Introduzione
alla Lectio di Mc 10,1-16 5 ottobre 2003
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Gesù lascia la Galilea per dirigersi verso la Giudea, verso Gerusalemme: la croce non è molto lontana. In questa fase finale del cammino, scandita da tre annunci della passione, Gesù è più che mai il ‘maestro’ intorno al quale si radunano gli uomini assetati di parole di vita eterna, gli uomini in cerca del regno.
Più ci si avvicina a Gerusalemme più si fa urgente e incalzante l’appello di Gesù: le sue parole acquistano un tono perentorio, il suo messaggio si fa radicale, inevitabilmente duro per chi lo ascolta. La forza di questo parlare senza mezzi termini, senza eufemismi, che è lo stile proprio della Verità, arriva a travolgere e spiazzare quanti, tra quelli accorsi per ascoltarlo, vogliono metterlo alla prova. Come i farisei che chiedono: “E’ lecito o no ripudiare la propria moglie?”.
Altre volte questi ‘tentatori’ della Parola avevano posto a Gesù una non-domanda. Per i farisei, infatti, la questione del ripudio era stata risolta dalla concessione (concessione, si badi, e non prescrizione) che Mosè aveva fatto in merito alla possibilità che l’uomo cacciasse via la propria moglie e scrivesse per lei un foglio di ripudio nel caso in cui avesse trovato in essa ‘qualcosa di vergognoso’, in ebraico semplicemente ‘nudità’ (cf. Dt 24,1-4). Semmai, e questa era la vera insidia per Gesù, si trattava di interpretare proprio la motivazione del ripudio, quella ‘nudità’ della donna che avrebbe reso possibile all’uomo la rottura della relazione e, dunque, l’occasione di nuove nozze. Su questo aspetto, in effetti, il dibattito tra i rabbini del tempo oscillava tra un’interpretazione ristretta della norma data da Mosè e che limitava il ripudio solo ad un eventuale caso di adulterio commesso dalla donna, e un’interpretazione decisamente più libera che riteneva sufficiente per il ripudio anche una minestra bruciata (J. Gnilka)! Gesù era, insomma, provocato dai farisei a mettersi in contraddizione con la Legge.
A questo punto Egli risponde con una contro-domanda che sposta il problema dalla sklerokardìa degli uomini, cioè dalla loro ‘durezza di cuore’ che aveva spinto Mosè a concedere una norma che, in qualche modo, limitasse la frequenza e la facilità con cui avvenivano i ripudi a quel tempo, al piano di Dio e al suo progetto sull’uomo; dunque, dall’applicazione della legge si passa alla volontà del Legislatore. Gesù invita, pertanto, i suoi interlocutori a tornare alle Scritture per conoscere il piano di Dio, all’ “In principio” della Creazione e fa loro una vera e propria lectio su Genesi I, 28, sul mistero grande dell’amore e dell’unione tra l’uomo e la donna.
La consuetudine del mondo ha abituato gli uomini alla realtà del ripudio, a considerarlo come lecito, ma esso, fa osservare Gesù, è la trasgressione più profonda della volontà di Dio ed è, insieme, il misconoscimento della sua opera creatrice. Quando Dio creò l’Adam, l’essere umano, lo creò al plurale: “maschio e femmina li creò”. L’uso del plurale ci dice che l’essere umano è stato pensato e creato da Dio come coppia. L’uomo e la donna non possono pensarsi come entità a sé stanti, ma l’uno in relazione all’altro. E’ insieme che l’uomo e la donna portano l’immagine di Dio: “questo è il fondamento dell’unità indissolubile del matrimonio” (E. Bianchi). La loro unione, benedetta da Dio, non dà come esito una somma della parti, una sorta di ‘uno + uno’, ma l’unità: essi insieme formano ‘una sola carne’, ovvero un’unica vita, un unico corpo, un unico progetto di Dio.
E’ un’unione che supera l’accoppiamento sessuale maschio/femmina proprio degli animali, perché essa, in questa sua singolarità, è la benedizione che Dio destina solo all’Adam. La pietra d’inciampo posta dai farisei è così scalzata alla radice. Il marito non può lasciare la propria moglie perché non fa un cammino individuale, non ha una vita autonoma, non è, in breve, ‘carne’ a sé. Separarsi da essa vorrebbe dire lacerare quell’unica carne votandosi anch’egli alla fine. Il problema di fondo, come fa osservare Gesù, è che non l’uomo si è unito in matrimonio alla propria donna ma è Dio che li ha uniti: Egli è il vero protagonista della loro storia d’amore. Essi sono messi ‘sotto lo stesso giogo’ come due buoi, a volere sottolineare come nelle parole di Gesù, così radicali, non ci sia sottesa un’immagine del matrimonio ingenua e idilliaca ma, piuttosto, quella estremamente realistica di una condizione di vita anche difficile al punto che, talvolta, essa può configurarsi come vero e proprio ‘giogo’! Sulla probabile meditazione di queste parole, Paolo, nella lettera agli Efesini, dirà ai coniugi di “sottomettersi gli uni agli altri” nell’obbedienza reciproca, nella faticosa cura ciascuno dell’altro: la loro unione si fa Corpo di Cristo (Ef. 5, 21-33). In questo senso il matrimonio partecipa pienamente del mistero della croce, della vicenda di morte e resurrezione.
Alle
parole di Gesù, dure da ascoltare perché toccano nel profondo il cuore
dell’uomo, lo interrogano nelle vicissitudini personali e nella quotidiana,
difficile, esperienza della relazione, gli stessi discepoli restano, non meno
dei farisei, confusi. Hanno bisogno di chiedere a Gesù ancora qualche
chiarimento su quanto hanno appena sentito: Ma è proprio vero Signore? Se le
cose stanno così, non converrà affatto sposarsi!(Mt 19,10). Si ritirano ‘in
casa’ con Gesù, così da stare in comunione con Lui insieme ai fratelli e poter
avvicinarsi al mistero del Padre e al suo progetto d’amore. L’immagine
conclusiva è proprio quella paterna di Gesù che abbraccia i bambini “Chi non
accoglierà il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso”. Non è
l’innocenza, una presunta purezza del bambino ad essere richiesta come
prerequisito, ma la capacità di abbandono assoluto al Padre di quell’uomo che
ha messo nelle Sue mani la propria vita, che è pronto a lasciarsi guidare dalla
Sua Parola senza frapporre condizioni, senza ‘se’ e senza ‘ma’.
Si consiglia la
lettura di Genesi, capp. 1 e 2.
Sull’alleanza
matrimoniale: Ml 2, 13-16; Ct 2,16; 6,3; Pr 2,17; Ef 5, 21-6,9.