Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  Si Vis Pacem, Para Bellum - seconda parte - (leggi la prima parte)
autrice: Ilaria Dotti
e-mail: droit_et_loyal@telvia.it
data di edizione: 13 dicembre 2001
argomento della storia: Massimo Decimo Meridio
riassunto breve: Questa storia appartiene al genere del “Che cosa sarebbe successo se……?” : che cosa sarebbe successo se non fossero stati i mercanti di schiavi a trovare Massimo svenuto sulle tombe dei suoi cari?
lettura vietata ai minori di anni: 
note:  Questa storia non fa parte della serie di racconti che ho pubblicato finora, ma può eventualmente essere considerata un sequel ‘alternativo’ di Tempus Fugit e di tutti i racconti che lo precedevano. (Ilaria) - per leggere altre storie scritte da Ilaria, consulta l'elenco delle fanfic qui

 

SI VIS PACEM, PARA BELLUM

(Se vuoi la pace, prepara la guerra)

 

di Ilaria Dotti

*****

Il generale aveva atteso pazientemente tutta la sera nascosto in camera di Rea in attesa che lei mettesse in pratica il suo piano e conducesse la nipote nella stanza.

Quando infine la porta si era aperta i suoi occhi si erano concentrati su Lucilla. Una parte di lui non si fidava ancora della giovane donna; tuttavia lei era l'unica che potesse dargli le informazioni di cui necessitava. La politica non era mai stata il suo forte e Rea aveva ragione nell'affermare che avevano bisogno di un alleato potente.

Massimo l'aveva osservata durante la sua conversazione con Rea e aveva notato il suo viso stanco e tirato e le rughe di preoccupazione sulla sua fronte. Contro la sua volontà gli erano tornati in mente i momenti passati insieme, il suono delle sue risate e la gioia che aveva illuminato il suo sguardo..... Massimo aveva scacciato i ricordi ed era tornato a concentrarsi sulla conversazione e quando Rea aveva menzionato l'esercito aveva capito che il momento di uscire allo scoperto sarebbe arrivato presto. E così era stato.

*****

Lucilla vide Massimo uscire dalle ombre e riuscì a stento a trattenere un urlo. Si alzò di scatto e gli si avvicinò, allungando una mano verso il suo viso, come a volersi sincerare che non si trattasse di un fantasma ma poi si trattenne, incerta sul modo in cui lui avrebbe reagito.

Massimo le andò vicino e la salutò chinando la testa, "Augusta Lucilla." Il suo tono era neutro ma dentro di lui il suo cuore stava battendo forte. Aveva sentito l'emozione che aveva pervaso la voce di Lucilla quando aveva parlato di lui credendolo morto e per il suo spirito ferito era stato come un balsamo curativo.

"Massimo." rispose semplicemente la giovane donna e i due rimasero a guardarsi in silenzio per alcuni istanti finché Rea non si schiarì la gola.

Richiamati al dovere Lucilla tornò a sedersi sulla sedia affianco al letto mentre Massimo si appoggiò ad una cassapanca vicino al muro, fuori dal campo visivo della finestra.

Rea prese in mano le redini della conversazione, "Lucilla, quello che sto per dirti forse ti sorprenderà, ma tuo padre non voleva che Commodo gli succedesse sul trono, sapeva che non avrebbe potuto essere un buon sovrano." Lucilla annuì, per nulla sorpresa dalle parole di sua zia: sapeva bene quanto suo padre fosse stato deluso da Commodo.

Rea continuò, "L'ultima volta che Marco venne a trovarmi, circa un anno e mezzo fa, lasciò in mia custodia una lettera sigillata con il compito di consegnarla al generale Massimo Decimo Meridio nel caso egli fosse morto all'improvviso."

Lucilla si girò curiosa verso Massimo ed egli tirò fuori la lettera da sotto la tunica e gliela diede senza parlare. La giovane donna lesse rapidamente i due fogli di papiro e poi rimase in silenzio alcuni minuti mentre la sua mente lavorava in modo frenetico.

"Ecco il perché della convocazione dei senatori! Lui non voleva annunciare la successione di Commodo ma quella di Massimo." pensò, mentre tutti gli eventi accaduti in Germania prendevano un nuovo significato."Perché mi hai chiamato? Ho bisogno di te per tuo fratello....Ti vuole bene....e ora avrà bisogno di te più che mai."

Lucilla incontrò la sguardo di Massimo, "E' questo che ti disse mio padre la mattina che ci incontrammo, vero? Il giorno in cui morì."

"Esatto."

"E Commodo l' ha ucciso prima che potesse annunciarlo pubblicamente. Sì, tutto ha senso…. anche troppo." Lucilla sospirò e restituì i fogli a Massimo. Le loro dita e si sfiorarono per un istante e un brivido corse lungo le loro schiene. Lucilla si voltò di scatto e Rea le chiese, "Ti senti bene?"

"Sì zia, sto bene. Quello che mi avete appena detto ha solo confermato ciò che sospettavo da qualche tempo."

"Tuo padre mi anche lasciato una lettera per te."

"Davvero?" chiese la giovane con voce emozionata.

"Sì, eccola qui."

Lucilla prese la lettera e ruppe i sigilli con delicatezza.

Mia amata figlia,

spero che tu sappia che ti ho sempre amato e sempre lo farò. Tu sei tutto ciò che un padre desidera in una figlia: obbediente, generosa, intelligente. Il mio unico rimpianto è che tu non sia nata uomo. Che grande Cesare saresti stata! E quanti problemi di meno avrei adesso!

Lucilla, tu conosci Commodo, probabilmente meglio di me, e sai che non può e non deve regnare.

Per regnare con giustizia bisogna essere servi di Roma ma tuo fratello farebbe di Roma la sua serva.

Tu hai sempre servito bene Roma, Lucilla. So quale sacrificio è stato per te sposare Lucio Vero e so quanto ti è costato fare da madre ad un fratello che in cambio ha riversato su di te attenzioni morbose.

No, non negare figlia mia, lo so. Mi dispiace solo di non averti aiutato in questo frangente. E ora mi ritrovo qui a chiederti di assumere un altro grave compito. Tuo fratello non deve regnare e Roma deve tornare ad essere una Repubblica, solo così la corruzione potrà essere debellata. A questo scopo io appronterò un Protettore di Roma, con il compito di sovrintendere al passaggio dei poteri dall'imperatore al Senato. Massimo Decimo Meridio è l'uomo che ho scelto per l'incarico. Tu lo conosci: è onesto, giusto, leale e forte. Ma non è esperto di politica: sarà tuo compito aiutarlo in questo campo. Tu conosci come ragionano i potenti di Roma e sai funzionano certi meccanismi burocratici. Aiutalo, Lucilla. Aiutalo a realizzare il mio sogno. E perdonami se così facendo escluderò il piccolo Lucio dalla successione al trono, ma è necessario per il bene di Roma.

Addio figlia mia, spero che tu possa avere una vita felice.

Che gli dei veglino sempre su di te e il piccolo Lucio,

con amore,

tuo padre,

Marco Aurelio Antonino

Lucilla ripiegò la lettera e alzò lo sguardo sui suoi compagni: era una figlia di Roma e come tale rispose, "Commodo va eliminato. Ma prima di agire è necessario che il Senato sia informato delle ultime disposizioni di mio padre. Se i senatori si schiereranno dalla nostra parte, il popolo li seguirà; Commodo non è ancora riuscito a conquistarsi l'amore della folla."

"E se qualcuno spargesse la voce che per pagare i giochi sta vendendo le scorte di grano della città il malcontento aumenterebbe ulteriormente." si inserì Rea, dando prova del suo acume politico.

Massimo, fino a quel momento silenzioso, disse "Io ho bisogno di sapere dove si trova il mio esercito. C'è qualcuno in grado di dirmelo?"

Lucilla sorrise, "Io lo so. Siamo fortunati, Generale, i tuoi uomini sono accampati ad Ostia."

Massimo sorrise a sua volta, annuendo: era davvero un colpo di fortuna che fossero così vicini!

Lucilla continuò, "Prima di mobilitare l'esercito dobbiamo però informare il Senato."

"Lo so."

"Mi incaricherò di farlo io; credo che il Senatore Gracco ci aiuterà. Lui detesta Commodo e il suo nome è il primo sulla lista nera di mio fratello."

"E' una buona idea." commentò Rea, "Gracco è un ottimo politico ed anche il decano dei Senatori. Però dobbiamo fare in fretta, Lucilla: sai meglio di me quanto sia difficile mantenere dei segreti in questa città."

Lucilla annuì poi disse, "Ora è meglio che vada, non voglio che qualcuno si insospettisca."

Massimo e Rea approvarono e Lucilla si alzò.

"A presto zia." disse baciandola sulla guancia poi si voltò verso Massimo e lo guardò negli occhi.

Il generale prese una delle sue mani e se la portò alle labbra, baciandola. La sensazione della sua barba contro la sua pelle scatenò una tempesta nel cuore di Lucilla e lei non riuscì a trattenersi dal fargli una carezza sulla guancia. Poi uscì di corsa dalla stanza, senza aggiungere altro.

 

*****

Massimo si rigirò nel letto per l'ennesima volta e buttò indietro le coperte con un grugnito di frustrazione. Era ormai notte fonda e lui era molto stanco ma nonostante tutto non riusciva a prendere sonno. Continuava a pensare alla conversazione avuta con Rea e Lucilla e, soprattutto, ai sentimenti che il rivedere la giovane donna aveva evocato in lui. Non era stato preparato alle emozioni che il semplice sfiorarsi delle loro dita o la mano di lei sulla sua guancia avevano suscitato. Massimo aveva provato piacere e ora si sentiva divorare dalla colpa: come poteva pensare ad un'altra donna quando la sua amata moglie era morta da solo pochi mesi? Eppure nonostante tutto non riusciva a scacciare l'immagine di Lucilla dalla sua mente. Contro il suo volere i ricordi legati alla loro storia cominciarono ad affiorare e stanco di combattere, Massimo si abbandonò ad essi.

"In fondo, che male c'è?" chiese a se stesso prima di addormentarsi, il viso finalmente rilassato.

*

In un'altra stanza da letto, in un altro palazzo, su di un altro colle, anche Lucilla cercava invano di addormentarsi.

Rivedere Massimo vivo, dopo aver pianto la sua morte, era stato scioccante ma ancor più sconvolgente era la speranza che la sua presenza aveva risvegliato in lei. Speranza che l'incubo continuo in cui si era trasformata la sua esistenza da quando suo padre era morto avesse finalmente fine. Voleva poter piangere suo padre in pace senza il dover vivere nel terrore per quello che Commodo avrebbe potuto fare a suo figlio o a lei stessa.

E poi c'era Massimo.....Lucilla sapeva di amarlo ancora: l'aveva capito la mattina che si erano incontrati in Germania. Allora quel sentimento era stato soffocato con rabbia - lui era sposato - ma ora che entrambi erano vedovi, era forse un delitto sperare che le cose potessero tornare come erano un tempo? Lei aveva sentito la corrente che era passata tra loro quando le loro dita si erano toccate ed era sicura che anche Massimo l'avesse avvertita, l'aveva compreso dal modo in cui lui si era ritratto, spaventato da tanta intensità.

"E' possibile," si domandò Lucilla, "che lui mi ami ancora?" Sognare poteva essere pericoloso vista la sua situazione ma in quel momento era proprio quello di cui aveva bisogno.

Lucilla scivolò nel sonno senza accorgersene, con un piccolo sorriso sulle labbra.

 

Parte terza: Protettore di Roma

 

I

 

Massimo si fece largo tra la gente che affollava il mercato cercando di non perdere di vista l'uomo che stava seguendo. La sagoma del Pretoriano era facile da distinguere ma il generale non voleva correre rischi.

Il soldato camminava con passo deciso ed aveva un vantaggio sul suo inseguitore: la folla si faceva rispettosamente da parte al suo passaggio, permettendogli di avanzare senza intoppi mentre Massimo doveva farsi largo a spintoni e gomitate.

Era il giorno successivo al suo incontro con Lucilla e Massimo aveva deciso di trascorrerlo esplorando Roma per imprimersi nella memoria il percorso che avrebbe dovuto fare per raggiungere il Palatino quando sarebbe arrivato il momento di entrare in città in testa alla sua legione. Gli dei gli erano venuti in aiuto quella mattina, facendogli un inaspettato quanto gradito regalo, provocando un forte temporale estivo che gli aveva permesso di indossare, senza la paura di destare troppa curiosità, un lungo mantello con cappuccio, che lo proteggeva dalla pioggia e soprattutto da eventuali sguardi indiscreti.

Era appena arrivato nei pressi del Colosseo quando aveva scorto una figura familiare avanzare da sola tra la moltitudine di persone riversata nelle vie.

"Quinto!" aveva pensato pieno di sorpresa, "Che cosa fa in giro senza scorta?"

Un'idea improvvisa, magari anche folle, si era presentata alla sua mente: se fosse riuscito a mostrare al suo ex secondo in comando l'atto con cui Marco Aurelio lo aveva designato come suo successore, forse Quinto sarebbe passato dalla sua parte e questo avrebbe potuto essere molto utile per evitare futuri spargimenti di sangue.

"E se invece non volesse credermi?" si chiese Massimo, ma l'esitazione fu subito scacciata, mentre i lineamenti del suo viso si indurivano. Sapeva bene quello che avrebbe fatto se Quinto non gli avesse creduto.....avrebbe fatto ciò che era necessario, non aveva altra scelta. Il destino di Roma era troppo importante.

*****

 

Quinto Emilio Leto, comandante della guardia pretoriana, svoltò l'angolo e varcò i cancelli delle Terme di Traiano con in mente l'idea di farsi un lungo bagno e trascorrere un po' di tempo lontano dal Palazzo imperiale e dal suo cupo signore.

Più passavano i giorni e più Quinto si chiedeva come Marco Aurelio avesse potuto generare un uomo immorale come Commodo e come fosse possibile che un uomo con la saggezza del defunto imperatore avesse potuto lasciare che un tale essere gli succedesse sul trono. "Ma forse Marco Aurelio non voleva che Commodo gli succedesse..." sussurrò una voce dentro di lui, subito messa a tacere. Quinto era un seguace della filosofia Stoica che predicava l'accettazione degli eventi che non potevano essere cambiati e l'obbedienza assoluta agli ordini del suo imperatore. Questi precetti erano stati facili da seguire quando a sedere sul trono era stato Marco Aurelio ma ora che Commodo era al potere, per Quinto fare il proprio dovere era diventato molto difficile. Da quando si era insediato il nuovo Cesare non aveva fatto altro che uccidere e sperperare denaro, distruggendo in sostanza tutto il lavoro fatto da suo padre. E Quinto temeva che quello fosse solo l'inizio e che il peggio dovesse ancora arrivare.

 

*

Quinto entrò in un cubicolo e iniziò a spogliarsi mentre un pensiero pellegrino gli attraversò la mente, "Meno male che non ho famiglia .....se mai dovessi perdere il favore di Commodo, nessun altro oltre me ne soffrirà."

Il pretoriano aggrottò la fronte mentre piegava i suoi abiti, chiedendosi da dove fosse spuntata fuori una tale idea. E poi capì. "Massimo." pensò con dolore. Non era la prima volta che il ricordo del suo generale e amico per più di dieci anni tornava a tormentarlo......Quinto cercò di bandire dalla mente la memoria di quell'ultima notte in Germania e per l'ennesima volta si chiese se avesse fatto davvero il suo dovere nell'obbedire a Commodo e condannare a morte Massimo o se invece avesse commesso un colossale errore. Lui aveva giurato di servire Roma ma Roma non era l'imperatore, come recitava il tatuaggio che aveva sulla spalla e che fino a poco tempo prima aveva sempre mostrato con orgoglio. Ma ora...

Quinto imprecò e scacciò con rabbia tali pensieri: piangere sul latte versato non serviva a niente e lui era venuto alle terme per rilassarsi e non per tormentarsi con mille "ma", "forse" e "se."
Prese un telo di lino, se lo mise sul braccio sinistro e fece per uscire dal cubicolo, ma aveva appena aperto la porta e messo fuori la testa quando una larga mano si posò sul suo petto e lo spinse rudemente indietro.

Quinto andò su tutte le furie e urlò, "Che cosa stai facendo?! Chi sei?!" La figura incappucciata davanti a lui rimase in silenzio, il volto appena distinguibile nella penombra della piccola stanza.

"Lo sai chi sono io?" tuonò ancora minaccioso il pretoriano ma ancora una volta non ricevette risposta.

"E sia, " pensò Quinto "l 'hai voluto tu amico." Con una rapida mossa allungò la mano per afferrare il gladio che aveva lasciato appoggiato al muro ma non riuscì a terminare il gesto: uno spostamento d'aria, una ferrea stretta sul polso, un violento spintone e Quinto si ritrovò con le spalle al muro, la lama di una daga premuta contro la gola.

"Fossi in te non lo farei, Quinto." ringhiò lo sconosciuto.

Quinto spalancò gli occhi e il respiro gli si mozzò in gola: quella voce era familiare ma l'uomo a cui apparteneva era morto e non era possibile.....O forse lo era? Non aveva mai visto il suo cadavere e i suoi assassini non erano mai rientrati all'accampamento, ufficialmente uccisi dai barbari in un agguato.

Quinto deglutì sonoramente e bisbigliò esitante, "Massimo?"

La mano con la daga rimase ferma mentre con l'altra il suo aggressore spinse indietro il cappuccio e Quinto incontrò gli occhi del suo generale.

Lo sguardo di Massimo era duro, freddo come quello di uno spirito vendicatore e Quinto credette che il suo momento fosse arrivato. Non pensò nemmeno a chiedere clemenza o perdono, non dopo avere saputo che cosa era stato fatto alla famiglia del generale. Quinto pronunciò una breve preghiera agli dei ed inclinò all'indietro la testa, mettendo a nudo la gola, quindi chiuse gli occhi ed attese....ed attese, ma quando infine la lama si mosse non provò alcun dolore.

"Quinto, guardami." ordinò Massimo, ripetendo senza accorgersene la frase già pronunciata in Germania.

Quinto aprì gli occhi e fissò il suo generale. Massimo aveva allentato la presa sul suo collo e ora il braccio che reggeva la daga era disteso al suo fianco.

I due uomini rimasero in silenzio per alcuni minuti, valutandosi a vicenda e poi Quinto chiese, "Che cosa fai qui, Massimo?" "Non sei qui per uccidermi, che cosa vuoi?" lasciava sottintendere il suo tono.

Senza mai staccare gli occhi da quelli del pretoriano Massimo frugò sotto la propria tunica ed estrasse le lettere di Marco Aurelio, che portava sempre con se in un sacchetto di cuoio fissato al collo.

"Leggi." intimò mettendo i fogli in mano al suo compagno.

Quinto lo guardò sorpreso ma obbedì. I suoi occhi corsero veloci sui papiri e il suo volto divenne ancora più pallido. Nella sua mente non c'era il minimo dubbio che quelle lettere fossero autentiche: non solo conosceva bene i sigilli e la calligrafia di Marco Aurelio ma sapeva anche che Massimo non sarebbe mai ricorso all'inganno, era troppo onesto per fare una cosa del genere.

"Per gli dei," mormorò disperato quando ebbe terminato la lettura, "che cosa ho fatto?"

"Hai fatto quello che credevi essere il tuo dovere." gli rispose Massimo riprendendo i fogli e riponendoli al loro posto.

Quinto lo guardò esterrefatto. Era mai possibile che Massimo archiviasse tutto il male che gli aveva fatto così semplicemente, attribuendo le sue azioni al dovere?

Il generale chiese, "Che cosa farai ora?"

Il pretoriano lo fissò senza capire e Massimo continuò, "Io intendo portare a compimento le ultime volontà di Marco Aurelio e vendicare la mia famiglia. Tu che farai? Mi aiuterai o cercherai di fermarmi?"

Quinto scattò sull'attenti, "Ti aiuterò."

"E il tuo giuramento?"

"Io ho giurato di servire Roma." disse il pretoriano con orgoglio, toccando le lettere SPQR impresse sulla sua spalla. "Ho già commesso un errore, non ne commetterò un altro."

Massimo lo fissò a lungo in silenzio e poi il suo volto si allargò in un sorriso, "Grazie amico." disse afferrandogli la mano.

Quinto contraccambiò ma una parte di lui ancora non riusciva a credere che il suo generale potesse perdonarlo così facilmente e così provò di nuovo a scusarsi. "Massimo, mi dispiace......Io non sapevo...."

"Quinto, per favore, basta. Lo so che stavi eseguendo degli ordini......come io stavo eseguendo i miei."

"Tu sapevi, quindi? Sapevi che Marco Aurelio aveva scelto te..."

"Sì, me lo disse la mattina del giorno in cui morì. Per questo Commodo l'uccise."

"Già." disse Quinto, ormai convinto della colpevolezza del nuovo Cesare,"Che cosa intendi fare?"

"Farò in modo che il Senato venga a conoscenza delle ultime disposizioni di Marco Aurelio e poi prenderò il potere." rispose Massimo deciso.

"La Legione Felix è accampata a Ostia.....se vuoi posso darti una mano ad uscire dalla città senza che nessuno se ne accorga."

Massimo annuì "Domani sera incontrerò uno dei senatori: se tutto andrà come previsto entro pochi giorni il piano sarà pronto a scattare."

"Va bene, allora faremo in modo di incontrarci domani notte. Dove posso trovarti?"

"Presso la villa di Rea Aurelia Vera, sul Viminale."

Quinto annuì, "L'Augusta Lucilla è stata a cena da lei alcune sere fa e dovrebbe tornarci domani......Ehi, un momento...Anche lei è a conoscenza del volere di Marco Aurelio?"

"Sì."

Quinto scoppiò in una breve risata e vedendo Massimo che lo guardava interrogativamente, spiegò "Commodo vuole che accompagni io Lucilla a trovare la zia domani sera e quando stamattina lo ha annunciato all'Augusta lei non sembrava per niente contenta della mia presenza. Adesso capisco perché."

Massimo sorrise a sua volta e poi disse, "Adesso è meglio che me ne vada: non vorrei che qualcuno si facesse delle strane idee su noi due!"

Quinto annuì e poggiandosi il pugno destro sul cuore disse "Forza e onore."

"Forza e onore." replicò il generale prima di uscire dal cubicolo.

Quinto rimase lì a fissare la porta chiusa per alcuni minuti, lasciandosi poi andare ad un lungo sospiro. "Dei immortali, io vi ringrazio. Avete ascoltato le mie preghiere." pensò, prima di dirigersi alle vasche con un sorriso soddisfatto: per la prima volta in mesi il futuro non sembrava più così cupo.

II

Il sole era appena tramontato quando Lucilla fece il suo ingresso nella lussuosa villa sul Viminale, ufficialmente per trascorrere un po' di tempo con sua zia, ancora convalescente per il malore di pochi giorni prima. L'Augusta entrò in un piccolo salone accompagnata da Quinto che aveva detto al resto dei suoi uomini di andare a passare un po' di tempo alla taverna.

Massimo e Rea andarono incontro ai nuovi arrivati e la padrona di casa offrì a tutti da bere, in attesa dell'arrivo del Senatore Gracco. Lucilla e Massimo scambiarono poche parole in maniera formale ma i loro occhi comunicarono in modo assai diverso.

Pochi minuti dopo si udì bussare alla porta; uno dei servi andò ad aprire ed introdusse il Senatore Gracco nella sala. Era un uomo sulla sessantina, ancora piacente, molto distinto coi capelli grigi e una barba ben curata.

Rea e Lucilla gli andarono incontro, "Grazie di essere venuto, Senatore."

Gracco replicò a tono mentre il suo sguardo si posava curioso su Massimo e Quinto. Nel vedere il capo dei pretoriani il politico aggrottò la fronte ma Rea lo rassicurò con un gesto della mano.

"Senatore," disse Lucilla prendendolo per un braccio, "Permettimi di presentarti il Generale Massimo Decimo Meridio."

Gracco spalancò gli occhi: non aveva mai incontrato il Generale in persona ma le sue imprese contro i barbari del nord erano leggendarie.

"Generale."

"Senatore Gracco."

"Perdona la mia sorpresa, Generale, ma credevo che tu fossi morto."

"Avrei dovuto esserlo."

Ci fu un attimo di silenzioso disagio, mentre gli occupanti della sala parevano valutarsi a vicenda, rotto infine dalla voce decisa di Massimo.

"Senatore abbiamo bisogno del tuo aiuto per indire una riunione straordinaria del Senato."

Gracco inarcò le sopracciglia "Potrei sapere perché?"

Massimo rispose consegnandogli l'atto con cui Marco Aurelio lo nominava Protettore di Roma.

Il senatore lesse velocemente e poi più con più calma il papiro, dopodiché sollevò lo sguardo sul Generale, "Intendi tenere fede a questo documento?"

"Sì." rispose secco Massimo.

Gracco si girò a guardare Rea, Lucilla e Quinto e lesse sui loro volti la medesima determinazione.

"Quali sono i vostri piani?"

"Il Senato deve essere portato a conoscenza dell'esistenza di questo atto.....Credi che i senatori si schiereranno dalla nostra parte?"

Gracco annuì, "Sì, ci seguiranno." fece un sorriso amaro e continuò, "Molti di noi sono già uomini morti se Commodo continuerà a regnare." Il Senatore prese a passeggiare per la sala, "Convocherò una riunione straordinaria per il giorno delle None, cioè tra tre giorni. Va bene?"

Lucilla guardò Massimo ed egli annuì. "Meglio muoversi in fretta, prima che Commodo possa sospettare qualcosa." disse l'Augusta.

"E tu, Generale, che cosa farai nel frattempo?"

"Andrò ad Ostia e mi ricongiungerò al mio esercito."

"Cosa?!" scattò l'anziano politico, "A che cosa ti serve l'esercito?"

Massimo rispose, "A mantenere l'ordine in città e ad evitare che Commodo possa fuggire."

"E' vero," si intromise Quinto, "abbiamo bisogno della Legione Felix perché non ho idea di quanti dei miei uomini obbediranno ai miei ordini e quanti invece rimarranno fedeli a Cesare."

Gracco fissò Massimo negli occhi, chiedendosi inutilmente se l'uomo davanti a lui non fosse un altro potenziale tiranno, ma poi scartò l'idea: Marco Aurelio si era fidato di quell'uomo; sua figlia e sua sorella si fidavano di lui.....non aveva altra scelta che seguire il loro esempio e fidarsi di lui. "E sia." Disse, "E' tutto deciso."

Nel salone l'atmosfera si rilassò ora che tutto era stato detto e il tempo dell'azione si avvicinava.

Rea ruppe l'amichevole silenzio, "Come reagirà il popolo?"

"Ho già iniziato a far spargere la voce che Commodo sta vendendo le scorte di grano sotto prezzo per pagare i giochi: oggi, nel Colosseo, è stato accolto da alcuni fischi." disse Lucilla, "Nel momento in cui Massimo sarà al potere, faremo delle donazioni di grano alla popolazione e tutto tornerà tranquillo."

Gracco annuì pensieroso, "Sì, certo, però tutto sarebbe più facile e sicuro se esistesse un qualche legame tra il Generale e Marco Aurelio."

"Ma non è sufficiente quell'atto?" chiese Quinto.

Gracco sorrise, "La maggior parte del popolo non sa leggere, comandante, né sa riconoscere i sigilli imperiali. Io sono convinto che se Marco Aurelio ne avesse avuto il tempo avrebbe adottato il Generale, facendone suo figlio ed erede naturale."

Massimo lo guardò sorpreso, "Davvero?"

"Certo: è quello che qualunque politico accorto avrebbe fatto e il defunto Cesare era un ottimo politico."

"Ma Commodo l' ha ucciso prima che potesse farlo....." disse fredda Lucilla.

Gracco e Rea si scambiarono un'occhiata e il Senatore disse, "A dir la verità ci sarebbe un modo..."

Massimo, Lucilla e Quinto si voltarono a guardarlo e Gracco sorrise, domandandosi come mai un’esperta politica come Lucilla non vi avesse pensato da sola. "Se lui e l'Augusta Lucilla si sposassero, questo fatto legittimerebbe parecchio la scalata al potere del Generale agli occhi del popolo."

Massimo e Lucilla spalancarono gli occhi per lo stupore.

"Cosa?" chiese Massimo con un filo di voce.

"Un matrimonio dimostrerebbe inequivocabilmente che l'Augusta è dalla tua parte, Generale e che appoggia le tue azioni."

Massimo scosse la testa ma anche per un uomo digiuno di politica come lui, il ragionamento del senatore era molto chiaro. E tuttavia non riusciva ad accettarlo: aveva giurato di portare a compimento le ultime volontà di Marco Aurelio ma questo era davvero troppo. Come poteva tradire la memoria di sua moglie sposando un'altra donna? Sapeva che sarebbe stata solo una manovra politica ma ciò nonostante..."E invece no!" disse una voce dentro di lui, "Non mentire a te stesso, Generale. Se fosse solo una mossa politica lo faresti senza problemi.....ma non è così, vero? Tu provi ancora qualcosa per lei ed è questo che ti divora e che non riesci ad accettare."

Massimo chiuse gli occhi mentre la verità gli appariva finalmente chiara. Lui amava ancora Lucilla, l'aveva sempre amata. Ma aveva amato anche Selene e finché lei era stata viva quel sentimento aveva offuscato e attenuato quello che provava per Lucilla. Ma ora Selene non c'era più....

Una mano delicata si posò sul suo braccio lo richiamò alla realtà. Massimo scrollò la testa, come a volersi schiarire le idee, quindi si guardò intorno, incrociando gli occhi Lucilla.

"Massimo, stai bene?" gli chiese Quinto e il Generale si accorse di avere su di se lo sguardo di tutti i presenti.

"Scusate, mi sono perso nei miei pensieri."

"E' comprensibile" disse Rea, l'unica persona in quella sala a sapere veramente che cosa avesse provato Massimo nel trovare la sua famiglia massacrata.

Lucilla guardò Massimo preoccupata, domandandosi che cosa stesse pensando. Quando Gracco aveva accennato ad un matrimonio tra loro due, il suo cuore le aveva fatto le capriole nel petto. Sposare Massimo....Quante volte aveva sognato una cosa del genere ma..ma..

Il Generale fissò Lucilla e disse, "Vorrei parlarti un attimo in privato."

Lei annuì ed i due uscirono insieme in giardino.

Dopo alcuni minuti passati a passeggiare Massimo ruppe il silenzio.

"Che cosa ne pensi?"

"Gracco e mia zia hanno ragione, un matrimonio tra noi due rafforzerebbe molto la tua posizione agli occhi del popolo."

Massimo smise di camminare e Lucilla fece lo stesso.

"E' tutto?" le domandò e la giovane donna ebbe la distinta impressione che fosse deluso.

Si guardarono fissi negli occhi e all'improvviso l'attrazione che avevano provato durante il loro precedente incontro tornò a manifestarsi. Fortissima. Inarrestabile. Incontrollabile.

I loro visi si avvicinarono e le loro labbra si toccarono in un bacio che ben presto divenne appassionato. Massimo attirò Lucilla tra le sue braccia e la tenne stretta, respirando il suo profumo e assaporando il suo calore.

Lucilla gli accarezzò i capelli e mormorò, "Quanto mi sei mancato, Massimo."

"Anche tu mi sei mancata." rispose lui con sincerità.

Si scostarono un poco l'uno dall'altro guardandosi dolcemente negli occhi. Massimo allungò un braccio, tracciando i contorni del viso di lei con un dito e Lucilla lo sorprese prendendo la sua mano e baciandola.

"Allora," gli disse con un misto di speranza e di timore, "andiamo dentro a dare la buona notizia?"

Massimo sorrise di rimando e, cintole la vita con un braccio, rispose, "Andiamo."

Quando rientrarono nel salone trovarono Rea, Gracco e Quinto seduti intorno ad un tavolo, immersi in una tranquilla conversazione. I tre congiurati si alzarono in piedi non appena li videro e si avvicinarono.

"Allora?" chiese Rea, dando voce alla curiosità di tutti.

"Ci sposeremo." annunciò Massimo solenne, ma il suo braccio intorno alla vita di Lucilla e il sorriso che increspava le labbra di entrambi facevano capire che la loro unione non era dettata solo da esigenze politiche: qualcosa di più profondo e più importante legava il generale alla principessa.

Gracco approvò con un sorriso, "Bene. Io suggerirei di procedere subito. Uno dei miei fratelli minori è sacerdote e abita non molto lontano da qui: potrebbe celebrare lui la cerimonia."

Massimo guardò Lucilla con aria interrogativa e lei annuì: il tempo era un lusso che non potevano permettersi e poi, perché aspettare se era quello che entrambi desideravano?

*

Un'ora dopo Massimo Decimo Meridio e Annia Lucilla Vera divennero marito e moglie. Gracco e Quinto fecero da testimoni e Rea mise a disposizione gli anelli. La cerimonia fu breve ma molto sentita da tutti i partecipanti.

Lucilla e Massimo ricevettero le congratulazioni dei presenti ma non ci fu tempo per altri festeggiamenti: la notte era già calata da tempo e Lucilla sapeva di dover rientrare a Palazzo prima che il suo paranoico fratello si insospettisse.

Massimo le accarezzò il volto e mormorò, "Vedrai, andrà tutto bene: la prossima volta che saremo insieme niente e nessuno potrà separarci, te lo prometto."

Lucilla sorrise, gli diede un bacio fugace e poi si allontanò.

Quinto fece per seguirla ma Massimo lo trattenne per il gomito, "Abbi cura di lei e di suo figlio." gli disse.

Il Pretoriano annuì deciso, "Li proteggerò con la mia vita."

"Grazie amico."

Quinto annuì ancora e se ne andò, raggiungendo Lucilla e il resto dei suoi accompagnatori.

III

Il cavallo avanzava veloce sulla strada lastricata illuminata dalla luce lunare.

Massimo non aveva avuto problemi ad uscire da Roma, aiutato come promesso da Quinto, che al momento del cambio della guardia aveva ritardato l'arrivo delle nuove sentinelle, facendo sì che la porta est della città rimanesse incustodita per circa dieci minuti.

Il generale rallentò la sua cavalcatura: era in viaggio da più di un'ora e poteva le prime costruzioni di Ostia stagliarsi all'orizzonte. Si guardò intorno e poi guidò l'animale fuori dalla strada e nella boscaglia, percorrendo la via più breve per raggiungere l'accampamento della sua legione.

*****

Il giovane uomo si fermò sotto un albero, si lasciò cadere a terra, poggiando la testa contro il tronco e si abbandonò ad un sospiro: era stanco morto eppure non riusciva a dormire. Il suo sguardo si posò sulla ordinata distesa di tende che lo circondava: l'accampamento sembrava addormentato ma egli sapeva che si trattava solo di calma apparente. Sarebbe bastato entrare in una qualsiasi delle tende dormitorio per sentire tensione che aleggiava tra i soldati, una tensione che presto sarebbe esplosa in qualche rivolta.

Cicero emise un fischio e subito Ares accorse a leccargli il viso segnato dalle cicatrici. Il giovane accarezzò il lupo e sospirò: da quando il generale Massimo era stato trascinato via e giustiziato, la sua vita, come quella degli altri soldati era cambiata e non certo in meglio. Il nuovo comandante era uno stupido incompetente, il figlio di un senatore che non aveva mai messo piede fuori dall'agro romano e che non sapeva trattare con legionari induriti da mille battaglie. Non aveva nemmeno provato a conquistarsi l'amore o per lo meno il rispetto della truppa ma si limitava a mantenere la disciplina attraverso la paura di brutali punizioni, ma Cicero sapeva che non ci sarebbe riuscito ancora a lungo.

All'improvviso Ares drizzò l'orecchie ed annusò l'aria, dopodiché emise un guaito eccitato e corse via, sparendo tra i cespugli.

Cicero aggrottò la fronte ma non si mosse. "Avrà fiutato qualche volpe." pensò. Dopo alcuni minuti Cicero decise di tornare alla sua tenda per provare a dormire e chiamò il lupo ma l'animale non si fece vedere. L'uomo imprecò sottovoce e decise di andarlo a cercare, inoltrandosi tra i fitti rovi. Aveva fatto solo pochi passi nel sottobosco quando scorse Ares, intento a leccare il viso di un uomo che a sua volta lo stava accarezzando. Cicero si arrestò di scatto: Ares era addestrato a combattere e non concedeva facilmente la sua fiducia; le uniche persone che gli avesse mai visto leccare erano lui stesso e il suo padrone, Massimo, che lo aveva trovato ed allevato fin da quando era un cucciolo.

In quel preciso momento il lupo fiutò la sua presenza e si voltò nella sua direzione, imitato dall'uomo che era con lui: il suo viso illuminato dalla luna divenne visibile e Cicero trattenne a stento un grido di gioia quando lo riconobbe.

"Generale!" esclamò correndogli incontro.

"Cicero, amico mio!" rispose Massimo abbracciandolo.

"Credevo fossi morto!"

"Quasi."

"Sei venuto a riprenderci, Generale?"

"Sì. Come sono gli uomini?"

"Grassi, molto annoiati e non sopportano quell'idiota che li comanda." rispose Cicero.

"Valerio è sempre in servizio?"

"S', per fortuna. Quando si è sparsa la notizia che la tua "improvvisa chiamata a casa" non era che una frottola per giustificare la tua sparizione e che in realtà Commodo ti aveva fatto uccidere, aveva deciso di chiedere il congedo ma poi è rimasto a tenere calmi gli uomini e ad evitare uno scontro con i Pretoriani. Mi ha anche salvato la vita, prendendomi come suo attendente e proteggendomi da Commodo."

Massimo annuì: conosceva bene il senso del dovere che animava il comandante della fanteria.

"Puoi portarmi da lui?"

"Certo."

*

Attraversare l'accampamento senza farsi notare risultò per Massimo un'impresa impossibile, la sua sagoma era così familiare che ben presto il generale si ritrovò circondato dai suoi uomini, riuscendo a stento a frenare il loro entusiasmo e farli stare zitti: c'era troppa gioia nell'aria e nei cuori di tutti i presenti.

Quando Massimo raggiunse infine la tenda di Valerio, trovò il robusto ufficiale già sveglio e vestito. I due uomini si scambiarono un forte abbraccio e poi Valerio disse, "Siamo ai tuoi ordini, Generale, devi solo dirci cosa vuoi che facciamo."

Massimo annuì e raccontò Valerio e agli altri ufficiali radunatesi nella tenda ciò che era successo quella tragica notte in Germania, concludendo con, "Dobbiamo entrare a Roma e prenderne il controllo. Marco Aurelio non voleva che Commodo gli succedesse e io farò in modo che la sua volontà sia rispettata."

Tutti i legionari approvarono senza riserve: sapevano del grande amore e reciproco rispetto che avevano legato il defunto Cesare al loro Generale e desideravano far pagare a Commodo l'uccisione dell'augusto genitore e il tentato assassinio di Massimo.

Nel giro di pochi minuti furono organizzate delle squadre con il compito di isolare ed imprigionare il comandante della legione e i pochi uomini a lui fedeli. Una volta che questi furono al sicuro, Massimo riunì ancora i suoi ufficiali ed illustrò il suo piano. "Il Senatore Gracco ha indetto per domani pomeriggio una riunione straordinaria del Senato a cui parteciperà anche Commodo. Ad eccezione di Gracco e dell'Augusta Lucilla, nessuno sa che il motivo della convocazione è di dare pubblica lettura del testamento di Marco Aurelio, in cui egli annunciava la sua volontà di trasformare Roma di nuovo in una repubblica, sotto la mia supervisione. Sarà nostro compito evitare che Commodo possa fuggire e potremmo anche essere costretti a dover mantenere l'ordine in città."

"Ci sarà anche da combattere contro i pretoriani." intervenne Valerio, che come molti legionari non aveva simpatia per le guardie imperiali.

"Spero di no," gli rispose Massimo, "Quinto è dalla nostra parte e mi ha assicurato che gran parte dei suoi uomini seguirà i suoi ordini. A quanto pare il nuovo Cesare non è amato nemmeno dagli uomini che dovrebbero proteggerlo." Massimo fece una smorfia significativa. "Ora andate a riposarvi. Ci metteremo in marcia all'alba."

I vari ufficiali annuirono, salutarono ed uscirono dalla tenda. Massimo rimase in compagnia di Valerio e di Cicero che gli disse "Generale, vieni da questa parte: ti faccio vedere dove ti ho preparato un letto."

Massimo sorrise, salutò Valerio e seguì il suo attendente in un'altra tenda.

"Amico mio, sei impagabile." gli disse ammirando il suo alloggio.

Cicero sorrise, quindi prese la mano di Massimo, gli mise qualcosa tra le dita, e si allontanò in tutta fretta, sentendo che il Generale avrebbe voluto restare da solo nei momenti che sarebbero seguiti.

Massimo lo osservò uscire dalla tenda e posò lo sguardo sull'oggetto nel palmo della sua mano. Quando vide di cosa si trattasse, la stanza iniziò a girare su se stessa e lui crollò sulla sedia più vicina. Massimo strinse il pugno e poi lo riaprì, estraendo dal piccolo sacchetto di cuoio le statuine di Selene e Marco.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime mentre guardava ed accarezzava quei piccoli visi con la punta delle dita. "Presto, miei amati." sussurrò, "Presto la vostra morte sarà vendicata e voi potrete vivere in pace nei Campi Elisi. E anche se io non potrò raggiungervi subito, state certi che vi avrò sempre vicino, nel mio cuore e nella mia mente."

Massimo baciò entrambe le statuine e si sdraiò sul letto, addormentandosi con le due figurine strette al petto.

IV

"Per gli dei!" la voce furiosa di Commodo riecheggiò nel palazzo imperiale. "Giuro che questa è l'ultima volta che quel vecchio borioso si permette di darmi degli ordini!"

"Stai calmo, fratello." Cercò di ammansirlo Lucilla che in realtà era più nervosa di lui.

"Ah no, sorella. Questa volta Gracco ha passato ogni limite: convocare una riunione del Senato così all'improvviso e pretendere che io vi partecipi!"

"E' un suo diritto come decano dei senatori, Commodo."

"Ancora per poco. Ho deciso Lucilla, è tempo di sciogliere il Senato. Il popolo mi ama e mi seguirà." Commodo sorrise crudelmente, "Sarà interessante vedere come reagiranno quei vecchi ammuffiti a vedersi togliere tutti i loro bei privilegi: niente più posti riservati e gratuiti a teatro o ai giochi, tasse più salate....Sono sicuro che per molti di loro questo sarà più sconvolgente che il non ricoprire più la carica." L'imperatore parve riacquistare il buon umore e si avvicinò a sua sorella, posandole un braccio sulle spalle e sussurrandole all'orecchio, "Vedrai come ce la caveremo bene, io e te, da soli alla testa dell'impero."

Lucilla fece un sorriso di circostanza, "Sarà così, Commodo."

Suo fratello annuì e domandò, "Dov'è Lucio?"

"E' andato a passare un giorno con la zia Rea. L'altra sera aveva espresso il desiderio di stare un po' di tempo con lui."

"Ah sì, me lo avevi detto. Quella donna sta diventando troppo noiosa."

"Via, Commodo, è solo una povera anziana malata e sola. E' naturale che cerchi il conforto della sua famiglia."

"Hai ragione. E' solo che mi dispiace non averlo affianco a me a vedere i giochi: gli piacciono così tanto!"

L'arrivo di Quinto impedì a Lucilla di fare ulteriori commenti.

"Cesare, il Senato è riunito e ti attende." disse Quinto dopo essersi inchinato.

Commodo annuì e si allontanò a grandi passi, senza accorgersi dell'occhiata d'intesa tra il Pretoriano e Lucilla.

*

Commondo entrò nell'aula del Senato zittendo all'istante il clamore che vi regnava. I senatori si inchinarono e l'imperatore avanzò fino al centro della sala dove era collocata la sua sedia. Lucilla e Quinto lo seguivano da vicino.

"Allora Gracco," esordì Commodo con tono sprezzante, "che cosa c'è di così importante da dover convocare una seduta straordinaria?"

Nessuno rispose.

"Dove sei Gracco, giochi a nasconderti?"

Il senatore Gaio si fece avanti e disse, "Cesare, il senatore Gracco deve ancora arrivare."

"E' in ritardo? Come osa essere in ritardo?! Pensa che io abbia tempo da perdere?" Commodo era furibondo ma la sua sfuriata fu interrotta dall'arrivo improvviso di un pretoriano.

"Cesare!" esclamò ansimando, "Un esercito ha varcato le porte della città e procede in questa direzione!"

"Cosa?!" esplose Commodo mentre i senatori si abbandonavano al caos.

"Sono dei barbari?" chiese Gaio al giovane soldato.

"No, signore. E' una delle nostre legioni, la Felix per essere precisi."

Commodo iniziò a sudare freddo nel sentire il nome della legione. Erano gli uomini di Massimo e lui sapeva che essi non credevano alla voce fatta circolare che il loro Generale fosse tornato in Hispania da privato cittadino. La loro presenza in città non era di buon auspicio.

"Quinto!" urlò Commodo, mentre in lontananza si udì il rumore di decine di cavalli che percorrevano al trotto le strade di Roma.

"Cesare?"

"Ordina ai tuoi uomini di prepararsi ad un eventuale attacco e poi informati su che cosa vogliono quei legionari."

Il Pretoriano annuì e corse fuori dall'aula del Senato.

"Sorella," disse ancora l'imperatore, "stammi vicina."

Lucilla gli si avvicinò e gli prese la mano, mentre il suo corpo rimaneva teso, pronto allo scatto: se fosse stato necessario sapeva di doversi divincolare anche con la forza.

Ben presto il ritmico rumore causato dagli zoccoli sul selciato si fece più forte e più vicino finché all'improvviso non tacque.

Tutti i presenti nell'aula del Senato si guardarono l'unaltro, scambiandosi occhiate interrogative e spaventate.

Fu in quel preciso momento che il Senatore Gracco fece il suo ingresso nel salone.

"Cesare, Augusta Lucilla, illustri colleghi, scusate il mio ritardo."

"Gracco!" ruggì Commodo "Hai qualcosa a che fare con la presenza dell'esercito in città?"

"In verità sì, Cesare." rispose tranquillo il Senatore.

Commodo lasciò andare Lucilla - che si allontanò velocemente - e si avvicinò all'anziano politico.

"Spero per te che tu abbia una spiegazione valida per tutto questo."

"Ce l' ho, Cesare."

"Bene, mi augurò per te che sia molto buona, altrimenti non uscirai vivo da qui."

Gracco annuì. "Sei stato molto chiaro, Cesare. Ora, se per favore posso avere un po' di silenzio, ho qualcosa da leggere."

Commodo fece un ironico gesto con la mano e tornò a sedersi.

Gracco si portò al centro della sala e disse, "Padri coscritti, vi prego di ascoltare attentamente poiché quelle che sto per leggere sono le ultime volontà del nostro defunto Cesare, Marco Aurelio."

Commodo impallidì nel sentire il nome di suo padre ma prima che potesse dire o fare qualcosa, Gracco diede inizio alla lettura. Nella sala calò il più assoluto silenzio e la voce del senatore riecheggiò chiara e precisa:

"Io Marco Aurelio Antonino Augusto, Cesare ed Imperatore di Roma, Padre della patria,.......

.......ordino che alla mia morte il posto alla guida dell’Impero sia preso da Massimo Decimo Meridio, comandante dell’Esercito del Nord e Generale delle Legioni Felix.

Ad egli io conferisco con questo documento il titolo di Protettore di Roma che egli potrà conservare a tempo indeterminato. Ad egli spetterà il compito di trasformare Roma da in impero a repubblica............"

Quando ebbe finito Commodo, che era riuscito a stento a controllarsi durante la lettura dell'atto, esplose, "Quel documento è un falso!" urlò con una voce in cui era possibile individuare una crescente paura.

"No, Cesare, "gli rispose secco Gracco, "è autentico. Tua zia, l'Augusta Rea Aurelia Vera giura di aver visto Marco Aurelio scriverlo davanti a lei e io stesso ne ho esaminato ed autenticato i sigilli."

"E allora? E' autentico. E con questo? A che cosa serve? Il Generale Massimo è morto e tu farai presto la stessa fine. Tu e tutti coloro che oseranno opporsi a me."

"Io non ne sarei così sicuro, principe." disse una voce profonda alle sue spalle.

Commodo ruotò su se stesso e si ritrovò faccia a faccia con il Generale Massimo Decimo Meridio.

L'imperatore cercò di parlare ma la sorpresa e la paura gli tolsero la voce. Le sue labbra si mossero a vuoto mentre prendeva nota della presenza dell'odiato nemico da lui creduto morto.

Nell'aula del Senato era caduto un innaturale silenzio mentre gli occhi di tutti i presenti erano puntati sui due avversari.

Massimo fissava Commodo negli occhi senza alcun timore, caricando il suo sguardo con tutto l'odio e la rabbia che provava nei confronti dell'uomo di fronte a lui. Dentro di sé si sentiva calmo e concentrato, mentre con la mano accarezzava l'elsa della sua spada.

Commodo parve riacquistare il controllo di sé e urlò, "Guardie, arrestatelo! E' un traditore!"

Nessuno si mosse.

"Quinto!" urlò ancora Commodo.

Il Pretoriano si mise al fianco di Massimo e disse "Principe?"

"Ci sei dentro anche tu, eh? Una volta traditore, sempre traditore. Mi stupisco che il nostro Generale si fidi ancora di te." disse velenosamente Commodo, ma Quinto non reagì.

L'imperatore si allontanò da Massimo e si mise a camminare su e giù per la sala, agitando le braccia, mentre il Generale non lo perdeva di vista un solo secondo.

"Non crederai di riuscire a prendere il potere vero? Tu non sai niente di politica. Questi serpenti ti si rivolteranno contro subito e poi il popolo non ti accetterà mai. Vedrai, fratello, presto avrai tra le mani una bella rivolta!" Gli occhi di Commodo luccicarono in modo malato.

"Io non credo, Cesare, che il popolo ti ami poi così tanto, non dopo essere stato informato sui mezzi con cui ti stai procurando il denaro per finanziare i tuoi 'giochi'. " Intervenne Gracco, "Inoltre, quando il popolo saprà che il Generale e l'Augusta Lucilla sono sposati accetterà senza problemi la sua salita al potere."

Commodo impallidì e si voltò verso Lucilla, "Sorella....tu...dimmi che non è vero..."

Lucilla lo guardò dritto negli occhi, "Mi dispiace Commodo, ma tu mi ci hai costretto."

Commodo si gettò su Massimo con rabbia, ma Quinto lo trattenne. "Tu, maledetto! Non ti è bastato soppiantarmi nel cuore di mio padre: dovevi portarmi via anche mia sorella!"

Commodo crollò sulla sua sedia, apparentemente senza più forze, schiacciato da un peso troppo grande da sopportare. Quinto ordinò a due pretoriani di tenerlo d'occhio.

Alcuni senatori, credendo che lo spettacolo fosse finito, iniziarono a parlare tra di loro, a muoversi qua e là e ad avvicinarsi a Massimo, già intenti a perorare le proprie cause con il nuovo signore di Roma.

A Massimo tutta quella confusione non piaceva: non era certo che Commodo fosse sconfitto e quello che accadde nei secondi successivi gli diede ragione.

Con una mossa fulminea Commodo afferrò uno dei pretoriani e lo sgozzò con un pugnale che aveva tenuto celato nella manica e poi si avventò su Lucilla, premendole la lama alla gola, "Fatemi uscire di qua o giuro che l'ammazzo." gridò con voce spiritata.

Lucilla guardò Massimo terrorizzata e il Generale si fece avanti, "Lasciala andare, non è lei che vuoi. Sono io. Tu vuoi batterti con me, vero? Vuoi farmela pagare per tutto quello che ti ho fatto. Beh allora fallo: io sono qui."

Commodo lo fissò e spinse violentemente Lucilla, facendola cadere a terra ai piedi di Massimo. Il generale attese che sua moglie si rimettesse in piedi e si allontanasse e poi ordinò, "Quinto, dagli la tua spada."

Quinto spalancò gli occhi, "Ne sei sicuro?"

Massimo annuì: era così che doveva andare a finire. I suoi cari e Marco Aurelio dovevano essere vendicati e non ci sarebbe mai stata pace per lui, per Lucilla o per Roma finché Commodo fosse vissuto.

Commodo prese la spada e cominciò a girare intorno al suo avversario mentre attorno a loro si creava il vuoto. Massimo sguainò il gladio e attese. Commodo si lanciò all'assalto e il duello iniziò.

Le spade si incontrarono più volte sprigionando scintille mentre i due avversari si muovevano per tutta la sala.

L'imperatore sapeva che se voleva vincere doveva indurre Massimo a commettere qualche errore e così cercò di provocarlo, sperando di costringerlo ad una mossa avventata.

"Mi hanno detto che tuo figlio strillava come una femminuccia mentre lo inchiodavano alla croce, " gli disse con ferocia, "E che tua moglie gemeva come una puttana mentre la violentavano.....ancora..e ancora.. e ancora...."

Gli occhi di Massimo si riempirono di lacrime al pensiero della sofferenza provata dai suoi cari ma il suo addestramento militare fu più forte della rabbia ed egli resistette alla provocazione. Commodo fece una smorfia delusa e tornò all'attacco.

All'improvviso Massimo scivolò sul marmo e Commodo lo ferì ad un polpaccio.

Il Generale strinse i denti nel sentire l'improvviso dolore e Commodo gli sorrise crudelmente, "Che c'è, Massimo, stai diventando vecchio? Mia sorella ha fatto un pessimo affare a lasciarmi per te, ma io le dimostrerò di che pasta è fatto un vero uomo!"

Massimo si limitò a fissarlo e a raddoppiare i suo sforzi. La gamba gli faceva male ma questo, unito alla visione di Lucilla nelle grinfie del suo pazzo fratello, non fece che aumentare la sua determinazione. Una tempesta di colpi si abbatté su Commodo e alla fine il suo braccio non resse più: un colpo di gladio lo tranciò praticamente in due e lo uccise sul colpo.

Massimo guardò a lungo il corpo crollato ai suoi piedi, quindi abbassò il braccio e chinò la testa, respirando affannosamente. Era finita.

Nella sala cadde un innaturale silenzio che fu rotto dalla voce decisa del Senatore Gracco, "Ave, Massimo, Protettore di Roma."

Massimo sollevò la testa mentre tutti gli altri senatori ripetevano le stesse parole e chinavano la testa in segno di rispetto.

Un mano fresca gli sfiorò la guancia e i suoi occhi incontrarono quelli pieni di lacrime di gioia di Lucilla. Massimo l'attirò a sé e l'abbracciò forte. Probabilmente non era il comportamento più consono alla sua nuova carica ma in quel momento non gliene importava nulla. Aveva vendicato i suoi cari. Aveva vendicato Marco Aurelio. Lucilla, Rea e Lucio erano salvi. Tutto il resto era aria e polvere e niente di più.

EPILOGO

Massimo Decimo Meridio era nel mausoleo di Marco Aurelio, in piedi vicino alla tomba del grande imperatore. Quel giorno cadeva il secondo anniversario della sua morte.

"Padre," mormorò Massimo con voce carica di emozione, "il tuo sogno sta per realizzarsi. Se tutto andrà come previsto entro la fine dell'anno Roma tornerà ad essere un repubblica."

Massimo sorrise immaginando il viso compiaciuto di Marco Aurelio.

Quanto a lui, il Protettore di Roma non vedeva l'ora di lasciare il suo incarico per tornare finalmente ad occuparsi delle sue terre, dei possedimenti di Lucilla e dei latifondi che il Senato aveva deciso di assegnargli quale ricompensa per il suo operato. Avrebbe avuto molto da fare e Massimo non vedeva l'ora di cominciare.

Sentì dei passi alle sue spalle e il suo sorriso divenne ancora più ampio: sapeva già di chi si trattava, prima ancora che un braccio delicato gli cingesse la vita.

"Allora, gli hai detto che tutto sta andando per il meglio?" gli chiese Lucilla, dandogli un bacio sulla guancia.

"Sì." rispose lui semplicemente, mettendole un braccio sulle spalle ed attirandola a sé.

"E gli hai detto anche che presto avrà un altro nipotino?"

"No, pensavo volessi dirglielo tu."

Lucilla sorrise nel vedere il volto felice di suo marito e poi si staccò dal suo abbraccio, avvicinandosi alla tomba e sfiorando il marmo con le dita, in una gentile carezza.

"Riposa in pace, mio amato padre. Anch'io sono in pace adesso. Non ho più paura né per me né per mio figlio e presto smetterò di occuparmi di politica per fare solo la moglie e la madre....Per questo io ti ringrazio, padre: è merito tuo, della tua previdenza, se ora posso vivere così serenamente." Lucilla chinò la testa e Massimo tornò accanto a lei, abbracciandola di nuovo.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, contemplando il volto di marmo di Marco Aurelio, finché Quinto non mise dentro la testa e schiarendosi la gola disse, "Massimo, mi dispiace disturbarti, ma il Senatore Gracco ti sta cercando."

Massimo scosse la testa e rivolse un sorriso esasperato a sua moglie: mai che si riuscisse a stare tranquilli per più di dieci minuti..Ma, ringraziando gli dei, presto sarebbe tutto finito.

Porse la mano a Lucilla che la prese, stringendogli le dita come a dire, "Forza e coraggio, andiamo a sentire cosa vuole Gracco," ed insieme uscirono dal mausoleo, pronti ad affrontare qualsiasi problema o questione si fosse loro presentata.

FINE

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