[15]Allora i farisei, andati via, tennero consiglio
per farlo inciampare nella Parola. [16] Mandarono dunque a lui i
propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei
veritiero e insegni la via di Dio in verità e non ti curi di nessuno perché non
guardi in faccia agli uomini. [17] Dicci dunque il tuo parere: E' lecito
o no pagare il tributo a Cesare?". [18] Ma Gesù, conoscendo la loro
malvagità, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? [19] Mostratemi
la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. [20] Egli
domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". [21]
Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete
dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".
*Le
parole sottolineate sono parole-chiave per la meditatio
In principio era o
logos. Così comincia il Vangelo di Giovanni. Quello stesso logos,
che ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14), dovrebbe, secondo i
farisei, “inciampare in se stesso” (vedi la traduzione aderente al greco del
v.15). Com’è possibile? Ponendogli una di quelle questioni tipicamente
farisaiche: è lecito o no far questo e quest’altro? La via di Dio
(v.16), secondo loro, consiste nel definire chiaramente cosa si può fare e cosa
non si può fare. Ma la loro malvagità (v.18) va ben oltre, perché
il loro scopo non è la ricerca di Dio: è l’affermazione della propria autorità
(siamo sempre nello stesso contesto di 21,23) attraverso lo screditamento di
Gesù. Come può essere incastrato Gesù?
Due parole di chiarimento
storico. Le popolazioni soggette al dominio romano, esclusi vecchi e bambini,
dovevano pagare un tributo a Roma. Tra gli ebrei, gli zeloti ritenevano
questo un segno insopportabile di sottomissione e perciò si ribellavano (cf. Lc
23,2), mentre i farisei accettavano di pagarlo pur di esser lasciati
liberi sul piano religioso. Gli
erodiani, invece, erano “favorevoli ai romani e quindi oppositori degli zeloti”
(TOB , nota L). Qualsiasi fosse stata la risposta di Gesù, essa dunque si
sarebbe attirata dei nemici: o gli zeloti o i Romani e chi li fiancheggiava.
Gesù si fa dare una
moneta. In essa, c’era l’immagine di Tiberio e questa iscrizione: TIBERIUS
CAESAR DIVI AUGUSTI FILIUS AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS (Tiberio Cesare, augusto
figlio del divino Augusto, sommo sacerdote). L’iscrizione contiene due elementi
interessanti: l’essere Tiberio figlio di un essere divino e l’essere
egli stesso il più grande dei sacerdoti. Due attributi che forse avranno
fatto sorridere Gesù dentro di sè, ma non ci è dato saperlo….. Gesù considera
la moneta in quanto tale: appunto, una moneta. E in quanto tale, non trova
nulla di sconveniente a restituirla al legittimo proprietario sotto forma di
tassa. Non c’è implicazione teologica, a meno che non si consideri vera
quell’iscrizione. Ma un fariseo non si sarebbe mai sognato di considerarla
vera. Un fariseo sa bene che Tiberio Cesare non è Dio. Per cui Gesù rimanda i
Farisei alla propria fede: se per voi Dio è ancora Dio, è evidente che il
pagamento del tributo non è atto idolatrico; si può tranquillamente restituire
l’immagine di Cesare a Cesare e l’immagine di Dio (noi stessi? Il Gesù che è in
noi?) a Dio. Solo il vero Figlio di Dio e il vero Sommo Sacerdote poteva avere
l’autorità per chiarire che la via che porta a Dio non passa attraverso
le prescrizioni (lecito/non lecito) e neppure attraverso gli idoli (cf. Es
20,4). Nella misura in cui le realtà di questo mondo non divengono
idoli, non c’è nulla di male a viverle. Ma il piano di Dio è un altro. E’ la relazione
con Lui il criterio misuratore del nostro rapporto con il mondo.
La Parola non inciampa su se stessa. Vi inciampano gli uomini, quando il loro cuore non La riconosce.
Brani
di riferimento:
Ø
Per
il rapporto di Gesù col potere: Mt 4,10; Mt 17,24-27; Gv 19,11;
Ø
Per
il rapporto di Gesù con la Legge: Mt 12,1-8;
Ø
Per
il rapporto degli ebrei con le autorità temporali: Prv 8,15-16;
Ø
Per
il rapporto dei cristiani con le autorità temporali: Rm 3,1-7.