Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Cenerentolo 2 - La Vendetta (per leggere l'antefatto di questa vicenda vai qui, per leggere il seguito vai qui) per leggere le altre storie scritte da lalla, consulta l'indice delle fanfiction
autrice: Lalla Usai
e-mail: lallausai@tiscali.it
data di edizione: 4 marzo 2003
argomento della storia: Russell Crowe e i preparativi per le nozze. 
riassunto breve: Leopardi Giacomo, ex archivista all'ASL, ha avuto un'eredita' inaspettata... 
lettura vietata ai minori di anni: 

 

CENERENTOLO 2 LA VENDETTA

 

Non era passato molto tempo dal fattaccio, e non l’avevo mai più visto. Volevo dimenticare, e non era facile. Dimenticare il lavoro infame di passacarte che s’era mangiato vent’anni della mia vita, dimenticare il tiro mancino che quel povero infelice del Leopardi Giacomo, sul quale non avremmo scommesso un soldo, aveva giocato a tutte quante quando un’accidentale o voluta esposizione alle radiazioni nell’ambulatorio di radiologia l’aveva trasformato, transitoriamente purtroppo per lui, nella copia conforme dell’attore strafigo e lui s’era trombato tutto il personale femminile dell’ufficio… Ancora adesso, nonostante siano passati due anni dai fatti summenzionati,nonostante sia riuscita a farmi trasferire all’Assessorato ai Beni Culturali, quel ricordo mi tormenta. Il ricordo di una notte di sesso folle con l’uomo più bello dell’orbe terracqueo… o il pensiero che dietro l’angelico sembiante fossero celate le orride fattezze del cenerentolo dell’ufficio?

Dopo l’accaduto, per ben due mesi ho dovuto curare i postumi di una feroce gastrite nervosa che, se non altro, è servita a farmi perdere dieci chili.

E ancora adesso mi viene l’orticaria se solo sento menzionare “L’infinito” o “A Silvia”. Figuriamoci se mi sfiorava il semplice pensiero che avrei potuto incontrarlo nuovamente, un giorno. Invece…

Mi ero presa qualche giorno di ferie per dare una mano d’aiuto a mia madre che aveva traslocato e stanca morta mi godevo il meritato riposo stravaccata sul divano di casa mia, quando squilla il telefono. “Pronto, Laura?”. Riconosco la voce e reprimo a stento l’impulso (grazie a Dio sono stonata come una campana e non ho sufficiente presenza di spirito) di cantargli “Laura non c’è, è andata via…” Vuole vedermi, mi dice. La faccenda è seria. Siccome sono cretina, non riesco a dirgli di no.

L’appuntamento è in un bar del centro. Arrivo infagottata in un giubbotto comprato dai cinesi e con le mani infilate dentro un paio di guanti gialli di identica provenienza. Fa un freddo cane, ma grazie al cielo non devo aspettare troppo. Resto meravigliata vedendolo scendere, invece che dalla 127 antidiluviana color pupù di neonato che gli conoscevo, da un Mercedes lustro fiammante grande quanto un transatlantico che non guida lui ma un tizio in divisa che non è né un poliziotto né un tassista. La ruota della fortuna deve aver iniziato a girare dalla sua parte, mi dico vedendolo scendere dal transatlantico. L’andatura ricorda sempre quella di una gallina zoppa e gli abiti gli pendono da tutte le parti, ma il cappotto di cammello che indossa deve essergli costato una fortuna. Lo avrei riconosciuto da dieci chilometri, eppure è cambiato. Sul cranio a uovo ora se ne sta appollaiato un parrucchino color pannocchia,stile Mike Buongiorno prima maniera e non appena apre bocca noto che, invece dei ponti sghimbesci ancorati alle gengive da ganci di metallo, sfoggia un dentierone d’un biancore abbagliante che mi ricorda un’esposizione di stoviglie ai grandi magazzini. Mi porge la sua gelida manina e m’invita ad accomodarmi dentro. Ti offro un caffè, mi dice. Ha buttato via gli occhiali e, senza lo schermo delle grosse lenti, i suoi occhietti slavati senza ciglia sembrano ancora più piccoli.

Mi dice di lui, dopo i soliti convenevoli. Un prozio ricco e scapolo, di cui a stento conosceva l’esistenza, morendo gli aveva lasciato in eredità tutte le sue sostanze e adesso il Leopardi Giacomo non era più l’ultima ruota del carro alla ASL numero 20, ma un imprenditore di vaglia. La buonanima mi ha chiesto in cambio solo di accollarmi un piccolo sacrificio. Quale?Gli chiedo io. Quello di adottare legalmente, accanto al mio, anche il suo cognome. Cosa di poco conto, rispondo, prima di venire a sapere dal meschino che il cognome in questione era Cantacesso.La derelitta creatura che mi stava davanti era divenuto anche per l’anagrafe il ragionier Giacomo Leopardi Cantacesso. Ancora una volta,il destino si accaniva crudelmente contro di lui.

Mi disse che la Premiata Ditta Cantacesso era il maggior produttore italiano di carta igienica.Bene, pensai. Da una ditta che si chiama in quel modo certo non potrebbero sortir cioccolatini,profumi o dadi da brodo. Mi disse di essere diventato davvero molto, ma molto ricco. Se i culi fossero computer, lui sarebbe il Bill Gates dei deretani. Lo penso ma non glielo dico. Poveretto, la vita è già stata abbastanza cattiva con lui.

Finalmente mi chiede il famoso favore, diventando di fronte a me prima rosso come un pomodoro fradicio, quindi giallo piscio e infine verde come la muffa del gorgonzola. Tra un semaforico cambiamento del colorito e l’altro, mi racconta che è stato invitato ad un galà di beneficenza in non so quale circolo della Milano che conta,in pratica il suo debutto nell’alta società, e che ha bisogno di uno smoking. Non ne ha mai posseduto uno, e non sa dove andare a parare. Riesco, di fronte a cotanto caleidoscopio di colori, sputacchi e sfiatate degne degli arsenali di Saddam Hussein, a pronunciare una parola soltanto. Armani.Il sarto che veste gli uomini più affascinanti del mondo,compreso il Gladiatore dei miei sogni, che quando abbandona il look agropastorale che gli è consueto indossa con il piglio di un principe le creazioni del grande Giorgio, vanto dell’ imprenditorialità italiana.

Mi chiede, quasi con le lacrime agli occhi di accompagnarlo e io accetto, dopo parecchi tentennamenti. Milano dista solo una ventina di chilometri dal piccolo centro dove vivo, ma il nocciolo della questione era un altro. Con il mio modesto stipendio da parastatale, non sono certo un'assidua frequentatrice dell'atelier Armani. Eppoi, miliardi o non miliardi, in tutta franchezza non era la mia massima aspirazione mostrarmi in giro con il ragionier Leopardi-Cantacesso, che sarà il re della carta igienica,però si porta pure appresso gobba, parrucchino giallo, dentierone e alito di fogna. Ma ho il cuore tenero e tant'é... Ci sono cascata.

Fresca di parrucchiere e agghindata con il meglio del mio modesto guardaroba, me ne sto stravaccata sui sedili odorosi di vero cuoio del Mercedes con autista (un giovanotto di colore niente male) diretta alla volta dell'atelier Armani, davanti al quale il Leopardi Cantacesso mi attende con ansia. E durante il breve viaggio ho il tempo di farmi frullare nel cervello i pensieri più assurdi. Per esempio: se è vero che nel nostro nome sta scritto il destino, beh... Mi viene in mente padre Cantalamessa, il simpatico fraticello della tv. Con un nome del genere, non poteva diventare altro.Un secondo appena, e il pensiero torna a Cantacesso. Cantacesso. Cantagiro. Ricordi legati a quando, scolaretta di prima media,palpitavo per Mal e Renato dei Profeti mi si affastellano nel cervello. Cantagiro... Cantacesso. Come canta un cesso? Come Pavarotti? O forse come Bruce Springsteen? O magari come Mino Reitano? Canta da solo o preferisce cantare in coro?

Ci siamo. Lo vedo passeggiare nervosamente avanti e indietro. Scendo dall'auto ed insieme entriamo nel Palazzo delle Meraviglie. Ci fanno accomodare in un delizioso salottino e ci dicono di aspettare. Fa niente, né io né lui abbiamo fretta.

Mi guardo intorno come una deficiente, in vita mia non ho mai visto tanto lusso e tanto buon gusto. Lì dentro,io e il mio ex collega stoniamo come due fette di gorgonzola posate su un cuscino di seta. Intanto,mi domando come se la caverà il Maestro alle prese con il Leopardi Cantacesso, che Madre Natura non ha certamente dotato del fisico di Brad Pitt. I miracoli, purtroppo, neppure lui è in grado di farli e un miracolo è l'unica cosa di cui il relitto umano avrebbe bisogno.

Comincio ad annoiarmi e a domandarmi chi me l'abbia fatto fare,quando la porta del salottino si apre e una torma di buzzurri viene fatta accomodare proprio di fronte a noi. Si siedono e ci guardano come se fossero il Tribunale della Santa Inquisizione. Per reazione comincio a sudare freddo .Credo di non averli mai visti, se non di persona neanche sui giornali che sbircio dalla parrucchiera. Americani, penso subito. Un mascellone tracagnotto dai capelli a spazzola, una virago che rassomiglia a Conan il Barbaro, due signori di una certa età uno dei quali colpisce per l'aria insolitamente giuliva e gli occhietti lucidi, secondo me s'è tracannato una cantina, un'esotica matriarca intorno al quintale,una brutta copia di Camilla Parker Bowles che è già brutta di suo, una nanerottola con la faccia seminascosta da una matassa di capelli stopposi color giallo Carrà... Completa la combriccola un fotografo con attrezzatura professionale al seguito. Cafoni. Non faccio neppure in tempo a pensarlo, e i miei occhi incontrano quelli di un uomo biondo, bello e più vistoso del campanile di San Marco. Oh Dio. Penso. Oh Dio... E per poco non rovescio il contenuto del mio stomaco sul tappeto persiano disteso ai nostri piedi, in preda a un attacco di gastrite nervosa.

Non sono americani, bensì australiani, e sono venuti a visionare i bozzetti per i loro abiti nuziali, bisbiglia qualcuno. Sì, con parentado, gorilla e fotografo al seguito per immortalare a uso e consumo della stampa la “felicità”dei piccioncini… Lui mi guarda, mi sorride e io avrei voglia di spaccare tutto quanto. Dopo averne combinate di tutti i colori, è tornato con la fatina bionda che era stata il suo amore di gioventù, in perfetto stile Harmony. La fatina bella e buona, che farà di lui un uomo migliore… La guardo, approfittando di un momento in cui mi sembra persa appresso ai suoi pensieri. Con perfidia tipicamente femminile, noto che è alta un metro e niente, che ha la testa grossa, i capelli stopposi, il collo corto, le spalle strette, il naso rifatto male e una manaccia da lavandaia su cui scintilla un brillocco grande quanto il fanale di un tir. Ha gli occhi gelidi come un caporale delle SS e, le poche volte che ride (forse teme che le crolli il lifting) il suo sorriso sa di falso, artefatto. Non sono mai stata una bellezza, sono pure in pre menopausa, ma vicino a questa qui mi sento Manuela Arcuri. E mi domando, con tutte le splendide donne che gli saranno passate per le mani, come avrà fatto a lasciarsi irretire da questo pesce freddo, da questo barbapapà che secondo me è interessato solo ai suoi soldi? Uno come lui che avrebbe potuto mangiare tutti i giorni il paté dello chef francese o al limite una gagliarda pastasciutta, come può accontentarsi di una minestrina scipita e per giunta riscaldata?

Noto che il divo strafigo e il Leopardi Cantacesso per un attimo si guardano in cagnesco come Clint Eastwood e Lee Van Cleef prima del duello finale in tanti spaghetti western e temo per l’incolumità del mio accompagnatore, visti i ben noti trascorsi pugilistici e la stazza da armadio a sei ante dell’altro. Per fortuna, veniamo subito chiamati e introdotti nel laboratorio del Maestro che naturalmente non si fa neanche vedere, tutto preso com’è dagli abiti di nozze del Principe Buzzurro e di Cenerompola. Veniamo affidati ad uno staff di suoi collaboratori e, una volta prese le misure, liquidati senza troppe cerimonie.

Respiro di sollievo l’aria nebbiosa e inquinata di Milano godendomela manco fosse quella del Gran Paradiso, salgo col mio derelitto cavaliere sul Mercedes. Non mi consola il fatto che ci aspetti un sontuoso pranzo in uno dei migliori ristoranti della città, né il pensiero che, se l’Uomo dei Sogni si fosse messo con una che avesse avuto il fisico di Halle Berry, il cervello di Madame Curie, la bontà di Madre Teresa e la simpatia della Mondaini probabilmente le avrei trovato lo stesso un milione di difetti… E per dimenticare di aver visto quel che non avrei voluto, mi metto a chiacchierare col Leopardi Cantacesso che, notoriamente, è sempre stato un tipo di poche parole e ancor meno argomenti.

La conversazione verte sulla prossima campagna pubblicitaria per il lancio di una carta igienica a colori pastello e, novità delle novità, delicatamente profumata alla vaniglia. Non oso dirgli che non capisco i motivi per cui si debba profumare come una torta margherita la carta igienica, che va a finire dove va a finire. L’entusiasmo del poveretto mi commuove: neppure quando era innamorato dell’Allegretti era così felice. Non voglio deluderlo.

Sai, mi fa, vogliamo realizzare qualcosa di completamente diverso rispetto alla concorrenza. Niente cuccioli cicciotti e neanche bambini petulanti seduti sul vaso. Abbiamo pensato a una bella ragazza vestita da Cappuccetto Rosso che corre, saltella e raccoglie fiori su un bel prato canticchiando questo motivetto… ”con la Carta VANIGLIA/se la voglia ti piglia .../dentro il tuo camerino/sentirai il profumino…” Inorridisco per l’insieme dei fattori concomitanti, la voce da diluvio universale del Leopardi Cantacesso, il testo poetico che starà facendo sicuramente rivoltare nella tomba il suo illustre omonimo, l’immagine dell’oca che saltella su e giù per un prato di plastica con un canestro pieno di rotoli colorati e profumati appeso al braccio… Resisto eroicamente come Leonida e i suoi 300 alle Termopili e continuo ad ascoltarlo. Stiamo cercando l’interprete dello spot. Abbiamo pensato… Alla Falchi? Troppo sexy, faccio io. Alla Marini? Inflazionata. Alla Lorella Cuccarini? No, quella è già impegnata a reclamizzare le cucine. Sto per proporgli la Littizzetto, l’unica che potrebbe dare credibilità al pateracchio condendolo con la sua ironia al pepe di Caienna, ma… Ho un’idea migliore. Ce l’hai presente la tipa che abbiamo incontrato da Armani? Quella che sta col Gladiatore? Sì, lei. Faccio io. E’ attrice e cantante, almeno così asseriscono i giornali. Quella ti canta pure il jingle e ti fa risparmiare. La contatterò subito, risponde lui, e io me la rido sotto i baffi, immaginandola vestita da Cappuccetto Rosso con le treccine gialle ballonzolanti, il nasone a canappia e la boccaccia da squalo, correre,saltellare e cantare quell’osceno jingle… Pregherò tutti i santi del Paradiso che accetti, questa soddisfazione devo togliermela ad ogni costo.

Ha accettato. E’stato lo stesso Leopardi-Cantacesso a comunicarmelo via telefono. Si sta girando lo spot, e presto invaderemo tutte le televisioni, pubbliche e private.

Ma la soddisfazione più grossa me la sono levata l’altro giorno mentre aspettavo il mio turno dall’estetista sfogliando l’ennesimo Novella 2000 della serie. Il matrimonio tra il Gladiatore e la dolce Dani,previsto per aprile, è stato rinviato a data da destinarsi a causa degli impegni professionali (!?) della nota (?!) attrice cantante. Ma sembra che alla decisione non sia estranea l’amicizia che sarebbe nata tra la Spencer e un affascinante imprenditore italiano...

Me la rido pensando alla piega presa dagli avvenimenti. L’affascinante imprenditore italiano... La Dolce Dani... La carta VANIGLIA che la voglia ti piglia... Me la rido, ripensando agli occhi rapaci di lei e al pensiero che le sarà frullato in testa quando ha conosciuto il Cantacesso: le fortune di un attore, per quanto bello e bravo, possono anche declinare, mentre finchè gli esseri umani continueranno a venire al mondo accessoriati di culo, la carta igienica si venderà come il pane. La buonanima di mia nonna ripeteva sempre un antico adagio popolare “GUARDALO BENE GUARDALO TUTTO/SENZA DENARO L’UOM COM’E’ BRUTTO”... Accidenti se aveva ragione!

FINE

Lalla, 2 marzo 2003

(illustrazione: Ely)


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