Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Una come tante (quinta parte)
autrice: Kya
e-mail: kyaweb@genie.it
data di edizione: 21 aprile 2002
argomento della storia: Una ragazza comune e un giovane attore… dagli esordi alla fama internazionale
puntate precedenti: Claire e Russell si incontrano dopo 5 anni nello studio dove lei lavora. Potrebbe essere un incontro piacevole ma molte cose sono cambiate nelle loro vite...
lettura vietata ai minori di anni: 16 anni e mezzo

UNA COME TANTE (quinta parte)

Premessa:
Sono mesi che in messaggeria, insieme a tutte le Russellfolli di Croweitalia, scherzo su Russell, sul suo modo di essere e i suoi amori, eppure scrivendo questo racconto mi sento come se stessi invadendo la sua vita. Gli attribuisco un carattere, dei gusti e delle abitudini che non conosco e che posso appena immaginare. Ma ha ragione Lynn nel dire che quando si fantastica su Russell non si sta parlando di lui veramente ma dell'UOMO DEI SOGNI, e questo racconto non è nient'altro che una favola con personaggi immaginari… In ogni modo mi sento in dovere di chiedere scusa a lui e a coloro che gli sono vicini per questa mia intromissione.

12 - Salto nel buio

Paul dormiva semi sdraiato sul sedile accanto al mio. Per tutto il giorno avevo dovuto sopportare il suo entusiasmo per quel viaggio che per lui sarebbe stata una vacanza, mentre per me era solo un salto nel buio. E' lavoro, solo lavoro, continuavo a ripetermi, ma il pensiero di trascorrere una settimana nelle immediate vicinanze di Russell mi spaventava a morte per l'intensità delle emozioni che lui era capace di procurarmi. Non riuscivo a rimanere indifferente: un momento lo amavo e l'attimo dopo lo odiavo. I miei sensi erano sempre all'erta, per un motivo o per un altro.
Durante le settimane che precedevano la partenza ci eravamo sentiti spesso e lui si era dimostrato fin troppo gentile e tranquillo, ma io sentivo di non potermi fidare di quel clima da calma piatta. Cominciavo a rimpiangere di non essere rimasta a casa.
Maurice si era finalmente accorto che continuare ad usare la forza sarebbe stato il modo migliore per farmi finire dritta dritta tra le braccia di Russell, perciò aveva cambiato tattica trasformando l'arroganza in dolcezza. Ne erano seguiti dei momenti d'amore come non ne provavamo più da tempo, e anche lui alla fine aveva dovuto ammettere che lasciarmi un po' di spazio era meglio per entrambi. Avevamo finalmente ripreso a ridere, a parlare e a fare progetti per il futuro, e se ora mi trovavo lì, sul sedile di un aereo, insofferente per il viaggio interminabile che mi costringeva all'immobilità e all'ozio per troppe ore, era solo per tener fede ai miei impegni.

*** *** ***

Terry non l'avevo mai visto ma lo riconobbi subito in mezzo alla folla dell'aeroporto. Somigliava molto a suo fratello anche se non ne aveva la bellezza né il sex appeal eppure, per la cordialità che ci dimostrò dal primo istante, provai per lui una simpatia immediata. Caricò i nostri bagagli sul fuoristrada e partì a tutta velocità.
Mentre viaggiavamo lungo la strada sconnessa che portava alla fattoria, io guardavo ammirata la campagna verdissima che splendeva sotto il sole estivo.
Ci fermammo davanti alla casetta bianca che avevo visto nelle foto di Russ. Dal vivo era molto più grande e più solida di come l'avevo immaginata.
Mi guardai attorno e, dalla spessa cortina degli alberi che circondavano la casa, vidi sbucare un uomo che si dirigeva rapidamente verso di noi. Lo riconobbi immediatamente dal fisico imponente e dal portamento. Aveva addosso una canottiera bagnata di sudore ed un paio di bermuda scoloriti. I capelli gli si incollavano al viso sudato, in cui l'azzurro intenso degli occhi spiccava netto sull'abbronzatura. Puzzava di sudore di uomo e di chissà quale altro animale.
Dopo essersi pulito alla meglio la destra sui bermuda, senza troppe cerimonie strinse la mano a Paul, poi passò a considerare me, rivolgendo una smorfia al mio elegante tailleur estivo.
- Non mi abbracciare, sono tutto sudato. - mi disse con un sorriso ironico.
- Mai avuta l'intenzione! -
Lui sorrise e per risposta mi mollò una cameratesca pacca sulla spalla che mi fece barcollare.
- Andiamo, venite dentro. Fa troppo caldo qua fuori. - disse sollevando la mia pesante valigia come se fosse piena di polistirolo.
- Ma cos'hai qui dentro? Ti sembra il caso di portare tanta roba solo per rimanere qui una settimana? -
- Concedimi almeno di avere questo piccolo difetto tipicamente femminile! E poi cosa m'importa di quanto pesa la mia valigia se non sono io a portarla? -
Lui si fermò di colpo, mi afferrò una mano e, senza troppi complimenti, mi mollò la valigia, rimanendo ad osservarmi mentre la trascinavo faticosamente sul terreno: le ruote sull'erba alta erano di scarsa utilità.
Terry scoccò al fratello un'occhiata di rimprovero e prese la valigia.
- Scusalo, Claire, mio fratello è sempre stato refrattario alle buone maniere… -
Non dissi nulla ma mi limitai a guardare Russell con diffidenza, chiedendomi se avrebbe mantenuto la promessa di lasciarmi in pace o se invece aveva ancora intenzione di rendermi la vita impossibile.

L'interno della casa era delizioso: niente arredamento hi-tech a cui ormai ero abituata, ma una semplicità ed un calore che mi misero subito a mio agio e di buon umore nonostante la stanchezza e l'apprensione. Mi faceva piacere conoscere la famiglia di Russ perché mi ero spesso chiesta in che ambiente fosse cresciuto per diventare così forte e sicuro di sé.
Jocelyn, stringendomi la mano, mi lanciò un'occhiata penetrante squadrandomi con diffidenza. Era naturale che cercasse di capire che tipo di donna suo figlio si era portato a casa. Si sa che le mamme sono sempre piuttosto protettive verso i loro figli, anche se questi sono ormai uomini fatti.
Russell nel frattempo era andato a lavarsi. Tornò una decina di minuti dopo, fresco e profumato, e mi condusse alla mia stanza. Era piuttosto accogliente, nonostante l'arredamento spartano.
- E se alla notte fai brutti sogni, non hai che da bussare contro la parete dietro la tua testa. - mi disse.
- Così tu verrai a cantarmi la ninna-nanna per farmi riaddormentare? -
- Oh no, non io, quella è la stanza di Terry! - disse ridendo come un ragazzino. Io mi guardai attorno alla ricerca di un oggetto qualsiasi da tirargli addosso.

Appena fui sola mi sdraiai un attimo sul letto. L'ambiente era fresco e i lenzuoli facevano un buon profumo di pulito. Sulla parete di fronte a me riconobbi una delle mie tele con il paesaggio di Cap Fréhel che avevo spedito a Russell al mio ritorno da Los Angeles. Casa… Era tanto tempo che non tornavo a casa mia. La vita frenetica che conducevo non mi lasciava nemmeno il tempo per pensare alla mia famiglia ed ai miei vecchi amici. Era strana la sensazione di sentirmi più vicina a casa in un posto sconosciuto dall'altra parte del mondo, di quanto lo fossi a Parigi, che dalla costa bretone distava solo poche centinaia di chilometri.
Afferrai il cellulare per telefonare ai miei genitori, ma non c'era segnale. Lasciai il cellulare e rimasi distesa sul letto, abbandonandomi al senso di tranquillità, quasi di gioia, che la stanza, con i ricordi che aveva evocato, mi stava infondendo. Non mi accorsi di essermi addormentata finché non mi svegliai di soprassalto nell'istante in cui udii qualcuno bussare alla porta. Il viso sorridente di Russell fece capolino.
- Vieni a mangiare o preferisci dormire? -
- Perché, che ore sono? -
- E' ora di cena. -
Scattai a sedere come una molla, scusandomi del mio comportamento poco socievole. Lui fece un gesto che significava "nessun problema" poi mi lasciò sola a cambiarmi.
Infilai un fresco abitino di seta a fiorellini, leggero come una sottoveste, poi spazzolai i capelli e li lasciai sciolti. Un po' imbarazzata feci il mio ingresso in sala da pranzo e mi sedetti sull'unica sedia rimasta libera, tra Russell, che era capotavola, e Terry. Subito mi venne riempito il piatto con un'immensa bistecca cotta alla brace e una grande quantità di patate fritte. Rimasi un attimo perplessa perché da parecchio tempo non mangiavo più cose del genere: io e Maurice raramente cenavamo in casa ed eravamo soliti frequentare locali esclusivi dove servivano piatti ricercati.
Jocelyn, che osservava le mie mosse e le mie espressioni, mi disse:
- Mangia, devi rimetterti in carne e prendere un po' di colore. -
Effettivamente sembravo pallida ed emaciata in confronto alle persone che mi circolavano attorno, i cui visi abbronzati sembravano il ritratto della salute.
Riluttante tagliai la bistecca, facendo di tutto per non mostrare che inorridivo per il sangue che colava sul piatto. Non avevo mai amato la carne al sangue, ma quella era sorprendentemente tenera ed aveva un ottimo sapore.
- Buona! - esclamai. Jocelyn sorrise.
- Una delle vostre Angus? -
Russell mi fulminò con uno sguardo e io compresi di avere fatto una gaffe. Avrei dovuto ricordare che nella fattoria le mucche si allevavano ma non si uccidevano.

Mentre Paul e Alex si lanciavano in vivaci commenti su fatti di attualità, Terry gentilmente mi versò un bicchiere di vino.
- No, a lei no! - esclamò Russell in un modo che fece sussultare entrambi. - Se beve diventa una mina vagante. - e vuotò nel suo bicchiere il vino che c'era nel mio.
- Sei astemia? - chiese Terry.
- No, nonostante quello che pensa tuo fratello. Ho solo qualche problema con i superalcolici bevuti a digiuno. -
- Ah, bene! - e tornò a riempirmi il bicchiere. Contenta di avere trovato un alleato, lanciai a Russell uno sguardo di sfida e ingurgitai d'un fiato tutto il vino. Lui abbozzò un sorriso obliquo che fu subito sostituito da un'espressione di disappunto rivolta al fratello. Mi voltai verso Terry e non riuscii a trattenermi dal ridere nel notare il suo sorrisetto ironico e il medio sollevato in un gesto eloquente. Uno a zero per me!, pensai. Russ non disse nulla ma si limitò a guardarci torvo.

La cena terminò con un gelato in veranda. Me ne stavo accoccolata in una poltroncina, ascoltando distrattamente la conversazione tra Paul, Alex e Terry, quando Russell mi disse:
- Vieni con me, c'è qualcosa che voglio mostrarti. -
Nel seguirlo in mezzo al bosco ero un po' timorosa perché non sapevo proprio cosa aspettarmi. Aveva forse intenzione di rimproverarmi per il mio comportamento durante la cena?
A causa dei miei sandali con i tacchi alti camminavo a fatica sul terreno sconnesso del sentiero. Russell si fermò e mi cinse la vita con un braccio, prima di proseguire, in silenzio, nel buio. Ad un certo punto si fermò e la sua voce vibrò profonda nell'oscurità:
- Guardati attorno. -
Solo in quel momento le notai.
- Lucciole! - esclamai sbalordita. Migliaia, milioni di lucciole facevano scintillare il bosco come se fosse stato costellato di diamanti che splendevano alla luce della luna. Erano anni che non vedevo più le lucciole, o forse era la mia mente tecnologica che non registrava più le semplici manifestazioni della natura.
La luce fioca della luna piena che filtrava tra gli alberi illuminava il sorriso dolce di Russell e i grandi occhi da ragazzino fissi su di me. Un brivido mi attraversò la schiena, seguito da un'ondata di calore e dall'irrazionale impulso di stringermi a lui. Mi dominai a fatica.
- Per favore, torniamo a casa. - gli dissi con la voce che, tremando, tradiva la mia emozione.
- Hai paura del buio? -
- No, mi fanno male i piedi. -
Se non fosse stato buio, lui si sarebbe subito accorto che stavo mentendo.

*** *** ***

Era scandalosamente tardi quando mi alzai. In casa non c'era nessuno ma sentivo le voci di Paul e dei genitori di Russell provenire dal retro della casa.
Uscii senza fare colazione perché le uova la becon che mi avevano lasciato in un piatto sul tavolo della cucina proprio non mi andavano: avrei preferito un bel croissant caldo e del succo di frutta. Paul, che stava preparando l'attrezzatura per il rilevamento, mi guardò affettuosamente.
- Stai bene? - chiese.
- Sì. Stanotte ho dormito benissimo. La vacanza sta cominciando a farmi bene. -
- Vacanza? Siamo qui per lavorare! Sbrighiamoci con questo rilievo perché tra poco farà caldo. -
In quel momento vidi passare Russell a cavallo. Lo salutai e tentai di concentrarmi sul mio lavoro, fingendo di non notare le evoluzioni che lui stava facendo fare all'animale, ma mi venne da ridere a pensare come, dopo millenni di evoluzione e nel pieno dell'era tecnologica, il maschio utilizzasse ancora le dimostrazioni di forza e di abilità per attrarre la femmina.
- Che c'è? - mi chiese Paul.
- Niente. - risposi ridacchiando. Lui sbuffò e si allontanò scotendo la testa.
Rimasta sola mi chinai per sollevare il pesantissimo teodolite. Russell, che nel frattempo era sceso da cavallo, si offrì di aiutarmi. Prese lo strumento e lo piazzò sul suo treppiede seguendo le mie istruzioni.
- Che non si dica che non conosco le buone maniere, madame! -
- Lo so che, sotto sotto, sei un gentleman. - dissi sorridendo.
- Hai bisogno di una mano per qualcos'altro? -
- Sì, prendi la stadia e spostati su quel picchetto laggiù. Tieni la stadia verticale e, quando ti faccio un cenno, cerca di non muoverti. -
Attesi di vederlo arrivare al posto che gli avevo indicato, poi puntai il mirino in direzione della stadia ed inquadrai. L'unica cosa che si vedeva attraverso il cannocchiale era una confusa macchia di blu. Appena misi a fuoco mi accorsi che non stavo collimando la stadia, bensì un bottone della polo di Russell.
Si sa che l'occasione rende l'uomo ladro… e la donna ben poco professionale: invece di ruotare il cannocchiale per aggiustare l'inquadratura, lo sollevai lentamente percorrendo, centimetro dopo centimetro, la pelle abbronzata del collo di Russell, di cui potevo vedere ogni più piccolo particolare. Era molto divertente (e anche interessante!) osservarlo così da vicino senza dare nell'occhio, perciò proseguii esaminando la bocca piccola, dal disegno quasi infantile e dalle labbra rosee. Mio malgrado mi sentii arrossire fino alla radice dei capelli quando il ricordo di un bacio attraversò la mia mente e mi riscaldò il sangue. Non mi lasciai turbare e continuai ad osservare Russell che però si muoveva troppo e spesso finiva fuori dal campo visivo del cannocchiale.
- Stai fermo, adesso! - gridai.
Lui si bloccò all'istante guardando nella mia direzione come se fosse in posa per una foto. Perfetto!
Gli occhi erano un caleidoscopio di colori che passavano dall'azzurro intenso al verde, in cui curiosamente galleggiavano piccole macchie scure. Occhi limpidi ed innocenti come quelli di un bambino o torbidi e sensuali, maledettamente profondi, minacciosi, ironici, teneri. Poteva cambiare espressione senza muovere un muscolo. E invece, ad accompagnare lo sguardo c'era un sorriso a cui era impossibile rimanere indifferenti, ed un corpo di cui si percepiva la forza ed il calore nonostante gli abiti. La polo sbottonata era un invito a coprire di baci il collo abbronzato, su fino alla barba di qualche giorno che copriva le fossette del mento e delle guance. I capelli gli ricadevano in morbide onde…
- Allora, questa lettura? -
Paul era dietro di me con il notes in una mano e la matita nell'altra, pronto a trascrivere i dati che gli avrei dettato. Arrossii violentemente, certa che lui si fosse reso conto di cosa stavo combinando.
- Ehm… stavo mettendo a fuoco. -
- Da un quarto d'ora? Claire, ricordi cosa ti ho detto prima di partire? Non farmi fare brutte figure. -
- Stai tranquillo, quella che si rende ridicola sono io. Ormai ci sono abituata. -
- Per punizione vai alla stadia e libera Russell dal tormento di rimanere immobile. -
Feci come mi diceva senza fiatare, maledicendo me stessa per essermi fatta cogliere in flagrante.

*** *** ***

Terzo giorno:
Per lavorare mi ero accampata sul tavolo da pranzo, che era ingombro di piante della casa, di foto e di appunti. Io sedevo fissando come ipnotizzata un immenso foglio millimetrato ancora pulito, la matita dimenticata in mano, squadre e goniometro abbandonati sul tavolo. Nella testa… il vuoto. La sensazione era molto simile a quella che avevo provato durante gli scritti degli esami universitari: trovarmi a tu per tu con uno spaventoso foglio bianco che andava riempito con qualcosa di sensato, che però era come smarrito nel più remoto angolo della mia mente.
Claire, che ti succede? Sei sempre stata molto creativa e questo progetto non è più difficile di quelli a cui lavori di solito, continuavo a ripetermi, ma mia mente si rifiutava di collaborare. Paul, che avrebbe dovuto dare il suo contributo al lavoro, se ne andava allegramente in giro per il ranch insieme ad Alex. Rientrò qualche ora dopo e venne a vedere cosa avevo elaborato. Rimase un attimo a fissare il foglio completamente vuoto, poi ne indicò un punto e disse:
- Io la scala la sposterei più in centro. -
Sospirai mortificata. - Paul, ti è mai capitato un blocco della creatività? -
- Sicuro! -
- Allora dovresti capirmi. -
- Ti capisco meglio di quanto tu possa immaginare: il blocco l'ho avuto quando mi sono innamorato di Sophie. -
Che stava dicendo? Insinuava che mi fossi innamorata di Russell? Certo, era decisamente attraente, ma io amavo Maurice, quindi era escluso che mi lasciassi incantare dal sex appeal del padrone di casa. Ma allora perché non riuscivo a concentrarmi e provavo quell'improvviso vuoto allo stomaco ogni volta che Russell compariva nel mio campo visivo?
- Vuoi un consiglio? Vai a farti un giro e goditi un po' di questo bel sole. Ti aiuterà a schiarirti le idee. -
Accettai il consiglio e mi avviai su per un sentiero che non avevo idea di dove portasse. Il sole caldo e la brezza leggera contribuirono a rilassarmi e a farmi venire qualche idea per il progetto. Ero così immersa nei miei pensieri da non accorgermi di Russell che, a cavallo, mi stava rapidamente raggiungendo.
- Che ci fai qui? Mi sembrava di averti detto di non andare in giro da sola per la fattoria. - mi disse bruscamente.
- Ah, sì… i serpenti, i lucertoloni, i ragni velenosi, le tigri, i draghi, i pirati, i cannibali, gli alieni… -
Lui sbuffò. - Avanti, sali, ti riporto a casa. - e mi tese la mano sollevandomi di peso e facendomi sedere in sella davanti a lui.
- Sai andare a cavallo? - mi chiese dopo un istante.
- Sì. Piuttosto bene, anche. -
- Bene, allora uno di questi giorni ti porterò a fare una bella passeggiata. -
Sospirai. - Russ, sono qui per lavorare, non per spassarmela. Non so se te ne rendi conto, ma oltre ad offrirmi vitto e alloggio mi paghi un parcella piuttosto salata, sai? -
- I soldi sono i miei e posso farci quello che mi pare. Visto che hai tanto da lavorare, come mai sei qua fuori? -
- Blocco creativo. Stavo cercando di schiarirmi le idee. - … ed è impossibile se mi stai così vicino. Percepivo chiaramente la solidità del suo petto contro la mia schiena e il contatto delle sue cosce contro le mie.
- Devo rimpiangere di non essermi rivolto a qualcun altro? -
Mi voltai quel tanto che mi consentiva di guardarlo in viso.
- Dubiti delle mie capacità? -
- Stavo scherzando! - disse ridendo - Si può sapere perché sei sempre sulla difensiva quando parli con me? -
- Ho sempre l'impressione che tu mi prenda in giro. -
- Sei una donna di mondo adesso, dovresti essere più sicura di te stessa. -
- Sono una donna di mondo, non una donna di marmo! -
La risatina di Russ era poco più di un sospiro tra i miei capelli.
- Quand'è che hai imparato ad andare a cavallo? -
- Quando ho conosciuto Maurice. Lui ha sempre tenuto molto alla mia "educazione". -
- Mhhh, il fidanzato perfetto! Cosa fa nella vita oltre ad andare a cena nei ristoranti di lusso e a rompere le scatole alla fidanzata? -
- Ha una galleria d'arte moderna molto conosciuta a Parigi. -
- Sei una donna fortunata. Hai trovato l'uomo che tutte le donne desiderano: affascinante, di classe, ricco, ottimo uomo d'affari suppongo… Scommetto che è anche molto bravo a scopare. -
- Mai avuto di che lamentarmi… - risposi seccata. Detestavo la piega che aveva preso la conversazione perché sentivo le parole di Russell piene di sarcasmo e non mi piaceva che giudicasse me ed il mio compagno. Anch'io avrei potuto far commenti acidi su Meg, ma le sue relazioni erano fatti suoi e io rispettavo le sue scelte.
- Lo ami? -
- Certo che lo amo! - dissi con convinzione e quella risposta mise fine a tutte le domande.
Quando, arrivati davanti alla porta di casa, scivolai a terra, incrociando i suoi occhi vi lessi un inspiegabile risentimento. Una profonda tristezza mi colse: perché non potevamo essere amici come lo eravamo stati fino a poco tempo prima?
Entrai in fretta in casa per sottrarmi a quello sguardo glaciale ed immediatamente mi bloccai davanti al foglio su cui stavo lavorando: era pieno di schizzi e di appunti. Una frase mi saltò agli occhi: "spero che ti sia di qualche utilità". L'idea di fondo non era esattamente quella che avevo in mente, ma fui grata a Paul del supporto morale. Smisi di pensare a Russell e mi buttai a capofitto nel lavoro, alzandomi solo quando fu necessario liberare il tavolo per la cena.

- Stasera io e Terry abbiamo appuntamento con degli amici in un pub di Coffs Harbour. Vuoi venire con noi? - mi chiese Russell. Lo trovai un gesto gentile, dopo la freddezza di quella mattina, perciò accettai con entusiasmo.
- Mi raccomando, vestiti casual. - disse prima di alzarsi da tavola.
Io tornai nella mia stanza e scelsi i capi d'abbigliamento più sportivi che mi ero portata dietro: un paio di jeans firmati ed una camicia di seta.

13 - Se uno sguardo potesse uccidere…

Speravo che il pub fosse vicino al mare per fare una romantica passeggiata sulla spiaggia una volta usciti, e invece era in campagna, parecchio fuori città.
Ci sedemmo sulle panche di legno di un grande tavolo, in una posizione di passaggio. Evidentemente a Russ non dispiaceva essere riconosciuto. Immediatamente cominciò l'andirivieni di amici e conoscenti che si fermavano a salutare lui e Terry e si sedevano a bere qualcosa in compagnia. A tutti io venivo presentata come un'amica parigina e ricevevo delle occhiate incuriosite come se venissi da Marte. Effettivamente il mio abbigliamento, troppo raffinato per essere veramente casual, era piuttosto fuori luogo in un ambiente simile. Stentavo anche a capire quello che mi veniva detto, nonostante parlassi inglese da sempre (mia madre è di Southampton e io sono cresciuta parlando entrambe le lingue). Non potevo far altro che dispensare sorrisi forzati a destra e a manca e osservare Russell, seduto di fronte a me, vuotare il suo enorme boccale di birra e fumare una sigaretta dietro l'altra.
I posti a sedere al nostro tavolo esaurirono rapidamente e, in breve tempo, io mi trovai schiacciata tra Terry e uno strano essere che sembrava uscito dal film "Easy Rider": giubbotto di pelle decisamente "vissuto", tatuaggi osceni, barba e capelli unti che non vedevano un paio di forbici o un rasoio da molto tempo. Puzzava di cuoio, di alcol e di sudore e sbirciava continuamente nella scollatura della mia camicetta mentre mi parlava in un linguaggio incomprensibile.
L'aria era irrespirabile per il fumo e l'odore di corpi sudati, il rumore assordante per le decine di voci che tentavano di sovrastare la musica country di sottofondo. Ero così a disagio che avrei dato chissà cosa per essere al più noioso dei ritrovi dell'alta società parigina.
Ad un certo punto al gruppo si aggiunse una tipa procace vestita in un modo che non lasciava niente all'immaginazione. Si lanciò sui ragazzi seduti sulla panca di fronte a me ed atterrò, non proprio casualmente, sulle ginocchia di Russell. Gli sbatté sotto il naso un seno che straripava dal push-up e dalla maglietta scollata, e lanciò uno sguardo strafottente nella mia direzione. Russell si affrettò a fare le presentazioni e lei mi strinse la mano osservandomi con sufficienza. Ecco un'altra persona con cui non era necessario socializzare! Tornai a rivolgermi a Terry che era l'unico a mostrarsi cordiale e premuroso, sforzandomi di ignorare la patetica scenetta della tipa che offriva delle olive a Russ imboccandolo. Lui era così assorto nella nuova occupazione da non degnarmi di uno sguardo. Cercai di non darlo a vedere ma fremevo di rabbia alla vista dei due che tubavano come piccioni in amore.
L'atmosfera era sempre più opprimente tanto che, ad un certo punto, mi defilai in bagno e ci rimasi per un bel po'. Quando tornai al tavolo rimasi impietrita nel vedere che Russell e la bambolona si stavano baciando appassionatamente, le mani di lei che frugavano nella camicia sbottonata di Russ. Se lo sguardo potesse uccidere avrei avuto due morti sulla coscienza.
Rassegnata ad assistere alla scena e pregando che non andassero oltre, tornai a sedere al mio posto. Fortunatamente il motociclista se n'era andato e al suo posto c'era un uomo grassoccio che mi pareva di avere già visto da qualche parte.
- Ciao. Sono Mark. Tu sei Claire, vero? - mi disse, urlando per sovrastare il rumore. - Non c'è che dire, Russ ha sempre buon gusto in fatto di donne! -
Io non potei risparmiarmi dal lanciare un'occhiata sprezzante alla tipa che aderiva a Russell come una ventosa.
- Ne dubito! - risposi acida.
Mark rise e mi tese la mano. - Non ci fare caso. Benvenuta in famiglia! -
Sorrisi amabilmente ma avrei voluto rispondergli che facevo volentieri a meno della loro "famiglia" e che avrei preferito trovarmi anni luce da lì.
Mi guardai intorno e, vedendo al nostro tavolo altre coppie che si davano da fare, dedussi che quella doveva essere un'usanza del luogo e mi augurai che nessuno proponesse a me di fare altrettanto. Fortunatamente dopo qualche minuto Terry mi disse di voler tornare a casa. Io colsi al volo l'occasione. Mi ero chiesta più volte come fare ad andarmene dal quel posto senza offendere nessuno. Immaginai che Terry si fosse accorto del mio imbarazzo e mi stesse offrendo una via d'uscita.
- Volentieri! - gli risposi - Ma Russ come farà a tornare? -
Domanda stupida! Probabilmente non sarebbe tornato per molte ore ancora e a quel punto la tipa, dopo averlo spremuto a dovere, l'avrebbe sicuramente depositato davanti alla porta di casa.
Terry fece un cenno a Mark e tutti e tre uscimmo dal locale. Finalmente potevo respirare.
Saltammo subito sul furgone di Terry che partì a tutta velocità. Addio sogno puerile di una passeggiata con Russell in riva al mare!
Durante il viaggio di ritorno i due uomini fecero di tutto per farmi sentire a mio agio, ma io non riuscivo a far altro che pensare a Russell abbandonato tra le braccia di quell'essere spregevole dalle immense labbra carnose e dalle altrettanto immense tette siliconate.
Giunti al ranch, Terry si ritirò nella sua stanza e Mark occupò quella in fondo al corridoio che mi ero spesso chiesta a chi appartenesse. Avrei preferito che fossero rimasti a tenermi compagnia perché prevedevo che la notte sarebbe stata alquanto travagliata. Fu così che, a malincuore, mi ritirai nella mia stanza.
Mi spogliai lanciando rabbiosamente gli abiti sopra il comò (con qualcosa me la dovevo pur prendere!) e mi infilai a letto senza struccarmi. Tre ore dopo ero ancora sveglia.
Gelosia, umiliazione e delusione si mischiavano in un dolore insopportabile mentre mi rivoltavo nel letto incapace di rilassarmi e di prendere sonno. Mi sentivo così stupida! Lontano da casa e da Maurice stavo soffrendo per un uomo che non era il mio e di cui non avrebbe dovuto importarmi di sapere con chi aveva passato la notte. Gli occhi mi bruciavano per la stanchezza e per le lacrime di rabbia e di dolore ostinatamente trattenute. Accesi la luce e mi guardai allo specchio, probabilmente alla ricerca, nel mio aspetto, di una puerile conferma della mia bellezza che potesse darmi qualche speranza ed un po' di conforto. Invece ciò che vidi era una livida maschera di cera dagli occhi gonfi e pesantemente bordati dall'alone nero del mascara che era colato dalle ciglia, il viso di una donna profondamente ferita. La constatazione scacciava anche la ridicola idea, che per un attimo mi era balenata in mente, di svegliare uno dei due uomini con cui ero tornata a casa. Un amaro sorriso mi affiorò alle labbra: che idea quella di sedurre qualcuno che non mi interessava solo per provare a me stessa di valere ancora qualcosa come donna! A questo livello era scesa la mia autostima, e tutto per colpa di una ragazza volgare che non valeva nemmeno la metà di me, e di un uomo che aveva dimostrato di valere ancora meno.
Guardai l'orologio. A Parigi doveva essere tardo pomeriggio e Maurice probabilmente era ancora alla galleria. Mi decisi a chiamarlo ma il mio cellulare era muto come al solito, così sgattaiolai fuori dalla camera alla ricerca di un telefono.
La voce di Maurice si distingueva appena tra la confusione che si udiva in sottofondo.
- Pronto? -
- Maurice, sono io. -
- Cosa?… Chi parla? -
- Sono Claire! -
- Tesoro! Finalmente ti ricordi di me! Scusa, ho organizzato un coctail party e c'è molta confusione. Chiamami domattina, ok? -
- Maurice, aspetta… - e invece riattaccò lasciando che la mia voce si spegnesse nel silenzio della casa addormentata. Maurice a Parigi si stava divertendo senza di me; Russell a Coffs Harbour si stava divertendo senza di me. Io non ero indispensabile a nessuno ed ero sola. La sensazione mi era ben nota, ma non la provavo più da così tanto tempo da averla quasi dimenticata. A dire il vero, aver messo piede in quella casa aveva stranamente risvegliato in me vecchie incertezze, come se quella casa e la gente che vi abitava costituissero un ponte che mi ricongiungeva al mio passato. Se c'era un senso in tutto ciò mi sfuggiva…

Mi infilai in cucina nella speranza di rimediare qualcosa in grado di darmi uno stordimento sufficiente a farmi dormire un po'. Chissà dove tenevano gli alcolici? Cercai in giro inutilmente e alla fine, ancora più frustrata, raggiunsi la veranda e mi ranicchiai su una delle poltroncine. Era quasi l'alba e Russell non era ancora tornato. Il cielo lentamente cominciava a rischiararsi. In fondo al viottolo vidi spuntare la luce dei fari di un'auto che si avvicinava: erano i ragazzi che lavoravano alla fattoria. Arrivavano per una nuova giornata di lavoro e Russ era con loro.
- Buongiorno! - mi disse allegramente mentre gli altri si avviavano verso le stalle. - Come mai sei qua fuori? Mi stavi aspettando? -
- No. -
- Ah… insonnia! E' la vita di città che ti sta rovinando, Claire. Quando sono qui io dormo sempre come un bambino. -
- Lo credo, con tutto l'alcol che ti scoli! Spero che almeno tu ti sia divertito ieri sera. -
- Certo! Amici, buona musica, alcol e sesso, cosa si può volere di più dalla vita? -
- Tutti i gusti sono gusti! - dissi rivolgendogli una smorfia schifata.
- Sempre meglio dei vostri barbosi ritrovi dell'alta società… -
- Tu che ne sai? -
- Dimentichi che anch'io ogni tanto sono costretto a sopportarli. -
- Almeno ci sono persone degne di essere frequentate, non come quei bifolchi dei tuoi amici! -
Lui rise scotendo la testa. - La principessa ha bisogno di un bacio per svegliarsi… -
- Il bacio di un principe, non quello di uno zotico! -
Vidi il suo sguardo indurirsi improvvisamente e un attimo dopo mi trovai intrappolata tra le sue braccia, le sue labbra che schiacciavano le mie fino quasi a farmi male. Puzzava di sigarette, alcol e… del sesso della tipa del pub. Ero così disgustata e furiosa che lo morsi con tutte le mie forze. Lui mi lasciò di scatto con un'espressione di dolore dipinta in viso. Prima di dargli il tempo di reagire scappai in casa e chiusi a chiave la porta della mia camera.

Fu solo parecchie ore dopo che mi azzardai a mettere il naso fuori dalla stanza. In casa non si sentiva alcun rumore, c'era solo il profumo delle uova strapazzate e del pane tostato che avevano preparato per colazione. Aprii la porta della cucina e mi bloccai di scatto. Russell, in piedi davanti ai fornelli, stava preparando da mangiare.
- Buongiorno! Hai fame? -
Aveva sul viso il segni della notte insonne ma i suoi occhi brillavano di una luce allegra e maliziosa. Io ero stanca, spossata e con i nervi a fior di pelle. Solo il fatto di vederlo mi metteva in agitazione.
- Claire, senti… ieri sera… stanotte mi sono comportato male… -
- Oh, certo, molto comodo! Fai quello che vuoi e pretendi che qualche scusa risolva tutto. -
Il livido che aveva sul collo non mi permetteva di smettere di pensare alle sue prodezze amatorie della sera precedente. Lui sospirò seccato:
- E va bene, come vuoi, scuse ritirate. Stavo solo cercando di essere educato con te ma non ne vale la pena. Lo sai? Ti preferivo prima. Sei diventata disgustosamente altezzosa, acida, bisbetica… -
- Bisbetica solo perché non accetto più il tuo modo di fare? Cinque anni fa mi prendevi in giro come ti pareva e io non ribattevo perché non ne avevo la forza, ma non mi faceva affatto piacere. Non hai idea di quante volte avrei voluto mandarti al diavolo. Adesso lo faccio! Vai al diavolo, Russ! E' stato un errore accettare questo lavoro e venire qui. - detto ciò mi avviai verso la porta.
- Dove vai? -
- A lavorare! Tornerei volentieri a Parigi ma purtroppo devo tener fede ai miei impegni. - gli voltai le spalle, fuori di me dalla rabbia. Lui si avvicinò, mi sfiorò una mano, me la strinse.
- C'è niente che io possa fare? - La sua voce, tra i miei capelli, era profonda e pacata. - O tutto quello che c'è stato di buono fra noi non conta più? -
Boccheggiai. Il suo tono, dolce e malinconico, mi faceva sentire in colpa. Mi voltai verso di lui e per un attimo mi persi nei suoi occhi profondi e tristi, poi mi ricordai che era un bravissimo attore e sapeva bene come essere convincente.
- Oh, per favore, risparmiami questo patetico tentativo di… seduzione! -
Mi aspettai di vederlo arrabbiarsi di nuovo e invece sorrise… un sorriso maledettamente caldo e sensuale, accompagnato da uno sguardo che, mio malgrado, accese ogni cellula del mio corpo. Mi sollevò la mano e sfiorò il dorso delle dita con le labbra, a lungo, dandomi il tempo di sentirne l'umido tepore e la morbidezza.
- Sei pane per i miei denti… - sussurrò con la voce ancora più profonda, guardandomi intensamente negli occhi. Il mio cuore mancò un colpo. Con un'immensa fatica strappai la mano dalla sua e gli voltai le spalle.
- Va' a farti fottere, Russ! - così dicendo raggiunsi la porta. Lui scoppiò in una risata fragorosa.
- Come volevasi dimostrare! - gridò.
La mia reazione mi sorprese: anziché scagliarmi contro di lui e schiaffeggiarlo come meritava, esasperata cominciai a ridere. Come cinque anni prima non riuscivo a tenergli il broncio. Lui mi abbracciò ridendo.
- Ti odio! - esclamai mentre cercavo di respingerlo, ma la mia mano contro il suo petto servì solo a farmi sentire la solidità dei suoi muscoli ed il calore del suo corpo.
- Perché? Sono proprio così terribile? -
- Ti odio perché… perché non riesco ad odiarti… -
- Dillo che sono irresistibile! -
- L'aggettivo giusto che ti descrive invece è "insopportabile". -
- Continua. -
- Insolente, irritante e… e… - mi mancarono gli aggettivi - … anche un po' stronzo! -
Lui esplose in una risata a cui impossibile resistere. - Ok, me lo merito. E adesso andiamo a lavorare. -
- Russ aspetta! Prima vorrei mostrarti il lavoro che sto facendo. È solo un'idea, ma ho bisogno di sapere se ti piace prima di proseguire. Non mi va di buttare via il tempo. -
Ci trasferimmo in sala da pranzo dove srotolai sul tavolo i fogli coperti di schizzi disegnati a matita e colorati a pastello. Con piacere notai che Russell era meravigliato.
- Come hai fatto a produrre tanta roba in poco più di mezza giornata? -
- Abitudine. Lo sai che disegno in fretta. Mio caro, stai spendendo bene i tuoi soldi. -
Senza dissimulare l'orgoglio per il mio lavoro, gli mostrai la mia idea di trasformare la vecchia casa in una dependance per gli ospiti e la gente che lavorava al ranch. La nuova costruzione, che doveva costituire una sorta di casa padronale, era collegata alla casa originaria da spazi comuni: la sala da pranzo, il soggiorno, la stanza per la musica e una piccola palestra. La sala da pranzo, più che raddoppiata, mediante una grande porta-finestra scorrevole si apriva su un'ampia veranda. Tramite una scala a chiocciola si arrivava ad un luminosissimo soggiorno. Il soffitto mansardato degradava con un bel disegno di travi in vista. Dal soggiorno si usciva su un'ampia terrazza da cui si potevano ammirare le verdi colline ed i pascoli della tenuta. Mentre la parte centrale era interamente realizzata in legno e vetro per dare luce e leggerezza, l'ala destinata agli alloggi della famiglia riprendeva lo stile della costruzione originaria ed era più intima, più raccolta.
Provai una grande soddisfazione quando, guadando Russell al termine della mia spiegazione, mi accorsi di quanto gli brillavano gli occhi.
- Che ne pensi? -
- Un po' francese, forse, ma è perfetta! Non cambiare una virgola, sono sicuro che piacerà anche alla mia famiglia. -
- Sono contenta che ti piaccia. Vuoi andare a chiamare i tuoi? - dissi, ma Russell non si mosse, sembrava pensieroso.
- Cosa c'è? -
- Sai, stavo pensando che mi sembra ieri quando ero solo un attore sconosciuto e tu una semplice studentessa. Ora sono candidato all'Oscar e tu sei un grande architetto. Come cambiano le cose in poco tempo! -
- Il grande architetto è Paul. Io sono solo un architetto che cerca di fare al meglio il suo mestiere. -
- Non basta la dedizione assoluta, ci vuole talento. -
- Grazie… E tu vincerai quell'Oscar, ne sono sicura. -
- Bene! Dai litigi siamo passati ai complimenti. Amici? - disse tendendomi la mano. Lo guardai con un pizzico di diffidenza, ma poi gli strinsi la mano.
- Amici. - risposi sorridendo. Lui mi scompigliò affettuosamente i capelli.
- Se hai finito di lavorare voglio portarti in giro per la fattoria. Per tutti questi giorni sei rimasta chiusa in casa e non hai ancora visto niente. -
- Veramente ora che il mio lavoro qui è finito, io e Paul dovremmo tornare a Parigi. -
- I patti erano che sareste rimasti una settimana. Consideratevi miei prigionieri! -
- Non credo che a Paul dispiaccia! - dissi ridendo.
- E a te? -
- Non so. - Per quanto la situazione stesse migliorando, avevo ancora paura di quello che sarebbe potuto accadere nei tre giorni che rimanevano prima del mio ritorno nella rassicurante Parigi.
- Hai nostalgia di casa e del fidanzato? -
Guardai fuori dalla finestra il sole brillante che accendeva di colori la natura che circondava la casa. Ad essere sincera Maurice non mi mancava per niente.
- A Parigi piove e fa freddo. - fu la mia risposta. Russell ridacchiò.
- Andiamo! -

14 - Rimpianti

Per il resto della giornata lo seguii su e giù per i sentieri della fattoria a piedi e a cavallo, correndo dietro alle mucche, salendo e scendendo dagli steccati e facendo ogni tipo di attività che non avevo mai fatto. All'ora di cena morivo di fame e ed ero così stanca, un po' per il movimento ed un po' per la notte trascorsa insonne, da non riuscire a tenere gli occhi aperti. I presenti mi guardavano perplessi e divertiti.
- Cosa le hai fatto? - chiese Jocelyn a Russell. Lui si strinse nelle spalle.
- Niente! - guardò nel mio bicchiere e lo annusò - È strano, non ha bevuto nemmeno una goccia di birra! -
Io raccolsi le ultime forze per tirargli un calcio, sotto la tavola, che lo prese in pieno e lo fece sobbalzare.
- Ehi! - gridò massaggiandosi la caviglia - non si può mai scherzare con te! -
- Oh scusa, ti ho fatto male? Strano, stavo solo scherzando! -
Gli altri scoppiarono a ridere e Mark mollò a Russ una vigorosa pacca su una spalla. - Amico mio, hai trovato pane per i tuoi denti! -
- Lo so già!!! - sbuffò, poi mi rivolse uno sguardo che non prometteva niente di buono. Si alzò da tavola e, arrivato dietro di me, trascinò indietro la mia sedia.
- Andiamo. - ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
- Dove? - gli chiesi senza scompormi.
- Ti porto a letto… tesoro. - Tutti ammiccarono al tono malizioso della frase.
- Ma io non ho nessuna intenzione di andare a letto… né da sola né in compagnia! -
- Io invece dico di sì e sulle mie terre ho diritto di vita e di morte! -
- Massimo, stai attento che potresti finire con un coltello piantato nella schiena! - disse Paul ridendo mentre Russell mi sollevava di peso e mi trascinava fuori dalla stanza fino alla mia camera. Fece per depormi sul letto ma si sbilanciò e mi crollò addosso.
- Russ… tirati su… mi stai strangolando! -
Appena fu in grado di muoversi, rotolò di fianco a me e rimase sdraiato a ridere come un ragazzino. Era di nuovo il "mio" Russell, il ragazzo che avevo conosciuto quasi cinque anni prima e, a guardarlo bene, non era poi così cambiato. Sembrava più maturo ed era ancora più virile e sexy, ma non aveva perso la voglia di ridere. Lui si accorse che lo stavo osservando e rimase a guardarmi senza dire nulla, con un'espressione dolce ed affettuosa negli occhi che, nella luce soffusa della stanza, erano intensamente verdi.
- Ti lascio dormire. Buonanotte principessa. - disse baciandomi sulla fronte prima di alzarsi a sedere.
Se ne sarebbe andato proprio mentre la cosa che desideravo di più era accoccolarmi tra le sue braccia e addormentarmi cullata dal suo respiro.
- Russ… non te ne andare. -
- Dormi. -
- Ma io non… -
- Shhh… - sussurrò posandomi lievemente l'indice sulle labbra. Sorridendo maliziosa gli sfiorai il dito con la punta della lingua. Dovevo in qualche modo dimostrargli che lo desideravo e quello era il momento giusto e, forse, anche il modo giusto. A giudicare da come mi esplorò l'interno delle labbra con il dito, dedussi che aveva capito al volo le mie intenzioni… Ma cos'era l'espressione dipinta sul suo viso mentre gli succhiavo il dito e glielo mordicchiavo? Imbarazzo? Non si aspettava che fossi così audace? Mi sembrò titubante nel chinarsi a baciarmi sul collo, come se lo stesse facendo solo per me. La cosa non mi turbava affatto perché sapevo di essere in grado di fargli cambiare idea. Dolce e arrendevole o aggressiva e perversa, sarei stata come più gli piaceva. Gli avrei permesso di condurre il gioco lasciandogli l'illusione di essere il più forte, ma mi sarei insinuata sotto la sua pelle al punto che non avrebbe più potuto fare a meno di me. Sapevo di esserne capace: Maurice era stato un ottimo insegnante.
Dimostrami la tua fama di amante irresistibile!, pensavo mentre le sue labbra gentili sfioravano, quasi con timore, la mia bocca sconosciuta. Io avevo bisogno di molto più di questo: di tutto il suo corpo, di tutta la sua anima. Rotolai sopra di lui ed i miei baci ardenti annullarono rapidamente ogni sua riserva. Lo percepivo dal suo respiro affrettato, dai battiti precipitosi del suo cuore sotto le mie mani, dalla frenesia dei suoi gesti che mi liberavano dal vestito di seta lasciandomi esposta ai suoi occhi ed alle sue carezze, dal suo desiderio che premeva sotto il mio corpo disteso su di lui. Io provavo l'esaltazione di riuscire finalmente a soddisfare il mio ancestrale desiderio di riempirmi le mani e la bocca della sua carne opulenta e della pelle di seta dall'odore inebriante.
Improvvisamente mi afferrò i capelli dietro la nuca costringendomi ad alzare il viso per liberarlo un istante dal dolce tormento che la mia bocca gli procurava. Lo guardai in viso: ansimava e non avrebbe potuto essere più bello di così, con la fronte imperlata di sudore e uno sguardo selvaggio negli occhi socchiusi che brillavano come cristalli. Uno sguardo selvaggio… un istante dopo il suo corpo mi schiacciava sul materasso, entrambi i polsi stretti sopra la testa da una delle sue grandi mani mentre l'altra percorreva implacabile la mia pelle sensibile e mi strappava di dosso quel po' che rimaneva del mio abbigliamento.
- E' questo che vuoi? - sussurrò contro la mia bocca mentre sprofondava nel mio corpo ed esplodeva nella mia anima. In pochi istanti non eravamo più nient'altro che un groviglio di braccia e di gambe, pelle su pelle, due corpi che si muovevano all'unisono in un ritmo frenetico, esasperati da un piacere incalzante che non dava tregua e dissolveva il mondo intorno a noi…

Spalancai gli occhi, sudata e ansimante, il corpo ancora acceso e sensibile, e rimasi in silenzio nel buio per sentire il respiro di Russell accanto a me, ma ciò che riuscivo ad udire era solo l'intenso martellare del mio cuore. Stesi una mano che si perse nel letto vuoto. Russ se n'era andato. Accesi la luce e quello che vidi mi lasciò sconcertata: il letto era quasi intatto, con il cuscino al suo posto ed il copriletto che rivelava solo una debole impronta del suo corpo. Nessuna traccia della notte di fuoco che avevamo vissuto. Io avevo ancora addosso la mia maglietta e gli shorts. Avevo sognato! Ma com'era possibile? Ricordavo perfettamente Russell che rideva accanto a me. Quando mi ero addormentata? Mi alzai ed andai a guardarmi allo specchio. Avevo il collo arrossato come se fosse stato preso d'assalto da baci e da una barba di qualche giorno. Cos'era successo? Russ mi aveva presa dopo avermi ipnotizzata ed il sogno non era altro che un po' di coscienza riuscita a ribellarsi alla magia del suo sguardo e della sua voce? Commettevo peccato anche solo a pensare che potesse aver fatto una cosa del genere! Per quanto fosse brusco e sgarbato a volte, sapevo che non avrebbe mai approfittato di me.
Ripassai lentamente il sogno ed i ricordi della sera precedente nella speranza di capire che cosa era successo realmente, ma riuscii solo a constatare che non potevo distogliere la mia mente da pensieri indecenti…
Cosa mi stava succedendo? Com'era possibile che mi bastasse stare solo pochi giorni lontana da Maurice per desiderare in quel modo un altro uomo?

Dalla finestra entrava una brezza leggera e la luce argentea della luna. Avevo bisogno di aria per schiarirmi le idee così mi alzai con l'intento di uscire qualche minuto sulla veranda ma, appena aprii la porta, mi resi conto di non essere sola. Russ, appoggiato ad una delle colonne, fumava tranquillamente.
- Ciao! - mi disse allegramente quando si accorse della mia presenza.
- A quanto pare non sono l'unica a soffrire d'insonnia. -
- Non dormo più bene da quando sei qui. - ammise. Lo guardai sorpresa.
- Sono così esasperante da innervosire questo grand'uomo? - dissi sforzandomi di dare un tono leggero alla mia voce. Lui sorrise dolcemente.
- No, sei solo il passato che ritorna e mi ricorda i miei errori… - sospirò.
- Quali errori? -
Non rispose ma si limitò a rivolgermi uno sguardo malinconico. Dopo un attimo che mi sembrò eterno, aspirò una boccata di fumo e guardò altrove.
- Avevo bisogno di fumare una sigaretta senza correre il rischio di mandare a fuoco la casa. -
Mi piaceva il suo modo di fumare, la passione e la sensualità espresse in un gesto così semplice. Succhiava il filtro della sigaretta come io immaginavo avrebbe succhiato i capezzoli di una donna. Ero ancora così sconvolta dal sogno ed emozionata per la sua presenza che iniziai a tremare leggermente. Lui se ne accorse.
- Hai freddo? - disse allungando una mano per toccarmi una spalla. Io mi mossi leggermente per sottrarmi al suo tocco. Mi sembrava di essere in piedi sul bordo di un precipizio, una piccola mossa e gli sarei finita tra le braccia e, per quanto può sembrare strano, la cosa mi spaventava.
- Hai paura? -
- Di te? No. - Ho paura di me stessa perché quando ti sono vicino non ho il controllo dei miei pensieri e del mio corpo, avrei voluto aggiungere. Mi sforzai di sorridere e presi a guadare la campagna sotto i raggi della luna piena.
- Lo credo che non riesco a dormire, non sono abituata a questa pace. - sospirai - E' un posto bellissimo. -
- Quando ho comprato la terra non immaginavo che sarebbe stata la mia salvezza. Passo mesi sul set a spremermi come un limone in balia di registi isterici poi, quando ho finito, parto per la promozione. In giro per il mondo, senza un attimo di sosta, per rispondere a domande cretine. La maggior parte del tempo la passo in aereo e tu sai quanto non sopporti stare fermo. Poi me ne sto barricato in hotel, assediato dai fotografi, non posso neanche andare in bagno senza essere scortato dalle mie guardie del corpo. E tutta questa gente che mi guarda e giudica. Che cazzo vogliono da me? -
- So cosa intendi. Da quando sto con Maurice vivo con il timore di fare passi falsi che possano metterlo in imbarazzo. Ogni volta che mi presento ai ricevimenti vengo studiata, analizzata, giudicata. Non sono Claire Blanchard, molti non conoscono nemmeno il mio nome, ma sono nientemeno che la fidanzata di Maurice Guégan e devo far di tutto per dimostrarmi alla sua altezza. Purtroppo non ho vicino a me la Fata Turchina che, con un colpo di bacchetta magica, trasforma una provinciale in una principessa. Non sono ancora riuscita a far del tutto l'abitudine alla mia nuova condizione. -
- Come puoi vivere così? -
- Sono gli effetti collaterali del successo. Tu dovresti saperlo. -
- Sì. Per fortuna che ho questo posto dove rifugiarmi e vivere la mia vita in pace. -
- Io invece non vedo Fréhel da mesi. Il lavoro mi impegna molto e mi costringe rimanere a Parigi, poi c'è Maurice. Ormai la mia vita è là. -
- Che ne è della tua scogliera? -
Sospirai amaramente. - Alla fine ho scoperto che non posso volare, perciò un posto vale l'altro. Russ, non è più tempo di sogni. Ho lottato per avere quel lavoro, tu lo sai bene. Ho ottenuto ciò che volevo, e se questo comporta dei compromessi, allora non ho nessun diritto di lamentarmi. Ho scoperto che per vivere serenamente è sufficiente accontentarsi di quello che si ha e non porsi domande. -
- Ma tu hai il diritto di cercare il meglio! -
- Ma io ho il meglio! Ho una vita che molti mi invidiano. Qualche volta le cose non vengono proprio come le pianifichiamo, ma non si può pretendere la perfezione. -
- La perfezione è come l'orizzonte, più cerchi di avvicinarti più si allontana, ma il solo modo per crescere è andarle incontro. -
- … ed essere degli eterni insoddisfatti? Non sto parlando del lavoro, Russ, sto parlando della vita. E tu? Sei felice? -
Sorrise. - Qualche volta le cose non vengono proprio come le pianifichiamo… -
- Cosa ti manca? -
Lui sbuffò via il fumo e rispose:
- Oh, un sacco di cose! La privacy, innanzitutto, poi una famiglia tutta mia. Sarebbe il momento giusto ma mi manca la materia prima. -
- Con tutte le donne che ti adorano? Hai un'ampia possibilità di scelta. Ti basta stendere una mano e afferrarne una. -
- Fosse così facile! Quelle che mi piacciono non sono mai disponibili. - lo diceva scherzando ma io sospettavo che ci fosse qualcosa di vero e che, dietro il suo aspetto da adorabile canaglia, si celasse un pizzico di solitudine e il desiderio di un amore vero e di stabilità. Le questioni sentimentali erano gli unici argomenti che non avevamo affrontato durante le nostre lunghe chiacchierate al telefono, quindi tutto ciò che sapevo di lui in quel senso lo avevo appreso dai giornali, come tutte le altre sue fans.
Mi sarebbe piaciuto approfondire l'argomento ma non volevo essere indiscreta, così lasciai cadere il discorso.
- Non ti ho ancora ringraziato. - dissi dopo un po'.
- Per cosa? -
- Per essermi stato vicino quando mi sono trasferita a Parigi. -
- Vicino per modo di dire! -
- Lo sai cosa intendo. Mi hai aiutato molto. È merito tuo se ora sono così. -
Lui mi guardò perplesso.
- Non ti piaccio proprio, eh? - sospirai rassegnata.
- Lo sai che non è vero. Però… cinque anni fa ho conosciuto una ragazza… era quella ragazza che mi aspettavo di rivedere quando sono venuto a Parigi. Adesso ho bisogno di un po' di tempo per capire chi sei. -
- Una settimana è sufficiente? -
- Una settimana? I primi quattro giorni li abbiamo sprecati a soppesarci a vicenda e a litigare. Ci restano solo tre giorni, dobbiamo darci da fare! - disse con un sorriso.
- Davvero sono cambiata tanto? -
- Sì. -
- E' l'istinto di conservazione. Devi adattarti all'ambiente se vuoi sopravvivere. -
- Sì, ma non a costo di rinnegare il passato. -
- Ho rinnegato solo le cose negative del passato: ero timida ed ingenua. Ora non lo sono più. Credo di essermi semplicemente svegliata. -
- Non eri poi tanto male. -
- Grazie per avermelo detto solo adesso! - esclamai ridendo. Lui mi rispose con un sorriso affettuoso.
- Claire, non immagini quanta voglia avevo di rivederti. -
- Oh, certo, tra una scappatella e l'altra! - Stavo scherzando ma il sorriso mi morì sulle labbra nel vedere il suo sguardo velato di malinconia.
- Le mie scappatelle… Non prendermi in giro, non hai un'idea di quanto sia difficile per me trovare qualcuno che mi ami per me stesso e non per quello che rappresento. Quelli come me finiscono per cercare un po' d'amore tra le braccia sbagliate. Non sono il superuomo che tutti pensano, ci sono cose di cui anch'io ho bisogno. Ogni giorno ringrazio per l'opportunità che mi è stata data, ma non è una vita facile… -
D'istinto alzai una mano ad accarezzargli una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte. Un sorriso dolce e malinconico gli rischiarò il viso.
Rimanemmo un attimo in silenzio ad osservare uno dei cani che era uscito dalla cuccia e si guardava intorno annusando l'aria.
- Russ, perché non mi hai più telefonato? -
- Pensavo che ormai fossi in grado di cavartela da sola. -
- Ah, capisco. Volevi solo aiutarmi… - sospirai.
- No, mi faceva piacere parlare con te. -
- E allora perché non l'hai più fatto? Era solo un problema di mancanza di tempo? -
Lui aspirò una boccata di fumo e guardò lontano, verso il cane che muoveva dei passi incerti sull'erba.
- No, non è per questo. E' solo che… - esitò, sembrava imbarazzato - … stavo arrivando al punto di non ritorno… e non volevo rovinare la mia vita e la tua. Era troppo presto, avevamo entrambi qualcosa di importante da fare. Le uniche cose che avrei potuto offrirti erano mesi e mesi di solitudine. - non aggiunse altro ma andò incontro al cane correndo a piedi nudi sull'erba, lasciandomi incredula nella veranda.
Ero senza fiato! Senza troppi giri di parole mi aveva tolto il dubbio che era rimasto in sospeso per anni. Mi ero sempre imposta di non illudermi, di non fidarmi del mio istinto che mi portava a dare un significato all'emozione che credevo di sentire nella voce di Russell durante le nostre lunghe telefonate. Così, per paura di soffrire, mi ero obbligata a scelte razionali che mi avevano soddisfatta solo in parte. Maurice era una di queste.
Guardavo Russell da lontano: rideva ed io ero deliziata nel vedere quell'uomo massiccio trasformarsi in un ragazzino mentre giocava con il cane sull'erba.
Finalmente riuscì a sottrarsi alla presa dell'animale che gli mordeva il fondo dei calzoni e cominciò a correre scomparendo dietro l'angolo della casa. Non vedendolo tornare andai a cercarlo. Lo trovai, sul retro, che beveva da un lungo tubo mentre il cane lappava l'acqua che si raccoglieva in una bacinella ai piedi del suo padrone.
- Hai sete? -
- Sì. -
Sollevò il tubo per consentirmi di bere, ma quando avvicinai la bocca al getto d'acqua, lui lo spostò di scatto, lasciandomi a boccheggiare nell'aria.
- Allora? - lo rimproverai, ma in fondo ero divertita.
- Ok. - disse, ma appena riprovai ad avvicinarmi, lui ripeté lo scherzo. Fulminea gli afferrai il polso ma mentre gli tenevo ferma la mano e bevevo, Russ strinse con il pollice l'estremità del tubo. L'acqua a pressione, mi schizzò in faccia, sui capelli e mi inzuppò la maglietta che mi si incollò addosso rivelando la forma del mio seno. Approfittai dell'attimo di distrazione di Russ per chinarmi a sollevare la bacinella e scaraventargli addosso tutta l'acqua che conteneva. A quel punto eravamo entrambi bagnati fradici. Risi trionfante nel vederlo annaspare con i capelli davanti agli occhi, ma il ruggito che mi rivolse prometteva rappresaglie. Scappai ridendo. Dopo pochi passi, però, scivolai sull'erba bagnata cadendo in ginocchio proprio nel momento in cui Russ mi raggiungeva. Fu così che ruzzolammo insieme sull'erba.
- Ti sei fatta male? - chiese rialzandosi.
- No. - in realtà mi sentivo come se mi fosse passato sopra un rullo compressore. - E tu? -
- No, non mi sono fatto niente. Il tuo ginocchio! - esclamò notando che un ginocchio escoriato sanguinava un po'.
- Non è nulla. -
Mi aiutò ad alzarmi poi, notando che zoppicavo vistosamente, mi sollevò tra le braccia e mi trasportò in casa.
- Aspettami qui, vado a prendere qualcosa con cui disinfettarti. - disse deponendomi sul tavolo della cucina. Tornò un attimo dopo e si sedette di fronte a me, armeggiando con cotone e disinfettante. Non potevo non notare i muscoli delle spalle che guizzavano sotto la pelle bagnata mentre mi puliva delicatamente l'escoriazione con quelle sue mani grandi e forti, abituate ai lavori pesanti e a maneggiare una spada, ma dalle dita agili che, ne ero certa, erano abilissime a far fremere una donna. Quelle stesse dita tergevano distrattamente dalla mia coscia le gocce d'acqua che colavano dai suoi capelli. Il mio corpo reagiva al suo tocco, ma non si trattava del dolore proveniente dalla ferita, bensì di un piacere pungente che mi incendiava il sangue. Russ era così concentrato da non accorgersi del mio turbamento, finché un gemito non mi sfuggì dalla labbra. Lui sollevò di scatto il viso su cui era dipinta un po' di apprensione.
- Ti ho fatto male? -
- No. - mi affrettai a dire, arrossendo per essere stata quasi colta in fallo. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, volsi gli occhi attorno, ma quando li riportai su di lui mi accorsi che mi stava ancora fissando.
- Che c'è? - gli chiesi nervosamente.
- Non credevo che fossi ancora in grado di farlo. -
- Fare cosa? -
- Arrossire. Come facevi cinque anni fa. È bello sapere che certe cose non cambiano. -
Lo aveva detto teneramente, con un sorriso innocente che si specchiava nei suoi occhi chiari. E in quel momento mi resi conto che qualcosa era definitivamente cambiato tra di noi. La diffidenza e quell'ostilità che, dissimulata o palese, sentivo nella sua voce e leggevo nei suoi occhi da quando l'avevo rivisto nello studio di Paul, erano svaniti come per incanto. Era come se si fosse creata una breccia nel muro che ci impediva di comunicare e, aldilà del muro, ad attenderci fiduciosa c'era la complicità che avevamo sempre avuto.
- Fatto! - disse appiccicandomi un cerotto al ginocchio. Non opposi resistenza quando mi sollevò gentilmente e mi posò a terra.
- Andiamo, ti porto a letto. -
Il déjà-vu mi colse alla sprovvista. Il sogno… (se era stato un sogno!), l'avrei vissuto di nuovo? Mi dissi che le troppe emozioni e la mancanza di sonno cominciavano a sgretolare il mio equilibrio psichico.
- Ci vado da sola! - esclamai precipitosamente.
- Come vuoi. -

Una volta a letto, però, l'emozione mi impedì, per l'ennesima volta, di addormentarmi. Me ne stavo con gli occhi sbarrati nell'oscurità, combattuta tra due sentimenti opposti: da una parte il rispetto e la fedeltà nei confronti di Maurice che, nonostante tutto, rimaneva l'uomo a cui ero legata, dall'altra il desiderio di vivere finalmente un briciolo della felicità a cui per anni avevo rinunciato insieme ad un uomo che desideravo alla follia. Conoscere i sentimenti che Russell aveva provato per me mi faceva sentire come se tra di noi ci fosse un conto in sospeso e mi sembrava di avere il diritto di recuperare il tempo perduto. Forse era troppo tardi, o forse no, valeva la pena tentare.
Alla fine decisi che, per una volta nella mia vita, non avrei avuto scrupoli e mi sarei presa ciò che da sempre mi ero negata: un momento di libertà senza doveri morali e senza sensi di colpa, ascoltando soltanto i miei sentimenti ed il mio istinto.
Senza far rumore scivolai nel corridoio silenzioso e bussai piano alla porta di Russ. Doveva dormire profondamente se non mi rispondeva. Per un attimo, il timore di un suo scatto di nervi per averlo svegliato mi fece quasi desistere, ma poi pensai che avrei saputo farmi perdonare. Respirai profondamente per farmi coraggio ed aprii piano la porta. Al debole chiarore della luna che entrava dalla finestra aperta mi accorsi che il letto era disfatto ma Russell non c'era. Mentre tentavo di riprendermi dalla sorpresa guardai distrattamente fuori dalla finestra. La sagoma di un uomo camminava lungo la strada sterrata ed era ormai lontana.
Sorridere alla sorte che ancora una volta si prendeva il disturbo di mettermi in guardia contro le mie cattive intenzioni o piangere di rabbia e di frustrazione? Indecisa sul da farsi mi tuffai sul letto affondando il viso nel cuscino. Devo andarmene di qui o impazzirò! pensai mentre scivolavo nel sonno sul letto di Russell. Non devo addormentarmi… non devo addormentarmi…

Mi svegliai di soprassalto e mi resi immediatamente conto che non mi trovavo nella mia stanza. Allarmata schizzai fuori dal letto e raggiunsi precipitosamente la porta proprio nell'istante in cui Russell entrava. Un tempismo perfetto!!! L'urto violento contro il battente che si apriva improvvisamente mi avrebbe fatta crollare a terra se Russ, prontamente, non mi avesse afferrata.
- Ce l'hai un'assicurazione sulla vita, vero? Io non mi assumo alcuna responsabilità per quello che ti succede in questa casa. Potresti mandarmi in rovina! - disse mentre mi teneva la borsa del ghiaccio incollata alla fronte. - Non conoscevo questo tuo talento nel farti del male. Ma che ci facevi nella mia stanza? -
Domanda lecita. Brancolai alla ricerca di una risposta ma quella più convincente, cioè la verità, proprio non voleva saperne di uscirmi dalla bocca.
- Oh… ehm… io… io ho fatto un brutto sogno, ecco… e non era il caso di bussare sulla parete e svegliare Terry. - idea geniale!
- Così hai pensato che fosse meglio venire a dormire con me. -
- Ehm… sì… NO!!! Non necessariamente, mi sarei accontentata di una ninna nanna. - nel pronunciare quelle parole mi sentivo totalmente ridicola e Russell ne era veramente divertito.
- Dai, beviamoci sopra! -
- Buona idea! Mi ci vuole una bella sbronza per riuscire finalmente a dormire un po'. -
- Credo che farà bene anche a me, però devi lasciarmi un po' di vantaggio perché reggo l'alcol molto meglio di te. -

Ci trasferimmo in soggiorno, comodamente adagiati sul divano. Il liquore che lentamente mi dilagava nelle vene mi dava il coraggio di sostenere lo sguardo di Russell che scrutava nei miei occhi senza parlare.
- Perché sei nervosa, Claire? - disse dopo un po'.
- Non sono nervosa. -
- Non sto parlando di questo momento ma in generale. -
- Non mi aspettavo di rivederti, è stata una sorpresa. Non capita tutti i giorni di trovare in ufficio una star di Hollywood. -
- Non scherzare… -
- Russ, mi sto ubriacando, non puoi pretendere che sia seria! - dissi con un sorriso.
- Non sei mai stata a tuo agio con me. -
- E' esattamente il contrario. Ero a mio agio con te come non lo ero mai stata con nessuno, e questo mi sorprendeva e mi spaventava. -
- E adesso? -
Ingurgitai d'un fiato le due dita di whisky che erano nel mio bicchiere.
- Adesso ho bisogno di un po' di tempo per capire chi sei… e per capire chi sono. -
- Sei la persona più contorta che abbia conosciuto. Non ti offendere, non è detto che sia un difetto. -
Lo credo che non mi capisci, tu usi l'istinto, io invece ragiono troppo e trovo problemi anche dove non esistono.
- Sono le cinque. Andiamo. Prima lezione di mungitura! -
- Russ, sono stanca e mi gira la testa. -
- Smetti di lamentarti. Dopo potrai stare a letto quanto vorrai. -

Nella stalla, Russ mi fece sedere sullo sgabello accanto alla mucca.
- Stringi il capezzolo e tira verso il basso. - spiegò mentre cercavo di mantenermi in equilibrio sullo scomodo sgabello e di evitare la coda della mucca che mi sferzava la faccia. Il mio compito mi faceva un po' schifo ma feci come Russell mi diceva perché non volevo deluderlo. Per quanto mi sforzassi, però, non riuscivo a far sprizzare nemmeno una goccia di latte, così Russ si inginocchiò accanto a me e chiuse le sue mani sulle mie per mostrarmi quali fossero i movimenti corretti e la pressione giusta. Subito il latte schizzò nel secchio.
- Hai capito? Adesso prova. -
Stentavo a credere che fossero veramente le mie mani eleganti e curate a stringere e tirare il capezzolo dell'animale in un movimento che aveva una forte analogia con una pratica ben diversa…! Ero certa che Russ l'avesse fatto apposta e la conferma fu il sorriso furbesco che aveva stampato in faccia nel momento in cui mi voltavo a guardarlo.
- Ottimo stile, ottimo stile, continua così! Mi chiedo se sia solo frutto di talento naturale o piuttosto… di un bel po' di pratica! Maurice è veramente un uomo fortunato. -
- Oh… vai al diavolo!!! - esclamai ridendo mentre sentivo il sangue imporporarmi il viso.
- Lezione terminata. Hai soddisfatto la mia curiosità e adesso puoi andare a dormire. Non nego che mi piacerebbe provare un po' dei tuoi talenti. - mi disse ridendo mentre ci avviavamo verso casa.
Sorrisi maliziosa. - Mio caro, certe cose bisogna meritarsele! - e mi chiusi alle spalle la porta della mia camera.


teodolite:
strumento ottico a cannocchiale che serve per misurare distanze e dislivelli. Si utilizza insieme ad un'asta graduata chiamata stadia.
(Chiedo scusa per le imprecisioni agli esperti di topografia che avessero la sventura di leggere la fanfiction, ma sono parecchi anni che non mi occupo più di queste cose, ricordo ben poco e suppongo che adesso ci siano degli strumenti più moderni.)


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