Il Gladiatore - Gladiator (2000) Le Recensioni

Qui di seguito alcune recensioni italiane del film "Il Gladiatore."
Da Cineforum 396 - Anno 40 - n.6 - Luglio 2000

Il guerriero nell'arena dello spettacolo

(Adriano Piccardi)

A giudicare dalle dichiarazioni di Ridley Scott, Il gladiatore potrebbe essere visto come un esempio di quanto potere un campione degli stadi sarebbe in grado di accumulare, al punto da potersi contrapporre al potere ufficiale, diventando una sorta di rappresentante delle rivendicazioni di liberta del popolo dalla tirannia. Dichiarazione scontata, che però, grazie alla complessità del film e dei suoi rimandi a generi e opere differenti, apre la via a diverse considerazioni.

A proposito di contesto sportivo come luogo dl violenza legalizzata e della figura del campione capace di maturare consapevolezza e rifiuto nei confronti dell'istituzione che lo ha cresciuto e coccolato, viene subito alla mente Roller-ball (id., 1975): significativamente lo spunto fantascientifico applicato all'industria dello sport-spettacolo metteva quest'ultima in diretto rapporto con la gestione del potere, ma il conflitto non poteva che svilupparsi a un livello "privato", che vedeva James Caan combattere soltanto per la propria integrità e libertà. L'elemento fantastico non è estraneo neppure al film di Scott, ascrivibile con buona ragione al sottogenere ucronico: che cosa avrebbe potuto succedere se a Roma il Senato avesse avuto l'opportunità di riprendere il potere - con la benedizione postuma di un impe-ratore come Marco Aurelio -e fare rinascere così la Repubblica? Ipotesi talmente ardita che, in definitiva, viene relegata al semplice ruolo di motivo iniziale delle disavventure di Massimo e a quello di dichiarazione d'intenti finale con valore innanzitutto di glorificazione dell'eroe poco prima defunto. Che il colpo di scena storico si limiti a chiudere la vicenda narrata la dice lunga sulle intenzioni dei produttori: nessuna volontà di scandagliare a fondo presunte possibilità nascoste tra le pieghe della storia antica, ma quella di utilizzare narrativamente alcuni luoghi e alcuni personaggi di un momento storico particolare, atti a sostenere la messa in scena con cui restituire lo spettacolo delle emozioni primarie. Merito del realizzatore è quello di non essersi lasciato prendere nella trappola di un superficiale sensazionalismo.

Narrativamente, il film percorre le tappe del percorso esemplare dell'eroe, che si sviluppa attraverso momenti canonici: dopo la consacrazione iniziale, sancita dalla vittoria sul campo di battaglia e dalla richiesta dell'anziano imperatore di farsi esecutore del suo disegno postumo, Massimo sprofonda immediatamente nell'abisso di sconfitta e di morte da cui dovrà risorgere in completo anonimato, grazie soltanto alla sua forza, alle sue capacità di guerriero che lo porteranno al nuovo confronto con il potere che ha voluto distruggerlo. La sua "risurrezione" è più apparente che reale, poiché, in verità, Massimo è a tutti gli effetti un uomo morto dopo aver scoperto la sua famiglia massacrata dai soldati di Commodo: la sua "carriera" di gladiatore è una semplice parentesi destinata a concludersi consapevolmente soltanto con il ricongiungimento alla moglie e al figlioletto nell’aldilà. I contrassegni del personaggio sono quelli, inconfondibili, del revenant, le cui azioni trovano nel saldo del credito di sangue orribilmente contratto un motivo ben più cogente di qualsiasi investitura politica proditoriamente sottrattagli. Il genere che fa da modello alla struttura del racconto è senza dubbio il western, particolarmente nella sua variante post-crepuscolare: azzeramento di motivazioni storiche, sociali, psicologiche, di segno positivo; l'azione ha il suo fondamento più profondo nella volontà di annullamento di ogni azione, nella ricerca (consapevole o no) di un modo per porre fine alla reiterazione di conflitti che denunciano ormai tutta la loro insensatezza.

Il destino di Massimo è intrecciato a quello di Commodo da un procedimento di "filiazione" tutto interno al racconto e che ne costituisce la matrice. Ambiguità dei rapporti che ne derivano, rimandando i due antagonisti alla figura di Marco Aurelio da una parte e a quella di Lucilla dall'altra - quest'ultima, per di più, nella luce oscura del doppio incesto(con e senza virgolette). Commodo si fa carico, in apertura, di un parricidio effettivo, anticipando, per sete di potere personale e di vendetta nei confronti di un genitore che lo ha sempre respinto, il parricidio metaforico (la soppressione, nel quadro politico di Roma, della figura dell'Imperatore) commissionato da Marco Aurelio medesimo a Massimo come volontà testamentaria. E' illuminante, a questo proposito, notare come la sequenza dell'assassinio di Marco Aurelio ricalchi nel suoi tratti essenziali quella dell'uccisione di Tyrrell da parte del replicante Roy, in Blade Runner: momento cruciale in cui conflagravano la ricerca di salvezza in un impossibile amore paterno e le ragioni incontrastabili della scienza, veicolanti quelle di un potere a sua volta assoluto e di un rifiuto necessario. Commodo, uccidendo il padre, rivendica il proprio status di figlio naturale nei confronti di Massimo, "figlio" solamente elettivo e in quanto tale usurpatore. La morte che i due si danno reciprocamente (in una resa dei conti finale che completa nella maniera più esplicita il percorso attraverso il genere western, cui più sopra si accennava) recide insieme il filo di due vite che, sulla base di guanto avvenuto, non potrebbero più darsi l'una senza l'altra: senza saperlo, Commodo produce un atto d'amore "fraterno" pugnalando a tradimento Massimo prima dello scontro, favorendone così quel ricongiungimento con i suoi cari, che, combattendo ad armi pari, non sarebbe mai stato in grado di procurargli; Massimo, da parte sua, non solo riscuote il suo credito personale ma compie un doppio atto di giustizia, uccidendo insieme un parricida e l'autorità imperiale (in questo saldando, quindi, anche il debito che lo legava direttamente a chi lo considerava come figlio).

Sul piano della messa in scena, la scommessa rischiosa di cui il film si fa portatore è quella di misurarsi con un filone" dai fasti ormai lontani, riprendendone gli elementi per restituire loro una vitalità aggiornata esteticamente a condizioni di "visibilità" capaci di agganciare il pubblico odierno. Strumento importante dell'operazione sono, naturalmente, le tecnologie digitali applicate non soltanto alla "ricostruzione di architetture virtuali e skylines tardoromane, ma anche alle visioni del protagonista, nei frammenti relativi a desiderio di ricongiungimento alla moglie e al figlio defunti, fino alla sequenza in cui il sogno si realizza. Offrendo così il suo personale contributo all'esperienza complessiva che l'industria cinematografica va accumulando in questo particolare settore, Scott conferma, d'altra parte, la sua capacità di muoversi nell'ideazione di esterni e interni immaginari, in cui fare confluire dettagli "realistici" in modo da raggiungere un effetto generale capace di andare al di là del dato di semplice "verosimiglianza", per cogliere e trasmettere anche un senso dell'immagine nel momento stesso in cui ve lo nasconde, nell'appariscente profusione del suo contenuto. Anche a questo proposito è possibile trovare corrispondenze con Blade Runner, nella configurazione scenografica della tenda di Marco Aurelio che rimanda, arricchendola, a quella della stanza da letto del già citato Tyrrell, e in quelle delle stanze imperiali non così distanti dalla concezione spaziale che presiedeva agli interni dirigenziali della Tyrrell Coryoration.

Altro importante motivo visuale su cui il film si articola è la fisicità del gesto guerriero (lo scontro in battaglia, il duello nell'arena) di cui il personaggio di Massimo si fa portatore, ancora più impressionante considerando l'evanescenza di quest'ultimo come soggetto che attende il momento in cui morire veramente come una liberazione e un completamento. Due inquadrature anticipano, in apertura, la dimensione di lateralità che contraddistinguerà quest'uomo rendendolo diverso dai suoi simili: gli sguardi che scambia, prima della battaglia, con un uccellino e con un cane lo isolano dagli altri combattenti, accennando già a quel passaggio irreversibile di status che lo attende. A questi due momenti in cui il tempo sembra fermarsi fa seguito lo scatenarsi della violenza, il confliggere dei due schieramenti nello scenario cupo della forestaattraversato dai bagliori delle fiamme: frecce e proiettili incendiari precedono il corpo a corpo che trasformerà la vallata in una distesa di cadaveri; un guerriero barbaro viene ucciso come si uccide un orso, attorniato da un gruppo di soldati che infieriscono sulla sua figura gigantesca; si porta la morte e la si riceve in un convulso susseguirsi di colpi, a cui soltanto il caso sembra poter sottrarre i più fortunati. Scott ci restituisce l'immagine della ferocia dello scontro utilizzando suggestioni provenienti da fonti diverse: se e possibile ritrovare la giungla di Apocalypse, Now! attraversata dal napalm, nel campi lunghi che ci mostrano la foresta in preda alle fiamme dopo il lancio dei proiettili infuocati, o i corpo a corpo nel bosco visti nella battaglia di apertura di Excalibur tra le truppe di Uter Pendragon e quelle del Duca di Cornovaglia, così come gli scontri tra i guerrieri scozzesi e i soldati inglesi ricostruiti in Braveheart, è il frame-jumping spielberghiano da Salvate il soldato Ryan che si impone come segno linguistico mediante il quale esprimere la violenza dello scontro. Una reminiscenza del film di Spielberg affiora, del resto, anche nell'occasione della prima uscita dei nuovi gladiatori, tra cui Massimo, nell'arena africana: la mdp che si muove tra di essi, in attesa che il cancello si spalanchi, rivelando i sentimenti che li attraversano (con, in più, il dettaglio patetico dell'urina non trattenuta), e il massacro dei primi che si proiettano fuori, alla mercé delle spade dei "campioni" che li attendono, non possono non ricordare le inquadrature dei marines sul mezzo da sbarco che procede verso la spiaggia e la carneficina di quelli immediatamente esposti al fuoco tedesco nel momento in cui si abbassa il portellone.

L'uso reiterato del frame-jumping nel corso dei momenti marziali è in realtà quanto di meno realistico si possa immaginare, per quanto concerne una riproduzione "oggettiva" della violenza: immergendo lo sguardo dello spettatore nel turbinare del gesto, del fendente, del colpo assestato, viene visivamente riprodotto, in realtà, il "mancamento" percettivo che annulla casomai ogni possibilità di visione realistica, distaccata, esterna, dell'azione a favore di un coinvolgimento emotivo senza appello. Immagini evanescenti dal punto di vista della registrazione esatta dei dettagli eppure capaci di portare lo spettatore nell'illusione di "partecipare" al fatto cruento. Scott vi ha trovato uno strumento con cui aggiornare il suo inventario figurativo, che è sempre stato particolarmente propenso a illustrare l'esplodere del conflitto. Il grado di innovatività spettacolare, subliminale e "sporca", per così dire, era sufficiente per motivare gli interessi nei confronti di questa tecnica, ma Scott è riuscito (e ci si riferisce in particolar modo, ovviamente, alla sua applicazione negli scontri gladiatorii, destinati in quanto tali a essere spettacolo) a farne, grazie a un sapiente equilibrio tra impatto figurativo e costruzione narrativa della rete di identificazioni e attese, anche l'indizio rivelatore di una possibile critica dall'interno all'opportunismo dell'industria delle immagini, che vorrebbe limitare l'applicazione dei "neologismi" (almeno fino a quando è possibile considerarli tali) alla sola ricerca di risultati visivi d'effetto.

Cineforum 396/9

Da “DVD World” - Anno II - n.14 - Dicembre 2000

Il primo Eroe d’azione

Gli eroi d’azione sono sempre quelli che riescono meglio in DVD. Grazie dunque a Ridley Scott per aver portato il capostipite degli eroi d’azione prima sullo schermo ed ora anche in un sontuoso doppio DVD.

Un paio d’anni fa sarebbe stato impensabile. Un drammone storico da più di 200 miliardi, un genere filmico da tempo moribondo, recitato da culturisti con i possenti muscoli tutti luccicanti d’olio? Bisognava essere pazzi solo a pensarlo. Ma poi una storia di passioni, del periodo edoardiano, diretta da James Cameron, un certo Titanic, ebbe grande successo, contribuendo a cambiare le regole e dimostrando che le storie sull’antichità potevano ancora essere redditizie, a patto che fossero sufficientemente grandiose.

E così accadde che i produttori de Il Gladiatore mostrarono al leggendario regista britannico Ridley Scott (Alien, Blade Runner) un quadro del 19° secolo, Pollice verso, che rappresentava una tipica arena romana per gladiatori; Scott ne trasse l’ispirazione per il film prima ancora d’aver letto una sola riga della sceneggiatura.

Una grande e decadente civiltà, combattimenti all’ultimo sangue, guerre, imperatori corrotti e crudeli ed un eroe in cerca di giustizia per la perdita di tutto quanto aveva di più caro: quale storia poteva essere più grandiosa?

Il primo compito che Scott ed i suoi collaboratori dovettero fronteggiare era quello di trovare il loro eroe. Chi poteva essere abbastanza “duro” per fare la parte del generale-che-diventa-schiavo-che-diventa-gladiatore Massimo Decimo Meridio, capace di affrontare con la stessa impassibilità orde di visigoti e tigri voraci? Non era il caso di chiederlo a Jean-Claude Van Damme.

La scelta cadde invece sull’attore neozelandese Russell Crowe. In Australia aveva svolto un ruolo di un certo rilievo (se si eccettua una breve apparizione nel telefilm Neighbours) nel controverso film Skinheads del 1992. Più fruttuosa si rivelò invece la scelta di andare a Hollywood, soprattutto dopo che ebbe fatto una doverosa apparizione nella parte del “cattivo” in un film di fantascienza (Virtuosity). Crowe riuscì infatti a sfondare nel 1997 con L.A. Confidential, ove fece una grande impressione, per lo più distribuendo lividi a destra e a manca, nella parte del poliziotto violento Bud White. A questo seguì il ruolo principale in The Insider di Michael Mann, che gli fece guadagnare una nomination per l’Oscar, nel non facile compito di avere la meglio su Al Pacino.

Crowe era l’ideale per impersonare Maximus: non solo dal punto di vista fisico ma anche per poter esprimere il lato emozionale del soldato torturato interiormente dal tradimento e dalla condanna a morte, insieme alla sua famiglia, da parte del suo stesso imperatore.

Un simile eroe richiedeva come controparte un “malvagio” dello stesso calibro: il folle e corrotto imperatore Commodo, l’oggetto primario della vendetta del gladiatore Massimo. La scelta cadde su Joaquin Phoenix, che offrì il suo volto ambiguo al tiranno dal labbro leporino, assurto al potere grazie all’assassinio del padre, prodigo di attenzioni incestuose nei confronti della sorella e sempre intento a trattare l’Impero Romano come un giocattolo per soddisfare i suoi capricci da depravato. Phoenix era precedentemente apparso in Da morire e nell’infelice 8mm di Joel Schumacher, ma Commodo ha rappresentato il momento più importante della sua carriera di attore.

All’inizio Phoenix era molto ansioso all’idea di dover sostenere quella parte, ma poi Crowe, di comune accordo con Richard Harris, prese la semplice ma efficace iniziativa di trascinarlo una sera al bar e di farlo ubriacare ben bene...

Un colossal

La sanguinosa battaglia iniziale fu girata in una foresta del Surrey, in Inghilterra, con circa 800 comparse clonate digitalmente in modo da simulare la presenza di migliaia di soldati; la maggior parte delle altre riprese invece furono effettuate in Marocco e a Malta. A Malta fu creato il più stupefacente dei set de Il Gladiatore, con una ricostruzione a grandezza naturale del Colosseo, dove venne tra l’altro girata la maggior parte dei duelli tra gladiatori. Anche in un set di tali dimensioni la ricostruzione riguardò in realtà solo un quarto della struttura reale, il resto fu elaborato con incredibile meticolosità in computer grafica e “giuntato” elettronicamente alla parte reale. Un sistema di set virtuale noto come “motion tracking” (lett. “tracciamento del movimento”) permise al set parziale di adattarsi perfettamente a quanto veniva sovrapposto con la computer grafica; così Scott poté fare uso di cineprese portatili e filmare in ogni punto dell’arena durante i numerosi combattimenti di Massimo, con la certezza che il Colosseo e le circa 33.000 comparse “digitali” avrebbero avuto un aspetto assolutamente realistico.

Un’altra priorità molto importante era quella di rendere del tutto realistici anche i combattimenti. Scott scelse di filmare l’azione in uno stile quasi documentaristico, simile a quello di Salvate il soldato Ryan e Braveheart, portando l’obiettivo nel bel mezzo della carneficina. Tra l’altro l’azienda di effetti speciali scelta per Il Gladiatore era la stessa che aveva lavorato su Salvate il soldato Ryan, e, per alcune riprese, si utilizzarono dei veri amputati che vennero muniti di arti artificiali in modo da poterli poi strappare platealmente con un bel fiotto di sangue finto.

Uno dei maggiori problemi che Scott si trovò a dover fronteggiare all’inizio delle riprese era che la sceneggiatura, già scritta e riscritta parecchie volte, non soddisfaceva nessuno. Tre autori sgobbarono sul soggetto per tutta la durata delle riprese e, come se non bastasse, l’improvvisa scomparsa di Oliver Reed (Proximo, il mercante di gladiatori) prima che le sue scene fossero completate, determinò ovviamente un ulteriore e indesiderabile rimaneggiamento della sceneggiatura.

Con un budget di 103 milioni di dollari (quasi 230 miliardi di lire), apparve presto evidente che Il Gladiatore non era il solito filmetto sugli antichi romani, ma che si rifaceva invece alla ben più nobile tradizione dei colossal epici tipo Ben Hur o Spartaco. Lo testimonia la passione con cui il pubblico di tutto il mondo si è precipitato a vedere la resurrezione di Roma determinando incassi globali del film superiori ai 450 miliardi. Con l’uscita in DVD su due dischi pieni di extra, fra cui diverse scene tagliate, Il Gladiatore non può che continuare in digitale quella che è stata finora la sua ascesa trionfale.

Da "DVD World" - Anno II - n.14 - Dicembre 2000

(Recensione del DVD)

IL GLADIATORE

... e Roma tornò a dominare il mondo. Del cinema

Il Gladiatore è il film che ha saputo rilanciare - dopo un letargo di quarant'anni - il genere "antico" sul grande schermo. Dalla fine degli anni Cinquanta, infatti, dal trionfo di Ben Hur (11 Oscar conquistati su 12 nominations, ndr) quelli che molti definivano con ironia i film-tunica avevano abbandonato la scena.

Questo kolossal diretto da Ridley Scott, abilmente in bilico tra storia e fantasia, si rivela un'eccellente rivincita. Certo, gli appassionati di storia non mancheranno di storcere il naso alle inevitabili forzature tematiche ed estetiche del film, ma la sua spettacolarità, la bellezza dei costumi e l'esaltazione divistica, veramente d'altri tempi, del protagonista- l'eroico guerriero Massimo interpretato da Russell Crowe (che ancora incassa gli "utili" di questo successo presso il pubblico femminile...) non possono che consegnare Il Gladiatore a buon diritto alla categoria dei film più amati dal pubblico.

La storia. Il valoroso generale romano Massimo (Russell Crowe), dopo l'ultima cruenta battaglia in terra germanica, sente di dover appendere la daga al chiodo. Il guerriero fedele e amatissimo dall'imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) intende tornare alla propria adorata famiglia, alla propria adorata terra, evitando i fasti e gli onori di

una carriera politica che, a questo punto, chiunque al suo posto avrebbe tentato.

Il vecchio e malato Marco Aurelio, vicino alla morte, ha però progetti diversi per il suo generale. L'impero -questo il volere di Cesare -non può finire nelle mani dell'instabile e crudele figlio Commodo (Joaquin Phoenix) ma in quelle del valoroso, saggio e carismatico Massimo, amato dal popolo di Roma e dai suoi soldati. Il guerriero non è abituato a disubbidire al proprio imperatore ma, prima che possa accettare, Commodo -che ha scoperto il proposito -uccide il padre e cerca di far uccidere Massimo. Il generale, però, riesce a fuggire. Dopo essere giunto casa, dove ha trovato massacrati moglie e Figlio, Massimo viene catturato e venduto all'istruttore di gladiatori Proximo (Oliver Reed). Destinato a combattere in un'arena di una lontana provincia, Massimo si costruisce la fama di invitto combattente, finché la gloria non lo porta a Roma, nella sanguinosa arena del Colosseo. Ora che è a casa, l'eroe può consumare la propria vendetta contro Commodo.

La Universal confeziona una coppia di eccellenti DVD per Il Gladiatore. Fortunatamente, la

major evita di snobbare -come di sua colpevole tradizione- la sottotitolazione italiana. Il pacchetto linguistico offre infatti un discreto audio (italiano, inglese e spagnolo) ed una buona sottotitolazione (italiano, spagnolo, inglese, olandese e tedesco), che coinvolge, oltre al film, tutti gli speciali.

Sul primo disco il menu offre il film e un commento audio del regista e di alcuni addetti ai lavori. Sul secondo disco, invece, fa imperiale presenza un trionfo di extra. Interessante ma convenzionale il dietro le quinte, con interviste ai protagonisti, mentre a conquistare sono certamente lo speciale, diviso in 12 capitoli, sulla fase di montaggio del film, con commento sottotitolato del regista, e lo splendido documentario di quasi un'ora di durata, con interviste ad esperti, sui giochi "sanguinari" nell'antica Roma.

Un altro valido contributo è quello sulla colonna sonora del film, dove lo stesso compositore Hans Zimmer spiega il suo progetto. Non è finita qui, perché il menu offre un diario con note di produzione e foto dal set, un ricchissimo storyboard delle sequenze chiave del film e persino di alcune scene eliminate dal montaggio finale (tra cui anche una fine alternativa di Proximo), una photogallery bellissima, divisa in capitoli, con foto dal set.

L'impressionante carrellata termina con alcuni extra "tradizionali": 2 trailer cinematografici, uno spot TV, un ricco profilo degli artisti (in italiano).

Un DVD da acquisto immediato.

DA RICORDARE

La battaglia iniziale nei boschi della Germania. Una sequenza bellica tra le più belle della storia del cinema. Nell'aria la tensione dei momenti decisivi. Un trionfo della spettacolarità, in sette minuti al cardiopalma.

Ferruccio Gattuso

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