Libero

LECTIO DIVINA

"Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?"

Mt 21, 28-32

di don Carmelo Torcivia

 

"Ora che ve ne pare? un uomo aveva due figli; avvicinatosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non voglio; ma alla fine, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?". Dicono:"L'ultimo". E Gesù disse loro:"In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Perchè Giovanni venne a voi in una via di giustizia, e non gli avete creduto. Ora i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; ma voi, che avete veduto, non vi siete neanche alla fine pentiti, per credere in lui"

Il brano del vangelo che in questa domenica è offerto alla nostra riflessione è molto importante per capire il tipo di relazione che si instaura tra Dio e l'uomo. Dietro l'immagine dei due figli si celano due vere e proprie tipologie di uomini che si pongono davanti a Dio.

La prima tipologia è data da quegli uomini che immediatamente rispondono di sì all'invito rivolto dal Padre di andare a lavorare nella sua vigna, di vivere cioè la propria vita a servizio del Regno di Dio (la vigna nell'Antico Testamento era il simbolo del popolo di Israele e dell'amore che legava Dio al suo popolo, cfr. Is. 5,1-7 e Ct. 1, 6.14). In questi uomini, che enfaticamente ed entusiasticamente dicono la loro piena disponibilità (la traduzione fedele del testo greco è "io, signore"), si verifica un complesso processo che ora tenterò di descrivere.

Innanzitutto grazie a questa iniziale disponibilità si crea in loro una coscienza di se stessi che li assimila al ruolo di giusti. Essi ritengono che stanno veramente aderendo al progetto di Dio, perchè subito ed entusiasticamente hanno risposto di sì a Dio. Qui vi è sicuramente una polemica che Gesù instaura con i maggiorenti del popolo di Israele, che presumono di essere giusti. In un precedente brano Matteo ci narra che "mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli:"Perchè il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?". Gesù li udì e disse:"Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori"(Mt. 9, 10-13). La presunzione di essere giusti si mostra come un atteggiamento di chiusura nei confronti di Gesù e della salvezza che egli porta.

Poi essi esperimentano una delle più grosse contraddizioni esistenziali nella distanza tra il dire e il fare. Se da una parte dicono la loro piena e deferente disponibilità, dall'altra parte non vanno a lavorare alla vigna. Non ci viene detto se essi hanno piena coscienza di questa contraddizione e che motivazioni riescono a portare per questo loro comportamento. Non è la prima volta che Gesù stigmatizza questa sorta di atteggiamento esistenziale. Sempre lo stesso Matteo pone in bocca a Gesù queste parole: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità"(Mt. 7, 21-23). Sembra, in effetti, che ci sia la possibilità di riempirsi la bocca del nome di Dio, di parlare e di operare alcuni gesti anche importanti a nome suo, ma tutto questo ancora non basta, anzi è decisamente rigettato dal Signore. Quello che viene richiesto è un atteggiamento di attenzione alla "via della giustizia" ben rappresentata da Giovanni Battista.

Ma chi sono queste persone che sono riuscite ad entrare nella via della giustizia? E qui occorre tratteggiare la seconda tipologia.

Sono, infatti, i pubblicani (erano gli esattori delle tasse, che erano considerati pubblici peccatori in quanto rubavano in un certo senso autorizzati da Roma) e le prostitute coloro che ci precedono nel regno dei cieli. Non è un caso che Gesù abbia voluto scegliere le due categorie di quei tempi di peccatori per professione. Essi, infatti, sono gli unici che non possono considerarsi giusti e proprio per questo sono i più aperti al messaggio di salvezza di Dio che già Giovanni Battista aveva preannunciato (cfr. Lc. 3, 12; 7, 29-30).

Coloro che si fidano del loro sì iniziale e su questo costruiscono la loro coscienza di essere giusti di fatto si chiudono alla salvezza di Dio, si ritengono superiori agli altri, considerati peccatori, esperimentano la contraddizione tra il dire e il fare. Quelli, invece, che già partono da una coscienza chiara di peccatori sono aperti all'azione di Dio e anche se inizialmente dicono di no, tuttavia sono più capaci anche "alla fine" (v. 30) di pentirsi per credere, sono capaci, cioè, di accogliere la predicazione penitenziale di Giovanni Battista in vista della vera fede che è solamente legata alla persona di Cristo.

La ricaduta ecclesiale di questo brano è molto significativa. Se c'è un modo attraverso cui la Chiesa, in tutti i suoi singoli membri, si autocomprende è quello dell'essere peccatrice in continuo stato di conversione. Nel momento in cui i cristiani pensano di essere giusti essi si chiudono all'azione di Dio ed entrano in logiche perbenistiche e borghesi, dove l'ultimo e decisivo discrimen è il moralismo, che tutto incasella e giudica. L'unica possibilità che rimene ai cristiani per essere vicini a Dio è la continua e serena coscienza di essere peccatori, di non essere giusti, di non sapere fare sempre bene le cose, di non essere mostri di coerenza ed efficienza. Solo così si esperimenta Dio come Dio e non come una bella cornice di un quadro che abbiamo tutto dipinto noi.

"Dobbiamo tutti passare attraverso la porta del pentimento, presto o tardi, altrimenti non ci sarà posto per noi nel Regno, come per Pietro che si interstardiva a non voler essere lavato da Gesù. Gesù non può abbandonarci alla nostra sola generosità. Cerca di salvarci, di organizzare la nostra vita in modo che ci resti ben poco di cui vantarci, che tutto sembri per noi perduto fuorchè la sua misericordia. Noi resistiamo a lungo a questo stratagemma divino. Vorremmo salvare le apparenze, ma un giorno, quasi a nostra insaputa, nel momento in cui la nsotra generosità abituale ci avrà finalmente traditi, ci ritroveremo improvvisamente nel campo della misericordia, confusi con gli ultimi dei peccatori, con coloro che precederanno i giusti nel Regno. Solo allora noi sapremo veramente rendere grazie e piangere di gioia. Allora noi conosceremo l'amore di Dio" (André Louf).