Introduzione alla Lectio Divina di Gv 15,26-27; 16,12-15 –
Domenica 08.06.2003
Pentecoste
[12] Molte
cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarle.
[13] Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità
tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà
udito e vi riannunzierà le cose che vengono. [14] Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve
lo riannunzierà. [15] Tutto quello che il Padre possiede è mio; per
questo ho detto che prenderà del mio e ve lo riannunzierà. |
*
quelle sottolineate sono espressioni chiave per la meditatio.
Il
lungo percorso compiuto dallo spirito di Dio sembra giunto a destinazione. La
comunità giovannea avverte la presenza viva e operante di colui che un tempo
“aleggiava sulle acque” (Gn 1,1-2), ma che adesso permea di sé i cuori di carne
(Ez 36, 25-27) che si radunano attorno a Gesù di Nazareth. Dalla massima
lontananza del Genesi lo spirito di Dio perviene alla massima vicinanza
possibile, alla inabitazione nell’intimo di ogni uomo. Per questo egli è il Paraclito,
letteralmente “colui che è chiamato vicino”.
Questi
versetti segnalano due diverse modalità di azione del Paraclito. Una modalità
rivolta al mondo (15,26-27) ed una modalità rivolta alla comunità (16,12-15).
Si può fin d’ora anticipare che la prima delle modalità appare fondata dalla
seconda. I primi due versetti hanno un forte sapore trinitario. La comunità dei
credenti appare inserita in un progetto d’amore permeato dalla presenza,
ciascuna con un suo statuto, delle tre persone. La testimonianza del credente,
il poter dir qualcosa di Gesù di Nazareth, qualcosa di attendibile, è resa
possibile da un’altra testimonianza interna al credente stesso, che gli
consente di non parlare da se stesso. Tale testimonianza su Gesù di Nazareth è
autorevole. Gesù la chiama Spirito di verità. Chi è questo Spirito di
verità che abita dentro il credente? Come si fa esperienza della sua presenza?
In che cosa consiste il suo agire nella comunità?
Sono
le domande cui rispondono i versetti successivi.
E’ importante far precedere l’analisi dei vv. 12-15 del c.16 da una rilettura di Gv 14, 16-17.26. In questi versetti, del Paraclito si indicano alcuni caratteri importanti. La sua azione è scandita da tre momenti: la comunione (“rimanga con voi”; “dimora presso di voi e sarà in voi”), l’insegnamento (“v’insegnerà ogni cosa”) e la memoria (“vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”). Queste tre azioni dello Spirito costituiscono lo sfondo concettuale indispensabile per comprendere i versetti che stiamo esaminando. Esse infatti connotano la modalità di presenza dello Spirito nella comunità cristiana. La comunità cristiana adesso riconosce questa presenza e la riconosce come benefica perché ha conferito a se stessa una capacità di discernimento particolarissima, di cui tra breve si dirà più diffusamente.
Il v.12 va compreso a
partire dalla consapevolezza della comunità giovannea di esser pervenuta,
grazie allo Spirito, ad una capacità, che è quella descritta nel v.13.
Se il v.13 segnala una capacità, il v.12 fa memoria di una incapacità di
portare qualcosa, di portare anzi “molte cose”. Non tutte le parole del Gesù
storico possono risultare efficaci. Deve avvenire qualcosa di molto importante
perché dalla condizione del v.12 si passi a quella del v.13. E’ importante
chiarire che questa incapacità dei discepoli, già vista anche in Gv 2,22;
12,16; 13,7, non è una colpa, bensì una necessita teologica. Devono
avvenire delle cose prima che questa incapacità si trasformi in capacità. E
mentre costruisce il suo Evangelo la comunità giovannea sa bene che queste cose
sono già avvenute e hanno prodotto qualcosa di molto significativo. D’altra
parte in Gv 16,7 è detto chiaramente: “ora io vi dico la verità: vi conviene
che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; ma
quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. I discepoli acquisiranno la
capacità dopo che Gesù si sarà reso assente. Dopo la sua morte e la sua
risurrezione.
A questo punto il testo perviene al suo acme
teologico. In cosa consiste la nuova capacità della comunità cristiana? E quali
sono le “molte cose” che la comunità sarebbe in grado di comprendere? A queste
domande risponde il v.13.
La
nuova capacità è donata dallo Spirito. Come? Come agisce lo Spirito nei
discepoli? Cosa vuol dire “guidare alla verità tutta intera”? E cosa si
intende, qui, per “verità”? La fedeltà al testo ci obbliga a fondare l’azione
magisteriale dello Spirito su due azioni che la precedono: un’azione di ascolto
(“ciò che avrà udito”) e una seconda
azione che viene indicata col termine greco ananghéllein. Cosa vuol dire ananghéllein e perché
lo abbiamo tradotto con “ri-annunzierà”? Alcuni brani, quali Gv 4,25-26; 1Gv
1,5; Dn 2,2.4.7; 5,12-15 sembrano metterci sulla strada di una interpretazione
del termine nel senso di “far conoscere l’interpretazione, svelare”. Si tratta
di un’azione che interviene su qualcosa che di per sé non avrebbe un
significato evidente affinché se ne possa cogliere il senso profondo. E’ ciò
che viene chiamato ermeneutica. E’ interessante fin d’ora mettere in evidenza
che questo “qualcosa” sottoposto all’azione interpretante dello Spirito, nel
testo, è indicato con ta erchòmena, letteralmente non tanto le cose
“future”, ma “le cose che av-vengono”, o meglio ancora, “le cose che vanno
avvenendo”, con significativo spostamento verso un’escatologia anticipata che è
molto cara al vangelo di Giovanni.
Ma
torniamo al nostro ananghéllein. Esso è composto dal preverbo anà,
che indica ripetizione (“di nuovo”) e dal verbo anghéllein che significa
“annunziare” (da cui poi evanghelion, Evangelo, Buona Notizia). Nel
nostro caso lo Spirito sarebbe un ripetitore delle cose dette da Gesù. Un
ripetitore più efficace, che ridirebbe “meglio” le molte cose non dette da Gesù
(v.12). Possibile che Gesù non dicesse tutto quel che aveva da dire? O non è
più sensato pensare che il Gesù storico non volesse spingersi a compiere
quell’azione di ananghéllein che doveva toccare al suo continuatore
storico, appunto lo Spirito? In effetti lo Spirito appare bifronte: da un lato
attinge a qualcosa di già detto; dall’altro lavora su dati nuovi, che sono gli
eventi che via via attraversano la vita delle comunità cristiane, appunto ta
erchomena. Rispetto a questi eventi, sempre nuovi, lo Spirito dona alle
comunità la capacità di discernere come la Parola di Gesù vada interpretata. La
verità di cui qui si parla, dunque, non è statica, libresca, ma viva, dinamica,
soggetta sempre a nuove letture, nuove interpretazioni, certamente non affidata
soltanto a quanto detto da Gesù, ma anche agli accadimenti storici che
reinterpretano ed accrescono continuamente quelle parole.
Rivedere
Gesù nella storia, ecco l’azione dell’ananghéllein. Riannunziarlo,
ridirlo, rinarrare le cose che vanno avvenendo leggendole come le leggerebbe
Gesù. Con un’azione di tipo “lievitante”, che mentre ripete fa crescere,
aumenta di significato. Questo è il magistero dello Spirito. Interpretare,
dunque, la storia presente (ta erchomena) con la Parola. Aumentare la
capacità interpretativa della Parola rispetto alla storia. Lo Spirito dona la
capacità di rivedere Gesù nella storia e di ascoltarlo nelle Scritture. Non per
niente l’azione dell’ananghéllein compare in un episodio come quello di
Filippo e l’eunuco etiope in At 8,26-40. All’eunuco che chiede di essere
istruito su un passo delle Scritture, lo Spirito che muove Filippo comincia a
parlare e “gli annunzia la buona novella”. La stessa azione, in sostanza,
compiuta da Gesù in Lc 24 (lo stesso autore degli Atti) con i discepoli di
Emmaus. Riannunziare, svelare, proclamare hanno a che fare con lo spiegare le
Scritture e con lo spiegare la storia alla luce delle Scritture. Mentre gli
spiegava le Scritture, lo Spirito spiegava all’eunuco la sua stessa vita. Non
per niente alla lectio divina dell’eunuco segue una decisione e
un’azione: quella del Battesimo. Nel testo lucano l’azione di Gesù con le
Scritture era significativamente espressa col verbo diermeneusen,
“spiegò il senso”, nel quale si riconosce con facilità l’ermeneutica che sta
alla base dell’azione dello Spirito. E anche in quel brano, all’ermeneutica –
cui seguiva lo spezzare del pane – seguiva un’azione: partirono senza indugio
(Lc 24,33).
Se
è chiaro cosa vuol dire ascoltare e riannunziare, è chiaro cosa si intende per
guidare alla verità tutta intera. Significa guidare all’interpretazione
attualizzante delle Scritture. Lo Spirito dona alla comunità cristiana la
capacità di leggere la propria storia (ta erchomena) alla luce delle
Scritture e di leggere le Scritture alla luce della propria storia. La lettura
sinergica della storia e delle Scritture costituisce la verità tutta intera. Il
credente accede, ad opera dello Spirito, alla verità tutta intera non in senso
teorico, ma in senso esistenziale: si tratta qui non della verità che si sa,
ma della verità che si fa (Gv 3,21). Che si fa nel cuore e nella storia
personale e comunitaria. La verità sarebbe parziale se avesse a che fare
soltanto con una lettura intellettualistica o spiritualistica delle Scritture.
Entrambi gli approcci scarterebbero la storia, l’incarnazione della Parola stessa.
Uno Spirito intellettualista scarterebbe la storia idolatrando il testo stesso
impantanandosi in un’esegesi sterile; uno Spirito spiritualista scarterebbe
ugualmente la storia sottovalutando il testo e pretendendo di interpretare la
storia stessa alla luce di una presunta “ispirazione”. Non potrà guidare alla
verità tutta intera se non rileggendo le Scritture e lavorando con la storia.
Lo Spirito dona capacità interpretativa
perché è legato a Gesù. Egli dimentica se stesso e diviene pura memoria. Egli
si annichilisce in Gesù come Gesù nel Padre. E’ il senso dei vv.14-15. La relativizzazione
di se stessa è il grande ammaestramento per la comunità in ascolto. Gesù
stesso è glorificato da questo annichilirsi dello Spirito in lui. Ma è
glorificato anche dall’opera di interpretazione che lo Spirito compie nella
comunità, quel “guidare la comunità in futuro, renderle chiaro ciò che
avviene” (Schnakenburg) che costituisce il coronamento e la prosecuzione
della presenza di Gesù nel mondo. Gesù è glorificato, dunque, nella misura in
cui è compreso dallo Spirito e dal credente docile all’azione interpretativa
dello Spirito. Ed è compreso come uno col Padre.
E’ evidente che lo
Spirito e Gesù non sono interscambiabili. Sono, appunto, Persone. Costruendo
così l’Evangelo, tuttavia, la comunità giovannea sente la necessità di non
considerare lo Spirito al di fuori della dimensione memoriale. La comunità
giovannea, ancorando concretamente l’azione ermeneutica dello Spirito alle
parole di Gesù, mostra di diffidare di ogni forma di esperienza estatica e di
invasamento dello Spirito. Lo Spirito insegna in quanto attinge, fa memoria e
interpreta. Il credente è inabitato efficacemente dallo Spirito quando il suo
riferimento rimane la Parola di Gesù, incarnata nelle Scritture. Quando, cioè,
consente allo Spirito di compiere la sua azione più alta, che è quella di
rileggere le storie degli uomini con gli occhiali delle Scritture. Intelligenza
del testo e invocazione dello Spirito, studio e preghiera restano, anche alla
luce di questo brano, le due polarità insostituibili per un approccio maturo
all’esperienza cristiana.
(M.
Muraglia)
Brani
di riferimento: