Introduzione alla lectio di Gv 4, 19-24

9 novembre 2003 - XXXII domenica del tempo ordinario

 

19 Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il tempo in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma è giunto il tempo, ed è questo, in cui gli adoratori veritieri adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre tali cerca i suoi adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».

 

Quelle sottolineate sono parole chiave per la meditatio

 

 

I pochi versetti che leggiamo fanno parte di uno degli episodi più intensi del Vangelo di Giovanni, l’incontro fra Gesù e la Samaritana (Gv 4,1-42). Nel contesto complessivo del brano, i nostri versetti costituiscono una vera e propria svolta del dialogo che fino a questo momento ha viaggiato sui binari dell’incomprensione; il pregiudizio etnico – religioso che separa Giudei e Samaritani crea tra i due una sorta di schermo: all’acqua che la donna è venuta ad attingere, Gesù ha contrapposto un’acqua nuova e diversa, l’acqua viva che disseta per sempre; ma come spesso accade in Giovanni, la comprensione della donna è rimasta ad un livello letterale, senza giungere allo spessore profondo e della proposta di Gesù: l’acqua di cui egli ha parlato continua a rimanere ostinatamente per lei quella del pozzo di Giacobbe. Solo quando Gesù legge la storia personale della donna, rivelandole che ella convive con il suo sesto uomo, la Samaritana abbandona finalmente l’atteggiamento ironico e sprezzante che finora l’ha opposta a Gesù: quell’uomo seduto dinanzi a lei non è uno Israelita come gli come gli altri che si sente superiore, ma un profeta capace di penetrare nelle pieghe più inconfessabili dell’animo; le sue parole colpiscono poiché non riproducono l disprezzo consueto, ma al contrario riducono le distanze, cercando un comune terreno di dialogo e puntando al nucleo più intimo della persona.

Gesù ha colto nel segno, ed è a questo punto che la Samaritana cambia decisamente registro, facendosi seria; la questione che ella introduce, apparentemente marginale, in realtà costituisce il fulcro della separazione e della rivalità tra i Giudei ed i Samaritani; questi ultimi infatti si erano divisi dagli israeliti per motivi religiosi ed avevano perciò un culto loro proprio (cfr. Dt 27,4), e perciò erano disprezzati dagli Israeliti. Ciò che si legge dietro la questione della donna è la cancrena della separazione, della diffidenza culturale, del contrasto politico - religioso: il culto di Dio è divenuto tra Giudei e Samaritani pietra di scandalo, simbolo di separazione. L’esistenza di luoghi di culto alternativi tra loro, il tempio di Gerusalemme e quello del monte Garizim in Samaria, suonano come una sorta di scisma, nel quale l’amore del Padre, la sua volontà di salvezza universale vengono negati dalle dinamiche della storia umana. Le parole della donna, mentre scoprono la ferita della separazione, sembrano tuttavia ribadirla ulteriormente: da quel profeta che conosce la sua storia ella attende forse un pronunciamento politico - religioso sulla superiorità dell’uno o dell’altro culto.

A tutto questo Gesù risponde ancora una volta in modo spiazzante: all’alternativa che riproduce senza fine il movimento perverso della separatezza, egli contrappone una via nuova e inattesa: l’adorazione del Padre in Spirito e Verità. Il culto a Dio non è più legato indissolubilmente ad un luogo concreto o a uno spazio fisico, ma ad uno “spazio” nuovo, umano e divino al contempo, che si identifica con Gesù stesso; ciò non vuol dire fare i conti con una realtà forte: Gerusalemme mantiene un suo primato, in quanto qui Gesù vivrà concretamente la propria passione; quella però che dalla città santa si irradia al mondo è una salvezza che non riguarda “la nazione soltanto”, e cioè gli Ebrei, ma “tutti i figli di Dio” (cfr. Gv 11,52).

Le parole di Gesù sono, come spesso in Giovanni, di quelle cariche di senso profondo e multiforme. Parlando di un momento (w{ra) che si fa presente (nu'n) non più rimandato (cfr. Gv 1,14.17), Gesù presenta innanzitutto alla Samaritana una novità straordinaria ed inaspettata: nel nome di quell’uomo che ella ha davanti, e che tra poco si presenterà a lei come il Messia (vv. 25 – 26), il tempo della storia, che pure ella ha sempre vissuto come il teatro della divisione e della marginalità, si presenta adesso come speranza e seme di unità: significativamente infatti il “Dio” della Samaritana (v. 19) è divenuto nelle parole di Gesù il “Padre” che, sostituendo i padri alla cui autorità essa si era richiamata, unifica sotto uno stesso culto tutti coloro che fanno parte della famiglia umana. Vi è però una condizione, che coloro che a questo Padre si rivolgono, siano adoratori veritieri (alethinoi), credenti dunque chiamati a “fare la verità” (aletheia) e a riconoscere la rivelazione e l’azione di Dio nel mondo (cfr. Gv 3,21).

L’unità dei credenti, il superamento di ogni dinamica di odio passa dunque dal rinnovamento dell’atteggiamento verso Dio e del rapporto con Lui: ciò che Gesù propone non è un culto unico nella forma, ma un culto che, al di là di quella che può essere la sua apparenza esterna e formale, si rivolga al Padre in Spirito e Verità: lo Spirito sarà ben presto donato ai credenti e li guiderà alla Verità intera (cfr. Gv 16,13); la Verità d’altra parte non è, come siamo abituati a pensarla, un concetto intellettuale, ma ancora una volta un evento che entra con forza nella storia dell’uomo: essa coincide con Gesù stesso (cfr. Gv 14,6) che può dunque testimoniarla e comunicarla agli uomini (cfr. Gv 8,40.45; 16,7; 18,37): quello che Dio chiede alla comunità cristiana è un culto fortemente trinitario, dove il Padre è il punto di arrivo di una lode perenne innalzata da Cristo nello Spirito.