Russell Crowe - La Stampa - traduzioni

 

Articolo di Andrew L. Urban (www.urbancinefile.com.au) da ninemsn.com.au, 27 marzo 2002

la traduzione e' a cura di grace big_grunt@hotmail.com

 

IL VOLO DEL CROWE* (Flight of the Crowe)

 

Dimenticate la sua immagine da bad-boy creata dai media e il suo status da superstar, quando è sul set Russell Crowe è qualcosa di assolutamente differente. Andrew L. Urban traccia un profilo dell’attore vincitore di riconoscimenti cinematografici - e dell’essere umano.

 

Per qualcuno, Russell Crowe è ancora un po’ Hando, il nazi-skin del controverso film di Geoff Wright “Romper Stomper” (1992), con i tatuaggi sulle dita, la svastica sulla parete e arrabbiato col mondo intero. Non è che Crowe abbia alcuna di queste cose - però c’è quella ardente, esplosiva spigolosità. “Romper Stomper” non è stato il suo primo film, e neppure il più grande, ma per la sua carriera è stato forse ciò che “Fronte del Porto” è stato per quella di Marlon Brando. E l’immagine da picchiatore gli è rimasta attaccata addosso.

Con il ruolo del matematico John Nash in “A Beautiful Mind” che gli ha fruttato riconoscimenti come migliore attore , a partire dal Golden Globe Award, fino al B.A.F.T.A, al premio della Screen Actors Guild (S.A.G.), allo S.W.M.S. ed una terza nomination consecutiva per l’Academy Award (che meritava di vincere secondo il parere di molte persone), Russell Crowe ha raggiunto la massima vetta stratosferica della sua professione.

Assieme alla sua altra nomination per il ruolo di Jeffrey Wigand, l’uomo che ha denunciato l’industria del tabacco, in “The Insider” (1999), poi la vittoria un anno dopo come Maximus in “Gladiator”, Crowe ha confermato la sua statura fra gli uomini più importanti del mondo. Come si dice ad Hollywood, adesso può “open a picture” (n.d.t. letteralmente “aprire un quadro, un’immagine” per indicare un attore che costituisce un’icona della storia del cinema) uno di una ristretta cerchia che comprende il collega australiano (onorario) Mel Gibson, o Tom Hanks, Harrison Ford e Jim Carrey.

Il regista Ron Howard e il produttore Brian Grazer avevano voluto Crowe per “A Beautiful Mind” molto tempo prima del successo di “Gladiator” sugli schermi. “Ho tenuto in considerazione solo ed esclusivamente Russell perché lui riesce a comunicare così intensamente senza neppure parlare” dice Grazer. Per Howard, si trattava “della fisicità e del carisma di Crowe…..del suo intelletto, della sua forza mentale e della sua ricchezza di sentimenti. E’ una rara mescolanza ed è così importante per la storia di Nash.” Howard dice che lui e Grazer “volevano che il film avesse un certo livello di introspezione, non solo essere solo una visione sentimentale della vita di quest’uomo. Questo è quello che voleva anche Russell.”

Il regista di “Gladiator”, Ridley Scott dice di riuscire ad individuare quel “qualcosa” che certi attori possiedono, e che è così che effettua il casting. “Non mi riferisco a buone capacità espressive….è più una questione di partecipazione. E’ in un secondo momento che vediamo cosa fanno con le parole e con le parole viene l’intelligenza. E Russell possiede tutte queste cose. Oltre a tutto ciò, lui è insolitamente inquisitivo, la qual cosa di solito è indicativa di una notevole intelligenza. Per cui adesso è veramente formidabile.

Fatto ironico, però, sin dall’inizio, Crowe è stato un attore che non ha mai dato eccessiva enfasi al recitare. Persino adesso non si illude che l’essere un membro del club delle superstar si rinnovi automaticamente. “Tutta questa faccenda (il suo successo) è come praticare il surf,” ha dichiarato un anno fa alla vigilia degli Oscar, “mi trovo su una certa onda, e un giorno se ne andrà.”

Ma questo non vuol dire che non se ne curi. A metà degli anni ’90 mi disse durante un’intervista: “Sono ossessionato dal lavoro. No, non è che io mi allinei, ma mi adatto a quello che è richiesto. Ed ho un’opinione mia….il che può costituire un problema. Ma se le persone prendono il lavoro seriamente, non ci sono problemi con me. E intendo dire prendere seriamente il lavoro, non prendere seriamente me stesso.”

Questo porta dritto al cuore della sua fama di enfant terribile. Prendiamo il recente scontro ai premi B.A.F.T.A. a Londra, dove ha messo con le spalle al muro un produttore della BBC e lo ha aggredito per avere tagliato parte del suo discorso di accettazione che comprendeva dei brevi versi: nessun attore attento alla propria immagine avrebbe fatto qualcosa del genere. Ma la protesta di Crowe non era basata sul suo ego; reclamava perché i tagli comprendevano ringraziamenti e riconoscimenti verso persone che lui rispettava. Né si preoccupa della sua immagine.

La sua lettura di versi mi ha fatto tornare in mente la nostra prima intervista sul set di “The Crossing”, nel 1989, quando stava lavorando con il regista John Ogilvie: “All’inizio lui (Ogilvie) ha detto qualcosa di molto interessante per me. Voleva che tutti leggessimo alcuni versi - questo distilla le cose. Ecco cosa vuole da noi come interpreti. Raggiungi l’essenza attraverso la sofferenza… mi ha proprio colpito quando lo ha detto.”

Il suo primo film, “Blood Oath” fu girato presso i Warner Roadshow Studios sulla Gold Coast; aveva un ruolo di spalla a Bryan Brown. Crowe non ha mai dimenticato che quando io visitai il set, intervistai soltanto Brown. Non è passato molto tempo, però, prima che ci incontrassimo di nuovo, questa volta in giugno, nella parte meridionale del New South Wales, sul set di “The Crossing”. Il film aveva come co-protagonisti Robert Mammone e Danielle Spencer, che interpretava una ragazza di nome Meg per il cui amore lui si batteva nel film.

Sul fatto di lavorare con lui come attore, la Spencer (da una saletta d’aeroporto durante il tour promozionale per il suo nuovo CD “White Monkey”) dice: “Russell è un attore molto altruista e stimolante con cui lavorare. Lui si impone dei rendimenti molto elevati e questo tende a trainare chiunque altro verso quello stesso livello di dedizione e di realizzazione.”

Sul fronte personale, le sue relazioni con la sua co-star di “Proof of Life”, Meg Ryan, e quella con la Spencer sono entrambe di dominio pubblico - anche se i particolari sono talvolta molto lontani dalla verità. La seconda è l’unica relazione di lunga data che abbia mantenuto, e che ha avuto un’interruzione, anche se lui desiderava molto avere dei figli già sette anni fa.

“The Crossing” non è stato un successo al box-office ma ha lanciato la carriera australiana di Crowe. E lo ha spinto a trovare ora un modo per ringraziare i distributori del film, la Beyond Films.

L’anno scorso, quando la Miramax ha acquistato i diritti mondiali di “Texas”, il documentario che Crowe ha prodotto sulla sua band, i Thirty Odd Foot of Grunts, ha escluso dal pacchetto i diritti australiani in modo da farli avere alla Beyond Films. Adesso ride e si domanda se la Beyond vede la cosa come un regalo - o come un mal di testa.

Risultati commerciali di “The Crossing “ a parte, la stella di Crowe salì nei primi anni ’90, passando per una serie di svariati personaggi in film australiani, come “Proof” (1991), “Spotswood” (1991), “Brides of Christ “ (miniserie TV, 1991), “Hammers over the Anvil” (1991), “Love in Limbo” (1993), “The Silver Brumby” (1993) e “The Sum of Us” (1994). Tutti avrebbero arricchito la sua gamma e la sua versatilità, dallo sfortunato giovane amante in “The Crossing “ fino ad arrivare all’uomo che voleva domare un cavallo selvaggio in “The Silver Brumby”.

Nel secondo, il regista John Tatoulis scoprì un attore che “aveva la presenza… che sapeva riempire lo schermo e non gli serviva alcun altro personaggio perché in realtà non c’era nessuno che gli si potesse contrapporre.” Tatoulis fu “incredibilmente impressionato dal modo in cui Russell poteva calarsi nel personaggio. Giravamo sulle montagne e lui stava in costume per quasi tutto il tempo. Ma la prima cosa che mi attrasse di lui fu la sua voce. E’ una voce talmente risonante, universale. Scoprii in lui un professionista consumato, appassionato.”

Ma quando Crowe andò per la prima volta ad Hollywood, aveva un arduo compito - un ruolo a fianco di Sharon Stone e Gene Hackman (oltre ad un giovane Leonardo Di Caprio nel ruolo di pistolero) in “The Quick and the Dead” (1995) diretto da Sam Raimi. Se a determinare il successo bastasse il solo potere della celebrità, allora il film avrebbe dovuto ottenerlo di sicuro. Certamente Crowe se la cavò abbastanza bene, ma come dichiarò il critico del Los Angeles Times, Kenneth Turan, il film “perde inevitabilmente energia ben prima di quanto le pistole perdano i proiettili”.

E’ show-business.

Nel 1995, ad Hollywood, Crowe girò altri tre film, compreso “Virtuosity” con Denzel Washington - candidato con lui quest’anno al premio Oscar come miglior attore protagonista, prima di riuscire davvero a fare fortuna con “L.A. Confidential” nel 1997, co-interpretato con il collega australiano Guy Pearce. Qui, il suo “agente Bud White” è stato il precursore del suo “generale Maximus”; determinato, pericoloso e carismatico sullo schermo.

Lui è stato impulsivo, divertente e generoso ma sempre imprevedibile. Persino tracotante: “Non è arroganza,” ha detto nel 1994 sul set di “The Sum of Us, “è onestà. Sono camaleontico… sulla spiaggia, sono acquatico; nella boscaglia , un cespuglio.” Ha riso. “ Sono passato attraverso tante esperienze crescendo (nato in Nuova Zelanda nell’aprile del 1964, è cresciuto a Sidney sin dall’età di 4 anni). Non ho abitato in una casa fino ai 14 anni, quindi ho molto spirito di adattamento.” Ed, a suo stesso dire, impenetrabile. Se gli si chiede come la gente possa riuscire a capire Russell Crowe, la sua risposta è pronta: “Non è possibile.”

Però è possibile capire che cosa lo trascina: “ Recitare ruoli estremi o personaggi che siano difficili da ritrarre o cose che ti sfidano personalmente… ecco cosa ti mantiene in tensione,” ha detto.

“Perché non sai quel che stai facendo. Se fai cose che sono troppo facili per te, che non richiedono alcun vero sviluppo del pensiero o roba simile, o se il copione o la storia non ha alcuna sottigliezza, allora mi annoio. Divento veramente molto annoiato. Più varietà c’è, meglio è.” Il che spiega la sua passione nell’interpretare John Nash in “A Beautiful Mind”.

Man mano che cresceva il suo successo, contemporaneamente cresceva il clamore dei media. In tempi recenti, Crowe è stato accusato di essere un uomo difficile, piantagrane e amante delle risse. Tale reputazione gli è rimasta incollata addosso, nonostante la crescente gloria poiché giornalisti oziosi ripetono e montano storie (tratte da inesattezze precedentemente pubblicate) solo per sbrigarsi in fretta e furia. Crowe dice che lui non è contro i media, è contro i giornalisti privi di professionalità che creano agli altri una cattiva nomèa rigurgitando storie prefabbricate sulla loro vita. “I media creano un’altra vita per questo… Russell Crowe… cosa…persona… che non esiste veramente.”

La sua immagine di “bad-boy”, riconosce, è stata gonfiata “da persone che lavorano per i giornali. Non c’è regista che non lavorerebbe di nuovo con me, “ ha detto scherzando in una delle nostre interviste. Ma poi aggiunge con uno sbuffo malizioso, “… forse alcuni produttori…loro possono avere la parola.”

Ora, la parola può essere come un ariete che sfonda, e Crowe ha dimostrato in che modo. Di sicuro ha più esperienza, qualcosa che lui ritiene essere un bene. Ma la ragione per cui molti lo considerano un ragazzaccio è che lui rifiuta di giocare al gioco della celebrità nel modo in cui Hollywood o molti dei media si aspettano da lui. “Devo avere persone che mi dicono quale deve essere la mia immagine? Ma chi se ne fotte? Io recito solo il mio ruolo,” ha detto nel 1994. Quindi, si mette sul naso di alcuni dirigenti delle società cinematografiche e di alcune persone dei media che si aspettano da lui un determinato comportamento. Una cosa è evidente: non è la creatura sociale superficiale che spesso si accompagna alla fama e alla celebrità.

Crowe è complesso. Moltissime persone lo sono, e specialmente chiunque viva del proprio talento creativo. Ma per certi aspetti, è più facile rapportarsi con lui, perché non fa lo stronzo. In tutti i nostri incontri è stato diretto e professionale.

Il suo agente australiano lo descrive come quello che lavora di più fra gli attori che conosce. Ora è anche ricco, eppure finora ha soltanto le case nel New South Wales: una proprietà multi-milionaria nella zona del porto della Elizabeth Bay di Sidney e una fattoria a Coffs Harbour sulla costa settentrionale dello stato. Certo, ci sono migliaia di australiani con le case sul mare; solo che non molti di loro volano anche a Sidney da una cerimonia di consegna degli Oscar per assistere all’incontro di ritorno dei Rabbitohs (squadra di rugby di South Sidney), se distrutti. Ma questo è il tipico Crowe: lui è “star” e “bloke” e “muso” e “boyfriend” e “footy fan” e ambasciatore degli antipodi tutto contemporaneamente.

La prima delle due maggiori ambizioni da lui stesso confessate si è realizzata quando ha interpretato un personaggio australiano in un film hollywoodiano a grosso budget, “Proof of Life”. L’altra sua massima ambizione è di realizzare un film di primaria importanza in Australia con cast e squadra australiani - e finanziamenti internazionali. “Ci sto lavorando,” ha dichiarato alla prima di “Proof of Life” nel marzo dello scorso anno.

Crowe sta lavorando anche ad un progetto di regia. Finora gli viene attribuita soltanto la produzione di “Texas” e non pretende nemmeno che gliene venga attribuita la regia. Ha insistito perché nei titoli di coda risultasse come “Diretto dalle Circostanze”. E’ stato abbastanza valido, rude e irriverente com’è, da essere non soltanto acquistato dalla Miramax ma anche da essere presentato ai festival di Berlino e Sundance di quest’anno. Nonostante la sua modestia Crowe lo ha usato per fare pratica. Se gioca bene le proprie carte, quando prenderà un progetto da dirigere, riuscirà a realizzare quello che vuole.

Nel frattempo, i 30 Odd Foot of Grunts continuano ad essere la sua opzione di riserva. Come se avesse bisogno di averne una. Una misura della sua fama e del suo successo (un mucchio di riconoscimenti e una moltitudine di fan) si è potuta vedere nel marzo dello scorso anno quando le voci di un complotto per rapire Crowe sono sfrecciate in tutto il mondo. Questo è avvenuto dopo l’uscita di “Proof of Life”, in cui interpreta un negoziatore di riscatti. Si è trattato proprio di un brutto tiro; mi spiace veramente per qualunque idiota volesse veramente rapire Russell Crowe.

 

Andrew L. Urban è l’Editore di www.urbancinefile.com.au, rivista cinematografica online dell’Australia

 

* Il titolo è un gioco di parole basato sull’assonanza fra il cognome di Russell ed il termine “crow”, in inglese “corvo”.

Flight of the Crowe

Forget his bad-boy media image and his superstar status, Russell Crowe is something very different when he gets on set. Andrew L. Urban profiles the award winning actor - and the human being. 



To some, Russell Crowe is still a bit of a Hando, the neo-Nazi skinhead in Geoff Wright's controversial 1992 film, Romper Stomper, with tattoos on his fingers, a swastika on his wall and a chip on his shoulder. Not that Crowe has any of those – but there's that smouldering, explosive edginess. It wasn't his first film, nor his biggest, but it was to his career what perhaps On the Waterfront was to Marlon Brando's. And the stomper image has stuck. With his role as mathematician John Nash in A Beautiful Mind earning him best actor awards from the Hollywood Foreign Press Association (Golden Globe Awards), BAFTA, the Screen Actors Guild and a Sho West Male Star of the Year gong, and a third consecutive Academy Award nomination (worthy of a win according to many), Russell Crowe has reached the highest stratosphere of his profession. Together with his Oscar-nominated role as Jeffrey Wigand, the tobacco industry whistleblower in The Insider (1999), then the winning role a year later as Maximus in Gladiator, Crowe has confirmed his stature as one of the world's leading men. In Hollywood parlance, he can now "open a picture" – one of a handful including fellow (honorary) Aussie Mel Gibson as well as Tom Hanks, Harrison Ford and Jim Carrey. 
Director Ron Howard and producer Brian Grazer had picked Crowe for A Beautiful Mind well before Gladiator hit the screens. "I zeroed in on Russell because he can communicate so intensely without words," Grazer says. For Howard, it was Crowe's "physicality and charisma ... his intellect, his mental toughness and his soulfulness. It's a rare blend and so important for the story of Nash." Howard says he and Grazer "wanted the movie to have some edge and not be a sentimentalised look at this man's life. Russell wanted that, too." Gladiator director Ridley Scott says he's good at spotting that "something" that certain actors have, and that's how he does his casting. "I don't mean good looks ... it's a presence. Then let's see what they do with the words, and with the words comes intelligence. And Russell's got all those things. On top of that he's unusually inquisitive, which is usually an indication of high intelligence. So he's pretty formidable right now." Ironically, though, from the beginning, Crowe was an actor who never placed undue emphasis on acting. Even now, he doesn't fool himself that membership in the superstar club is renewed automatically. "This whole thing [his success] is like surfing," he said exactly one year ago, on the eve of the Oscars, "I'm on a certain wave, and one day it'll go away." 
But that doesn't mean he doesn't care. Back in the mid-1990s, he told me during one interview: "I'm work obsessed. No, I don't conform, but I get on with what is required. And I do have an opinion ... which may be a problem. But if people take the job seriously, there is no trouble with me. And I mean taking the job seriously, not taking myself seriously." 
This goes to the heart of his reputation as an enfant terrible. Take the recent BAFTA confrontation in London, where he cornered a BBC producer and tore into him for cutting out parts of an acceptance speech that included a short poem: no actor careful of his image would have done that. But Crowe's complaint was not based on his ego; he complained because the cuts on the delayed telecast included thanks and tributes to people he respected. Nor is he careful of his image. 
His poetry reading reminded me of our first interview on the set of The Crossing in 1989, when he was working with director George Ogilvie: "He [Ogilvie] said something very interesting to me at the beginning. He wanted us all to read some poetry – it distils things. That's what he wants from us as performers. You get essence through suffering ... it just hit me when he said it." 
His first feature film, Blood Oath, was shot at the Warner Roadshow Studios on the Gold Coast; he played a support role to Bryan Brown. Crowe has never forgotten that when I visited the set, it was only Brown I interviewed. It wasn't long, though, before we met again, this time in Junee, southern NSW, on the set of The Crossing. The film co-starred Robert Mammone and Danielle Spencer, who played a girl called Meg for whose affections he fought on-screen. Of working with him as an actor, Spencer (from an airport lounge on her promotional tour for her new CD White Monkey) says: "Russell is a very giving and inspiring actor to work with. He sets very high standards for himself and that tends to pull everyone else to that level of dedication and performance." 
On the personal front, his romances with Proof of Life co-star Meg Ryan and the one with Spencer are both public knowledge – even if the details are sometimes distant cousins to the truth. The latter is the only long-term relationship he has maintained, and that was on a stop-start basis, even though he was anxious as long as seven years ago to have children. 
The Crossing was not a box-office success but it launched Crowe's Australian career. It has taken him until now to find a way of saying thanks to the film's distribution backers, Beyond Films. Last year, when Miramax bought the world rights to Texas, the documentary Crowe produced of his band, 30 Odd Foot of Grunts, he kept the Australasian rights out of the deal so Beyond could have them. He laughs now and wonders if Beyond also see it as a thank-you present – or a headache. 
The Crossing's commercial results aside, Crowe's star rose in the early 1990s through a series of vastly different characters in Australian films, such as Proof (1991), Spotswood (1991), Brides of Christ (TV mini-series, 1991), Hammers Over the Anvil (1991), Love in Limbo (1993), The Silver Brumby (1993) and The Sum of Us (1994). All expanded his range and versatility, from the star-crossed young lover in The Crossing to the man who would tame a wild horse in The Silver Brumby. 
In the latter, director John Tatoulis found an actor who "had presence ... who could fill the screen and not need any other character to work off because there was no one to play off really". Tatoulis was "incredibly impressed how Russell could immerse himself in the character. We were shooting in the mountains and he stayed in costume almost the entire time. But the first thing that attracted me to him was his voice. It's such a resonating, universal voice. I found him a consummate, passionate professional." But when Crowe first rode into Hollywood, he had a lame horse – a role opposite Sharon Stone and Gene Hackman (and with a young Leonardo DiCaprio as a gunfighter) in The Quick and the Dead (1995), directed by Sam Raimi. If star power alone was the key, the film should have been a hit. Crowe certainly acquitted himself well enough but, as Los Angeles Times critic, Kenneth Turan, put it, the film "inevitably runs out of energy well before any of its hot-shots runs out of bullets". Well, that's showbiz. 
In 1995, he made three more films in Hollywood, including Virtuosity with Denzel Washington – who joined him on Oscar's best actor list this year – before Crowe really struck Hollywood gold with L.A. Confidential in 1997, co-starring with fellow Australian Guy Pearce. Here, his Officer Bud White was the precursor to his General Maximus; determined, dangerous and charismatic on screen. He has been hot-headed, amusing and generous but always unpredictable. Even overbearing: "It's not arrogance," he said in 1994 on the set of The Sum of Us, "it's honesty. I'm chameleon-like ... on a beach, I'm aquatic; in the bush, bush-like." He laughed. "I went through so many different things growing up [New Zealand born in April 1964, Sydney raised since age four]. I didn't live in a house 'til I was 14, so I'm very adaptable." And, he maintains, unfathomable: when asked how people go about understanding Russell Crowe, his reply is direct: "It's not possible." But it is possible to understand what drives him: "Playing extreme characters or characters that are hard to portray or things that challenge you personally … that's keeping your edge," he said. "Because you don't know what you're doing. If you do things that are too easy for you, that require no real thought process or whatever, or that the script or the story has no subtlety, I just get bored. I get really, really bored. The more variety the better." Which explains his eagerness to play John Nash in A Beautiful Mind. As his success grew, so did the clamouring of the media. Of recent times, Crowe has been bad-mouthed as a troublemaker, a brawling and difficult man. The rep has stuck, even grown in gory glory as lazy journalists repeat and enhance stories (from previously published inaccuracies) for the sake of a quick fix. Crowe says he has no beef with the media: he does have a beef with unprofessional journalists giving others a bad name by regurgitating fabricated stories about his life. "The media creates another life for this ... Russell Crowe ... thing ... person ... that doesn't really exist." His bad-boy image, he reckons, has been pumped up "by people who work for the papers. There isn't a director who wouldn't work with me again," he quipped in one of our interviews. But then he adds with a wicked snort, "... maybe a few producers ... they get the mouth". 
Now, the mouth can be used as a battering ram, and Crowe has demonstrated how. Certainly, he is more experienced, something he feels is a good thing. But the reason many consider him a problem child is because he refuses to play the fame game the way Hollywood or much of the media expect him to. "I've got people saying what is your image? Who gives a fuck? I just play the role," he said back in 1994. That gets up the collective noses of studio execs and some media people who expect him to behave a certain way. One thing stands out: he's not the superficial social creature that often comes with fame and stardom. 
Crowe is complex. Most people are, and especially anyone who lives by their creative talent. But in some ways, he is easier to cope with because he doesn't bullshit. In all our dealings, he has been straight and professional. 
His Australian agent describes him as the hardest working actor she knows. Now he is a wealthy one, yet so far he has only owned homes in NSW: currently a multi-million dollar harbourside property in Sydney's Elizabeth Bay and a Coffs Harbour farm on the state's north coast. Of course, there are thousands of Australians with waterfront mansions; it's just that not many of them also fly to Sydney from an Academy nominees function in Hollywood to be at the Rabbitohs' (South Sydney rugby league team's) comeback, if sadly underwhelming, match. But that's typical Crowe: he is "star" and "bloke" and "muso" and "boyfriend" and "footy fan" and Antipodean ambassador all at once. 
The first of two self-confessed major ambitions were fulfilled when he played an Australian character in a big-budget Hollywood movie, Proof of Life. His other main ambition is to bring a major movie to Australia with Australian cast and crew – and international money. "I'm working on it," he said at the Proof of Life premiere in March last year. 
Crowe is also working up to directing. He is credited only as producer of Texas, and claims no credit for directing it. He insisted on the end credits, noting that it was "Directed by Circumstance". It was good enough – rude and irreverent as it is – to not only be bought by Miramax but also to screen at this year's Berlin and Sundance film festivals. Despite his modesty, Crowe used it as practice. If he plays his cards right, when he does pick a project to direct, he'll get what he demands. Meanwhile, 30 Odd Foot of Grunts continues to be his fall-back option. As if he needed one. A measure of his fame and success (a clutch of awards and a zillion fan sites aside) was played out in March last year when stories of a plot to kidnap Crowe flashed around the world. This followed the release of Proof of Life, in which he plays a ransom negotiator. It was just a sick joke; I'd feel sorry for any bozos who'd actually kidnap Russell Crowe. 
Andrew L. Urban is the editor of www.urbancinefile.com.au, Australia's online movie magazine. 

 

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