Introduzione alla Lectio
Divina di Luca 9, 28-36
7 marzo 2004 - II domenica del tempo di Quaresima
[28] Circa otto giorni dopo
questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul
monte a pregare. [29] E, mentre pregava, l’aspetto del suo volto divenne
un altro e il suo abito bianco, sfolgorante. [30] Ed ecco due uomini
parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, [31] apparsi nella loro gloria,
e parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme. [32]
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono
svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. [33]
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è
bello per noi essere qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè
e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. [34] Mentre parlava
così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube ebbero
paura. [35] E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il figlio
mio, l’eletto; ascoltatelo”. [36] Appena la voce cessò, Gesù restò solo.
Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano
visto. |
*quelli sottolineati
sono termini chiave per la meditatio.
Il brano della
Trasfigurazione è presente in tutti i vangeli sinottici e la peculiarità di
ognuna delle tre versioni ci permette di apprezzare il senso teologico che
ciascun evangelista conferisce ad un evento storico comunque percepito come
essenziale all’esperienza di fede delle prime comunità cristiane.
La versione lucana, in
particolare, si presenta come il punto di arrivo di una serie di passaggi relativi
all’identità di Gesù, strettamente connessi all’imminente orizzonte pasquale
(che la liturgia coglie bene inserendo il testo nella riflessione quaresimale)
e, quindi, al cammino che lo stesso Gesù si avviava a compiere verso
Gerusalemme.
Già diversi spunti,
disseminati nello stesso capitolo 9 puntavano in questa direzione: alla domanda
“chi dicono le folle che io sia?” c’era stata la solenne professione di
fede di Pietro, nella quale Gesù veniva riconosciuto dal proprio discepolo come
“il Cristo di Dio” (v. 20), ma tale titolo regale era stato subito collegato
dallo stesso Gesù al proprio percorso verso la passione e la resurrezione. Un
percorso cui venivano inequivocabilmente chiamati tutti i discepoli (“Se
qualcuno vuol venire dietro me, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua”,
v.23). Ed è tuttavia nel nostro brano che l’evangelista sembra volere raccogliere
tutti questi fili (identità di Gesù, responsabilità della chiamata, prospettive
di gloria) ed intrecciarli verso l’annuncio di una buona novella.
Gesù si avvia, infatti,
con tre dei propri discepoli su un monte. Di esso non ci viene indicato il
nome; per l’evangelista non è importante indicare un luogo preciso (del resto
era già nella tradizione dell’Antico Testamento, che il monte fosse il luogo
privilegiato dell’incontro con Dio, basti pensare a Es. 24,15-18, in cui Mosè
sale sul monte Sinai incontrando Dio che per sei giorni dimora sotto forma di
nube), quanto piuttosto sottolineare che Gesù sale per pregare. Proprio durante
la preghiera, nel dialogo intimo e intenso tra il Figlio ed il Padre, il suo
aspetto muta.
Il volto, immagine e
rivelazione della persona nella sua globalità, diventa “altro” da quello
consueto, le vesti risplendono di un candore folgorante. È questo il Gesù della
gloria, che manifesta nel suo aspetto visibile il destino che lo attende, la percettibile
e luminosa espressione della comunione tra natura umana e natura divina che Dio
gli riserva. Il richiamo al “volto” (Luca non usa il termine metamorfosi
impiegato dagli altri evangelisti) fa subito pensare alla Genesi (“Dio creò
l’uomo a sua immagine”, Gn 1,27). Nel suo aspetto, Gesù mostra la gloria che
ci attende, il momento della nuova creazione, è l’anticipazione dell’incontro tra
l’immagine di Dio e Dio stesso.
E’ proprio a questo punto
che emerge l’originalità ed il tratto caratterizzante dell’evangelista. La rivelazione
della natura gloriosa del Cristo e l’anticipazione del destino che attende ogni
uomo viene inteso come un momento di gioia che si colloca nella storia e non
può assolutamente essere separato dal quel cammino verso la croce che Gesù sta
per affrontare. Non è un caso che Luca, unico fra gli evangelisti, si soffermi
a riferire il contenuto della conversazione che Gesù intrattiene con Mosè ed
Elia: “parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme”. La
pienezza (suggerita dal verbo utilizzato in greco per “compiere”) è ancora in
fieri e si realizzerà solo se Gesù affronterà quell’ ”esodo” imminente che
coniuga l’idea di “cammino” e quella di “allontanamento dalla vita”.
In altre parole, l’anticipazione
della gloria del Cristo trasfigurato assume il suo senso più pieno nella
prospettiva della passione e della croce, così come il volto sofferente di
Cristo sul Getsémani (altro monte, altro momento di preghiera, in cui stavolta più
dolorosamente nessun compagno riuscirà a restar sveglio; v. Lc 22,44-46) si
spiegherà pienamente alla luce del volto glorioso della Resurrezione.
Di fronte a questo evento
straordinario la reazione di Pietro e dei discepoli appare profondamente nostra.
Pietro, Giacomo e
Giovanni sono saliti sul monte, hanno avuto il privilegio di condividere con
Gesù una intimità ancora più profonda di quella vissuta dagli altri discepoli:
dopo avere seguito quell’uomo di cui hanno avvertito la forza umana, hanno ora gustato
la sua gloria divina; la proposta di “fare le tende” è allora l’espressione del
desiderio di Pietro di prolungare questo stato di grazia e di benessere, di
sospendere il tempo e la storia per continuare a gioire della felicità preannunciata
dal maestro; eppure Luca fa intuire tra le righe il rischio di chi è più vicino
a gustare il miele della contemplazione, il rischio di non comprendere appieno
il senso storico di quello che accade intorno a lui. Le parole di Pietro sono
come prive di senso “egli non sapeva quel che diceva”; Pietro, in
effetti, ha dimenticato le parole pronunciate da Gesù pochi giorni prima, sulla
necessità di compiere un percorso che solo attraverso il passaggio della morte
avrebbe potuto condurre alla Resurrezione. La realizzazione piena della gloria
impone di scendere dal monte e di avviarsi a Gerusalemme.
La voce del Padre giunge
allora a spiegare ai discepoli il mistero cui essi hanno fino a quel momento assistito.
Essa è il più alto compimento, prima della Croce e della Resurrezione, del
percorso di definizione dell’identità di Gesù. Il Figlio, secondo Luca, è stato
amato, perché chiamato alla gloria dal Padre, “Questi è il figlio mio
l’eletto; ascoltatelo”.
Un solo invito è rivolto ai
discepoli: la sequela dovrà farsi ascolto vigile, custodia e comunicazione
della parola udita dal maestro. Come scrive A. Louf “Egli ci dà il suo Figlio,
noi porgiamo l’orecchio e lo ascoltiamo senza fine”. È ri-ascoltando ogni volta
questa parola con le “orecchie del cuore”, e continuando a proclamarla e
meditarla che siamo invitati ad entrare nel mistero di Gesù, nell’attesa di
vederlo un giorno “così come Egli è, faccia a faccia”.
Brani
per la meditatio
-
È consigliabile anzitutto la lettura dell’intero
capitolo in cui il brano è inserito.
-
Interessante è 2Pt. 1,17 e segg. nella quale lo
stesso Pietro, rievocando la trasfigurazione, ne dà una lettura come di un
primo compimento delle profezie dell’A.T.
-
utile anche la lettura del brano del Battesimo di
Gesù a 3,21-22.