Lectio divina di Mt 21,33-43 – domenica 6.10.2002
[33] Ascoltate un'altra
parabola: C'era un padrone che piantò
una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì
una torre (Is 5,1-2), poi la diede in affitto a degli agricoltori
e se ne andò lontano. [34] Quando si avvicinò
il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quegli agricoltori
per ricevere i suoi frutti. [35] Ma gli agricoltori presero i
servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.
[36] Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si
comportarono nello stesso modo. [37] Da ultimo mandò loro il proprio
figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! [38] Ma quegli agricoltori,
visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo,
e avremo noi la sua eredità. [39] E, presolo, lo cacciarono fuori della
vigna e l'uccisero. [40] Quando dunque verrà
il padrone della vigna che farà a quegli agricoltori?". [41] Gli
rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi e darà in affitto
la vigna ad altri agricoltori che gli consegneranno i frutti a suo tempo".
[42] E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture: La
pietra che i costruttori hanno scartata |
Quelle sottolineate sono espressioni-chiave per la meditatio
L’idea
del frutto è una costante biblica. Già in Gn 3,17-18 Dio dice al primo uomo:
“Maledetto sia il suolo per causa tua!”. La fecondità, implicitamente, è segno
della benedizione divina. Il testo biblico è interamente percorso dall’idea
della fecondità, che è poi l’idea della vita. Il Dio biblico è il Dio della
vita. Ma c’è una fecondità più specifica, più particolare, che si delinea lungo
l’AT, ed è quella relativa alla vigna. Già Noè, infatti, in Gn 9,20, “cominciò
a piantare una vigna”. Noè è l’uomo fedele per eccellenza e, come tale, capace
di suscitare il “pentimento di Dio” (Gn 8,21).
Se
la vigna, dunque, è segno di benedizione, in Is 5,7 “la vigna del Signore degli
eserciti è la casa di Israele” e come tale viene considerata dal profetismo
veterotestamentario. A ciò si aggiunga che nella Bibbia uccidere un uomo per
impadronirsi della sua vigna è considerato una vera e propria infamità, e dal
punto di vista dell’antropologia biblica risulta molto interessante, per le
corrispondenze col brano matteano, leggere tutto il c.21 di 1Re, che narra la vicenda di Acab ed Elia.
Il
nostro brano utilizza quindi a piene mani il simbolismo biblico della vigna per
ricapitolare la storia della salvezza nel contesto polemico del c.21, che
oppone Gesù a scribi e farisei. La questione decisiva, allora come ora, rimane
l’accoglienza o il rifiuto di Gesù, che diviene criterio per produrre e far
produrre frutti. Il padrone che si allontana e dà in affitto la vigna individua
chiaramente il rapporto tra Dio e le autorità religiose di Israele, chiamate
alla responsabilità della fruttificazione della vigna. Altrettanto chiaramente
i servi rappresentano i profeti, che precedono l’invio del Figlio, Gesù di
Nazareth. Descrivendo la sorte subita dai profeti e, in ultimo, dal Figlio,
Gesù inchioda scribi e farisei alla loro responsabilità, che peraltro,
paradossalmente essi stessi riconoscono, come attesta il v.41. La conclusione
del brano, con i versetti 43-44, apre due prospettive: la prima, cristologica,
sulla scorta del Sal 118, individua in Gesù la “testata d’angolo” che risorge e
salva; la seconda, più ecclesiologica, chiama in causa un popolo (greco ethnos) che “farà i suoi (del Signore) frutti”, con probabile riferimento non tanto ai
pagani, ma a tutti coloro che, ebrei e pagani, assumeranno il Cristo come
riferimento unico della propria fede.
La
rilevanza esistenziale del testo è notevole e va ricondotta al tema del frutto, che è strettamente
connesso al tema del tempo. C’è un kairòs (il “tempo” dei vv.34 e 41) in
cui il padrone, che in Isaia e negli altri profeti cura personalmente la vigna, chiede conto dei frutti, ma non alla vigna
stessa, bensì a chi aveva il compito di proteggerla e farla fruttificare. La
vigna in questo brano non ha alcuna responsabilità. I riflettori sono puntati
sugli agricoltori e sul loro desiderio di sostituirsi al padrone. Un desiderio
che si fa violenza e violenza premeditata (“dissero tra sé”, v.38), pienamente
cosciente dell’identità del Figlio. Non c’è traccia, nel testo, di frutti
prodotti. Forse il tempo dei frutti è sfuggito alla vigilanza degli
agricoltori. Dal brano emerge poi una concezione del tempo che ci riporta alla
Parola ascoltata domenica scorsa (Mt 21,28-32). Il Dio di Gesù Cristo è un Dio
che chiede frutti, ma sa attendere: quel ripetuto invio di servi segnala
proprio il desiderio di dare tempo all’uomo. All’uomo viene concesso tempo di
fruttificare, ma i frutti sono del
Signore. Molto chiaramente il v.43 parla di un popolo che farà i suoi frutti. La vigna restituisce al Signore
i frutti, perché la vigna stessa è opera del Signore.
Il
c.15 dell’Evangelo di Giovanni approfondirà questo tema individuando in Gesù la
“vera vite” e nei discepoli i “tralci”. Nella prospettiva giovannea il portare
frutto è legato ad un “rimanere” del discepolo in Gesù di Nazareth, ad un farsi
“mondare” dalla sua Parola. Per meditare il brano matteano, la lettura del c.15
di Giovanni può risultare quanto mai opportuna in chiave esistenziale perché,
portando a compimento in Cristo il tema biblico della vigna, tratteggia efficacemente
la vita interiore del discepolo che porta frutto.
Brani di riferimento:
Ø In generale:
tutto il c.21 di Matteo
Ø Sul tema della vigna:
Dt 32,32-33; Is 5,1-7; 27,2-4; Ger 2,21; Ez 15,1-8; 17,3-10; 19,10-14; Os 10,1;
Sal 80,9-19; Sir 24,17
Ø Sul tema del frutto:
Mt 3,8; 12,33
Ø Sulla tema della pietra:
Is 8,14-15; Dn 2,34-45.