Introduzione alla Lectio divina Gv 9, 1-41

6 marzo 2005 - IV domenica di quaresima

 

1 E passando vide un uomo cieco dalla nascita. 2 E i suoi discepoli lo interrogarono dicendo: “Rabbì, chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?”. 3 Gesù rispose: “ Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Finché è giorno bisogna che noi operiamo le opere di Colui che mi ha inviato; viene la notte in cui nessuno può operare. 5 Fintanto che sono nel mondo, sono la luce del mondo”.

6 Detto questo, sputò per terra e con la sua saliva fece del fango, spalmò con questo fango gli occhi 7 e gli disse: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe (che significa: “Inviato”). Allora egli se ne andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8 Ora, i vicini e quelli che l’avevano veduto prima, da mendicante, dicevano: “Costui non è quello che stava seduto a mendicare?”. 9 Alcuni dicevano: “E’ proprio lui”. Altri dicevano: “Ma no! E’ un altro che gli assomiglia”. Lui però diceva: “Sono proprio io”. 10 Gli dicevano dunque: “Come dunque ti si sono aperti gli occhi?”. 11 Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù, ha fatto del fango e me [ne] ha spalmato gli occhi e mi ha detto: "Va’ a Siloe e lavati". Andatovi dunque e lavatomi, ho cominciato a vederci”. 12 Gli dissero: “Dov’è quell’uomo?”. Dice: “Non lo so”.

13 Conducono allora dai farisei l’ex-cieco. 14 Ora, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi era sabato. 15 Allora i farisei gli domandavano come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. 16 Dicevano allora alcuni farisei: “Non viene da Dio quest’uomo, perché non osserva il sabato”. Altri dicevano: “Come può un peccatore fare tali segni?”. E c’era divisione tra loro. 17 Dicono perciò di nuovo al cieco: “ E tu che dici di lui, per il fatto che ti ha aperto gli occhi?”. Ed egli rispose: “E’ un profeta”.

18 I giudei però non credettero, a suo riguardo, che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, prima di aver mandato a chiamare i suoi genitori. 19 E li interrogarono dicendo: “E’ costui il vostro figlio, di cui voi dite che è nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20 I suoi genitori allora risposero e dissero: “Sappiamo che costui è nostro figlio e che è nato cieco. 21 Ma come mai ora ci veda, non lo sappiamo, e neppure sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Interrogate lui, ha la sua età: lui stesso parlerà di sé”. 22 Questo i suoi genitori lo dissero perché avevano paura dei giudei; i giudei infatti si erano già accordati che se qualcuno confessava che [Gesù] era il Cristo, venisse escluso dalla Sinagoga. 23 E’ questa la regione per cui i suoi genitori avevano detto: “Ha la sua età; interrogate lui”.

24 Chiamarono allora una seconda volta colui che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. 25 E quello allora rispose: “Se sia un peccatore, non lo so; io non so che una cosa: ero cieco e ora ci vedo”. 26 Gli dissero allora: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. 27 Rispose loro: “Ve l’ho già detto, ma voi non mi avete dato ascolto; cosa volete sentire ancora? Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?”. 28 Allora lo insultarono e gli dissero: “Tu sei un discepolo di quello là, noi siamo discepoli di Mosè. 29 Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parlato; ma quello, non sappiamo di dove sia”. 30 L’uomo rispose e disse loro: “E’ proprio questo che sorprende che voi non sappiate di dove sia; eppure mi ha  aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori; ma se uno è pio e fa la sua volontà, questo lo ascolta. 32 Da che è mondo e mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. 33 Se quell’uomo non fosse da Dio, non avrebbe potuto fare nulla”. 34 Gli risposero e gli dissero: “Tu sei nato immerso nei peccati e tu vuoi farci da maestro?”. E lo cacciarono fuori.

35 Gesù venne a sapere che l’avevano cacciato fuori e, trovatolo, gli disse: “Credi tu nel Figlio dell’uomo?”. 36 Quegli rispose e disse: “ E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. 37 Gesù gli disse: “ Già lo hai veduto; colui che parla con te è lui”. 38Ed egli disse: “Credo, Signore” e si prostrò dinanzi a lui. 39 E Gesù disse: “Per una discriminazione io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che ci vedano diventino ciechi”. 40 Alcuni farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Saremmo forse ciechi anche noi?”. 41 Gesù disse loro: “Se voi foste ciechi, non avreste peccato. Ora invece, perché dite: "Ci vediamo", il vostro peccato rimane”.

Quelle sottolineate sono le parole chiave per la meditatio.

 

Dopo il segno dell’acqua viva che disseta, svelato da Gesù alla samaritana, segue il segno della luce che rischiara le tenebre in questa quarta domenica del tempo quaresimale.

A memoria della luce con Dio aveva illuminato il popolo in cammino nel deserto, gli ebrei celebravano in quei giorni la festa di Sukkot, giorno di gioia, di danze con fiaccole in mano e inni di lode al Signore ‘vero sole e vera luce’ (E.Bianchi).

 Gesù esce dal tempio e incontra un cieco nato; “la luce vera” (Gv 1,9) viene nel mondo a rischiarare l’uomo nella tenebra, lo avvicina nella sua solitudine e nella sua cecità. “La luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno compresa” (Gv 1,5).

La struttura del brano può essere suddivisa in tre parti: i vv. 1-7 in cui viene brevemente narrato il segno della guarigione del cieco, la parte centrale (vv. 8-34) in cui sono presentate le discussioni e gli interrogatori che dividono coloro che hanno assistito all’evento e che contrappongono i giudei al cieco nato e ai suoi genitori, i vv. 35-41 che rappresentano l’epilogo della vicenda con il dialogo tra Gesù e il cieco e il monito rivolto ai farisei.

Nella prima parte è presente un’autorivelazione di Gesù sulle ragioni della sua missione: “Io sono la luce del mondo” (v. 5), frase che aveva già suscitato l’incredulità e l’ostilità dei giudei (Gv 8,13-59). Testimonianza di questa affermazione sarà proprio la guarigione del cieco. 

Come spesso i vangeli raccontano, è Gesù, è lo sguardo di Dio, che si fa avanti per primo verso la debolezza dell’uomo. Anche se il cieco non lo cerca, non sa neppure “chi sia” l’uomo che lo guarirà, “né da dove venga”, Gesù gli va incontro come luce e salvezza. I discepoli a questo punto si domandano: perché questa sofferenza fin dalla nascita? Ha forse peccato? Vi era infatti un’opinione diffusa nel giudaismo secondo cui doveva ravvisarsi un profondo legame tra il peccato e la malattia. La riposta di Gesù rivela la sofferenza dell’uomo come luogo privilegiato in cui meglio si può manifestare la gloria di Dio. Il dolore e la debolezza diventano così occasione di grazia e di salvezza.

Il cieco, immagine dell’umanità immersa nella tenebra del peccato e della morte, è totalmente abbandonato a Gesù che opera su di lui una nuova creazione: gli spalma il fango sugli occhi, come dal fango era nato Adamo, e gli ordina di andare a immergersi nella piscina di Siloe, il cui nome riveste per Giovanni una notevole importanza tanto da dare al lettore la spiegazione del nome, “Inviato”, che rimanda al fatto che il cieco è stato guarito dall’Inviato di Dio. Il cieco obbedisce prontamente: la sua infermità lo rende pronto all’affidamento e all’ascolto. Ecco che la guarigione diventa ‘segno’ per i presenti che rimangono disorientati, assolutamente smarriti nelle loro abituali categorie che risultano adesso sconvolte: la tenebra si è dissipata per sempre ad opera di un uomo che dichiara di essere la ‘luce’ del mondo. Il loro stupore non si traduce però in lode al Signore, bensì in ostilità e rifiuto. E’ iniziato il giudizio e il discernimento: da una parte i giudei che si autocondannano alla cecità, e dall’altra chi come il cieco è passato alla luce e adesso addirittura li ammaestra, rendendo testimonianza a Gesù. Il cieco, così come la samaritana, giunge alla fede e al riconoscimento di Cristo progressivamente: v. 12 “non so”, v. 17 “è un profeta”, v. 33 “questi è da Dio”, v. 38 “credo”. Il punto più alto di questo processo è raggiunto nel dialogo finale tra l’ex-cieco e Gesù in cui il primo è chiamato a credere nel Figlio dell’uomo e non più a riconoscere il lui soltanto un profeta. Soltanto in questa occorrenza il verbo greco usato per il "vedere" è diverso da tutti gli altri presenti nel brano per indicare che l’ex-cieco vedeva, perché qui si presuppone un vedere più profondo, il vedere della fede che è strettamente legato con la Parola che permette di passare dalle tenebre alla luce.

Le domande dei Farisei rivolte sia ai suoi genitori che al cieco stesso hanno le caratteristiche di un interrogatorio, in cui la loro capacità argomentativa di fronte alla testimonianza del cieco frana sino all’uso della violenza. Nella parte finale del brano la conclusione rappresenta la conseguenza dell’accogliere o del rifiutare la luce: “Per una discriminazione io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che ci vedano diventino ciechi” (v. 39).

Per i farisei, il ritenersi depositari del sapere produce un indurimento dei cuori e un irrigidimento delle posizioni che non lascia nessuno spiraglio all’iniziativa di Dio e non permette loro un cammino di consapevolezza della loro cecità come quello compiuto dal cieco guarito.


Riferimenti: Sul peccato e la sofferenza: Es. 20, 5; Nm 14, 8; Dt 5., 9; Tobia 3, 1 e segg.; Ger. 31, 29; Ez. 18.