Lectio divina di Mt
28,16-20
Ascensione
del Signore
[16] Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea
sul monte che Gesù aveva loro designato. [17] E, vedutolo,
l'adorarono; alcuni però dubitarono. [18] E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: “Mi è stato
dato ogni potere in cielo e sulla terra. [19] Andate
dunque e di tutte le nazioni andate a fare dei discepoli
battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
[20] insegnando loro a conservare tutte quante le cose
che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti
i giorni, sino alla fine dei tempi”. |
Le
parole sottolineate sono parole-chiave per la meditazione
Domenica
ricorrerà la festa dell’Ascensione. Tuttavia, di ‘ascensione’ vera e propria
parlerà piuttosto Luca nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli
(1,1-11). I cinque versetti di Matteo presentano invece un Gesù che si
avvicina, parlando accanto ai discepoli, convocati su un monte, luogo caro a
Matteo e in generale all’intera tradizione biblica, quale luogo dei tempi
‘forti’ della manifestazione di Dio agli uomini.
Nel
brano scorrono alcune note contrastanti: i discepoli sono undici. L’assenza di
Giuda è memoria puntuale della mutevolezza dell'animo umano e soprattutto della
impossibilità all'interno della stessa chiesa (persino fra gli uomini scelti
"direttamente" da Gesù!) di ogni garanzia di santità e di pretesa di
perfezione. Eppure il Signore li chiama ancora, per investirli della missione
più delicata.
E
ancora, il contrasto forse più lacerante: i discepoli vedono, adorano,
dubitano. Lo adorano nel dubbio…Grano e zizzania, pesci buoni e cattivi:
c’è sempre spazio per tutti nella vigna. Ancor di più adesso, dopo la
Resurrezione, con la quale i confini si allargano e il terreno di gioco
abbraccia l’ecumene. Infatti, se prima i discepoli erano stati mandati dal
maestro a incontrare i soli Israeliti , adesso sono lanciati in mezzo a ‘tutte
le genti’ (panta ta ethne è un
tecnicismo che indica le nazioni ‘pagane’). Il tono dell’investitura è solenne,
il comando ha quasi la scansione ritmica dell’inno (si veda la ripetizione
quadruplice di pas, ‘tutto’ e la formula trinitaria, inusuale in
Matteo).
La
comunità giudaica di Matteo sente il dilatarsi del ritorno di Gesù e rafforza
parallelamente la percezione del proprio mandato missionario. Per Matteo,
infatti, la parusìa non è imminente, come era invece per Marco. In
questo senso, il suo evangelo si pone come completamento e riscrittura
teologica di quello di Marco e questi versetti posti in conclusione fungono da
sintesi dottrinale illuminando l’intera narrazione precedente: “tutto si
capisce veramente solo a partire dalla fine” (Mello 1995, p. 491).
Il
Cristo che non si rivela apre lo spazio all’azione creativa degli uomini.
Ancora disorientati dalla tragedia nazionale della distruzione del tempio di
Gerusalemme del 70, e mentre perdura il silenzio di Dio, i discepoli si sentono
chiamati a “fare discepole tutte le genti”, con il Battesimo e con la didaché,
l’evangelizzazione apostolica.
La
pazienza di Dio incontra l’impazienza degli uomini e l’alleanza si rinnova,
anche nel linguaggio: Gesù è infatti presentato come il Figlio dell’Uomo del
profeta Daniele (Dn 7, 14), giudice detentore di “ogni autorità in cielo e in
terra”, ma è al contempo il Dio vicino e presente, che lo stesso Matteo aveva
presentato all’inizio del suo evangelo (sarà chiamato Emanuele,
‘Dio-con-noi’ 1, 23). Fin dalla morte-resurrezione, evento unico e inscindibile
in Matteo, Gesù appare come sarà alla fine dei tempi. L’attesa di Lui è già
esperienza della sua presenza e non memoria nostalgica di un’assenza. Quel Gesù
che aveva garantito la propria presenza “dove due o tre sono riuniti nel mio nome”
(Mt 18, 20) si fa ora compagno di strada nella missione più impegnativa. Se il
tempio è stato distrutto, egli si mantiene luogo della Shekhinà, della
presenza fedele e discreta di Dio.
La
consegna che ci lascia è quella di ‘insegnare’ a custodire tutto l’amore che ha
comandato, con lo stile sobrio e scevro di proselitismi fuori luogo che aveva
contraddistinto il suo stesso operare. Nella serena coscienza che il cristiano è
un missionario nella misura indicata da don Tonino Bello: “un mendicante che va
a dire a un altro mendicante dove ha trovato qualcosa da mangiare”.
Brani di
riferimento
§
Sui dubbi dei discepoli negli altri
vangeli: Lc 24,37s. 41; Gv 20, 25; 21,4; Mc 16,11.13 s.
§
Sul discepolato in Matteo: 10,
24-25; 10, 37-38; 16, 24-26; 19, 27-28; 23, 8