LECTIO DIVINA

"Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!"

Gv 20, 19-29

di Maurizio Muraglia

 

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi".

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mano nel suo costato, non crederò".

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!".

Contesto

L’apparizione del Risorto alla Maddalena (Gv 20,11-18) è il preludio all’esperienza dei discepoli e di Tommaso. Maria è la prima evangelizzatrice: la sua si configura come vera e propria fides ex auditu, in quanto non scaturisce dalla pura e semplice visione (Maria infatti non riconosce Gesù) bensì dall’ascolto. Maria perviene alla fede soltanto quando il Signore la chiama (20,16). Il suo itinerario di fede, ormai pienamente compiuto nel suo morire ad una relazione con Gesù fondata su presupposti sentimentali ("Non mi trattenere...."), trova il suo esito nell’annuncio della Risurrezione ai discepoli. L’annuncio della Maddalena riconvoca i discepoli dispersi (ekklesìa) come fratelli figli di uno stesso Padre (20,17). L’annuncio della Risurrezione ("Ho visto il Signore") crea lo spazio per la comunicazione dello Spirito del Risorto.

19-23

Ma a che punto sono i discepoli? Sono stati toccati dalla fede di Maria (e dal "vide e credette" di Giovanni, in 20,8)? E’ avvenuta loro la "nuova creazione" che sembra promettere l’indicazione temporale di 20,19, che individua nell’ "uno" della settimana (cf. Gn. 1,5) il giorno dell’apparizione del Risorto? In realtà lo stato d’animo degli Undici è ancora quello del "timore", lo stesso timore che Gesù aveva promesso di scacciare in Gv 16,20. E’ la pace del Risorto (cf. Gv 14,17-28) a trasformare il timore dei discepoli in gioia. Quella pace interiore che è prerogativa dei Figli di Dio (20,17) e scaturisce dalla constatazione della continuità tra il Crocifisso e il Risorto ("mostrò le mani e il costato"). La pace e la gioia sono i segni del tempo escatologico. Sono i segni di un tempo realizzato nel ritorno di Gesù. Ma la pace e la gioia costituiscono anche frutti trinitari. Gesù annuncia ai discepoli il compito che essi devono assumere ("come il Padre ha mandato me io mando voi"), ma contestualmente alita su di loro lo Spirito che solo può abilitarli all’annuncio del Risorto. L’effusione dello Spirito (cf. Gn. 2,7; ma, per lo stesso verbo enfusào, anche Sap 15,11; Gv 1,1-5; Ez 37,3-5; 1Reg 17,21) si configura come Battesimo o Nuova Creazione e, in ultima analisi, come "l’acme finale delle relazioni personali tra Gesù e i suoi discepoli" (Dodd). Sarà la ricezione dello Spirito ad abilitare i discepoli al discernimento e alla neutralizzazione del peccato (cf. Gv. 3,17-21). I discepoli sono chiamati ad esercitare la "separazione luce/tenebre" che lo Spirito operò nel giorno "uno" della Creazione (Gn. 1,4).

In tal modo il percorso interiore dei discepoli si configura come transito dal timore alla pace, alla gioia, alla coscienza della missione sorretta dalla presenza dello Spirito "alitato" da Gesù.

24-25

I vv. 24-25 segnano la transizione all’itinerario di fede compiuto da Tommaso, indicato non come "uno degli Undici", ma come "uno dei Dodici" forse per sottolineare la sua condizione pre-pasquale. Tommaso infatti "non era con loro" nel momento in cui i discepoli fanno l’esperienza della fede-visione nello Spirito. I discepoli, come la Maddalena, annunciano il Risorto al compagno assente inaugurando il tempo della Chiesa ovvero il tempo dell’ "ascolto". Tommaso infatti è chiamato alla beatitudine della fede di coloro che "non vedono" (20,29b). Egli "non era con loro" e la sua "distanza" dai discepoli si misura tutta con l’esigenza, che egli esprime, di "toccare", di "infilare il dito", di compiere cioè una vera e propria operazione di analisi sensoriale del segno che gli viene annunciato. Egli, in altre parole, afferma risolutamente (ou mè, in greco indica assolutezza indiscutibile: "non crederò mai!") che neppure la sola vista, come già per i discepoli e la Maddalena, basterà ad indurlo alla fede. Egli appare nella posizione di coloro che invocano "segni e prodigi" per credere (Gv 4,48).

26-28

Ma l’annuncio dei discepoli, pur ispirato dallo Spirito, deve cedere il posto all’intervento diretto di Gesù che non solo concede la visione anche a Tommaso, ma si rende disponibile all’analisi sensoriale di cui Tommaso esprime l’esigenza. Quando l’annuncio della Chiesa non converte è Gesù stesso che assume l’iniziativa. In 20,26 Gesù converte e ri-crea Tommaso (ri-viene di domenica, "otto giorni dopo") dimostrandogli di dimorare nel suo cuore e di conoscere i suoi pensieri interiori (i "dialoghismòi" che in Lc 24,38 venivano invece attribuiti dal Risorto a tutti i discepoli). Come nell’episodio di Natanaele (Gv 1,47-50) Gesù crea i presupposti per la conversione di Tommaso mostrandoglisi come colui che lo conosce nell’intimo. E, come per Natanaele, il cambiamento di Tommaso appare tanto improvviso (Tommaso non pare aver "toccato" nulla) quanto commosso ("Il mio Signore e il mio Dio!"). Non solo, ma l’evangelista pone in bocca a Tommaso un’espressione che dimostra come il discepolo, ben al di là del mero prodigio, abbia colto la verità teologica del Risorto. L’espressione "Il mio Signore e il mio Dio!", infatti, appare come la suprema dichiarazione cristologica che dice di Gesù quanto non potrebbe dirsi di più profondo. E’ l’espressione con cui Israele si rivolge a Jahwé e la confessione di fede che si richiama all’Alleanza (Sal 35,23; ma cf. anche Gv 8,28; Gv1,1; Ap 4,11). Per questo si può dire che in Tommaso risuona la voce della comunità che ratifica la Nuova Alleanza con il Risorto. E’ la professione di fede che apre definitivamente il tempo dello Spirito ovvero il tempo del Vangelo e più ancora il tempo dell’Ascolto per la Vita Eterna (Gv 20,30-31).

29

La professione di fede di Tommaso apre lo scenario di Gv 20,29: "beati quelli che pur non avendo visto crederanno". Tommaso ha ricevuto anch’egli, sia pur nella visione e non ancora nell’ascolto, un "battesimo" dal Risorto in persona. Egli è l’ultimo che vede il Signore, ma non per questo la sua beatitudine dev’esser considerata inferiore a quella dei "non vedenti" di 20,29b. Noi infatti riceviamo da Tommaso - e dagli altri che hanno "visto" - l’annuncio della Risurrezione e con esso la pace, la gioia e la missionarietà che sono i frutti dello Spirito "insufflato" da Gesù. E saremo beati nella misura in cui saremo ascoltatori fedeli. Saremo amati da Dio in quanto proseliti.

Scrive Rabbì Simeon ben Lakish: "Il proselito è più caro a Dio di tutti gli Israeliti che erano nel Sinai. Perché, se quel popolo non fosse stato testimone del tuono, delle fiamme, del fulmine, della montagna scossa e degli squilli di tromba, non avrebbe accettato il precetto di Dio. Eppure, il proselito che non ha visto nessuna di queste cose, viene e si dà a Dio e accetta il precetto di Dio. C’è qualcuno che sia più caro di quest’uomo?".