato molto e Oliver aveva insistito perché io cucinassi “una di quelle tue pastasciutte veloci”. Riscuoto un successo senza precedenti e finiamo la serata decidendo di sacrificare una delle mie bottiglie fuori sul portico seduti a fumare e a chiacchierare.

 

Oliver decide di raccontare la mia vita in diretta (come se non fossi in grado di farlo da sola) mentre io tento una debole conversazione con tutti e due. Lei, col trascorrere del tempo, finisce per risultare decisamente antipatica, lui invece è un crescendo. Più beve e più dice sciocchezze, delle quali ride in modo esagerato. Lei si sta scocciando, Oliver la provoca e contina a stuzzicare Russ che sta lentamente cedendo il passo ad una blanda, sonnolenta sbornia.

Io mi sento un po’ in imbarazzo, però ringrazio il favore delle tenebre e mi accendo un’altra sigaretta. Fortuna che avevo portato mezza stecca.

 

- Beh, signori, io vi lascio. Buonanotte Izzy, dormi bene.

 

Lei si è definitivamente imbronciata e se n’è andata a letto. E se suo marito non mi avesse fatto vedere dove dovevo dormire? Begli onori di casa che fa la padrona.

Oliver si stiracchia.

 

- Beh… me ne vado a letto anch’io… domani voglio essere in forma!

- E mi devi anche aiutare, sciagurato! Non penserai di restare qua a scrocco come al solito! - Mi passa un braccio delicato dietro alla schiena - Andiamo Izzy, meglio riposare. Quel tuo vino buonissimo mi ha dato il colpo di grazia!

 

“Ma se era un Marzemino. Innocente. Nemmeno vecchio. Mah. Se bevono birra son soddisfatti. E’ proprio vero che non hanno tradizione”. E con questo pensiero mi chiudo nella deliziosa stanza degli ospiti di fronte a quella di Oliver.

 

Apro gli occhi nella notte inquinata di luce lunare. Già, non si usano né scuri, né persiane o tapparelle. Ci sono le tende. Le tende. Tanto vale lasciarle aperte, tanto non proteggono dalla luce del mattino. Ma ora non è mattino, sono le tre e mezza. E come al solito io non riesco a dormire. Mi alzo, dopo essermi girata nel letto per un po’, apro la porta e faccio capolino nel corridoio. Silenzio. Buio. Sulla sinistra si intravede la luce lunare che invade il salotto. E’ rimasta una brace tiepida nel camino e la temperatura è fresca per le finestre lasciate aperte per cambiare aria. Afferro il mio pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolo da pranzo e mi siedo sul divano. C’è un plaid sopra e lo uso come un poncho. Mi accendo una sigaretta e tiro una boccata. Che casa splendida. Che posto splendido. Mi è sempre piaciuto trascorrere giornate così, in posti che mai e poi mai avrei potuto permettermi. Guardo il profilo del paesaggio esaltato dal pallore della luce lunare, quella luna piena immensa e bianca che si staglia nel cielo limpido e nero. All’improvviso sento scricchiolare una porta. Qualcuno dev’essersi svegliato e, come me, non riuscendo a dormire, viene a farsi un giro. E’ lui. E’ in t-shirt bianca e un pantalone di tuta grigio. E’ leggermente appesantito, ma ha un bel fisico.

 

- Ehi… che ci fai qui? Qualche problema?

- Niente di insolito per me. Soffro di disturbi del sonno. In poche parole dormo poco e male.

- Motivo?

- E chi lo sa.

 

Mi prende una sigaretta dal pacchetto e se la accende, venendosi a sedere accanto a me sul divano, ma gomiti sulle ginocchia, come se dovesse rialzarsi immediatamente. Mi viene un dubbio.

 

- Scusami, ti ho svegliato? Sono stata rumorosa?

 

Lui è un po’ soprapensiero. Ci impiega un po’ a rispondermi.

 

- No… certo che no. Faccio fatica a dormire anch’io in questi ultimi tempi. E non avendo mai molto tempo da passare a casa, mi scoccia molto di avere dei problemi.

- Hai un portacenere?

- Sì certo.

 

Si alza di scatto per andare in cucina. Torna strascinando i piedi, con un portacenere e due bottigliette di birra.

 

- Tieni. Questa generalmente mi concilia il sonno.

 

Accetto per educazione, ma se avesse portato una bottiglietta di vino avrei di gran lunga preferito.

 

- Come ti è venuto in mente di venire in Australia a lavorare?

- Dovevo andare in un posto lontano a dimenticare il passato.

 

Lui sorride. Sornione.

 

- Beh, amica…. sei agli antipodi. Hai raggiunto il tuo obiettivo.

- Non ancora. Il passato è ancora lì.

- Dove?

- Nella memoria.

- Già… Pizza e DVD alla domenica non aiutano.

- E’ per questo che dormo nella stanza di fianco alla tua.

 

Sorride ancora. Quest’uomo ha un fascino irresistibile.

 

- Si è arrabbiata?

 

Cambia espressione.

 

- Ti piace la carne di cavallo?

- Ma che fai, li cavalchi, poi li macelli?

- No, la carne la compro dal mio fornitore. Allora ti piace?

- Sì ma è meglio che non ne mangi.

- Perché?

- Pressione alta.

- E il fumo? E il bere?

- Preferisco farmi male a modo mio.

- Un’autodistruttiva.

 

Lo guardo severamente. Lui percepisce il mio disagio e cambia espressione.

 

- Scusami.

- Mi piace molto la carne di cavallo.

 

Lui si rilassa contro lo schienale del divano.

 

- Nonostante la perdita di sonno, questa cosa mi piace.

- Quale cosa?

- Fumare alle quattro di mattina, guardando la luna dal divano.

- Sì… è piacevole.

- Stai bene Quaggiù?

- Sì, mi piace. Mi piace il lavoro, mi piacciono le persone che ho conosciuto, anche se le frequento poco. Mi piace la mia casa, che in fondo, non darti tante arie, è molto simile alla tua, ci passeranno un paio di centinaia di metri quadri di meno, quindi non posso proprio lamentarmi…

 

Lui ride. Una bocca non molto bella, piccola, con le labbra sottili, si schiude come la corolla di un fiore su di una bella fila di denti dritti, gli occhi si chiudono, gli si formano tante interessanti rughette intorno. Beh, è decisamente attraente, senza essere bellissimo. E’ molto “umano”. Non una di quelle “stelle di carta”, così belle da non sembrare vere. Quando torna normale, ha vuotato la sua bottiglia di birra ed indica la mia.

 

- Ne vuoi un’altra?

- Grazie, no. Fumerò un’altra cicca, poi andrò a dormire.

 

Nel silenzio rotto dal leggero sibilo delle boccate, lui sospira.

 

- Sì, era arrabbiata.

- Oliver può essere molto invadente a volte. Però mi è simpatico.

- Credo che stasera avrebbe trovato invadente anche una mummia. Lei non aveva voglia di fare questo bbq. Ma io voglio vedere i miei amici e la mia famiglia.

- Quando è stata l’ultima volta che hai visto la tua famiglia e i tuoi amici?

- Tre settimane fa.

- Beh…

- Vado fuori quasi tutte le sere e quasi tutte le sere lei mi dice che non vuole uscire con me.

- Per andar dove?

- Al pub. O in un qualsiasi altro posto a giocare a freccette e a farsi una birra e una chiacchierata.

- Forse vuole stare da sola con te.

- Mm.

- Forse preferirebbe uscire sola con te.

- Mm.

- Ho esaurito i forse.

- E io le strade da percorrere per farmi perdonare tutte le volte che faccio una cazzata.

- Conosco l’iter.

- Cos’hai fatto quando è successo?

- Sono tornata a casa.

- E’ stata dura?

- Dopo quattro anni di equivoci e una trasferta oltralpe quando lui sapeva benissimo che non gliene fregava un cazzo di me tanto da piantarmi le corna sotto il naso? Sì è stata dura.

 

Lui ammutolisce. Non si aspettava una risposta diretta, aspra, arrabbiata come quella. Mi accarezza la testa.

 

- Mi dispiace.

 

Spengo la cicca nel portacenere.

 

- Anche a me. Per me e per tutte le anime perse che sono state e saranno costrette a vivere un’esperienza così. Io vado a letto Russell. Provo a leggere il libro per vedere se riesco a dormire.

- Che ti sei portata?

- “Che paese l’America!”

- Ah…… aspetta. McCourt?

- Sì.

- Ok. Ah senti…. non è che invece ti andrebbe di fare due passi?

- No. E dovresti provare a dormire anche tu.

 

Neanche stavolta si aspettava una risposta così secca. Però mi pento.

 

- Posso portarmi il plaid? Fuori farà fresco.

 

Questo gli restituisce il sorriso.

 

- Naturalmente.

 

Passeggiamo nella notte fresca e luminosa, io avvolta nel plaid, lui aggrappato al mio pacchetto di sigarette. Rimaniamo in silenzio per un bel po’, poi, forse gravato dal peso e dal rumore dei nostri pensieri, lui lo spezza.

 

- Credo che tu sia una donna coraggiosa.

- No, sono un’incosciente.

- Hai un lavoro, hai scelto di fare una vita indipendente. Hai… l’età giusta per farlo ti pare?

- Stai insinuando che sono vecchia?

 

Lui si scoraggia.

 

- Ma no, volevo dire che…

 

Io mi metto a ridere.

 

- Stavo scherzando… Sono un’incosciente perché cerco disperatamente di costruirmi un’altra storia patendo ancora gli strascichi di quella prima.

- Oliver?

- Bah. Secondo me non l’ha nemmeno capito. D’altra parte cosa avrebbe dovuto capire? Non riuscirei ad innamorarmi di Oliver nemmeno se fosse l’ultimo uomo sulla terra.

- E’ un bravo ragazzo.

- Questo lo so.

 

Lui diventa tenero. Posso solamente intuirlo, visto che nonostante sia piena, la luce della luna non può regalarmi particolari dettagli del suo viso.

 

- Troverai la persona giusta per te. Ne sono certo.

- Già… per adesso le tacche sul muro sono 730.

- 730?

- Eh già. Sono 730 giorni esatti che sono single. Due anni. Due anni che non riesco a perdonare, no anzi, siamo tolleranti con noi stessi. 730 giorni che non riesco a rimanere indifferente a quella storia e infatti, sono 730 giorni che non riesco ad innamorarmi. Un friccicore, un tepore, un sussurro del cuore. Nulla di più. Comincio a dirmi che forse sto realmente diventando troppo vecchia per innamorarmi di nuovo.

 

Lui fissa il terreno intorno ai suoi piedi. Non sa cosa rispondermi. Forse vorrebbe, ma visto e intuito il mio caratterino non vuole incorrere in errori. Poi riprende “vigore”.

 

- Vuoi dire che ne sei ancora innamorata?

- No, quello no. Ma non sono ancora riuscita a liberarmene completamente, capisci che fregatura? Non sei più innamorata eppure nel tuo cuore non riesce a crearsi lo spazio, la situazione ideale perché vi alberghi l’amore. Che stronzata.

- L’amore non è una stronzata.

- Oh sì, invece. E’ come un bel fiore, che manda un buon profumo inebriante per poi sfiorire nel giro di pochi giorni.

 

Comincio a tremare lievemente. Il fresco della notte si fa più pungente e io sotto il plaid sono praticamente in canottiera e pantaloni del pigiama. Lui se ne accorge e io mi accendo l’ennesima sigaretta.

 

- Hai freddo? Vuoi che rientriamo?

- Ho freddo sì. Ma non voglio rientrare.

 

Lui si avvicina. Odora di fumo, di profumo da uomo del quale si è asperso il giorno prima e di birra. Mi abbraccia e mi strofina come fossi la lampada di Aladino.

 

- Va meglio? - mi chiede.

 

Più che le sue mani dai modi ruvidi, è la sua voce a scaldarmi. Così profonda e mielosa. Straordinaria. Io non ho il coraggio di guardarlo, il suo volto è vicinissimo alla mia fronte. Annuisco. Lui mi strofina un altro poco, questa volta con maggior dolcezza e io mi volto a guardare verso la casa buia. Quando volgo nuovamente il viso, il suo è ancora lì, impanato di barba e odoroso di birra, vicino quasi da toccarci. Si avvicina ancora e mi bacia piano, dolcemente sulla bocca. Lentamente, mi bacia ancora, mi succhia, schiude la sua bocca sulla mia, la sua lingua sa di tabacco e birra. Rimango tra le sue braccia, di marmo, senza respirare. Lui mi guarda,

 

- Sei pentita della scelta che hai fatto?

- No…

 

Lo bacio io questa volta. Lui si lascia baciare. Poi mi guarda di nuovo.

 

- Di che scelta? - gli chiedo.

- Di aver lasciato tutto ed esser venuta qui.

- Sì. Perché mi ha fatto diventare un’illusa.

- In che senso?

- Ho creduto di riuscire a dimenticare, invece non è così. Cerco ancora l’amore, quello vero, travolgente, anche se so che probabilmente non lo troverò mai.

- Siamo tutti degli illusi in questo senso.

- Già. Che scemi.

- Che scemi.

 

Mi dà ancora un bacio lieve sulle labbra.

 

- Stai meglio adesso? Ti va di rientrare?

- Sì.

 

Ci riavviamo verso casa.

 

- E tu? Sei pentito?

- Sì.

- Perché?

- Perché mi sono fatto trascinare da un sogno.

- E’ tardi. Dovremmo provare a dormire.

 

Rientriamo a casa, lui mi prende la mano.

 

- Riuscirai a dormire?

- Devo. Sono le cinque passate. A che ora vi alzerete domattina? Beh anzi… stamattina?

- Verso le otto dovrebbe bastare. Ma se devi riposare di più non farti dei problemi, ok?

- Buonanotte Russell. Grazie della chiacchierata.

 

Una volta nella mia stanza, mi rinfilo sotto le coperte e rimango a fissare il soffitto su cui la luce lunare comincerà a lasciare il posto alla lieve luce del sole.

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